Giallo solidago, Simone Censi

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In uscita il 2 / /20 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine PDJJLR H LQL]LR JLXJQR 2020 ( ,99 euro)

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SIMONE CENSI

GIALLO SOLIDAGO

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ GIALLO SOLIDAGO Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-394-9 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Maggio 2020


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CAPITOLO 1

«La prego si alzi, non si può dormire in chiesa» lo pungola con un dito sulla spalla, come un bimbo che infierisce con un bastone su una lucertola morta. «Guardi, Padre Gino, non credo che stia dormendo. Guardi qui in fronte. Questo ha dato proprio una brutta botta.» «Signore» alza lo sguardo verso il crocefisso in fondo alla navata «la prego si svegli, riesce a sentirmi?» «Svenuto ma vivo» si affretta a dire il cappellano, portando l’indice e il medio sul collo «sento il battito.» «Niente, questo è andato. Dammi una mano a tirarlo su, portiamolo nella stanza degli ospiti.» «Vuole che chiami un’ambulanza?» «Non mi sembra in pericolo di vita, intanto lo portiamo via poi penserò io a chiamare qualcuno. Ci mancava solo questo stasera… prendilo dall’altra parte e facciamolo alzare, senti qualcuno dei fedeli se ha visto qualcosa.» *** Riuscire a resistere allo scorrere del tempo, risalire la corrente come un salmone per intenderci. Ecco, mi piacerebbe essere come un salmone. Ci sono cose nella vita che appartengono a un’epoca e poi spariscono con il conseguente cambio generazionale, rimanendo solo un’icona, facciamo una prova? La morale è sempre quella, fai merenda con Girella, riconoscibilissima tra tutti gli altri snack per la sua forma a chiocciola, e che deve la sua fortuna anche alle storie di Toro Farcito e Golosastro che si trovavano in ogni confezione. Lo Slaim, la gelatina verdastra della Mattel, così liquida da colare ma così viscosa da aderire alle superfici. La Coccoina, la colla in pasta nella sua confezione in alluminio che rimase appiccicata con tenacia alle dita di tutti, finché non arrivò il Vinavil o le colle in tubetto. Il gettone telefonico con le sue caratteristiche scanalature che valeva cinquanta lire nel 1972 per poi arrivare a valere duecento lire nel 1984. I


4 primi apparecchi capaci di registrare sulle musicassette vuote; il Pong dell’Atari, Space Invaders, il Siemens 62 detto Bi grigio per le due tonalità di grigio, il telefono più triste di tutta la storia delle telecomunicazioni; il Manuale delle Giovani Marmotte, vietato a chi non faceva parte del Corpo; Olivetti lettera 35 disegnata da Mario Bellini. Tutte queste cose fantastiche puzzano di anni Settanta. Metto subito le mani avanti per chi dirà che anche l’accendino Bic e il suo omonimo rasoio appartengono a quella generazione eppure sono sopravvissuti, come anche la bambola bionda della Mattel che non posso nominare con il suo inespressivo uomo pompato, tutto d’un pezzo e con la disciplinata chioma non spettinabile, o anche l’imperituro Ovetto di cioccolato con sorpresa all’interno. Puzzano di meno ma sempre odorano di stantìo, i rappresentanti degli anni Ottanta come l’adesivo della Camel Trophy, il Floppy Disk e il Commodore 64. San Commodore, santo subito! Il Fustino per due Fustoni, Pac-Man, l’Idrolitina, la Frizzina e la Cristallina che non facevi mai a tempo a berle che si erano già sgasate, i rullini della Kodak, il mitico idraulico con salopette e baffoni che salvava il mondo e aveva lo stesso nome del proprietario del bar all’angolo. Anche qui ci sono i sopravvissuti, come il Cornetto Algida o le mentine salva bacio TICTAC, il Pongo e il telecomando. La finisco qui per non annoiare troppo, ma lasciatemi lo spazio per annoverare qualcosa anche dei temibili Novanta, come le carte telefoniche prepagate, il Piedone e chissà se lo fanno ancora, e infine la manina appiccicosa. Mi ricordo che a scuola la lanciavamo sul soffitto e ogni tanto ricadeva giù durante la lezione. Dopo poco tempo raccoglieva tanta di quella polvere che non appiccicava più e la dovevi buttare. Del salmone vorrei avere la tenacia, ma se dovessi scegliere di diventare qualcosa capace di resistere meglio di altre al trascorrere del tempo, e che riesce a incarnare più di ogni altra il senso della vita, allora mi piacerebbe proprio diventare una bicicletta. La bicicletta combatte da sempre ogni tipo di cambiamento tecnologico riguardo alla mobilità, le innovazioni si sono cannibalizzate di epoca in epoca, eppure la bicicletta spinta da un motore tutto umano, ancora non è stata spazzata via. Certo in salita è una sfacchinata, ma chi l’ha detto che il salmone contro corrente non faccia fatica? Pattini con quattro rotelle a quadrato, roller o in linea, triskate o a tre ruote, monopattini, skateboard, ognuno ha fatto il suo tempo ma la bicicletta è sopravvissuta a tutto questo. Se ci pensate, anche il triciclo è


5 una bicicletta in divenire, per approdare poi alle irrinunciabili rotelle che sono una panacea contro l’assenza d’equilibrio che caratterizza l’essere umano. Rotelle! A chi non farebbero comodo? Quanti di noi vorrebbero poter fare affidamento su un bel paio di rotelle per affrontare le difficoltose curve che la vita ogni giorno ci impone, poter aggredire con maggiore forza i tortuosi percorsi che caratterizzano le nostre esistenze, affrontare con maggiore serenità i terreni impervi e le strade dissestate, il non dover temere le cadute quando non siamo in grado di frenare a tempo debito, e impedire scivoloni quando la strada è bagnata e non ci garantisce aderenza. Per non parlare del fatto che ci si può fermare senza dover per forza mettere giù i piedi. Abbiamo macinato chilometri tracciando cerchi davanti casa, su piazzali asfaltati o slarghi di ghiaia, abbiamo scavato fossati affollati dai famelici coccodrilli della fantasia, spinto in piedi sui pedali e arcuato tanto le rotelle, aggredendo veloci parabole che ora sono piegate all’insù, ora non poggiano proprio a terra e sicuri avanziamo con la certezza che non siano altro che un inutile orpello. Sbagliato. Indipendenza, libertà, capitomboli, pianti, ferite, crosticine sulle ginocchia che con il tempo se ne vanno insieme al ricordo di cosa le abbia procurate e rinnovato sentimento d’indipendenza, libertà, capitomboli e via discorrendo. Siamo dei criceti in una grande ruota, ma non vogliamo sentircelo dire. Un lungo divagare solo per dire che a prescindere dalla tipologia, la bicicletta ha attraversato tutte le generazioni che si sono succedute dall’invenzione della ruota in poi. A onor del vero, a parte una prima idea abbozzata dal solito Leonardo Da Vinci, l’invenzione di quella che sarebbe poi diventata la bicicletta è da attribuire al barone tedesco Karl Von Drais nel 1817, ma insomma chi ha orecchie per intendere intenda. Che si tratti di quella da cross con il cambio sulla canna e ammortizzatori alle forcelle, che si parli dell’intramontabile BMX o della sempreverde Graziella, la biciclett… «E quella con la pedalata assistita?» «Lo stavo giusto per dire, non mi hai lasciato il tempo. Se state leggendo queste righe e pensate alla bicicletta con la pedalata assistita, allora è meglio lasciar stare tutto il discorso perché continuare sarebbe solo una perdita di tempo.» «Sì, ma la bicicletta con la pedalata assistita come la poniamo?»


6 «A terra! Se non ha il cavalletto, la mettiamo a terra! Stavo ragionando per metafore, per far capire meglio il concetto.» «Per metafore! Certo! Come ti aveva consigliato quel tuo amico tutto strambo, quel caffeinomane che ha scambiato il giorno con la notte? Quello che faceva di mestiere? Era un beta reader? Forse un correttore di bozze, no era un editor!» «Esatto, proprio lui. Mi ha dato qualche buon consiglio e mi ha suggerito di provare con una metafora d’apertura, per rendere più accattivante il discorso.» «Certo, un genio quello! Poi ti aveva anche chiesto ottocento euro per dare una vista alla bozza.» «Lui è un professionista, lo fa di mestiere. Poi siamo esseri umani, apprendiamo da chi ha più esperienza di noi e cerchiamo di migliorarci, almeno ci proviamo. Uno che vuole scrivere deve rivolgersi a qualcuno che lo fa di mestiere per un confronto onesto, per correggere il tiro insomma.» «Certo come no! Lui lo fa di mestiere e tu devi avere una gran bella bozza per doverci spendere sopra ottocento euro.» «Direi di no, se poi il manoscritto è finito nel tritarifiuti.» «E così hai dato una bella svolta alla tua vita, il romanzo senza futuro buttato nel tritarifiuti, e tu che scegli la fuga con disonore.» «Ci tengo a precisare che la mia non è stata una fuga con disonore.» «Davvero? E come la definiresti tu? Uscire di casa dicendo di andare a lavoro e poi prendere il primo treno in partenza dalla stazione.» «Scelta di sopravvivenza. Ecco, io mi sento di chiamarla in questo modo.» «Certo, come no. Mi verrebbe anche da ridere, basta non pensare al fatto che mi hai trascinato con te. Pensi che sia stata la scelta giusta? Credi di aver dato una svolta definitiva alla tua vita?» «Innanzitutto non faccio più la vita di prima e nemmeno il lavoro di prima, sai quanto lo odio. Non ti ho chiesto di venire con me, sei venuto punto e basta. Non sai cosa darei per farti uscire da qui dentro. Ormai sono finiti i tempi del sissignore a casa e del sissignore a lavoro e del sissignore nel tragitto da casa a lavoro e ritorno quando la municipale mi ferma per controllare i documenti.» «Certo è vero, era proprio un lavoro di merda il tuo, ma d’altra parte ora non fai proprio un bel niente, e questo non è classificabile come un miglioramento. Provare a scrivere queste sei paginette rientra nel non fare proprio un bel niente.»


7 «Non sono più sottoposto allo stress di prima, e soprattutto non ho più a che fare con quella lì. Mi dispiace per mia moglie ma quando le ho detto che quella doveva andare via di casa oppure me ne sarei andato via io, lei non ha saputo cosa scegliere.» «Riguardo tu sai chi hai ragione, quella è impossibile da digerire e se invece di abbassare sempre la testa qualche volta avessi lasciato parlare me, l’avremmo di sicuro messa al suo posto. Solo che invece di affrontare la questione e prendere in mano la tua vita, hai deciso per la fuga con disonore, quindi anche qui non vedo margine di miglioramento.» «Con te è impossibile ragionare!» «Allora il ragionamento lo finisco da solo. Se ci metti anche che scrivi da cani e, a parte il sottoscritto, nessuno forse ti leggerà mai se non dietro corrispettivo, mi viene da dire che margini di miglioramento non ne vedo su tutta la linea.» «Sarà, ma io almeno ci provo, mi metto in gioco, non vado a infilare le uova nel nido di qualcun altro perché non sono capace a covare.» «Con chi pensi d’avere a che fare, con un cuculo? Mi stai ancora ammorbando con le tue metafore?» «Era per spiegarti che…» «Ma dai una smossa a questo strazio!»


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CAPITOLO 2

«Ecco, si sta riprendendo. Passami dell’acqua fresca.» «Subito Padre.» «Mi sente? L’abbiamo trovata qui in chiesa, era allungato su una panca. Ci dice come si chiama?» L’uomo non risponde. «Forse non capisce la nostra lingua» e rivolgendosi verso l’uomo che li guarda con gli occhi sbarrati «comprende la nostra lingua? Ci dice come si chiama? Il suo nome?» alza il tono della voce. «Guarda che è inutile che urli, non è sordo, magari non riesce a parlare o forse non comprende cosa diciamo.» «Non lo sappiamo, potrebbe essere anche sordo» ribatte il cappellano. «Se è sordo è inutile che strilli, piuttosto prova a scrivere su un foglio, che cieco non lo è di sicuro.» «Prendo una penna.» Nessuna mossa. «Niente, guarda quel bernoccolo che ha in fronte, credo che la botta presa lo abbia mandato fuori fase. Guarda, ha gli occhi che s’incrociano. Lasciamolo riposare qui in branda, tanto ormai è tardi e fuori fa freddo. Ha una brutta botta ma non è in pericolo di vita. Lo lasciamo riposare per la notte, domani vedremo. Se si è ripreso bene, altrimenti lo portiamo all’ospedale e avvisiamo i carabinieri.» «Che il Signore lo protegga!» fa il cappellano alzando le mani al cielo. «Se hai finito di fare la parte del prete, magari mi dai una mano…» poi rivolgendosi allo sconosciuto «aspetti l’aiuto, adesso si metta giù e riposi, siamo nella stanza qui vicino. Lasciamo la porta aperta, se ha bisogno di noi, basta chiamare. Io sono Padre Gino e lui è Carlo, è al sicuro da noi e non deve avere paura, ora riposi.» «Sembra che voglia dire qualcosa» nota il cappellano, avvicinandosi. «No dai è solo stanco, andiamo a dormire anche noi.» ***


9 «Che stanchezza.» «Senti, oggi non mi va di litigare e poi non puoi stare lì a rovinarmi il narrato ogni due per tre. Con te è come raccontare una barzelletta a qualcuno che sa già il finale e non vede l’ora di rovinartela.» «Dovranno di certo farti largo nella cinquina dello Strega, al Premio Bancarella useranno il tuo romanzo per spianare il tavolino se il pavimento non è ben livellato. Il personaggio che stai raccontando ti somiglia sempre di più, riga dopo riga. A proposito, quale romanzo?» «Quello che di sicuro non riuscirò a scrivere con te che mi stai aggrappato come un gatto sugli ammennicoli.» «Va bene, non ti scaldare. L’importante è prendere coscienza di quello che si è e quello che si fa, siamo tutti adulti e vaccinati, anche se in questo periodo non si può più utilizzare questo modo di dire. Volevo solo sottolineare che se continui ancora a menartela te lo bocceranno questo incipit. Qua ci vuole azione, colpi di scena, hai stancato me che sono costretto a stare qui, figurati un lettore. Sentimi bene, devi muovere il culo se vuoi combinare qualcosa, bisogna movimentarla un po’ questa storia, hai sentito che adesso vanno solo il Giallo e il Romance? Inutile che stai lì a fare le retrospettive su quanto sei sfigato, te lo dico io di cosa hai bisogno, ti serve un Commissario burbero e piacione che arriva dove deve arrivare con mezzi al limite del lecito, hai bisogno di un caso complicato da risolvere, anzi, prima lo risolvi tu e poi lo complichi per gli altri, ma soprattutto hai bisogno di un cazzo di cadavere e ti dico di più, morto ammazzato in un modo insolito che catturi subito l’immaginario del pubblico.» «Con una carota piantata in fronte?» «Ridi ma alla fine della fiera le tue cose le leggo solo io.» «Ho capito, a te servirebbe Rocco Schiavone. Senti, ma la fai tu la parte del morto? Sai perché, io a fare la parte dell’assassino mi ci vedo, e comunque vuoi un po’ di movimento? Allora ti accontento.» Si rigira sul sedile, lasciando scivolare la testa sotto il bracciolo. Le labbra sfiorano il punto dove la seduta è attaccata allo schienale. Proprio in quel punto, uno squarcio sulla similpelle marrone sbiadita, lascia intravedere un’imbottitura di gommapiuma giallastra e consunta, maleodorante di stantìo che nel dormiveglia gli riporta alla mente qualcosa di familiare. Quella donna continua a tormentarlo durante il sonno, si volta dall’altro lato.


10 Giornata molto calda, tarda mattina, le lamiere della littorina abbandonata su quel binario morto sono arroventate e l’aria è quasi irrespirabile, il calore accentua gli odori che quella scatola di latta ha assorbito in tanti anni di servizio su quella tratta ferroviaria. Nella notte ha provato più volte ad abbassare i finestrini di quella carrozza ma senza riuscirci, erano stati tutti saldati. Non potendo fare altrimenti, rosolando sui sedili si è sfilato la maglia per far respirare la pelle sudata, e così facendo ha raccolto tutta la sabbia che era depositata sulla seduta. Quando quella vecchia littorina era ancora in servizio, copriva nel periodo estivo la tratta che dalle montagne va verso il mare, portando ragazzini affamati di sole, mare e amori estivi, e riportando a casa gli stessi abbrustoliti, salmastri e con i costumi carichi di sabbia. Le labbra sfiorano quella similpelle lurida che restituisce l’inconfondibile sapore di olio abbronzante al cocco e sabbia. Sapore di mare. Si mette seduto facendo leva sui gomiti e si guarda intorno intontito, fagocitato da una littorina frutto dello sforzo economico post bellico. Era sceso da un merci che nella notte si era fermato per dare la precedenza a un passeggeri, e aveva deciso di sostare in quella strana stazione, sperduta in mezzo al nulla, così lontano dal centro abitato. Era stato accolto da un refolo d’aria frizzante e da un concerto di grilli che si teneva nella vicina boscaglia. Tutto era tranquillo, nessuno in giro, nessun solerte ferroviere dal quale scappare o laborioso capostazione al controllo, quando vide su di un binario cieco a lato della stazione una vecchia littorina malmessa, forse destinata alla demolizione e con la porta a soffietto aperta. «Sì, ma il morto?» «Aspetta, adesso ci arriviamo.» «Ma cosa aspetti? Abbiamo sforato le dieci pagine e non c’è ancora il morto. Il vero scrittore avrebbe già fatto una carneficina a quest’ora e il suo Commissario, come minimo, avrebbe già interrogato tutti i testimoni presenti, trovato l’arma del delitto, capito il movente e sarebbe andato a letto con tutte le donne che s’incontrano nelle prime dodici pagine del romanzo, comprese quelle che passano per caso sullo sfondo.» «Ma non stiamo mica girando un film! E poi vorrà dire che noi, almeno in questo, ci distingueremo.»


11 «Bella roba! Viste le tue deludenti premesse letterarie non credo che ci sia tanto da distinguersi, forse è meglio passare inosservati. Anzi, puoi continuare così come stai facendo che vai benissimo.» «Senti, lasciami continuare senza disturbarmi.» Sporadici convogli in transito sono annunciati da una campanella elettrica, che isterica inizia a suonare all’improvviso, e ogni tanto perde un battito ma funge bene come sveglia. Dalla superstrada rialzata poco distante, giunge il rombo delle macchine e poco a lato si può scorgere un moncone mal progettato che termina nel nulla. Dal fondo della vallata, dove sorge la zona industriale, arrivano i rumori di fabbriche operose, e da un lotto in costruzione vicino, i mezzi meccanici in movimento. Ai piedi della piccola collina, che sorge davanti alla stazione ferroviaria, qualche grillo si è svegliato con la luna storta e frinisce a più non posso dietro a una schiera di Solidago dalle infiorescenze gialle. Quel posto è proprio un buco, lontano dai traffici, lontano dalla circolazione dei passeggeri, lontano da qualsiasi altra cosa. Pessimo per viverci, ottimo per nascondersi. La seconda cosa che gli viene in mente, è che una littorina abbandonata su di un binario morto in una stazione deserta come quella, di sicuro non la deve dividere con nessuno. «Quindi il romanzo ha per protagonista un barbone?» «No.» «Ah, no?» «No, perché c’è una bella differenza tra barbone e vagabondo.» «E quale sarebbe?» «Il primo una casa non ce l’ha, vive in strada ed è quella la sua casa. Il secondo la casa ce l’ha ma non ci vuole stare, vive alla giornata per la voglia di libertà, vive all’avventura perché scappa da qualcosa.» «O da qualcuno. Quindi come te, sei un vagabondo, per caso il protagonista sei tu?» «La storia non parla di me, accidenti, e falla finita con questa storia. Poi lui non sarebbe definibile come un vagabondo, è più un vagamondo. Come posso spiegarti, per farti un esempio lui è più come un FTR.» «Chi?»


12 «Freight Train Riders. Sono un gruppo di senza fissa dimora che vivono viaggiando su convogli merci attraverso gli Stati Uniti, dormendo a bordo dei treni o in depositi ferroviari.» «Ok, mi piace. Ammazziamolo adesso.» «Aspetta, mica possiamo farlo fuori così. Poi è da solo come pretendi che lo uccida, fai almeno entrare in scena l’assassino.» «E va bene, fai entrare in scena l’assassino.» «Ma chi ti dice che lui sia la vittima? Lui potrebbe essere benissimo l’assassino, magari un serial killer che gira il paese a bordo di convogli ferroviari e uccide i barboni che incontra durante i suoi spostamenti.» «Parla piano, accidenti. Per una volta che ti viene una buona idea almeno dilla piano, altrimenti la fottono e trovi in libreria il romanzo senza il tuo nome sopra.» «Ma è solo un’idea e nemmeno tanto chiara, non ho ancora ben capito che piega prenderà la storia.» «Insomma, a corti discorsi. Lo facciamo fuori o facciamo entrare in scena il barbone da far fuori? Se aspettiamo ancora un po’, finisce che questo si uccide da solo e la storia ci va in vacca.» «Non mi far perdere il filo, vediamo.» Apre gli occhi, è già metà mattina, l’aria è irrespirabile e c’è puzza di chiuso. «Senti, era già sveglio da un pezzo e quel posto puzza da schifo. Sono due ore che siamo sullo stesso punto, inizio a sentirlo anch’io il tanfo.» «Buon segno, vuol dire che la narrazione fa presa sul lettore.» «Vuol dire che il lettore sta per perdere la pazienza e forse è meglio che ti porti avanti con questa storia.» «OK, continuo.» Ha fame e puzza, si è appena svegliato e deve orinare. Visto che quella littorina al momento è ciò che più assomiglia a una casa, vale la pena andare a cercare il bagno. Pensare che qualcuno ancora la chiama ritirata. Con ogni probabilità è inutilizzato dall’ultima volta che il treno è entrato in servizio, nessuno pulisce il bagno di un treno che poi sarà dismesso, chissà quanti prima di lui hanno pisciato senza tirare lo sciacquone che con un alto tasso di probabilità non era funzionante nemmeno allora.


13 Apre la porta, la descrizione è in linea con quanto appena ipotizzato. Si dispone a gambe divaricate davanti alla tazza, poggiando una mano alla parete di fronte proprio come i vecchi di una volta, tenendosi con l’altra un lembo dei pantaloni per non farli toccare a terra e guardando per aria in modo da non dover vedere quello schifo. Un po’ come quando si cammina su di un filo sospeso, e ti dicono di non guardare di sotto per non perdere l’equilibrio. “O in questa littorina ci piove o qualcuno ha pisciato a terra”, pensa ascoltando lo splash dei piedi nella pozza di orina che si è formata sul pavimento. Fortuna vuole che il finestrino con i vetri opacizzati presente nel bagno non sia stato saldato come i restanti nel vagone, a ragion veduta, visto il puzzo sprigionato in quel piccolo e angusto buco arroventato dal sole. Si fa coraggio e lascia andare tutto quello che ha. «Peccato doverlo ammazzare, mi ci stavo affezionando.»


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CAPITOLO 3

«Padre Gino, dove lo avete trovato questo qua?» «Era su una panca in fondo alla chiesa, ieri sera dopo la messa. Ho provato a farlo riprendere ma abbiamo deciso con il Cappellano che la cosa migliore era portarlo da voi per una visita.» «Una brutta botta.» «Ecco, ha appena aperto gli occhi.» «Sì ma lo sguardo non è vigile, vede? Ha difficoltà anche a seguire la lucina. Ha ripreso mai conoscenza ieri sera? Siete riusciti a comunicare con lui?» «A tratti ha aperto gli occhi, ma non ha detto una parola. Ci guardava con una faccia stralunata ma non ha detto niente e poi ogni volta ricadeva giù come svenuto. Non ha nemmeno documenti con sé, abbiamo già controllato. Niente che possa aiutarci a capire chi è e da dove viene. A quanto ne sappiamo, potrebbe essere straniero e non capire la nostra lingua, come potrebbe essere addirittura muto.» «Ho capito, bisogna tenerlo in osservazione per qualche giorno almeno finché non si rimetterà, ci prenderemo cura noi di lui. Avremo modo di fargli tutte le analisi del caso e verificare il suo stato di salute. Quando si riprenderà dal trauma e tornerà a parlare, sapremo chi è e da dove viene.» «Preghiamo il Signore affinché si rimetta presto allora.» «Certo Padre, però capisce che è necessario denunciare l’accaduto alla Pubblica Autorità, perché a quanto ne sappiamo noi, potrebbe essere chiunque nel bene o nel male, quindi verranno da lei a chiedere informazioni in merito. Vede? Ha perso ancora i sensi.» «Comprendo, sia fatta la volontà dell’Altissimo.» *** «Bene. Siamo al terzo capitolo e ho sentito le peggiori puzze di questo mondo, ma quella di morto nemmeno a parlarne. Pensi che ce la


15 possiamo fare? Altrimenti si rischia di non fare in tempo a svolgere le indagini. A proposito, chi svolge le indagini?» «Ancora non ho deciso se questo personaggio è la vittima o l’assassino.» «Andiamo bene. Da come l’hai descritto è un ottimo candidato per fare la parte del morto, tanto da come odora.» «Sì ma tu devi prima conoscere l’altro.» «Quale altro?» «Questo.» Ha svuotato la vescica, ora deve solo lavarsi e mangiare. In quel bagno non c’è acqua corrente, meglio la fontanella. In ogni stazione c’è una fontanella vicino ai bagni. Ha bisogno di aria fresca, il fetore in quel cesso sta incominciando a fargli girare la testa. Alza il chiavistello e in quell’istante gli balena l’idea che chiudersi dentro il bagno in una simile situazione, non è altro che una reminiscenza di quando era normale. «Normale? Perché adesso com’è?» «Certo non è bello dire normale, ma è un modo per indicare quel periodo specifico e delimitato della sua vita, nel quale era conformato allo standard di vita della media dei suoi simili.» «La totalità delle case editrici non a pagamento ti avrebbe già cestinato, questo io intendo per normale. Tu non sei normale, come non è normale che stai scrivendo un giallo thriller e ancora non sì è visto nemmeno un morto! E anche la pagina sedici è andata.» «Dicevo. Questo…» Apre incontrando la resistenza dei cardini, le cerniere avrebbero bisogno di una buona passata d’olio, la corsa della porta termina picchiando su qualcosa, o forse su qualcuno. «Ave, Caesar, morituri te salutant. Era ora! Bene, vi presento il morto.» «Aspetta, ancora non ho deciso. Potrebbe essere l’assassino.» «Come no! Perché non il Commissario di Polizia che irrompe sulla scena urlando Avete già trovato il cadavere? Ma perché non facciamo morire il Commissario prima che inizi a svolgere le indagini, magari vinceresti il premio dell’originalità.» «O forse su qualcuno…»


16 Si affaccia facendo spuntare la testa oltre la soglia semi aperta e vede un uomo, basso, tozzo e trasandato. Barba incolta, capelli unti e spalmati sul cranio e stringe tra le dita di entrambe le mani una fila di mozziconi di sigaretta spenti con qualche tiro ancora prima di arrivare al filtro. Nell’urto qualcuno di questi è terminato a terra, e quello strano personaggio che tiene due sigarette accese in bocca non sembra per nulla contento di questo. «E così lo ammazza!» «No.» «E allora?» «Haiunacicca.» «In che senso?» fa lui. «Haiunacicca» fa lo strano ometto spostando le due sigarette che stringe tra le labbra all’angolo della bocca. «No, ho smesso!» risponde secco cercando di uscire dal bagno, sorpreso ma sollevato di non trovarsi di fronte uno sbirro fonte di complicazioni, e nemmeno un tipo così grosso da poter diventare un grosso problema. «Haiunacicca!» ribatte la macchietta senza spostarsi nemmeno di un passo, e non agevolando in alcun modo l’uscita da quella scomoda situazione. Il momento si fa teso. «Finalmente! Questo è il preludio, qualcuno ora ci lascia.» «Cerchi rogna?» risponde brusco l’uomo, in un faccia a faccia che non promette nulla di buono. «Piacere!» dice il bassetto, sfoggiando un sorriso ebete e allungando una mano dopo aver spostato sull’altra tutti i mozziconi che aveva «chi ti ha dato questo soprannome?» «Quale?» replica spiazzato dal repentino cambio di umore e dalla conversazione dirottata sull’amichevole. «Rogna!» risponde il piccoletto che non vedendosi contraccambiare la stretta di mano gli assesta un’amichevole pacca sulla spalla, aggirandolo per infilarsi in bagno. «Ehi, aspetta un attimo! Non è che gira che ti rigira, qui il morto non ci scappa nemmeno questa volta?» «Sono io a narrare la storia, quindi stai al tuo posto.»


17 «Certo! Vallo a dire a quelli che stanno già girando i fogli di queste quasi venti pagine per capire se possono riciclarle in qualche modo.» «Qui ci serve una bella trovata, un vero colpo da maestro.» «Guarda, se quell’ometto tutto matto esce vivo dal cesso, ti giuro che sarà il primo romanzo dove il primo cadavere della storia sarà quello dello scrittore.» «Allora senti, se uscirà vivo da quel cesso poi lo vedremo, però tu dovresti portare maggiore rispetto verso i personaggi di una storia, prima di giudicare dovresti almeno conoscere che vicende hanno alle spalle, qual è il loro trascorso.» «Ma i personaggi prima di inventarli non esistono, il loro passato lo decidi tu per dare maggiore significato alla storia, puoi decidere liberamente di loro, non farla troppo lunga, ti prego.» «Allora devi sapere che quell’ometto un tempo si chiamava Osvaldo, Osvaldo Ruggeri e non fumava nemmeno. Aveva un lavoro e una famiglia; poi qualcosa nella sua vita andò in frantumi, non riuscì a mettere insieme tutti quanti i cocci e così incominciò a vagabondare. Pensa che a causa della sua ossessione di raccogliere mozziconi è finito anche in manicomio ma non è servito a niente. Iniziò tutto nella stazione ferroviaria del paesino dove abitava, con una sigaretta che un passeggero buttò via. Dovevano entrambi salire sullo stesso treno, lo aspettavano in piedi sul marciapiede uno accanto all’altro e quel viaggiatore tirava con avidità delle grandi boccate di fumo prima dell’imminente arrivo del convoglio, poi le lasciava andare in grandi nuvole che lo avvolgevano. Mentre il treno stava per arrivare, Osvaldo iniziò a ritmare il suo respiro in base alle vampate di fumo che arrivavano e quando l’altro lanciò la sigaretta a terra per salire, lui la raccolse e non entrò più sul quel treno. Finì quel mozzicone rimasto e poi al momento di buttarlo via sentì il desiderio di averne ancora. Ditegli smetto quando voglio! Comprò le sigarette, perse il treno e salì su quello successivo ma senza biglietto. Da quel giorno fuma senza sosta raccogliendo cicche a terra e ogni volta che ne trova una macchiata di rossetto, ripensa a sua moglie e alla vita che aveva prima, poi tutto passa in quella testa matta. Non chiede mai soldi per mangiare, rimedia sempre qualcosa e a volte arrangiarsi significa svuotare la ciotola che qualche gattara riempie per i randagi, mentre a una sigaretta non riesce proprio a resistere. Essere fumatore è una


18 dannazione, puoi essere un famoso medico, un illustre professore o un poveraccio alla canna del gas, ma la sigaretta rende tutti uguali.» «Come ti pare, ma se quell’ometto esce vivo dal cesso, ti uccido con queste mani.»


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CAPITOLO 4

«Come va, dottore?» «Buongiorno, Padre Gino. Il paziente si è ripreso, ha un trauma cranico ma ora sta meglio. Il problema è che non parla, è vigile ma non dice una parola. Non sappiamo se capisce la nostra lingua o meno, potrebbe anche aver perso la memoria.» «Buon Dio, aiutaci! E adesso come possiamo fare?» «È già stato in commissariato?» «Sì, ho parlato con il Commissario, gli ho spiegato tutta la situazione e ho dato la disponibilità della parrocchia a ospitarlo finché non si sarà ripreso e non riusciremo a capire da dove venga.» «Affidato al suo buon cuore sono certo che sarà al sicuro e si riprenderà presto, però lo terremo qui in ospedale ancora qualche giorno per essere tranquilli sul suo stato di salute, poi la contatterò quando potrà alzarsi ed essere dimesso.» *** «Come ti chiami?» chiede spazientito il Commissario Morelli per l’ennesima volta. «Rogna» di risposta. Nella sala degli interrogatori, il ronzio dello starter difettoso di uno dei neon produce, nel silenzio generale, un rumore assordante, e una luce a intermittenza rende la scena surreale. Nessuna finestra, per evitare che qualcuno finisca di sotto, lanciandosi o essendo lanciato, un caldo asfissiante ben sopra le medie del periodo, aria condizionata rotta e un minuscolo ventilatore che sposta masse omogenee di afa. «Rogna hai detto?» sbattendo la penna sui verbali che deve compilare in queste circostanze «credi che stia giocando? Non hai uno straccio di documento dietro, pensi che ti possa registrare in questo modo? Che cos’è, un nome d’arte?»


20 «È quello che trova chi mi cerca» sostenendo fiero lo sguardo del Commissario. È quasi un’ora che la situazione non si sblocca, ma il tutto rientra nella normalità. Il Commissario Morelli inizia di solito l’interrogatorio, in quanto a lui spetta tale sgradita incombenza visto il grado che riveste, poi giusto a metà si scazza e lascia il posto al suo vice Segapeli, che porta a casa il risultato. Un copione già scritto, una prassi accettata tanto che Morelli giusto ora, che per l’ennesima volta ha sbattuto i pugni sul tavolo, guarda il grosso orologio rotondo a quadrante bianco e lancette argentate appeso dietro al sospettato, e si chiede quanto tempo impiegherà Segapeli a farsi vivo. Ora più che mai, visto che è dai tempi della Grande Guerra che in quel piccolo commissariato di quello sperduto paesino dell’entroterra non si tratta un caso di omicidio. La sottile arte dell’interrogatorio non è mai stata un caposaldo delle tecniche investigative di Morelli, troppo elaborato il lavoro del contraddittorio, troppo complesso il compito di analizzare le inflessioni vocali, o involontari quanto millesimali movimenti del corpo o degli occhi del presunto colpevole, non ha a corti discorsi la dovuta pazienza che il cacciatore ci mette nell’attendere la preda. Lui preferirebbe reagire a tutta quell’ostinazione con un paio d’imprecazioni ben assestate, far saltare la scrivania che lo divide dall’indiziato e prenderlo dritto a sediate in testa, prima ancora di avergli formulato le domande, anche prima di lasciargli il tempo necessario per confessare il duplice omicidio. «Duplice?» «Lasciami continuare.» L’unico deterrente dal seguire lo slancio emotivo che in questo momento fa vibrare il suo corpo, come la corda di un arco che ha appena scoccato una freccia, sono le conseguenze sul piano disciplinare. L’hanno già trasferito a Borgo Alba, come diretta conseguenza delle proprie azioni, cos’altro potrebbero fargli? Essere spediti in quel piccolo paesino dell’entroterra marchigiano, è per Morelli la massima punizione possibile, una vocina dentro gli dice dajela na sediata, che ce vò? Ma lui tira un profondo sospiro, sa che non può, perché non c’è limite al peggio, in qualche altro posto ci può essere una


21 Borgo Alba ben peggiore di quella, e se poi vogliamo parlare di deterrenti che funzionano c’è lei, sua moglie. Pina non gli ha mai perdonato il trasferimento in quel posto lontano da tutto, dalle sue amiche, dai suoi svaghi, dai suoi interessi. Pina non gli ha mai perdonato quel suo carattere così difficile da comprendere, all’apparenza docile e remissivo ma che dentro cova tanta rabbia che si autoalimenta e che poi sul più bello esplode con il botto. Pina non gli ha mai perdonato il fatto di essere la vittima collaterale delle sue azioni. Pina non perdona, e questo è quanto. Già il vivere con una donna rancorosa per quello sgarbo non è cosa facile, ma un nuovo trasferimento, magari in peggio, Pina non lo manderebbe giù e troverebbe mille e uno modi per fargliela pagare. Pina è una donna dalle infinite risorse. Segapeli non si vede. «Fai poco lo spiritoso, non sei nella condizione di fare del sarcasmo» dice Morelli, spezzando sotto la scrivania l’ennesima matita che poi sarà messa a carico del contribuente sotto la voce spese di cancelleria «il cadavere di quel barbone che abbiamo trovato con la gola tagliata nel cesso di quella littorina in stazione, è opera tua?» «Non so di cosa stia parlando.» «Te lo spiego subito. È stato trovato il cadavere di un barbone nei bagni di una vecchia littorina abbandonata, su di un binario morto in una stazione fuori mano e poco frequentata di un posto dimenticato da Dio, Borgo Alba. Tre fermate prima rispetto a dove sei stato beccato tu, e purtroppo per te abbiamo un testimone che ti ha visto salire in treno proprio in quella stazione, la descrizione corrisponde, ti ha riconosciuto. Sei in stato di fermo e sono sicuro che troveremo le tue impronte su quella littorina.» «Il vostro testimone si sarà confuso e avrà visto un altro, avete preso la persona sbagliata, Commissario.» «Certo, anche le settordici persone che ho interrogato prima di te mi hanno detto la stessa identica cosa. Se continuo a interrogare gente a casaccio alla fine, statisticamente, il colpevole lo prenderò di certo, che ne dici?» «Si fotta. Non sono stato io.» «Sarà, questo avremo modo di verificarlo. Il testimone è il macchinista del treno sul quale sei salito alla stazione di Borgo Alba, il merci che hai preso subito dopo aver ammazzato il capostazione.» Le lancette girano e Segapeli non arriva.


22 «Chi è adesso il capostazione?» chiede Rogna, sorpreso. «Come chi è? Non fai conoscenza con le tue vittime prima di tagliargli la gola? Sempre in quella stazione, dove il macchinista ti ha visto salire in treno, è stato ammazzato anche il capostazione. Gli hanno aperto la gola da un orecchio all’altro e guarda caso è proprio la stessa modalità utilizzata per uccidere il barbone. Coincidenze?» «Coincidenze. L’ha detto lei.» «Saranno pure così» dice Morelli, alzandosi dalla sedia per chiedere di Segapeli che ancora non si è visto «ma sono coincidenze che depongono a tuo sfavore e abbinate a una testimonianza, ti possono spedire al fresco per il resto dei tuoi giorni.» «Fammi capire, te la sei tirata per una ventina di pagine traccheggiando con descrizioni che non fregavano niente a nessuno e adesso di punto in bianco abbiamo ben due cadaveri e il presunto omicida già catturato dalla polizia?» «Non male, eh?» «Ma sei tutto stupido? Non mi fai nemmeno un’efferata descrizione degli omicidi? Non crei nemmeno un po’ di suspense con le indagini? Che facciamo, fra tre pagine i morti resuscitano o chiudiamo così il romanzo? Poi il capostazione cosa c’entra, da dove lo hai fatto saltare fuori?» «Accidenti è vero, aspetta.» Le lamiere esterne arroventate dal sole ustionano al contatto, è faticoso tenere gli occhi aperti per la forte luce. Esce dalla littorina per raggiungere la fontanella e lavarsi, si guarda in giro, deserto. I binari accompagnati da ambo i lati da cespugli dalle fioriture gialle, scompaiono poco più in là dietro una svolta. Ogni stazione ferroviaria ha una fontanella vicino ai bagni, è come un dogma. Apre il rubinetto al massimo, il getto d’acqua non centra bene lo scarico e forma una pozza intorno ai suoi piedi, gli spruzzi di rimbalzo gli offrono un po’ di sollievo. Si china per raccogliere l’acqua con entrambe le mani dopo aver scacciato delle api che stanno lì per la stessa identica questione, e se la rovescia addosso. L’acqua scorre lungo il suo corpo, portando via lo sporco, il sudore, gli odori e il resto. Ora ha fame. Si avvicina allo stabile centrale della stazione e poggia il volto sulla finestra, facendosi scudo con le mani per coprire il riflesso del sole sul vetro. Non c’è nessuno. Un tavolino pieno di scartoffie tenute ferme da un posacenere pieno di mozziconi spenti, un telefono del tipo bi grigio e


23 la sedia scostata con appesa una giacca di colore blu scuro. Di lato una lunga macchina sul cui piano spuntano una serie di leve in diverse posizioni, e luci colorate su di un pannello raffigurante quel tratto ferroviario che a intermittenza si accendono e si spengono. Un cappello di colore rosso da capostazione con lo stemma delle F.S. poggiato sopra, insieme a un fischietto e una paletta segnaletica. Nessun’anima viva. In fondo a uno stretto corridoio si apre un’altra stanza, sembra non essere adibita ad alcuna attività lavorativa. Da quello che il punto di vista concede, si scorge un poster o forse un grosso calendario appeso alla parete, un tavolinetto con una piccola postazione da cucina alimentata da una bombola a gas blu scuro, posta sotto e sopra al fornello una grossa moka Bialetti da sei tazze, che sarebbe in alluminio color argento se non fosse tutta annerita e incrostata. Chi prepara il caffè in quel luogo è della scuola di pensiero che la macchinetta non va mai lavata e se proprio c’è la necessità di farlo, occorre utilizzare solo acqua corrente e olio di gomito, senza nessun tipo di spugnetta abrasiva o prodotto chimico. Poco di lato si riesce a intravedere lo spigolo di un tavolo sul quale poggiano beati una coppia di piedi accavallati, vestiti da calzini in filo di Scozia di colore scuro tinta unita. A terra, poco distante, una scarpa nera lucida giace a terra poggiando di lato. Sono i piedi di qualcuno che riposa sprofondato su di una sedia o su di una poltrona, di qualcuno che dorme. Magari per sempre. Prova a bussare sul vetro per richiamare l’attenzione, per chiedere un po’ di avanzi, anche solo un caffè dalla macchinetta incrostata e magari una sigaretta, invece niente di niente. Non è facile svegliare il capostazione di una fermata fuori mano e poco trafficata come quella, dall’immeritato sonno degli ingiusti in cui è sprofondato durante l’orario di lavoro. Forse non è facile svegliare un morto, poiché l’unico precedente conosciuto è quello di Lazzaro di Betania, oltre all’Altissimo. Si accorge, però, che di lato, accanto al lungo macchinario pieno di leve e luci a intermittenza, è rimasta aperta una piccola finestra per far circolare l’aria e trarne così rimedio dall’estiva calura. «Quindi entra e lo ammazza, magari nel sonno, e poi gli svuota anche il frigorifero.» «Qualcosa del genere, che ne dici?» «Non capisco, ma il capostazione sta dormendo o è già morto? Non è che questo entra per ammazzarlo e lo trova già stecchito.» «Sai che ancora non lo so?»


24 «Certo che ce ne vuole per vedere un po’ d’azione, devi sperare di trovare lettori con tanta pazienza. Non capisco, quindi l’altro barbone l’ha già ammazzato e questo è il secondo che fa fuori? Il nostro killer si è appena svegliato, ne ha già ammazzati due e ancora non è arrivato mezzogiorno?» «Per adesso è solo un’idea, è ancora tutto da vedere, soprattutto il piano temporale della vicenda.» «Però ci sono cose che devi migliorare, i tempi ad esempio sono biblici, la narrazione è poco pulp, chi legge questo genere vuole vedere schizzi di sangue ovunque, i polpastrelli devono essere impregnati di liquido ematico e lasciare l’impronta sulla carta quando si gira la pagina. Hai già ammazzato il primo? Lo diamo per scontato perché il Commissario sta già interrogando il colpevole, il secondo omicidio è uscito dal nulla, come si spiega? E ci vuole qualcuno che svolga le indagini in base alle ipotesi che il lettore si costruisce leggendo. Poi Morelli, da dove sbuca questo?» «È il cognome dell’attore che interpreta Coliandro.» «Se piace a te. Sai cosa ci servirebbe? Uno che sa scrivere ad esempio.» «Ridi e se l’assassino non fosse lui?» «Andiamo bene…» Alla fine Segapeli fa il suo ingresso nella stanza degli interrogatori. «Scusi Commissario, poi le spiego.» «Segapeli, appena in tempo. Sì, poi mi spieghi» volgendo le spalle al sospettato «avevo quasi deciso di rompergli l’osso del collo a questo. Dai siediti al mio posto, ti lascio il campo perché sta per crollare, c’è solo da riempire i verbali e fargli firmare la confessione» e rivolgendosi al presunto omicida «sei spacciato è meglio che ti decida a confessare tutto. Sei un vagabondo che vive muovendosi di continuo su convogli a rotaia, hai ammazzato il barbone per futili motivi, forse perché vi contendevate la littorina come posto per dormire e poiché ti ci sei trovato, hai ammazzato anche il capostazione per potergli svuotare il frigo. Dove hai nascosto il coltello? Stiamo perlustrando tutta l’area e anche lungo i binari, ti assicuro che lo troveremo con sopra le tue impronte digitali. Hai agito da solo o hai un complice?» Rogna appoggia la schiena alla spalliera della sedia che scricchiola, e congiunge le mani dietro la nuca. «Viaggia sempre di notte. Viaggia per brevi tratte e non viaggiare con chi non può garantire per se stesso» risponde serafico.


25 «Cos’è? Avete dei codici di comportamento, voialtri? Quindi il barbone l’hai ammazzato dopo che insieme avete ucciso il capostazione. Avete litigato per svuotargli il frigo e quando è risalito sulla littorina, l’hai seguito» gli ringhia contro Morelli. «Come devo dirle che non sono stato io?» «Allora chi è stato?» incalza Segapeli. «Non mi crederebbe mai.» «Forse hai ragione, ma l’alternativa è che ti spedisco in galera per il resto dei tuoi giorni. Quindi cosa ti costa provare?» sentenzia il Commissario dandogli le spalle e imboccando la porta per uscire. Rogna si piega in avanti sul tavolo e si massaggia il viso con entrambe le mani. «Crede che per me possa essere un problema finire dentro? Per vivere sui treni hai poco tempo per pensare, ancora meno per parlare e quasi niente per agire. C’è un cimitero là fuori, Commissario.»


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CAPITOLO 5

La notte è inoltrata da un pezzo sopra Borgo Alba, Pina è andata alla sala bingo del paese con le sue amiche, o almeno è quello che dice in un biglietto giallo appeso al frigo. Vuoto. Sia il frigo sia lo stomaco di Morelli, che inizia a reclamare qualche attenzione. La caffeina ti manda avanti ma non si può andare avanti solo a caffeina. Passa il dito indice sopra il nome della moglie scritto in fondo al biglietto, quelle quattro lettere solo le uniche cose che il Commissario accarezza da un po’ di tempo, diciamo da quando sono stati costretti al trasferimento forzato a Borgo Alba e da quando sua moglie ha deciso di fargliela pagare. “Avrà un amante?” Si sente un adolescente quando si pone questa domanda, eppure se la pone ogni volta che rientra a casa e non la trova. In sostanza ogni volta. “Un amante, Pina?” Lui è un Commissario, potrebbe farla pedinare, potrebbe metterle sotto controllo il telefono, potrebbe smuovere mari e monti per arrivare a saperlo; più di una volta gli è venuta in mente questa idea ma ogni volta desiste. Forse non lo fa per paura di quello che potrebbe scoprire, forse non lo fa per paura della rappresaglia che la donna potrebbe innescare venendo a sapere una cosa del genere, forse non lo fa solo per rispetto. A Pina non la si fa, con il tempo e l’esperienza ha tratto questa conclusione. Una volta da ragazzi, quando la vita era più scanzonata, lei glielo disse scherzando, almeno lui aveva capito così. Il Commissario ispeziona la dispensa alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare, una merendina, un avanzo, qualsiasi cosa. “Dannata cucina salutista di Pina” e tutte le sue fisime sul benessere a tavola e la sana alimentazione. Lei va a fare spesa tutti i giorni, solo prodotti freschi della zona, li cucina, se li mangia e da quando ha litigato con suo marito per il trasferimento, non lascia mai niente di pronto.


27 Gli andrebbero bene anche le crocchette del cane se solo ne avessero uno, sua moglie glielo aveva anche proposto ma lui si era rifiutato di tenere un animale in casa. Ormai è parecchio che Pina dialoga con Morelli solo tramite post it giallo canarino appesi allo sportello del frigo, una comunicazione a un’unica direzione. Lei scrive dov’è andata, giusto per informarlo in caso di necessità, ma non vuole essere cercata al telefono. Lui non risponde nemmeno a quei messaggi, che sfidano la gravità tramite il lato adesivo, a lei non interessa. Sa che lui è a lavoro se non ce l’ha tra i piedi in casa. Da quando c’è stato il trasferimento forzato a Borgo Alba, Morelli ha perso tutti gli amici e tutti gli interessi, gli è rimasto solo il lavoro. Non paga di questo Pina, gli ha intimato di svolgere al meglio il suo incarico e far vedere che vale qualcosa, nella speranza di una reintegrazione nel nucleo operativo di qualche posto civilizzato, rispetto a quel buco disperso tra le montagne dell’entroterra marchigiano. Non è tanto per dire, da quel frangente lui ha perso in maniera definitiva il proprio nome di battesimo, adesso gli rimane solo il cognome e il ruolo ma nell’ordine inverso. Commissario Morelli, in servizio H24 fino a nuova disposizione di Pina o fino a nuovo trasferimento. Quando lui è a lavoro lei è a casa, può darsi, quando lui torna a casa, lei è sempre chissà dove persa nella scia di post it gialli che si lascia dietro, indicando i luoghi più disparati, le compagnie più improbabili, senza un minimo di data o ordine. Morelli, sfiancato dalla situazione, non li stacca più e lei nemmeno, i bigliettini si mescolano e si sovrappongono, rimanendo appesi insieme con quelli dei giorni precedenti. Il risultato è che il Commissario non sa più qual è quello in vigore nel giorno corrente, e persa ogni speranza non li legge nemmeno più. Sa che lei non c’è e basta, lui non lo ammetterebbe mai, ma ne sente la mancanza. Se poi lui rincasa la sera tardi e per sbaglio la trova a letto, sa già che gli toccherà il divano e il mal di schiena per tutto il giorno seguente. Una consuetudine, ormai è una prassi consolidata. Pina è da un po’ che porta avanti questa tecnica di guerriglia, ferire e lasciar sanguinare il nemico per fiaccarlo, fino a renderlo inerme e poi dargli il colpo di grazia. Rimane da chiedersi in che cosa possa consistere questo colpo di grazia e quanto tempo ancora sarà costretto a sanguinare Morelli, ma il Commissario non è solito farsi troppe domande. Gli interrogativi, le


28 congetture, le ipotesi che poi portano alla soluzione del caso è Segapeli a farle, lui tira dritto per la sua strada e di solito è quella sbagliata. Questa sera è solo di passaggio, ha visto la situazione, ha visto il frigo vuoto ed è subito uscito. Con due omicidi sulle spalle, come da tanto tempo non accadeva, può essere una buona notte per lavorare, perlomeno per tenere occupato il cervello in qualcosa. Poi, come ogni volta, venendo a mancare le forze, si sarebbe abbandonato sulla scomoda poltrona nella sala d’aspetto o sulla sua sedia, poggiando la fronte sul bordo della scrivania. Il grande stanzone del commissariato a quest’ora di notte è come piace a lui, deserto. Le scrivanie in disordine sono piene di fascicoli e faldoni lasciati alla rinfusa, computer spenti, bottiglie d’acqua smezzate e foto dei familiari dei suoi colleghi. Foto felici. Compie uno sforzo interiore per non fare alcun confronto con la sua situazione, è lì solo per lavorare. Per arrivare alla sua postazione all’angolo è costretto ad aggirare cestini pieni di cartacce e sedie lasciate in mezzo al passaggio, facendo attenzione agli spigoli delle scrivanie disallineate pronte a colpire all’altezza della coscia. Si siede al suo posto, guarda fuori dalla finestra, la apre per far uscire un po’ d’aria viziata e far entrare un po’ della notte. Si gusta il silenzio ovattato che lo circonda all’interno di quella stanza, in contrasto con un rumore costante di sottofondo proveniente dalle vie del centro. Dal primo cassetto della scrivania tira fuori un ammezzato e lo accende, seguendo con lo sguardo una densa nuvola di fumo che si disperde lenta verso l’alto, e poi imbocca la finestra. Non fuma più sigarette, ha smesso. Non perché si è imposto la cosa a difesa della sua salute, ma per Pina. Lei aveva smesso e subito dopo aveva cambiato le tende e le tappezzerie della casa, smettere per lui era stata la conseguenza logica dei fatti. Un ammezzato ogni tanto, solo fuori di casa, è tutto quello che gli è rimasto del vizio. Sulla sua scrivania, in maniera ordinata all’interno di una cartellina chiusa nella parte superiore da una penna infilzata in posizione perpendicolare, il verbale della deposizione del sospettato lasciata da Segapeli. Impeccabile come sempre quel ragazzo. Il Commissario pensa a lui che nel luogo dove l’hanno spedito in confino è quello che più si può avvicinare alla figura di un buon amico. Lo pensa a quell’ora della notte, forse abbracciato a cucchiaio alla sua fidanzata, poi pensa a Pina e a


29 quando anche lui si addormentava abbracciato a lei, affondando il naso nei capelli dietro l’orecchio, quelli più morbidi. Segapeli parla poco della sua fidanzata, spesso la utilizza come scusa per sottrarsi a un’uscita con i colleghi o per giustificare un ritardo, ma nessuno l’ha mai vista. Per quanto c’è dato sapere, lui vive in casa di lei in un paese vicino. Per un posto come Borgo Alba, e per le affilate lingue che lo abitano, la relazione sentimentale del giovane agente sarebbe un mistero sul quale indagare, se il duplice omicidio della stazione non avesse preso di prepotenza la scena. Apre una pagina a caso del verbale. “Come fa Segapeli ad avere una scrittura così ordinata?” si chiede il Commissario. Il ragazzo è proprio un tipo anomalo, molto disciplinato, preciso, se non fosse per la fidanzata, sarebbe anche un tipo puntuale. Come aiuto è impeccabile e in più di un’occasione Morelli si è trovato a sospirare tra sé: “Fortuna Segapeli!” ma sempre sottovoce, senza farsi sentire da nessuno. Guarda la scrivania di Segapeli posta proprio accanto, riguarda la sua, riguarda quella del collega mentre la cenere del sigaro gli cade sopra il fascicolo aperto. Sono come il giorno e la notte, l’altra è ordinata, precisa con tutti gli oggetti allineati, le matite temperate, le penne con il relativo tappo del corrispondente colore, i fogli impilati; la sua è come se un pachiderma ci si fosse seduto sopra, muovendo l’enorme fondoschiena per farsi spazio tra il disordine imperante. Prende il fascio di fogli e soffia via il residuo di cenere fuori dalla finestra “quel ragazzo farà strada” pensa scuotendo la testa “ora mettiamoci al lavoro”. Prende la deposizione, la apre, inizia a leggerla. Dopo un po’ arriva alla fine, la gira, la rigira, la riapre e parte per la seconda lettura. Arriva alla fine, la chiude e la riapre in una pagina a caso. Tenta la fortuna, magari un’ispirazione dettata dalla sorte. La richiude. Guarda fuori dalla finestra, il buio della notte, la fame nello stomaco e l’effetto dell’ultimo caffè bevuto che va svanendo, il sapore forte e persistente dell’ammezzato in bocca. «Insomma bello sfigato questo Commissario.» «Umanamente sfigato direi, ma anche romantico, innamorato, vittima del destino, con i suoi problemi e i suoi difetti, uno che nonostante tutto resiste.»


30 «Ho capito, è capitato anche il Commissario sfigato ma questo Segapeli? Che tipo è? Maniaco dell’ordine, una misteriosa vita privata da nascondere, ma è lui il vero assassino?» «E allora scrivilo tu questo romanzo, non ti sopporto più.» «Era lui vero?» Yè, il ragazzo delle consegne del ristorante cinese, ha appena lasciato l’ordine in guardiola, loro seguono gli stessi orari lavorativi di Morelli, sempre aperti. Il Commissario si sta chiedendo se anche loro al ristorante hanno una piccola Pina dalla pelle gialla e gli occhi a mandorla che li comanda a bacchetta, magari con le bacchette. Gli sfugge un sorriso per lo stupido gioco di parole mentre scende le scale per ritirare la cena all’ingresso, perché Passolento, l’agente che lavora in portineria, a quell’ora della notte sarà di sicuro a casa sotto le lenzuola abbracciato a sua moglie. Beato lui. Morelli ha riconosciuto il rumore della marmitta sfondata del cinese, che con il gas a manetta si allontana perdendosi tra i vicoli che amplificano il frastuono. Tempo prima lo aveva fermato perché quel marchingegno infernale faceva un maledetto baccano e più di una vecchia si era lamentata nel centro storico. Il ragazzo era sceso con una calma asiatica, si era tolto il casco e gli aveva sgranato le mandorle in faccia: «Se sequestla motolino a me, io non potele poltale cena a te. Tu non mangiale!» Era stato chiaro, conciso e concettoso, quel maledetto Charlie si era messo d’accordo con Pina, la quale non gli aveva preparato nemmeno più un caffè da quando era stata costretta a seguirlo in quel trasferimento forzato a Borgo Alba. Sequestlale motolino o non mangiale? Questa domanda aveva per un solo secondo attraversato la mente di Morelli, ridestata subito dopo dal rumore della marmitta sfondata del cinese che già si allontanava a manetta verso la plossima consegna. Lo stesso rumore che ora sente in lontananza. Zuppa “Yun Lai” e riso alla Cantonese, cena nel cuore della notte sei euro bevande escluse e consegna gratuita, ha già messo a freddare una cassa di birra nel piccolo frigo che si trova nella sala caffè, lasciando fuori per mancanza di spazio gli yogurt che Passolento consuma la mattina a merenda. Ha difficoltà di digestione.


31 Morelli mangia con avidità alla scrivania sopra i fascicoli, noncurante di eventuali macchie o impronte, l’ammezzato spento poggiato alla finestra aperta. Segapeli è in gamba, conosce per filo e per segno le sue brutte abitudini e per questo motivo custodisce sotto chiave ogni originale dei documenti che fornisce al superiore, premunendosi di riprodurli in molteplici copie contrassegnate da un apposito timbro con scritto copia da lavoro. Quando un fascicolo è preso sotto esame dal Commissario si capisce, i fogli sono sottolineati con estrema violenza, note a margine scarabocchiate, cancellate e riscritte più volte, punti interrogativi disseminati ovunque che ricordano l’appendice posticcia di Capitan Uncino, perfino disegni, geometrici o astratti, oltre alle macchie di cibo perlopiù cinese, tanto da poter ricostruire l’intera cronistoria alimentare di Morelli. Un pisello del risotto è rimasto spiaccicato dove il presunto pluriomicida afferma che lungo la rete ferroviaria, non solo sulla linea che passa attraverso la stazione di Borgo Alba ma la questione interesserebbe una zona molto più vasta e difficilmente circoscrivibile, sarebbero avvenuti numerosi omicidi, molti con la stessa modalità di quelli su cui ora il Commissario sta indagando. Omicidi passati per suicidi e corpi ritrovati dilaniati dal passaggio dei convogli; presunti omicidi poiché i corpi non sono stati ritrovati o forse diventati il pasto di qualche animale selvatico. Corpi ritrovati nei pressi delle rotaie che a distanza di anni reclamano ancora giustizia, perlopiù barboni o vagabondi, invisibili alla società. Passa il dorso della mano sul foglio per togliere il pisello spappolato, che lascia dietro di sé un’imperitura scia verde. Copia da lavoro, fortuna Segapeli. Fortuna Segapeli è diventata nel tempo una vera e propria formula che il Commissario si ritrova a recitare come un mantra durante la giornata. Un elenco dettagliato, forse troppo. Un pazzo mitomane è la prima idea che gli passa in mente leggendo e rileggendo quella testimonianza, ma ci sono due cadaveri in ballo a portare la faccenda sul piano reale. Già un omicidio sarebbe abbastanza per un piccolo paese come quello, del secondo proprio non se ne sentiva la necessità. Morelli apre la cartellina per prendere una nuova copia immacolata del medesimo documento, e richiudendola nota sulla copertina la sigla OSBA, scritta con un pennarello nero.


32 Segapeli è un maniaco dell’ordine e della precisione, è scientifico e analitico, incline a schedare e archiviare secondo un suo personale disciplinare, assegnando acronimi a qualsiasi cosa. Che cosa può mai significare OSBA? Come può lui pensare di risolvere un caso di duplice omicidio come quello se non riesce a spiegarsi nemmeno il significato della sigla che il collega ha dato a quella cartella? Quello che salva Morelli è il fatto di non farsi troppe domande e di andare avanti con la speranza di poter cucire poi, come dicono i napoletani, una pezza a colore sugli strappi che lascia dietro di sé. Il significato lo chiederà poi a Segapeli, per ora l’interpretazione migliore che può fornire è: Occorre Stappare Birra Adesso! Qualcosa proprio non quadra in quella deposizione. Manda giù un lungo sorso e accende il terminale, iniziando a cercare tramite il motore di ricerca le notizie riguardo a barboni e senzatetto trovati morti lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle stazioni. Scorre veloce le voci trovate, ogni tanto si sofferma con umana curiosità su qualche storia, un gruppo di senzatetto italiani che tutte le sere salgono alla stazione di Milano Centrale per dormire sul treno che li porta fino ad Alessandria, e poi rifare il tragitto inverso il giorno successivo. Storie di vite che a un certo punto hanno deviato per un motivo o per un altro, un amore tradito, un abbandono, la crisi che allenta solo un po’ per rinsaldare la presa dopo, storie di carcere che hanno tradito le promesse di recupero, un po’ di tutto. Un esercito d’invisibili dalle mille nazionalità che vivono ai margini della società, spostandosi da un centro all’altro tramite la rete ferroviaria in base alle necessità, trovando il minimo indispensabile per sopravvivere, un avanzo, un rifugio, una protezione. Sono tollerati finché riescono a rimanere celati alla pubblica attenzione e quando invece le situazioni diventano ingestibili, ecco vediamo intervenire la Polfer a sgomberare vagoni, sale d’attesa e parcheggi utilizzati come soluzioni di fortuna. Forse gli viene un’idea brillante. Mette giù la lattina e stacca un attimo lo sguardo dal monitor; si guarda intorno smarrito dal fatto che a quell’ora della notte non c’è lì intorno Segapeli ad avergliela suggerita. È tentato dal chiamarlo ma è troppo tardi, lo immagina abbracciato alla sua ragazza sotto le coperte, prova anche invidia, poi desiste. Per un po’ pensa a Pina, se la immagina alla sala bingo con le amiche che tiene in mano una cartella vincente dove deve chiudere solo l’ultima casella e il banditore che declama: 7, le corna!


33 Si collega al sito del Ministero dell’Interno, Ufficio Commissario Straordinario del Governo per le persone scomparse, il sistema carica il file con estensione PDF e il documento si apre sotto i suoi occhi. Registro Generale dei cadaveri non identificati aggiornato al 30 aprile 2014, centoquindici pagine scritte tanto in piccolo che Morelli si avvicina allo schermo. Forse è questo il cimitero di cui Rogna va parlando nella sua deposizione. Pensa al barbone morto sulla littorina nella stazione di Borgo Alba, un dimenticato, uno di quelli che vive ai margini della società e non compare in nessuna statistica. Un cadavere che nessuno andrà mai a reclamare, dove viene inserito? Ecco la risposta, nella lista dei cadaveri ritrovati dalle forze dell’ordine ma non ancora identificati, un esercito di senza nome che giace da decenni in qualche obitorio sperduto, in camere refrigerate per evitarne il disfacimento. Riprende in mano il fascicolo preparato con estrema cura da Segapeli, le parole dell’uomo in stato di fermo iniziano ad avere senso. Quel Rogna faceva parte di una banda di delinquenti senza fissa dimora, dedita a traffici illeciti di ogni tipo, vivendo in vagoni abbandonati in vecchie stazioni ferroviarie e viaggiando di notte all’interno di treni merci lungo il litorale tirrenico. Volendo abbandonare il branco per motivi ancora tutti da chiarire, era scappato e i suoi compari ne avevano decretato la morte. Era partito così, da solo, viaggiando nel modo che gli era più congeniale, ma scegliendo il litorale adriatico, perché era sconosciuto a lui ma lo era di sicuro anche agli altri, ritagliandosi in questo modo qualche possibilità in più di sopravvivenza. Avevano cercato diverse volte di ammazzarlo, era sempre riuscito a fuggire, e la stazione sperduta di Borgo Alba gli era sembrata un’oasi in mezzo al deserto per stare un po’ tranquillo. Però l’avevano trovato anche lì e secondo quanto dichiarato, il barbone ci aveva rimesso le penne per un semplice scambio di persona. Non dice nulla riguardo al cadavere del capostazione, e afferma più volte di non sapere; quindi con la sola testimonianza la storia non sta in piedi, almeno fin quando Morelli non incomincia a trovare i primi riscontri. Confrontare le affermazioni di Rogna con la lista che si è aperta davanti ai suoi occhi, è come trovare le tracce di una lunga scia di sangue che si trascina per anni. Il teste o il presunto omicida, poiché ancora non è possibile classificarlo con certezza, racconta di eventi isolati, alcuni particolari specifici che gli sono rimasti impressi, periodi più o meno


34 lunghi passati in alcune zone, dettagli che confrontati con i dati raccolti in quell’elenco sembrano incastrarsi. Agli inizi degli anni Duemila, il gruppo o come va identificato, poiché al momento è solo un elemento che prende vita nella testimonianza di un sospettato, operava in Toscana e tra gli svariati omicidi compiuti spunta l’assassinio per questioni di droga di un uomo lungo la tratta che porta al comune di Fiesole. Gola tagliata e lanciato dal treno in corsa lungo una scarpata che passa nei pressi del fiume Mugnone. Questo riportava il racconto di Rogna e Morelli sgrana gli occhi quando nell’elenco del Ministero degli Interni legge che il 12 settembre del 2000 è stato trovato il cadavere di un uomo sulla trentina lungo la tratta ferroviaria al chilometro 301+199 nel comune di Fiesole. Il corpo era in avanzato stato di decomposizione a causa della prolungata permanenza in acqua, non è presente nessuna indicazione sulla causa. Indossava pantaloni scuri, una cinta marrone e scarpe alte allacciate di colore nero. Nessun documento e non si parla di taglio alla gola. Dai resoconti, la sanguinaria banda era sempre in movimento, spostandosi lungo la tratta tirrenica, sostava solo per concludere affari per poi dileguarsi finché le acque non tornavano tranquille. Prima ancora della Toscana erano in Liguria, e anche qui la testimonianza raccolta indica numerosi omicidi, ma quello che Morelli cerca sono dei dettagli, dei riscontri che possano avvalorare o meno questa storia e in questo modo indirizzare l’investigazione. Quello che cerca lo trova all’inizio della pagina successiva, l’elemento che accende una nuova luce sulla vicenda. Rogna non ha assistito a tutti gli omicidi di cui parla, ma riporta anche quelli di cui ha solo sentito parlare. Nel resoconto parla di un nordafricano, forse un marocchino, che è stato ucciso perché aveva sottratto una partita di droga alla banda e si era dileguato senza pagare. In una nota della Questura di Ventimiglia, datata 10 maggio del 1994, è registrato il ritrovamento del cadavere di un nordafricano che giaceva supino lungo la ferrovia al chilometro 255 in località Latte. Nella nota s’indica che accanto al corpo dell’uomo ucciso con un taglio netto alla gola, era stata trovata una piccola valigia contenente indumenti e fotografie di alcuni familiari. Nessun documento per identificarlo, ma quello che a Morelli bastava era il dettaglio delle mani amputate. Aveva rubato, era stato punito. Nei racconti di Rogna si fa anche riferimento alle lotte intestine nella banda, alle rivalità per il comando e la lotta con altre bande di


35 delinquenti o cani sciolti, come l’asiatico che a Pietra Ligure aveva ammazzato un vecchio per derubarlo, richiamando l’attenzione della polizia in un’area dove avevano organizzato i loro traffici. Era stato catturato dalla banda e ucciso con la stessa modalità. Se per la brava Agatha tre indizi formano una prova, quello che ora Morelli ha davanti agli occhi è la dimostrazione che l’uomo in stato di fermo non s’inventa nulla. Il 3 dicembre del 1996 nel comune di Pietra Ligure, presso la stazione ferroviaria di Loano, è rinvenuto il cadavere di un uomo sui settanta anni senza documenti, investito da un treno in transito. La Questura non trova nessun elemento per identificare il cadavere, che nessuno riconoscerà mai. Nella descrizione si parla di un giaccone, maglione e pantaloni grigi. Un orologio da polso marca Casio, con cinturino di gomma di colore nero e di un paio di occhiali da vista dalla montatura marrone con lenti per astigmatismo di tipo miotico per l’occhio sinistro e ipermetrope per quello destro, trovati poco distanti dal corpo, oltre a una protesi dentaria dell’arcata superiore. Nello stesso identico posto il 19 marzo dell’anno successivo, viene trovato il corpo straziato dal ripetuto passaggio di convogli di un uomo di origine asiatica, che indossava brandelli di una camicia azzurra con la scritta Active Wear, jeans azzurri e scarpe da tennis bianche. Nel racconto di Rogna, supportato dal file che Morelli scorre preoccupato, i traffici e i regolamenti di conti che la banda compiva nei suoi spostamenti lasciavano alle spalle cadaveri senza nome per tutta la tratta ferroviaria che taglia in verticale la Campania e il Lazio. Lungo i binari della stazione di Orte, il 14 febbraio del 1994 è stato trovato il cadavere di un uomo sulla quarantina che indossava una giacca di pelle e maglione blu. Comune di San Cipriano d’Aversa, in provincia di Caserta, un uomo è ritrovato il 24 dicembre del 1995, lungo la linea ferroviaria Albanova– Villa Literno. Di carnagione scura con indosso un giubbotto scuro, pantaloni scuri e una camicia rossa e nera. All’altezza di via Casilina 203 a Roma, lungo i binari è stato trovato il 17 luglio del 1997, il cadavere di un uomo, capelli scuri che indossava jeans e camicia a quadri verdi e bianchi. A Minturno, presso lo scalo ferroviario Scauri–Minturno, il 18 dicembre del 1997 è ritrovato il cadavere di un uomo sulla trentina, capello rossiccio castano, occhi castani. Rogna racconta che questo era fatto ed è morto senza sentire nulla, anzi sembrava quasi divertirsi e cantava a


36 squarciagola una qualche canzone di Piero Pelù, almeno finché la gola non gliel’hanno squarciata. Morelli inizia a sudare freddo, forse la stanchezza o forse il cibo cinese o magari il resoconto che sta leggendo, ma ha un mancamento. Prova ad alzarsi dalla sedia ma subito si risiede, respira a fondo, ingolla un altro lungo sorso di birra, apre ancora di più la finestra vicino, e poggiandosi al davanzale riesce ad alzarsi. Respira forte l’aria frizzante della notte, guarda la luna tra i monti e prende l’ammezzato, lo accende e avido tira due o tre boccate consecutive. Ora sta meglio, riprende lista delle persone scomparse ed è proprio vero, è arrivato a leggere dove si descrive il tatuaggio sul braccio sinistro di un cobra con ai lati i volti di due donne. In alto la scritta Litfiba e sotto El Diablo. Nel comune di Graffignano, lungo la tratta ferroviaria Orte-Orvieto è stato trovato l’8 giugno del 2001 il cadavere mummificato di un uomo che indossava camicia e pantaloni di jeans, canotta bianca, calzini bianchi a righe rosse con la scritta Ferrari, scarpe di cuoio marrone e un bracciale di plastica nero. Lazio, Roma. Il 27 settembre del 2002 hanno trovato il cadavere di un uomo lungo la tratta Roma–Fiumicino e sulla stessa linea il 16 febbraio del 2008, un altro uomo investito da un treno in transito è deceduto all’ospedale San Camillo. Anche questo senza documenti, anche questo rimasto senza identità. Comune di Cesa, Caserta. Trovato il cadavere di un uomo il 17 novembre del 2002 lungo la linea ferroviaria Aversa–Sant’Antimo, al chilometro 180+140. Carnagione chiara, un giubbotto di stoffa scuro, maglietta bianca e pantaloni beige. Comune di San Marcellino, ancora a Caserta. Rinvenuto il 25 marzo del 2010 il cadavere di un uomo sulla quarantina lungo la ferrovia prima della stazione. Capelli castani, occhi di colore marrone chiaro. Aveva un giubbotto nero, un maglione grigio, una camicia blu e un pantalone verde scuro con sotto un pantalone del pigiama rosso. Napoli lungo la tratta Casoria–Frattamaggiore, l’8 novembre del 2010 è stato rinvenuto il cadavere di un uomo sulla trentina, con una tuta da ginnastica blu e nera, capelli scuri, occhi chiari e denti in metallo cromato. Salerno, Comune di Vibonati, lungo la tratta Villamare–Capitello, trovato il cadavere di un uomo il 5 aprile del 2012, probabile causa un


37 investimento ferroviario. L’uomo dai capelli rasati alto un metro e settantadue, indossava pantaloni e giubbino scuri marcati ACG. Comune di Santa Maria Capua Vetere, ancora a Caserta. Ritrovato il 16 aprile 2012 il corpo di un uomo sui quaranta anni, lungo la tratta ferroviaria Roma–Napoli al chilometro 209+674. La presunta causa del decesso è un investimento ferroviario, l’uomo era di possibile nazionalità Est Europea, aveva folti baffi castani e indossava un bomber scuro con la scritta DEBISTAR su una spalla, pantaloni in tessuto blu e pigiama celeste, maglia marrone e scarpe da tennis Nike. Salerno, Comune Pontecagnano Faiano. Lungo la linea ferroviaria Napoli–Battipaglia è stato rinvenuto il cadavere di un uomo sulla sessantina il 1 luglio del 2012. Carnagione chiara e corporatura robusta, capelli brizzolati, indossava un pantaloncino verde e una camicia a quadri. Accanto al cadavere sono stati rinvenuti due paia di occhiali da vista, uno con la montatura dorata, l’altro con la montatura argentata. Possibile causa del decesso: investimento ferroviario. È nel resoconto di Rogna. Ogni volta che la banda colpiva, si spostava in un altro luogo appena la situazione si faceva complicata, viaggiando sempre di notte, sempre su treni merce per poi ritornare anche a distanza di anni, se e quando le acque si fossero calmate. Dalla Liguria alla Campania, lungo tutta la tratta Tirrenica. Come ha detto Rogna: C’è un cimitero là fuori, Commissario. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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INDICE

CAPITOLO 1 .................................................................................. 3 CAPITOLO 2 .................................................................................. 8 CAPITOLO 3 ................................................................................ 14 CAPITOLO 4 ................................................................................ 19 CAPITOLO 5 ................................................................................ 26 CAPITOLO 6 ................................................................................ 38 CAPITOLO 7 ................................................................................ 43 CAPITOLO 8 ................................................................................ 53 CAPITOLO 9 ................................................................................ 64 CAPITOLO 10 .............................................................................. 74 CAPITOLO 11 .............................................................................. 84 CAPITOLO 12 .............................................................................. 91 CAPITOLO 13 .............................................................................. 99 CAPITOLO 14 ............................................................................ 112 CAPITOLO 15 ............................................................................ 123


CAPITOLO 16 ............................................................................ 133 CAPITOLO 17 ............................................................................ 141 CAPITOLO 18 ............................................................................ 146 CAPITOLO 19 ............................................................................ 155 CAPITOLO 20 ............................................................................ 163 CAPITOLO 21 ............................................................................ 166


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