In uscita il 19/12/2018 (15,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine dicembre '18 e inizio gennaio '19 (5,99 euro)
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CESARE BRUNELLESCHI
IL CAMMINO DI SAN MICHELE
ZeroUnoUndici Edizioni
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IL CAMMINO DI SAN MICHELE
Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-260-7 Copertina: immagine proposta dall’Autore
Prima edizione Dicembre 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
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PROLOGO
La notte era scesa e del giorno non restava che un pallido ricordo. Il vento portava con sé il suono della risacca, una lenta melodia che smorzava il silenzio dello spiazzo dove Francesco aveva sistemato la sua tenda di tela azzurra. Quella sera, come nelle settimane precedenti, aveva cenato in modo frugale e per un attimo ripensò alle sontuose cene che si era concesso in ristoranti di lusso, alcune delle quali preparate perfino da chef stellati, quando la sua vita aveva imboccato il binario che lo avrebbe portato lì dove si trovava adesso. Scosse la testa, di quello che si era lasciato alle spalle poteva farne benissimo a meno, perché non era altro che una sorta di “surplus” del quale era possibile sbarazzarsi, così da tornare a una vita vera ed essenziale. Spostò lo sguardo verso il basso, giù sul fondo della scarpata alla fine della quale c’era una piccola striscia di sabbia. Al di là il mare, l’infinito. Quello era stato il punto che si era prefisso di raggiungere. Durante il cammino si era detto che di sicuro, una volta arrivato fin lì, avrebbe saputo cosa fare. Tuttavia adesso, con le stelle che comparivano sulla volta del cielo notturno, il dubbio e l’incertezza avevano cominciato a farsi strada nel suo cuore. Che fare adesso? Quel pomeriggio era rimasto a lungo a contemplare l’orizzonte, in cerca di una risposta che non era ancora riuscito a trovare. Alcune navi si muovevano pigre sulle acque in lontananza, dirette chissà dove. Nessun altro era lì con lui, era ancora una volta solo con se stesso. Questo era un pensiero che all’inizio lo aveva spaventato, facendogli prendere in considerazione la dolce possibilità di fare dietro front e tornare da dove era venuto, dove c’erano alcune di quelle certezze tanto care a ogni uomo. Amici, persone amate… Ma non lo aveva fatto, continuando un passo alla volta lungo la strada che aveva scelto di imboccare. Dietro di lui c’erano ancora delle certezze, poche per la verità, ma presenti.
4 Davanti a sé c’era solo l’incognita di un futuro che appariva nebuloso e incerto, come talvolta succede quando ci si trova dinanzi a un vicolo immerso nell’oscurità: non si sa mai quello che si può trovare. Sebbene lo sconforto in alcuni momenti lo aveva fatto vacillare, aveva continuato a camminare in silenzio, riscoprendo un rapporto con il mondo che era andato perduto da anni. Ricordava perfettamente la gioia, mista a timore, che aveva provato quando una fredda mattina di qualche settimane prima, aprendo la tenda, aveva visto a pochi passi di distanza un lupo. Si erano fissati per alcuni lunghissimi istanti, poi quando il possente animale aveva capito che non rappresentava una minaccia, se n’era andato per la sua strada. Francesco si era messo a piangere. Mai fino a quel momento aveva assistito a qualcosa di così puro. Fissò il buio. A qualche decina di metri dalla riva una luce intermittente segnalava la presenza di una boa. Ce n’erano altre, disposte a ventaglio, come a formare una sorta di barriera che navi e persone non potevano oltrepassare. Che fare adesso? Sospirò, passandosi una mano tra i folti capelli, in un gesto che da ragazzino aveva visto fare a suo padre quando c’era qualcosa che lo preoccupava. Chissà, forse lui sarebbe stato capace di dargli un consiglio, di indicargli la via, anche se questo era impossibile, non solo perché suo padre era morto da anni, ma perché rispondere a quella domanda spettava solo a lui. Era suo l’onere della risposta, perché da questa sarebbe dipeso il suo futuro. Che fare adesso? Francesco fece sprofondare le mani nelle tasche dell’ampio giaccone imbottito che lo riparava dal freddo. Per un attimo pensò di tornare fino al piccolo paese che quella mattina si era lasciato alle spalle, prendere una stanza d’albergo e lasciare che il caldo e le comodità lo aiutassero a scegliere bene. Ridacchiò divertito, sarebbe stato un errore imperdonabile farsi sviare da quei beni ai quali aveva rinunciato, perché lo avrebbero spinto di nuovo nel mondo che aveva lasciato. Sarebbe tornato indietro, mentre lui si era imposto di andare avanti, sempre e comunque, alla ricerca non tanto di se stesso, ma della sua redenzione. Perfetto. Discorsi impeccabili, ma il punto restava: cosa fare adesso? Si voltò verso la tenda, ne fissò il lembo aperto, pronto ad accoglierlo come un nuovo, umile grembo materno.
5 Si sentiva stanco, provato, sfinito, eppure pieno di vita. Si chinò lentamente per entrare in quella che a tutti gli effetti era diventata la sua nuova casa. Chiuse la cerniera e senza togliersi il giaccone si infilò nel sacco a pelo. Cosa fare adesso? Dicono che la notte porti consiglio e Francesco, con il sonno che cominciava ad avere la meglio sui suoi pensieri, sperò con tutto se stesso che fosse così.
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CAPITOLO 1
Quella domenica mattina Francesco uscì di casa di buon’ora perché aveva passato una di quelle “famigerate” notti in bianco e alla fine non era più riuscito a restare disteso sotto le coperte, diventate all’improvviso troppo pensati, tanto da sentirsi soffocare. Era scivolato fuori dal letto senza far rumore, non voleva che sua moglie Sara si svegliasse perché se fosse successo la discussione si sarebbe subito riaccesa e Francesco non aveva più voglia di discutere con lei, di sentire le sue infinite e petulanti lagne che avevano la capacità di mandarlo fuori di testa. In modo furtivo era sceso nel seminterrato, dove c’era una sorta di piccolo appartamento che utilizzava sua figlia Ilaria, composto da due stanze più un bagno. La ragazza era all’università e quel fine settimana non era tornata da Milano perché il lunedì aveva l’ultimo esame prima della laurea. Quella mattina Francesco aveva ringraziato il cielo che non ci fosse. Si era fatto una doccia veloce e dopo essersi vestito, aveva frugato nel cucinotto alla ricerca di qualcosa con cui fare colazione. C’era ben poco di commestibile, o almeno niente che lui giudicasse adatto per cominciare la giornata. Barrette dietetiche, biscotti integrali… robaccia che Ilaria si ostinava a mangiare per mantenere la sua silhouette impeccabile e invidiabile. Scosse la testa, sua figlia era un fiore di rara bellezza e non aveva bisogno di quelle cose per mantenersi in forma. Anzi, era segretamente convinto che con qualche chilo in più sarebbe stata ancora più bella, ma questo ovviamente non poteva dirglielo. C’erano cose che con il tempo i padri non potevano più dire alle proprie figlie e quella era una di queste. Tornò al piano superiore e dopo un’attenta riflessione decise di scrivere un biglietto per Sara. Avevano litigato, tuttavia, per non destare preoccupazioni inutili e ritrovarsi con il cellulare intasato di messaggi e chiamate, era preferibile informarla di ciò che aveva in programma di fare. “Vado a fare un giro in moto. Ci vediamo dopo” aveva scarabocchiato su un post-it che aveva poi attaccato sul frigorifero, certo che lei lo avrebbe visto.
8 Uscì di casa gustandosi i primi raggi di sole di quella domenica di maggio. Si era regalato la moto due mesi prima e fino a quel giorno, a parte qualche giro per le strade intorno a casa, non l’aveva mai usata su lunghe distanze. Mentre apriva il portone del garage, si disse che era arrivato il momento di battezzare la sua meravigliosa Honda rossa come il fuoco, con una bella e sostanziosa dose di chilometri. Era il regalo che aveva atteso per tutta una vita e che alla fine aveva deciso di farsi per festeggiare il suo cinquantesimo compleanno. Quando l’aveva vista, Sara aveva storto il naso, dicendogli che era un po’ troppo cresciuto per stupidaggini come una moto. «E poi» aveva continuato «vai a capire quanto costa un affare del genere!» Aveva detto proprio “affare”, giusto per sminuire qualcosa che lui invece aveva desiderato a lungo, dimostrando quanto poco tenesse in considerazione i suoi desideri. Francesco non le aveva risposto perché non meritava una riposta. «Se finisci in un fosso con quell’affare, dovrai cavartela da solo» aveva sibilato in risposta al suo silenzio «io non verrò neppure a trovarti in ospedale!» C’era mancato poco che Francesco non la prendesse a schiaffi, perché ancora una volta Sara era riuscita a dimostrare quanto fosse diversa dalla donna che appariva in pubblico, specialmente in presenza dei suoi colleghi o gli amici del lavoro. In quelle occasioni, che Francesco detestava, si presentava come una donna dolce e servizievole, bellissima e che amava fare sfoggio della sua profonda cultura. Lavorava come dirigente in un’affermata ditta di import-export, nella quale era entrata come assistente. Con determinazione ferrea era riuscita a fare carriera, arrivando a ricoprire il prestigioso ruolo di vicepresidente. Una scalata che le aveva dato alla testa, accentuando il suo carattere già spigoloso e tirannico… un carattere che ovviamente veniva alla luce solo quando era tra le mura di casa, quasi come una versione al femminile del vecchio dottor Jekyll che diventava Hyde. Quella che ne aveva fatto maggiormente le spese era stata proprio Ilaria, cresciuta all’ombra di una donna di successo che però aveva avuto la pretese di mettere bocca su ogni decisione della figlia, facendola vivere in una sorta di campana di vetro che alla lunga, e di questo Francesco ne era stato certo, l’avrebbe soffocata. Era stato lui a premere perché scegliesse un’università piuttosto lontana, tanto da non
9 poter fare la pendolare, ed era stata una delle poche volte che era riuscito a spuntarla sulla moglie. C’era stata una discussione accesa, durante la quale Ilaria era rimasta a testa china, prossima alle lacrime. «Per nostra figlia voglio il meglio!» aveva detto Francesco calando la mano sul tavolo «e per poter seguire le tue orme, deve poter frequentare un’università prestigiosa… in fin dei conti i soldi non sono un problema e se lei vuole andare a Milano, andrà a Milano!» Sara, che aveva deciso per Ilaria la facoltà di economia di Firenze, alla fine aveva ceduto. L’idea che la figlia potesse diventare una donna in carriera proprio come lei aveva stuzzicato la sua vanità. Così Ilaria se n’era andata, ed era rimasto solo lui a combattere con la moglie, dispotica e terribile come un barbaro invasore. Un barbaro che fin troppo spesso aveva invaso la sua vita, mettendolo in imbarazzo con i suoi amici o addirittura con i suoi clienti. Proprio come era successo la sera prima. Francesco, falegname, aveva un laboratorio con tre dipendenti, dove si servivano gran parte dei suoi concittadini. Non solo per porte o finestre, ma anche per sculture e oggettistica varia. Era risaputo infatti quando grande fosse il suo talento e molti gli commissionavano arredi per la casa. Perfino il sindaco si era rivolto a lui per realizzare lo stemma del comune che adesso faceva bella mostra di sé all’ingresso del Municipio. Era sua abitudine, un paio di volte all’anno, di organizzare una cena con i suoi dipendenti e le relative mogli, più una cerchia ristretta dei suoi clienti, scelti tra quelli che gli avevano commissionato i lavori più redditizi. Quel sabato sera aveva invitato il sindaco, un assessore, e altri cinque imprenditori con le rispettive famiglie. La serata era stata piacevole anche se, come era inevitabile, soprattutto per la presenza del sindaco, avevano cominciato a parlare di politica, in particolar modo sulla figura del nuovo presidente americano, controverso e fin troppo pittoresco. Alcuni ne condividevano le scelte, altri avevano espresso perplessità sulle decisioni prese in merito all’immigrazione. Il sindaco, dall’alto della sua carica istituzionale, si era sentito in dovere di far notare che in fin dei conti gli Stati Uniti erano nati grazie all’immigrazione, e chiudere le frontiere significava chiudere con il proprio passato. «Viene a mancare la linfa vitale» aveva detto per poi bere un sorso di Müller-Thurgau che aveva accompagnato il pasto.
10 «Infatti» si era trovato d’accordo Francesco «se uno ci pensa bene, sono stati proprio gli immigrati che hanno permesso agli americani di costruire la bomba atomica… Fermi, Szilard… gente che se n’è dovuta andare dalla propria terra per cercare fortuna altrove.» A quel punto Sara, che stava parlando con la moglie di uno dei dipendenti del marito, una dolce ragazzina di vent’anni che coltiva la passione della pittura, si era voltata verso di lui e aveva detto: «Adesso vuoi farmi credere che un falegname non solo si intende di storia, ma riesce anche a esprimere opinioni di politica internazionale?» Francesco si era sentito umiliato per quella uscita infelice. Per fortuna era stato il sindaco a smorzare il profondo silenzio imbarazzato calato sulla tavolata. «Le ricordo Sara» aveva detto fissandola negli occhi «che è stato proprio un falegname a dare all’umanità il più grande insegnamento mai ricevuto…» Sara era pronta a replicare, ma qualcosa nel tono del sindaco l’aveva fatta desistere, forse consapevole di essere stata fuori luogo. «Beh, i falegnami hanno delle qualità… sorprendenti!» aveva concluso ammiccando al marito, lasciando intuire ai presenti che queste sue qualità erano ben apprezzate sotto le lenzuola. La cena era proseguita serena, con Francesco che aveva però covato una profonda rabbia nei confronti di Sara, che lo aveva deriso davanti ai suoi clienti, davanti a quelli che gli avevano non solo fatto guadagnare un mucchio di soldi, ma lo reputavano una persona stimabile e degna della loro amicizia e del loro rispetto. Rispetto che invece Sara non aveva mai dimostrato nei suoi confronti. Quella cena era solo uno dei tanti esempi, perché fin troppo spesso lei non aveva mancato di sminuirlo, di metterlo in imbarazzo, di fargli fare pessime figure in ogni situazione. Durante il viaggio di ritorno avevano litigato, come sempre più spesso succedeva. «Io non sarò andato all’università, ma ho imparato a portare rispetto alle altre persone, specie a mia moglie!» le aveva detto. «Cosa vorresti dire?» aveva replicato stizzita Sara «mi stai rinfacciando la mia istruzione? Non è colpa mia se i miei genitori mi hanno permesso di studiare!» «Proprio non capisci» era stata la secca risposta di lui «non sto parlando della tua istruzione, ma del fatto che mi hai mancato di rispetto davanti a quelle persone che, per inciso, mi hanno permesso di comprare il pane tutti i giorni! Con quella tua uscita mi hai messo in imbarazzo, lasciando intendere che mi consideri solo…»
11 «Oh, ma falla finita!» lo aveva interrotto lei «cosa vuoi che importi a quegli… a quelle persone cosa ho detto! A loro interessa solo come lavori.» «Stavi per dire stronzi, vero?» Sara non aveva risposto. «Certo, è sempre così. Quelle che frequenti tu sono persone meravigliose, fantastiche… i miei clienti o i miei amici sono solo una massa di stronzi, non è vero?» «Io non l’ho detto!» «Ma è quello che pensi! Dopo tutti questi anni, ho imparato a capirti al volo e quello che ho scoperto non mi piace!» «E questo che vorrebbe dire? Sei stanco di stare con me?» c’era acido nelle parole di Sara «Francesco non farti venire in mente idee balorde perché giuro su Dio che ti rovino!» «Io non ho detto che mi sono stancato di te, ho solo detto che non mi piace come mi tratti» anche se in realtà era stanchissimo di lei e del suo carattere. Del modo in cui metteva bocca su questioni che non la riguardavano, dove non era richiesto il suo consiglio. Era arrogante, presuntuosa e a volte perfida. Se era rimasto con lei per tutti gli anni del matrimonio, lo aveva fatto solo per il bene di Ilaria. La discussione si era protratta fino al loro arrivo a casa e solo quando si erano messi a letto lei si era zittita, scivolando come sempre, nel sonno di chi riteneva di essere nel giusto. Ma nel giusto Sara non lo era più e Francesco ne aveva ormai le palle piene di lei. Proprio per questo aveva deciso di passare la domenica in sella alla sua moto, lontano almeno per qualche ora dall’inferno che era diventato il suo matrimonio. Prima di indossare casco e guanti, prese il cellulare e decise di inviare un messaggio su WhatsApp a Ilaria. “Ciao piccola, come stai? Pronta per l’esame? Oggi riposati invece di studiare, mi raccomando! Io vado fuori in moto. Un bacio.” Inviò il messaggio e nonostante non fossero neppure le sette, Ilaria rispose subito: “Qua tutto bene papà. Ripasso veloce, poi oggi pomeriggio cinema con Elisa e Martina.” Elisa e Martina erano le ragazze con le quali Ilaria aveva condiviso l’appartamento negli ultimi tre anni. Erano buone amiche e sapeva che dopo la laurea, avevano un non meglio specificato progetto di lavoro insieme. Parlavano di start-up, o qualcosa del genere. “Hai litigato con mamma, vero?” scrisse ancora la ragazza.
12 “Cosa te lo fa pensare?”. “Ti alzi presto di domenica solo quando litighi con lei”, fu la risposta che arrivò immediata. Sorrise, sua figlia lo conosceva davvero bene. E proprio per questo l’amava più della sua stessa vita. “Roba di poco conto” scrisse per non farla preoccupare “conosci tua madre, a volte parla troppo…”. “E ti fa fare brutte figure con gli amici”. Sorrise ancora, per il futuro marito della figlia sarebbe stato un problema nasconderle un segreto. “Beh sì, ogni tanto capita. Comunque non stancarti troppo, magari ci sentiamo in serata”. “Ok papà, divertiti. Un bacio”. Francesco rispose con uno smielato: “Ti voglio bene”, poi infilò il telefono nella tasca del giubbotto di pelle, si mise guanti e casco e partì. Non sapeva di preciso dove andare, ma qualunque posto sarebbe stato migliore di casa.
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CAPITOLO 2
Aveva lasciato che fosse il caso a scegliere per lui. Era uscito da Santa Luce della Chiana, la piccola città dove viveva, procedendo a passo spedito, gustandosi il piacere e il senso di libertà che solo la moto riusciva a fargli provare. Il traffico era inesistente, così aveva spinto il suo bolide fino a 130, anche se doveva ammettere che non era il massimo guidare una moto su una strada completamente dritta. Voleva affrontare un bel po’ di curve, mettere in gioco i suoi riflessi e la sua abilità di centauro consumato. Da ragazzo aveva partecipato a diverse gare di motocross, vincendo anche qualche trofeo e sfiorando di un soffio le competizioni nazionali. Ma il lavoro e poi Sara lo avevano spinto ad abbandonare quel mondo, anche se la passione per le due ruote non si era mai sopita del tutto. C’era stata prima una Guzzi che adesso riposava come un oggetto d’antiquariato sotto a un telone in garage. Alla fine aveva deciso di comprarsi la Honda, togliendosi uno sfizio che si portava dietro da quando aveva visto per la prima volta le moto giapponesi. Non che fossero migliori di quelle italiane, per carità, tuttavia gli era sempre piaciuta la loro linea elegante e aggressiva allo stesso tempo, che gli faceva pensare a un rapace predatore che si avventa sulla strada. Il suono del motore era musica per le sue orecchie, un tonico per il suo animo provato e offeso. In sella alla moto, Sara era quanto di più lontano ci fosse dai suoi pensieri. Visto che ormai era in viaggio da più di un’ora, decise di fermarsi per una sosta. Si fermò in uno spiazzo lungo la strada, dove si affacciavano alcuni edifici. Uno di questi era un bar dove ricordava di essere stato un paio di anni prima. Ricordava di aver bevuto un buon caffè e di aver trovato dietro al bancone una signora sulla quarantina dal seno generoso e il sorriso solare. Scesa dalla moto ed entrò nel locale, dove ci fu la prima delusione: il bar era stato ristrutturato, probabilmente a seguito di un cambio di gestione, infatti al posto della barista dalle tette abbondanti c’era un ragazzino, forse appena ventenne, con un accenno di barba incolta e
14 lunghi capelli biondi legati in una coda che gli penzolava fino a metà schiena. Non appena il barista vide entrare Francesco, lo salutò augurandogli il buongiorno. Francesco si guardò intorno con minuziosa attenzione. Tavolini d’acciaio, pareti tappezzate di foto in bianco e nero che ritraevano vedute di grandi città. Riconobbe New York per via della Statua della Libertà, le altre, avrebbero potuto essere qualunque parte del mondo. Sulla parete di fondo, un televisore gigantesco era sintonizzato su un canale che trasmetteva musica non stop. «Buongiorno» rispose Francesco pensando che quel locale era freddo e impersonale. «Cosa le posso servire?» chiese il barista che, visto da vicino, appariva pure foruncoloso. Un grosso brufolo giallo svettava sulla punta del naso, dando così un pessimo benvenuto ai potenziali avventori. Francesco sentì rumoreggiare lo stomaco e per un attimo valutò se fosse il caso di girare i tacchi e andarsene senza prendere neppure un bicchier d’acqua. Quel brufolo faceva letteralmente schifo. «Un caffè» rispose dopo un silenzio fin troppo lungo. Il ragazzo si voltò verso la macchina e preparò la bevanda. Tempo due minuti e il caffè era pronto. «L’ho vista arrivare con la moto» disse il ragazzo mentre Francesco si portava la tazzina alle labbra «davvero bella! Anche io ho una Honda.» Bastò quella confidenza per fargli cambiare idea non solo sul bar, ma anche su di lui. In fin dei conti era un posto accogliente, adatto a chi come lui aveva la passione per le moto. «Oggi è la prima uscita ufficiale della mia moto» confessò Francesco appoggiando la tazza sul piattino «me la sono regalata per il mio compleanno, ma ancora non avevo trovato un attimo di tempo per una bella corsa!» «La capisco» annuì il barista «da quando lavoro in questo posto, la moto se ne sta chiusa a prendere la polvere.» «Eh, lo so» rispose serio Francesco «quando avevo la tua età ho fatto qualche gara di cross, poi per via del lavoro ho dovuto smettere… per il lavoro e per mia moglie. Sai, lei non sopporta le moto.» Il barista scoppiò a ridere. «Ma lo sa che anche la mia ragazza dà di matto ogni volta che esco con la moto? Sempre a lamentarsi che potrebbe succedermi questo o quello, che potrei finire in qualche dirupo e sotto a un camion» e rise di nuovo. «Valle a capire le donne!» rispose Francesco scuotendo la testa «quanto ti devo per il caffè?»
15 «Un euro.» Francesco prese il portamonete e lasciò cadere sul bancone un po’ di spiccioli. Erano forse il doppio di quanto richiesto, ma disse al ragazzo di tenere la mancia. «Senti un po’» disse Francesco prima di uscire «vorrei fare una strada un po’ più impegnativa, con qualche bella curva… puoi darmi qualche consiglio?» Il ragazzo aggrottò la fronte poi rispose: «Secondo me può andare su a Montecasale… conosce l’eremo?» Francesco annuì, non era una strada troppo impegnativa, tuttavia per cominciare poteva andare fin troppo bene. «A me piace arrivare fin lassù e questo è il periodo migliore perché non ci dovrebbe essere troppa gente tra i piedi.» «Sai che è una buona idea? Saranno passati dieci anni dall’ultima volta che ci sono stato.» «Se si ferma per il pranzo, vada alla Taverna del Frate e dica a Giovanna che è un mio amico» aggiunse il barista con un sorriso complice «le farà un trattamento di favore…» Francesco lo guardò incuriosito, quel sorrisetto beffardo lasciava intendere un bel po’ di cose, molte delle quali dovevano iniziare e finire in un letto. «E chi devo dire che mi manda?» «Le dica solo che è un amico di Loris» e gli fece l’occhiolino. Francesco si ritrovò a sorridere divertito, rimpiangendo la spensieratezza della gioventù, quando la maggior parte dei problemi erano legati a come riuscire a entrare nelle grazie di qualche bella ragazza. Lavoro, famiglia, mutuo, tasse, acciacchi… tutti spettri ancora troppo lontani per essere anche solo presi in considerazione. «Allora grazie per la dritta, Loris» disse «io mi chiamo Francesco.» Si strinsero la mano. Prima di rimettersi in sella prese il cellulare. C’era un messaggio di Ilaria e una chiamata di Sara. Risaliva a mezz’ora prima e valutò se chiamarla una volta arrivato a destinazione. “Meglio farle subito, le cose sgradevoli!” era sempre stata una massima di suo padre. Chiamò la moglie. «Francesco dove sei?» chiese lei rispondendo dopo un solo squillo. Possibile che fosse preoccupata? «Sono in moto» rispose lui senza precisare dov’era diretto, meglio tenerla un po’ sulle spine «mi sono fermato per un caffè.»
16 «E tra quanto pensi di tornare?» stavolta il tono tradiva un certo fastidio. «Non saprei» rispose lui «comunque, prima di cena.» «Come sarebbe prima di cena?» replicò Sara alzando la voce. «Vuol dire che sarò di ritorno prima di cena.» «Ti sei dimenticato che oggi siamo a pranzo da mia sorella?» «Sì, lo avevo dimenticato» rispose lui «non credo che nessuno ti farà storie se vai da sola» e fu allora che avvertì quanto profonda fosse la rottura che aveva cominciato a dividerli. Sapeva che la sua assenza avrebbe comportato grosse lamentele da parte della sorella di Sara, una petulante rompiballe proprio come lei, tuttavia a lui non importava niente e questa indifferenza lo turbò. «E secondo te io a Lucrezia cosa dovrei dire? Che hai preferito andare a zonzo con quell’affare piuttosto che passare una domenica con la tua famiglia?» Francesco sospirò. «Dille quello che vuoi» ribatté lapidario «mi sembra che quando vuoi non ti fai grossi problemi a usare la lingua…» «Oddio, ancora con questa storia? Ma smettila di comportarti come un bambino che mette il broncio!» la sua voce era più alta del normale, segno stava per esplodere. Meglio chiudere alla svelta, non voleva rovinarsi quella giornata per colpa di Sara. «Senti, puoi semplicemente dire a Lucrezia la verità, tanto lo sappiamo che tua sorella mi detesta, quindi sarà felice di non avermi tra i piedi.» «Sei proprio uno stronzo!» replicò furente lei «sai che non è vero, Lucrezia ti vuole bene…» «Certo, come no…» «Non mi interrompere! E poi sai che ci saranno anche i miei genitori! Sono venuti da Roma proprio per passare una domenica con noi!» Francesco non poté trattenere un sibilo divertito. Si era dimenticato che sarebbero stati presenti anche i suoceri, due mummie rinsecchite e rompipalle che detestava cordialmente. «Sarà per un’altra volta» disse lui. «Questa non la passi liscia!» ribatté la donna, e mentalmente se la immaginò mentre sollevava il dito indice in quello che per lei rappresentava l’apoteosi di tutte le minacce. «Ok» si limitò a rispondere. Sara chiuse la chiamata e mentre riponeva il telefono nella tasca, non riuscì a trattenere un grosso sorriso per aver scampato il pranzo tedioso
17 a casa di Lucrezia, anche se avrebbe voluto tanto gustarsi la scena di quando Sara avrebbe dovuto dire al suo caro paparino che suo marito ogni tanto faceva di testa sua e che se ne andava in giro senza il consenso della moglie. Gli sarebbe piaciuto, certo, ma preferiva di gran lunga la giornata che gli si prospettava davanti: lui, la sua moto, la strada. La libertĂ .
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CAPITOLO 3
Quello di Montecasale è un eremo immerso nel silenzio e nella pace dei boschi nella Valtiberina. A poco meno di un chilometro all’eremo, Francesco decise di parcheggiare la moto in una piazzola di sosta lungo la strada, uno spiazzo piuttosto ampio ricavato in una piccola radura naturale tra il fitto degli alberi. C’era anche un camper bianco e immacolato, la targa lo informò che proveniva dall’Olanda. Notò che la famiglia che lo occupava stava facendo colazione intorno a un tavolino. Marito e moglie erano biondissimi, così come i due maschietti insieme a loro. Francesco indugiò per qualche istante ancora sulla donna. Doveva avere una trentina d’anni, il viso assonnato, senza trucco. Era bella più di una rosa, e quasi si vergognò di spiarla in un momento di così quieta intimità familiare. L’uomo le disse qualcosa, lei con un piccolo sorriso annuì, quel semplice movimento portò la sua attenzione sul nuovo arrivato e sulla sua moto. Francesco arrossì quando si rese conto di essere stato scoperto a fissarla. La donna parlò a bassa voce e il marito si voltò verso Francesco. “Oddio, ora mi prende a pugni”, pensò in modo illogico Francesco, valutando addirittura la possibilità di accendere il motore e tagliare la corda. Il marito tornò a parlottare con la donna e poi, con un mezzo sospiro, si alzò e scomparve nel camper. I due bambini si rivolsero alla madre che, dopo aver parlato in quella lingua incomprensibile che era l’olandese, indicò Francesco, così si voltarono nella sua direzione e, dopo un istante di esitazione, sollevarono la mano in un gesto di cordiale saluto e solo allora Francesco si rese conto che erano gemelli, anche se quello che lo stupì maggiormente fu il gesto di saluto, così spontaneo, così… innocente. Davanti alla loro innocenza rischiò di mettersi a piangere. La sua vita era andata in una direzione che spesso gli aveva lasciato l’amaro in bocca, il suo rapporto con Sara si era deteriorato al punto tale che era
19 quasi certo di non amarla più, certo che un periodo nero si stesse addensando nel suo futuro. Nonostante tutto, Francesco intravide in quel semplice gesto di saluto una minuscola fiammella di speranza: nel mondo c’era ancora tanta bellezza e cosa ancor più importante, anche tanta bontà. Si trattava solo di non piangersi addosso e cercare quello che rendeva la vita degna di essere vissuta. Quando era nata Ilaria era stato felice, si era sentito un uomo appagato, con una bella moglie, una bella casa e una bambina meravigliosa. Nel corso degli anni quella felicità era scemata, si era dissipata come nebbia al sole, tuttavia, davanti ai sorrisi fanciulleschi dei due bambini, si ripromise che avrebbe provato a essere di nuovo felice. Non sapeva come, ma ci avrebbe provato. Sollevò la mano e la mosse in risposta ai bambini che, soddisfatti, tornarono a voltarsi verso la madre. Guardandosi ancora intorno, Francesco si disse che avrebbe potuto lasciare lì la moto e proseguire a piedi, per godersi la pace che quell’ultimo chilometro di cammino fino all’eremo gli avrebbe garantito. Dal camper uscì l’uomo e Francesco si rese conto che stringeva in mano una tazza rossa. Si avvicinò al tavolo e la riempì con quello che sembrava caffè… caffè lungo, acquoso e nero, come piaceva tanto a tutti quelli che non sono italiani. Sorrise alla moglie e poi si incamminò in direzione di Francesco. I due si studiarono. Francesco si rese conto che doveva essere giovanissimo, forse poco più che ventenne. Era molto alto, con il fisico marmoreo, quasi statuario. Indossava la maglietta di una squadra di calcio, l’Ajax, pantaloncini neri e ai piedi un paio d’infradito, nel miglior stile vacanziero possibile. Arrivato accanto alla moto, in un italiano quasi impeccabile, disse: «Buongiorno, gradisce una tazza di caffè?» Francesco mosse leggermente la testa all’indietro, colto del tutto di sorpresa, spiazzato nel giro di una manciata di minuti dalla gentilezza delle persone. Una gentilezza che ormai solo raramente incontrava nel corso delle sue giornate. “Due volte in dieci minuti… forse oggi sarà il mio gran giorno”, pensò. «Grazie» rispose lui sfilandosi i guanti «molto volentieri!» Si unì a loro, accomodandosi nella sedia che uno dei gemellini gli aveva messo a disposizione.
20 Francesco bevve il caffè e lo trovò orribile, tuttavia lo gustò fino all’ultimo sorso perché quella bevanda aveva il sapore della condivisione. Parlando scoprì che lui si chiamava Adam e che era un calciatore professionista che militava proprio nell’Ajax. Lo disse quasi scusandosi, come se fare parte di una così grande squadra di calcio potesse essere motivo di vergogna. Francesco capì molto bene il suo stato d’animo: non voleva che pensasse che si stesse vantando del suo lavoro e, probabilmente, della sua ricchezza. Nonostante la fama della quale doveva godere in patria, e tra gli appassionati di calcio di tutto il mondo, dimostrò di essere una persona umile e generosa, particolari che Francesco apprezzo molto. Sua moglie, Ilse, aveva una decina di anni più di lui, faceva la mamma a tempo pieno e, proprio come il marito, era una donna alla mano, lontana da quel mondo di vizi che spesso accoglie chi ha molti soldi. Raccontò, grazie alle traduzioni del marito, che per un certo tempo aveva lavorato in un importante studio legale di Amsterdam, poi dopo il matrimonio, e soprattutto dopo la nascita di Marco e Johan, nomi scelti ovviamente dal marito per onorare quelli che secondo lui erano i calciatori olandesi di sempre, Van Basten e Cruijff, aveva mollato tutto per fare la mamma a tempo pieno e la tifosa numero uno del marito. Francesco ascoltò rapito quella storia di vita di famiglia, una storia semplice, fatta di amore e voglia di stare insieme. Un desiderio che ormai lui e Sara non provavano più da tempo. «E lei?» domandò Adam mentre si riempiva per la seconda volta la tazza di caffè, cosa questa che gli fece guadagnare l’occhiataccia della moglie. Ilse disse qualcosa e lui ridacchiò «dice che non devo bere troppo caffè… altrimenti non farò altro che andare in bagno.» Francesco sorrise, a lui capitava con la birra. «Dicevo, lei cosa fa nella vita?» riprese Adam. Francesco rispose che faceva il falegname. «È sposato? Ha figli?» «Oh sì, sono sposato e ho una figlia bellissima, studia a Milano.» Ancora una volta Adam tradusse per Ilse, che disse qualcosa. «Vuole sapere come mai sua moglie non è con lei… se può chiederlo, ovviamente.» «A Sara non piace la moto, anzi la detesta.» Ilse annuì dopo aver sentito il marito. Disse qualcos’altro. «Ha detto che anche a lei all’inizio non piaceva molto il calcio, poi però per farmi contento ha cominciato a venire allo stadio… e ora non ne
21 può fare a meno!» e rise di gusto «una tifosa… ehm, come si dice? Come un Hooligan!» e rise ancora. Francesco scoppiò a ridere a sua volta, non riusciva proprio a immaginare la bella Ilse la domenica a mettere a ferro e fuoco lo stadio per un fallo commesso sul marito, e magari non punito a dovere dall’arbitro. Poi un’immagine più amara gli si presentò nella mente: vide Sara in moto seduta dietro di lui, insieme, diretti chissà dove, a godersi la vita e la libertà. Chiuse gli occhi e scosse la testa, non sarebbe mai successo. «Tutto bene?» chiese Adam. Francesco riaprì gli occhi. «Sì tutto bene, grazie» sorrise «adesso devo andare, voglio arrivare all’eremo a piedi… anche voi venite lassù?» Adam scosse la testa. «Ci siamo stati ieri. Abbiamo passato la notte qui e tra poco ripartiamo.» «Mi ha fatto molto piacere conoscervi» disse con sincerità Francesco mentre si alzava. Ilse gli disse che anche per loro era stato un vero piacere conoscerlo e che se mai fosse andato in Olanda, doveva passare a trovarli. Per dar prova di quanto fosse concreto il suo invito, sparì un attimo nel camper e ne uscì un istante dopo con carta e penna. Scrisse indirizzo e numero di telefono. Francesco lo lesse di sfuggita per poi metterlo nella tasca dei pantaloni. Si strinsero le mani, Ilse gli diede un leggero bacio sulla guancia, i bambini gli sorrisero con dolcezza. Tornò alla moto e dopo aver sistemato casco e guanti, si avviò a piedi verso l’eremo.
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CAPITOLO 4
L’eremo apparve dopo che Francesco ebbe svoltato una curva. L’ultimo tratto di strada era dritto e se lo ritrovò davanti. Per un istante Francesco trattenne il respiro, consapevole di essere davanti a un piccolo gioiello di pietra incastonato nel verde della montagna. Rimase per un minuto buono a fissare quel luogo di pace e silenzio poi, con il cuore leggero di chi sa di essere arrivato finalmente a destinazione, si rimise in marcia. Il viaggio a piedi dalla piazzola dove aveva lasciato la moto e i suoi amici olandesi, lo aveva impegnato per poco più di un quarto d’ora, quindici minuti di assoluto silenzio durante i quali non era stato sorpassato né da una macchina né da qualcuno a piedi come lui. Si era goduto quella camminata per certi aspetti purificatrice, l’aveva in qualche modo rinvigorito, quasi come se a ogni passo un po’ della rabbia e della frustrazione causate dalla lite con Sara restassero dietro di lui. In quella quiete dove c’erano soltanto i suoi pensieri e il mormorio del vento tra gli alberi a tenergli compagnia, aveva avuto modo di riflettere sulla sua vita e su tutto quello di cui non era soddisfatto. Si ritrovò a ridacchiare, se avesse buttato giù una lista, avrebbe riempito un taccuino di cento pagine, metà delle quali sarebbero state dedicate al suo rapporto con la moglie. Tuttavia quell’ipotetica lista perse significato quando i suoi occhi si posarono sulla veduta dell’eremo e sulla serenità che ispirava, un po’ come succedeva a tutti quei luoghi di culto che, in un modo o nell’altro, avevano avuto come protagonista il Poverello di Assisi. Con un largo sorriso coprì quell’ultimo tratto a passo svelto. Non era un fervente devoto, però aveva sempre apprezzato quei luoghi che garantivano pace e silenzio. Aveva bisogno di mettersi in un angolo e, nel silenzio più totale, parlare con se stesso, capire cosa volesse e, cosa più importante, cosa fosse disposto a fare per ottenerlo. Aveva letto un po’ i filosofi e malgrado considerasse la maggior parte di quei pensieri solo buone chiacchiere campate in aria, con qualcuno si era trovato sempre d’accordo, specie
23 con chi sosteneva che il vero obiettivo della vita di un uomo era la felicità. Ecco, lui la felicità non sapeva più cosa fosse e quando si fermò davanti al cancello del monastero, sbirciando con curiosità all’interno, si disse che se non altro doveva provare a essere di nuovo felice, senza pretendere chissà cosa. Si trattava solo di trovare qualcosa che gli permettesse di guardare alle sue giornate con rinnovato ottimismo. Perso in questi pensieri, Francesco notò appena una comitiva che stava chiacchierando nelle vicinanze di un pulmino bianco. La maggior parte erano donne, fatta eccezione per l’autista che, appoggiato al parapetto in pietra che si affacciava sulla vallata sottostante, stava parlando al telefono, ignorando completamente lo spettacolo che aveva davanti agli occhi. C’era poi un ragazzo, visibilmente infastidito per essere stato trascinato in quel posto dove per lui di interessante non c’era niente, e un omone grosso quanto una montagna che stava intrattenendo un’animata discussione con una signora del gruppo. Fu proprio la voce di lei a riportare Francesco con i piedi per terra, facendogli pensare che era riuscito a trovare una scocciatrice anche lassù. “Devo essere una calamita per le rompiballe…” pensò mesto avviandosi verso l’ingresso, deciso più che mai a lasciarsi alle spalle quel gruppo di turisti e perdersi nella meravigliosa solitudine che l’eremo ispirava. Non voleva partecipare alla funzione religiosa, tuttavia voleva tornare a far visita alla piccola chiesa minimale – come nella miglior tradizione francescana – in particolar modo per poter vedere la bellissima statua della Madonna con il Bambino. Mentre attraversava il cancello, passò accanto alla donna e all’omone che stavano discutendo. «Come sarebbe che fino alle undici non possiamo prendere parte alla messa?» disse lei con la voce di chi è sull’orlo di una crisi isterica. Francesco si voltò, ma tutto quello che vide fu una figura di spalle, vestita di nero con le mani piantate sui fianchi e un piede che batteva a terra, in segno di nervosismo. Guardandola meglio per poco non scoppiò a ridere. Quella donna, di sicuro una fervente devota, aveva la testa coperta con un velo nero. Percorrendo la scalinata in pietra che portava al complesso principale, si chiese quante fossero le donne cattoliche che al giorno d’oggi si velavano la testa per andare a messa. “Poche” si rispose mentre si dirigeva verso l’ingresso della piccola chiesa che, come già immaginava, era chiusa. Qualcuno, probabilmente un frate, aveva affisso un foglio di carta scritto a mano con il quale si
24 informavano i gentili visitatori che quella domenica la regolare attività della chiesa sarebbe cominciata a partire dalle undici. Guardò l’orologio, erano appena le dieci. Poco male, di cose da vedere ce n’erano in abbondanza: il chiostro con il suo pozzo, la statua di San Francesco che guarda il Monte delle Tre Croci, l’orto del Santo con le sue piante e i cavoli che crescevano rigogliosi. Stava per dirigersi verso il chiostro quando arrivò il gruppo di poco prima, con l’omone a fare da apripista. Si fermò davanti all’uscio della chiesa e indicò il cartello. «Vedi Maddalena? È come ti dicevo» provò a giustificarsi lui «non è colpa mia, non potevo saperlo!» Dunque la donna velata si chiamava Maddalena… nome interessante. Francesco, senza dare nell’occhio, la guardò con attenzione. Indossava una camicetta e una lunga gonna nera che le arriva fino alle caviglie. Ai piedi un paio di scarpe anonime, anch’esse nere. Si soffermò sul viso, dove un cipiglio contrariato le conferiva un’aria imbronciata da bambina. Il viso era rotondo e somigliava in modo sorprendete alla Gioconda di Leonardo. Gli occhi erano di un azzurro intenso, mentre i capelli erano biondi. Notò che sotto il velo erano acconciati in modo tale da ricordare quelli di un paggetto. Di per sé, valutò lui con l’occhio critico dell’uomo che studia una donna, non era dotata di quella particolare bellezza che per strada spinge un uomo a voltarsi, tuttavia in lei c’era qualcosa che colpiva la sua attenzione, specie nel suo sguardo, non riuscì a capire cosa fosse, fatto sta che Francesco non fu capace di staccarsi da quel viso. Non che fosse il classico e famigerato colpo di fulmine, si trattava solo di un’attrazione che non riusciva a spiegare. Da un punto di vista puramente estetico sua moglie era cento volte più bella di questa Maddalena, eppure… «Non mi interessa!» protestò lei. «Ma dobbiamo aspettare solo un’ora, non di più!» ribadì l’uomo paonazzo. Francesco capì che stava morendo dalla voglia di metterle le mani addosso. Accanto alla donna ne arrivò una seconda, anche lei con la testa coperta e completamente vestita di nero. «Andiamo a prendere un caffè» suggerì quest’ultima. Doveva avere una trentina d’anni e, nonostante gli abiti fossero ampi e poco invitanti, si intuiva un corpo atletico e dalle forme giuste nei punti giusti. Aveva i capelli lunghi e castani. Il viso leggermente spigoloso, tuttavia piacevole da guardare. Francesco si disse che, se avesse potuto, avrebbe scelto sicuramente la seconda, anche se Maddalena aveva quel “non so che” di irresistibile.
25 «Non voglio un caffè!» replicò offesa lei «io voglio entrare in questa chiesa per pregare!» L’omone sbuffò, la ragazza allora la prese sottobraccio e le disse qualcosa all’orecchio. Maddalena si voltò verso di lei e, dopo quella che doveva essere stata una ponderata riflessione, annuì. «Franco noi due andiamo al punto di ristoro» disse la ragazza «torneremo in tempo per la messa.» L’omone annuì grato per averlo tolto da quella situazione delicata. Francesco le fissò mentre si allontanavano, dirigendosi verso il cancello. Capì subito che il punto di ristoro doveva essere il bar che si trovava più avanti, proseguendo lungo la strada. Da quello che ricordava c’era anche un ristorante e doveva essere quello di cui gli aveva parlato il barista. C’era anche un B&B per tutti coloro che volevano trascorrere una vacanza in quel luogo unico. A ben pensarci, si disse Francesco, poteva essere l’ora giusta per un caffè. Senza dare nell’occhio si accodò alle donne, restando a debita distanza perché non si accorgessero della sua presenza. Uscirono dall’eremo, passando davanti al pulmino bianco e incamminandosi lungo la strada. Se i suoi ricordi erano esatti, il piccolo agglomerato dove sorgevano le strutture per accogliere i pellegrini, si trovava a circa duecento metri dall’eremo, in un punto né troppo lontano, ma neppure troppo vicino per disturbare la quiete dei frati che dimoravano a Montecasale. Francesco le studiò da dietro, cercando di cogliere qualche particolare che svelasse il legame che le univa. Che fossero zia e nipote? Oppure più semplicemente due ottime amiche che avevano deciso di passare la domenica insieme. Entrambe vestite di nero, entrambe velate… ci pensò su un attimo. Possibile che fosse la fede il loro punto d’incontro? Non che avesse fatto molto caso alle altre donne della loro comitiva, eppure era certo di non aver visto nessun’altra conciata come loro. Insomma, volendola guardare da un certo punto di vista, vestite a lutto e per di più con il velo in testa, apparivano fin troppo ridicole per l’anno di grazia 2017. Sorrise leggermente divertito. “Possibile che esistano ancora oggi le beghine?” si chiese mentre cominciava a intravedere il profilo squadrato degli edifici del punto di ristoro per i pellegrini. Le donne entrarono in quello che una semplice scritta rossa su sfondo bianca definiva “Bar”, tuttavia ad attirare l’attenzione di Francesco fu
26 ben altro. Ricordava un’area di sosta minimale, in perfetto stile con l’eremo. Adesso invece sembrava che il turismo di massa fosse arrivato fin lassù. Le costruzioni erano rigorosamente in pietra, tuttavia erano quasi una decina, tanto da creare un insediamento molto simile a un piccolo villaggio turistico. C’erano un’edicola-tabaccheria, un negozio che vendeva prodotti realizzati dai frati, miele e amari per lo più, un ufficio postale con tanto di bancomat, un bar, il B&B, più un ristorante, una taverna e una paninoteca. C’era anche, in un angolo un po’ in disparte, un piccolo museo chiuso, dedicato alla storia dell’eremo. Francesco si guardò intorno. Probabilmente d’inverno tutte queste attività chiudevano i battenti, ma d’estate dovevano fare affari d’oro. Scosse la testa quasi adirato, non c’era da prendersela perché la chiesa avrebbe aperto in ritardo. Semmai ci sarebbe stato da incazzarsi per il fatto che c’era chi aveva deciso di lucrare grazie a quel luogo di culto, un po’ come succedeva a San Giovanni Rotondo con Padre Pio. «Roba da matti» disse tra sé, se non fosse stato così interessato a quella Maddalena, avrebbe fatto dietro front per correre filato fino alla moto e andarsene subito. Stava per entrare nel locale ma il cellulare decise di ricordargli che la sua vita era ben lontana da quel posto. Si frugò nella tasca e quando lesse sul display il nome della figlia sorrise felice. «Ciao tesoro» la salutò lui. «Papà mi spieghi cos’hai combinato?» nella voce della figlia c’era un misto di rimprovero e curiosità. «In che senso?» domandò lui cadendo dalle nuvole «che è successo?» «Mi ha chiamato mamma» spiegò lei «ed era molto arrabbiata! Mi ha detto che non andrai al pranzo con i nonni…» Francesco fu certo di sentire una mezza risata. «Ah, è questo!» e scosse la testa sospirando «come ti ho detto, sono andato a fare un giro in moto e sono vicino a Sansepolcro… mi ero dimenticato del pranzo!» Ci fu un lungo attimo di silenzio dall’altra parte, poi Ilaria chiese: «Va tutto bene tra te e la mamma?» Francesco chiuse gli occhi. Che cosa poteva dire alla figlia? «Papà ci sei?» «Sì tesoro… vedi, io e la mamma abbiamo litigato e… ecco, è stato un litigio un po’ più brutto del solito.» Di nuovo silenzio dall’altra parte. «La mamma ha detto che ti comporti in modo strano» aggiunse Ilaria «ha detto che sono alcuni mesi che non sembri più tu e che… forse hai un’altra.»
27 Una rabbia sorda gli fece digrignare i denti. Era tipico di Sara rivoltare la frittata e il fatto che avesse chiamato la figlia per dirle che lui aveva cominciato a comportarsi come uno stronzo ne era la prova. Francesco deglutì a vuoto, lo stomaco prese a bruciare. «La mamma ti ha detto perché abbiamo litigato?» la sua voce era fredda come un cubetto di ghiaccio. «No.» «Allora prima di lanciare accuse sarebbe bene sapere come sono andate le cose, non solo nell’ultimo periodo, ma negli ultimi dieci anni! Anche tu conosci tua madre e sai che tipo è! Se non sbaglio, appena hai potuto te ne sei andata a Milano e da quello che ho capito hai già dei progetti di lavoro in quella città.» «È vero ma…» «Ilaria ti voglio bene però siccome sei una donna adulta, ti chiedo una cortesia: prima di domandarmi di nuovo qualcosa del genere, solo perché lo ha detto tua madre, pensaci molto attentamente.» «Papà io non volevo offenderti» replicò Ilaria preoccupata «è solo che non aveva mai sentito mamma così…» «Era solo arrabbiata perché dovrà dire ai tuoi nonni che ho preferito andare via con la moto che passare del tempo con loro» la interruppe Francesco «non dovrei dirtelo, ma tua madre ha deliberatamente provato, dicendoti una cosa del genere, a metterti contro di me… sapendo quanto questo mi avrebbe fatto del male e per inciso ci è riuscita!» «Papà, io…» «Ilaria non sono arrabbiato con te» disse lui «magari sentiamoci stasera, ok? Così avrò tempo di calmarmi.» «Papà mandami un messaggio quando parti e uno appena arrivi a casa… non farmi stare in pensiero.» «Tranquilla tesoro, non mi succederà niente di male» cercò di rassicurarla «comunque appena mi metto in viaggio ti scrivo.» «Grazie papà.» Si salutarono e dopo aver rimesso il telefono nella tasca, con un peso nel cuore e lo stomaco in fiamme, Francesco entrò nel bar, dove lo aspettava il suo destino.
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CAPITOLO 5
Quando aprì la porta, un campanello tintinnò annunciando il suo ingresso. Il barista, con una folta barba bianca che lo faceva assomigliare proprio a un frate, lo accolse con un cenno di saluto. Indossava una lisa camicia a mezze maniche di un pallido rosa stinto con un farfallino nero al collo. “Un barman d’altri tempi”, pensò divertito Francesco mentre si avvicinava al banco dove Maddalena e l’altra donna stavano bevendo il loro caffè servito in bicchierini di plastica. «Buongiorno» salutò lui «vorrei un caffè» e si mise accanto a Maddalena che gli dava le spalle. Fece scivolare gli occhi su di lei, indugiando sul fondoschiena, dava l’impressione di essere sodo e sensuale, anche se l’abbigliamento, a parte la rotondità dei fianchi, non lasciava vedere molto. «Subito» rispose il barista mettendo mano alle cialde. Inserì una capsula e fece scattare un interruttore. Il caffè cominciò a scendere lento e denso. Nel frattempo Francesco prestava molta attenzione a quello che le due donne si stavano dicendo. «Ma dai Maddalena, non fare così» disse la donna più giovane «dobbiamo aspettare poco, cosa cambia un’ora?» «Il punto non è aspettare un’ora, Maria» replicò piccata Maddalena «Franco doveva informarci di questa variazione.» «Ma non lo sapeva neppure lui» ribatté Maria. «Smetti di giustificarlo! Ancora mi chiedo perché ci affidiamo sempre a lui per i nostri pellegrinaggi!» Le due dovevano dunque essere molto religiose, anche se questo poco importava, perché era innegabile l’interesse che aveva suscitato in lui, per via della sua fisicità nascosta da quegli abiti che sembravano adatti a una suora piuttosto che a una donna comune. C’era qualcosa in lei che la rendeva… appetitosa. «Il suo caffè» disse il barista. «Grazie» rispose Francesco e dopo averlo zuccherato, lo bevve lentamente. Doveva decidere cosa fare, perché se da un lato era attratto
29 da Maddalena, sembrava avere un carattere terribile, molto simile a quello di Sara. Forse era meglio lasciarla perdere e andarsene davvero. Mise mano al borsello e il destino decise ben altro: con il gomito urtò il braccio di Maddalena che si voltò di scatto. Gli occhi erano due piccole fessure nere che gli fecero pensare al pungiglione di un’ape. «Faccia attenzione!» lo rimbeccò lei «per poco non mi ha fatto cadere il caffè!» Il cuore di Francesco ebbe un sussulto: vista da vicino era ancora più bella di quanto avesse notato e il desiderio di farla sua crebbe a dismisura. «Mi scusi, spero che non si sia sporcata» balbettò lui. «No, però stia attento!» e fece per voltarsi verso l’altra. «Per farmi perdonare» Francesco si sentì dire «mi permetta di offrirle il caffè, a lei e alla sua amica.» «Grazie ma non è necessario» ribatté lei. «La prego, insisto… in fin dei conti è il minimo che possa fare.» «E perché? Non mi ha mica…» «No, però ho notato che si è molto indispettita per il ritardo della messa, cosa questa che ha dato fastidio anche a me.» Maddalena, sentendo quelle parole, tornò a voltarsi verso l’altra. «Vedi che non sono l’unica?» esclamò in tono trionfale «anche questo signore pensa che un comportamento del genere sia inaccettabile!» disse indicando Francesco. Maria si scostò leggermente all’indietro, giusto per vedere chi fosse il “signore” in questione. Lo squadrò da capo a piedi, poi riportò la sua attenzione sull’amica. «Io non credo che il…» «Mi chiamo Francesco» si presentò lui senza degnare di considerazione quello che Maria stava per dire. Tese la mano verso Maddalena. Lei esitò un attimo prima di stringerla. Nel momento in cui si toccarono, Francesco avvertì una piacevole scossa che dal braccio si propagò fino al basso ventre, facendogli provare una sensazione così languida e sensuale che credeva di aver dimenticato. Gli era successo all’inizio della sua storia con Sara, e ancor prima con una delle fidanzatine ai tempi della scuola. Una parte di lui sperò che anche la donna avesse avvertito la medesima scossa. «Io sono Maddalena, piacere di conoscerla» rispose lei sorridendo «lei invece è Maria.» Ancora una volta, l’altra si scostò all’indietro e salutò Francesco con un cenno del capo. «Piacere» si limitò a dire.
30 «Allora» disse lui lasciando la mano della donna «lasciate che vi offra il caffè, poi se me lo permettete, visto che all’inizio della messa manca ancora molto, se ne avete voglia vi posso portare a vedere un posto poco più avanti…» sospirò. Maddalena si voltò di nuovo verso Maria. «Che ne dici?» L’altra rispose con un’alzata di spalle come per dire “Fai tu”. «Basta che torniamo prima delle undici!» «Faremo in fretta» la rassicurò lui mentre appoggiava sul bancone alcuni spiccioli. Il barista contò tre euro poi, mentre faceva scivolare le monete dentro al registratore di cassa, fece un impercettibile occhiolino a Francesco, compiaciuto. Francesco si limitò a salutarlo e a uscire, seguito dalle donne. Una volta fuori, Francesco indicò la strada che proseguiva oltre il bar. L’asfalto arrivava fino a uno spiazzo adibito a parcheggio, poi c’erano solo un bosco e alcuni sentieri. «Dobbiamo andare da quella parte» disse lui. Maddalena lo guardò incuriosita, Maria era invece una maschera inespressiva. «È sicuro che torneremo in tempo per la messa? Da quello che so, questi sentieri sono molto lunghi e faticosi…» «Non si preoccupi, il posto che voglio mostrarle è qui vicino. Arriveremo in neppure cinque minuti» e senza aggiungere altro si avviò. Maddalena e Maria gli furono subito dietro. Oltrepassarono il parcheggio per poi imboccare uno stretto sentiero che si apriva tra gli alberi e i cespugli del sottobosco. Proseguirono per una ventina di metri, poi giunsero a una diramazione, in quel punto avevano inizio ben tre sentieri. «Quello a sinistra e quello centrale fanno parte della Via Francigena» e indicò gli alberi dove erano stati dipinti, con un bel giallo accesi, due Tau, simbolo del Santo «uno conduce fino a La Verna, l’altro invece verso l’eremo di Camaldoli.» Maddalena lo guardava affascinata, con gli occhi di chi sta ascoltando qualcosa di molto interessante e Francesco pensò a uno di quei professori che riescono a far pendere dalle proprie labbra un’intera classe di studenti. Si compiacque di sé. In famiglia quella istruita era Sara, ma lui aveva studiato a modo suo, leggendo libri e saggi, interessandosi di mille e più argomenti. Non aveva alcun titolo accademico, tuttavia era certo di possedere una cultura approfondita e solida. Una cultura che solo la sera prima sua moglie aveva messo in
31 ridicolo. Scacciò via quel pensiero come se fosse stata una zanzara fastidiosa. «Mentre il terzo» proseguì indicando quello di destra «porta in un posto… speciale» non aggiunse altro, voleva incuriosire Maddalena. «Speciale?» chiese subito lei. Francesco si limitò a sorridere poi, mantenendo il segreto, riprese il cammino. Proseguirono in silenzio per quasi cento metri in quella viuzza altalenate, fatta di piccoli tratti in salita e altri in discesa, affiancata da maestosi e rigogliosi alberi che lasciavano filtrare la luce del mattino, creando giochi d’ombre che sembrava prendere vita a ogni minimo alito di vento. Francesco si godette quella breve passeggiata, sentendosi rinvigorito, caricato di una nuova energia. Non tanto per l’incontro con quella donna affascinante, ma per essere in un luogo di pace e silenzio, lontano dal caos e dal frastuono della vita che aveva lasciato a casa. Lontano dal disastro che era ormai il suo matrimonio. Dopo l’ennesimo saliscendi, sbucarono in una piccola radura che si affacciava su un alto strapiombo. Davanti a loro, senza nessuna protezione del vuoto sottostante, c’era la Valtiberina che si estendeva a perdita d’occhio. A parte le macchine, che come tante formiche si muovevano sulle strade, il paesaggio era immobile. Sembrava di essere davanti a un quadro verista dove un pittore meticoloso aveva riportato anche i dettagli più insignificanti, ma che contribuivano a rendere perfetto quello scorcio di mondo che scivolava via sotto i loro occhi. Francesco guardò quello spettacolo mozzafiato, poi abbassò lo sguardo su una grossa lastra di pietra liscia e grigia come una perla. «In questo punto San Francesco era solito venire a pregare» disse lui senza voltarsi. Alle sue spalle sentì Maddalena mormorare un “È meraviglioso!” che lo riempì di soddisfazione e per un attimo si domandò come mai ci tenesse tanto a fare colpo su di lei. Sì, gli piaceva, era una bella donna, affascinante ed enigmatica, molto devota, però non era la prima volta che si trovava davanti a una donna che lo attraeva come una calamita fa con il ferro. Insomma, era un bell’uomo, con un fisico temprato dal duro lavoro e nel corso degli anni, se solo avesse voluto, avrebbe potuto avere decine di amanti, ma non lo aveva mai fatto perché – inutile negarlo – credeva nel matrimonio e in tutto ciò che comportava. “Guardare ma non toccare, al massimo fare un po’ il cascamorto”, era questa la sua filosofia di vita. Con Maddalena era invece diverso:
32 voleva fare buona impressione, desiderava che si ricordasse di lui, che associasse a quella giornata il suo volto. «Davvero San Francesco veniva qui a pregare?» domandò Maria dimostrando una sana curiosità. «Sì, è riportato in alcune cronache sul Santo, si parla di una lastra grigia su cui era solito inginocchiarsi e rendere gloria a Dio per l’infinito da lui creato… la sola lastra grigia che si affaccia sull’infinito è questa» e indicò quella ai loro piedi. Maddalena in silenzio si inginocchiò proprio lì e Maria la imitò. Non appena anche lei fu in ginocchio cominciarono a recitare un sentito Padre Nostro. Francesco aggrottò la fronte perplesso: possibile che fossero davvero delle beghine? Insomma è vero che ognuno vive la fede a suo modo, ma questa gli sembrava un’esagerazione, una sorta di messinscena teatrale e, giusto per dare ulteriore prova di quanto fossero altalenanti i suoi desideri, si disse che una volta riaccompagnate all’eremo per la messa, se ne sarebbe andato. Maddalena gli piaceva, ma era una persona troppo lontana dal suo modo di vedere il mondo. Meglio non aver niente a che fare con lei. Le due rimasero a pregare per quasi un quarto d’ora poi, rinfrancate nello spirito, si alzarono. «Grazie Francesco» disse Maddalena con un dolce sorriso «sono stata in questo eremo almeno dieci volte, ma mai nessuno mi aveva parlato di questo piccolo segreto.» «Io l’ho scoperto per puro caso» replicò lui «leggo molto, specialmente testi di storia medievale delle nostre zone… e devo dire che quella di Montecasale è una storia affascinate.» «Cioè?» domando lei. «All’inizio era un castello, poi fu trasformato in lazzaretto e alla fine, dopo alcuni decenni di abbandono, in eremo francescano.» «Non lo sapevo!» disse ammirata Maddalena e Francesco provò un moto d’orgoglio, era la prima donna che apprezzava il suo sapere. «Ci sono dei libri in vendita proprio qui che raccontano nei dettagli tutta la storia di Montecasale… comprane uno, vedrai che ti piacerà!» «Sì, lo prenderò di sicuro!» replicò lei con un gran sorriso e si guardarono intensamente negli occhi. Per la seconda volta Francesco avvertì quella leggera scossa che aveva provato quando si erano stretti la mano. Distolse lo sguardo, così come Maddalena. Francesco allora capì che anche lei doveva aver percepito qualcosa.
33 «Credo che sia l’ora di andare» si intromise Maria provvidenziale «tra neppure un quarto d’ora comincia la messa.» «Sì andiamo» fu subito d’accordo Maddalena che, senza aspettare, riprese la via del ritorno. Arrivarono davanti alla chiesa che il portone era finalmente aperto. Nel piccolo piazzale antistante non c’era più nessuno, segno evidente che erano già entrati tutti. Maria, senza voltarsi, varcò il portone. Maddalena invece si fermò, aspettando Francesco leggermente indietro. «Abbiamo fatto giusto in tempo!» disse la donna una volta che lui le fu accanto. «Meno male» replicò lui. «Entriamo?» domanda che più retorica non poteva essere. «Io purtroppo devo andare» rispose lui «sai, ero venuto quassù per la messa delle dieci…» mentì. «Lo dicevo io che questi inconvenienti creano solo disagi!» ribatté Maddalena sbuffando «mi ha fatto piacere conoscerti.» «Anche a me» e stavolta fu del tutto sincero «magari ci rivedremo in qualche altro santuario.» Maddalena si fece pensierosa, poi mettendo mano alla borsa che aveva a tracolla, prese il telefonino «perché non mi dai il tuo numero di telefono?» propose lei «magari quando organizziamo un’altra gita con il nostro gruppo ti avverto e se ti va, potresti venire con noi.» Un tumulto di emozioni contrastanti scosse il già provato cuore di Francesco. Da un lato la richiesta lo aveva reso estremamente felice, ma dall’altro un terrore sordo si impadronì di lui. Erano passati anni dall’ultima volta che una donna gli aveva chiesto il numero di telefono e per un attimo fu tentato sì di darglielo, ma sbagliato. «Certo!» rispose invece e le dettò il suo numero di telefono. Maddalena lo memorizzò poi, con un semplice “Ciao” lo salutò ed entrò in chiesa. Francesco valutò se fare un giro per l’eremo, ma scartò l’idea. Sentiva il bisogno di andarsene per far fronte a quello shock di emozioni. Girò i tacchi e si diresse verso la moto e solo quando fu piuttosto lontano, con le case e i palazzi di Sansepolcro che scorrevano via dietro di lui, si concesse un lungo sospiro di sollievo. Maddalena era un frutto proibito che era meglio non cogliere. Diede gas e lasciò che la moto lo portasse dove voleva.
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CAPITOLO 6
Guidò per quasi due ore, prendendo strade secondarie che gli garantirono un po’ più di divertimento, con curve alternate a rettilinei per far sgranchire il motore della sua potente Honda. Da dietro la visiera si gustava il paesaggio, provando un senso di libertà che lo faceva sentire euforico e soddisfatto. Arrivò ad Arezzo e poi, lasciandosi guidare dall’istinto, imboccò la strada per Siena e quando vide il cartello che indicava Borgo San Teodoro, decise che avrebbe fatto lì sosta per il pranzo. Borgo San Teodoro era un piccolissimo centro situato nel cuore della Val d’Elsa, costruito su un cucuzzolo che si affacciava sull’omonimo fiume. Nato come castello per la difesa della Repubblica di Siena, con il tempo era diventato un fiorente comune che aveva avuto il suo periodo d’oro alla fine del ‘500 grazie al commercio e alla presenza di influenti banchieri senesi. Pian piano la sua importanza, sia strategica che economica, era andata scemando, diventando uno di quei sonnacchiosi borghi di cui è disseminata non solo la Toscana, ma l’Italia intera. Francesco aveva un caro amico che non vedeva da un po’ ed era certo che una sua visita gli avrebbe fatto molto piacere. Mentre stava per oltrepassare una delle porte ad arco aperte nelle mura dell’antica fortificazione, si ricordò della promessa fatta a sua figlia, così decise di chiamarla e la informò che sarebbe andato a trovare Jacopo. «Ok papà» rispose lei. «Hai per caso risentito la mamma?» «No, niente» e si lasciò sfuggire una piccola risata «stavolta l’hai combinata grossa, papà!» ma lo disse in tono divertito, senza alcun accenno di rimprovero. Anche Francesco sorrise. Se c’era una persona che nonostante tutto riusciva sempre a farlo sorridere, quella era sua figlia. «Eh sì, lo penso anch’io!» fece lui «ma mi fascerò la testa quando sarà rotta… adesso non voglio pensarci.» «Fai bene papà, pensa solo a goderti questa giornata.»
35 Si salutarono poi Francesco si avviò nell’intricato dedalo di stradine di Borgo San Teodoro e come sempre, rimase affascinato dall’ordine che regnava in quel piccolo centro. Le mura delle case erano pulite, vasi a ogni balcone. Le piazze erano adorne di fontane e panchine, senza contare le aiuole con fiori colorati e ben curati, a testimonianza di che bel posto fosse per vivere. Arrivò in una piazza e su uno dei suoi lati vide l’ingresso del ristorante La tana dell’Oca Nera, di proprietà di Jacopo Reggidori, uno dei suoi più cari amici. Era un omone grande e grosso, alto come una montagna e con due braccia che avrebbero fatto invidia a qualunque culturista di professione. Era un grande appassionato di boxe e in gioventù aveva combattuto a livello agonistico, vincendo anche qualche titolo. Non appena aprì la porta, notò che la maggior parte dei tavoli erano occupati. Su due dei tre liberi, c’erano le targhette con la scritta “Riservato”. Si guardò intorno, La tana dell’Oca Nera era sempre la stessa, un locale rustico curato nei minimi dettagli e dove la gente tornava a mangiare più che volentieri. Con un sorriso soddisfatto si avvicinò al bancone, dove dietro la cassa era appollaiata Giovanna, una delle due figlie di Jacopo e che, di fatto, era quella che mandava avanti l’attività. «Ciao Giovanna» la salutò. Lei, sollevando gli occhi da alcuni fogli che aveva tra le mani, quando vide Francesco si lasciò sfuggire un sorriso luminoso, che rese ancor più bello il suo viso già stupendo. Aveva due pungenti occhi neri come la notte più buia, in un viso leggermente ovale e paffuto che la rendevano desiderabile e bellissima, incorniciato da fluenti capelli neri che portava legati in una coda bassa semplice ma elegante allo stesso tempo. Indossava una camicetta bianca che si gonfiava all’altezza del seno, sensuale da morire. «Francesco ma che bello vederti!» disse lei alzandosi in piedi per poi stringerlo in un forte abbraccio «come mai da queste parti? Aspetta vado a chiamare papà, sarà felice di rivederti!» e scomparve oltre la porta della cucina. Pochi istanti dopo Giovanna uscì seguita da Jacopo. Francesco fu costretto a un grande atto di auto controllo per non lasciare che la bocca gli si spalancasse per lo stupore. Jacopo era ancora molto alto, ma del colosso che ricordava non era rimasto niente. Era ridotto pelle e ossa… doveva essere dimagrito di almeno quaranta chili dall’ultima volta che lo aveva visto e il colore pallido e grigiastro del viso gli suggerì che dove esserci di mezzo qualche brutta malattia.
36 «Francesco è una vita che non tornavi da queste parti!» tuonò squadrandolo da capo a piedi «sei con la moto?» Francesco sopirò, poi cercando di dimostrare altrettanta gioia, gli disse che si era fatto un regalo e che aveva deciso di provare la Honda. «Una giapponese?» domandò incuriosito lui «ma tu non eri quello che diceva che le italiane erano le moto migliori del mondo?» «Sì, ma era un’occasione e non me la sono lasciata sfuggire.» Jacopo sorrise e lo strinse in un forte abbraccio. «Sei qui per pranzare?» domandò. «Muoio dalla fame» rispose Francesco. «Allora oggi sei mio ospite!» sentenziò l’altro e rivolgendosi alla figlia aggiunse: «Gio, prepara il tavolo là in fondo, per due! Oggi io e il mio amico mangeremo insieme.» Giovanna senza farselo ripetere, andò a preparare il tavolo per il padre e Francesco. Impiegò neppure due minuti. «Ho aperto anche una bottiglia di vino» disse la ragazza con un sorriso «potete accomodarvi.» Jacopo prese a braccetto Francesco e lo trascinò verso il tavolo. Dopo che si furono messi a sedere, Jacopo prese la bottiglia e ne versò mezzo bicchiere a Francesco. Nel suo invece appena due dita. Sollevò il calice e disse: «Agli amici!» Francesco fece tintinnare il bicchiere e poi bevve un sorso. «Buono» disse schioccando le labbra. «È uno dei migliori rossi di Montepulciano» lo informò con orgoglio Jacopo. Francesco bevve ancora, poi guardando Jacopo negli occhi, non riuscì a fare a meno di chiedere: «Va tutto bene Jacopo?» e sperò che quella domanda non rovinasse l’allegria dell’altro. Jacopo facendo mezzo sorriso rispose: «Si vede, eh?» «Beh, sì» annuì mestamente Francesco. Jacopo bevve quello che aveva nel bicchiere, poi intrecciò le dita e iniziò a raccontare: «Circa un anno fa mi hanno trovato un tumore all’intestino» Francesco sentì un brivido lungo la schiena «operato d’urgenza, chemioterapia e tutto il resto… una brutta faccenda dalla quale ancora non sono uscito. Ci vorranno almeno altri sei mesi per capire se sono salvo oppure se…» scosse la testa e non terminò la frase, non ce n’era bisogno. Francesco spalancò gli occhi, turbato. «Perché non me lo hai fatto sapere?» protestò lui con la voce incrinata.
37 «Ho scoperto di essere ammalato tre giorni dopo che tu venisti qui con Sara» rispose Jacopo «non me la sentivo di prendere il telefono e dirti “Ehi, amico mio, sono spacciato!”» scrollò le spalle. A quelle parole Francesco fu colto da un profondo senso di colpa. Era passato quasi un anno da quella sera, un anno durante il quale non solo non era tornato a Borgo San Teodoro, ma non lo aveva mai neppure chiamato, comportandosi come lo stronzo menefreghista che sentiva di essere diventato. «Francesco ti prego, non fare quella faccia altrimenti ti mando via!» disse Jacopo intuendo il disagio dell’amico «sono cose che capitano, l’importante è non gettare mai la spugna.» «Mi sento un verme…» confessò lui abbassando gli occhi «in un anno non ti ho neppure fatto una telefonata.» «Ma falla finita! Se è per questo, non ti ho chiamato neppure io» protestò Jacopo «senti, pensiamo solo a goderci questo pranzo, senza pensare a tutto questo schifo… me lo prometti?» sottolineò la richiesta con il sorriso di chi pretendeva un’unica risposta. Francesco sospirò poi annuì. «Molto bene!» disse Jacopo soddisfatto, versando poi altro vino nel bicchiere dell’amico. «Ehi, vacci piano!» replicò Francesco «non voglio creare un incidente e poi sono con la moto ed è molto pericoloso.» «Ma figurati! Qui i carabinieri non fermano mai nessuno.» In quel momento Giovanna portò loro un vassoio con salumi e formaggi locali e i due mangiarono di gusto, parlando del più e del meno come facevano ai vecchi tempi, quando tutto andava bene. A un certo punto Jacopo fece una domanda che colse alla sprovvista Francesco: «Con Sara come va?» Lui inarcò le sopracciglia, poi tentennando rispose: «Perché me lo chiedi? Va tutto bene.» «Ne sei sicuro? Insomma, è la prima volta che vieni qua senza di lei…» lasciò in sospeso la frase. Francesco bevve una buona dose di vino. Che fosse così evidente, perfino a qualcuno che non vedeva da un anno, che c’era qualcosa di storto tra di loro? Valutò attentamente cosa dire, ma visto il rapporto di amicizia che li univa decise di dirgli la verità. «Non troppo bene» ammise «stiamo attraversando un periodo molto… strano.» Jacopo lo fissò dritto negli occhi.
38 «Sei felice, Francesco?» chiese «sai, quando sei a un passo dalla morte ti rendi conto che c’è una sola una cosa che merita ogni sforzo per essere ottenuta… ed è la felicità, tutto il resto non conta. Perdiamo un sacco di tempo dietro a delle cazzate che non hanno senso e che non ci lasciano niente, quindi te lo chiedo di nuovo: sei felice?» Francesco fissò l’amico negli occhi, prossimo alle lacrime. Mai nessuno gli aveva parlato in modo così schietto. Aveva una bella casa, un buon lavoro, era stimato e ben voluto da tutti, eppure sentiva che nella sua vita mancava qualcosa. E quel qualcosa non poteva essere che una donna che lo amasse e lo stimasse davvero, non come faceva Sara che lo considerava solo un pupazzo contro il quale poter sfogare la sua rabbia e la sua frustrazione. Erano la comparsa l’uno nella vita dell’altra e viceversa, come un soprammobile di cui far sfoggio solo in determinate occasioni, ma che poi si lascia in disparte a prendere polvere. «No» rispose Francesco abbassando gli occhi «non sono più felice da un pezzo» e fu costretto a controllarsi per non scoppiare a piangere lì, davanti all’amico. «E allora Francesco cosa diavolo aspetti a ritrovare la felicità che meriti? Ricordati quello che ti dico… non sprecare più tempo perché poi sarà troppo tardi!» Francesco si versò da bere poi riempì il bicchiere dell’amico. Bevvero in silenzio, rimuginando nei rispettivi pensieri: Jacopo sulla morte che sentiva alitargli sul collo, Francesco sul sorriso di Maddalena e di come gli saprebbe piaciuto poter tornare da lei, invece che dalla moglie. Svuotò il bicchiere. Gli sembrò di bere della cenere.
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CAPITOLO 7
Arrivò a casa che erano quasi le diciannove. Oltrepassando il cancello aveva notato che le luci erano spente, una volta in garage l’assenza della macchina di Sara gli confermò che lei non era tornata. Si tolse il casco e il giubbotto di pelle poi, attraverso una scala interna, salì di sopra. Tutto era silenzioso, tutto era buio. Sara doveva essere ancora dai suoi genitori, oppure chissà dove. Che fosse andata da qualche parte per sbollire la sua rabbia? Fece spallucce, non gli importava. Desideroso di farsi una doccia si spogliò. Mentre si toglieva i pantaloni afferrò il telefono e lo appoggiò sul mobile del bagno. Solo allora vide una chiamata senza risposta. Toccò il display del telefonino e scoprì che era stata proprio Sara a cercarlo, quasi un’ora prima, quando era ancora per strada. Senza aspettare, la chiamò. «Dove sei?» chiese lei. «Sono arrivato adesso a casa» esitò un attimo, poi domandò a sua volta dove fosse. «Io sono uscita con Lucrezia e Beatrice, andiamo a mangiare una pizza.» «Va bene» rispose lui, provando un senso di euforia all’idea di avere ancora qualche ora tutta per sé. «Non ho certo bisogno del suo permesso» replicò pungente lei «volevo solo avvisarti.» La rabbia tornò di nuovo a guastare il suo equilibrio. Quello che più lo infastidiva era il tono aspro con cui aveva parlato, quasi come se fosse lei ad avere ragione. «Sono anni che fai sempre quello che ti pare!» ribatté lui cercando di controllare la voce «una volta in più o in meno non cambierà di certo le cose.» «Non ti azzardare a parlarmi in questo modo!» sibilò Sara stridula «per colpa tua oggi ho fatto una brutta figura con i miei genitori!»
40 «E per colpa tua ieri sera io ho fatto una figura di merda con i miei clienti, che forse è peggio visto che solo loro che mi fanno guadagnare…» «Sentì un po’, guadagno cinque volte quello che guadagni tu, quindi non fare discorsi imbecilli!» “Brutta stronza!” Francesco trattenne per sé quel pensiero. Un conto era essere arrabbiati, un conto comportarsi da cafoni e lui, nonostante tutto, non avrebbe mai dato a sua moglie della stronza. «Grazie di cuore per queste meravigliose perle di gentilezza, ma devo deluderti… se volevi farmi sentire un fallito, hai fatto un buco nell’acqua!» «Ti ho solo detto come stanno le cose, tutto qua!» «Grazie per avermi rinfrescato la memoria» replicò secco lui «vado a farmi una doccia.» Staccarono la chiamata nello stesso istante e per la rabbia Francesco scaraventò il telefono da qualche parte. La fortuna volle che atterrasse sulla cesta aperta della biancheria sporca, altrimenti sarebbe finito in mille pezzi. Si spogliò e con la mente sconvolta da quella telefonata, si infilò sotto la doccia, nella speranza che l’acqua calda lavasse via il senso di disagio e d’oppressione che sentiva gravargli sul petto. Sara era una iena, capace di mettere KO chiunque. Aveva la lingua letale come un rasoio, un carattere che avrebbe messo alla prova perfino Gandhi, portandolo verso un’odiosa esasperazione. Scosse la testa. «Non ho fatto niente di male per meritarmi tutto questo!» disse ad alta voce, ripensando alle parole di Jacopo: quello che contava era essere felici e per colpa di Sara non lo era più. Doveva fare qualcosa prima che fosse troppo tardi, anche se non aveva la ben che minima idea di cosa fare. Chiuse gli occhi. Cosa lo avrebbe reso davvero felice? Una domanda semplice che però richiedeva una risposta attenta e ben ponderata, perché la vita era sua e di sbagli ne aveva fatti abbastanza. Non doveva lasciarsi guidare dalla rabbia del momento, ma capire a mente fredda cosa volesse davvero. Jacopo aveva ragione e non voleva provare rimpianti. Chiuse il rubinetto. No, non poteva permettere che accadesse qualcosa di simile perché poi non ci sarebbe stato modo di avere una seconda occasione. «Me la costruisco da solo la mia seconda occasione» disse nel silenzio della casa.
41 Si mise l’accappatoio e andò in cucina. Nonostante a pranzo avesse mangiato fin quasi a scoppiare, aveva fame. Aprì il frigorifero e storse il naso. Non c’era niente di cui avesse realmente voglia. Una vaschetta trasparente con gli avanzi dello spezzatino, un po’ di affettato e una ciotola con Dio solo sapeva cosa. Tornò in bagno e afferrò il cellulare. Se non ricordava male, c’era una pizzeria che faceva consegne a domicilio. Fece una rapida ricerca su Google e trovò il numero di telefono. «Pizza Sprint, come possiamo servirla?» chiese una ragazza. Chissà perché sentendo quella voce squillante e cordiale, Francesco fu certo che avesse le lentiggini. Ordinò una capricciosa e due birre. Ci furono alcuni istanti di silenzio, durante i quali la ragazza doveva aver trascritto l’ordine, poi disse: «La pizza sarà pronta tra trentacinque minuti. Mi può dare il suo indirizzo?» Francesco le dettò la via e il numero civico. «Benissimo, in tutto sono diciotto euro e ottanta.» «Perfetto signorina, davvero gentile.» «Si figuri, buona serata» e chiuse. Soddisfatto per l’efficienza del servizio Francesco andò in camera per vestirsi. Optò per i pantaloni di una vecchia tutta da ginnastica, maglietta e felpa. Anche se l’estate era ormai prossima, la sera faceva ancora piuttosto fresco. Dopo aver messo le scarpe, andò in cucina e accese la televisione, cercando il telegiornale. Lo trovò sul canale che trasmetteva notiziari ventiquattrore al giorno. Una graziosa cronista stava raccontando qualcosa sulla sempre maggiore tensione tra gli Stati Uniti e il regime della Corea del Nord. C’erano dei test missilistici in ballo e degli esperimenti nucleari che avevano fatto infuriare mezzo mondo. Il suono di un sms lo distrasse dai problemi di politica internazionale. Pensando a Ilaria, rimase stupito nel vedere un numero che non aveva in memoria. Aprì il messaggio. “Ho comprato un libro sulla storia di Montecasale e avevi ragione, è stata una lettura illuminante! Grazie. A presto, Maddalena”. Sentendo per un attimo il cuore fargli una capriola nel petto, rilesse una seconda volta l’sms, Maddalena si era ricordata di lui e per di più adesso aveva il suo numero di telefono. Valutò se chiamarla, ma poi preferì mandarle un messaggio, proprio come aveva fatto lei:
42 “Figurati, è stato un piacere. A presto, F”. Lo rilesse, trovandolo accettabile, poi lo inviò. Sperò per il resto della serata in un nuovo messaggio da parte della donna, ma non ci fu, anche se per il momento andava bene così. Era felice di aver fatto la sua conoscenza, ma niente di più. La sua priorità era quella di rimettere ordine nella sua vita. La pizza arrivò ancora calda. Pagò con un biglietto da venti euro e disse al ragazzo della consegna di tenere il resto, poi andò in cucina e si mise comodo a cenare. Una volta finito di mangiare, con la testa leggera e la pancia piena, andò in soggiorno e si lasciò cadere sul divano. Avrebbe voluto guardare un film, ma gli occhi si fecero sempre più pesanti. Nel giro di cinque minuti Francesco si addormentò. Si svegliò di soprassalto, sentendo il rumore di una macchina che frenava davanti casa. Si mise a sedere, con la testa pesante e la bocca impastata. Si mise in piedi a fatica, sentendo un leggero capogiro. Sospirò e quando fu di nuovo padrone del suo equilibrio, si trascinò in bagno: la birra reclamava il suo diritto inalienabile di essere espulsa. Dopo aver svuotato la vescica, si lavò prima il viso e poi i denti. Si guardò nello specchio: aveva la faccia di chi aveva fatto baldoria sfrenata, quando invece non era riuscito a finire neppure la prima bottiglia di birra. «L’età avanza…» mormorò a se stesso. Uscì dal bagno nel momento in cui Sara apriva la porta d’ingresso. I loro occhi si incrociarono per un attimo, poi la donna chiuse la porta, dandogli le spalle. Si sfilò la giacca e appoggiò la borsa su una mensola che si trovava accanto alla porta. «Ti sei divertito?» domandò lei fissandolo di nuovo. «Tu?» replicò Francesco che non se la sentiva di affrontare una nuova lite con la moglie, ma non voleva darle la soddisfazione dell’ultima parola. «Sai, mio padre mi ha fatto notare che oggi ti sei comportato da vero cafone» ribatté la donna. «Mi interessa poco quello che pensa tuo padre» disse lui spegnendo la luce del bagno, desideroso di riguadagnare il divano. «So che dei miei genitori non ti importa niente» gli fece notare lei «sappi che da oggi in poi non ti inviteranno più… a mio padre non è andata giù una simile mancanza di rispetto!» Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
43 «Proprio tu mi vieni a parlare di mancanza di rispetto?» sbottò Francesco avvicinandosi alla moglie «ieri sera mi hai trattato da schifo davanti a tutti, mi hai fatto vergognare! Con che coraggio vieni a dirmi…» «Ma falla finita!» lo interruppe lei «ancora con questa storia! Nessuno di quegli stronzi si ricorderà già più di quello che ho detto!» Parole che ebbero l’effetto del drappo rosso per un toro. «Certo, i miei clienti sono degli stronzi! Ma come ti permetti? Secondo me quelli per cui lavori tu sono degli emeriti stronzi! Affaristi senza scrupoli che per guadagnare qualche spicciolo in più venderebbero le loro madri! E tu hai dimostrato di essere perfetta per il ruolo che ricopri, proprio come una dannata sfruttatrice che…» Lo schiaffo arrivò silenzioso e cocente. Non molto doloroso, tuttavia con quel gesto Sara era riuscita a colpire l’orgoglio di Francesco, come uomo e come marito. «Non ti azzardare mai più a parlarmi in questo modo!» lo avvertì lei, rossa in viso, tremante di rabbia «io sono una donna di successo! I miei sottoposti mi stimano e mi rispettano, perché sanno che quello che ho raggiunto l’ho ottenuto solo grazie alla mia forza di volontà, senza scendere mai a compromessi!» lo fissò con occhi roventi «tu invece cosa sei? Solo un falegname che fuori dal suo laboratorio non vale un bel niente! Io mio caro, se decidessi domani mattina di cercare un altro lavoro, avrei solo l’imbarazzo della scelta, tu invece?» scosse la testa, disgustata «tu invece lontano da qui non saresti nessuno!» c’era così tanto odio in quelle parole che Francesco ebbe il terrore di morirne avvelenato. Era la prima volta che Sara gli sputava addosso tanto veleno in modo così diretto, dicendo quello che probabilmente covava dentro da chissà quanti anni. Si portò una mano alla guancia offesa, trovandola calda. Il calore della collera di un matrimonio che stava andando a fondo come il Titanic. «Stasera puoi dormire sul divano» disse Sara mentre prendeva le scale per il piano superiore. Francesco la fissò, valutando se andarle dietro e proseguire quel litigio, ma una parte di lui gli disse che non ne valeva la pena. Sara era in colera e quando era in quello stato, era meglio lasciarla sola, altrimenti sarebbe stato come gettare benzina sul fuoco. Invece del divano andò nella stanza di Ilaria e si sdraiò sul letto. Prese il telefono e scrisse un messaggio su WhatsApp a sua figlia. “In bocca al lupo per domani!”. La risposta arrivò tre minuti dopo:
44 “Grazie papà” seguito da una faccina gialla che lanciava un bacio rosso. Sorrise. Se non altro sua figlia era ancora accanto a lui. Guardò l’ora sul display dello smartphone, erano le ventidue passate. Si spogliò, restando con le mutande e la maglietta bianca, poi si mise sotto le coperte leggere. Erano fresche e profumate. Con gli occhi fissi nel buio, ripensò a quando Ilaria era una bambina e a come si emozionasse ogni volta che le diceva che l’avrebbe portata al parco o a prendere un gelato. Sorrise, travolto dalla nostalgia. Ecco, quello era stato un periodo felice della sua vita e avrebbe pagato oro per poterlo rivivere. Quando tutto era molto più semplice e il mondo non era ancora la giungla che era invece diventato. La vita era più rosea, tutti guardavano al futuro con ottimismo e speranza. Lui e Sara si amavano e credevano nella forza del sentimento che li univa. “Che diavolo è successo per ridurci così?” Si addormentò senza trovare una riposta.
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CAPITOLO 8
Con il senno di poi, Francesco avrebbe capito che quelle che avevano fatto seguito alla gita a Montecasale erano state le settimane peggiori della sua vita. Mentre le viveva non era riuscito a capire quanto fosse drammatica la situazione con Sara e di come il loro matrimonio fosse ormai entrato in un binario morto. I primi due giorni di quella lenta marcia funebre furono caratterizzati da un assoluto mutismo da parte di entrambi. Uscivano di casa per andare al lavoro e la sera cenavano ognuno per conto proprio. Francesco aveva ormai fatto sue le stanze di Ilaria, anche se le utilizzava solo per dormire. Trascorreva la maggior parte delle sue giornate nel laboratorio a lavorare, cercando di non pensare al baratro che si stava creando tra lui e la moglie. Uno dei suoi dipendenti, resosi conto che c’era qualcosa che lo turbava, provò a chiedere se fosse tutto a posto. Lui, sorpreso, aveva risposto che aveva solo qualche noia in famiglia, ma niente di serio. «Le donne…» disse il ragazzo, un giovanotto con una barbetta bionda che lo faceva assomigliare a una capra «senza è male, ma con… è lo stesso!» Francesco si limitò ad accennare un sorriso. Il mercoledì era stata Sara ad avvicinarlo, però solo per informarlo che per motivi di lavoro sarebbe andata via per tre giorni. «Quando parti?» «Domani mattina» rispose lei «ho l’aereo da Pisa alle nove.» «Vai via in aereo?» Francesco era sbigottito. In passato c’erano stati altri viaggi di lavoro, ma non avevano mai implicato l’uso di un aereo. «Sì, vado a Francoforte» non aggiunse altro e andò in camera a preparare la valigia. Partì alle quattro del mattino senza neanche salutare Francesco. Lui era rimasto ad ascoltare il rumore del portone che si chiudeva e della macchina che partiva. Era rimasto a letto per una ventina di minuti, poi si era alzato. Era andato in quella che era ormai a tutti gli effetti la camera di sua moglie. Il letto rifatto, tutto perfettamente in ordine e aveva pensato che era
46 tipico di Sara: prima di partire, che fosse per lavoro o per delle vacanze, la casa doveva essere sempre in perfetto ordine. «Se entrano i ladri mentre non ci siamo, non voglio che pensino che sia una donna sciatta che non tiene alla sua casa!» scherzava sempre. Andò verso l’armadio e lo aprì. C’erano alcune grucce vuote, per il resto era anche quello in perfetto ordine. Richiuse l’anta e d’istinto si sdraiò su quel letto dove avevano fatto l’amore un’infinità di volte. Scostò la coperta e annusò il cuscino di Sara, riconoscendo subito l’odore del suo shampoo alla vaniglia. Quell’odore fu un mezzo cazzotto allo stomaco perché gli era sempre piaciuto il profumo dei suoi capelli, così come quello della sua pelle. Senza prendersi la briga di rassettare il letto, uscì dalla stanza chiudendo la porta. Scese al piano di sotto e, sebbene fossero passate le cinque da alcuni minuti, decise di prepararsi per il lavoro. Doveva tenere la mente occupata altrimenti sarebbe impazzito. Intorno alle undici, più per dovere coniugale che per reale interesse, inviò un messaggio a Sara per chiederle se fosse arrivata. Lei rispose con un asettico “Sì” poi, per i tre giorni della sua trasferta, non si risentirono e solo dopo si sarebbe reso conto che erano stati proprio quei tre lunghissimi giorni di silenzio a fargli capire che tra loro le cose erano finite. Era stata l’assenza della moglie a fargli capire che poteva vivere benissimo senza di lei, anzi, forse perfino meglio e quando il sabato pomeriggio tornò a casa, nessuno dei due si sentì in obbligo di fare il primo, ormai inutile, passo verso l’altro. Sara se ne andò in camera, Francesco rimase seduto sul divano a guardare la replica di una partita di calcio di cui non gli importava un bel niente. Nel momento esatto in cui la Juventus segnava la rete del momentaneo vantaggio, Francesco sentì il cellulare della moglie squillare. «Ehi ciao!» disse lei «sì è andato tutto bene, credo che la fusione con i tedeschi sarà solo questione di qualche mese.» Silenzio. «Sì lo so, ma non ho ancora deciso, insomma, un trasferimento permanente in Germania non è una decisione da prendere con leggerezza!» A quelle parole Francesco si sentì chiudere lo stomaco. Le avevano offerto un posto a Francoforte e lei stava valutando la possibilità di andarsene.
47 Chiuse gli occhi. Sara avrebbe deciso senza consultarsi con lui, come se non avesse un marito, come se non avesse nessuno per cui valeva la pena di restare. Il groppo allo stomaco si trasformò in una piccola palla di fuoco acido. Lo aveva escluso. Stava mettendo la sua carriera al primo posto nelle priorità della sua vita, come sempre. Una risata della moglie lo riportò alla realtà. «Ma no, non dire stupidaggini! Non mi monterò la testa solo perché mi hanno offerto la presidenza!» Sara presidente di quella nuova società che sarebbe nata dalla fusione con i tedeschi, una conquista non da poco, anzi, un risultato degno di sola lode e stima, ma lui riuscì solo a provare un moto di nausea. La vita di sua moglie stava per cambiare radicalmente e lei non glielo aveva neppure detto. Quello che prima era un baratro diventò di colpo una distanza siderale, come quella tra i Sole e Plutone. Impossibile da colmare. «Sì, va bene» disse Sara al piano di sopra «mi faccio una doccia poi ci troviamo al solito posto per brindare.» Silenzio. Sarebbe uscita con qualcun altro per festeggiare il suo successo. Si alzò di scatto e salì le scale due gradini alla volta. Entrò in camera trovandola in reggiseno e mutande. Quando lo vide, Sara afferrò un asciugamano e si coprì. «Che ci fai qui?» domandò indispettita. «E così te ne vai in Germania!» replicò Francesco fissandola negli occhi. «Non ho ancora deciso» fu la secca risposta di Sara. «Però a quanto pare hai comunque qualcosa da festeggiare.» «Certo che ho da festeggiare!» ma non aggiunse altro, dimostrando che non desiderava renderlo partecipe di quella faccenda. «Ma non con me…» «No Francesco, non con te! Andrò a bere qualcosa con chi dà il giusto valore al mio successo!» quelle parole affondarono nel suo cuore come una lama rovente nel burro. «Hai un altro?» domanda buttata lì per ripicca. «Non dire stupidaggini!» ribatté Sara ringhiando «esco con Beatrice, brutto idiota!» «Sì certo, come no!» Sara lo fissò con evidente disprezzo, poi sollevando un braccio lo invitò a uscire. «Se permetti questa è anche camera…»
48 «No, non ti permetto un bel niente!» lo interruppe lei «è una settimana che dormi nella stanza di Ilaria, preferendo tenere il muso piuttosto che fare pace. Adesso questa non è più la tua stanza, quindi fammi il piacere di uscire e chiudere la porta, non voglio che tu mi veda nuda!» «Non vuoi che ti veda nuda?» sbottò Francesco incredulo «abbiamo fatto una figlia insieme, abbiamo fatto l’amore un milione di volte e ora non vuoi che ti veda nuda? Ma che storia è questa?» lo disse sentendosi prossimo al panico, la presa di coscienza è terribile quando ogni illusione crolla e resta solo l’ineluttabilità dei fatti. «Francesco risparmiati questa sceneggiata patetica! Non siamo più dei ragazzini, quindi esci e chiudi la porta!» Lui, incapace di dire qualsiasi cosa, fece come gli era stato detto. Scese al piano di sotto, prese le chiavi e andò in garage. Mise giubbotto e casco e partì a razzo con la moto. Non voleva andare in nessun posto specifico, aveva solo bisogno di guidare, più veloce del vento, nella speranza di lasciarsi tutto quanto alle spalle e impedire al disastro che era diventata la sua vita di raggiungerlo. Tornò a casa che era mezzanotte passata. La macchina di Sara era al suo solito posto. Aprì la porta e la trovò seduta sul divano, le braccia conserte: lo stava aspettando. «Dobbiamo parlare» disse lei come se fosse un ordine. «Adesso sono stanco» protestò lui. «Dovevi tornare prima» ribatté Sara indicandogli la poltrona davanti al divano. Con il cuore che batteva all’impazzata, Francesco si mise a sedere. Notò che sul tavolino di vetro che li separava, c’era un bicchiere pieno di quello che sembrava un succo di frutta. Dall’odore gli sembrò ananas, o comunque un frutto tropicale. «Non andrò in Germania» lo informò lei «e la ragione è semplice… preferisco controllare la ditta che ho contribuito a costruire, piuttosto che trasferirmi in una città che non conosco a dirigere qualcosa che non ha niente a che fare con me… solo per questo. Se l’offerta fosse stata diversa, se avessi avuto comunque un controllo diretto anche qui, invece che nella sola divisione tedesca, sarei partita senza pensarci due volte» una pausa «capisci quello che voglio dire?» Francesco capì fin troppo bene: se le avessero dato quello che voleva se ne sarebbe andata, pronta a sacrificare lui e il suo matrimonio. Annuì senza dire una parola.
49 «Bene perché credo che sia chiaro a entrambi che ormai tra di noi le cose non funzionano più» altra pausa «sbaglio?» No, non sbagliava. Non sbagliava per niente. «Sono un po’ di anni che la nostra convivenza è diventata al limite del tollerabile» proseguì lei «so di non avere un carattere semplice, e mi dispiace di averti messo in imbarazzo davanti ai tuoi colleghi e a tutti gli altri» stranamente Francesco le credette «ma anche tu hai le tue colpe e non provare a negarlo… in più di un’occasione ho avuto la certezza che tu vedessi nel mio successo un ostacolo tra di noi, qualcosa di cui non essere orgoglioso, ma geloso…» Sara alzò una mano per stroncare ogni possibile protesta del marito. Continuò: «Sono anni che non mi chiedi come va al lavoro, come passo le mie giornate, quello che faccio, se ho avuto problemi, limitandoti soltanto a pensare al tuo laboratorio e ai tuoi clienti. Mi hai trascurata Francesco e non ti azzardare a dire che non è così!» fece una pausa per riprendere fiato e per dare modo a lui di metabolizzare quello che aveva appena sentito. «Ci siamo allontanati e ormai non c’è più niente che si possa fare per tornare a essere quelli che eravamo… prima» Francesco sospirò, sentendosi all’improvviso più colpevole di Giuda Iscariota. Forse aveva ragione lei, forse l’aveva trascurata, forse aveva perfino provato invidia per il successo che stava ottenendo, eppure… eppure sapeva che non era così. Era sempre stata lei a tenerlo alla larga da quello che faceva, rispondendogli a monosillabi quando lui si era interessato al suo lavoro. Era stata Sara che lo aveva portato, poco alla volta, non tanto a disinteressarsi, ma a dare per scontato il suo lavoro, a considerarlo come qualcosa che faceva semplicemente parte della vita di sua moglie e dal quale lui era escluso. All’improvviso il senso di colpa fu scalzato via da un cupo risentimento. «Come hai detto tu» replicò lui «anch’io ho le mie colpe per carità, ma rigirare la frittata in questo modo è ipocrita!» serrò di scatto i pugni «quando ti chiedevo qualcosa del tuo lavoro, se andava bene mi rispondevi “tutto ok!”» calò il pugno sul bracciolo della poltrona. «Se ben ricordi ho saputo della tua promozione l’anno scorso solo perché l’ho letto sul Sole24Ore! Sei tu che hai fatto di tutto per escludermi, forse perché hai sempre pensato che fossi troppo stupido per capire quello che…» «Non usare questo tono con me!» urlò Sara scattando in piedi «sei tu che non hai…»
50 «No!» gridò Francesco alzandosi a sua volta «non te lo lascio più fare! Non ti permetterò di incolpare me della fine del nostro matrimonio! Sei tu che a un certo punto hai messo il lavoro davanti a tutto il resto! Dimmi una cosa, saresti andata in Germania fregandotene anche di Ilaria?» «Lei se la sa cavare da sola, proprio come me. Forse non avrà ereditato il mio carattere, ma da me ha preso la grinta e il bisogno di emergere, la voglia di fare e il desiderio di primeggiare sugli altri!» rispose con un ghigno soddisfatto che le deformò il viso «oppure eri così cieco da credere davvero che fosse andata a Milano solo per stare lontana da me?» Francesco aprì la bocca, ma la richiuse subito. Era una cosa che non aveva mai preso in considerazione. «Non lo avevi capito, vero?» lo rimbeccò Sara gongolando in modo perfido «lei è come me! E fidati, avrebbe capito se fossi andata in Germania. Avrebbe capito perché non avrei avuto nessuna esitazione a lasciarmi alle spalle un uomo senza ambizioni come te, che pensa che il massimo che si possa ottenere dalla vita sia avere una moto sotto il culo!» si lasciò sfuggire una risatina isterica. Tra i due calò un silenzio doloroso e pesantissimo, denso come una melma invisibile che li aveva separati per sempre. Francesco, con il cuore a pezzi, avrebbe voluto mettersi a urlare, avrebbe voluto prenderla a schiaffi, dirle che era una stronza egoista ed egocentrica, ma non ne fu capace. Aveva solo voglia di mettersi a piangere. «Almeno tu non dici mai niente» disse alla fine Sara «io me ne vado a letto, buonanotte» e senza aggiungere altro salì nella sua stanza. Francesco rimase a lungo da solo in salotto. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
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