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Alessandro Del Giudice
GEMINI 2
CHAPTER REUNION
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ GEMINI 2 – CHAPTER REUNION Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-411-3 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Settembre 2020
A mio figlio Matteo, che la fantasia possa sempre tenerti compagnia e farti sognare.
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PROLOGO
Mi sentite? Spero di sì. Se udite queste parole, sappiate che c’è ancora speranza e che non siete soli. Mi chiamo Okada Kyoto, ma potete chiamarmi semplicemente Kyo. Sono un umanoide che combatte per l’esercito della Resistenza. La guerra ci ha decimati, ma il fuoco della libertà arde ancora forte sotto le ceneri di Turen. Finché avremo vita, non vi abbandoneremo. Cercate di sopravvivere, aiutate chi è più debole e vedrete che ben presto l’Esercito Nero cadrà. A chiunque voglia unirsi alla nostra compagine, dico solo che questo è il momento giusto. Una volta mio fratello mi disse di smetterla di piangere e di essere coraggioso. Avevo appena dieci anni ma capii che aveva ragione. Quelle stesse parole le dico ora a voi. Alzati Turen e riprenditi la libertà che ti è stata sottratta! Passo e chiudo.
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CAPITOLO 1
L’acciaio dei binari strideva sotto il peso delle grandi ruote del treno passeggeri, un lungo convoglio gremito di gente da ogni dove. Nei vagoni di prima classe, l’alta borghesia e i potenti politici dell’Esercito Nero si spostavano comodamente, sviscerando, convulsivamente, di ogni tipo di argomento e consumando costosi alcolici. Le loro voci, mescolandosi, creavano un ronzio fastidioso, e le risate delle ricche donne erano anche peggio. Lo steward di bordo, un giovanotto longilineo in alta uniforme, serpeggiava fra i compartimenti col suo carrello, evitando accuratamente le gambe o le braccia dei nobili, e cercando di vender loro quanto più e possibile. I pregiati sigari provenienti dalla capitale del distretto umanoide, la celeberrima e immensa Black Town, erano i prodotti più in voga e richiesti. I signorotti amavano gustare il dolce tabacco in compagnia, e parlare di affari e frivolezze, rendendo l’aria di quelle carrozze molto pesante e malsana. La porta intercomunicante fra la prima e la seconda classe fu aperta dal baffuto e tarchiato capotreno, anch’egli in perfetta tenuta di servizio di colore blu, permettendo il passaggio dello steward fra una carrozza e l’altra. Il rumore delle ruote del treno che saltellava sui giunti dei binari si fece molto intenso, e il giovane portantino dovette portare una mano all’orecchio per tentare di abbassare i decibel. Con non poca difficoltà, il carrellino passò oltre l’uscio che dava alla seconda classe e finalmente il capotreno richiuse la porta a chiave. «Maledetti ricchi da strapazzo, loro e quei sigari puzzolenti» lamentò lo steward, storcendo il naso. «Bada a come parli, giovanotto!» lo rimproverò il paffuto capotreno, sistemandosi la chiave passepartout nella tasca di pelle, attaccata al cinturone bianco «vuoi forse perdere il lavoro? Lo sai cosa succede a chi offende quelle persone» continuò con tono austero. «Si calmi ora, lo so perfettamente» ribatté il portantino.
8 “Dovevo ascoltare la mamma e continuare gli studi. Probabilmente a quest’ora sarei io a sbuffarti del fumo fetido sul tuo grosso nasone rugoso!” pensò, cominciando il giro di vendite nella seconda classe. In quegli angusti e malridotti vagoni, l’atmosfera cambiava notevolmente. Vi erano persone e creature di ogni tipo che affollavano i corridoi e occupavano i pochi posti a sedere. Nonostante non fosse facile manovrare il carrellino a causa degli spazi ridotti, il giovane venditore era contento di mescolarsi fra quella clientela, scambiando talune volte qualche confortante chiacchiera. Riusciva perfino a vendere qualcosa, pur sapendo che il popolino non disponeva di molti soldi in quel periodo. «Signore! Scusi, signore!» sentì gridare lo steward da dietro un folto numero di robot pieni di bagagli. Facendosi strada con forza, il giovane riuscì a scavalcare l’ostacolo metallico, portandosi così da colui che lo aveva interpellato. Si trattava di un ragazzo più o meno della sua età. Aveva lunghi capelli biondi, raccolti dietro la nuca in un codino, e un impermeabile grigio che lasciava intravedere una maglietta nera. Indossava delle comode braghe militari usurate, tenute in vita da uno spesso cinturone, ma quello che più incuriosì il portantino furono gli stani anfibi che aveva ai piedi, molto particolari, con degli strani altoparlanti che sbucavano da entrambi i lati. “Che strano tipo questo qui!”, pensò il laborioso venditore. «Dica signore, desidera qualcosa dal carrello?» «In effetti, sì!» rispose il passeggero «mi chiedevo se avesse delle pile.» «Batterie intende? Sono desolato ma non posso accontentarla, non dispongo di ciò che mi ha chiesto» rispose lo steward, perplesso dalla strana richiesta «tuttavia ho molto altro da offrirle. Provi quest’ottimo panino farcito.» «Le chiedo scusa, ma il mio amico non mangia cibo umanoide. Dico bene Beta?» Da sotto il sedile marrone su cui il ragazzo era seduto, spuntarono due occhi luminosi, seguiti da uno strano verso gracchiante: «Bzz! Bzz! Bau!» «Santi numi! Il suo amico è un cane appartenete alla razza metallica! Da dove spunta fuori?» esclamò meravigliato il venditore «lo sa che su questo convoglio non sono ammessi animali di nessuna razza e tipo? Se la vedesse il capotreno, le farebbe una contravvenzione piuttosto salata!» continuò.
9 «Le chiedo scusa signore, ma sia buono e non chiami il capotreno. Beta non fa male a una mosca, glielo posso assicurare. Gli ho anche ordinato di passare in modalità silenziosa, così da non arrecare disturbo agli altri viaggiatori» spiegò il viaggiatore, supplicando comprensione. «Stia tranquillo, non chiamerò nessuno. Non mi va di farmi largo nuovamente fra la folla. E poi quel baffone antipatico non lo sopporto, quindi farò finta di non aver visto il suo simpatico amichetto» disse lo steward, piegandosi ad accarezzare il liscio e freddo capo dell’animaletto robot, il quale sembrò apprezzare molto. «Le sono infinitamente grato. Io mi chiamo Kyo, comunque» il ragazzo porse la mano al venditore. «Alan, molto piacere» lo steward contraccambiò il gesto amichevole «sarei felice di scambiare quattro chiacchiere con te, magari su quegli strambi stivali che porti. Sembri anche un tipo che ha molto da raccontare, ma purtroppo ho del lavoro da svolgere e questa merce non si venderà di certo da sola. Dunque, se non ti dispiace, devo continuare il mio giro. Ho visto un gruppo numeroso di mercanti intangibili nelle ultime vetture. Quelli vanno pazzi per il cibo umanoide!» «Prima che tu vada, Alan, mi sai dire se manca ancora molto per Trashville?» «Cosa? Scusa se sono inopportuno Kyo, ma cosa deve fare uno come te in quella topaia? Non è luogo turistico quello!» spiegò lo steward. “Devo stare attento a non scoprirmi troppo! Potrebbe esserci qualcuno nemico nei paraggi e il maestro Orion è stato molto chiaro in merito alla mia situazione” pensò Kyo, prima di rispondere: «Vedi, Alan, ho uno zio che non vedo da molto tempo e, siccome sono di passaggio, volevo fare un salto per accertarmi delle sue condizioni di salute.» «Uno zio, dici? Senti amico, per chi mi hai preso, per uno sprovveduto? A me non interessano i tuoi affari nella città dell’illegalità, ma almeno cerca di trovare scuse più verosimili la prossima volta! Comunque, Trashville è la prossima fermata. Il treno ha già cominciato a rallentare. Se non vuoi finire schiacciato dalla folla di quella maledetta stazione e rimanere bloccato a bordo, ti consiglio di prepararti alla discesa» disse Alan. “Ha ragione, devo raccontare frottole migliori se non voglio finire nei guai!”. «Ti ringrazio molto Alan, sei stato gentile.»
10 Kyo si alzò di scatto dal sediolino e prese una sacca dal portabagagli sopra di sé. «Coraggio Beta, salta dentro. So che non ti piace ma devi stare nascosto qui dentro per un po’.» «Bzz! Bzz! Arf!» gracchiò il fedele amico metallico, saltando nella bisaccia. «Ehi! Sta’ attento a dove metti i piedi, giovanotto!» borbottò una signora di mezza età seduta accanto a lui, intenta a lavorare un grosso gomitolo di lana azzurra con dei ferri. «Le chiedo scusa, signora» Kyo accennò un inchino, poi si voltò per un’ultima volta verso lo steward e lo salutò, prima di raggiungere le due porticine a battenti d’uscita della vettura, poste in fondo a uno stretto corridoio. Dopo qualche minuto, il treno si arrestò completamente nella stazione di Trashville, composta di soli due binari e un casolare malridotto e trascurato. Oltre alle numerose persone che si accalcavano per salire sul convoglio, vi erano molti tizi che bivaccavano liberamente un po’ ovunque, alcuni dei quali avevano perfino disposto scatole e stracci a formare rifugi di fortuna, nei quali, molto probabilmente, vivevano. La locomotiva sbuffava nuvole di vapore grigiastro e fumo nero e denso, segno che i caldi motori erano pronti a tornare a macinare chilometri. Lì dove vi erano le vetture di prima classe, si era accuratamente schierato un piccolo drappello di uomini dell’Esercito Nero, armati fino ai denti, pronti a difendere i ricchi signori. Il baffuto capotreno fu il primo a scendere, seguito da una manciata di viaggiatori. Kyo, seguendo alla lettera il consiglio di Alan, scese subito dalla carrozza e si trovò davanti un muro di persone che rischiarono di travolgerlo. “Non ho mai visto tanta gente azzuffarsi per prendere un posto”, pensò. «Scappano dalla fame, figliolo» fece una voce rauca alle sue spalle. «Uh! Salve, mi ha spaventato. Non l’avevo vista» fece Kyo, voltandosi. Si trattava di un vecchio vagabondo, con più rughe che anni. I suoi vestiti erano perlopiù stracci. Le sue scarpe erano talmente usurate che la punta si era bucata e scollata dalla suola, lasciando intravedere il piede nudo. Le dita delle mani, callose e consumate dal freddo, raccontavano di un uomo che aveva, molto probabilmente, lavorato nei campi. Aveva una folta barba grigiastra e sporca che diventava biondastra alla sommità della bocca e sotto il naso adunco. Gli occhi erano piccoli e tirati, ed era
11 impossibile capire il colore dell’iride. Uno spesso berretto di lana verde gli copriva la testa e tutta la fronte. «Oh, tranquillo. È la tua prima volta qui nella città spazzatura?» chiese il vecchio. “Dannazione, come farò a nascondere la mia identità se sono un libro aperto?”. «Si nota molto? Comunque è inutile evitare l’evidenza, signore. Sono in cerca di lavoro. Da dove vengo, la guerra ha affamato tutti e sono stato costretto a venire qui come ultima speranza» spiegò Kyo, questa volta cercando di inventare una storia più plausibile. In quel preciso istante, si udirono grida provenienti dal treno in sosta al binario. Kyoto si voltò e vide il capotreno dai lunghi baffi percuotere con un manganello tutti i clandestini che cercavano di salire a bordo senza aver comprato il biglietto. Il giovane rimase scioccato da quella triste e cruenta scena, tanto che gli si era seccata la gola. «Ma che sta succedendo?» riuscì a bisbigliare. «Tranquillo figliolo, questa è una cosa che si ripete tutti i giorni. Quelle persone cercano di fuggire da qui, ma non hanno nemmeno i soldi per un tozzo di pane. Così cercano un passaggio dal buon vecchio capotreno, che evidentemente oggi non è di buon umore.» In cuor suo, Kyo sarebbe intervenuto a fermare quella violenza, ma sapeva che la sua copertura sarebbe saltata se si fosse messo ad attirare l’attenzione, soprattutto davanti a quel drappello di giubbe nere a guardia della prima classe. Così fece un respiro profondo e tornò a rivolgersi al vagabondo. «Mi dispiace. Non avevo mai visto nulla del genere in vita mia.» «Oh ragazzo mio, qui ne vedrai di tutti i colori! Eh, eh, eh!» rise il vagabondo «dicevi di essere venuto per sbancare il lunario? Molto bene, vedrai che di lavoro in questa topaia ce n’è in abbondanza, se saprai cercare. Anche di quelli che ti faranno arricchire, se saprai conoscere le persone giuste» l’uomo accennò un ghigno oscuro. «Ma allora perché quella gente è così povera?» chiese, di conseguenza, Kyo. «Mi sei simpatico ragazzino, per questo ti metterò in guardia e ti darò un paio di consigli utili per non finire come quelle persone. Punto primo: in questa città tu non sei nessuno. Punto secondo: in questa città le giubbe nere non contano nulla. È la malavita organizzata che fa andare avanti le cose. Fai poche domande e sta’ alla larga dai guai. Punto terzo: se fai un
12 torto ai malavitosi, puoi considerarti finito o peggio ancora un uomo morto. Hai capito bene?» Kyoto rimase per un secondo perplesso, poi decise di non dare peso a quelle parole. Aveva una missione da compiere, affidatagli dal suo maestro in persona. Sapeva di non poter perdere altro tempo in chiacchiere. «Seguirò i suoi consigli. È tempo che mi metta in marcia, però. Mi saprebbe indicare il centro città?» chiese il giovane. «Non sarà questo vecchio a fermare un giovanotto volenteroso e pieno di speranza come te. Una volta uscito dalla stazione, va’ sempre dritto per qualche chilometro. Quando arriverai a una immensa baraccopoli, potrai considerarti al centro. Non ti aspettare alberghi di lusso, palazzi maestosi e giardini incantati. Eh, eh!» ridacchiò. «Grazie infinite!» esclamò Kyo. Poi, scavando nella tasca del suo impermeabile, estrasse una moneta argentata che consegnò all’uomo. «Non è molto, ma spero che almeno per questa sera riesca a fare un buon pasto.» «Uh! Lo dicevo io che eri uno in gamba. Vedrai che diventerai un pezzo grosso. Ti auguro tanta fortuna ragazzo mio. Ora va’, va’ a rincorrere i tuoi sogni» disse il vecchio, nascondendo la moneta avuta in dono. Il cammino verso il centro città si compì senza intoppi. La periferia lasciata alle spalle era desolata e quasi del tutto deserta, ma ora Kyo si trovava davanti a un agglomerato di persone e costruzioni molto fatiscenti che lo lasciò di stucco. Non aveva mai visto tanti esseri viventi raggruppati in così poco spazio. «Miseriaccia, Beta! Se solo potessi vedere quello che vedo io!» bisbigliò il ragazzo, osservando la popolazione muoversi in ogni direzione, come uno sciame di api. «Comprate del pesce, il miglior pesce di Trashville!» urlò un uomo di mezza età, con uno straccio attaccato alla fronte. «Armi, armi di tutti i tipi. Coltelli, lame affilate come diamante» fece un altro tizio poco più avanti, mostrando la merce che aveva sul bancone. «Carburante, carburante prezioso. Il prezzo più conveniente del distretto!» sbraitava una donna dalla parte opposta della strada. Kyo si sentì toccare una spalla e subito si voltò per vedere chi fosse. «Ragazzo, ragazzo!» bisbigliò uno strano tizio pelato, molto basso e con i denti più gialli che avesse mai visto «ragazzo, ho la migliore droga di
13 tutta la città. Ho della polvere rosa che farebbe resuscitare perfino i morti. Te la do per sole dieci monete!» «Mi dispiace, non faccio uso di droghe» spiegò Kyo. L’uomo pelato cambiò espressione e, dopo aver spintonato il biondo ragazzo, passò oltre, ignorandolo. “Che maniere!” pensò il giovane “quello che mi preoccupa ora è che non so assolutamente come iniziare la mia missione. Come diavolo farò a trovare la mia squadra in mezzo a tutta questa gente?”. Kyo si concentrò per un istante, cercando di pensare a ciò che gli aveva detto Orion. La sua mente risalì a qualche giorno prima, quando il suo viaggio per Trashville stava per iniziare. Si trovavano entrambi all’esterno dell’avamposto ribelle, in un luogo segretissimo di Turen, celato da una catena montuosa. Molte cose cambiarono dopo i fatti di Hope Town, quando, solo grazie all’intervento del Generale Marshall Donovan e dei tre Capitani ribelli, si riuscì a sventare la conquista da parte delle giubbe nere del più grande giacimento petrolifero del pianeta, l’esecuzione di preziosi alleati e la cattura dello stesso Kyo. Dopo la notizia del sabotaggio dei piani dell’Esercito Nero, la fiamma della ribellione riacquistò nuova linfa. Nei vari distretti di Turen, numerosi volontari si univano segretamente alla compagine della speranza. In qualche mese le fila ribelli crebbero esponenzialmente, e una carovana mobile di così tanti uomini sarebbe stata facilmente individuata. Fu così che nacquero le Quattro Fazioni Silenti, ognuna identificata con un punto cardinale, e ognuna di esse comandata da un ufficiale scelto. Vi era la Fazione del Sud, gestita da Roberto Bautista e accampata in uno dei grandi e immensi canyon dei deserti della zona meridionale del pianeta, lontano da qualsiasi città e protetta dal territorio ostile. La Fazione dell’Ovest fu affidata a Mr Tree. Grazie alle sue conoscenze fra la popolazione intangibile, l’essere vegetale riuscì a nascondere i suoi uomini in una palude a occidente. La Fazione dell’Est era gestita dalla coppia Perez-Finley. Il Maggiore Teodor Perez, dopo essersi redento e dopo aver giurato nuovamente fedeltà ai ribelli, fu accoppiato all’ex sindaco di Hope Town Edmure Finley, super ricercato dall’Esercito Nero e uomo dotato di grandi capacità organizzative e gestionali. La loro compagine si stabilì in una discarica abbandonata nel distretto metallico, a oriente.
14 La Fazione del Nord toccò al capitano Sergej Thompson detto Orion, che scelse le montagne settentrionali come rifugio. Le fazioni non comunicavano mai fra loro, e nessuno dei componenti di una squadra conosceva la posizione degli altri accampamenti. In questo modo, se un avamposto fosse stato scoperto, la posizione degli altri alleati sarebbe stata al sicuro. Solo i tre Capitani e la coppia Perez-Finley conoscevano le coordinate di tutti gli accampamenti, così che, in caso di bisogno, avrebbero potuto ritrovarsi e organizzarsi. Era una giornata molto fredda e già dalle prime luci dell’alba grossi fiocchi di neve cadevano senza sosta. «Bene, figliolo. Ora che sei pronto, posso finalmente assegnarti la tua prima missione ufficiale» disse Orion, posando una mano sulla spalla del giovane allievo. “Ci siamo, questi sono i primi passi che percorro verso di te, fratello” pensò Kyo, stringendo i pugni. «Sono pronto, maestro.» «Benissimo. Ora ascoltami attentamente. Non è stato facile convincere gli altri capitani di questa mia scelta. Mandarti fuori con una squadra non è certamente una buona idea, ma tenerti rinchiuso qui per tutto il tempo non serve a nulla. Hai bisogno di sviluppare ancora i tuoi poteri, e per farlo dovrai fare pratica nel mondo reale. Tuttavia, non dovrai assolutamente cadere nelle mani dell’Esercito Nero, o saranno serissimi guai per tutti noi ribelli. Pertanto, viaggerai in incognito, come un normale turista. Ti sposterai in treno o con mezzi pubblici, mescolandoti fra la gente comune. Sono passati quattro anni da quando abbiamo combattuto a Hope Town, sei cambiato molto, sia nell’aspetto sia nello spirito. Quindi sarà difficile che qualche soldato semplice o qualche altro membro della fanteria nemica possa riconoscerti e fare rapporto ai loro superiori. Raggiungerai una città chiamata Trashville, e una volta giunto lì ti riunirai alla nostra squadra di ricerche. Ti farà sicuramente piacere sapere che ritroverai anche i tuoi amici Jim, Sen e Dot.» A sentire quei nomi, gli occhi di Kyo si riempirono di gioia. Era da quando avevano fatto ritorno da Winter Pike che il giovane guerriero voleva chiedere dei suoi amici. «Vedrà che non la deluderò!» esclamò sorridendo. «Ne sono sicuro, mio giovane allievo» disse Sergej, prima di posare il suo sguardo su Beta, come sempre al fianco del suo padroncino «ovviamente il tuo amichetto metallico viaggerà nascosto, o attirerà troppa curiosità su di sé e automaticamente su di te.»
15 «Bzz, Bzz. Bau!» gracchiò il cagnolino. «Suvvia, Beta. So benissimo che detesti restare rinchiuso in una sacca, ma è l’unico modo che hai per venire con me» Kyo si piegò sull’animaletto, accarezzandogli la testolina robotica. Poi, rivolgendosi nuovamente al suo Capitano, continuò: «Sono pronto a partire, maestro, ma come troverò i miei compagni, una volta giunto a Trashville?» «Di questo non devi preoccuparti. Quando il treno si fermerà nella stazione, non dovrai far altro che raggiungere il centro città. Saranno loro a trovare te.» L’eco della voce di Orion si disperse nella mente di Kyoto, che era tornato al presente. Fece alcuni passi in avanti, cercando di scorgere qualche viso familiare, ma non vedeva altro che una calca di persone che si muoveva freneticamente. Più avanzava e più veniva inghiottito da mercanti, mendicanti e genti di ogni tipo. Quando fu, più o meno, al centro dell’immenso mercato di Trashville, udì delle grida provenire da una delle bancarelle a qualche metro da lui: «A ladro, a ladro!» gridava a squarciagola un venditore di frutta «quel ragazzino mi ha derubato!» Kyo non ebbe il tempo di capire che cosa stesse succedendo che fu investito in pieno da un ragazzino di circa dodici anni. I due caddero a terra e rimasero intontiti per qualche secondo. “Che botta!”, pensò il giovane guerriero, massaggiandosi il fondoschiena. Anche il ragazzino sembrava aver accusato il colpo, ma si rialzò per primo e riprese la sua corsa. «Scusami!» esclamò il magro e agile giovincello, che dribblò una coppia di mercanti e si confuse tra la folla. Kyo fece appena in tempo a rialzarsi e a scansare due grossi energumeni, che partirono all’inseguimento del piccolo ladro. «Accipicchia, che razza di posto è questo?» disse sottovoce «spero che Beta stia bene lì dietro» disse subito dopo, toccandosi numerose volte la schiena, lì dove prima vi era la sacca col metallico. «Ma che diamine… oh, no!» Quando il biondo guerriero si rese conto che la bisaccia era sparita, capì tutto. Il ladruncolo, nella caduta, gli aveva sottratto il bagaglio da sotto il naso con molta maestria!
16 «Maledizione, Beta ha le funzioni motorie e l’audio disabilitati. Devo raggiungerlo subito!» esclamò, cominciando il suo inseguimento. Il furbo ragazzino era ormai sparito, ma Kyo sapeva che seguendo i due grossi tizi che lo avevano anticipato, avrebbe avuto qualche speranza di ritrovare la refurtiva. Fu una lunga corsa fra stradine sporche e buie, cunicoli e catapecchie dissestate, ma alla fine i due uomini riuscirono a bloccare il piccolo ladro, chiudendolo in un vicolo cieco. «Ancora tu!» sbottò l’uomo dalla lunga barba nera e dalla pancia pronunciata «questa volta ti faremo passare la voglia di rubare la nostra merce!» Kyoto si fermò poco prima, rimanendo a osservare. Capì subito che quegli uomini altri non erano che i mercanti che erano stati derubati. «Non osare toccarmi, stupido ciccione!» fece il ragazzino, con aria di sfida. Fra le mani aveva una mela rossa e sulla schiena spuntava la bisaccia con all’interno l’ignaro Beta. «Osi sfidarci, brutto ladruncolo? Bill, diamogli una bella lezione!» disse il secondo mercante, più magro rispetto al primo e completamente senza capelli. Bill partì alla carica, cercando di acciuffare con le sue grandi manone il ragazzino che, come un’anguilla, gli sgusciò via passandogli sotto le arcuate e grasse gambe. “Be’, ci sa fare il marmocchio” pensò Kyo, lasciandosi scappare un sorriso. «Che diamine fai, grassone?» sbottò il mercante magro «ti lasci prendere in giro da un moccioso? Guarda come si fa!» esclamò, sfilandosi la cintura dalle braghe e brandendola come una frusta. L’impatto della cintola sulla pelle olivastra della schiena del giovanissimo ladro echeggiò nel vicolo. Il dolore fu bruciante e al piccolo taccheggiatore non rimase altro che accasciarsi a terra fra la fanghiglia. «Visto, Bill? È così che si fa con questa feccia. Ora recupera la tua mela e andiamo via.» «Senza fretta, amico. Questo qui mi ha fatto fare la figura del fesso. Ora gli romperò qualche ossicino, in modo che la prossima volta ci penserà su due volte prima di allungare le sue sporche mani sulla nostra merce» il grasso mercante brandì il mattarello che usava per distendere la pasta per il pane.
17 Il piccolo ladro iniziò a piangere, conscio che a breve avrebbe assaggiato l’ira di Bill. L’uomo levò il suo flaccido braccio ed era pronto a percuotere il corpicino esile del fanciullo, quando una voce lo fermò. «Ora basta! Non vi permetterò di fare ancora del male a questo ragazzino!» esclamò Kyo, mostrandosi a loro con sguardo severo. «Tu chi diavolo sei? Un suo compare?» chiese il mercante più magro. «Non conosco questo ragazzino, ma avete già fatto abbastanza. Levare mano su una creatura affamata, che cercava solamente qualcosa da mettere sotto ai denti, è un’azione ignobile» spiegò loro, il giovane guerriero. «Ar! Ar! Ar!» la grassa risata di Bill si levò alta «ma sentilo questo sbarbatello. Ti conviene tornare da dove sei venuto e farti gli affari tuoi. Non te l’ha detto la mamma che in queste città i ficcanaso non hanno vita lunga?» Kyo fece un ulteriore passo avanti, studiando con lo sguardo ogni minimo particolare, ogni singolo movimento dei suoi avversari, perfino la distanza che vi era fra lui e il piccolo ladro, ancora accovacciato a terra. «Osi ancora sfidarci?» chiese con tono minaccioso il venditore magro «ti abbiamo dato l’opportunità di andare via, ma a quanto vedo devi avere poco sale in zucca. Bill, cambio di programma. Mi occuperò io del ladruncolo, tu dai una bella lezione al nostro amico biondino!» «Ar! Ar! Ar! Con molto piacere!» esclamò il grasso mercante, battendosi il mattarello tra le mani. La situazione stava degenerando velocemente. In pochi istanti la cintola del venditore calvo si levò nuovamente sul piccolo taccheggiatore, mentre Bill era pronto a percuotere Kyo con tutta la sua forza. Tuttavia, il giovane guerriero sembrava non risentire assolutamente di quella tensione che si era creata, anzi, rimaneva calmo e impassibile. Svuotando la mente da qualsiasi pensiero, fece un gran respiro e i suoi polmoni si riempirono d’aria. Gli occhi si chiusero leggermente e i muscoli si rilassarono. Poi le palpebre si aprirono un’ultima volta e le pupille si dilatarono, mettendo a fuoco ogni cosa e allargando, così, il campo visivo. Le immagini di quei momenti sembravano scorrere a rallentatore. Il matterello di Bill si levò alto per poi scendere in picchiata verso la fronte di Kyo, pronto a offendere e a tramortire. Una goccia di freddo sudore solcò sulla fronte del guerriero che aspettava solo il momento propizio,
18 quello che aveva calcolato prima che il grasso e feroce mercante si muovesse verso di lui. Il suo scatto fu impercettibile e silenzioso, come la carezza del vento su una guancia. In meno di un secondo Kyo evitò il colpo infertogli dal goffo mercante, e riuscì a portare via il piccolo ladro dal raggio d’azione della cintura dell’assalitore, prima che colpisse la sua schiena. Quando il ladro di mele riaprì gli occhi, si ritrovò sgomento, salvo e incolume, fra le forti braccia di Kyo. I due mercanti restarono increduli per quello che avevano appena visto e ora si ritrovarono a posizioni inverse rispetto a qualche istante prima. Erano loro due a essere spalle al muro nel vicolo cieco. «Che… che è successo? Come hai fatto a…» cercò di dire il ragazzino. «Ascoltami» fece Kyoto «come ti chiami?» «Kibo» rispose ancora scosso «il mio nome è Kibo.» «Bene, Kibo. Ora ascoltami bene» riprese Kyo, rimettendo a terra il piccolo ladro «va’ subito a metterti al riparo, corri più veloce che puoi. A questi due ci penso io.» «Ma tu…» tentò di dire il piccolo ladro, prima di essere interrotto bruscamente dal suo salvatore. «Non c’è tempo da perdere! Scappa!» tuonò Kyo. Questa volta Kibo eseguì l’ordine che gli era stato dato. A gambe levate si lasciò l’angusto vicolo alle spalle, veloce e agile come una lepre. «Dove credi di andare, marmocchio?» urlò il mercante più magro, sensibilmente infastidito da ciò che stava succedendo «credi che ti lasciamo andare così?» «Sono spiacente, signori, ma non credo che oggi recupererete la vostra refurtiva. Se volete, pagherò io la mela che vi hanno sottratto» disse Kyo, prelevando una moneta dalla tasca. «Ar! Ar! Ar! Credi che ci accontenteremo del tuo denaro? Io voglio giustizia!» sbraitò Bill, grondando sudore un po’ ovunque. «Maledetto moccioso dai capelli biondi, se speri di cavartela in questo modo, ti sbagli di grosso» disse l’esile e malvagio venditore «non so che trucco da circo tu abbia usato un attimo fa, ma stai pur certo che te ne andrai da qui con le ossa delle gambe rotte. E dopo che avremo finito con te, ritroveremo quel marmocchio e gli daremo una bella lezione.» «Be’, io sono qui, che cosa state aspettando?» li sfidò Kyo. «Ar! Ar! Ar! Hai fretta di morire! Ti accontento subito!» esclamò Bill, lanciandosi contro il ragazzo che lo aveva provocato.
19 Il grosso mercante si muoveva goffamente, sventolando come un forsennato il matterello che brandiva come arma. Per Kyo, ovviamente, fu estremamente facile e naturale evitare tutti i suoi colpi, quasi come se stessero tutti giocando. «Stupido pachiderma!» tuonò il mercante magro «non vedi che così non lo colpisci. Sei troppo lento. Lascia fare e me!» Anche il secondo nemico si lanciò nella mischia, roteando velocemente la cintura e lanciando frustate alla rinfusa. Tuttavia, nonostante gli attacchi di quest’ultimo fossero molto più rapidi del suo collega, per il giovane guerriero fu altrettanto semplice evitarli con movimenti precisi e sinuosi. «Che tu sia dannato!» fece l’esile venditore con affanno «chi diavolo sei?» “Sto attirando troppa attenzione” pensò Kyo “ormai quel ragazzino dovrebbe essere in salvo. È giunto il momento che mi faccia battere da questi due o potrebbero insospettirsi troppo e mettere in pericolo la mia copertura”. «Tutto qui quello che sapete fare?» chiese allora, con tono di sfida «pensavo che due tipi come voi sarebbero riusciti almeno a darmi un pugno, ma a quanto pare la fama di voi mercanti era sopravvalutata.» «Io ti uccido. Prendi questo!» esclamò il mercante, più furioso che mai, mirando al viso di Kyo con un potente e ben assestato gancio. Le nocche della mano di Bill affondarono per la prima volta nella guancia del suo avversario che, appositamente, decise di non schivare l’attacco. “Maledizione!” pensò il giovane guerriero “sono talmente deboli che non riescono nemmeno a farmi il solletico. Non mi resta altro che recitare”. L’ansimante Bill restò per un paio di secondi bloccato, col suo pugno destro ancora stampato sul volto dell’avversario. Stava cominciando veramente a dubitare dell’identità di quel giovanotto impertinente che li aveva sfidati e scherniti, quando Kyo puntò i talloni nella ghiaia, lanciandosi verso il retro. Planando a mezz’aria, il giovane si schiantò nel muro di una casa abbandonata alle sue spalle, come se la potenza del gancio destro del mercante fosse esplosa con ritardo. L’urto contro la parete fu così forte che questa si frantumò e franò su Kyo, seppellendolo. Il grosso mercante e il suo malvagio compare non credevano ai loro occhi. La recita di Kyo fu un successo e i due venditori credettero davvero di aver sistemato definitivamente il loro avversario.
20 «Ar! Ar! Ar! Hai visto che potenza, brutto ficcanaso?» cominciò a sbraitare Bill «ora non farai mai più il gradasso!» «Mi prenda un colpo! Non sapevo che avessi questa forza pazzesca» esclamò il venditore magro «potresti provare a entrare nelle giubbe nere! Faresti di sicuro carriera.» «Ar! Ar! Ar! Non dire baggianate! Io sono di sicuro molto più forte di quei cretini vestiti a lutto» specificò l’uomo, pavoneggiandosi. «Ora torna con i piedi per terra, brutto mangione» gli suggerì l’esile compare «togliamoci dai piedi o i militari di ronda faranno pagare a noi questo disastro!» Fu così che i due energumeni lasciarono l’oscuro vicolo, esaltati dalle loro gesta. Proprio in quel momento, Kibo fece capolino dalle macerie, assicurandosi che i due mercanti non tornassero sui loro passi. Iniziò così a scavare energicamente fra la polvere e i detriti, in cerca di Kyo. I frammenti dei mattoni rossi gli graffiavano le mani, che gli dolevano sempre più. Dopo qualche istante, le macerie iniziarono a vibrare, come se fosse in atto un terremoto. Kibo rimase per un attimo immobile, prima di guardare le pietre sotto di sé polverizzarsi come per magia. “Che succede?” si chiese il ragazzino, ma la risposta non tardò ad arrivare. Qualche secondo dopo Kyo sbucò dalla polvere, senza nemmeno un graffio. «Libero!» esclamò il guerriero.
21
CAPITOLO 2
A sud della città di Trashville, un piccolo furgone malandato si fermò davanti a una saracinesca arrugginita, ricoperta da graffiti colorati rappresentanti, forse, le sigle di bande di teppistelli. Il motore del veicolo si spense, e dalla marmitta fuoriuscì una cortina di fumo denso e nero. Un uomo scese dal lato del guidatore. Si trattava di un tizio dalla robusta corporatura che indossava un giubbotto di pelle e dei jeans stretti con degli stivaletti scuri. Aveva capelli neri molto corti e un accenno di barba. Inforcava, nonostante il crepuscolo che incombeva, un paio di lenti da sole a goccia, che gli dava ancor di più un’aria da duro. Con una mano scavò nella tasca posteriore dei jeans, da dove estrasse un pacchetto malridotto di sigarette. Con un rapido movimento, l’uomo ne prese una con le labbra e la accese con un vecchio accendino a petrolio. Poi si avvicinò alla saracinesca e diede dei colpi decisi con il palmo della mano destra sulla sua superficie. La serranda si aprì a metà subito dopo, lasciando intravedere due alti e muscolosi uomini, armati fino ai denti. Avevano entrambi numerosi tatuaggi e tutti e due indossavano lenti scure. «Sei di nuovo in ritardo» disse uno di loro, con tono severo. «Calma, bestione, non ti arrabbiare. Il confine fra il nostro distretto e quello dei Mutaforma era ghermito di giubbe nere. Non è stato facile aggirarli» spiegò l’uomo in giubbotto di pelle, sbuffando via il fumo grigio dalla bocca. «Molto bene. Porta dentro il carico, il capo sta aspettando.» Il furgone entrò con fatica in quella specie di garage, sparendo dalle strade sempre meno affollate, e subito dopo la saracinesca si chiuse alle sue spalle. Il nascondiglio era lugubre e sporco e doveva essere a tutti gli effetti una vecchia officina abbandonata. Qua e là vi erano sparsi vecchi rottami di automobili e attrezzi ormai ridotti ad ammassi di ruggine inutilizzabili. L’uomo con il giubbotto aprì il vano portabagagli del furgone e cominciò a scaricare vari borsoni molto pesanti. Una volta depositata a terra tutta la merce, disse ai due gorilla:
22 «È tutto ragazzi. Nelle sacche troverete le armi richieste e la droga. Per quanto riguarda il mio, come dire… pagamento?» «Il capo ti attende nel suo ufficio. Ora levati dai piedi!» disse uno dei due energumeni tatuati, cominciando a spostare i borsoni col prezioso carico illegale. L’uomo in giubbotto attraversò una piccola porticina sul fondo della vecchia officina e si trovò al cospetto di colui che doveva essere il capo di quei loschi individui. Questi non era ben visibile, vista la penombra in cui la piccola stanza era immersa, ma doveva trattarsi di una persona molto grossa e dai lunghi capelli neri. Una lampada da scrivania illuminava, con la sua luce soffusa, solo le sue mani, altrettanto grosse. Ogni dito era ornato da uno spesso anello argentato, con varie pietre colorate incastonate sulla parte piatta superiore. «Oh! Sei tu. Attendevo con ansia la tua consegna» esordì la persona seduta dietro la scrivania, con voce calma e rilassata e dallo strano accento. «Salve capo» disse l’uomo col giubbotto che, tutto a un tratto, pareva aver perso la sua tranquillità e la sua sicurezza «come ho spiegato ai ragazzi di là, ho rischiato non poco per portare la merce fin qui. I confini fra i vari distretti sono sempre più sorvegliati dai soldati dell’Esercito Nero per via dei ribelli. Non so se la prossima volta riuscirò a passare indisturbato.» «Di questo noi devi preoccuparti» disse il misterioso uomo «ora dimmi, perché hai chiesto di vedermi la scorsa volta?» «Chiedo venia, capo. So benissimo che lei detesta essere disturbato, ma sono tre volte che consegno la merce senza essere retribuito» spiegò il sempre più agitato uomo in giubbotto, deglutendo nervosamente. Il capo si alzò dalla sua poltrona, facendo arretrare di qualche passo il corriere. Si passò una mano sul mento liscio e marcato, strofinandolo diverse volte, poi disse: «Sai la cosa che più detesto qual è? Non sono i ritardatari o chi mi disturba mentre lavoro. Sono quelli che vogliono fregarmi.» «Cosa sta dicendo capo? Io non mi sognerei mai di farle un torto!» «Questo lo so, mio insignificante amico. Tu e i tuoi soci in affari non siete altro che insulsi insetti senza spina dorsale. Tuttavia, quando un capo sbaglia è sempre il suo sottoposto a pagarne le conseguenze e si dà il caso che il nostro amato fornitore di armi, nonché tuo superiore, non stia rispettando gli accordi stabiliti col mio Boss.»
23 «S… signore, io non ho idea di quello che sta dicendo, sono solo un umile portantino. Non mi dicono mai i dettagli degli ordini. Loro mi chiamano, caricano tutto sul furgone e io consegno. Nessuna domanda, nessun problema. Questo è il motto di noi sottoposti.» Il capo della losca banda si alzò dalla sua poltrona e lentamente passò davanti alla scrivania. Il vecchio lume, finalmente, lo illuminò meglio, così che l’uomo in giubbotto di pelle lo potesse osservare chiaramente. Il capo era ancora più alto di quello che dimostrava e ancora più grosso. Indossava dei jeans molto stretti che mettevano ancor di più in evidenza la possente muscolatura degli arti inferiori e degli stivali di cuoio marrone di ottima fattura. A reggere i pantaloni vi era una robusta cintola di pelle usurata dal tempo che, al posto del comune ardiglione, montava una placca metallica ovale con strane incisioni sulla sua superficie. Al di sopra della cintura vi era solo una canotta bianca a coprire l’enorme e muscoloso pettorale. Anche le braccia erano molto grandi, ma ciò che spiccavano di più erano i gonfi bicipiti ornati da tatuaggi tribali. L’uomo in giubbotto nero intuì, dal colore olivastro della pelle, che il capo della banda doveva avere origini indigene o simili. Quello che era certo e che quella persona gli metteva paura, un timore tale da bloccarlo. «Mio sfortunato amico, purtroppo anch’io ho un superiore e si dà il caso che a lui non piaccia affatto il fallimento. Dunque, devi convenire con me, che non posso procurargli rogne, dico bene?» domandò il forzuto uomo. «S… sì, credo di sì» rispose, tremando, il corriere. «Molto bene. Allora di’ al tuo superiore di non giocare con noi, altrimenti potrebbe farsi male. Ora va’, i miei sottoposti ti pagheranno e potrai tornare da dove sei venuto.» «Agli ordini!» il corriere tirò un sospiro di sollievo. Questi non perse altro tempo e si voltò per uscire. Una riga di freddo sudore gli solcò il viso. Finalmente poteva lasciare quella stanza e tenersi a debita distanza da quell’uomo gigantesco. “Mi farò sostituire” pensò, mentre si avvicinava alla porta “anzi, mi ritirerò una volta per tutte da questa vita”. Quando il corriere posò la mano sul pomello della porticina dell’ufficio, qualcosa lo paralizzò. Non era una presenza fisica e fermare i suoi passi, ma una sorta di fredda sensazione di terrore profondo. Sentiva come un’ombra oscura incombere su di sé e, in preda a un forte panico mai provato nella sua breve vita, cercò di voltarsi.
24 Fu in quel preciso istante che una lama gli squarciò di netto il giubbotto di pelle e la carne, tramortendolo in un istante. Il corriere cadde in terra esanime, immerso nel suo stesso sangue. L’ultima cosa che i suoi occhi videro, prima di chiudersi per sempre, fu la scintillante ascia che lo aveva strappata a quel mondo. Il capo della banda di criminali si passò una mano fra i capelli, sistemando i vari ciuffi dietro le orecchie. Le arterie che passavano nelle tempie pompavano ancora il sangue ed erano ben evidenti sotto lo strato sottile di pelle. I suoi occhi erano carichi di furia omicida e parevano brillare nella penombra del piccolo ufficio. Poi, facendo un respiro profondo, l’uomo si calmò e l’ascia che aveva tolto la vita al povero malcapitato corriere cominciò a rimpicciolirsi sempre di più, fino a diventare la mano stessa dell’aggressore. Le dita erano grondanti di sangue fresco e il capo dovette tirar fuori, con la mano pulita, un fazzoletto di stoffa che aveva nella tasca dei jeans, per asciugarsi. Proprio in quel momento, uno degli scagnozzi dell’officina si affacciò sull’uscio della porticina della piccola stanza. Calmo e impassibile, anche davanti a un corpo senza vita che giaceva a qualche passo da lui, il sottoposto entrò a proferire col suo superiore: «Il carico è sistemato, capo. C’è altro che possiamo fare per lei?» «Ripulite questo posto e mandate il cadavere al nostro socio in affari al distretto dei Metallici. Vediamo se con questo messaggio capirà finalmente con chi ha a che fare!» esclamò il grosso capo, il quale, prima di andare per la sua strada, continuò: «io devo assentarmi per qualche ora. Il Boss vuole vedermi con urgenza. Lascio tutto nelle vostre mani.» Lo sgherro obbedì, iniziando a trascinare via il corriere senza vita. *** Più a nord, il piccolo Kibo, ancora esterrefatto, cercava di capire come quel misterioso ragazzo fosse riuscito a sopravvivere al crollo delle mura dell’edificio abbandonato, senza riportare nemmeno un graffio. «Tu chi sei?» chiese spontaneamente il piccolo ladro. «Ehi! Cosa ci fai ancora qui? Non avevo detto di andare via? Quei due mercanti potrebbero tornare.» I due decisero di allontanarsi insieme, in modo tale da proseguire la loro conversazione senza rischiare di essere intercettati dai mercanti. «Insomma, me lo vuoi dire chi sei veramente? Mi prendi forse per un bimbo sprovveduto?» continuava il piccolo Kibo.
25 “Tu guarda questo ragazzino curioso e impertinente…” pensò Kyo, abbozzando un sorriso. «Sei stato incosciente. Tornando sui tuoi passi potevi incappare nuovamente in quei tizi.» «Non potevo abbandonarti sotto quelle macerie! Sarei stato un vigliacco, e poi dovevo riconsegnarti questo…» «La mia sacca!» esclamò il guerriero afferrando le cinghie del suo bagaglio «dimmi una cosa, hai forse visto cosa c’è all’interno?» «Assolutamente no! Non ne ho avuto il tempo. Ora che mi ci fai pensare, quella borsa era davvero pesante, nonostante la sua grandezza ridotta. Mi dici cosa trasporti di così importante? Sono forse pietre preziose?» “Sono proprio un imbranato, così non faccio altro che aumentare la sua curiosità”. «Nulla di prezioso, dentro ci sono dei vecchi libri e degli appunti. Sono uno studioso di storia antica e sono qui per visitare questa vecchia città e scoprire di più su di essa» fece Kyo, cercando di convincere perfino se stesso. «Ti ho già detto che non sono uno sprovveduto! Trashville non ha proprio nulla di cui valga la pena studiare, e in questo posto non arriva mai nessuno che non sia uno schiavo, un contrabbandiere o un gangster. Se vuoi che mi faccia gli affari miei basta dirmelo!» spiegò il furbo Kibo, grattandosi la punta del naso. “Uff! Le frottole non sono il mio forte. Anche un bambino si accorge che mento!”. I due passeggiarono per un po’, addentrandosi in un agglomerato urbano fatto di vecchi edifici malandati e baracche. Kyo si era offerto di accompagnare a casa il suo nuovo amico, per assicurarsi che il ragazzino tornasse sano e salvo. I due camminarono ancora qualche minuto prima di fermarsi davanti a una struttura di mattoni rossi. Doveva trattarsi di una vecchia fabbrica, visto le dimensioni dello stabile. «Tu vivi qui?» gli chiese Kyo meravigliato, osservando lo stato precario in cui era l’edificio. «Proprio così! Non è il massimo, ma considerando che molte persone non hanno nemmeno una tenda dove potersi riparare, mi ritengo molto fortunato» rispose Kibo. “Questa è gente che soffre! Devo stare più attento a ciò che dico”. «Cosa aspetti? Entra pure con me. Non vedo l’ora di presentarti mio fratello Shino e mia sorella Kokoro, e tutti gli altri membri della “banda dei rifugiati”»
26 «Banda dei rifugiati?» chiese perplesso Kyo. «Sì, lottiamo tutti insieme per dare e Trashville un futuro migliore… o almeno ci proviamo.» “Sono proprio come noi ribelli”. «Mi piacerebbe tantissimo fare la vostra conoscenza, ma devo tornare al mercato per incontrare delle persone» spiegò Kyo. «Cosa? Sei forse impazzito?» urlò improvvisamente Kibo «non puoi tornare lì a quest’ora. Tutti sanno che dopo il tramonto è proibito girare per la città, per via del coprifuoco!» «Coprifuoco?» domandò Kyo. «Esatto! Devi sapere che dopo il tramonto e fino all’alba, per ogni cittadino di Trashville vige il divieto assoluto di girovagare per le strade» spiegò il ragazzino. «Per quale assurda ragione?» chiese Kyo, perplesso. «Semplice, la prima cosa che ti insegnano, quando hai la sventura di rimanere bloccato in questa terra, è che la notte è dei gangster! Non so come funzioni di preciso, perché mia sorella Kokoro non me ne ha mai voluto parlare. So soltanto che chiunque abbia osato sfidare il coprifuoco e si è fatto scoprire, non è mai più ritornato. All’imbrunire, tutti noi rifugiati corriamo dritti ai nostri nascondigli. Qualche volta, nei nostri letti, sentiamo spari e urla strazianti provenire dalle strade… ora capisci perché non puoi assolutamente tornare al mercato?» “Maledizione! Ora come faccio a uscire da questa situazione? Mi toccherà accettare l’invito di Kibo. Magari quando tutti dormiranno potrei sgattaiolare via e usare Beta per trovare gli altri, ma devo stare molto attento!”. «Si può sapere a che cosa stai pensando? Dai, entriamo! Di sicuro Kokoro sarà in pensiero per me, vista l’ora» fece il vivace ragazzino, tirando il suo nuovo amico per i pantaloni. «Ok, ok, mi hai convinto! Dopotutto, un po’ di riposo mi farà bene.» Definire quel posto “casa” era un eufemismo, visto lo stato a dir poco pericolante in cui si presentava la struttura. Non vi era energia elettrica a illuminare l’ambiente, tant’è che il piccolo rifugiato dovette far uso di una piccola torcia a batterie che portava sempre con sé. Travi di legno spuntavano qua e là a puntellare varie pareti dell’edificio, per evitare che crollassero sotto il loro stesso peso. In molti punti vi erano buchi nel solaio, che mostravano altre stanze buie e malandate ai piani superiori. Detriti, polvere e stracci ricoprivano il pavimento o quel
27 che ne rimaneva. L’aria era pesante e umida e l’odore ricordava quello di una vecchia cantina. “Basterebbe uno starnuto un po’ più forte, a far venire tutto giù” pensò Kyo, osservando l’ambiente. Sotto la guida di Kibo, i due si districarono per l’edificio fino ad arrivare a un lungo corridoio. Alla fine di questi vi era una porta metallica, con una piccola feritoia chiusa nella parte alta. Kibo si avvicinò e diede due colpi decisi su di essa, e subito dopo si annunciò: «Ragazzi, aprite. Sono io.» La feritoia si aprì per un istante e poi si richiuse velocemente. Dopo alcuni secondi, la porta si aprì e Kyo poté vedere all’interno. Era una grande stanza illuminata da candele che ospitava decine di persone. Anche l’odore era cambiato e ora sembrava più simile a una casa accogliente con quel profumo di cibo che s’irradiava dal fondo. «Coraggio Kyo, entra pure e benvenuto a casa mia» lo invitò il giovane rifugiato, varcando la soglia. Non appena entrati, Kyo vide una bellissima ragazza correre verso l’ingresso con il volto angosciato. La giovane donna indossava un vestito colorato di stoffa leggera, che terminava con una gonna appena sotto le ginocchia. Una piccola cintola marrone le stringeva la veste sui fianchi, evidenziando ancor di più la sua silhouette dolce e aggraziata. Aveva lisci capelli neri che arrivavano fino alle piccole spalle, e occhi corvini. La pelle era bianca e candida come la luna. A occhio e croce, pensò Kyo, doveva avere la sua età. «Kibo vuoi forse farmi morire di crepacuore? Dove sei stato? Lo sai che ore sono?» chiese ansiosamente la ragazza. «Sorellona Kokoro, ti chiedo scusa ma sono successe tante cose e…» fece il ragazzino, prima di essere interrotto dall’arrivo di alcuni giovani armati. «Non un solo passo, capelli d’oro, o ti riduciamo a un colabrodo!» esclamò uno dei rifugiati accorsi, puntando verso lo sconosciuto una vecchia pistola a tamburo dalla lunga canna. “Cavolo che accoglienza!” pensò Kyo. «Calma, non sono un vostro nemico» il ragazzo alzò immediatamente le mani. «Infatti» intervenne Kibo «vi stavo appunto per presentare…» ma fu nuovamente interrotto dall’intervento della bella ragazza. «Ragazzi, per l’amor del cielo, mettete giù quelle diavolerie! Ci sono i bambini che vi guardano. Di sicuro Kibo avrà avuto i suoi motivi per
28 portare un estraneo nel nostro covo» Kokoro si frappose fra i rifugiati armati e Kyo. «Kokoro ha perfettamente ragione» disse un altro rifugiato appena sopraggiunto dal retro «rinfoderate immediatamente le armi, qui ci penso io.» Si trattava di un ragazzo non molto alto e di bell’aspetto. Aveva una folta capigliatura spettinata, un accenno di barba e due occhi color nocciola molto intensi. Era vestito con vari capi militari e sopra la giacca mimetica portava uno smanicato di jeans usurato, con frange penzolanti sparse un po’ ovunque. Aveva un’aria calma e rilassata e il suo sorriso placò subito gli animi degli altri rifugiati, i quali obbedirono e abbassarono le pistole. Kibo sfrecciò in avanti, superando Kokoro, e si lanciò fra le braccia del giovane appena arrivato. «Fratellone! Ci sei anche tu! Che gioia vederti! Non arrabbiarti se ho portato qui un estraneo. Lui è Kyo e mi ha salvato dalla furia di due mercanti» spiegò subito il ragazzino. «Sei stato molto coraggioso» disse il giovane rifugiato, portandosi verso il guerriero «ti ringrazio a nome di tutti e ti do il benvenuto nel nostro covo. Il mio nome è Shino» fece infine, tendendogli una mano. Kyoto ricambiò il gesto del rifugiato e non appena sfiorò il suo arto, percepì subito un’intensa forza spirituale latente. “Costui ha un’anima fortissima, deve essere sicuramente un Soul Master di alto livello. Devo essere cauto”. «Molto piacere, il mio nome è Kyoto. Tu devi essere il formidabile fratello maggiore di cui Kibo mi ha parlato.» «In realtà non sono suo fratello naturale, ma a questa peste piace chiamarmi così. Comunque, formidabile è una parola molto grossa» disse Shino sorridendo «faccio quel che posso per aiutare la nostra piccola comunità, tutto qui. Tu, piuttosto, cosa ci fai da queste parti? Non ti ho mai visto in città.» “Cosa mi invento adesso…” pensò Kyoto, che fu salvato in extremis da Kibo. «Fratellone, lui è uno studioso o, almeno, è quello che mi ha raccontato, ma io non ci casco» il bambino sorrise furbo. «Uno studioso?» chiese Shino, inarcando un sopracciglio. «Sei un briccone, Kibo!» esclamò Kokoro, tirando per un orecchio il piccolo rifugiato «chissà quanti guai hai fatto passare a questo povero
29 ragazzo. Ti prego di accettare le nostre scuse. La cena è quasi pronta e ci terrei che ti unissi a noi.» «Ahi! Sorellona smettila subito, così mi fai male!» urlò Kibo. Proprio in quell’istante, lo stomaco di Kyo brontolò rumorosamente e così, seppur in ansia per la sua missione, accettò l’invito della bella ragazza. Cenarono in una grande stanza vuota, seduti su scatole, casse o a terra. I rifugiati non avevano nemmeno una tavola su cui disporre le vettovaglie. Mangiarono dei fagioli quella sera, e ognuno divideva un tozzo di pane con chi gli sedeva accanto. A Kyo venne subito in mente il periodo in cui incontrò il suo venerato maestro Anzai, e a come insieme cercavano di sopravvivere con quello che riuscivano a racimolare ogni giorno. Fu così che un’ombra di sconforto gli scosse l’animo, e le domande che lo attanagliavano una volta riemersero per un breve istante. Che fine aveva fatto il suo maestro? Perché lo aveva abbandonato? Quesiti che si persero nella mente ancora una volta, ascoltando le risate e le goliardate di quel manipolo di persone che lo avevano accolto e che avevano sottratto dalla loro razione giornaliera un piatto caldo per lui. Si fece tardi e Kyo fu condotto da Kokoro e da Kibo nel suo alloggio per la notte. Era poco più che un piccolo stanzino illuminato da una candela, con vecchi stracci ammassati a fare da giaciglio. L’angusta stanza non aveva né una porta né una finestra, ma uno squarcio nel soffitto permetteva la vista di uno spettacolare cielo stellato. «Purtroppo non abbiamo coperte da offrirti, ti chiediamo scusa» fece Kokoro sull’uscio della piccola camera. «Oh, non preoccuparti. Non ho freddo e se pure ne avessi ho il mio impermeabile. Comunque vi ringrazio davvero tanto per l’ospitalità» disse Kyo. «No, siamo noi a doverti ringraziare! Kibo mi ha raccontato quello che è successo e dello scontro contro i due mercanti. Non è da tutti compiere gesti tanto nobili» spiegò la ragazza. «Non dire così, chiunque avrebbe agito allo stesso modo vedendo un bambino in difficoltà» disse Kyo. «È qui che ti sbagli» continuò la ragazza «a Trashville non c’è spazio per la pietà, specialmente per i ladri come noi. Ti prego solo di non giudicarci male.» «Affatto!» esclamò Kyo, stringendo i pugni «io penso che rubare un pezzo di pane o una mela al fine di sfamarsi, non sia un peccato! Anzi, io
30 giudico coloro che hanno ridotto la città in questo stato, non aiutando chi ha più bisogno.» «Visto, sorellona, che ti dicevo? Kyo è uno in gamba! La pensa proprio come noi rifugiati, per questo dovrebbe rimanere insieme a noi per sempre» fece Kibo. «Ecco, vedi… io non potrei…» farfugliò il guerriero, in evidente difficoltà, prima di essere salvato da Kokoro. «Credo che il tuo nuovo idolo sia stanco ora. Non mettergli altra pressione addosso e lasciamolo riposare, il sonno porterà consigli.» «Sorellona, ma io…» continuò l’insistente ragazzino. «Niente ma! È molto tardi e domani abbiamo tanto da fare. Buonanotte Kyo, riposa bene» fece la bella rifugiata, trascinando via il suo fratellino sbracciante. «Buonanotte» rispose Kyo, restando finalmente solo. Passarono un paio d’ore e il silenzio scese nel covo dei rifugiati. Kyo era disteso sul suo giaciglio fatto di vecchi stracci, ascoltando il rumore delle cicale che proveniva dall’esterno e crogiolandosi nei pensieri. “Cavolo, Beta sarà furioso quando lo sbloccherò. È da quando siamo partiti per Trashville che l’ho bloccato. Mi costerà parecchie batterie farmi perdonare! Poco male, fra poco sarà libero di scorrazzare un po’. Credo che sia giunto il momento di abbandonare questo posto e ricongiungermi ai miei compagni, anche se un po’ mi dispiace lasciare questa brava gente. Magari potrei chiedere all’Esercito dei Ribelli, in futuro, di aiutarli o, meglio ancora, potrei chiedere al capitano Orion il permesso di far unire questa gente al nostro gruppo. Per il momento, però, pensiamo a sgattaiolare via da qui, prima che si svegli qualcuno”. Kyo indossò nuovamente il suo impermeabile e assicurò bene a sé la sacca contenente l’amico metallico. Proprio quando stava per balzare verso una delle estremità dello squarcio nel soffitto, qualcosa lo bloccò di colpo. Si trattava di un potente Soul trasportato da una brezza delicata e fredda proprio alle sue spalle. Prima che potesse girarsi, sentì una pressione proprio al centro della schiena e il rumore del cane di una pistola che veniva abbassato. «Così tanta fretta di andartene?» esordì una voce familiare. “Maledizione, proprio ora doveva farmi visita questo qui?”. «Sei Shino! Si può sapere che ti prende? Perché mi punti contro un’arma?» «Ti chiedo scusa, Kyoto, ma vedi, tu puoi ingannare un ragazzino sprovveduto e una ragazza dal cuore d’oro, puoi eludere i miei uomini,
31 ma di certo non puoi nasconderti da me. Sai, da quando ti ho visto, ho intuito subito che non eri un tipo comune. Ora, se non ti dispiace, mi dici chi sei e cosa ci fai veramente a Trashville? Senza voltarti, per favore.» “A questo punto, mentire con lui non servirebbe. Potrei svegliare Beta per stordirlo, ma poi sveglierei tutti. Dunque, non ho altra scelta che parlare”. «Ti ho già detto che non siamo nemici, ma a quanto pare non basta.» «No, non basta.» «E va bene. Faccio parte dell’Esercito dei Ribelli e sono un Soul Master, proprio come te.» Shino si meravigliò ascoltando quelle parole e così volle investigare di più sul conto di Kyoto: «Ribelli? Non sei il primo che incontro in questo periodo. In verità, vi credevo morti tutti fino a qualche tempo fa. Sai, ero ancora un bambino piccolo quando le giubbe nere sterminarono quelli di voi che si nascondevano a Trashville. Dimmi, cosa state architettando?» «Hai detto di aver visto altri ribelli? Dimmi dove, ti prego!» disse animatamente Kyo, tentando di voltarsi. «Ti ho detto già una volta di non voltarti!» Shino premette ancor di più la pistola sulla schiena del guerriero. «E io ti ho già risposto che non sono un tuo nemico!» ribatté Kyo infastidito, chiudendo per un attimo gli occhi e concentrando il suo Soul sulla canna dell’arma che aveva puntato contro. «Kōshūha!1» mormorò infine. In un attimo, la pistola si sgretolò come se fosse fatta di sabbia, sotto lo sguardo sorpreso di Shino. Finalmente Kyo fu libero di guardare in faccia chi lo ostacolava, e nella piccola stanza l’aria divenne elettrica e carica di pathos. “Ha un Soul potente!” pensò il rifugiato dagli intensi occhi “poteva già mettermi al tappeto, eppure… che costui dica il vero?”. «Ammettiamo che ti creda» disse Shino «rispondi almeno alla mia domanda precedente: cosa ci fate qui?» «Proprio non saprei cosa dire, ma lascia che ti spieghi meglio» disse Kyo «i miei ordini erano quelli di ricongiungermi col mio squadrone al mercato. Poi è capitato l’inconveniente con Kibo e ho saltato il rendezvous. Quando stavo per tornare, lui mi ha raccontato del coprifuoco e,
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Alta frequenza
32 per non far saltare la mia copertura, ho accettato il vostro invito. Avrei approfittato della notte per lasciarvi. Ora, per favore, se sai dove sono quei ribelli di cui parlavi, dimmelo.» «Mi dispiace, Kyoto, ma questa volta sono io a non saperti dare una risposta. Ho perso le loro tracce due giorni fa nella zona est della città. La vostra maestria nel nascondervi è cosa vera e affermata.» «Che disdetta, mi toccherà cercarli per molto, allora. Ascolta Shino, sappi che puoi fidarti di me. Lascia che vada via ora. Giuro che non mi rivedrai mai più. Io devo assolutamente ricongiungermi con i miei compagni.» Il rifugiato titubò per qualche instante, ma poi lasciò prevalere il suo istinto. «D’accordo, spero solo di non pentirmene. Sei libero di fare ciò che vuoi. Dopotutto te lo devo, hai salvato la vita a Kibo. A proposito, gli si spezzerà il cuore sapere che te ne sei andato via senza salutarlo. Ormai sei il suo eroe e non ha fatto altro che parlare di te prima di addormentarsi. Dunque, se vorrai, un giorno potrai tornare a salutarlo.» Shino tese la mano a Kyo una seconda volta e quest’ultimo tornò a ricambiare il gesto, abbozzando un sorriso. «Grazie! Di’ a Kibo di non preoccuparsi, un giorno tornerò a fargli visita. Ora devo proprio andare.» Il biondo guerriero si voltò, nuovamente, verso la fessura nel soffitto, ma fu ancora una volta bloccato dal sopraggiungere di un altro rifugiato che urlava a squarciagola il nome di Shino. L’uomo, un tipo mingherlino e dai folti capelli neri, arrestò la sua corsa affannata non appena vide il suo leader. Fra le mani stringeva un fucile d’assalto e, legate alla giacca blu scuro, malridotta e impolverata, diverse granate. «Anton sei tu? Che cosa succede? Come mai sei qui? Non eri di ronda stanotte?» chiese Shino. «Perdonami, capo» disse l’uomo con difficoltà, per via del fiatone «non sapevo cosa fare… Tom e Charly… loro due…» «Siediti e respira Anton, così non capisco cosa vuoi dire» fece Shino, togliendo l’arma fra le mani del compagno e aiutandolo a sistemarsi a terra «ecco, bevi dell’acqua» continuò, slacciando dal cinturone una piccola borraccia e dandola all’uomo. Anton bevette avidamente e riprese fiato. Il viso era ancora pallido e gli occhi carichi di terrore. Fece un altro lungo respiro, dopodiché riprese il suo discorso: «Hanno preso Tom e Charly!»
33 «Chi ha preso Tom e Charly? Per l’amor del cielo, Anton, sii più chiaro!» esclamò Shino, ora visibilmente preoccupato. «Eravamo a sud, in ronda, proprio come da programma. Avevamo trovato un carro parcheggiato e incustodito in un vicolo buio nella zona dei macelli. Era pieno di carne fresca e così, dopo un breve sopralluogo, avevamo deciso di rubare il carico e rientrare subito al covo. Con quella scorta, il nostro gruppo avrebbe mangiato per settimane. “Un colpaccio!” mi aveva detto Tom in un orecchio. Avresti dovuto vedere i suoi occhi, erano sprizzanti di gioia. Tuttavia, quando ci siamo avvicinati, sono spuntati i gangster dal nulla… e li hanno presi… li hanno presi tutti e due!» raccontò Anton, cominciando a piangere disperato. «Torna subito in te amico mio!» urlò Shino «devi dirmi di più, altrimenti non posso organizzare il loro recupero. Quanti uomini erano? Come avete fatto a non vederli nel sopralluogo e soprattutto, come ti sei salvato?» «Erano solo in tre, ma forse l’oscurità nascondeva altri uomini. Questo non saprei dirtelo con esattezza. Io ero in copertura, nascosto dietro una cassa di legno. Quando i nemici sono venuti allo scoperto, abbiamo fatto fuoco, ma uno di quegli individui ha fermato tutti i proiettili con una mano. Una cosa che aveva dell’incredibile! La paura mi aveva immobilizzato e così ho chiuso gli occhi e ho pregato che non mi vedessero. Poco dopo se ne sono andati col carico e con i nostri due compagni. Di più non so.» «Anton sei sicuro di non essere stato seguito?» chiese Shino, strattonando il compagno rifugiato dal bavero della giacca blu. «Sono sicuro o non sarei mai tornato qui. Ho cambiato spesse volte percorso e per la maggior parte ho preferito i tetti alle strade. Capo, ti prego di perdonarmi se non ho potuto far nulla…» «Maledizione!» urlò Shino, lasciando l’indumento di Anton «dobbiamo subito riprendere quei ragazzi.» Kyo, immaginando la scena nella sua mente, si avvicinò a Shino per dirgli ciò che pensava: «Ascolta, in merito all’uomo che ha fermato i proiettili con una mano, non pensi che sia strano? Nessun essere comune è in grado di fare una cosa simile.» «Pensi a un Soul Master?» domandò il rifugiato «ci avevo pensato anch’io, per questo motivo mi sento così frustrato. C’è solo un manipolo di uomini a Trashville che sa usare il Soul, oltre a me, e sono coloro che gestiscono questa città.»
34 «Intendi quelli dell’Esercito Nero?» chiese Kyo. «No, affatto! Alle giubbe nere non interessa questo luogo perché non abbiamo nulla da offrire. Non abbiamo risorse naturali, né materiali preziosi, non vi sono rotte commerciali aperte né porti. Ogni tanto mandano un drappello di basso rango per farci capire che ci osservano sempre, ma i militari hanno l’ordine di non impicciarsi dei loschi traffici della città e lasciano che i gangster gestiscano il tutto. Armi, droga, alcol, questo è quello che circola di notte e nei mercati, ed è per questa roba che la gente del posto ucciderebbe, poiché sono le uniche cose di valore. Chi comanda tutto il giro è un piccolo gruppo che, ogni mese, paga un dazio alle giubbe nere per garantirsi l’immunità. In giro si dice che il 30% delle entrate dell’Esercito Nero provenga proprio dai traffici di Trashville. Purtroppo, gli uomini di cui ti accennavo poco fa, sono anche dei potentissimi e spietati Soul Master, per questo sarà impresa ardua liberare i nostri compagni» spiegò Shino. «Capo, non è detto che li abbiano presi proprio quelli del Sistema. Dobbiamo raccogliere più informazioni in merito» disse Anton. «Sistema?» fece Kyo. «Esatto, è il nome con cui chiamiamo la banda di quegli uomini» spiegò Shino al guerriero «e sul fatto che ci siano loro dietro tutto questo, non vi è dubbio alcuno. Da tempo cercano di catturarci ed eliminarci tutti, poiché siamo una spina nel loro fianco con i nostri furti. Kyo, ascoltami. Ho da chiederti una cosa.» «Sono tutto orecchie.» «So che, dopo tutto quello che ti ho detto prima, potrebbe risultarti egoistico da parte mia, ma mi servirebbe la tua assistenza. Se mi aiuterai nel recupero di Tom e Charly, ti prometto che ti accompagnerò a cercare i tuoi compagni. Insieme, lì troveremo in un baleno.» “Nonostante sia un uomo molto forte, mi chiede lo stesso una mano. Questi gangster devono essere dei tipi tosti. No, non posso abbandonarlo. I miei compagni capiranno se tarderò ancora, loro avrebbero fatto di sicuro lo stesso”. «D’accordo Shino, andiamo a dare una lezione a questi tipacci!» rispose Kyo, facendo scrocchiare le nocche delle sue mani.
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CAPITOLO 3
La missione di salvataggio dei due rifugiati non era di semplice riuscita. Durante la notte Shino ebbe la conferma, tramite i suoi infiltrati nel mondo dei gangster, che i compagni catturati erano stati condotti proprio nella base dei malviventi, e dovette pensare bene ai suoi prossimi passi, poiché in ballo non vi era solo la vita di Tom e Charly, ma anche quella di tutti gli altri membri della sua banda. Un assalto frontale sarebbe stato inutile. I gangster erano non solo più numerosi e più forti, ma anche più armati e organizzati di loro. Per questi motivi avrebbero dovuto raccogliere, per prima cosa, informazioni utili per organizzare una precisa strategia e poi, agendo con basso profilo, avrebbero tentato il salvataggio. Grazie ai tanti anni di ronde e di furti, i rifugiati conoscevano tutti i cunicoli e i passaggi sicuri per arrivare nel covo del Sistema, una grande struttura che molti anni prima fungeva da carcere. Essa si ergeva nella periferia sud di Trashville, lontano dalle baracche brulicanti di malviventi, sopra una piccola altura che le conferiva una posizione strategica e di vantaggio. Nel frattempo, Shino dovette spiegare anche ai membri della riunione che Kyo non era chi diceva di essere, ma un potente guerriero ribelle e che li avrebbe supportati. Ci fu molto stupore in quel frangente e anche molte domande, ma il capo dei rifugiati non aveva tempo da perdere e mise a tacere tutti. Dovevano agire subito! La prima cosa da fare era proprio cercare di divincolarsi fra la baraccopoli senza farsi scoprire. La gente di quel posto li avrebbe catturati subito e consegnati al nemico in men che non si dica. Fortunatamente, Anton era cresciuto in quel bassofondo, prima di cambiare vita e dedicarsi alla causa dei rifugiati. «L’alba giocherà a nostro favore!» disse l’uomo, mentre stilavano il piano «a quell’ora del mattino staranno dormendo tutti come ghiri, dopo una notte di scorribande e bevute! Passeremo inosservati e lesti.» Il secondo ostacolo era penetrare nell’ex prigione senza essere visti dalle sentinelle di ronda sulla spessa cinta muraglia, attive tutto il giorno e
36 tutta la notte. La soluzione a questo problema la trovò Shino, che meglio di tutti conosceva l’organizzazione del nemico. «Molto tempo fa, mio padre mi raccontò di essere evaso da quella prigione, quando il Sistema ancora non aveva il controllo della città ed era solo una banda di scalmanati che terrorizzava i poveri abitanti di Trashville. Si servì di un canale di scolo che sfociava appena sotto le mura di cinta e partiva dalla mensa, dove lui lavorava come cuoco durante la detenzione. Potremo usare quel passaggio per arrivare direttamente nel cuore del covo, ma sicuramente, dopo tutto questo tempo, il varco sarà stato chiuso e dovremmo farlo saltare. Qui nasce un altro problema: facendolo detonare allarmeremo tutti di sicuro, quindi avevo pensato a te, Kyo. Col tuo potere potresti creare un varco, polverizzando l’ostacolo che troveremo, così come hai fatto con la mia pistola.» “Ecco perché aveva bisogno di me! Aveva già pensato a tutto. Quest’uomo è intelligentissimo”. «Puoi starne certo, lasciate a me questo compito» rispose il guerriero. «Una volta entrati, ci limiteremo a raccogliere tutte le informazioni possibili su quei tizi. Avremo una stima di quanti uomini ci sono, come si muovono, quante armi hanno e come sono dislocati. Cosa molto più importante, ci concentreremo per capire dove hanno rinchiuso Tom e Charly. Ci divideremo in due squadre, una che agirà dall’esterno, un’altra, composta da poche unità e che comprenderà anche me stesso, agirà all’interno. Comunicheremo tramite filo-telefono, così da non essere intercettati. A differenza delle radio, che emettono onde facilmente captabili dal nemico, il filo-telefono fa passare tutta la comunicazione in un cavo, e non dovremmo preoccuparci di essere ascoltati. Una volta scoperto dove tengono rinchiusi i nostri compagni, tenteremo un silenzioso salvataggio e fuggiremo lesti e veloci. In nessun modo dovremo venire allo scontro con i capi del Sistema. In caso venissimo scoperti, la squadra esterna abbandonerà la missione e tornerà a nascondersi nel nostro covo, proteggendo gli altri» spiegò Shino. «Capo, come sarebbe a dire? Dovremo lasciarvi a morire lì dentro? Questo è da escludere!» disse Anton. «Questo è un ordine!» tuonò Shino, demolendo col solo sguardo l’ardore del compagno «non importa che io muoia. Morirò lo stesso, un giorno, ma l’importante è che ci sia sempre qualcuno a difendere i bambini e le donne della nostra banda, e soprattutto che ci sia sempre qualcuno a mantenere vivo il nostro sogno!»
37 Le parole di Shino commossero tutti i presenti, ma nessuno osò obiettare gli ordini del coraggioso rifugiato. «Kyo, una volta distrutto l’ostacolo, se vorrai sarai libero di andare. Non voglio che tu venga coinvolto in uno scontro» aggiunse il fiero capobanda rifugiato. «Scherzi? Mi dovrei perdere tutto il divertimento? Dopotutto, potrei ricavare qualche informazione preziosa da dare ai miei compagni» ribatté Kyo. «D’accordo, ma sappi che è stata una tua decisione e che dovrai seguire alla lettera ciò che ti dirò e, ribadisco, assolutamente non dovrai cercare lo scontro con i capi del Sistema. Sono stato chiaro?» “Sono così forti questi uomini? Come mai Shino è tanto turbato?”. «Non preoccuparti. Farò come dici» lo rassicurò Kyo. «Molto bene. La squadra esterna sarà capitanata da Anton» continuò il rifugiato. «Capo, io non ho esperienza nel comandare, ed è stata anche colpa mia se Tom e Charly sono stati fatti prigionieri» spiegò timidamente il ragazzo. «Anton tu sei l’unico che possa far ripiegare gli uomini in caso di emergenza! Sarai tu a condurli al sicuro tramite la baraccopoli, cercando di evitare le strade più affollate» spiegò Shino, ricevendo diverse approvazioni da tutto il resto delle persone che ascoltavano il piano. «Molto bene, è quasi tutto. La squadra interna sarà composta solo da quattro unità, due delle quali dovrà sempre comunicare con la squadra esterna, in modo da far sapere ad Anton che va tutto bene. Ogni minuto ci sarà un check al filo-telefono. Se l’operatore interno non dovesse rispondere batterete subito in ritirata. Non aspettate un solo secondo in più, perché dopo due minuti vi ritroverete i gangster addosso. Se è tutto chiaro, è l’ora di agire!» Il sole cominciava ad alzarsi nel cielo, mostrando i primi raggi che coloravano di arancio i contorni della baraccopoli, un agglomerato di rifugi di fortuna, strutture malandate e capanne di legno. L’aria era calda quel mattino, con l’odore della primavera che si diffondeva. Lo squadrone di salvataggio, composto da appena dieci membri, si muoveva silenzioso nell’ancora presente oscurità notturna. I soccorritori non osavano parlare fra di loro e comunicavano tramite gesti, ed erano coperti da lunghi stracci neri e da cappucci, in modo da risultare tutti
38 uguali. Molti di loro avevano anche usato della fuliggine per colorare il viso interamente di nero. Anton anticipava di qualche passo il gruppo, in modo da guidarli senza intoppi, fra gli sporchi e dissestati vicoli che, fino in quel momento, erano deserti, proprio come auspicato dallo stesso rifugiato. Avanzarono ancora e prima di arrivare all’estrema periferia della baraccopoli, Anton dovette arrestare il plotone alzando un pugno. Gli uomini dello schieramento stringevano, con nervosismo, le armi che brandivano sotto il loro travestimento e osservavano, senza staccargli gli occhi da dosso, qualcuno avvicinarsi al loro scout con una strana andatura claudicante. «M… mi venisse un colpo. Hic! E tu ch… chi saresti? Hic! Un f… f… fantasma?» Si trattava di un gangster completamente ubriaco, un uomo esile come un grissino, con una cresta viola che spuntava al centro del cranio completamente rasato ai lati, che a stento riusciva a mantenere le sue braghe con una mano. Il torso scoperto mostrava un accentuato denutrimento che rendeva il malvivente più simile a uno scheletro ambulante che a un essere vivente. Gli attimi si fecero concitati e una goccia di sudore bagnò la fronte di Anton che doveva prendere una decisione: abbattere l’uomo, o evitarlo e proseguire, approfittando della sua poca lucidità. «Sì, sono un fantasma» sussurrò il rifugiato, cercando di parlare con una voce tetra «ritorna subito nel tuo rifugio o ti strapperò via l’anima!» L’uomo sgranò gli occhi, colto da improvviso terrore, perché vide una luce fuoriuscire dall’apertura del cappuccio. Arretrò di qualche passo, ma inciampò goffamente sui suoi stessi piedi. Si rialzò a fatica, e cominciò a correre via, allontanandosi in uno dei vicoli vicini. Anton tirò un respiro di sollievo e spense la torcia sotto il suo travestimento. Il suo piano aveva, fortunatamente, funzionato e poté far ripartire lo squadrone, con un altro cenno del braccio. Dopo essere usciti dalla baraccopoli e aver camminato attraverso una folta boscaglia, giunsero ai piedi dell’altura dove si ergeva il vecchio carcere di Trashville. La struttura era proprio grande e ben protetta, proprio come Shino aveva raccontato. Nascosti dietro la vegetazione, i rifugiati osservavano la danza delle sentinelle, che facevano ronda sulle spessissime mura grigie, e dei fari luminosi, che illuminavano vari punti dell’altopiano. Vi erano anche delle torrette, dislocate a distanze regolari
39 le una dalle altre. In ognuna di esse vi era un gangster che brandiva un’arma a lungo raggio. «Peggio di quanto immaginassi» sussurrò Shino ai suoi uomini «dovremo muoverci in maniera chirurgica e dovremo farlo stando attenti a non cadere nei fasci luminosi, o ci vedranno. Anton la tua squadra col filo-telefono è pronta?» «Sissignore. È tutto come prestabilito» rispose il rifugiato. «Molto bene. Noi della squadra interna procederemo fra poco, quando, secondo il mio informatore all’interno della prigione, ci sarà un cambio di guardia.» «Capo, da quando hai informatori all’interno della prigione? Non ne sapevamo nulla!» disse uno dei rifugiati. «Da sempre, amico mio. Ve l’ho tenuto nascosto per motivi di sicurezza. Roger è un carissimo compagno di mio padre, che ha scelto, quando cominciai a portare avanti il nostro movimento come leader, di rimanere sotto copertura nel mondo dei malviventi. Qualche anno fa, grazie alle sue conoscenze come armaiolo, fu introdotto a lavorare all’interno della prigione. Prima che partisse alla volta del covo del Sistema, ci incontrammo di gran segreto e decidemmo di comunicare tramite dei biglietti che lasciavamo in determinati posti. In questa maniera lui mi passava informazioni preziose. Ecco come facevo a sapere del tunnel nascosto e di molti altri dettagli. Ed è stato lo stesso Roger, tramite un suo uomo fidato, a confermarmi l’arrivo di Tom e Charly nella struttura. Ora sincronizzate tutti gli orologi. Alle sei in punto ci muoveremo.» L’orario prestabilito arrivò subito. L’alba ormai era chiara ed evidente alle loro spalle. Una sirena, dal suono acuto e fastidioso, sancì l’inizio del cambio della guardia e gli uomini sulla cinta muraglia e sulle torrette lasciarono le loro postazioni. In quel preciso istante, rapidi e scattanti, i membri della squadra interna raggiunsero la base del muro, lì dove vi era una piccola ma robusta grata metallica. Dell’acqua fetida e sporca scorreva sotto le spesse sbarre, rendendo il terreno molliccio e viscido. Shino picchiettò la spalla di Kyo, segno che era arrivato il suo turno. Kyo agì prontamente, posando le mani sul rugoso metallo freddo. “Sfrutterò il suono del vento che passa dal cunicolo per distruggere le sbarre”. «Music Soul: Kōshūha!» bisbigliò Kyo e immediatamente la grata si dissolse nell’aria, divenendo polvere nera.
40 Il suono delle gocce d’acqua, che dalle pareti della galleria si tuffavano nella lingua d’acqua putrida sottostante, echeggiavano nel condotto. I quattro membri della squadra interna iniziarono il loro cammino verso il covo del Sistema, muovendosi con cautela nel buio e umido tunnel, con l’ausilio di piccole torce. L’uomo incaricato al filo-telefono si preoccupava anche di distendere il cavo che lo collegava all’esterno, facendo in modo da non creare nodi e ingarbugliamenti. Finalmente giunsero sotto una botola di legno, dove il condotto si allargava. Poterono perfino stare eretti, senza preoccuparsi di urtare il capo sulla volta della galleria. «Bene, è qui che dobbiamo salire» intuì Shino «se le informazioni che mi ha passato Roger sono esatte, dovremo spuntare proprio nelle cucine. A quest’ora saranno vuote, ma prepariamoci a qualunque tipo di scenario. Andrò io per primo.» Il leader dei rifugiati si fece aiutare dall’altro membro della sua squadra, salendogli sulle spalle. Con cautela, poggiò i palmi delle mani sulla botola e fece una leggera pressione verso l’alto. Polvere e piccoli detriti caddero dalle spesse assi di legno, costringendo Shino a guardare verso il basso, per difendere gli occhi e il viso. Il rifugiato fece un secondo tentativo, questa volta con più decisione, facendo sollevare la botola di qualche centimetro e creando un piccolo spazio per poter osservare la situazione. I suoi occhi scrutarono per bene la grande stanza sopra di sé. Riuscì a intravedere dei grossi banchi da lavoro e una parete con pentole e mestoli di latta, ma non vide nemici nei paraggi. Dopo un cenno al resto della squadra, speronò con un’altra spinta decisa la botola, rimuovendola completamente dal suo alloggio. Poggiando le mani sul pavimento, finalmente poté arrampicarsi e introdursi nelle cucine. Le informazioni di Roger erano corrette e la squadra interna giunse in sicurezza nel cuore del campo base dei nemici. «Cominciate subito i check con il team esterno» bisbigliò Shino ai due uomini della sua banda «ricordatevi di essere precisi con i tempi e di fuggire in caso di pericolo. Io e Kyo andremo in perlustrazione. Sono le ore sei e sette minuti. Se alle ore sei e trenta non faremo rapporto, date l’allarme e scappate immediatamente. Siamo intesi?» «Sissignore!» risposero all’unisono i due uomini. «Kyo, muoviamoci subito. Da quello che mi ha detto Roger, Tom e Charly dovrebbero essere rinchiusi nelle celle del primo livello, insieme ad altri prigionieri. Qui siamo al livello zero, dove sono dislocate le cucine e i dormitori delle guardie. Prenderemo quel carrello per le
41 vettovaglie e ci dirigeremo verso di loro. Non dovremmo incontrare molti gangster, da quello che mi è stato detto, ma con la scusa di servire la colazione alle guardie delle celle, riusciremo a non dare troppo nell’occhio. Con me ho portato del sonnifero da sciogliere nelle bevande e da mescolare nel cibo, così da sistemare tutti senza fare rumore. Non so quanti uomini incontreremo sul nostro percorso, ma ricorda di non guardarli mai direttamente negli occhi o si accorgeranno dell’inganno.» Il piano di Shino scorreva liscio e senza intoppi. Con l’aiuto dei cappucci e del carrello per le vivande, riuscirono a passare per i dormitori senza farsi scoprire, evitando anche diversi energumeni assonnati che girovagavano per i corridoi scarsamente illuminati. Salirono con un vecchio ascensore scricchiolante al primo livello e quando la grata si aprì, davanti a loro trovarono un grasso uomo di guardia, armato fino ai denti che piantonava il varco alle celle. L’uomo indossava una camicia logora azzurra, aperta fino al villoso petto, con le maniche arrotolate che lasciavano scoperti i due grossi avambracci ricoperti da una folta peluria nera. Aveva una barba ispida e scura, e i suoi capelli, lunghi e sudaticci, cadevano disordinatamente sulle spalle. Era seduto dietro una piccola scrivania, sulla quale vi era poggiato un telefono e un grosso mazzo di chiavi perlopiù arrugginite. «Altolà!» esclamò il malvivente, con voce gutturale e fastidiosa «dove credete di andare voi due?» «Siamo del servizio vettovaglie. Abbiamo portato la colazione per tutti. Prego, serviti pure» disse Shino, togliendo il telo che ricopriva il carrello e lasciando intravedere i prodotti che celavano di sotto. «Sparite immediatamente!» sbraitò, innervosito, l’omone di guardia «non lo sapete che il capo ci ha messo tutti quanti in allerta massima? Oggi non possiamo commettere errori o distrazioni. Aveva anche annullato le pause per i pasti per chi montava di guardia. Come avete fatto a scordarlo?» “Maledizione, si mette male!” pensò Kyo. «Perdonaci, pensavamo che una veloce colazione avrebbe potuto farvi piacere, visto che dovevate stare digiuni per molto tempo. Ovviamente, nessuno di noi due lo avrebbe detto in giro se aveste fatto una piccola infrazione al regolamento, ma ci sbagliavamo. Torniamo immediatamente in cucina.» Kyo guardò preoccupato Shino, che tuttavia sembrava calmo e rilassato. I due si voltarono per tornare sui loro passi, quando la grassa sentinella li
42 fermò: «Aspettate un attimo. Qui sopra si crepa di caldo. Quella birra che vedo nel carrello è fredda?» «Certamente, amico» rispose Shino «appena uscita dalla ghiacciaia.» «Se qualcuno di voi due dovesse, anche per errore, accennare a tutto questo, giuro che lo faccio fuori nel sonno! Intesi?» li minacciò la guardia. «Nessuno dirà nulla. Ecco a te!» il leader dei ribelli porse la birra al piantone. «Bene, andate via ora!» ordinò la guardia, che stappò la bottiglia e cominciò a berla avidamente tutta d’un fiato. L’uomo non fece in tempo di veder uscire i due addetti alle vettovaglie, che la vista cominciò ad appannarsi e il corpo a intorpidirsi. Cercò goffamente di dire qualcosa, ma non ci riuscì. Dopo pochi istanti cadde svenuto in un sonno profondo, lasciando libera la strada. «Bene, è andato» disse Shino «Kyo prendi quel mazzo di chiavi, ci servirà per arrivare fino alle celle e ad aprirle. Non abbiamo molto tempo.» «Ascolta Shino» fece il guerriero, lanciando le chiavi al compagno «non ti sembra tutto troppo strano?» «Ti riferisci alla scarsa sorveglianza di questo posto?» «Esatto! Sembra tutto troppo semplice.» «Lo avevo notato anch’io» puntualizzò Shino, provando ad aprire il varco con le varie chiavi «per questo ho pensato a un piano B.» «Piano B?» Kyo inarcò un sopracciglio. «Sì. Ascoltami bene. Questo piano è fattibile solo grazie alla tua presenza qui. Non ti nego che, se fossi stato solo, avrei interrotto la missione a questo punto.» Dopo vari tentativi, finalmente la serratura della cella di contenimento che dava al corridoio per primo livello si aprì con una delle chiavi, e i due guerrieri poterono proseguire il loro cammino. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
INDICE
PROLOGO...................................................................................... 5 CAPITOLO 1 .................................................................................. 7 CAPITOLO 2 ................................................................................ 21 CAPITOLO 3 ................................................................................ 35 CAPITOLO 4 ................................................................................ 48 CAPITOLO 5 ................................................................................ 58 CAPITOLO 6 ................................................................................ 74 CAPITOLO 7 ................................................................................ 91 CAPITOLO 8 ................................................................................ 98 CAPITOLO 9 .............................................................................. 114 CAPITOLO 10 ............................................................................ 129 CAPITOLO 11 ............................................................................ 144 CAPITOLO 12 ............................................................................ 163 CAPITOLO 13 ............................................................................ 178 EPILOGO ................................................................................... 203
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