CLAUDIO FELICI
GIULIA
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Serie BIG‐C Grandi Caratteri, lettura facilitata
GIULIA Copyright © 2013 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-534-2 Copertina: Illustrazione di Claudio Felici
Prima edizione Maggio 2013 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova
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Capitolo 1 Modena, 13 Agosto 2012 Oggi è troppo caldo per uscire di casa. La protezione civile ha dato l’allarme per le alte temperature fuori dalla norma, sembra che nei giorni scorsi ci siano già state delle vittime per il caldo e oggi è scattato il codice rosso con punte previste che supereranno i quaranta gradi. Ogni anno mi ripeto che farò installare un maledetto condizionatore, e puntualmente ogni volta che torna l’estate mi maledico per non averlo fatto. Odio quegli aggeggi infernali, grazie a loro ci si ammala più d’estate che d’inverno, colpa dei repentini sbalzi di temperatura che scaraventano il tuo corpo da una condizione termica di quaranta gradi a una di sedici tutto di un botto, e sono anche una delle cause del riscaldamento globale, almeno a quello che ho sentito dire in giro. Certo però che in giornate come queste, quando il sole arroventa le case trasformandole in giganteschi forni crematori e l’aria diventa così rarefatta da risultare quasi irrespirabile, un pizzico di fresco in più ti attrae più di una bella ragazza seminuda e ammiccante sdraiata sul tuo letto.
4 Comincio ad averne abbastanza di queste giornate vuote tutte così maledettamente uguali. Francine, la mia ragazza, ha iniziato con il suo nuovo lavoro di ragazza immagine in uno dei locali più di tendenza della riviera romagnola, il Lady Violet, un edificio modernissimo proprio in riva alla spiaggia che offre cibo e bevande mentre bellissime ragazze intrattengono i clienti cantando, ballando o semplicemente parlando con loro. Questo è uno dei periodi in cui il locale è più affollato e lei come ultima arrivata ha dovuto beccarsi proprio il periodo di lavoro peggiore, senza potersi prendere neanche un solo week‐end libero. Per me invece è il contrario. La mia azienda, una grandissima industria di ceramiche per la quale da anni mi occupo di relazioni con i clienti e i fornitori, ha deciso che io ultimamente sto lavorando troppo, che tutte le ore di straordinari fatte nell’ultimo periodo, tutti quei giorni nei quali mi sono offerto di sostituire colleghi malati o in trasferta, tutta quella mole di lavoro che ho dovuto sopportare in quest’anno e soprattutto durante gli ultimi tre mesi mi abbia portato una sorta di piccolo esaurimento nervoso che, testuali parole prese direttamente dalla lettera che mi è arrivata da parte del responsabile del personale, “potrebbe in una qualche maniera avere degli effetti negativi sui rapporti interpersonali sia con i colleghi di lavoro che, cosa ancora più grave, con i clienti affermati e i possibili tali.”
5 E pensare che devo tutto questo a quell’imbecille di Hoffman, un’idiota di business man inglese che per mesi mi ha fatto perdere tempo fingendosi interessato a intraprendere colossali affari con noi. Mesi di tempo e di lavoro sprecato, due viaggi a Londra dove il sedicente impresario mi parlava del suo piano di portare le nostre piastrelle “fin dentro al gabinetto personale della regina”, come amava spesso ripetere. Poi, proprio quando ormai credevo di essere vicino alla firma del famigerato contratto che sarebbe passato alla storia come l’affare più grosso mai conclusosi durante cinquant’anni di attività, incontro quel maledetto farabutto all’uscita del teatro comunale con al fianco una stangona russa di un metro e novanta; me la presenta dicendo di aver finalmente trovato l’amore e che subito dopo l’estate si sarebbe sposato e trasferito con lei nel suo paese. Purtroppo, andando via da Londra, non avrebbe più avuto modo di seguire il nostro progetto e quindi si dispiaceva di non poter più firmare il nostro contratto. Comunque mi ringraziava, perché era stato proprio grazie ai frequenti viaggi in Italia per discutere con me delle ceramiche che aveva potuto incontrare Alina, che lavorava in nero come badante di una anziana signora proprio nell’appartamento di fianco quello che Hoffman amava affittare ogni volta che veniva nel nostro paese.
6 Era così contento il grosso bastardo, se ne stava in piedi davanti a me con gli occhi che brillavano come quelli di un sedicenne e continuava a elencarmi tutti i benefici che quella storia d’amore stava portando alla sua vita, senza neanche minimamente preoccuparsi di quali gravissime conseguenze ci sarebbero state nella mia se non avessi portato a termine il mio lavoro. All’inizio pensai quasi che scherzasse. “Ma sì, vedrai che ti sta soltanto prendendo in giro e che da un momento all’altro svelerà il suo gioco e ti proporrà una data per poter mettere nero su bianco tutto quello che vi siete detti” continuavo a ripetere dentro di me. Ma il gioco continuava ad andare avanti, e sebbene io cominciassi a fargli capire che se era uno scherzo non lo trovavo molto divertente, lui sembrava fregarsene completamente delle mie parole e si preoccupava solo di ostentare la sua gioia. Non stava scherzando, il maledetto lardoso era veramente intenzionato a mandare tutto a puttane. Lo shock fu troppo forte, le sue parole pronunciate mentre teneva la sua lurida e grassa mano sul sedere sodo di una bambola senza cervello che avrebbe potuto essere sua figlia mi scossero i nervi a tal punto che senza neanche rendermene conto strinsi il pugno destro con forza e lo colpii al volto con tutta la rabbia che mi era salita in quegli attimi.
7 Il sollievo che provai colpendo quel grasso maiale che mi aveva preso in giro per tutto quel tempo purtroppo svanì presto, e mi ritrovai con una denuncia per aggressione e lesioni personali e con tutti i vertici dell’azienda che mi minacciavano di licenziamento se solo Hoffman avesse in qualche modo messo in mezzo anche loro. Per fortuna Hoffman non tirò mai dentro la ditta, quella stangona che aveva al fianco probabilmente impegnava tutte le sue energie oltre che il suo conto in banca. Anche se la mia azienda non ebbe assolutamente nessun tipo di problema, la paura che un evento del genere potesse succedere di nuovo e con conseguenze ben peggiori fece sì che mi venissero assegnate delle ferie forzate. Quando colpii Hoffman ero effettivamente durante il mio orario di lavoro, quindi se non avessi accettato le loro condizioni mi avrebbero tranquillamente potuto licenziare su due piedi usando l’aggressione di un cliente come pretesto. Anche i miei colleghi erano d’accordo al mio allontanamento temporaneo; li sentii dire che ero cambiato, che da tempo ormai sembrava quasi non mi si riconoscesse, che non parlavo più con nessuno e trattavo tutti con freddezza e superficialità. Andassero a farsi fottere anche loro. Non ho bisogno della loro amicizia come loro non hanno bisogno della mia, quindi si facessero gli affari loro senza intromettersi nei miei.
8 Dicono che sono io che mi estraneo dal gruppo, che non socializzo con loro e che me ne rimango rintanato nel mio ufficio tutto il giorno. Per forza, al contrario di loro io lavoro! Cosa diavolo si aspettano, che con un affare da svariati milioni di euro tra le mani io abbia il tempo di andare a parlare del risultato delle partite della domenica o a fare commenti sulle tette della nuova stagista? Sono soltanto dei patetici ragazzini che non riescono a capire cosa sia realmente il lavoro e vivono la vita alla giornata, senza minimamente preoccuparsi del loro futuro. E pensare che un tempo li consideravo amici; uscivamo insieme, ci ritrovavamo a casa di qualcuno per una cena e quattro chiacchiere in compagnia, ero sempre disponibile a dare loro una mano se per qualche strana ragione ce ne fosse mai stato il bisogno, e pensavo che anche loro la pensassero così. E invece bastano un paio di mesi in cui uno è più impegnato e non può dedicargli tutto il tempo che desiderano che sono subito pronti a rimpiazzarti, a voltarti le spalle e a darti la colpa di tutto, perché loro si sono trovati sempre bene con te, sei tu che sei cambiato e hai preso a trascurarli. E dove sono adesso tutte queste persone che non vedevano l’ora di fare quattro chiacchiere in amicizia? Sanno che sono a casa da tre giorni ormai e ce ne fosse stato uno che abbia fatto una telefonata. Patetici imbecilli.
9 Tre giorni dentro casa a morire dal caldo e dalla noia. In TV non c’è nulla di interessante da vedere, repliche di vecchie trasmissioni per casalinghe annoiate e soap opera scritte da scimmie senza mani. La televisione è diventata un tale immondezzaio che non capisco perché ci sia ancora gente disposta a pagare il canone per guardarla. Fuori la città è deserta, i negozi sono praticamente tutti chiusi per ferie e la maggior parte della gente è partita per le vacanze. Quelle poche famiglie che sono rimaste in città, perché per quest’anno non riescono a permettersi una vacanza o perché hanno deciso di farle in altre date meno gettonate, affollano le piscine in cerca di qualche sorta di refrigerio oppure se ne stanno in casa a lobotomizzarsi il cervello di fronte alla TV ma godendosi appieno il fresco artificiale creato dai loro condizionatori. E io? Sicuramente non ho intenzione di andare a infilarmi in una piscina; non amo la tintarella e odio il frastuono creato da decine di famiglie di maleducati che sembra abbiano passato tutta la loro vita chiusi in una gabbia e che quello sia l’unico loro giorno di libertà dove possono sfogarsi in piena autonomia. Oltretutto senza Francine rischierei di annoiarmi a morte, l’unica cosa che potrei fare sarebbe buttarmi in acqua e
10 nuotare, impresa abbastanza ardua con trecento persone immerse in poco più di duecento metri quadri. No, la piscina è assolutamente da escludere. Passo metà della giornata sdraiato sul letto, a fissare il soffitto e a pensare a quello che potrei fare per vincere la noia e la depressione, e il bello è che più il tempo passa, più la noia e la depressione aumentano perché ho la consapevolezza di star buttando via un’intera giornata senza fare niente e più vado avanti così, più la giornata si accorcia e la possibilità di risolvere questa situazione di apatia totale svanisce nel nulla. È un cane che si morde la coda, ed è da troppi giorni ormai che questa storia va avanti senza cambiare di una sola virgola. Se solo Francine avesse accettato qualche altro lavoro più serio invece di uno che consiste nel mostrare il culo e ocheggiare per intrattenere dei bellimbusti sballati in vacanza. «Ho trentacinque anni ormai, tra non molto dovremmo pensare a mettere su famiglia e allora non mi rimarrà più molto tempo per fare quello che mi piace» mi disse la sera che mi parlò di questo lavoro. «Avevo quasi smesso di sperare in lavori del genere. Per una come me, che a diciotto anni appariva nelle pubblicità sui più
11 grandi giornali di Parigi, sai cosa vuol dire abbandonare tutto e accettare di stare invecchiando?» «So che può sembrarti solo il capriccio di una bambina viziata e vanitosa, ma quando come me cresci in un ambiente dove l’aspetto fisico è tutto, ti arrabbi perché vorresti che la gente ti apprezzasse anche per la tua intelligenza, per tutte le altre tue doti nascoste, per i tuoi talenti. Ma quando finalmente arriva il periodo in cui non sei più giudicata per come appari ma per come sei, allora ti rendi conto che questo accade solo perché ormai la copertina del tuo libro è rovinata, e tutto quello che hai da offrire alla gente è solamente il suo contenuto.» «So già che non durerà molto, il contratto scade a fine Settembre e non credo me lo rinnoveranno. In questo periodo la mia autostima mi è finita un po’ sotto le scarpe, mi sento depressa e tu, scusa se te lo dico, sembri così assente e menefreghista nei miei confronti che quasi non ti riconosco più.» «So che probabilmente, anzi, sicuramente non è un buon periodo neanche per te, ma sei diventato molto freddo nei miei riguardi; mai una parola dolce, mai un pensiero gentile. Sembri tutto l’opposto di quando ci siamo conosciuti e io di questo ne sto risentendo parecchio.» «Ti ho dato del tempo per assimilare tutto e cercare almeno un minimo di riprenderti, anch’io ho sofferto molto e ho passato uno dei periodi più brutti della mia vita, ma bisogna
12 andare avanti in qualche modo e io lo sto facendo, anche grazie a questa mia scelta.» «Ho bisogno di accettare questo lavoro, ne ho bisogno per recuperare un po’ di fiducia in me stessa, e credo che sia una cosa che potrà solo recare del bene a entrambi.» «Il nostro rapporto sta collassando su se stesso, c’è bisogno di qualcosa che gli dia uno scossone altrimenti andrà tutto a puttane.» «Se continuiamo solamente ad andare avanti senza fare niente per cambiare le cose credo proprio che il futuro non ci riserverà delle belle prospettive. Forse dato tutto quello che è successo, il mio nuovo lavoro e le tue ferie forzate sono proprio quello che ci servono; io avrò un po’ di tempo per me stessa e tu ne avrai ancora di più per riflettere e capire quello che realmente è importante per te.» Se ne andò a dormire così, definendo il nostro rapporto come qualcosa di brutto che stava pian piano morendo, e la mattina dopo andò a lavorare senza aggiungere altro. Sinceramente un po’ la capivo, almeno riguardo al fatto che per una modella come lei fosse difficile rinunciare tutto d’un tratto al suo stile di vita da star, ma non pensavo che per lei la nostra storia fosse così in crisi, come non mi ero accorto del brutto periodo che sosteneva di aver passato. Chissà a cosa si riferiva.
13 Conobbi Francine sette anni fa, in Francia. Io ero in vacanza con la mia ex, avevamo scelto Parigi come meta per festeggiare il nostro primo anniversario e anche perché lei si era appena laureata in lingue e quel paio di settimane le avrebbero fatto bene per esercitare un po’ il suo francese. Alloggiammo in un albergo extra lusso, proprio in pieno centro, non avevo badato a spese per festeggiare quell’importante ricorrenza. La sera del nostro secondo giorno a Parigi il direttore dell’albergo ci informò che l’indomani mattina si sarebbero tenute nella hall le riprese di uno spot pubblicitario per una famosa marca di profumi, scusandosi per gli eventuali fastidi che questo avrebbe potuto arrecarci. Noi eravamo tutt’altro che infastiditi, anzi, quel piccolo imprevisto era qualcosa che aveva suscitato di gran lunga la nostra curiosità così decidemmo di assistere alle riprese. Ci fu tutto un gran movimento nell’albergo, molti ospiti come noi erano incuriositi da tutti quei personaggi che si aggiravano nervosamente per tutto l’hotel, ma effettivamente c’era anche a chi tutto quel caos recava non poco fastidio, delle coppie di vecchi sclerotici che avevano come concetto assoluto di vacanza lo stare in camera a guardare la TV nel silenzio più assoluto. Il direttore si scusò con loro più volte, ma non sembrava in realtà molto turbato dall’irritazione di quei pochi ospiti,
14 evidentemente doveva essere stato ben retribuito per aver messo a disposizione della troupe il suo albergo. I tecnici delle luci terminarono di posizionare i riflettori, quelli del suono ultimarono tutti i test. Tutti gli addetti erano ai propri posti e il regista diede il fatidico “ciak”. Fu allora che la vidi per la prima volta; non era la protagonista dello spot, ma sicuramente era la ragazza che più spiccava tra le altre. Erano in quattro: la protagonista dello spot, probabilmente un’attrice famosa in Francia ma sconosciuta al resto del mondo, e tre comprimarie, tre modelle che avevano un ruolo secondario in quei trenta secondi di filmato. La protagonista era brava, si vedeva lontano un miglio che era l’unica capace di recitare. Due delle ragazze erano carine, ma sembravano quasi non avere un’anima con i loro visi scarniti e i loro occhi spenti. Poi c’era lei, Francine. Alta, mora, un fisico perfettamente equilibrato, non il classico stereotipo della modella tutta pelle e ossa. Il suo ruolo non era né più né meno importante di quello delle sue colleghe modelle, ma c’era qualcosa nel suo sguardo, una luce, un particolare bagliore che colpiva dritto nell’anima. Rimanemmo entrambi affascinati da quella ragazza; anche se si trattava solo di uno spot, avevamo la sensazione di aver assistito alle riprese di qualcosa di grandioso, a una vera e propria opera d’arte.
15 Non mi sono mai appassionato al cinema, ma alcuni ospiti ci avevano confessato che la casa di cosmetici non aveva badato a spese per il lancio promozionale del loro prodotto e che il regista era uno dei migliori se non il più bravo di tutta la Francia. In effetti si vedeva bene che era molto scrupoloso ed esigeva la perfezione anche se si trattava solo di uno spot pubblicitario. Finito di assistere a quello spettacolo fuori programma prendemmo i nostri zaini e cominciammo a girare per la capitale francese. Parigi è una città magica, puoi girare ore e ore nelle sue vie senza mai annoiarti e senza mai perderti, grazie alla fitta rete di metropolitane che viaggiano nel suo sottosuolo. In quelle due settimane la girammo in lungo e in largo, e ogni volta che credevamo ormai di aver visto tutto quello che di interessante la città avesse da offrire dovevamo per forza ricrederci per via di qualche delizioso quartiere, di qualche interessante museo o di qualche locale o ristorante davvero indimenticabili. Quella giornata in particolare la dedicammo a passeggiare per Montmartre, uno dei quartieri più belli di Parigi. Si trova a nord della città, è situato su di una collina dalla quale puoi ammirare la città dall’altro in tutto il suo splendore e la sua sommità è dominata dalla bellissima basilica del sacro cuore. Una volta arrivati in cima a piedi o tramite la comodissima
16 funicolare, i visitatori possono passeggiare tra le bellissime vie piene di fiori e negozi dove puoi imbatterti in decine di artisti di strada, soprattutto pittori, che mettono il proprio talento al servizio dei passanti. Non ci perdemmo neanche una singola via di quel quartiere, ci fermammo in ogni singolo negozio e cercammo di cogliere ogni piccola sfumatura che quel posto aveva da offrire. La sera tornammo in albergo così stanchi che crollammo praticamente morti dal sonno. La mattina dopo ci alzammo di buon’ora pronti a una nuova giornata da turisti, ma quando scendemmo nella hall dell’albergo assistemmo a una buffa conversazione; Francine stava litigando con il direttore dell’albergo, era imbestialita perché il regista e tutta la produzione erano andati via e nessuno aveva pagato il suo conto. Lei continuava a dire che doveva trattarsi di un errore e che il conto doveva essere addebitato alla produzione anche perché lei non aveva soldi con sé, ma il direttore, infastidito dalle grida della ragazza che stavano dando spettacolo, affermò che il regista aveva specificato per bene che il conto della sua camera avrebbe dovuto pagarlo di tasca sua, e che se non si fosse calmata e se non avesse trovato un modo per saldare il debito entro pochi minuti sarebbe stato costretto a chiamare la polizia.
17 Francine scoppiò a piangere disperata; più avanti venni a conoscenza che quel porco del regista aveva provato a importunarla, e che trovatosi davanti a una porta chiusa aveva deciso di darle una bella lezione combinandole quel bello scherzetto e ovviamente quando un personaggio del suo calibro decide di fare una cosa del genere non c’è santo che riesca a fermarlo. Al momento, anche non sapendo cosa di preciso stesse succedendo, Francine ci fece così tanta tenerezza che decidemmo di parlare con il direttore dell’albergo per cercare una soluzione, e quando ci accorgemmo che non c’era altro da fare decidemmo di saldare noi il suo conto. Francine ci abbracciò vigorosamente e ci ringraziò più volte per quel gesto così disinteressato. Ci promise che ci avrebbe restituito il prima possibile fino all’ultimo centesimo e anche di più non appena avesse potuto. Passarono alcuni giorni e quasi ci dimenticammo di quell’episodio, Parigi ci aveva catturati con tutto il suo fascino e il suo splendore. Impiegammo un giorno intero solamente per vedere il Louvre, che più che un museo sembra quasi una città fatta di opere d’arte. La vastissima varietà di materiale conservato al suo interno proveniente da tutto il mondo e da tutte le epoche è uno spettacolo al quale chiunque dovrebbe assistere almeno una volta nella vita.
18 E così dal sorriso della Monna Lisa passammo alle romantiche passeggiate sotto la Tour Eiffel, dalle atmosfere calde del quartiere a luci rosse con il suo Moulin Rouge alle fresche camminate in riva alla Senna, dal museo D’Orsay a quello dell’erotismo, dalla piccola panetteria con le sue immancabili baguette ai maestosi giardini della reggia di Versailles appena fuori città. Ne vedemmo di meraviglie in quei giorni. Eravamo giovani, innamorati, spensierati e non immaginavamo neanche lontanamente che tutto quello un giorno o l’altro sarebbe potuto cambiare. Poi arrivò la sera fatidica che contribuì a cambiare le nostre esistenze per sempre. Era una sera come tante, eravamo da poco rientrati in stanza e ci stavamo preparando per andare a letto, quando d’un tratto il telefono della stanza cominciò a squillare. Il portiere dell’albergo ci disse che aveva in linea una donna che desiderava a tutti i costi parlare con noi e che era tutto il giorno che chiamava inutilmente sperando di trovarci in camera. Subito ci preoccupammo un po’, le uniche persone a cui avevamo dato il recapito dell’albergo per ogni evenienza erano i nostri genitori e se erano loro a chiamarci doveva essere perché era successo un fatto grave. Attimi di paura in cui non sai cosa aspettarti dall’altra parte della cornetta e cominci a pensare alle cose più brutte che ci siano al mondo, poi tutto di colpo viene infranto come una
19 bolla di sapone da una voce di ragazza che parla un delizioso francese. Era Francine! Voleva incontrarci per restituirci i soldi che le avevamo anticipato per saldare il conto dell’albergo, noi le dicemmo che non ce n’era bisogno, che non si trattava di una gran somma e che comunque non c’era tutta quella fretta, poteva fare benissimo con comodo, ma lei insisteva affermando che avrebbe anche avuto piacere di incontrarci e di passare un pomeriggio con noi prima del nostro rientro in Italia. Ci diede così appuntamento l’indomani mattina per fare colazione al Cafè Rouge, una piccola e simpatica caffetteria poco lontano dall’albergo. Era bello vedere come una modella come lei, una di quelle persone che nell’immaginario collettivo guarda tutti dall’alto in basso camminando a due metri da terra, fosse in realtà una persona così alla mano, simpatica, spiritosa e anche intelligente. Alla fine, anziché limitarci al solo caffè, finimmo con il passare l’intera giornata insieme a Francine che ci fece un po’ da guida turistica mostrandoci una Parigi che ancora non avevamo visto e che solo una persona che ci vive da tempo può farti scoprire. Ci trovammo così bene tutti e tre insieme che passammo in tutto un altro paio di giorni con lei, e quando ci salutammo ci
20 scambiammo i numeri di telefono e gli indirizzi e‐mail per tenerci sempre in contatto. Passarono quattro anni nei quali sentimmo regolarmente Francine, che amava tenerci aggiornati sugli sviluppi che riguardavano la sua carriera di modella. Venne anche alcune volte in Italia per piacere e per fare dei servizi fotografici a Milano e ogni volta passavamo un paio di serate spensierate insieme. Era una bella amicizia, ma il poco tempo che comunque potevamo dedicarle data la nostra lontananza non ci permetteva di coltivarla appieno. Poi venne la svolta. Tre anni fa l’agenzia di modelle di Francine le disse sostanzialmente che ormai era troppo vecchia per continuare a lavorare con loro, ma che le avrebbero dato volentieri una mano per cercare un nuovo impiego. Francine ci rimase davvero male a quella notizia, mi rivelò in seguito che stette male per un intero mese nel quale perse cinque chili, e con il lavoro che faceva non è che avesse nulla da togliere addosso. Dopo qualche mese di silenzio l’agenzia la chiamò. Come le avevano promesso si erano mossi per cercarle un ruolo adatto e le offrirono di fare un colloquio a Milano, per andare a lavorare per una importante rivista di moda italiana.
21 Lei inizialmente storse un po’ il naso alla notizia, non era quello che aveva sempre desiderato di fare, ma capiva anche che il lavoro che si era scelta non si poteva fare per tutta la vita, e che era comunque stata fortunata a portare avanti quel sogno fino ai trentadue anni, quindi decise di andare a vedere di cosa si trattava. Alla fine, un po’ per esigenza perché doveva pur guadagnarsi da vivere, un po’ perché bene o male rimaneva comunque nel campo che lei amava, Francine accettò il nuovo lavoro e si trasferì a Milano. Quando venimmo a conoscenza che sarebbe venuta ad abitare a un paio di ore da noi eravamo veramente elettrizzati! Cominciammo a frequentarci spesso, e in men che non si dica Francine divenne la nostra più grande amica. Ma con il passare del tempo Francine per me divenne più che un’amica. Mi accorgevo che più andavo avanti più i miei sentimenti verso di lei diventavano forti e questo mi faceva paura, perché oltre che amica mia era anche la migliore amica della mia ragazza e temevo che prima o poi avrei potuto fare qualche passo falso che avrebbe rovinato per sempre il rapporto che c’era tra tutti e tre. Dio mi è testimone che tentai con tutte le mie forze a sopprimere i sentimenti che provavo per Francine, ma purtroppo come dice il motto “al cuore non si comanda”, e la mia risultò una sfida persa in partenza.
22 E così io e Francine stiamo insieme da poco più di un anno, esattamente da quattordici mesi e ventidue giorni, e quella di oggi è stata la prima volta che la sento lamentarsi della nostra storia. Le parole che ha usato per definire il nostro rapporto sono state abbastanza dure, e il fatto che non mi abbiano ferito più di tanto probabilmente significava che in fin dei conti aveva ragione. Forse ultimamente ero diventato più freddo verso di lei e semplicemente non me ne rendevo conto, fatto sta che non me la sentii di contestare la sua scelta e Francine poté tranquillamente accettare il suo nuovo lavoro e sentirsi di nuovo sotto i riflettori. E così ora sono qui, solo in una casa che assomiglia a una sauna, nudo come un verme perché non riesco a sopportare addosso neanche le mutande, seduto sulla poltrona in salotto, sperando che le due finestre spalancate della camera e della sala creino una leggera corrente d’aria che possa attenuare le mie sofferenze. Butto la testa indietro e chiudo gli occhi cercando di rilassarmi in attesa che questa giornata infernale passi al più presto. La poltrona di ecopelle non è il massimo con il caldo, sembra che ti si attacchi al corpo e amplifica la sensazione di calore provata, ma perlomeno è comoda e non ho assolutamente voglia di cercarmi un altro tipo di sistemazione.
23 Cerco di godermi dieci minuti di relax ma il sudore che mi cola sulla fronte e mi scende per tutto il corpo mi dà così fastidio che mi impedisce di tenere gli occhi chiusi e forse è un bene, perché girandomi alla mia sinistra mi rendo conto che dal palazzo a fianco al mio il signor Renzi mi sta spiando con un’espressione da viscido pervertito. E si sta anche mordicchiando un labbro, il vecchio maiale! Ma tu guarda questo schifoso maniaco. Mi copro con una mano e corro goffamente verso la finestra per chiudere le tende e per tutto il tempo quel sozzone figlio di una buona donna mi guarda con un sorrisetto compiaciuto senza vergognarsi minimamente di essere stato beccato in flagrante! Che mondo! Il signor Renzi ormai è conosciuto nel quartiere. Ha ricevuto un paio di denunce per schiamazzi notturni e oltraggio al pubblico pudore, ma sembra che questo non gli impedisca di soddisfare le sue piccole perversioni. Non è il fatto che sia omosessuale a dar fastidio alla gente, almeno non a tutti, quanto il suo fregarsene del rispetto verso il vicinato. Oltre al via vai di giovanotti che frequentano la sua casa e che non fa certo piacere alle famiglie del suo palazzo dato che la maggior parte sono ragazzi che si prostituiscono, è stato più volte beccato in atteggiamenti abbastanza volgari sia all’interno del palazzo che negli angoli poco illuminati del quartiere, e sono molti i
24 vicini che giurano di essere stati vittime di corteggiamenti molto insistenti da parte sua. Io non sono un ragazzino, quello che fa non mi interessa e di certo non può scandalizzarmi, ma l’idea di quello che quel vecchio maniaco stesse facendo mentre mi osservava nudo dalla sua finestra mi fa venire il voltastomaco. Forse questo è stato il segno che aspettavo per convincermi a uscire finalmente dal mio autismo, con questo caldo e con la finestra chiusa non posso certo rimanere qui dentro, e l’idea di riaprire le finestre e di girare nuovamente nudo per casa sinceramente in questo momento non mi passa neanche lontanamente per la testa. Una doccia fredda, un paio di pantaloncini addosso e dopo aver indossato la maglia più leggera che ho trovato sono pronto per affrontare la città.
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Capitolo 2 Il centro di Modena non è proprio come il centro di Roma o come quello delle grandi città turistiche. Non c’è molto da vedere qui. Certo, qualche giapponese con la macchina fotografica che gira ce l’abbiamo anche noi, ma questa non è proprio la tipica città che uno straniero, o anche un italiano, sceglie per passare più di un giorno di vacanza. Una volta scattate un paio di foto alla Ghirlandina e visitato un paio di musei il resto non è che sia di così grande attrattiva. Meglio le vicine Bologna, Ferrara o magari facendo qualche chilometro in più si può decidere di visitare Firenze, quella sì che è una città da vivere! Sfortunatamente per me è tutta roba che ho già visto più volte e che ormai ha perso gran parte del suo fascino nei miei confronti. A volte mi chiedo come sarebbe stato nascere in una grande città come Roma, Milano, o magari Londra o New York. Probabilmente la mia vita sarebbe stata diversa, forse sarei stato più felice. Ho anche pensato un paio di volte di mollare tutto e trasferirmi, ma poi le incognite erano troppe come
26 troppe erano anche le certezze che mi sarei lasciato alle spalle. No, per stare veramente bene in città come quelle devi nascerci, e io purtroppo sono nato qui, e per il momento mi devo accontentare di quello che ho. Come immaginavo, la quasi totalità dei negozi è chiusa e di gente in strada se ne vede poca. Mi sono fermato a uno dei pochi bar che ancora non sono chiusi per ferie, almeno qui posso leggere il giornale all’ombra di un gazebo sorseggiando una birra ghiacciata che ti dona quella breve sensazione di benessere che al momento non scambieresti con niente al mondo. Era proprio quello che mi serviva: un po’ di refrigerio, aria “fresca” se così si può chiamare con quasi quaranta gradi, e un po’ di spensieratezza per staccare il cervello e non pensare ai problemi che ho ultimamente e soprattutto a quello che mi ha detto Francine. Questa è la prima volta che discutiamo da quando ci siamo messi insieme poco più di un anno fa e sinceramente non ci tenevo poi così tanto a fare questa nuova esperienza. Francine è un tipo docile, molto alla mano, che sa farsi valere e rispettare quando serve ma che comunque cerca sempre di risolvere le situazioni il più pacificamente possibile, tentando di andare incontro all’altra persona o comunque facendo capire per bene a chi ha di fronte il suo punto di vista.
27 È per questo che sono un po’ preoccupato, lei non è il tipo di persona che si accende facilmente fa la sua sfuriata e dopo mezz’ora è già a posto, se mi ha parlato in quel modo vuol dire che sta vivendo davvero una situazione di profondo disagio e che è arrivata a un punto in cui vuole a tutti i costi risolvere la situazione. Ha detto che il nostro rapporto sta andando a puttane. Possibile che io non mi sia mai reso conto di questo suo enorme disagio? Inutile pensarci adesso, ho la testa che mi scoppia e ragionare mi risulta difficile in questo momento, meglio non rifletterci più e rimandare il tutto a questa sera, quando potremo parlare per bene di tutto quello che non va. Sulla Gazzetta di Modena non c’è nulla di interessante, sembra che anche malviventi, disastri e incidenti siano andati in ferie insieme a politica, sport, spettacoli e a tutto il resto del mondo. Anche leggere il giornale è diventato di una noia deprimente in questa cavolo di estate modenese. Sono del tutto preso dalla lettura di un articolo intitolato “Modena brucia!” dove non si afferma nient’altro che il fatto che questa settimana sarà particolarmente calda con temperature sopra alla media; pensare che dietro a questo pezzo c’è un giornalista con tanto di laurea che viene profumatamente pagato per dirci che bisogna bere molto e starsene possibilmente all’ombra, come se ci fosse bisogno
28 di leggerlo sul giornale per capirlo. A un tratto la voce di una ragazza rompe la mia concentrazione verso quella lettura così impegnativa. «Certo che con questo caldo anche leggere diventa faticoso, io proprio non ci riesco.» Capisco al volo che quell’affermazione era rivolta a me e comincio a risponderle mentre faccio per piegare il giornale per poterlo mettere via; sempre meglio una conversazione con un altro essere umano che continuare a leggere quelle scemenze. «Be’, non è detto, certi articoli sono talmente stupidi che leggerli ti riposa la mente anziché impegnartela e io ne stavo giusto giusto leggendo uno del genere.» Finalmente abbasso il giornale e guardo in viso la ragazza con la quale sto parlando. «Giulia? Sei davvero tu? Non ci posso credere! Ma non eri partita per un lungo viaggio?» «Eh sì, sono proprio io! In effetti sì, ero partita, e non pensavo sarei mai tornata. Invece deve essere successo qualcosa perché… eccomi qua!» Giulia. La conosco da più di dieci anni ormai. Una delle persone più importanti della mia vita, di quelle che pensi di avere di fianco fino alla vecchiaia ma che poi a un certo punto spariscono dalla tua esistenza e imboccano strade diverse dalla tua.
29 Non avevo più il suo numero di telefono, lo aveva cambiato, quello vecchio me lo segnalava come numero inesistente. Mi sarebbe piaciuto andare a trovarla per tentare di riallacciare i rapporti, ma per un motivo o per un altro ho sempre rimandato. Ma adesso è qui di fronte a me, la provvidenza ci ha messi sulla stessa strada e potremmo continuare la nostra amicizia. «Dio, non sai che piacere che mi fa rivederti! Mi sembra un secolo che non ci vediamo, mi sei mancata parecchio! Non sai quante cose avrei da raccontarti!» «Shhh! Non c’è bisogno che mi racconti niente, io so già tutto! È un po’ che ti osservo, sai?! Cos’è quell’aria triste?» «Cosa vuol dire che mi osservi? Sei diventata una spia? Dai, non ti ci mettere anche tu! È un periodo di merda, sotto tutti i punti di vista. Non è che sono triste, è solo che non ho niente per il quale essere felice!» Mi guarda con un mezzo sorriso beffardo, sembra capire come mi sento, quello che provo, è come se a lei non riuscissi a nascondere nulla. Gli occhi con cui mi guarda riescono a mettermi per un attimo in imbarazzo, distolgo per un momento lo sguardo dal suo e cerco di dire qualcosa per togliermi da quella situazione sgradevole. «Ma dimmi di te piuttosto, che cosa ci fai ancora qui?» L’aria finalmente torna a essere meno pesante.
30 «Oh be’, nulla di particolare. Diciamo che l’idea di andarmene definitivamente mi rendeva un po’ triste, così appena c’è stata l’occasione sono tornata momentaneamente per risolvere un paio di questioni e vedere alcune persone. Tanto per partire c’è sempre tempo, e più riesco a rimandare stavolta, meglio sarà.» «Quindi l’intenzione è quella di restare poco per poi andar via di nuovo, giusto?» Non mi risponde, ma il suo volto si fa improvvisamente serio, quindi capisco che si tratta di un sì e sento che la cosa mi rattrista. La guardo. È una ragazza semplice, di quelle che quando cammini per strada neanche noti, ma quando impari a conoscerle vieni colpito e affascinato proprio dalla loro semplicità. I suoi lineamenti regolari, quei capelli castano scuro che si appoggiano alle sue spalle, i suoi occhi marroni e profondi che sembrano scrutarti l’anima. «Scusami, sono davvero un gran maleducato, non ti ho neanche offerto nulla da bere. Vuoi qualcosa? Una birra fredda o una coca?» «No, ti ringrazio, non prendo nulla. E poi adesso è proprio arrivata l’ora di andare.» Di già? Stavamo parlando solo da cinque minuti e sentivo che avrei avuto ancora tante cose da chiederle. Non so perché sono così attratto dalla sua compagnia, forse è solo
31 perché in questi giorni mi sto annoiando a tal punto che qualsiasi essere umano in grado di reggere una mezza conversazione intelligente mi andrebbe bene. Non posso lasciarla andare così. «Ma dai, solo cinque minuti, ti offro una cosa da bere e poi giuro che ti lascio libera. Aspettami qui, vado al banco e torno subito. Non ti muovere!» Mi alzo dalla sedia e corro dentro al bar. Cerco di metterci il meno possibile ma un imbecille prima di me perde tempo facendosi elencare tutti i gusti di succo di frutta disponibili, poi ci ripensa e si fa fare una spremuta di arance. Finalmente arriva il mio turno. Prendo un’altra birra per me e una coca per Giulia; se non ricordo male a lei la birra non è mai piaciuta più di tanto. Torno verso il tavolino fuori del bar con in mano le due bibite fredde, ma quando arrivo Giulia è sparita. Mi guardo attorno ma non riesco a vederla da nessuna parte, si è come volatilizzata. Eppure non può essere andata lontano! Tutta colpa di quel deficiente prima di me che ha perso tutto quel tempo per scegliere che cazzo prendere da bere. «Scusami, hai visto per caso dove è andata la ragazza castana che era seduta qui due minuti fa?» Chiedo a un ragazzo seduto al tavolino di fianco. «Cosa? No, mi dispiace, non ci ho fatto proprio caso.»
32 «Ma come? Era proprio qui, stavamo parlando due minuti fa e poi mi sono allontanato un secondo, e adesso non c’è più quindi deve essersi alzata da pochissimo.» Il ragazzo scuote la testa facendomi capire che proprio non sa di chi sto parlando. Che razza di mondo, i ragazzi di oggi sono talmente stralunati che potresti rubargli i calzini senza toglier loro le scarpe e neanche se ne accorgerebbero. Faccio un ultimo tentativo, magari è andata in bagno e mi sto allarmando per nulla. Entro nel bar, il bagno in effetti è occupato. Che scemo che sono, avrà visto che il deficiente dei succhi di frutta stava perdendo troppo tempo e ne ha approfittato per andare al bagno. Mi sembrava strano che se ne fosse andata senza dirmi nulla. La porta si apre. Io mi preparo a sfoderarle un gran sorriso, ma anziché una bella ragazza castana ne esce fuori un bestione di due metri per due completamente calvo e con l’aria da serial killer. Resto imbambolato a fissarlo come un imbecille poi mi faccio da parte per far passare l’energumeno. Ci sono rimasto veramente come un idiota e il tipo mi ha anche guardato male, chissà cosa avrà pensato vedendo un pirla come me che lo fissava con un gigantesco punto interrogativo sulla testa. Mi siedo di nuovo solo al tavolino e mi scolo le due bibite continuando a leggere il giornale, dando di tanto in tanto
33 un’occhiata alla strada per vedere se tante volte passasse di nuovo nei paraggi. Tutto inutile. Doveva avere proprio una gran fretta per sparire così all’improvviso. Meglio non pensarci più, leggiamo piuttosto che frutta ci consiglia di mangiare questo geniaccio di un giornalista. Torno a casa che sono le sette di sera. Francine dovrebbe tornare a momenti, stacca dal lavoro alle sei e per tornare ci mette poco più di un’ora e mezza. Per fortuna abitiamo a pochi metri dalla stazione così può prendere un treno per andare a lavorare, altrimenti data la distanza non penso avrebbe accettato quel lavoro. Io al posto suo non avrei mai accettato, la paga non è il massimo e se ci mettiamo anche le spese per il treno e il viaggio che ogni giorno deve farsi sia in andata che in ritorno è più la fatica che il guadagno. Spero proprio che trovi qualche altro impiego il prima possibile. Il caldo sembra proprio non volersene andare, spalanco tutte le finestre e piazzo due ventilatori ai lati opposti di casa per cercare di smuovere un po’ l’aria. Mentre tornavo a casa ho preso una vaschetta di gelato, spero che a Francine vada bene cenare con quello perché sinceramente non riuscirei a mangiare altro e poi accendere anche i fornelli ora come ora sarebbe una pazzia.
34 Sette e quaranta. Sento il rumore delle chiavi che entrano nel chiavistello, finalmente Francine è tornata a casa. È stanca morta, si trascina sulle gambe a fatica. Oggi hanno organizzato delle specie di balli di gruppo e ovviamente tutte le ragazze del locale dovevano partecipare per attirare gente. Se ci metti anche il caldo soffocante, le ore di lavoro e il viaggio in treno di andata e ritorno ecco che hai il quadro di una ragazza distrutta dal suo lavoro. Solitamente quando torna a casa la sera Francine è una valanga di parole, comincia a raccontarmi tutto quello che le è successo durante la giornata, e con un lavoro come quello ne succedono molte. Io mi limito ad ascoltare senza dire niente, al massimo posso intervenire nei suoi racconti con un “ma va?” o cose simili. Per quanto mi riguarda ultimamente le mie giornate sono sempre uguali e noiose, quindi io non ho mai nulla da raccontarle fatta eccezione per i litri di sudore speso e il numero di docce fatte. Ma oggi non è una giornata come le altre, oggi anche a me è successo qualcosa di insolito! Le racconto quanto accaduto con il signor Renzi che mi spiava dalla sua finestra, lei accenna un’espressione disgustata e ci carica su un paio di aneddoti che le hanno raccontato i vicini di casa; quell’uomo è proprio un viscido porco.
35 Le dico che sono uscito per combattere un po’ l’apatia della giornata, le racconto che sono andato al bar, delle birre che ho bevuto, dell’inutile articolo sul caldo letto sul giornale, ma per qualche motivo non le racconto di Giulia e del nostro breve incontro. Non so perché ho deciso di nascondere quell’episodio; Francine non è mai stata una ragazza troppo gelosa, mi ha sempre permesso di coltivare le mie amicizie senza problemi, fossero queste maschili o femminili. Certo, non è una stupida, non mi butterebbe tra le braccia della prima arrivata, ma si è sempre limitata a essere vigile e attenta senza restringere le mie libertà. E allora perché non le parlo di Giulia? Dopotutto non abbiamo fatto o detto niente di male, abbiamo solo parlato per pochi minuti e di nessun argomento troppo personale. Non so dire perché, ma proprio non riesco ad affrontare l’argomento, così alla fine, decido di omettere l’accaduto. Ci mangiamo il gelato che si rivela la scelta migliore, anche Francine è troppo stanca per una cena elaborata. Finalmente con il calare del sole le temperature cominciano a farsi leggermente vivibili, anzi, fuori dalla finestra sembra quasi che stia tirando una leggera arietta. Corro da Francine per proporle di fare quattro passi, la sera è l’unico momento in cui possiamo fare qualcosa insieme ed è quello che aspetto con ansia durante tutto il giorno, ma quando vado di là da lei la stanchezza ha già avuto il
36 sopravvento; Francine è distesa sul letto con ancora i vestiti indosso, immersa in un sonno profondo che neanche le cannonate potrebbero interrompere. Pazienza. Vorrà dire che per oggi la giornata è andata così. Mi affaccio dalla finestra a godermi quel leggero venticello che per tutto il giorno ho desiderato e i miei pensieri automaticamente vanno a Giulia; chissà cosa starà facendo adesso? Non le ho chiesto neanche per quanto tempo si fermerà, magari non rimane molto e potrei non vederla più prima della sua partenza. Ci tengo a riallacciare i rapporti con lei; è una persona squisita, di quelle che raramente capita di incontrare. Perdere i contatti con lei è stato un grave errore, ma adesso che ho la possibilità di rimediare non voglio farmela scappare. Devo rincontrarla in qualche modo, a costo di andare dritto a bussarle alla porta di casa. Mi comincia a salire una sensazione di infinita tristezza ma d’un tratto viene interrotta da una sensazione ancora più spiacevole: dal palazzo di fronte il signor Renzi si affaccia dalla finestra e mi guarda con una faccia da pervertito mentre fa strani movimenti con la lingua rivolti a me! Prima che cominci a vomitare torno subito in camera con Francine e mi metto a dormire vicino a lei aspettando un altro interminabile, caldissimo giorno di solitudine. Ǥ ǤǤǤ