Fuochi nascosti

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In uscita il 31/5/2017 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2017 ( ,99 euro)

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ALBERTO DONEL

FUOCHI NASCOSTI

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FUOCHI NASCOSTI Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-105-1 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Maggio 2017 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


PARTE PRIMA



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I

Nell’estate del 1914, in un’impervia località dell’Oregon nordoccidentale, venne scoperto da un geologo dilettante un giacimento argentifero che ben presto si rivelò un autentico tesoro. La zona non era del tutto disabitata; a poca distanza sorgeva Green Button, un villaggio di neanche duecento individui, molti dei quali dediti al commercio di legname o all’attività contadina. In seguito, con la novità del giacimento, i forestieri accorsero numerosi, attirati dal miraggio della ricchezza o quantomeno dalla possibilità di un lavoro durevole. Tra i primi ad arrivare furono la signora Agnes Braxton e suo marito Norman; venivano dal sud dello stato, dove avevano condotto una grama esistenza allevando pollame, ed erano più che disposti a spingersi fin sulle sponde del tempestoso Pacifico pur di lasciarsi alle spalle penne e becchime e migliorare la propria condizione. Per fortuna ciò non fu necessario, perché colsero al volo l’occasione offerta da Green Button - ribattezzato di lì a poco Green Silver Button per la soddisfazione di tutti - dove si stabilirono in modo definitivo insieme ai due giovanissimi figli, Thomas e Violet. Così i Braxton costruirono lì una casetta in legno con il tetto a spioventi, imitati quasi subito da altri, e in breve - nonostante il malumore degli abitanti originari - molte piccole abitazioni spuntarono come funghi intorno a quelle più grandi già esistenti. Il centro di Green Silver Button era formato da una chiesuola metodista, un emporio, un’officina, uno spaccio - tranquillo erede dei sorpassati saloon - e da pochi altri punti d’incontro. Nel complesso il paesino era molto austero e ben poco ospitale, ma i novelli minatori non se ne lagnarono affatto né al principio né dopo, protesi com’erano a un futuro ricco di soddisfazioni che l’America del periodo sembrava in grado di offrire a chiunque possedesse i requisiti indispensabili, primo fra tutti la tenacia. La fanciullezza di Thomas e di sua sorella si svolse dunque in un ambiente desolato, tra nere pozzanghere e slavati panni stesi ad asciugare, ed entrambi dovettero assorbire lo spirito degli adulti, le cui giornate erano assai impegnative, specie per gli uomini che avevano l’obbligo di entrare in miniera di primo mattino rimanendoci poi molte ore. Alle don-


6 ne toccava di occuparsi della casa, dei piccoli, e a volte anche degli anziani, gravati dagli anni non meno che dalla nostalgia del passato; tutto ciò senza godere di un solo momento di piacere, se non di sera quando la famiglia si riuniva per la cena, una cena che aveva il sapore agro-dolce della stanchezza e della speranza. A complicare la situazione, la convivenza con i primi abitanti - figli e nipoti dei pionieri, gente rude e dai modi spicci - era tutt’altro che idilliaca, almeno in quella fase iniziale; ma né gli screzi né le continue fatiche potevano scoraggiare i minatori della neonata miniera d’argento dal puntare a una vita più appagante. Quei manovali erano un po’ simili ai salmoni, che risalendo la corrente del fiume s’impegnano allo stremo delle forze e non mollano fino a quando non hanno completato la risalita che garantirà la continuazione della specie. E se i salmoni sono muti e sfuggenti, Norman Braxton, il padre di Violet e Thomas, era un loro probabile cugino, dato che parlava lo stretto necessario e snobbava la compagnia altrui. L’energia sembrava impiegarla tutta in miniera, perché una volta a casa lo si vedeva spesso seduto sulla sedia a dondolo comprata da un rigattiere, fumando la pipa con aria assorta mentre i suoi occhi, di un grigio glaciale, sembravano inseguire ricordi molto più attraenti del presente. Era proprio così? Nessuno lo sapeva, nemmeno sua moglie. Lui non era americano; giunto dall’Australia, aveva peregrinato da uno stato all’altro cambiando continuamente mestiere, finché a trentanove anni aveva conosciuto Agnes, di dodici anni più giovane. Lei, figlia di contadini, se n’era innamorata e dopo un po’ l’aveva sposato, senza indagare sul suo passato avventuroso. Misterioso dunque era quell’uomo, e misterioso poteva apparire il fatto che avesse conquistato una donna come Agnes, carina e - al contrario di lui - sentimentale e incline al dialogo; tuttavia, se è vero che il polo negativo e il positivo si completano, quei due ne erano una particolare dimostrazione. Va aggiunto che Norman era un bel tipo d’uomo, alto, vigoroso, e con lineamenti regolari, se si eccettua una lieve stortura del naso; inoltre nelle occasioni in cui si lasciava un po’ andare - cosa che ogni tanto accadeva a fine pasto, specialmente in presenza di qualche amica di Agnes - sfoggiava un’innata abilità dialettica che avrebbe potuto favorirlo se, per esempio, avesse tentato la fortuna nel giornalismo. Ciò nonostante Norman non coltivava alcuna ambizione, chiuso in sé stesso e ostinatamente incolto, né di certo lo aveva mai fatto. Se stava seduto a fumare e a oscillare sulla sedia preferita, l’unico suono che si sentiva era appunto il cigolio della stessa, un cigolio piagnucoloso, simile al vagito di un neonato che vorrebbe altra pappa, insistendo e insistendo fino a di-


7 ventare uno strazio. Quali sogni, poteva cullare, tra una nuvoletta di fumo e l’altra? Impossibile saperlo; è lecito supporre che si trattasse di speranze, di allettanti visioni non troppo dissimili da quelle di altri minatori che si prefiguravano Green Silver Button sotto forma di una cittadina moderna, dotata di larghe strade, di negozi, di servizi di ogni genere, di tante comode abitazioni, e magari con una chiesa neo-gotica al centro. Al presente essi potevano già usufruire della chiesetta protestante, il cui attento amministratore era il pastore Wylbrow, uomo solenne, pieno di contegno e molto intransigente in fatto di moralità. Il ruolo avuto dalla religiosità nelle vicende dei pionieri non era stato trascurabile; Wylbrow guidava da parecchi anni la piccola comunità con polso fermo e con rigore quasi puritano. Tuttavia i minatori, affatto impreparati a quella particolare situazione, rischiavano di sconvolgere le usanze locali, e questo creò qualche allarme. A poco meno di tre mesi dall’apertura della miniera, i forestieri non smettevano di affluire; non solo operai in cerca di lavoro e di fortuna, anche avventurieri e opportunisti di ogni risma. Una sera Wylbrow venne interpellato in merito a ciò da un commerciante di pellami e stimato membro della comunità di nome Elmer Payne. «Che cosa si può fare per arginare questa marea, pastore?» si lamentò, seriamente preoccupato «non passa settimana che non ne arrivino altri. Credono forse di aver trovato l’Eldorado? E che ceffi, poi. Li ha visti? Selvaggi… poco meno che animali; ecco che cosa sono!» sentenziò con espressione disgustata. Allora Wylbrow, osservandolo severo, volle mettere subito in chiaro la sua posizione. «Non parlare così, Payne. Nessuno di noi ha il diritto di disprezzare quella povera gente solo perché non ci assomiglia. Al contrario: dobbiamo accogliere i nuovi abitanti con spirito di fratellanza.» «Però» aggiunse levando in alto un indice ammonitore «anche mossi dal desiderio di ammaestrarli sull’importanza di vivere virtuosamente, onde salvaguardarli dalla perdizione.» «E in che modo, se è lecito?» «Dialogando con loro, catechizzandoli… ecco il modo. In tutti questi anni ho cercato di far rispettare la legge di Dio, e tu sai se ci sono riuscito o no.» «Sì, senza dubbio; questa però è un’altra faccenda. Per giunta mi risulta che alcuni di quegli operai siano pure atei. Come farà a convincerli?» «Io parlerò con tutti, e chi mi vorrà ascoltare mi seguirà.» «E gli altri?»


8 «Gli altri saranno conosciuti e riconosciuti per quello che meritano. Ho già in mente come agirò: visiterò i minatori casa per casa, famiglia per famiglia, dicendo che se hanno problemi - qualunque genere di problemi - vengano da noi… da me, per provare a risolverli insieme, in pieno spirito di solidarietà. Tuttavia li avviserò pure che se accetteranno il nostro aiuto dovranno considerarsi parte della comunità… e dunque rispettarne le regole. Vedi Payne, questi sbandati accorrono qui perché sperano di fare fortuna, di arricchirsi. È necessario spiegare loro che si tratta di una preoccupazione inutile, perché quello che conta è vivere nel timore di Dio, e che è preferibile patire fame e indigenza piuttosto che precipitare nell’abisso. Devono imparare questa grande verità, per quanto dura: a volte un male può essere un bene per l’anima. Dimmi amico, credi che avranno tanto cinismo e tanta ostilità da farsi beffe di tutto ciò?» «Spero di no, spero vivamente di no… però sono meno fiducioso di lei. Be’, confidiamo nell’aiuto del Signore, per una così nobile causa.» «E anche nella nostra buona volontà.» «Bene. Salutiamoci con questo duplice augurio» disse toccandosi il cappello, ma fatti solo pochi passi tornò indietro: «Mi scusi reverendo; mi sono appena ricordato di un’altra cosa che mi sembra non priva di importanza. Ieri mattina è arrivata in paese una signora tutta agghindata e truccata, e in sua compagnia c’erano quattro ragazze carine, civettuole e abbigliate con eguale ricercatezza. Sembra che le signorine siano le sue illibate nipoti, o almeno così ha detto la signora; io tuttavia nutro qualche dubbio. Stamane, e questo è il particolare più sospetto, la presunta zia si è messa in cerca di un locale da affittare per iniziare un’attività di cui non ha voluto parlare. Devo aggiungere altro, pastore? Secondo lei sono troppo malizioso oppure ho ragione di preoccuparmi per il buon nome della nostra cittadina?» Wylbrow rimase sorpreso. «Non ne sapevo niente. Hai fatto bene a informarmi. Ovviamente non permetteremo a nessuno di corrompere l’onestà dei nostri costumi. Stai pur certo che già domani mi attiverò affinché la questione venga chiarita, e poi - se sarà necessario - prenderò gli opportuni provvedimenti. Intanto mi sorge spontanea un’osservazione; qualora quelle donne si rivelassero delle meretrici, e che Dio ne abbia compassione se fosse così, ciò dimostrerebbe quanto sia urgente unire a noi i fratelli minatori nella quotidiana lotta al peccato. In ogni modo occorrerà la collaborazione di tutti per riuscire, perciò diffondi la voce Payne, mi raccomando.»


9 «Lo farò reverendo, lo farò; però continuo a dire che non sarà affatto facile mettere quella gente sulla buona strada. Del resto che possiamo fare noi poveri mortali contro le mille insidie del male?» A quelle parole Wylbrow sembrò ergersi al di sopra della sua già imponente statura, tanto si sentì ispirato. «Mi meraviglio di te! Non è da veri credenti, parlare in questo modo. Chi ha fede in Dio non ha mai timore di affrontare il male, né di contendere a esso le anime confuse e incerte. Noi sappiamo che la Grazia del Signore può salvare, non le opere umane» scandì come dal pulpito, avendo alle spalle non le semplici mura di una chiesa ma l’immensità violacea della sera. «Verità sacrosanta» approvò subito Payne senza mostrare alcun imbarazzo per la strigliata appena ricevuta. «Tuttavia, se questo è vero, non è meno vero che un dono del genere deve essere meritato e che solo l’esercizio della virtù e l’accettazione della sofferenza ne rappresentano il mezzo, e sarà compito nostro farlo capire agli operai della miniera, insieme a molte altre cose… cose che la tignola non può corrodere né alcun ladro può rubare, parafrasando rispettosamente le parole del Vangelo. Esclusi coloro che per imperscrutabile volontà divina sono destinati a realizzare i disegni celesti, o viceversa quelli infernali, gli altri godono del libero arbitrio, che però è una grave responsabilità, ed è importante fare in modo che i nuovi ne prendano coscienza. Ecco la missione che attende me, te e l’intera comunità! Ne convieni, amico?» «Lo sa, non mi sono mai tirato indietro… e non lo farò nemmeno stavolta. Per primo avviserò il dottor Jones, data la fiducia che riscuote da parte dei nostri concittadini. Se ci darà il suo pieno appoggio saremo già a metà del lavoro, non le sembra?» «Sono perfettamente d’accordo. Ora sì che prendi la cosa sul serio, ed è questo che mi aspettavo da uno dei miei migliori collaboratori! Non ti voglio trattenere ancora. Grazie, grazie di cuore Payne… e buonanotte a te e alla tua famiglia.» «Ricambio la buonanotte e i ringraziamenti reverendo, e aggiungo che lei è l’unica risorsa che abbiamo in questo piccolo centro.» «Ti sbagli, adesso ce n’è un’altra» rispose ironicamente Wylbrow. Si separarono mentre l’oscurità calava sia sulla cittadina - un tempo tranquilla ormai preda dell’ansia - sia sulla miniera, la nuova risorsa cui alludeva il Pastore. Comunque Wylbrow non era tipo da parlare a vanvera, e ben presto le vezzose signorine e la loro finta zia se ne accorsero. Infatti, ancor prima di aver trovato il posto adatto ai loro interessi, furono


10 costrette a sloggiare da una specie di sommossa popolare; pacifica, è vero, ma sufficiente a farle allontanare. Poi venne il turno dei minatori, e bisogna riconoscere che la collaborazione richiesta da Wylbrow si rivelò decisiva nell’indurre molti di loro inclusi i Braxton - a unirsi alla comunità, almeno formalmente. Certo, ci vollero diverse settimane d’incessante opera di convincimento, né mancarono alcune inevitabili eccezioni, però alla fine il pastore riuscì a evitare che l’aumento della popolazione mettesse in crisi le vecchie regole basate sul rigorismo religioso, proprio come si era prefissato. Un risultato notevole, anche se procurò a Green Silver Button la nomea di paese bacchettone e piuttosto tetro, quasi retaggio di un’epoca - quella della caccia alle streghe - che appariva ormai tramontata… e insinuando il sospetto, se non la convinzione, che quegli antichi scenari si sarebbero riaperti.


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II

Passarono alcuni anni sicuramente proficui per i Braxton. Arricchirono la loro casa di un orticello, una rimessa, un comignolo nuovo e un recinto in una bianca staccionata, tutte migliorie frutto di rinunce e di una vita umile. Il giorno in cui Thomas compì sedici anni, l’evento venne festeggiato dalla famiglia in modo riservato, senza ospiti, su espressa richiesta di Braxton padre che detestava il cicaleccio di simili occasioni. Ciò nonostante il clima fu estremamente lieto, il pranzo ottimo e una torta di aspetto semplice, tuttavia con le sue brave candeline, aveva rischiarato infine quei visi. Spente in un soffio le fiammelle, mangiata in pochi bocconi una grossa fetta di dolce, Thomas ritenne che fosse giunto il momento di fare un importante annuncio. «Per prima cosa, voglio ringraziarvi tutti per questa bellissima giornata!» esordì con le guance arrossate dal cibo e dall’emozione «e poi voglio approfittarne per darvi una notizia speciale… per dire che presto, molto presto… andrò in miniera insieme al babbo!» Notando poi la delusione sul volto della madre, aggiunse: «Cosa c’è, mamma, non sei contenta?» «No, non lo sono. Questa tua decisione non mi fa per niente piacere.» «E perché? Non è un bene che io cominci a lavorare, a rendermi utile?» «Ci sono altre cose, oltre al lavoro. Per esempio lo studio, che è egualmente importante, e nel tuo caso anche di più.» «Come sarebbe? Io so scrivere e so leggere; non basta?» Agnes guardò il marito, forse nella speranza che le desse man forte, ma lui rimase impassibile. «No, non basta» rispose quindi la signora «studiare vuole dire aumentare le proprie possibilità. Chi studia, presto o tardi ottiene comunque dei riconoscimenti, dei titoli.» «E allora?» fece il ragazzo, tutt’altro che convinto. «Non capisci? Un titolo di studio ti apre delle porte che altrimenti restano chiuse. Ti sembra una cosa da poco? E il guadagno, non lo consideri? Credi che un medico guadagni quanto un minatore? Per non parlare della diversa considerazione…»


12 «Ci vorrebbe troppo tempo, troppo mamma. Io voglio entrare in azione adesso.» «Per quale motivo? Nessuno di noi te lo chiede, non abbiamo questa urgenza, vero Norman? Insomma, di’ qualcosa anche tu! Ti sembra giusto che nostro figlio, così giovane, vada a rompersi la schiena sottoterra?» «Ma io sono forte, ma’! A braccio di ferro batto anche quelli più grandi di me. E poi…» «Lascia che tuo padre risponda, Tommy.» «Vuoi la mia opinione, donna? Okay: è vero, per adesso tiriamo avanti discretamente, però se il piccolo portasse il suo contributo staremmo anche meglio, no? Sia chiaro, io non impongo niente a nessuno, anche se potrei farlo dato che sono il capofamiglia, quello con le maggiori responsabilità, e dunque ti dico che ha avuto una buona idea. E poi non hai sentito l’illustre pastore Wylbrow? Dio tratta bene chi lavora sodo.» «Guarda che ti sbagli. Non si è espresso affatto così» replicò Agnes in tono un po’ seccato «ha parlato di sofferenza invece, e di espiazione delle colpe.» «Mah… comunque sia, ripeto che se l’allegro moccioso intende venirmi dietro, non sarò certo io a proibirglielo» concluse Norman facendo spallucce. «Grazie babbo! Sentito mamma?» commentò Thomas. «Dovete essere impazziti! Non ti rendi conto, Thomas, che fare il minatore non è come coltivare la terra o come allevare bestiame? È un lavoro triste e pericoloso, molto pericoloso. E se ti capitasse qualcosa, io poi che farei?» «E dai mamma, sei troppo pessimista! Io al contrario credo che la miniera mi porterà fortuna, anzi, ne sono sicuro!» «Ne sei sicuro? E come puoi dirlo?» «È una cosa che sento, impossibile da spiegare. Grazie alla miniera Thomas Braxton diventerà… be’, veramente questo ancora non lo so, però so che mi porterà fortuna. Mi conosci ma’; credi che farei una cosa del genere se non avessi degli ottimi motivi?» «Io vado a fumare» dichiarò Norman con noncuranza. Rimasta sola con i due figli, mentre Violet l’aiutava a sparecchiare in silenzio, Agnes continuava a lamentarsi di quell’inattesa decisione. «È una vera pazzia la tua, Tommy! Un ragazzo della tua intelligenza ha non soltanto il diritto, ma il dovere di coltivare lo studio. Ascoltami bene, figlio mio: se seguirai il mio consiglio, un giorno potresti diventare il fiore all’occhiello della famiglia, e forse di tutta la comunità. Se invece imiterai tuo padre, rimarrai un semplice operaio. Non fraintendermi, io


13 non mi lamento della vita che faccio, anche se è un po’noiosa, però non nascondo che qualche volta ho proposto a Norman di provare a cercarsi un mestiere meno rischioso e più redditizio. Purtroppo lui è cocciuto, e non ne ha voluto sapere. E adesso tu lo vuoi seguire anche in questo? Che ci guadagni a fare il minatore quando con una laurea potresti salire di livello e occupare ben altra posizione? Rispondimi sinceramente, Tommy!» Lui tentennò per qualche istante, come se fosse incerto su cosa dire, poi sbottò: «Insomma, non parlarmi come se fossi un delinquente o un idiota, ma’! Oh, scusami tanto! Non volevo mancarti di rispetto, è che mi sono accalorato… perdonami. Ecco, volevo solo chiarire che il lavoro del minatore è un lavoro onesto, e per l’ennesima volta ti dico che mi porterà bene! E in futuro…» «In futuro che cosa?» lo incalzò la signora Agnes, interrompendo per un attimo di sparecchiare. «Be’… in futuro raccoglierò i frutti della mia impresa; perché i frutti arriveranno, stanne certa!» affermò in modo convinto e ignorando lo sguardo curioso e scettico della sorella. La discussione terminò così, e il ragazzo non diede nessun’altra spiegazione che giustificasse la propria scelta. In realtà quell’irremovibile volontà nasceva da una credenza molto particolare; lui pensava infatti che dalle viscere della terra scaturisse un’energia portentosa, un effluvio in grado di trasformare magicamente le rocce in pietre preziose e in metalli come l’argento, e gli uomini comuni in persone degne di celebrità. Tuttavia il primo ad avere immaginato quelle cose non era stato Thomas bensì il suo amico Dave Jenkins, un giovane gallese conosciuto bazzicando la miniera, e che spesso veniva preso in giro da altri operai per le sue strambe opinioni. “È più matto di un cavallo!” dicevano, ma Thomas non la pensava affatto così. Anzi, per lui Dave era il più in gamba di tutti, persino più dello scontroso e taciturno pa’ Norman. È pur vero che quel giovanotto a volte parlava e ridacchiava da solo, o così sembrava, e che ti guardava come se volesse scrutare la tua anima; però, contrariamente agli altri, era sempre di buonumore, non bestemmiava, non bisticciava e per giunta ti affascinava con i suoi originali racconti. Così un po’ alla volta i due erano diventati amici, e se da un lato Jenkins doveva sopportare i lazzi di alcuni operai, dall’altro si poteva compiacere di avere dalla sua un ragazzo intelligente e di carattere come Thomas.


14 Una sera stavano facendo il lungo tratto di strada che dalla miniera portava alla casupola di Jenkins - poco più di una capanna, anche se di robusto legno - e parlavano della giornata appena trascorsa, accompagnati dal rumore delle pozzanghere su cui erano costretti a mettere i piedi, tanta era la pioggia caduta. «Non so proprio come fai a sopportare le prese in giro di certi tuoi compagni, Dave» osservava all’inizio Braxton, un po’ accigliato «quello scimmione di Keller, poi, è davvero sfrontato! Perché non gli rompi il muso, una buona volta? Se avessi un paio d’anni di più ci penserei io, te l’assicuro» aggiunse gonfiando il petto. «Fare a pugni con chi mi sfotte? In certi momenti sono stato sul punto di farlo, ma poi mi sono detto che non ne valeva la pena, e li ho mandati al diavolo. Se Keller e qualcun altro si comportano così, è perché non arrivano a capire ciò che sentono e questo li fa imbestialire. È un problema loro, non mio, anche se ammetto che meriterebbero una lezione. O forse sono io che dovrei parlare di meno, e invece non ci riesco, né non ci sono mai riuscito, perché la mia vitalità ha bisogno di questi sfoghi, mi segui Thomas?» «E li chiami sfoghi? Io non mi stanco mai di stare ad ascoltarti. Quale altro minatore avrebbe potuto insegnarmi ad amare il mondo sotterraneo, come hai fatto tu? Grazie a te ora so che i minerali nascondono l’energia della terra, e che è sempre quell’energia a far maturare le piante in superficie e a rendere fertile il suolo.» «Sì, un’energia vitale che può anche influire sugli esseri umani, ispirando loro grandi idee e nobili sentimenti, come ti ho già spiegato un’altra volta.» «Se è così, allora non c’è dubbio che i tuoi colleghi non ne sentano il minimo effetto» notò Braxton con un sorrisetto acido. «È logico, perché loro non erano predestinati.» «Ah, ecco… ma predestinati a che?» Jenkins si arrestò di colpo e batté le mani come per dare la sveglia. «Per Giove, lo hai già dimenticato! Te ne parlai la scorsa settimana… o forse quella precedente. Dovresti essere più attento alle cose che ti confido.» «Hai ragione, e ti chiedo scusa, però questo particolare della predestinazione non me lo ricordo proprio. Puoi ripetermelo? Sembra una cosa importante.» «Certo che lo è! Grazie a essa riceviamo il benefico fluido della Terra, ed è sempre grazie a essa che io ho avuto tante esaltanti rivelazioni. Vedi Thomas, noi eravamo predestinati a qualcosa di cui dobbiamo essere gra-


15 ti al cielo: scoprire le meraviglie del mondo, vedere e conoscere cose strane e portentose che di solito rimangono nell’oscurità.» «Noi? Anch’io allora? «Sicuramente, o non saremmo diventati amici. Che ne pensi?» «Penso… che mi servirà un po’ di tempo per farmene un’idea» rispose Braxton con aria assorta. Ripresero il cammino in silenzio, tuttavia Thomas aveva continuato a rimuginare, e dopo un paio di minuti chiese: «Senti; mi spieghi come fa la terra, che è fredda e dura, ad avere un fluido? Il conto non mi torna proprio.» «Possibile che non te lo abbia svelato ancora? È uno dei misteri più affascinanti!» «Eh no, questo no.» «Che razza di sbadato sono! Rimedierò subito. Vieni, mettiamoci sotto quel melo e saprai.» Riparati dalle fronde dell’albero di biblica memoria, improvvisamente calati in un’atmosfera quasi mistica, Dave iniziò a informare Thomas di un mistero antichissimo. «Ciò che ti sto per raccontare, Thomas, dovrai custodirlo gelosamente, intesi? Dunque; anche se la Terra può apparire priva di luce e di calore, non è così. Le sue profondità non sono gelide e buie perché là sotto splende perennemente un grande fuoco sacro, che rende la Terra viva e radiante.» «Oh, che meraviglia!» mormorò Braxton, rimasto a bocca aperta «allora quel fuoco è quasi il fratello della Terra?» «Se vuoi, puoi dire anche così; però è qualcosa di ben più straordinario. È, in un certo senso, il suo spirito immortale, perché il pianeta su cui viviamo è un essere vivente, ed è simile a noi. Pensaci su, come faccio sempre io.» «Lo farò, Dave. Mi piacerebbe tanto sapere dove hai scovato questi incredibili segreti. Li hai letti in qualche vecchio manoscritto di magia?» «Niente libri. Li ho appresi in maniera diretta e graduale.» «Allora qualcuno ti ha parlato? E chi? Non lo dirò a nessuno» promise il ragazzo, vedendo che Jenkins non si decideva. «E va bene. Tu non ci crederai, eppure sono stati i custodi dei tesori nascosti a svelarmi tutto… gli gnomi.» «Dunque esistono! E che aspetto hanno? E come mai ti hanno messo al corrente delle loro conoscenze?» «Ebbi la fortuna d’incontrarli in una grotta, in una foresta del Galles, diversi anni fa; ma ne riparleremo. Una cosa però voglio dirtela: erano


16 scandalizzati dal modo in cui gli umani depredano la Terra delle sue ricchezze, senza la minima gratitudine, ed è per questo che il lavoro del minatore viene reso dagli gnomi tanto faticoso e pericoloso. Tuttavia, dato che ero un predestinato, dissero che con me avrebbero fatto un’eccezione e non c’è dubbio che la farebbero anche per te, se diventassi minatore.» «Quindi tu la fatica non la senti?» «Non esageriamo, la sento, però meno degli altri. E quando vado a dormire… oh, che sogni fantastici mi attendono! Questo è un altro dono della mia buona stella, ed è importante - non trovi anche tu, Thomas? - godere di straordinarie visioni notturne anziché sognare banalità. È un privilegio non di poco conto, no?» Braxton ci rifletté per alcuni istanti, prima di rispondere con molta serietà: «Vivere belle esperienze, pur sprofondati nel sonno, può essere divertente, non lo nego. Però… non credi che bisognerebbe anche trasformarle in realtà, qualche volta?» «Lo so, lo so, me l’avevi già accennato; tu desideri diventare qualcuno. Ebbene, se è questa la tua massima aspirazione, certamente riuscirai a coronarla. Ricordati comunque che l’importante è mantenere vivo il proprio fuoco sacro, è da lì che vengono le cose migliori, come quella voglia di costruire qualcosa di bello e di utile che senti dentro di te. Non è così Thomas?» «Oh sì, per Giove!» «Bene. E ricorda: il fuoco nascosto non deve mai essere trascurato. Lo conserverai vivido e brillante come adesso?» Braxton sollevò una mano e mise l’altra sul petto, quindi disse: «Te lo giuro sulla nostra amicizia!» Dopo quel solenne giuramento si rimisero in cammino, di nuovo silenziosi; percorsero un tratto di campagna brulla finché giunsero al bivio dove in genere ognuno continuava per conto suo. «Ci siamo Thomas, è quasi il momento di salutarci. Abbiamo chiacchierato un bel po’, eh? Io parlo, parlo, parlo… e poi mi domando se invece non facevo meglio a stare zitto.» «Come, non ti fidi di me?!» si meravigliò Braxton. «No, no, non mi riferivo a te ma ad altri. Non hai idea di quante grane mi abbia procurato la mia mania di manifestare con troppa leggerezza le mie idee, fin da quando stavo ancora in Gran Bretagna. Ero venuto qui sperando di trovarmi meglio, e invece…» «Invece hai trovato Keller.»


17 «Già, uno che non sa sognare. Ti confesso che non è semplice vivere sapendo che molti ridono di te. È l’altro lato del mio destino, il lato amaro e spiacevole.» «Non prendertela. Come hai detto tu stesso, Keller e i suoi simili sono solo degli stupidi che crepano d’invidia. Non meritano di avere per amico una persona buona e sapiente come te.» A quelle parole il giovane minatore si commosse, al punto che rispose solo dopo qualche istante, con gli occhi lucidi e la voce incerta: «E tu, Thomas… tu sei un grande uomo!» esclamò stringendoselo poi al petto. «Be’, non tanto grande per adesso, però un domani chissà!» replicò scherzoso il ragazzo. Si scambiarono i saluti quindi ritornarono alle proprie case, l’uno colmo di soddisfazione, l’altro più che mai ansioso di misurarsi con la realtà. Fu quella chiacchierata a spingere Braxton verso la miniera, tuttavia non lo raccontò né alla madre né alla sorella perché l’aveva promesso a Dave e perché voleva prima verificare come si sarebbe trovato. Ebbene, dopo qualche mese da minatore si disse che in quel lavoro da talpe non c’era nulla di allegro né di favoloso; ancora un paio di settimane e non poté fare a meno di credere che difficilmente gli gnomi, amici del suo amico, avrebbero provato per lui la stessa simpatia, essendo egli un ragazzo ambizioso e, al contrario di Dave, intenzionato a raggiungere obiettivi concreti. Ciò nonostante continuò a pensare che quel mestiere, pur così umile, gli avrebbe comunque aperto le porte del successo.


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III

Erano passati poco meno di due anni da quando Thomas aveva iniziato a lavorare, ma la situazione dei Braxton non era affatto migliorata. Al contrario, la loro casetta mostrava qua e là gli effetti di una prolungata incuria, nell’orto allignavano le erbacce e all’interno delle mura la famosa sedia a dondolo giaceva in un angolo, impolverata e con un asse spezzato dalla violenza di un calcio rabbioso. Quanto al suo abituale occupante, ormai preferiva poltrire tutti i giorni davanti a un tavolo, o meglio starsene curvo sul suo ripiano, la testa appoggiata su un braccio e accanto una bottiglia di scadente Moonshine già mezza vuota di pomeriggio. Il motivo di quelle quotidiane ubriacature era fin troppo chiaro: al posto del braccio destro, non gli rimaneva che una manica non meno tristemente vuota della bottiglia. Un incidente aveva menomato il capo famiglia, facendogli perdere il lavoro. Un colpo durissimo, senza dubbio, ma ciò che aveva sconvolto l’esistenza dei Braxton era stata soprattutto la maniera in cui l’ex minatore aveva reagito alla disgrazia. Tutti avevano sempre visto in lui un esempio di stabilità morale e di fermezza di carattere, che nessuna difficoltà avrebbe potuto disarmare, invece quell’uomo granitico si era improvvisamente sbriciolato. Norman aveva subito una completa trasformazione, come se con il braccio avesse perso anche l’identità e ogni rispetto di sé stesso. La comunità non rimase indifferente a quel caso infelice; sollecitati dal reverendo Wylbrow - se mai ce ne fosse stato bisogno - i colleghi di Norman si erano impegnati a cercagli un’occupazione di ripiego. Senonché, lui aveva respinto immediatamente la proposta, per giunta infuriandosi di brutto con chiunque tentasse di farlo ragionare. Per cui in poco tempo l’alcool diventò l’unico sollievo del mutilato, e il fatto che una legge incauta l’avesse proibito sembrava renderglielo doppiamente desiderabile. Beveva e beveva, fino a cadere in un sonno malsano durante il quale a tratti lo si sentiva gemere o brontolare con voce irriconoscibile; altrettanto irriconoscibile stava diventando il suo aspetto, quasi che un demone si fosse impossessato di lui o che si fosse risvegliato di colpo dopo avere sonnecchiato per anni in un letargo forzoso. E se, nei rari momenti di relativa lucidità, veniva amichevolmente interpellato


19 da uno dei suoi ex-compagni di miniera riguardo alle sue condizioni, rispondeva con frasi del genere: “Sto bene così. Non accetto paternali da nessuno. E non ho nulla da rimproverarmi. Però se vuoi sapere la verità, caro mio, te la dico: sono stato ingannato. Wylbrow mi ha ingannato. Il suo Dio mi ha voltato le spalle senza motivo! Non diceva, il nostro reverendo, che la buona sorte non abbandona chi vive secondo le regole? E allora perché mi è successo questo?!” ringhiava torcendosi la manica vuota. Inevitabilmente sopravvennero delle difficoltà economiche che obbligarono la signora Agnes a fare la spola tra Green Silver Button e la cittadina più vicina, Springfield, dove riusciva a procurarsi lavoretti di cucito presso le famiglie abbienti. Purtroppo, quando gli incarichi languivano, si doveva rassegnare anche alle mansioni di donna delle pulizie, e quella ulteriore umiliazione, dopo aver sognato una vita migliore, cambiò i suoi sentimenti nei confronti del marito. Ben presto tra i due cominciarono i litigi e ai suoi rimproveri e recriminazioni Norman, se non era troppo ubriaco, replicava andando in escandescenze. Per quanto sembri assurdo, aveva preso a detestare sua moglie; era troppo graziosa e troppo sensata perché lui non se ne sentisse svergognato. E ormai detestava anche gli altri minatori, che avevano entrambe le braccia per lavorare e per abbracciare le donne. Nemmeno Thomas sfuggiva al suo livore; gli riusciva insopportabile l’idea d’essere stato soppiantato nel ruolo di uomo attivo della famiglia da uno sbarbatello. Se di sera, reduce da una delle solite sbornie, frastornato e pieno di veleno, se lo ritrovava davanti, intento a fissarlo con quel suo sguardo fiero e indagatore, alzandosi a fatica come uno spirito d’oltretomba evocato imprudentemente gli si avvicinava barcollando per insultarlo: «Che hai da guardare, piccolo cialtrone? E come osi mancare di rispetto a tuo padre? Vuoi forse che ti dia una lezione? Mi è rimasta solo una mano, ma perdio se pesa!» Così gridava contro il ragazzo che, pur non essendo né piccolo né pauroso, si limitava ad allontanarsi. Tuttavia quando era presente agli alterchi fra i genitori, Thomas, deciso a difendere sua madre, finiva per prendersi gli schiaffi indirizzati a lei, senza mai restituirli benché il padre lo invitasse apertamente alla rissa. Quella, insomma, era la situazione della famiglia Braxton, o almeno di ciò che ne restava dopo che pa’ Norman ebbe dichiarato guerra al mondo intero. Nel periodo in cui Agnes si trovava spesso a Springfield, successe però anche dell’altro: un avvocato, Ted. C. Evans, s’innamorò di lei, e


20 non era un donnaiolo in cerca d’avventure bensì un tipo responsabile, benestante e dai modi molto garbati, anche se un po’ avanti negli anni. L’amarezza della situazione, la prospettiva di vedersi sfiorire inesorabilmente vincolata a un marito che sembrava uscito di senno, resero Agnes vulnerabile alle attenzioni del suo maturo corteggiatore il quale, venuto a conoscenza dei suoi gravi problemi, le mise a disposizione un piccolo appartamento di cui avrebbe potuto usufruire quando si sentiva troppo stanca per fare immediato ritorno al suo paese. Al principio lei ci stava di rado e con molta titubanza, nel timore che Evans ne pretendesse poi in cambio qualcosa che una donna morigerata non avrebbe mai potuto concedere; ma, con il trascorrere delle settimane senza spiacevoli novità, Agnes dovette riconoscere che l’avvocato aveva intenzioni serie. Da quel momento le sue assenze da Green Silver Button si fecero ancora più frequenti. Non fu facile per Agnes tenere nascosta la verità ai propri ragazzi, tuttavia aveva deciso di rinviare qualsiasi chiarimento, dato che c’era ancora la possibilità, per quanto remota, che Norman si ravvedesse; una soluzione che comunque lei avrebbe accettato solo per amore di Thomas e Violet, non provando più alcun sentimento per suo marito. Nel frattempo era costretta a inventarsi di tutto: che doveva accudire una vecchia signora anche di notte, che aveva perso il treno ed era rimasta a dormire da un’amica, e simili, pretesti ai quali Norman, ossessionato dall’alcool, non faceva neppure caso. Purtroppo per Agnes, le sue assenze ripetute non potevano passare inosservate alla gente di Green Silver Button; qualcuno se ne accorse, e si accorse pure che a ogni ritorno la signora Braxton sembrava più serena, e che una volta sfoggiava un cappellino nuovo, un’altra una nuova blusa e così via. Pettegolezzo dopo pettegolezzo, si diffuse la voce che la moglie dell’invalido e alcolizzato Norman avesse un amante a Springfield, e le sue risposte evasive e quasi piccate alle domande indiscrete di qualche irreprensibile matrona suonarono come conferma dei sospetti. Di lì a poco Agnes venne convocata dal pastore Wylbrow, ma lei lasciò cadere nel vuoto quello che aveva tutta l’aria di essere un appuntamento con una dura reprimenda, senza curarsi affatto del disappunto e dello scandalo dei benpensanti. La contromossa del reverendo non si fece attendere: durante uno dei sermoni domenicali citò i versetti di Osea contro la perdizione di Gerusalemme e ne adattò il significato al proprio scopo, riuscendo a parlare della signora Braxton e del suo indemoniato consorte senza mai nominarli. Fu quella una delle più convincenti filippiche di Wylbrow, finita la quale i presenti ebbero la netta sensazione che il miglior modo di comportarsi con quei due fosse di starne alla larga


21 il piĂš possibile; il tutto di fronte a Thomas e Violet che, scioccati da una simile condanna pubblica, ovviamente si rifiutarono di uniformarsi.


22

IV

Una tarda sera d’inverno, freddissima e serena, Norman Braxton si aggirava nei pressi della miniera, come già varie altre volte; non che avesse un motivo preciso per farlo, tuttavia laggiù erano rimaste sepolte le sue speranze, speranze di cui sembrava alla folle ricerca. Folle, del resto, era diventata ogni cosa nella sua mente sconvolta dagli incubi degli alcolizzati. A un certo punto, mentre vagava nella semioscurità - il passo strascicato, la schiena curva, parlottando a vanvera - si fermò e tirò fuori dalla tasca sformata del cappotto l’inseparabile bottiglia, concedendosi un lungo, avido sorso di surrogato di whisky. L’infernale bevanda gli gocciolò lungo la barba ispida e incolta senza che lui se ne accorgesse, e appena l’alcool gli ebbe riscaldato le vene proruppe nell’ennesima recriminazione: «Promesse… promesse… e poi… zac! Niente più braccio… e un bel calcio nel culo! Altro che libertà! Sono stato tradito dalla grande America… il signor Wylbrow… e tutti gli altri… imbroglioni! Ladri… e farabutti! Se l’avessi saputo… me ne rimanevo dalle parti mie… in Australia… sì… la mia cara patria… l’Australia…» «E allora perché te ne andasti?!» obiettò qualcuno all’improvviso. Norman rimase a bocca aperta; era convinto di essere solo davanti alla cancellata chiusa della miniera, e invece… si domandò chi fosse lo sfrontato ficcanaso. Strinse gli occhi infiammati, scrutando i paraggi, e fu allora che vide una sagoma nera dalle gambe lunghissime, appoggiata un poco di sghimbescio a una baracca. «Ripeto la domanda: perché te ne andasti? Perché, caro il mio Norman, saltasti via dalla vasta patria dei canguri?» Nonostante il tono in apparenza bonario, quelle parole suonarono scivolose e sporche. Forse l’intruso si voleva prendere gioco di lui? In tal caso, non l’avrebbe permesso. «Non… non sono affari tuoi, ecco! E adesso… se permetti… ti saluto» rispose fingendosi offeso e rimettendosi in cammino quanto più velocemente possibile. Sarà stata la fifa, ma in effetti per un buon tratto riuscì a procedere abbastanza spedito e perfino abbastanza dritto. Però, dopo una settantina di


23 passi, un violento capogiro gli inceppò le gambe e lo fece cadere di lato, e proprio sul fianco sinistro, dove teneva la bottiglia. Con il fiato grosso e i lineamenti contratti si risollevò a metà e per prima cosa affondò la mano nella tasca, alla ricerca della sua amica di vetro; quando scoprì che era ancora intatta, un ghigno trasformò le sue fitte rughe precoci in striature di belva. Subito festeggiò ingollando una nuova sorsata, però il liquoraccio gli dovette andare di traverso, perché udì la voce dell’estraneo punzecchiarlo di nuovo. «Dimmi, caro Norman, lo raccontasti alla tua bella mogliettina che lavoro facevi prima, nella patria dei canguri?» Quella piccola parola, “prima”, risuonò nella testa scombussolata dell’ex-minatore con mille sottintesi e mille echi detestabili, tanto che avvertì un dolore intenso, dilagante, come se l’avesse morso una vipera. Chi era il tizio che gli stava alle calcagna? Aveva forse informazioni sul suo passato, magari racchiuse in un fascicolo? Se era così, non conveniva irritarlo; perciò Norman fece ricorso a una balbettante diplomazia: «Signore, non so con chi ho l’onore… comunque, ad Agnes… volevo dire alla mia signora… a lei ho spiegato che… ero stato manovale… e co… così non le nascosi nulla, giuro… e poi… e inoltre…» «Sei uno schifoso bugiardo e vigliacco!» ruggì lo sconosciuto. A quell’insulto Norman si sentì quasi mancare, e per alcuni istanti, non sapendo cosa dire in sua difesa, non aprì bocca. Non distingueva la posizione dell’altro, ma doveva essere molto vicino perché una zaffata d’alito pestifero gli era arrivata dritta nelle narici. «Come? Perché… signore… mi parla in questo modo? Io… onestamente non capisco… dato che ho lavorato insieme ad altri operai… per una ditta di Brisbane» raccontò con una vocina tremolante che lo fece vergognare come se l’avessero denudato proprio là in mezzo alla strada, e in un certo senso era ciò che stava accadendo. «Sicuro, hai fatto il muratore a Brisbane» confermò l’accusatore. Norman deglutì, sperando di passarla liscia. «Soltanto che dopo pochi mesi ti licenziasti: faticavi troppo e lucravi troppo poco, vero grand’uomo? E sei subito ritornato al tuo vero lavoro, che hai sempre saputo fare bene: rubare, truffare, svaligiare. Perché tu sei soltanto questo: un inguaribile parassita, ladro e fannullone, che avrebbe dovuto marcire in galera e che invece riusciva sempre a squagliarsela in tempo. Infine, braccato da ogni parte, capisti che era giunta l’ora di cambiare aria; e venisti in America, dove ti sei arrangiato fra un lavoretto e l’altro. Finché non hai trovato la bella Agnes e l’hai sedotta. Niente di meglio che una donna perbene per costruirsi una facciata rispettabile, e


24 poi tu ci sai fare con le donne, no? Ti ricordi le tue amichette, in certi quartieri dei bassifondi? Sbaglio, o per un po’ ti sei dedicato anche al lenocinio?!» «No… no… non è vero!» sbottò Norman «con Agnes volevo essere onesto… lo giuro! Lei era… la mia grande occasione di riscatto…» «Che però hai mandato al diavolo!» «Non è stata colpa mia, signore! Wylbrow diceva… che se uno si comportava bene…» «E tu ti sei comportato bene, lurido verme?!» «Mi hanno imbrogliato! Ho perso il braccio… merito pietà! Inoltre… le sue informazioni sono false… è tutto falso… un mucchio di fango… nient’altro che fango!» urlò Norman cominciando a scappare. L’altro non gli credeva, non gli avrebbe mai creduto e dunque bisognava seminarlo. In passato aveva seminato gli sbirri tante di quelle volte! Ci sarebbe riuscito di nuovo… ma accidentaccio, quanto pesavano le gambe! Erano piene di whisky finto, dannazione! Per la prima volta in vita sua Norman maledisse l’alcool che gli ostacolava la fuga dal tremendo giustiziere. Correva, correva, eppure l’altro gli stava addosso continuando a rinfacciargli le sue malefatte una per una, con tanto di nomi di luoghi e di persone che lui aveva sepolto nell’anfratto più nero della memoria. Si disse che non era giusto essere perseguitato così e gli vennero in mente gli altri minatori che si godevano tranquillamente la vita, e Agnes che lo rimproverava, e Thomas, quell’omiciattolo saccente e borioso, che lo disprezzava apertamente. Quei pensieri lo resero furioso a tal punto che se avesse avuto un’arma non avrebbe esitato a usarla per accoppare quel bastardo, poliziotto o spione che fosse. «E gli esordi, li vogliamo ricordare caro Norman? Ricordi cosa facevi verso i tredici anni? Ti voglio aiutare: ti accompagnavi a un tale Jewell, un colosso implacabile e manesco che andava in giro per conto degli usurai a riscuotere i debiti della povera gente. Quel tale ti metteva i brividi, tuttavia stando al riparo della sua enorme mole riuscivi sempre a sgraffignare qualcosina, vero? Bisogna ammetterlo: come delinquente promettevi bene e non hai tradito le attese, perché eri destinato a una vita da canaglia. Qui in America hai provato a rimescolare le carte, però non aspettavi che l’occasione adatta per ritornare te stesso, e la perdita del braccio te l’ha fornita. Finora ti sei accontentato di ubriacarti, ma poi la sbornia ti passerà, e allora ti verranno altri pensieri e altre voglie, scommetti?» Norman aveva ormai rinunciato a replicare, e poi il fiato gli serviva per scappare. D’un tratto vide una boscaglia che gli fece pensare di poter


25 seminare l’inseguitore. Correndo, incespicando, rialzandosi e riprendendo a correre si addentrò fra gli alberi, dove riuscì a destreggiarsi bene tra i fusti. Ogni tanto, boccheggiando, si fermava e si metteva in ascolto, nella speranza che l’altro lo avesse mollato. Dopo un po’, non sentendo più né rumori né parole, si disse che forse il peggio era passato. Il beone era proprio allo stremo. Nonostante il freddo pungente si sentiva madido di sudore; ancora qualche minuto e sarebbe scoppiato, invece per fortuna l’aveva scampata. Se non che, nella radura in cui si era fermato, grazie a un fievole chiarore riuscì a intravedere una sagoma lunga, storta e nera che gli stava attaccata ai piedi e che gli sussurrava: «Credevi di sfuggirmi? Scordatelo! Ti seguirò ovunque e sempre… fino alla fine, caro il mio monco maledetto!» Allora, con uno sforzo quasi sovrumano, Norman si rimise in movimento, però non poteva più correre, poteva soltanto arrancare, andando poco più svelto del normale. Mentre procedeva così, chiamava aiuto piagnucolando, convinto che il suo persecutore intendesse giustiziarlo o perfino massacrarlo con la tortura; avvertiva infatti che da quello sconosciuto scaturiva qualcosa di perverso e maligno, a malapena dissimulato da una patina di civiltà. Tuttavia, sebbene Norman non se ne rendesse affatto conto, la cattiveria dell’altro apparteneva soltanto a lui, perché l’individuo che lo braccava era sbucato dalla sua coscienza inascoltata e giunta finalmente al momento della rivalsa. L’uomo e la sua ombra attraversarono il bosco fusi in una stessa figura deforme, intrufolandosi insieme fra le piante spogliate dal freddo, calpestando all’unisono le foglie disseccate di un’estate ormai lontana, come lontano e assolutamente irrecuperabile era ormai il tempo delle alternative. La fuga di Norman non durò molto, anche se i suoi sensi allucinati gli dissero il contrario. D’un tratto vide che a nord gli alberi scemavano, lasciando scorgere un lungo, spoglio crinale. Si gettò subito da quella parte, e appena uscito dalla boscaglia, osservando sbalordito l’infinito vuoto notturno, già gli sembrò di sentirsi meglio. Sotto il crinale si estendeva una vallata piena di campi coltivati e di recinti per il bestiame, e quella vista lo rassicurò. L’accusatore pareva proprio scomparso, perciò Norman si concesse una pausa considerevole, poi in tutta calma si mise a passeggiare seguendo il terreno sgombro, con lo sguardo alle scarpe infangate e logore che finalmente andavano piano piano. «E questo sarebbe il passo di un delinquente? Nemmeno per sogno! Così cammina un gentiluomo senza macchia!» proclamò, ringalluzzito dallo


26 scampato pericolo «quel brutto ceffo non era che un bastardo calunniatore! Ladro io? Me lo dimostri, brutta spia di merda! Fannullone? Altra calunnia. Domani stesso mi cercherò un lavoro. Gliela farò vedere io se sono solo un “monco maledetto”, come mi ha chiamato!» ruggì al vento, sicuro di essersi disfatto del suo nemico, al quale augurò molto caldamente le peggiori sciagure. Lui comunque era sano e salvo, inoltre la corsa compiuta dietro la spinta della paura e il rigore del clima gli avevano fatto smaltire rapidamente la sbornia, e si sentiva nuovamente capace di qualsiasi bravata. E infatti di punto in bianco se la prese con i contadini che abitavano giù, nella vallata. «Ehilà! Vaccari caconi, mi sentite?! Che uno di voi venga qui da me, facciamo a braccio di ferro e vediamo chi è il più forte!» Nessuno lo sentì, o comunque nessuno gli rispose. «Ma sì, è meglio che rimanete laggiù a pulire le vostre stalle lerce! Il puzzo di sterco arriva fin quassù! Siete come animali! Nessuna signora si farebbe toccare da voi! Io invece sì che ne ho avute, e di quelle fini per davvero, e da domani si cambia! Norman Braxton troverà il modo di ringiovanire, di risalire in sella e di farsi rispettare, perdio! Agnes mi dovrà rispettare e anche i mocciosi, specialmente Thomas… mi deve rispettare… o se ne pentirà! Domani nuovo impiego e niente più whisky!» Così blaterando tirò fuori la bottiglia, e stava per lasciarla cadere quando si accorse che in fondo galleggiava un rimasuglio. Non c’era motivo di sprecarlo; inoltre un’ultima sorsata, a mo’ di congedo, gli spettava senz’altro. Quindi, dopo aver dato una languida occhiata alla sua fedele compagna ormai priva di risorse, prese lo slancio gridando a tutto spiano: «Questa è per voi, vaccari e zappaterra!» Con tutta la vigoria generata dal malanimo e dalla tracotanza, scagliò il recipiente il più lontano possibile. La bottiglia effettivamente fece un bel volo, ma Norman, che si era spinto fin sul limite estremo del crinale, d’improvviso sentì la terra mancargli sotto i piedi e per un attimo annaspò nel vuoto con l’unico braccio; poi, senza nemmeno avere il tempo di gridare, cadde in avanti di peso. Tutti i sassi più spigolosi dell’Oregon sembravano essersi dati convegno lungo la scarpata come se fossero una moltitudine di giustizieri, e lui ci rotolò sopra rovinosamente; e a ogni colpo, a ogni giro, la corda invisibile che teneva avvinta la famiglia Braxton a Norman e al suo dramma personale si andò srotolando, un tratto dopo l’altro. Finché, arenatosi morente là in fondo, il potere nefasto che prima lo aveva posseduto e in-


27 fine schiantato e che stava portando alla rovina anche i suoi, venne azzerato, assorbito dalla terra e dai sassi di quell’ultima, letale discesa. Fu un’uscita di scena provvidenziale, la sua. Tuttavia c’è da giurare che Norman non sarebbe stato di tale avviso.


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V

Non ci mise molto la famiglia Braxton, ormai libera dal suo delirante capo, a voltare pagina; però sarebbe stato impossibile farlo rimanendo a Green Silver Button, dove i suoi componenti avevano patito la denigrazione e l’isolamento. Così la vedova prese la via di Springfield mentre i suoi figli, da poco maggiorenni, scelsero di comune accordo una meta del tutto nuova e anche per questo più attraente. Con il beneplacito della signora Agnes andarono a Calooma, nello Utah, una cittadina sviluppatasi nei pressi di un importante giacimento di zinco e che aveva fama di luogo favorevole alle giovani generazioni per l’attuazione di un “capitalismo sano ed equilibrato”, come lo definì il governatore dello Stato durante una sua conferenza. La scelta si rivelò indovinata: in breve Violet poté lavorare come commessa in un grande emporio, e Thomas, date le sue credenziali, non ebbe difficoltà a farsi assumere in miniera. Tuttavia, al contrario di sua sorella, lui continuava a pensare in grande e dunque considerava quell’occupazione temporanea. Una sorta di fuoco ardeva nel suo essere, sulla scia di quello che Dave Jenkins attribuiva all’interno del pianeta; un’energia benefica e vitale, ma che poteva anche bruciare se non assecondata. Per fortuna non era il suo caso, e Thomas, sentendosi immodestamente all’altezza dell’impresa, cominciò a raccogliere informazioni utili per la sua scalata sociale e a pianificarla. Calooma rappresentava solo una tappa di passaggio verso ben altri obiettivi. Dato il suo temperamento, del resto, non aveva alternative; o sarebbe riuscito o la forza del bene che era in lui - un bene concreto, terreno ed essenzialmente umano - avrebbe potuto implodere e trasformarsi in una forza negativa, pronta a sfociare in territori pericolosi, ai limiti della società e della legge. A pochi mesi dal suo primo impiego, Violet vide la sua vita arricchirsi di un’altra interessante novità: la presenza di un giovane ammiratore. Infatti da quando lavorava all’emporio, un tale Robert Collins era diventato un cliente assiduo e desideroso di consigli per scegliere fra un prodotto e l’altro, per i quali ricorreva invariabilmente a lei. Fu così che costui trovò modo e tempo per esprimere alla giovane la propria simpatia che poi, un


29 incontro dopo l’altro, diventò qualcosa di più intenso e profondo. Lui era fondamentalmente timido, e questo non dispiaceva affatto a Violet, né le dispiaceva che fosse capocontabile della principale banca di Calooma. All’inizio Thomas accolse la novità con molta diffidenza, deciso a proteggere l’inesperta sorella da qualsiasi pretendente che non avesse tutte le carte in regola per ambire a chi, secondo lui, era la ragazza più saggia e graziosa in circolazione. Se Collins, nel corso delle sue visite all’emporio, avesse solamente accennato a qualcosa di meno lecito di un invito a colazione o di una passeggiata ai giardini pubblici, si può star certi che avrebbe passato un brutto quarto d’ora con il signor Braxton. Però così non fu, anzi, quel giovanotto educatissimo e istruito, che non faceva mai domande inopportune e che di sé stesso parlava solo in termini di grande modestia, finì per accattivarsi la simpatia del non facile Thomas, il quale notò poi con crescente piacere l’affinità di gusti e di carattere esistente fra i due giovani. Di conseguenza il giorno in cui Violet rientrò con un pregevole anellino alla mano e il volto illuminato da una gioia inesprimibile, non poté che rallegrarsene; tanto più che, in prospettiva, ciò avrebbe potuto agevolare i suoi piani.


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VI

I fratelli Braxton avevano preso alloggio al terzo piano di uno stabile popolare, in un appartamento non molto spazioso e scarsamente ammobiliato che comunque Violet, con pochi ritocchi dettati dal suo buon gusto, aveva saputo rendere accogliente. Era una sera di marzo ancora molto fredda; nel salottino, riscaldato da una vecchia stufa a carbone, Thomas cercava di rilassarsi su una poltroncina in stile chippendale - gentile omaggio di Collins alla fidanzata - che stentava a contenere il suo fisico possente. Violet nel frattempo sorseggiava un infuso guardando dalla finestra; così raccolta nei propri pensieri, con indosso un’antiquata veste da camera azzurra che risaltava contro le tendine ricamate, sembrava una damina del secolo scorso affascinata dal via vai di una strada moderna. «Oggi sei pensierosa, Violet…» osservò il fratello «qualcosa ti preoccupa?» La ragazza si voltò, in effetti un po’ imbronciata. «Oh, niente di grave. È solo che la banca ha intenzione di aprire una filiale a Lewiston… e Bob non vorrebbe andarci.» «Capisco la vostra contrarietà. Però se si vuole fare carriera non si possono mettere i paletti. E già che siamo in argomento… anch’io presto leverò le tende.» La dichiarazione di Thomas fu un autentico fulmine a ciel sereno, e Violet lo fissò allibita. «Come sarebbe “leverai le tende”? Vuoi lasciare Calooma? Ma… perché?!» esclamò lei con tono supplichevole. «Semplice: non intendo spaccare pietre e spingere carrelli per il resto dei miei giorni. Sto escogitando qualcosa… e ho già una mezza idea. O forse anche un paio.» Violet, sbiancata, prese una sedia e si piazzò davanti al fratello. «Allora, dimmi per favore che cosa significano queste assurde novità» lo interrogò, mentre i suoi grandi occhi nocciola ne scrutavano il volto «non dicevi sul serio… scherzavi vero?» «Calmati principessa. Non c’è motivo di spaventarsi. Nostra madre voleva farmi studiare… e aveva pienamente ragione. Senza un’adeguata pre-


31 parazione culturale non si può combinare nulla di speciale. Senti: mi verseresti un goccio di quel liquorino leggero, di cui non ricordo il nome?» «Rosolio. La signora italiana che me l’ha dato, lo ha chiamato rosolio.» Thomas assentì sorridendo. Aveva sorvolato sulla brusca reazione di Violet, era sereno e molto fiducioso e parlare del proprio futuro era come vederlo già disegnato su una mappa, mappa che lo avrebbe condotto al predestinato tesoro. «Bisogna che mi metta a studiare. Ci vorrà tempo, ma otterrò i titoli necessari… e farò carriera» asserì categorico prendendo il bicchierino di liquore. «E il tuo lavoro? Vuoi abbandonarlo?» «Se sarà inevitabile, interromperò. Sai, ho messo un po’ di soldi da parte e inoltre posso sempre contare sull’aiuto di mamma, non credi? Lei approverebbe senz’altro.» «Se lasci la miniera, non ti riprenderanno. Non è mica un albergo, dove uno entra ed esce quando gli fa comodo.» «E se anche fosse? Ci sono molte altre miniere e città più grandi di Calooma. Il mondo non finisce qui, principessa.» «Smettila con questo “principessa”! E te lo dico chiaro e tondo: io non me ne andrò da Calooma!» lo avvertì la ragazza, con le gote infiammate dall’ira. «Non sei obbligata a seguirmi, no? Allora perché te la prendi tanto?» «E mi lasceresti sola, andandotene lontano, dopo che siamo stati sempre uniti da un unico destino? Che ne sarebbe stato di noi, se non fossimo rimasti insieme? Come avremmo potuto affrontare tutti i guai che ci sono capitati?» Lui rimase zitto per qualche istante, lasciando vagare lo sguardo sulle tendine bianche che si confondevano con i vetri appannati in un riposante gioco di luci opalescenti. Poi chiese un secondo bicchierino, incerto se ribadire le proprie idee o rinviare a un altro momento. Per nulla al mondo avrebbe voluto inimicarsi sua sorella, però meritava di meglio che sgobbare in una miniera. D’altra parte, come far capire a una persona di miti pretese i propri sogni di grandezza? Il silenzio del giovane placò Violet, che probabilmente si rammaricò di aver perso le staffe. Una volta riposto il Rosolio nella credenza, la ragazza sbrigò qualche piccola faccenda, facendo su e giù fra il salottino e il resto della casa e canticchiando a bassa voce. Evidentemente doveva ritenere già chiusa la spiacevole questione. Dopo alcuni minuti ritornò accanto al fratello con una lettera in mano.


32 «Questa è arrivata ieri, ma avevi l’aria troppo stanca per accogliere la notizia. Fra non molto ci sarà un matrimonio a Springfield. Indovini?» «Nostra madre e l’avvocato… come si chiama?» «Evans. Ted C. Evans. Non sei contento? Io sì, immensamente.» «Naturale che sono contento, se è l’uomo giusto. Però se aspettavano qualche altro mese…» «No Tommy. Rinviare ancora sarebbe stato uno sbaglio. Quando ci si ama davvero, perché sprecare tempo prezioso?» «Lo dici perché tu e Bob farete lo stesso, eh?» aggiunse il giovane ammiccando divertito. La sorella, colta alla sprovvista, non seppe fare altro che arrossire e guardare altrove. «Non mi rispondi? Guarda che io non avrei nulla in contrario.» «Tu… tu corri sempre troppo, testone.» «Però lui ti ama… e tu ami Bob, vero?» «Ma… dico! Non ti sembra di essere indiscreto? Per adesso siamo fidanzati… e non abbiamo deciso niente.» «Okay. Comunque secondo me Bob è a posto… anche se… non per immischiarmi… però dovrebbe fare ginnastica. Non trovi che sia un po’ mingherlino?» Violet esplose in una scintillante risata; a lei Bob Collins piaceva così com’era, cortese, premuroso e anche “un po’ mingherlino”. «E se parlassimo invece del signorino Thomas Braxton?» contrattaccò «sabato prossimo il mio principale darà una festa per i vent’anni di attività dell’emporio. Ci sarà da mangiare… si ballerà. Ci verrai, Tommy? Chissà… potresti incontrare l’anima gemella!» «Non ci contare, signorina Braxton.» In realtà l’ambizioso minatore non aveva in programma di farsi incastrare da una del posto. «Eppure ti farebbe bene frequentare una ragazza. Sai, Bob dice che solo la dolcezza dell’amore rende meno amara l’esistenza.» «Accidenti! Mi inchino dinanzi a tanta profondità di pensiero!» fece lui, accennando una ridicola riverenza «e adesso, se non ti dispiace, vorrei leggere la lettera di ma’.» «Vuoi diventare un duro a tutti i costi, eh Tommy? E se te lo chiedessi come un favore personale? Fai contenta la tua ingenua sorella; vieni alla festa anche tu.» «Non lo so» disse lui senza nemmeno staccare lo sguardo dal foglio. Violet capì che insistere sarebbe stato inutile; quando Thomas si chiudeva in quel modo, c’era ben poco da fare.


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VII

La luna di miele dei novelli coniugi Evans fu una riuscita combinazione di tenerezza e di riserbo, come si addiceva a persone rese mature dall’esperienza ancor prima che dall’età. Al ritorno gli sposi ritennero doveroso invitare i fratelli Braxton, che avevano già presenziato al matrimonio, a trascorrere qualche giorno da loro; in verità quell’invito contribuì non poco all’attuazione del progetto di Thomas. Violet aveva infatti continuato a disapprovare la partenza di suo fratello, convinta che questo avrebbe guastato in modo irrimediabile la profonda intesa stabilitasi tra di loro e che li aveva salvaguardati nei momenti critici. Non era impresa facile far cambiare parere alla ragazza, tuttavia - per fortuna di Thomas - c’era una persona in grado di farlo e, quel che più contava, stava dalla sua parte, trattandosi di ma’ Agnes. L’avvocato Evans viveva in una villa nei dintorni di Springfield, un edificio in mattoni rossi con un piccolo portico all’entrata e gli abbaini sul tetto, circondato da una tenuta che un tempo era stata molto grande ma che anche dopo la vendita di una parte del terreno conservava una rispettabile ampiezza. E fu proprio passeggiando in compagnia del patrigno dopo colazione nel giardino della villa, che Thomas provò per la prima volta la sensazione dell’agiatezza, e di come ogni cosa, anche la più semplice - la vista di un cespuglio fiorito o di un gazebo o della facciata della dimora stessa, stagliata contro il cielo azzurro - appaia diversa quando a guardarle è il padrone e non un servitore. La sua opinione sul signor Evans stava cambiando. In un primo tempo l’aveva giudicato non troppo bene, però ascoltandolo mentre parlava di questo o di quell’argomento, non sembrava affatto l’individuo freddo e calcolatore che lui aveva temuto. «Ti voglio mostrare, ragazzo mio, a quale distrazione mi dedico appena mi è possibile accantonare per un po’ i vari casi di cui mi occupo…» gli confidò a un certo punto. «Qui dietro c’è la stalla… vieni. È là che si trova la mia distrazione.» Poco dopo l’avvocato condusse all’aperto un cavallo, un sauro dalle forme scattanti. «Ecco il mio Lester. L’ho acquistato da un allevatore del Texas. Me ne innamorai non appena lo vidi…» raccontò accarezzandogli il muso.


34 «I cavalli sono creature straordinarie e ciascuno ha il proprio carattere. Lester a volte è un po’ capriccioso, ma corre come il vento. Nei momenti liberi gli salgo in sella e faccio una bella cavalcata sulle colline qua intorno.» «Bello, davvero un bell’animale» ammise Braxton «non mi dispiacerebbe imparare a cavalcare…» «Se vuoi, poco per volta, t’insegnerò i fondamentali con un cavallo adatto. E tu in che modo ti distrai?» «Intende dire quando torno a casa stanco morto per avere sfacchinato per ore e ore là sotto?» rispose il minatore puntando il dito verso l’erba. «Ma dove ho la testa! Per un attimo mi ero dimenticato di quanto sia pesante il tuo lavoro…» si scusò Evans. «Non si preoccupi avvocato. Se crede che la stanchezza mi impedisca di distrarmi si sbaglia di grosso. Soltanto che è una distrazione di un genere particolare, la mia. Vuole sapere quale?» domandò poi in un modo volutamente ambiguo, che poteva far presagire qualche stravagante rivelazione e che infatti mise in evidente imbarazzo il distinto avvocato. «Non è necessario puntualizzare. Stavamo solo chiacchierando e non…» «E invece glielo voglio proprio dire. Dato che non possiedo cavalli, e nemmeno una bicicletta, mi distraggo muovendomi col pensiero. Sì, mi piace guardare al futuro. Ecco la mia unica distrazione.» Evans tirò un sospiro di sollievo. Anche se era un po’ spigoloso, quel giovanotto dimostrava buon senso. «Guardi al futuro. Ottima cosa per un giovane che nutre delle ambizioni. Agnes mi ha sempre detto che sei un ragazzo volitivo e perciò suppongo che tu abbia fatto dei progetti, non è vero?» «Non lo nego. Prima di agire bisogna prepararsi e io lo sto facendo.» Evans rimase pensieroso per alcuni istanti. «Consentimi una domanda, Thomas: non sei contento della tua vita?» chiese poi. «Io non mi lamento mai, ma se guardo al futuro avrò i miei buoni motivi, non crede?» «Certo, certo. Be’, nell’eventualità che volessi diventare avvocato, io ti potrei dare senz’altro una mano.» «La ringrazio dell’offerta, signore, tuttavia preferirei restare nel mio ramo.» «Le miniere?» «Sì, le miniere. Naturalmente salendo di grado. Come si dice? Salire la gerarchia? È una parola che sentii un paio di volte in chiesa, solo che si trattava di gerarchie di angeli.»


35 L’avvocato chiamò un inserviente, e dopo un’altra carezza e uno zuccherino Lester venne portato in un recinto. «Mi permetti di darti un consiglio, figliolo?» fece poi Evans con imprevista serietà «tu vuoi gettarti nella mischia, e sei nel pieno diritto di farlo, però dammi ascolto: non amareggiarti, comunque vada. Si è giovani una volta soltanto e in futuro potresti rammaricarti di essere stato… come posso dire? Troppo esigente? Nel mio lavoro ho continuamente a che fare con persone senza dubbio prive di preoccupazioni economiche, eppure non trovano di meglio che scontrarsi con altre per questo o per quel motivo… spesso un motivo economico, appunto. Dunque è giusto avere ambizioni, ma con prudenza, senza voler strafare.» Thomas lo guardò abbozzando un ironico sorriso. “Senti da che pulpito viene la predica…” pensò. «Gliel’ho già detto: io non mi lamento mai. Comunque non si può arrivare in alto se non si pensa in grande. E non si può pensare in grande se non si è disposti a qualunque sacrificio.» «Forse è così, fermo restando che per riuscire - non dimenticarlo - ci vuole soprattutto fortuna» insisté Evans, nei panni del saggio. «E non è già una fortuna il fatto di non rassegnarsi e di sentirsi pronti a lottare?» gli disse di rimando Braxton. Mentre avveniva quell’amichevole disputa, in un’altra parte del giardino madre e figlia discorrevano del più e del meno. Parlando, Violet accennava spesso al fidanzato e a Calooma, la cittadina in cui intendeva costruire la sua esistenza. Delle intenzioni di Thomas, invece, non disse nulla; sapeva bene che toccare quel tasto poteva crearle qualche imbarazzo, e perciò lo evitava con cura. Una cautela che non le servì a niente, perché quando si sedettero su una panchina sotto a degli svettanti pioppi canadesi fu proprio la signora Agnes ad affrontare l’argomento senza esitazioni, come se lo avesse stabilito fin dall’inizio della passeggiata. «C’è una cosa che mi sta molto a cuore, Violet cara» incominciò a dire, prendendo una mano di sua figlia tra le proprie «tu hai già un lavoro che ti piace e soprattutto hai Robert, con cui stai immaginando la tua vita da sposa. Ma il nostro bravo Tommy… lui non ha ancora ciò che desidera e questo non va bene, non va affatto bene.» Violet sembrò cadere dalle nuvole. «Non capisco mamma… perché lo dici… a me? Io che colpa ne ho?» La madre la fissò negli occhi con un’espressione che era un miscuglio di severità e di affetto. «Sei proprio certa di non avere nessuna responsabilità nella situazione di tuo fratello?» insisté Agnes dolcemente.


36 La giovane a quel punto abbassò lo sguardo. «Hai parlato con lui, scommetto.» «Sì, ci ho parlato. Era tempo che lo facessi… e non capisco per quale motivo ti opponi alle sue intenzioni. Dimmi: che cos’è che ti preoccupa?» «Ma niente… niente di particolare. È solo che… lui ha troppa fretta. Tutto qui…» provò a minimizzare Violet. «Sii sincera: di che si tratta, esattamente?» La figlia sbuffò, quindi si decise a vuotare il sacco. «E va bene, te lo dico, dato che mi costringi. Ecco: io e Thomas siamo molto uniti… e lo siamo sempre stati… anche quando…» «Quando? Continua, te ne prego» disse la signora notando la sua incertezza. «Be’… quando tu… e papà… ci trascuravate… anche se per motivi seri. È stato un bruttissimo periodo quello… e io e Tommy ci siamo sostenuti a vicenda. Da soli, sicuramente non ce l’avremmo fatta.» «Ed è per questo che non vuoi vederlo partire?» «Ti sembra strano? Accanto a lui mi sento al sicuro.» «E Robert, allora? Non è più giusto che sia Robert a occuparsi di te, adesso?» La ragazza mosse il capo, come se cercasse una via di fuga lì intorno; quella specie d’interrogatorio la metteva veramente a disagio. «Mamma… insomma, perché mi tormenti così? Sono venuta a trovarti per passare qualche bella giornata in compagnia tua e di tuo marito… e ora ci mettiamo a discutere di Thomas?» «Nessuno vuole tormentarti, tesoro» replicò la madre dandole un bacio sulla guancia «però questa faccenda va chiarita. Thomas vuole riprendere gli studi, e secondo me è un’ottima idea.» «Si trattasse solo di questo! Purtroppo non è così. Non te lo ha detto? Vuole mettersi in viaggio… lasciare Calooma per andare chissà dove! Non so che cosa gli frulli per il capo… ma queste sono le sue intenzioni; e proprio adesso che le cose vanno bene.» «Non quelle di tuo fratello. Lui è molto ambizioso e punta in alto. Perché non dovrebbe? È intelligente, pieno di forza e di curiosità.» «Allora tu approvi che Thomas abbandoni il suo lavoro e la città in cui vive… e me, e tutto questo senza alcuna certezza? Il mondo è crudele, ma’… noi lo sappiamo, e la troppa ambizione può portare Tommy alla rovina, e io non potrei mai, mai sopportarlo!» Il tono accorato di sua figlia colpì intimamente la signora Agnes, che sentì l’esigenza di tranquillizzarla immediatamente.


37 «Violet, Violet… tu soffri ancora per la tua infanzia difficile, turbata e insudiciata dall’uomo che ho avuto la disgrazia di sposare. Tuttavia le cose non sono così brutte come credi. È vero, il mondo può essere crudele, ma se uno sa come affrontarlo può anche scoprirne il volto migliore. Perché c’è questo volto, credimi, c’è per davvero. Io ne ho avuto la prova incontrando Ted. Perciò non ostacolare la volontà di tuo fratello; assecondalo invece.» «Che stai dicendo, mamma?! Io non voglio che gli accada del male.» «Non gli accadrà, sciocchina. Ricordi in che modo reagii quando ci disse che voleva entrare in miniera? Avevo i tuoi stessi dubbi, le tue stesse paure, invece quel birbantello rispose che sarebbe andato tutto bene e che la sua fortuna sarebbe dipesa da quella scelta. Io non ci volevo credere, però lui era talmente sicuro che sarebbe stato impossibile impedirgli di tentare. Be’, sai una cosa? Penso proprio che avesse colto nel segno. Quel mestiere sfibrante, anziché logorarlo, lo ha reso solido come una roccia, e adesso sembra pronto alla mossa successiva. Forse quando Wylbrow parlava della predestinazione non aveva tutti i torti; si direbbe quasi che Tommy, già a sedici anni, avesse un’idea ben chiara di ciò che lo attendeva.» «Per me è soltanto un ragazzo…» «No, non più. È un giovane uomo che ha bisogno della tua comprensione e del tuo sostegno. Lo sottovaluti ingiustamente, perché tuo fratello ha in sé un innato senso della giustizia, e sarà questo a preservarlo dal prendere una strada sbagliata, e anche a dargli la forza necessaria per riuscire. Thomas non è un debole. È un campione che ancora non ha potuto dimostrare quanto vale e non vorrai essere proprio tu a impedirglielo, vero?» La ragazza, commossa e scombussolata, guardava Agnes come se sperasse di trarne la sicurezza che a lei mancava ancora. E se avesse avuto ragione? Era saggio impedire a un bravo ragazzo di coltivare dei sogni, e solo per paura, una paura vaga, forse ingiustificata? Nella luce chiara e argentata di quel giardino primaverile, d’un tratto Violet dubitò di sé stessa, dell’atteggiamento che aveva tenuto fino a quel giorno nei confronti del fratello. In fondo Thomas aveva tutte le carte in regola per competere e forse per vincere. E la felicità di lui non avrebbe potuto che essere anche la sua. «Che cosa dici adesso, Violet?» domandò ancora la madre. La figlia in effetti appariva più serena. «Mi hai dato una bella tirata d’orecchie, non c’è che dire mamma.» «Solo per amore tuo e di Thomas.»


38 «Lo so, lo so. Mi è venuta un’idea: discuterò della questione con Robert. Come sai, lui e Thomas sono amici e sono nel mio cuore entrambi.» «Brava! E di sicuro tutto si aggiusterà, e dai miei ragazzi avrò tante soddisfazioni! L’importante è che ciascuno segua la propria strada.» La signora Evans non nascondeva la propria contentezza per quello che giudicava un provvidenziale ravvedimento. Ben pochi avrebbero riconosciuto in quella persona signorile e dai modi garbati la figlia di due poveri contadini; e quello era proprio un bell’esempio di miglioramento, a sostegno delle speranze di Braxton.


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VIII

Negli anni successivi il piano di Braxton prese gradualmente corpo. A seconda delle necessità si spostò da una città all’altra, pur rimanendo entro quella vasta area degli Stati Uniti in cui prosperava l’attività mineraria. Con abilità e buona sorte, alternò periodi di lavoro ad altri di intenso studio, prima dedicandosi alla formazione di base, poi al suo principale obiettivo: l’ingegneria mineraria. Era molto giudizioso: quando le sue tasche cominciavano a essere pericolosamente vuote, si adattava anche ai lavori più umili; quanto ai divertimenti, erano pressoché banditi dalla sua vita, vuoi perché la stanchezza glieli rendeva insipidi, vuoi perché nutriva il timore, non infondato, che se si fosse allentata la formidabile tensione che lo spingeva a quella rincorsa all’agiatezza, non sarebbe stato più capace di reggerne il ritmo. Certo, a volte doveva pur riprendere fiato, standosene tranquillo per una settimana o due; allora si lasciava andare a una lieve forma di abulia, durante la quale gli pareva di rivedere nottetempo le scene del suo passato, ma in un modo stranissimo, come se appartenessero non a lui bensì un suo gemello sfortunato, a un altro sé stesso che anche in seguito aveva continuato a trascinarsi fra il sottosuolo e la superficie della tediosa Green Silver Button, condannato dalla storia e dalle avversità a vivere di sogni infranti. Da quelle stramberie riemergeva angosciato e quasi tremante, maledicendo la propria pigrizia e soprattutto quelle visioni beffarde, che sembravano fatte apposta per distoglierlo dalla via intrapresa; così si rimetteva in forsennato cammino lungo quella meta, pronto anche a sgomitare pur di farsi largo fra l’indifferenza e l’ostilità altrui. E finalmente a trentaquattro anni raccolse i frutti di tanto impegno. Fu una giornata indimenticabile quella in cui varcò le porte della Daylor di Salt Lake City, assunto nei quadri tecnici dopo regolare concorso. Come nella favola, l’anatroccolo era diventato cigno, e dagli stagni paludosi dell’adolescenza si trasferiva nel lago immenso che doveva contenere, per lui, il sale della terra. La gioia di Braxton, quel giorno, fu pari soltanto all’orgoglio di essere riuscito a bruciare le tappe senza bruciare sé stesso; e se aveva trionfato sulle numerose difficoltà, ciò era stato possibile soltanto lavorando quo-


40 tidianamente e con una fede incrollabile alla costruzione del nuovo Thomas Braxton. Lui non era uno dei tanti arrivisti senza scrupoli, anzi; nel suo modo di pensare c’era sempre un che di etico, che gli permetteva di sentirsi un uomo virtuoso. Era riuscito a seguire il cammino stabilito proprio tenendosi alla larga da deviazioni oziose o da sensi di marcia vietati. E anche se lo aveva fatto essenzialmente per riscattare sé stesso dalla povertà e dall’ignoranza, c’era dell’altro. Grazie al ruolo appena acquisito, poteva mettersi al servizio di quegli ideali di operosità e di utilità generale nei quali credeva e sui quali si basava, dal suo punto di vista, il funzionamento del mondo. Perciò, entrando nella Daylor, Braxton aveva tutte le ragioni per esultare, tanto che non gli sarebbe sembrato eccessivo arrampicarsi sul più alto grattacielo cittadino, come King Kong, per poi gridare di lassù: “Sì, ce l’ho fatta!”. E se uno stormo di biplani lo avesse raggiunto, non sarebbe stato per mitragliarlo, ma per disseminare le strade affollate di volantini annuncianti a colori vivaci che Thomas Braxton, nonostante tutto, l’aveva infine spuntata! Poi però avrebbe dovuto abbandonare quelle altezze e, una volta riguadagnato il livello stradale, si sarebbe dovuto ricomporre in fretta per affrontare la fase più difficile: imparare a fare ciò che gli sarebbe stato chiesto, e nient’altro. Da spianatrice umana, doveva diventare semplice ingranaggio del complesso macchinario in cui era stato ammesso. Era prevedibile che per un po’ lo avrebbero tenuto in seconda o terza fila, affidandogli incarichi minori e saggiando le sue qualità, e ciò avrebbe stimolato il suo desiderio di farsi valere, superando i vari ostacoli che lo separavano da una completa affermazione. Se William James lo avesse conosciuto, avrebbe visto in Braxton l’esempio della propria filosofia, poiché in una certa maniera puramente istintiva, si comportava come se fosse un piccolo collaboratore - ma non per questo insignificante dell’Unico Sommo Architetto.


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IX

Violet, diventata già da alcuni anni signora Collins, accolse la notizia del traguardo raggiunto da suo fratello con un’emozione speciale; ripensando alle numerose difficoltà che Thomas aveva dovuto affrontare e superare, non poté fare a meno di lodare la loro madre, che aveva capito il suo valore con anni di anticipo. Solo un dubbio la angustiava: che il successo, oltre alle ovvie conseguenze positive, potesse arrecare anche un cambiamento che lei avrebbe senz’altro giudicato di segno opposto; in breve, che potesse dargli alla testa. Temeva infatti che la forza interiore del giovane non fosse sufficiente a impedirgli di diventare un uomo superbo, uno di quegli individui che a poco a poco perdono il contatto con la realtà e finiscono per arrogarsi diritti e licenze del tutto arbitrari. Quasi a voler dissipare quei dubbi, alcuni mesi dopo l’assunzione di suo fratello le giunse una lettera che conteneva le prime reazioni di Thomas al nuovo stato di cose. Mia brava, bella e buona sorellina - incominciava il testo - devi perdonarmi se per un po’ non mi sono fatto vivo, ma il motivo è valido: mi sono dedicato alla scoperta della mia nuova esistenza. Credo che ci vorrebbero pagine e pagine per comunicarti le svariate sensazioni che provo e gli episodi da cui vengono provocate, però voglio che ti sia chiaro almeno ciò che mi ha spinto a lottare durante questi anni. In poche parole, ora vedo il mondo - posso finalmente vederlo - da un punto di vista diverso, e certamente migliore. Ad esempio, i miei colleghi di lavoro attuali si distinguono dai minatori non tanto perché vestono in modo impeccabile o perché si esprimono con un linguaggio meno rude. Il punto è un altro: è che agiscono a un livello maggiore di importanza. Sono più vicini ai vertici della società, quelli dove si prendono le decisioni che riguardano tutti, e questo per me è esaltante. Adesso mi sento parte attiva del mondo contemporaneo, e non, come mi succedeva prima, una specie di rotellina mossa dagli altri e sperduta in fondo all’intero meccanismo. E sono sicuro che con l’impegno e la pazienza necessari avanzerò ancora, anche se a questo finora non ho pensato. Per ora mi godo il risultato


42 raggiunto, e inoltre mi sto ambientando, perché finalmente ho tempo e modo di farlo, dopo anni di fatiche e di sacrifici. Così il tuo avventuroso fratellone ha iniziato a frequentare luoghi in cui non aveva mai messo piede: musei, locali alla moda, grandi centri sportivi dove si pratica il tennis, il golf e altro ancora. Sono andato persino a un concerto di musica classica! Però non chiedermi se mi è piaciuto, perché ero troppo occupato a guardarmi intorno e a ripetermi che non stavo sognando. In mezzo a tante novità, ti confesso che non sempre mi sento a mio agio, comunque non me ne preoccupo; a poco a poco mi ci abituerò. Purtroppo Silver Button mi pesa ancora addosso, e nessuno può capirmi meglio di te, vero? Abito in un piccolo appartamento, ma sono alla ricerca di qualcosa di più degno, e ti garantisco che non appena lo avrò trovato te lo farò sapere. Non vedo l’ora di riabbracciarvi, te, i ragazzi e quel volpone di Bob, che si è impadronito del cuore di mia sorella! Non mi resta che salutarti affettuosamente; a presto, principessa! E dai un bacio per me, anzi due, ai miei nipotini! Tommy Violet terminò di leggere quasi con le lacrime agli occhi. Il suo Tommy non sembrava affatto cambiato, e lei mormorò un ringraziamento a Dio che glielo aveva conservato così com’era sempre stato, con tutto il calore e l’umanità che conosceva e per cui lo ammirava e lo amava. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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