Il sole sorge anche di notte

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In uscita il 30/11/2017 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine nombre e inizio dicembre 2017 ( ,99 euro)

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MARCELLO DI FAZIO

IL SOLE SORGE ANCHE DI NOTTE

ZeroUnoUndici Edizioni


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IL SOLE SORGE ANCHE DI NOTTE Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-149-5 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Novembre 2017 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


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A Luisa, Maria Pia, Nando e Roberto: amici, oltre il tempo


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UN GIORNO

È un giorno limpido La tramontana si trastulla Con il sorriso delle nostre belle colline In una piazza truccata di freschezza Stretti alle proprie radici Gli alberi Stanchi di resistere al tempo Si stendono sulla faccia del santo mutilato Intanto da nord il vento ci porta Lettere dalla grafia inusuale Che non dicono nulla Solo sembrano così abituate All’inconsistenza dei nostri passi

Versi del mio caro amico e poeta Andrea Esposito, perché nonostante gli anni ancora scegliamo di saltare.


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PREFAZIONE

“Poco distante da lui una donna con un trench giallo non lo perdeva di vista. Un foulard le copriva i capelli, mentre gli occhi erano nascosti come gli zigomi sotto un grosso paio di occhiali neri marca Chanel…” Alfiero Neri è un distinto pensionato con un sordido passato da dirigente di banca, che sente gravare su di sé il peso degli anni e della solitudine; la sua vita riprende vigore grazie all’incontro con Angelica, una giovane ricercatrice che però nasconde un pericoloso segreto. È proprio l’ambiguità a fare da traino ai diversi episodi del romanzo di Marcello Di Fazio, un’ingannevole apparenza che si dipana tra le righe lasciando pian piano uscire il vero intreccio dell’opera. Fin dai primi capitoli si intuisce la strenua ricerca del “doppio” da parte dell’autore, per catapultare il lettore in una realtà che non è così come si presenta. Una ricerca che Marcello stesso ha intrapreso per scrivere “Il sole sorge anche di notte”, seconda opera che forse ha rappresentato per lui un vero e proprio banco di prova, uno step di crescita evidente sia per la trama, composta da fitti intrecci che si intersecano fra loro in maniera del tutto inaspettata, che per il suo stile letterario che raggiunge finalmente una maturità tecnica e narrativa. Una trasformazione della poetica che passa attraverso il genere (non a caso è stato scelto il “noir”), la finissima caratterizzazione dei personaggi e finisce con un deciso innalzamento del livello della narrazione, che trova nel ritmo e nella fluidità della lettura la capacità di coinvolgere il lettore dalla prima all’ultima pagina.


8 Possiamo dire che il “baco” si è per il momento trasformato in “crisalide” attraversando con la sua arte tutti quei passaggi necessari a uno scrittore per diventare “farfalla”. E con questa metafora naturalistica voglio sottolineare l’evoluzione della poetica di Marcello Di Fazio, che è soprattutto l’evoluzione del suo modo di scrivere e raccontare storie. Sì, perché da questo romanzo emerge la capacità dell’autore di mettersi alla prova, di smontare, capovolgere e reinventare la sua scrittura. Una prova d’autore quindi, ma soprattutto una prova di coraggio che non tutti gli scrittori sono disposti ad affrontare; cioè quella di mettersi in gioco e cercare di evolvere la propria poetica. Ambiguità, dicevamo, e ricerca del doppio: i personaggi del romanzo sono tutti caratterizzati da un passato oscuro e un presente in incognito che non coincidono, quasi a voler rappresentare un “divenire” che è anche un “riemergere” di ciò che è stato e un “fuoriuscire” di sentimenti neri, come la vendetta, da tempo covati nei cuori dei protagonisti. Proprio in questa ottica, Marcello Di Fazio non solo affronta la difficile prova, ma la supera a pieni voti, affidandosi a una articolata caratterizzazione dei personaggi (tutti infatti nascondono un tratto “nero” della loro vita) e a una narrazione più matura ed esigente che si compone di efficaci metafore, di un meraviglioso uso del flashback, nonché di una fluidità e di un ritmo incalzante fatto di suspense e colpi di scena, che tiene il lettore incollato alla trama pagina dopo pagina fino all’inaspettato finale, che racchiude in sé tutte le caratteristiche dell’evoluzione stilistica dell’autore. Questo “ambivalente divenire” viene inserito infatti, in un intreccio fatto di continui salti all’indietro e ritorni al presente, distribuiti con sapienza chirurgica da una narrazione che è veramente il punto forte del romanzo. Una capacità naturale di raccontare gli episodi che fa de “Il sole sorge anche di notte”


9 un’opera di estrema modernità, non tanto per la scelta del “noir” genere che si è consacrato nel corso del Novecento, quanto per il modo in cui l’autore riesce a far convivere figure letterarie complesse con la “facilità” di lettura propria dei grandi romanzi contemporanei, tanto da dare al lettore la sensazione di leggere altro salvo poi ritrovarsi catapultato in un inaspettato e ignoto universo, fatto di vendetta e rancore, ma anche e soprattutto - e questa è la cosa che colpisce - di amore e compassione, nascondendo in sé quello spiraglio di speranza che è il vero motore dell’umana esistenza.



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PROLOGO

Alfiero Neri passeggiava freneticamente nel suo studio, finalmente il giorno dell’appuntamento era arrivato. Di tanto in tanto si sedeva sulla poltrona, prendeva il giornale e dava uno sguardo veloce, poi riprendeva a camminare, su e giù per la stanza, grande com’era del resto tutta villa Anna. Un uomo dall’aspetto elegante: alto e slanciato nonostante i suoi anni fossero più vicini all’arrivo che al via. Indossava la sua solita giacca blu da camera con l’immancabile fazzoletto color argento che spuntava dal taschino. Si fermò un attimo davanti alla libreria e spinse il dorso di un libro allineandolo con gli altri; molti di quei libri li aveva divorati quando era giovane, ma adesso sembravano come soprammobili messi là tanto per abbellire la stanza. I suoi occhi neri coperti dagli inseparabili occhiali a goccia incrociarono lo specchio e, attraverso la flebile luce che penetrava dallo spiraglio delle tende, riconobbe l’immagine di un vecchio. Le rughe avevano scavato il viso come fa l’acqua con la terra. Tolti gli occhiali, prese a toccarsi le guance ruvide fissando gli occhi imbolsiti e la bocca. Nella memoria gli tornò sfuocato l’aspetto di un tempo quando era bambino, poi ragazzo e infine adulto. Sentiva crescere un peso sullo stomaco come quando ti trovi in un tunnel buio e angusto: la grandezza di villa Anna non poteva alleviare quel senso claustrofobico; si sentiva in trappola e quel suo corpo in decadenza era la sua prigione. Nella vita ne aveva fatta di strada e anche tanta, nonostante una difficile condizione familiare era riuscito ad avere successo.


12 Banche, speculazione finanziaria e amicizie politiche, Alfiero capì ben presto come funzionava il mondo e negli anni aveva accumulato sempre più potere e ricchezza, fino a diventare manager di una delle più grandi banche italiane. «Niente male per il figlio di un carpentiere…» si ripeteva sempre nel periodo d’oro dei suoi affari. Solo lui e quelli della sua generazione potevano capire cosa significava nascere nell’immediato dopoguerra, in un quartiere popolare per giunta. Tenacia senza scrupoli e nessuno spazio al sentimento, questi erano stati i suoi principi fin dalla giovane età. Allora perché adesso, che entrava appieno nella parabola senile, sentiva questo peso sullo stomaco? «Signor Neri è nella stanza?» La voce di Carmela rimbombò nella sua testa facendosi largo tra i pensieri. «Sì Carmela, sono qui.» Si rimise gli occhiali e raggiunse svelto la scrivania, un pezzo unico di fine Ottocento lavorata in noce con le venature scure del legno che riprendevano i colori smorti del dipinto posto dietro la sua poltrona. «Signore, è arrivato l’uomo che stava aspettando.» Il quadro fotografava un paesaggio invernale, in cui le foglie marroni si confondevano con il colore della corteccia. «Finalmente, tra cinque minuti fallo accomodare.» La luce opaca dell’opera sembrava entrare in simbiosi con quella degli occhi di Alfiero, una luce che cercava di filtrare a fatica tra gli scuri socchiusi delle finestre. La cameriera bussò nuovamente annunciando l’ospite. «Buongiorno dottor Amedei venga, s’accomodi pure.» Luigi Amedei si guardava attorno con i suoi occhi fini e allungati; un sorriso beffardo gli caratterizzava il viso largo mentre si avvicinava alla scrivania. «Complimenti signor Neri, davvero una villa stupenda.» Alfiero seguiva infastidito il movimento della mano del suo interlocutore mentre cercava di sistemarsi i capelli unti di gel.


13 «Adesso la trovo maledettamente dispersiva» disse, e con una certa riluttanza strinse la mano al suo interlocutore. «Dunque signor Neri, innanzitutto come si sente?» riprese Luigi sedendosi sulla poltrona che sprofondò sotto il suo peso. «Mi sentirò meglio quando questa storia sarà finita. Allora, ci sono buone notizie per me?» «Assolutamente. Adesso le spiego tutto per bene così potrà fare le sue valutazioni.» Luigi sudava abbondantemente. «Bene, non c’è tempo da perdere, veniamo subito al dunque.» Era una giornata afosa di un luglio particolarmente caldo, ma fu nel marzo precedente che la vita di Neri subì uno scossone inaspettato, come un puzzle che prese a cambiare forma proprio quando non mancavano che poche tessere alla fine: si accorse che il disegno sulla scatola non era proprio come quello che pensava di avere davanti; ma ormai era troppo tardi per ricominciarlo e non gli restava che osservarne il nuovo profilo che lentamente si andava delineando.



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UNO

Alfiero, come tutte le mattine, stava percorrendo la strada che da villa Anna portava a piazza Gian Lorenzo Bernini, assaporando sul viso l’imprevedibile brezza delle prime ore delle giornate di marzo. Aveva comprato casa non lontano da dove era nato e precisamente al numero 1 di via Ercole Rosa, a San Saba, quartiere sud di Roma. «Buongiorno, vedo che ha iniziato a seminare…» Quello era il tratto dove una volta iniziava la campagna romana e dove ora spesso incontrava Pietro, un attempato contadino, intento a curare il suo orto. «Buongiorno signor Neri, marzo è il periodo giusto, si va incontro al caldo.» «Anche se fa ancora freddo, è un mese pazzo non c’è da fidarsi molto.» Alfiero osservava i veloci ma precisi movimenti del campagnolo mentre distribuiva i semi al terreno. «Questo è vero, ma l’aria si scalderà presto, se lo lasci dire da uno dei pochi rimasti a lavorare la terra.» «Certo un tempo qui era un altro paesaggio, oggi invece…» «Forse è meglio adesso. Guardi là che belle ville, prima c’erano soltanto catapecchie e baracche.» «Magari oggi c’è più eleganza, ma non credo si stia tanto meglio.» La città era profondamente cambiata e quel piccolo sobborgo ora era un raffinato quartiere della capitale. «Che ci vuol fare i tempi cambiano.» «Lei no per fortuna, la saluto, buon lavoro.»


16 Non c’erano più i campi di grano né tantomeno i profumi del paesetto, tutto ciò che ricordava ormai era stato inglobato e trasformato dalla grande metropoli, fatta salva qualche eccezione, come l’orto di Pietro o la piccola taverna del Re. «Buongiorno signor Neri, visto che bella giornata?» «Buongiorno Paolo. Non c’è male, tu sei già al lavoro?» Alfiero si fermò, aveva le mani unite dietro la schiena e il bavero del cappotto alzato. Il locale non era cambiato se non per l’oste che lo gestiva, adesso c’era Paolo, il nipote di Gerardo suo carissimo amico scomparso qualche anno prima. Quella specie di osteria, perché alla fine era più di una taverna, si trovava a poche centinaia di metri dalla sua villa, appena a ridosso delle mura latine. Quel giorno Alfiero era uscito presto per fare il suo solito giro, che prevedeva, tra le altre cose, il bar di Sandro per un caffè, l’edicola di Gianni e poi il parco per una letta al giornale in tutta tranquillità. Era sabato mattina e il sole non aveva ancora scaldato l’aria, fuori alla vecchia locanda c’era Paolo che fumava una sigaretta. «Oggi ho diversi prenotati, una bella tavolata di turisti tedeschi.» «Adesso sono turisti… come cambiano i tempi» disse, e la sua memoria andò al primo dopoguerra, rivedendosi bambino a giocare con i suoi amici d’infanzia, proprio nei pressi dell’osteria vicina alla sua casa natia. «In questo caso sono cambiati in meglio però!» sorrise Paolo distraendo Neri dai suoi ricordi. «Per te sicuramente, le cicatrici sono le mie» rispose lui, al quale il conflitto aveva portato via due sorelle e anche il padre, morto poco dopo la sua nascita per una cancrena al piede mai guarito. «Per carità, i racconti di mio nonno me li ricordo bene, so’ stati tempacci quelli.» Nel frattempo era arrivata Lucia, la madre di Paolo. A Neri non sfuggì lo sguardo di adorazione della donna verso il figlio, uno sguardo che ormai aveva dimenticato da troppo tempo.


17 «Buongiorno, di buon’ora già ad aiutare il figliolo?» «Buongiorno signor Alfiero, che ci vuole fare, i figli so’ piezz’ e core» disse stringendo a sé il giovane. «La signora Anna pure l’adorava, sa, mia madre mi raccontava spesso di quello che faceva per lei.» «Già, purtroppo se ne è andata troppo presto, proprio quando le cose iniziavano a girare per il verso giusto.» «Era la sarta migliore del quartiere, ma all’occorrenza anche balia, governante, insomma una forza della natura; donna d’altri tempi non c’è niente da fare. In quel periodo… una femmina sola poi, se non lottavi come una tigre non avevi speranza. Erano tempi di sacrifici.» Alfiero ascoltò sorridendo i racconti su sua madre, poi decise di congedarsi e continuò il cammino ripensando con nostalgia a lei, alle volte che la scopriva la sera intenta nei rammendi. «Ancora sveglio sei? Alfiero è tardi, poi la mattina fai le storie per alzarti da letto.» «Va bene mamma, vado.» «Dai vieni qui, portati questo bacio con te.» Alfiero ebbe un brivido. Gli anni passavano e la vita sembrava aver di nuovo trovato un suo equilibrio, eppure quando le cose avevano cominciato a ritornare alla normalità il destino ci rimise lo zampino. Così il 28 marzo del 1956, al rientro da scuola Alfiero vide il medico uscire da casa sua e, come quando si spegne l’interruttore della luce, vide spegnersi i suoi pensieri. Anna era morta per un infarto lasciandolo solo a contare le sue lacrime, lacrime che difficilmente avrebbe versato ancora. Era poco più di un ragazzo, ma ben presto capì che non ci sarebbe stato spazio per la giovinezza nella sua vita: una situazione non molto lontana da quella di altri giovani, una trasversalità del dolore a fronteggiare le paure generate dalla precarietà del futuro.


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DUE

Nonostante tutto, rammentava con malinconia quel ragazzo in calzoncini corti e magliettina con i risvolti sulle maniche, che girovagava con i suoi amici per la città in costruzione, con le mani sporche di polvere bianca e quella voglia di vita che tutti volevano riprendersi. «Mamma, perché ci sono tutti quei mobili sulla strada?» «Qualcuno che parte o che arriva, chissà… e non mi tirare la gonna per strada.» «Buongiorno signora, prego passi pure.» «La ringrazio» disse. Poi, sicura di non essere sentita continuò: «Questi pizzardoni si credono i padroni.» Alfiero rivedeva ancora la scena, con le signore affacciate intente a ritirare i panni, i fischi dei padri seguiti dagli scappellotti ai figli, tanto rumore, rumore di uomo però. Infatti, fu proprio il trambusto di una macchina che lo fece trasalire riportandolo alla realtà informe della città. «Brutto idiota, vorrei tanto sapere cos’hai da suonare, la testa ti dovrebbero suonare addosso a un muro, ah! Se ci fosse ancora chi dico io» e diede una manata a uno dei manifesti elettorali. «Guarda qua che facce da imbecilli, vogliono il voto, gli si legge in faccia l’idiozia e l’incompetenza, e si dichiarano pure onesti!» Intanto, poco distante da lui, una donna non lo perdeva di vista. Un foulard a tinte floreali le copriva i capelli, gli occhi nascosti sotto un grosso paio di occhiali da sole Chanel. Procedeva lentamente stando ben attenta a non destare l’attenzione di Neri e quando l’uomo rallentò si fermò un istante,


19 fece per prendere il telefono dalla borsetta a tracolla, ma esitò quando lo vide entrare nella chiesa di San Saba. Questa, con il suo antico monastero, si ergeva a controllo della zona sud-est di Roma, da porta San Paolo a Porta San Sebastiano. Alfiero non era mai stato un gran credente, anzi, la religione di certo non aveva occupato spazi importanti della sua esistenza. I suoi unici ricordi sfuocavano a quando da bambino accompagnava la madre nelle funzioni della domenica. «Perché devo venire in chiesa, mamma? Non capisco neppure una parola di quello che dice.» «Fai silenzio, in chiesa ci vieni perché te lo dico io. Vedi di studiare e un giorno capirai quello che dice il prete» rispondeva lei a quel bambino che la guardava corrucciato dal basso verso l’alto. Adesso però che gran parte della sua vita si era compiuta, sentiva di aver bisogno di rassicurazioni; da qualche anno aveva notato che frequentare il luogo sacro gli infondeva una sorta di serenità. Così una o due volte la settimana, faceva la sua apparizione nella grande chiesa gotica dove, seduto a uno dei primi banchi di legno, provava a riconciliarsi con il Creatore. Quel sabato San Saba era quasi deserta, non c’era nessuna funzione in quel momento. Bagnò la mano nell’acqua santa e si fece il segno della croce. Gli occhiali scuri accentuavano la penombra dell’edificio religioso. Scivolò dal lato destro costeggiando la navata centrale e si fermò un momento ad ammirare la statua della Madonna: inginocchiata e con lo sguardo rivolto verso il cielo così come i palmi delle mani. «Mamma vero che la Madonnina ci aiuta?» Neri ne fissava il volto come a cercarne gli occhi. «Certo tesoro, vedi lei prega per noi perché ci vuole bene.» Provò una sensazione di calore allo stomaco.


20 Continuò a camminare fino a sedersi su una delle panche centrali, tutt’intorno le immagini sacre attraversate di tanto in tanto da stilettate di luce che filtrava dalle bifore. Nel frattempo era entrata anche la donna col foulard, che si sedette nell’ultima fila. La regolarità della sua figura la rendeva quasi invisibile. Passò una buona mezz’ora, poi Alfiero si alzò e s’incamminò verso l’uscita. La donna si mise in ginocchio e congiunse le mani chinando il capo. Con lo sguardo seguiva la figura alta dell’uomo che procedeva lenta. Lui le passò vicino non notandola nemmeno e uscì dalla chiesa. A quel punto lei si alzò in piedi e prese di nuovo a seguirlo lungo la strada. Aiutata dalla folla e dall’andatura lenta dell’uomo, non faceva fatica in quello che a tutti gli effetti era un pedinamento. Quando Neri prese via Salvator Rosa la donna si fermò e fece finta di osservare la vetrina di un negozio di scarpe. Mentre le figure dei passanti si movevano riflesse tra gli stivali, prese il cellulare senza perdere di vista i movimenti dell’ex bancario.


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TRE

La donna col foulard si staccò dalla vetrina che non aveva ancora finito di parlare al telefono e con passo svelto si rimise dietro all’uomo. Non poteva rischiare di perdere di vista la sua preda che, nel frattempo, non si era accorta di nulla. Rimaneva prudentemente a debita distanza osservandolo con attenzione arrivare in prossimità del bar di Sandro. «Ehi, ma che diavolo!» Alfiero si sentì colpire da una forte spallata. «Oddio che succede, aiuto, aiuto, che qualcuno mi aiuti!» Un tipo robusto lo face cadere riverso sul marciapiede. «Sta’ fermo, non ti muovere, dammi portafoglio e orologio!» disse mentre con violenza gli teneva bloccate le spalle all’asfalto. «Sì buon Dio, eccoti tutto, ma non farmi del male!» Neri era inerme, cercava soltanto di proteggersi il volto. «Ehi tu, bastardo, che cazzo stai facendo?» Un terzo uomo si scagliò contro il ladro: all’improvviso il farabutto cadde di lato e rialzatosi in tutta fretta prese a correre via veloce. «Venga, si alzi», continuò poi rivolto al malcapitato, «è tutto finito adesso.» «Dio mio, aiuto, non farmi del male!» Alfiero ancora non si era reso conto di quello che stava succedendo. «Non si preoccupi, nessuno le farà più del male, è scappato quel fottuto bastardo.» Il soccorritore aiutò un Neri visibilmente sotto shock. «Venga qui, sediamoci un attimo. Ehi barista, si può!?» «Certo scherza? Ci mancherebbe!» Il barista, che aveva assistito alla scena senza poter intervenire, porse al vecchio un bicchiere d’acqua.


22 Neri era bianco come un panno lavato, non capiva cosa stesse succedendo, un attimo prima era tranquillo che camminava poi un secondo dopo era finito a terra come un tappeto. «Si sente bene?» domandò lo sconosciuto restituendogli gli occhiali. «Sì, credo di sì.» Alfiero si toccava un braccio. «Grazie per il suo aiuto, infame maledetto!» Nel frattempo si era radunata una piccola folla intorno ai due uomini. «Delinquenti! Controlli se le ha preso qualcosa. Ho provato a rincorrerlo, ma quel tipo è più veloce di una lepre.» «Sembrerebbe di no, grazie… senza il suo aiuto non so come sarebbe finita» disse con un filo di voce. «Non mi deve ringraziare, chiunque al mio posto avrebbe fatto lo stesso.» L’ex manager osservava il corpulento salvatore, un tipo non atletico ma molto robusto. La donna aveva assistito alla scena rimanendo immobile per tutto il tempo, poi si voltò e si mise in disparte quando udì in lontananza le sirene, che annunciavano l’arrivo di una volante allertata da qualche passante. Due poliziotti si accertarono dell’accaduto, ascoltarono alcuni presenti ai quali presero le generalità. Cercarono di ricostruire un identikit basandosi sulle testimonianze e allertarono la centrale operativa; nel frattempo verificarono che la vittima stesse bene e che non avesse subito furti, poi si allontanarono alla ricerca del ladro. «Questi sono buoni solo a far domande, meno male che c’era lei. A proposito, non so nemmeno il suo nome: io sono Alfiero Neri.» «Lorenzo Rossini, e le ripeto non deve ringraziarmi Signor Alfiero. Adesso però devo proprio salutarla. Spero si rimetta presto da questa brutta avventura.» Lorenzo aveva per così dire terminato il suo lavoro.


23 «Aspetti, mi lasci almeno un recapito…» «Tenga, questo è il mio biglietto da visita; per il ringraziamento non si preoccupi, mi basta sapere che lei sta bene. Arrivederci dottor Neri.» Lorenzo se ne andò e Alfiero seguì con lo sguardo la sagoma dell’uomo che si allontanava, pensando che aveva avuto un bel coraggio, al giorno d’oggi immischiarsi in quel modo. In quanti lo avrebbero fatto? Lui di certo no, questo quanto meno si confidava nella sua intima coscienza. Si sedette nuovamente al tavolo e si accorse che gli tremavano le mani, afferrò il bicchiere e diede una sorsata d’acqua, poi prese il bigliettino da visita: Lorenzo Rossini, infermiere presso clinica “Speranza”. Rossini intanto aveva fatto un centinaio di metri, era accaldato nonostante non indossasse una giacca particolarmente pesante, si passò il braccio sulla fronte stempiata per asciugarsi un po’ di sudore. «Ma guarda che faticaccia soccorrere quel dannato vecchio, adesso facciamo questa cazzo di telefonata. Mamma mia cos’è questa puzza? Che fogna di città, finiremo sommersi dalla merda.» Si spostò di qualche metro dai cassonetti stracolmi d’immondizia. La donna col foulard era tornata a osservare i movimenti del vecchio, la sagoma esile era impassibile, come un mare calmo dopo una tempesta. Quando le squillò il telefono Neri aveva ripreso a camminare.


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QUATTRO

Era passata qualche settimana da quella brutta avventura e Alfiero aveva ormai dimenticato lo spavento provato. Rientrò alla villa che era tarda mattina, l’aria si era scaldata e una gradevole brezza lo aiutava a non sudare. Nel piazzale adiacente l’ingresso, parcheggiato in bellavista, c’era il SUV di suo cugino Ettore. «Ci risiamo, e senza avvisare poi.» Fece una smorfia di disapprovazione e imprecò a bassa voce, poi mise le chiavi nella serratura, esitò un istante, ma alla fine varcò la soglia di casa. L’ampio ingresso comunicava con un’anticamera e con una grande cucina dove il padrone di casa, dopo essersi tolto il cappotto, entrò. «Eppure sanno che io odio queste improvvisate» mormorò. Un tavolo lungo di legno scuro occupava il centro della stanza. Le sedie con gli schienali alti ne delimitavano l’ampio perimetro. Dopo un paio di minuti arrivò la domestica. «Finalmente è tornato signore.» «Che cavolo ci fa qui?» La voce gli tremava dalla rabbia. «Cercava di lei, c’è anche suo nipote Franco. Io ho detto subito che lei non c’era, ma quelli si…» «Lascia perdere, dove sono?» «Nel salone dei quadri.» Carmela abbassò la testa e si mise da parte, conosceva bene quel tono. Alfiero raggiunse gli ospiti: Ettore figlio di una sorella di suo padre, più giovane di lui di qualche anno, Franco, suo primogenito, che da sempre accompagnava il genitore nei suoi affari.


25 «Eccoti finalmente! Caro cugino.» «Cosa vi serve questa volta? Ti avverto che hai scelto la giornata sbagliata.» «Alfiero non dire così, mi offendi.» «Davvero ti offendi? Allora se non vi occorre nulla mi scuso» rispose il padrone di casa con un sorriso arrogante, mentre Ettore non toglieva gli occhi dal pavimento. «Ascoltami un momento. Ti avevo già parlato di quell’affare, a Ostia, abbiamo preso informazioni, ci sono ottimi margini, però ci serve un po’ di liquidità per partire.» «Dammi solo un buon motivo, cugino, uno, non di più. Diavolo, quanti ne avete bruciati?» Ettore vedeva sventolare l’indice di Alfiero davanti alla sua faccia. «Zio, lo sai bene che sono tempi difficili questi.» «A vedere la vostra auto qui fuori non sembrerebbe.» «L’apparenza inganna.» Ettore aveva ritrovato velocemente la parola. «Quando ti abbiamo fatto comodo però… non è vero?» Franco era più spregiudicato del padre. «Vi ho sempre ripagato, fino all’ultimo centesimo, anzi anche di più.» La penombra anneriva i contorni degli oggetti del salone. «Stavolta si tratta di un affare sicuro, hai visto le carte. Per non parlare poi dei poveri dementi che vorrebbero intromettersi» replicò Ettore. Alfiero provava ribrezzo per le occhiate d’intesa del cugino. «I tempi sono cambiati e voi ancora non l’avete capito. Dovete piantarla di aprire e chiudere attività alla velocità della luce, buttate soltanto via soldi.» «Va bene, andiamo Franco, togliamo il disturbo. Meglio non parlarne oggi.» «Carmela!» La domestica arrivò immediatamente. «Accompagna i signori, la visita è finita e ricordatevi di avvisare la prossima volta.»


26 La domestica ormai era da anni a servizio presso villa Anna. Donna adesso matura, corpulenta, si era trasferita a Roma da giovane, da un paese della provincia laziale, ospitata da una sorella della madre. Dopo diverse esperienze, quando ormai aveva superato la trentina, iniziò a prestare saltuariamente servizio alla villa e non passò molto tempo prima che Alfiero si accorgesse delle sue capacità, riservatezza compresa. Così i servizi s’intensificarono fino ad assumerla con il ruolo di una vera e propria governante. La donna si accertò che gli energumeni uscissero dalla villa, osservandoli da dietro una grande finestra posta al primo piano. «Maledetto vecchio, che tu sia maledetto. Vedrai se un giorno…» «Zitto, potrebbe sentirci. Lo sai com’è fatto quell’infame di cugino che mi ritrovo. Aspettiamo ancora un po’, per oggi va bene così.» Il fuoristrada abbandonò il cortile della villa, lasciando nell’aria il fumo intrinseco alla polvere; quando la nuvola artificiale si dissolse le chiome degli alberi avevano ripreso a ondeggiare.


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CINQUE

Rimasto solo si versò un goccio di Armagnac, poi si sedette su una delle poltrone del salotto e cominciò a guardarsi intorno. La stanza era tappezzata di quadri, quella collezione era il suo orgoglio. «Li prendo tutti, le modalità le conosce» concluse anni prima, quando l’aveva acquistata per intero da un antiquario di via Margutta. «Non se ne pentirà signor Neri, ha fatto davvero un ottimo affare.» «Che si fotta l’affare, quello l’ha fatto lei. Mi piace questa rappresentazione della supplica, della pietà lasciata al caso.» L’antiquario seguiva lo sguardo arrogante del suo ricco acquirente. «È un artista che è in fase di rivalutazione, capace di cogliere come pochi l’animo umano. Se ne stanno accorgendo anche i critici» affermò. «Buoni quelli. Vede queste braccia imploranti? Tutti ad aspettare la manna dal cielo, fa bene questa specie di semidio a calpestarle a suo piacimento.» Dopo aver osservato attentamente il quadro, ripensò al confronto acceso avuto con suo cugino, e la sua mente fece un altro salto indietro nel tempo. Era stato per tanti anni un banchiere influente, tra i massimi dirigenti di uno dei più importanti istituti di credito. La sua ascesa al potere fu relativamente rapida, aveva saputo muoversi perfettamente nelle stanze che contavano.


28 «Oggi chi ci cuciniamo?» Alfiero la mattina scartabellava con cura le varie pratiche. «C’è Longhi alle dieci» rispose uno dei suoi assistenti. «Come alle dieci! Vi avevo chiesto di spostarlo, possibile che non capite mai?» «Scusi dottore, è che…» «È… che cosa? Almeno abbi la compiacenza di stare zitto. Chiamami quell’altro morto di sonno di Francesco.» I due assistenti si ritrovarono al cospetto del capo. «Chiudete la porta.» Un ghigno di soddisfazione nasceva sul volto di Alfiero mentre ricordava la scena. «Allora vi volete ficcare nella testa come cazzo si lavora?» urlò contro i suoi collaboratori, questi se ne stavano in piedi con il capo chino, di rado incrociavano lo sguardo del loro superiore. «Adesso che cosa gli dico a questo… vi avevo avvisato che aspettavo una telefonata. Sparite all’istante, ma non finisce qui.» Poi, la mente andò alla conversazione con quel Longhi, quello che considerava un povero Cristo. Un piccolo imprenditore che aveva avuto la sfortuna di sovrapporre i suoi affari con un personaggio assai comodo al Neri. «Dottore è arrivato l’ingegner Longhi.» «Fatelo aspettare, ho bisogno di dieci minuti almeno.» L’imprenditore finalmente fu ricevuto, nella stanza c’era una penombra che rasentava l’oscurità. Ad Alfiero piaceva lavorare con poca luce. «Allora, mi dica, come mai ha chiesto di vedermi?» L’uomo aveva il volto corrucciato e prima di iniziare a parlare si toccava le folte sopracciglia. «La mia è un’azienda sana, le carte le avrà viste, purtroppo abbiamo un problema con un nostro grosso debitore, ci ha chiesto di dilazionare i pagamenti, ma io non posso dilazionare gli stipendi, quindi…»


29 «Quindi così tanto solida non è» ribatté secco il bancario. «Si tratta di un prestito per far fronte alle spese correnti, il piano di recupero che vi ho presentato offre più di una garanzia, anche patrimoniali.» «Si fa presto a dire che ci sono garanzie, il fatto è che non posso esporre la banca a un rischio così alto» disse Alfiero a mani giunte e bocca stretta, scandendo lentamente le parole. «La prego dottore, mi aiuti, non ci sono motivi per non farlo, non posso lasciare tutta quella gente in mezzo a una strada.» «Purtroppo o per fortuna così va il mondo degli affari, vedrà che troverà qualche altra soluzione, in questo momento non posso concederle prestiti. Provi semmai a rinegoziare il suo credito, magari trova un rimedio senza indebitarsi ulteriormente con il nostro istituto.» «Così ci sta condannando a morte non lo capisce!» Il poveruomo aveva ormai le gote rosse dalla rabbia. «Adesso si calmi, mi faccia rivedere la situazione e ci aggiorniamo.» Alfiero sorseggiò il suo liquore con una certa nostalgia, quella vita gli mancava. «Mi sono fatto da solo io, senza chiedere niente a nessuno. Maledetti sciacalli, senza un filo di dignità, morissero di fame tutti quanti per quanto mi riguarda.» Intanto Carmela bussò e da dietro la porta gli annunciò che il pranzo era pronto. La tavola lunga era bandita come al solito, per un quarto. Mentre mangiava cercava di ricordare l’ultima volta che lo aveva fatto con qualcuno. Finì lentamente il pasto. «Vieni Carmela puoi togliere, ho bisogno di dormire.» Negli ultimi giorni, prima di dormire veniva assalito da uno stato di agitazione e allora lasciava una piccola luce accesa, quella del


30 bagno in camera, come per esorcizzare l’oscurità. Fatto sta che, nonostante i cuscini morbidi e il letto ampio, la notte per l’ex manager non era affatto tranquilla. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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