In uscita il 28/9/2018 (14,00 euro) Versione ebook in uscita tra fine settembre e inizio ottobre 2018 (2,99 euro)
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PIERINA D’AGUANNO
GRANELLI DI SABBIA
ZeroUnoUndici Edizioni
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GRANELLI DI SABBIA
Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-229-4 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Settembre 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
A tutti coloro che credono nell'Amore vero.
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PROLOGO
È un dolce pomeriggio di maggio, la temperatura è piacevole e una leggera brezza muove delicatamente le foglie e i petali dei fiori, diffondendo nell’aria il delicato profumo della primavera. Margherita è nel suo piccolo giardino, guarda orgogliosa il roseto di vari colori. Sorride: le rose sono i suoi fiori preferiti e quelle davanti a lei le sono particolarmente care perché sono “figlie” delle piante che crescevano nei pressi della casa in cui era nata e aveva vissuto per tanti anni. Un posto in cui il suo cuore torna tutti i giorni. Sente in lontananza i rintocchi delle campane che annunciano le 17 e un’espressione stupita le si dipinge sul volto: si è trattenuta nel giardino più del previsto e adesso, per non fare tardi, deve rientrare. Dopo un ultimo sguardo ai fiori, rincasa e si dirige verso la sua camera dove, sul letto, è adagiato un elegante vestito dalle sfumature blu, completato da un soprabito in tinta. Sul comodino c’è un mazzolino di mughetti inframmezzati da
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lucide foglie verdi. Un raggio di sole, attraverso la finestra, sfiora le goccioline di umidità depositate su di esse, facendole sembrare dei piccoli diamanti, che lanciano riflessi dai mille colori in tutta la stanza. Il bouquet è come l’aveva sognato a venti anni, semplice e perfettamente in sintonia con la sua idea di “amore”. L’abito, invece, non è esattamente quello che si era immaginata. Non che per il suo matrimonio Margherita ne avesse desiderato uno particolarmente elaborato, ma romantico, quello sì. Doveva essere di un bel bianco candido, come i mughetti. Aveva sempre saputo che sarebbe stata sua sorella a inviarle la stoffa dall’America, mentre sua cugina avrebbe pensato a confezionarlo. Margherita però non ha più venti anni, il tempo è passato e i sogni, o almeno una buona parte di essi, sono rimasti tali. Adesso di anni ne ha sessanta e quando ha dovuto scegliere come vestirsi per quel giorno tanto atteso, ha pensato che sarebbe stato un po’ ridicolo far sfoggio di un abito virgineo per il suo matrimonio, anche se la purezza del bianco avrebbe rispecchiato la purezza del suo corpo e del suo animo. Aveva avuto molti corteggiatori perché Margherita, come si diceva ai suoi tempi, era una ragazza “capace in casa e fuori casa”: sapeva coltivare l’orto, ma anche cucinare e lavorare
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ai ferri e all’uncinetto con l’abilità di una ricamatrice provetta. Aveva realizzato a mano i suoi capi di biancheria e, nonostante la povertà della sua famiglia, grazie alla sua operosità era riuscita a prepararsi un corredo ricco che la riempiva di orgoglio. Oltre a essere timorata di Dio, la ragazza era anche carina: non molto alta, tuttavia aggraziata e con due occhi azzurri come il cielo d’estate. Due amabili fossette le incorniciavano le guance a ogni sorriso. Tutti i suoi pretendenti avevano ricevuto un deciso rifiuto perché lei, nel cuore, ha avuto sempre un solo uomo e mai ha voluto scendere a compromessi: per lei l’amore è un sentimento così puro che non merita di essere sminuito, o svenduto a qualcuno che non amasse davvero. Con un dolcissimo sorriso, Margherita inizia a vestirsi: tra non molto arriverà suo fratello che, oltre a portarla in chiesa, l’accompagnerà all’altare, al posto del suo adorato papà, venuto a mancare ormai da molti anni. Con lui ci saranno i vari nipoti con le rispettive famiglie: ci saranno insomma tutte le persone alle quali lei vuole bene e che la rendono felice. Dopo essersi messa l’abito, indossa un filo di perle, regalo di nozze del suo futuro marito.
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Si guarda allo specchio e, pur soddisfatta del suo aspetto, di colpo i suoi occhi si fanno lucidi e un velo di tristezza le incupisce il viso: il gioiello non riesce a coprire la vistosa cicatrice che ha alla base del collo e, come accade fin troppo spesso, quella maledetta cicatrice le fa ricordare il suo passato pieno di dolore.
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Uno dei ricordi più vivi e vividi che Margherita avrebbe portato sempre con sé, era la grotta dalle pareti umide che lei e i suoi cari usavano come rifugio per sfuggire alla morte, durante la primavera del 1944. E fu proprio in quei mesi che la sua famiglia fu colpita duramente, quando, durante un bombardamento, morirono Alfredo, uno dei suoi fratelli, e Giulia, moglie di un altro suo fratello. Ricordava fin troppo bene il pianto disperato dei bambini, lo sguardo perso nel vuoto di suo padre Francesco e sua madre Addolorata accartocciarsi su se stessa piegata da un dolore troppo grande da sostenere. Fino ad allora la sua vita era stata povera di beni materiali ma ricca di amore; da quel momento in poi, però, sarebbe stata completamente stravolta e Margherita sapeva che niente sarebbe stato più come prima. La guerra si era portata via troppe persone care e, sebbene un dolore lancinante le avesse stretto il cuore in una morsa fredda, si disse che doveva trovare il modo e la forza per aiutare i suoi genitori ad andare avanti.
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Mentre guardava i loro visi sconvolti e rigati di lacrime, Margherita pensò che tutto sarebbe stato più semplice se il suo Attilio fosse stato lì con lei. Il suo conforto sarebbe stato utile in quei momenti e dal suo amore avrebbe attinto la forza per sé e per gli altri; e di forza, in effetti, ne sarebbe servita davvero tanta: se non per se stessa, per i nipoti rimasti orfani chi di padre e chi di madre e ai quali bisognava provvedere per far vivere loro una vita degna di questo nome. Dopo il bombardamento, i suoi di genitori erano invecchiati di colpo di cento anni, svuotati di qualunque stimolo. Quando guardava sua madre Addolorata, Margherita non poteva fare a meno di pensare che mai nome fosse più azzeccato: anche lei, proprio come la Madonna, piangeva i suoi figli morti per la follia e la crudeltà umana. Fu proprio in quella grotta, tra le macerie e i corpi senza vita di persone a lei care, che Margherita capì che la sua giovinezza era ormai finita e pregava, ogni sera, che Attilio tornasse presto per coronare così il suo sogno e desiderio di amore. Per allontanare l’angoscia, aveva preso l’abitudine di ripercorrere con la mente le tappe della sua storia d’amore: i primi sguardi, i primi incontri clandestini fatti solo di carezze e parole dolci. E poi quel primo, vero bacio, ricevuto e dato pochi giorni prima della sua partenza.
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«Portalo sempre con te, nel cuore» gli aveva detto Margherita con le lacrime agli occhi. «Io ti aspetterò». E da quando era andato via, Margherita si era aggrappata ai sogni con tenacia e, stringendo i pugni, era andata avanti giorno dopo giorno. Poi però c’era stata la guerra, e mentre la morte aleggiava intorno a tutti loro, più di una volta si era ritrovata a pensare che era stato un bene che Attilio non si trovasse in Italia, altrimenti anche lui, come centinaia e centinaia di uomini, avrebbe rischiato la vita a causa di quell’orribile follia. In Brasile non c’era la guerra, tuttavia Attilio, nelle sue rare lettere, scriveva che lì il lavoro era pesante e le condizioni di vita per gli immigrati non erano facili; nel silenzio della grotta, con il suono dei singhiozzi dei suoi genitori come tetro sottofondo, Margherita pregò che Attilio tornasse presto perché aveva bisogno di lui, voleva che fosse lì per farle forza e superare quella terrificante tragedia. Finiti i cannoneggiamenti, la paura della morte era cessata, ma erano ancora tante le prove da affrontare per i sopravvissuti: ad alcuni di loro sarebbe toccato l’ingrato compito di scavare per trovare i corpi dei propri cari, seppelliti da montagne di terra, quella stessa terra che li aveva nutriti e che loro amavano tanto, ma che adesso li aveva crudelmente inghiottiti. Era inoltre necessario vigilare
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per difendere quel poco che era stato risparmiato dalla distruzione e che rischiava di essere rubato da chi approfittava della situazione: Margherita aveva capito che la guerra non solo aveva stravolto paesi e città, ma anche il cuore di chi l’aveva vissuta, nel bene e nel male. In alcuni aveva fatto nascere un profondo senso di solidarietà, ma in altri aveva acuito la cattiveria e la bramosia. Margherita aveva vissuto quest’ultimo aspetto sulla sua pelle pochi giorni dopo il bombardamento, quando, da sua cognata, le si avvicinò suo nipote, un adolescente gracilino che nonostante la giovane età aveva scavato senza mai arrendersi, sudando e piangendo per portare alla luce il corpo del suo adorato papà. Il ragazzo con uno sguardo addolorato, disse: «Zia… perché la gente è cosi cattiva?» e le lacrime cominciarono a rigargli il viso. «Perché devo guardarmi anche da chi pensavo fosse mio amico? ». Quelle parole lasciarono interdetta Margherita che, in modo pacato e dolce, gli chiese di spiegarsi meglio. «Ieri mattina io e la mamma siamo andati nel posto segreto dove papà aveva sepolto dei materiali che sarebbero serviti per ampliare la nostra casa» riprese lui con gli occhi bassi e la voce strozzata. «Papà voleva fare una camera per me visto che ormai sono grande e non è più bello che dorma con le mie sorelle…». Un singhiozzo gli impedì per un attimo di
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proseguire. «Ebbene… quando siamo arrivati là, abbiamo scoperto che alcune cose non c’erano più, tra cui due travi di legno massiccio». Alzò il viso su quello di Margherita che per un attimo vi lesse una profonda collera. «Quello stesso pomeriggio ho fatto un giro e, su un lato della casa di Righetto, ho visto delle travi… quando mi sono avvicinato, ho visto che su due di quelle c’erano le iniziali di papà». Margherita, consapevole del dolore e perfino della rabbia che stava provando il ragazzino, gli prese le mani perché avvertisse tutta la sua vicinanza. «Io l’ho affrontato con calma» disse lui. «Gli ho chiesto come mai avesse preso la nostra roba, ma lui ha negato, anche davanti all’evidenza. Così, senza potermi più trattenere, gli ho detto che era un ladro e che non era degno nemmeno di toccarle, le cose del mio papà… lui, con aria sprezzante, ha risposto che le travi adesso erano sue e che se non me ne fossi andato alla svelta, mi avrebbe preso a botte!». Tanto dolore e tanta delusione sul volto del nipote le strinsero il cuore e, non sapendo cosa dire, l’abbracciò stretto, dicendogli che il suo papà dal Cielo l’avrebbe sicuramente aiutato, sperando in cuor suo che quel ragazzo così buono e sempre disponibile potesse in qualche modo ritrovare la fiducia negli uomini e nella vita, anche se sapeva
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che non sarebbe stato facile perché lei stessa non sapeva più cosa pensare e nemmeno la fede riusciva più ad aiutarla. Il mondo sembrava conoscere solo la logica della violenza e spesso anche chi era vittima si trasformava a sua volta in carnefice. Margherita aveva capito che la guerra riusciva a tirar fuori solo il peggio delle persone e che sì, i maggiori responsabili erano coloro che la decidevano, ma anche chi la combatteva si macchiava di colpe orribili. Le prove erano tutte intorno a lei: gli Alleati, per un semplice sospetto, non avevano esitato a bombardare una zona dove vivevano uomini, donne e bambini innocenti che con i tedeschi non avevano niente a che fare. Margherita aveva anche sentito raccontare storie orribili sulle truppe marocchine: non poche donne erano state brutalmente violentate da parte di questi ultimi, rimanendone segnate per sempre. La sua mamma citava spesso un proverbio: «Cani con cani non si mordono mai» per dire che i simili non si attaccano mai tra di loro. E allora l’essere umano che animale è? si chiedeva spesso Margherita. In che mondo stavano vivendo? Sarebbe arrivato un momento in cui l’unico linguaggio sarebbe stato quello dell’amore? Scossa da questi dubbi, Margherita cercava di ritrovare una certa quotidianità nella sua casa, che ora le sembrava enorme
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rispetto allo spazio angusto e freddo della grotta. Era fin troppo grande e silenziosa da far paura. Suo fratello, infatti, era tornato a casa sua, portando con sé i bambini; le sue sorelle maggiori, invece, erano all’estero, una in America l’altra in Australia. C’era solo lei a vivere con i suoi genitori, in quella casetta troppo grande per tre sole persone. La madre si aggirava come un fantasma nella cucina dalle pareti annerite dal fumo del camino; il nero del lutto che portava negli abiti e nel cuore s’intonava perfettamente con l’ambiente dove una pentola di terracotta era perennemente posizionata sulla brace sia per cuocere quel poco che riuscivano a ricavare dall’orto, sia per riscaldare, all’occorrenza, l’acqua del pozzo. L’arredamento era scarno, ridotto al minimo per sopravvivere. Solo fuori i roseti spontanei davano un tocco di colore all’ambiente. Era in cucina quando, un giorno, qualcuno bussò alla porta. Margherita sentì il cuore fargli un balzo nel petto quando vide il postino che portava una busta proprio per lei: dal francobollo capì che era una lettera di Attilio. Margherita non sapeva né leggere né scrivere ed era solo grazie all’aiuto del parroco che poteva avere rapporti epistolari con Attilio. Proprio da don Giuseppe decise di andare per farsela leggere, tuttavia, essendo ormai ora di
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pranzo, a malincuore decise di rimandare al pomeriggio la visita alla canonica: non se la sentiva di lasciare soli i suoi genitori perché sua madre, se lei non fosse stata presente, non avrebbe toccato cibo e questo per la donna sarebbe stato il peggiore dei mali. Appena finito di mangiare quel poco che c’era a disposizione, Margherita andò al pozzo con il catino di ferro ad attingere l’acqua per lavare piatti e stoviglie e, dopo aver dato un bacio alla sua mamma, si avviò verso la parrocchia. Mentre percorreva la stradina, Margherita non faceva altro che pensare che forse con quella lettera Attilio le avrebbe finalmente annunciato il suo ritorno a casa. Un pensiero dolce e pieno di speranza che le diede una nuova vitalità. Con lui al suo fianco, si disse Margherita, tutto sarebbe stato diverso, avrebbe avuto il suo aiuto e il suo sostegno per sopportare la tragedia che aveva colpito la sua famiglia. «Finalmente ci sposeremo!» mormorò felice, arrossendo leggermente. Quasi tutte le sue coetanee erano ormai sposate e avevano dei figli, mentre lei non aveva fatto altro che vivere in quella spasmodica attesa da troppi anni ormai. Attilio le aveva detto di essere paziente perché lui stava preparando, per lei e per i figli che sarebbero arrivati, una vita più agiata di quella che avrebbe potuto offrire loro restando in Italia.
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Margherita si fidava del suo uomo e aspettava, anche se avere accanto a sé Attilio sarebbe stato di grande aiuto. Lungo la strada per arrivare in parrocchia, passò davanti alla casa dei genitori di Attilio; così, come faceva ogni giorno, Margherita andò a trovare i suoi futuri suoceri. Lo faceva volentieri, sia perché era un modo per sentire più vicino il proprio fidanzato sia perché nutriva nei loro confronti un sincero affetto. Finalmente Margherita arrivò alla porta della canonica e bussò, sperando con tutta se stessa che di lì a poco Monsignore, come lo chiamava lei, potesse darle una bella notizia. Quando il vecchio prelato aprì la porta e se la trovò davanti, le sorrise teneramente. «Oh, vedo che è arrivata posta!» le disse. «Speriamo che il giovanotto scriva che ha deciso di tornare, altrimenti sarò troppo vecchio per celebrare il vostro matrimonio!» Margherita, entrando, lo salutò e rispose che anche lei lo sperava con tutto il cuore. Don Giuseppe inforcò gli occhiali poi, dopo averla fatta accomodare, prese la busta e la aprì. Ma mentre leggeva, il sorriso gli si spense sulle labbra: Attilio scriveva di stare bene, di lavorare tanto e che ormai era padrone del brasiliano, tanto che poteva parlare senza più nessuna
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difficoltà con i suoi colleghi. Solo questo, nessun accenno a un possibile ritorno e sebbene cercò di non darlo a vedere, Margherita fu travolta da una profonda tristezza: c’era ancora da aspettare. Ringraziò don Giuseppe, poi, in silenzio, tornò verso casa, cercando di ignorare le lacrime che le rigavano il volto. Nel frattempo, la vita nel paese stava pian piano tornando alla normalità e, anche se il ricordo di quello che era successo pesava sul cuore di tutti, la voglia di vivere aveva preso il sopravvento sul dolore. In estate si festeggiava il Santo Patrono e, come segno di rinascita, anche quell’anno con l’approssimarsi della ricorrenza cominciarono i preparativi. L’evento era molto sentito e tutti si adoperavano per la buona riuscita della festa. Per non dimenticare chi non c’era più, sarebbe stata officiata una messa in suffragio delle vittime della guerra alla fine della quale sarebbe stata deposta una corona di fiori davanti alla chiesetta del cimitero. In piazza invece ci sarebbero state le bancarelle, per la gioia dei bambini, ma anche degli adulti. Per i giovani era l’occasione per incontrare amici e conoscenti dei paesi vicini e chi poteva permetterselo non perdeva l’occasione di sfoggiare un vestito o un paio di scarpe nuovi.
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Dal canto suo Margherita non provava alcun entusiasmo per la ricorrenza, anzi, avvertiva ancora maggiormente la mancanza delle persone care. Si disse tuttavia che non poteva mancare alla messa per i caduti e, visto che sarebbe uscita, ne avrebbe approfittato per comprare, con i pochi spiccioli che aveva, dei dolcini per i nipoti. Mancavano due giorni alla festa quando, un pomeriggio mentre era nell’orto, vide arrivare Elisabetta, una delle sue più care amiche. Correva trafelata. Elisabetta era di alcuni anni più giovane di Margherita, tuttavia aveva dimostrato di essere una ragazza matura e le era stata vicina nei momenti più difficili e dolorosi. La sua famiglia non aveva subito perdite umane durante il passaggio del fronte, e la ripresa per lei era stata più semplice. Aveva un carattere solare e allegro e, quando era con lei, Margherita si sentiva rinfrancata da tutto ciò che di brutto c’era nella sua vita. Non appena le fu vicina, Elisabetta disse: «Margherita, oggi, mentre andavo con mia madre a portare i fiori per l’altare del Santo, ho visto davanti al negozio di Zi’ Palmira una lunga fila… incuriosita, ho chiesto cosa stesse succedendo e mi è stato detto che nel retrobottega c’era una cartomante che prediceva il futuro» sorrise debolmente. «È Zi’ Menica, la stessa che l’anno passato ha previsto la gravidanza di Nicolina!» e stavolta il suo sorriso si accentuò: la gravidanza
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della donna era stata davvero eccezionale dato che era ormai avanti con gli anni e ormai non ci sperava più. «Non ha una tariffa fissa, si accontenta di una piccola offerta» e prese le mani dell’amica. «Oh Margherita, io vorrei tanto andarci ma da sola mi vergogno! Ti prego vieni con me!». Margherita, che non aveva mai creduto a sciocchezze del genere, non aveva intenzione di accompagnarla, tuttavia le dispiaceva non accontentare la sua amica: era segretamente innamorata di Ernestino, un bravo giovane del posto che più volte l’aveva avvicinata quando andava a messa o al mercato. Sicuramente Elisabetta voleva sapere qualcosa su un’eventuale storia d’amore tra lei e il giovane e, per non deluderla, nonostante fosse poco convinta, rispose: «Ci penserò, dai!». «No, Margherita!» ribatté l’altra. «Devi decidere adesso perché la cartomante resta solo fino a domani!». Fu così che il giorno dopo Margherita e la sua amica si misero in cammino per andare dalla cartomante. Inspiegabilmente Margherita, man mano che si avvicinava alla bottega, sentiva crescere uno strano malessere, quasi come se stesse commettendo un qualche peccato mortale. «E dai… non fare quella faccia!» la riprese Elisabetta quando furono arrivate. «Non stiamo facendo niente di male» aggiunse, quasi come se avesse letto i suoi pensieri.
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Margherita non rispose, continuando però a provare quella pesante sensazione, come di un nodo che le aveva stretto la gola. Quando fu il turno di Elisabetta, la ragazza volle che entrasse anche Margherita, dicendo che con lei non aveva alcun segreto. Zi’ Menica fece accomodare la ragazza su una sedia sgangherata e sistemò le carte sul tavolo. Poi cominciò la lettura: quello che disse riscaldò il cuore della ragazza perché, stando alle carte, c’era un giovane che, anche se non si era ancora dichiarato, pensava spesso a lei. Elisabetta si disse che quel giovane doveva essere Ernestino e un grande sorriso felice le si dipinse in volto. Stavano per andare via quando Zi’ Menica si rivolse a Margherita: «Tu non vuoi che ti faccia le carte?». Margherita scosse la testa, ma Elisabetta, risoluta, replicò: «Dai Margherita, prova anche tu!». Malvolentieri, acconsentì e si mise a sedere. Man mano che la cartomante calava le carte, la sua espressione si faceva sempre più preoccupata, tanto che, a un certo punto, si lasciò sfuggire un profondo sospiro e disse: «Povera figlia… quante ne dovrai passare!» e scosse la testa in maniera piuttosto melodrammatica. «I tuoi guai saranno più numerosi
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dei granelli di sabbia di una spiaggia. Forse un giorno…» e nel dirlo fu chiaro che la donna era sinceramente dispiaciuta. Una volta fuori, Elisabetta, vedendo il viso dell’amica bianco come un lenzuolo, e sentendosi in colpa per aver insistito, cercò di rincuorarla: «Margherita tu hai sempre detto di non credere a queste cose e ora la prendi così male?». Fece una mezza risata. «Di sicuro la maga avrà avvertito il tuo scetticismo e ha pensato bene di spaventarti… e se pure avesse visto davvero quelle cose, chi ti dice che si avvereranno? Certo, qualche previsione si è avverata, ma magari è stata solo una coincidenza!». Le prese le mani. «Sai che ti dico? Andiamoci a comprare una bella grattachecca e non pensiamoci più!». A quelle parole Margherita sembrò sollevata e seguì Elisabetta dal gelataio dove presero due granite al limone. Le parole della cartomante l’avevano però molto colpita perché all’improvviso, mentre si stava gustando la granita, sentì come dei granelli che dai capelli le scendevano lungo la schiena, procurandole un fastidioso solletico. Cercò di ignorare quella spiacevole sensazione, così come il brutto presentimento che, di punto in bianco, le si era annidato in un angolo del cuore. Ma per quanto si sforzasse di scacciarlo, non aveva la ben che minima intenzione di lasciarla andare.
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Margherita riprese la vita di sempre: ogni giorno, dopo aver svolto le faccende di casa, andava da Carolina, la madre di Attilio, che tutti in paese chiamava affettuosamente “Zia Carolina”. Non vedendo molto bene, Carolina affidava completamente a Margherita i lavori di rammendo e di stiro. Negli ultimi tempi, Margherita si era accorta che la donna era meno espansiva nei suoi confronti, anzi, per dire tutta la verità, sembrava quasi infastidita della sua presenza; tuttavia, si disse la ragazza, che quel brusco cambiamento nei suoi confronti doveva avere a che fare con i dolori che affliggevano la gamba di Bernardo, suo marito. Quasi certamente Carolina doveva essere molto preoccupata per lui e il suo malumore si rifletteva nei rapporti con tutte le persone che le facevano visita, lei compresa. Quella sera Margherita stava andando per la seconda volta a casa di Carolina perché voleva darle delle informazioni che potevano essere utili a Bernardo: parlando con suo fratello aveva saputo che in un paese a una ventina di chilometri c’erano dei monaci capaci di far guarire dalla “sciatica”. Magari, organizzando il tutto, avrebbero potuto portare Bernardo al monastero per una visita. Era ormai arrivata quando sentì delle voci provenienti dalla casa di Attilio. Anche se ormai settembre era quasi alla fine, l’aria era ancora calda e la gente si attardava all’aperto fino a
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tarda ora. Riconobbe le voci di Carolina e di Bernardo che stavano parlando con degli sconosciuti. Sentì delle allegre risate e una voce giovanile che spiccava sulle altre. Per educazione, Margherita fece per tornare sui suoi passi, ma qualcosa la spinse a dare un’occhiata per capire cosa stesse succedendo. Fece capolino oltre il muro e, seduti in cerchio davanti alla porta, vide i genitori di Attilio e altre tre persone: un uomo e due donne, una delle quali molto giovane. Margherita indugiò con lo sguardo su quest’ultima e nei suoi occhi vide una profonda voglia di vivere che, per una ragione che non riuscì a cogliere, la mise terribilmente a disagio. Forse, si disse, era perché in un tempo che le sembrava molto lontano anche lei aveva avuto la stessa voglia di vivere! Voglia di vivere che però gli eventi avevano smussato fin quasi a farla scomparire del tutto dai suoi occhi. Dopo un profondo respiro si avvicinò e, quando gli altri si accorsero di lei, disse: «Buonasera a tutti» e rimase in piedi, aspettando che i padroni di casa la invitassero a sedersi e la presentassero come la futura sposa di Attilio. Dal canto loro, Bernardo e Carolina la guardarono, scocciati della sua presenza. Dopo qualche frase di circostanza,
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Margherita decise di togliere il disturbo, senza neppure dire a Carolina la ragione della sua visita. Mentre tornava a casa, si sentiva inspiegabilmente nervosa… o forse ne conosceva fin troppo bene la ragione, anche se non voleva ammetterlo: qualcosa nell’espressione di Carolina quando l’aveva vista arrivare l’aveva turbata. Poteva accettare che non le avesse chiesto di rimanere, magari perché dovevano parlare di questioni personali, però quell’occhiataccia proprio non riusciva a mandarla giù, uno sguardo insofferente, lo stesso che si può rivolgere a un estraneo. Si chiese anche chi fossero quelle persone che erano riuscite a mettere di così buonumore i suoi futuri suoceri. In paese si conoscevano tutti, ma loro non li aveva mai visti e, con il solito nodo in gola che sembrava volerla soffocare, Margherita si ripromise che, il giorno dopo, avrebbe fatto qualche domanda per saperne di più.
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INDICE
Prologo ........................................................................6 Granelli di sabbia.......................................................11 Epilogo ....................................................................129
AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/
Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.
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