Il manto del giaguaro, Paolo Delpino

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PAOLO DELPINO

IL MANTO DEL GIAGUARO

ZeroUnoUndici Edizioni


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IL MANTO DEL GIAGUARO Copyright © 2022 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-529-5 Copertina: immagine proposta dall’Autore Prima edizione Febbraio 2022


IL MANTO DEL GIAGUARO



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CAPITOLO 1

Commissario di polizia trovato morto all’interno della sua auto “Ieri sera, verso le 24, una volante dei carabinieri, accostatasi a una Fiat Punto parcheggiata in piazzale*** per effettuare un controllo, ha rinvenuto all’interno della vettura il corpo senza vita di un uomo. La vittima è stata identificata come Giacomo Luciani, anni 55, commissario di polizia. Causa della morte sembra essere stato un colpo di arma da fuoco esploso da breve distanza. Richiamati dai militari sono subito accorsi sul posto il medico legale dottor Giorgio Serrazanetti e il sostituto procuratore Donato Steiner. Non sono ancora state rilasciate dichiarazioni da parte delle autorità inquirenti che attendono i risultati dell’autopsia.” Franco Minerva - CITYNEWS Funzionario di polizia assassinato a Milano “La morte del commissario Giacomo Luciani costituisce un fatto di inaudita gravità. Sgomenta, l’opinione pubblica si domanda se questo delitto non segni il ritorno nella vita della città del clima degli anni di piombo.” Massimo Morelli - La Metropoli


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Tornano le trame oscure? “La ricostruzione fornita dalla polizia sulla morte del commissario Luciani presenta numerose incongruenze, tanto da risultare difficilmente credibile. Morto durante lo svolgimento di un’indagine: il che non spiega nulla, perché un funzionario di polizia è per definizione impegnato in indagini. E sembra che Luciani fosse noto per essere un investigatore tenace, ma anche estremamente prudente. Perché dunque recarsi da solo a un appuntamento in un posto isolato come quello? E chi può averlo avvicinato tanto da potergli sparare un colpo alla tempia per andarsene poi insalutato ospite? La prima conclusione che si può trarre è che il commissario conoscesse il suo assassino e non sospettasse minimamente delle sue intenzioni. Il comportamento dell’omicida potrebbe suggerire che si sia trattato di un confidente. Ma i confidenti non uccidono i poliziotti.” Marco Galleri – L’Agora Quando la bara uscì dalla cattedrale portata a spalla da quattro agenti della Mobile, si levò un battimani – dapprima timido, poi sempre più convinto – che si estese via via dalla cerchia ferma sul sagrato alla folla circostante. Il ministro degli Interni Emilio Zardi osservava la scena in silenzio, torvo in volto.


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«Gli applausi ai funerali non li digerisco. Ho visto altre scene come questa, ma non riesco a farci l'abitudine» mormorò al questore che l’aveva raggiunto. Questi accennò un gesto verso la piazza. «È il saluto a un uomo coraggioso, Emilio.» Zardi annuì impercettibilmente. «Coraggioso, ma anche avventato.» Il questore Viti si morse le labbra. «Non ho nemmeno avuto il tempo di parlargli. Se fossi arrivato prima, forse…» Il ministro agitò l’indice in segno di diniego. «Sai bene che non sarebbe stato possibile. Dovevi passare le consegne.» Entrambi si incamminarono lentamente verso le auto che li attendevano sul lato opposto della piazza, il ministro un passo indietro, appoggiato al bastone. «Come va la tua gamba?» «Male, con un tempo come questo.» Tacquero entrambi per qualche secondo, mentre la folla iniziava a sciamare via in silenzio. Zardi batté una mano sul braccio del subalterno. «Comunque, il sacrificio di Luciani non sarà vano. Gli era arrivato molto vicino.» Il questore fissò lo sguardo a terra, meditabondo. «Pensi che abbiano voluto compiere un gesto estremo? Dare, come dire, una specie di segnale?» Di nuovo Zardi scosse il capo.


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«Non credo, quella non è gente che dà segnali. In ogni caso, non era un segnale rivolto a noi.» «E allora?» Viti sembrava a disagio. «Penso che siano stati costretti a venire allo scoperto. Non è esattamente quello che volevamo, ci sarebbe servito avere ancora un po’ di tempo. Ma sono convinto che anche loro avrebbero preferito aspettare.» Il questore deglutì a vuoto. «Devi darmi un sostituto all’altezza. Nel più breve tempo possibile.» Zardi si arrestò, gli strinse un braccio. «L’avrai in meno di una settimana.» Viti crollò il capo. «Vogliono una conferenza stampa.» «Chi te l’ha chiesta?» «Tutti.» Il ministro fece ancora segno di no con la testa. «Rimandala. Hai un’ottima giustificazione, sei appena arrivato.» Il questore fece una smorfia di disappunto. «Direbbero che brancoliamo nel buio.» «In questo caso non attaccheranno te, ma me. Ormai ci ho fatto il callo.» Un autista in divisa si avvicinò a Zardi per invitarlo a salire sull’auto, cosa che questi fece con qualche difficoltà, causa la gamba dolorante.


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Il ministro allungò la mano fuori dal finestrino per stringere quella di Viti. «Ti farò sapere a strettissimo giro.» «Ti ringrazio.» Mentre si allontanava, Zardi notò che qualcuno tra i passanti si additava l’auto e si volse all’autista. «Hai sentito?» «Che cosa, eccellenza?» «Fischi.» L’agente non perse il suo aplomb. «Veramente, io ho sentito solo applausi, eccellenza.» Zardi sorrise, amaro. «Allora si vede che ho le orecchie più fini delle tue» commentò.


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CAPITOLO 2

Marco Galleri, notista di cronaca giudiziaria de L’Agora, depose il cellulare e sbuffò. «Al diavolo!» Mara Frediani, veterana della redazione, abituata agli scatti del collega, levò appena un sopracciglio. «O che c’è che un va, adesso?» Il giornalista si ravviò il ciuffo ribelle che gli ricadeva ostinatamente sulla fronte. «C’è che il questore ha ordinato il silenzio. Niente conferenza stampa. Ma non si rendono conto?!» Mara, che aveva appena scorso il notiziario dell’ANSA, alzò le spalle e le lasciò ricadere. «Con quello che è successo, capisco che mantengano il riserbo.» Galleri levò le braccia in un gesto drammatico. «Riserbo? Un commissario di polizia viene assassinato nel centro cittadino e loro spengono l’audio: lo chiami riserbo, questo?»


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«L’omicidio non è avvenuto in centro, ma nella prima periferia, Marco. Quanto al riserbo, oh chiamalo un po’ come tu vuoi. Vorresti che spifferassero a tutti i nomi dei sospetti?» Galleri si fece condiscendente. «D’accordo, indagare è il loro mestiere. Ma il nostro è quello di informare.» La Frediani scoppiò a ridere. «Allora, oh che tu fai, costì?» «Ho già detto tutto alla polizia.» L’uomo, un commerciante di ortofrutta, aveva l’aria di chi non desidera farsi tanta pubblicità. «Ma io sono un giornalista» obiettò Galleri. L’esercente lo squadrò con un misto di sorpresa e diffidenza. «Mi scusi, ma se lei si occupa di nera avrà pure qualche aggancio in questura, no?» «È che questa volta non intendono parlare. Bocche cucite.» «Ah.» L’uomo rimase soprappensiero, poi si decise. «Va bene, stia a sentire. Ero uscito verso le undici per far fare i suoi bisogni alla cagna e così mi sono diretto verso quei giardinetti là, che sarebbero come i gabinetti degli animali. Mentre attraversavo, ho visto la Punto, proprio là dove poi sono l’hanno trovata i carabinieri, parcheggiata dalle parti della rotonda.» «Non le è sembrato strano?» Il commerciante alzò le spalle.


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«Sa, fosse stato in pieno giorno, quando qui scoppia di traffico, l’avrei trovato strano sì. Ma di lunedì sera, alle undici e con questa stagione, mica tanto.» «E secondo lei, perché quella Punto stava parcheggiata proprio là? Magari perché il conducente stava aspettando qualcuno?» insistette il giornalista. L’altro ebbe un vago sorriso. «Bisognerebbe chiederlo a lui, poveretto. Certo non era il posto più adatto per un appuntamento.» «È stato lei a chiamare i carabinieri?» L’uomo scosse la testa. «Ma no, perché, come le ho detto, non ho notato nulla di strano. Non avrei potuto neppure, capisce.» Galleri filmò mentalmente la scena: la Punto era parcheggiata sul lato sinistro, il testimone aveva osservato la scena dalla parte opposta, l’illuminazione era scarsa. Il discorso filava. «E quando ha visto i carabinieri?» «Mentre tornavo verso casa. C’era un’Alfa del 113 che si era accostata alla Punto per capire che cosa fosse successo.» E prevenendo la domanda dell’altro: «Se poi vuole chiedermi perché non sono andato a vedere, le rispondo che non era affar mio. Non sono un carabiniere né un poliziotto.» Galleri crollò il capo, insistere era inutile. «Mi perdoni, un ultimo particolare: quando lei è uscito, non ha visto nessuno? Intendo, nessuno che andasse per strada?» Il commerciante scosse recisamente il capo.


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«Assolutamente no, posso confermarglielo. Non era serata; non lo è mai, di lunedì.» L’ispettore Derna, quando scorse Galleri farsi strada verso il bancone, smise di tormentarsi i baffi e sventolò in aria una copia de L’Agora con una mimica eloquente. Il giornalista levò entrambe le mani nel gesto di chi protesta la propria innocenza. Il poliziotto gli fece strada verso la sala interna. «Andiamo di là. Ho ordinato caffè e brioche.» Quando si furono seduti, Marco pensò bene di giocare d’anticipo. «Questa volta I tuoi capi non possono accusarti di avermi chiamato. E se non ci credono, digli che controllino i tabulati telefonici.» Derna l’afferrò per un braccio invitandolo ad abbassare la voce, perché la cameriera stava giungendo con le colazioni. Poi, appena questa si fu allontanata, parlò a voce bassa, quasi in un sibilo. «Ascolta, tu non devi dire che io ti chiamo; io ti favorisco, quando è consentito. Cogli la differenza?» Il giornalista fece spallucce. «Comunque, non sei stato tu a dirmi che l’omicida di Luciani ha usato un’arma silenziata. Ci sono arrivato da solo.» Derna fece un sorriso acido. «Testimone oculare?»


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«Non io, il fruttivendolo. L’unico che ha deposto di aver visto l’auto di Luciani parcheggiata vicino alla rotonda. Se avesse udito un colpo di arma da fuoco, ve l’avrebbe certamente riferito. Per cui, l’assassino ha usato per forza un silenziatore.» Derna addentò la brioche e masticò a lungo, fingendo una soddisfazione che in realtà non provava. «Galleri, ammettilo, hai tirato a indovinare. Tu non hai la minima idea del botto che può produrre un’arma da fuoco; certune, quando sparano, non fanno più rumore di un tappo di spumante che salta.» «Ma non le armi di grosso calibro.» «E tu come sai che si sia trattato di un’arma di grosso calibro? Se spari alla tempia a un uomo, puoi ben usare una 6,35» ritorse il poliziotto. Entrambi tacquero per qualche secondo. «Ma l’arma era di grosso calibro, no?» insistette Galleri. L’ispettore scosse la testa. «Questo lo dirà l’autopsia.» «Bruno, in questura non avrebbero fatto storie se io non l’avessi azzeccata, sia pure per caso, come dici tu. Avrebbero definito la mia una ricostruzione senza fondamento. E invece su questo Viti non ha detto verbo.» Derna levò gli occhi al cielo. «Tu hai troppa fantasia, dovresti scrivere dei noir. Io non ho detto che hanno fatto storie; ti sto dicendo invece che, avanzando ipotesi azzardate come fai tu, si rischia di mettere sul chi va là i colpevoli.»


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«Addirittura.» «Potrebbero pensare che gli stiamo arrivando vicini più di quanto pensino.» Galleri fece un gesto rassegnato. «L’Agora non fa opinione, è un giornale di area: parole vostre.» «Già, ma quell’area si sta allargando, Marco. Capisco che faccia piacere a te e al tuo direttore e, per come la penso, farebbe piacere anche a me. Ma questa faccenda è parecchio ingarbugliata e si devono evitare i passi falsi.» «Avrete dei sospetti, almeno.» «Mi riferivo appunto a questi. Le piste sono più di una. E puntano tutte in alto.» Derna indicò il soffitto. Il giornalista si accigliò. «Perché mai? Su che cosa stava indagando Luciani?» «Questo al momento non posso dirtelo. Non posso nel senso che non lo so. Lui aveva avuto un mandato speciale dal questore che c’era prima, Fracanzani.» «Che è stato sostituito per questo, vuoi dire?» L’ispettore lo minacciò con il pugno teso. «No, maledizione! Finiscila di inventarti le cose. Quella è stata una normale rotazione. Galleri non era convinto.» «È la quarta normale rotazione di questori che il ministro Zardi ha effettuato in sei mesi; prima a Palermo, poi a Napoli, poi a Torino e adesso qui. Tutti capoluoghi di regione.»


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Il giornalista si aspettava che l’interlocutore desse in escandescenze, ma questa volta Derna lo sorprese. «Una normale rotazione in questi tempi anormali, Galleri» disse senza enfasi. «Come dire che Fracanzani non era considerato all’altezza della situazione.» «Tu la fai sempre troppo facile. Ti dicevo prima che questa è una faccenda molto ingarbugliata. Quanto a Fracanzani, lui amava mettere l’uomo giusto al posto giusto, per dirla con le sue parole. Questo metodo presenta certo dei vantaggi, perché concede molta autonomia a chi conduce un’indagine, ma anche un limite.» «Quale sarebbe?» chiese Galleri, che iniziava a provare sconcerto. «Sarebbe che funziona nel caso in cui i responsabili di un crimine sono identificabili, ma quando così non è, funziona assai meno; al contrario, può risultare controproducente. Luciani era una sorta di lupo solitario; la sua squadra rispondeva solo a lui, e lui per parte sua solo a Fracanzani. E come certo ricorderai, a volte ha ottenuto buoni risultati, altre no.» «Viti, invece?» «Viti preferisce il gioco di squadra. Sistema meno rapido, ma anche più sicuro.» Il giornalista si era fatto pensieroso. «Bruno, non è che c’è un rapporto tra l’avvicendamento di Fracanzani e la morte di Luciani?»


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Derna spazzò l’aria con il braccio. «Andiamo, questa non è da te. Non sei mai stato quello del post hoc, ergo propter hoc.» Galleri ammise, ma volle giocare l’ultima carta. «Mi confermi che per l’omicidio è stato utilizzato un silenziatore?» L’ispettore gli batté una mano sul braccio, si levò in piedi e fece un cenno di saluto. «Questa volta pago io» disse, uscendo rapido dalla saletta. «Parlo con Marco Galleri?» La voce all’altro capo del filo veniva a stento, interrotta da respiri affannosi. «Sono io. Posso sapere il suo nome?» «Sarebbe meglio di no… però, aspetti, ha ragione, dopo tutto ho chiamato io. Mi chiamo Laghi. Renzo Laghi.» Di nuovo quel respiro affannoso. «Si sente bene, signor Laghi?» «Sì, sì, mi scusi. È che… be', capirà meglio quando ci incontreremo. Volevo parlarle del commissario Luciani. Giacomo Luciani.» Galleri afferrò la stilografica, svitò rapidamente il cappuccio e annotò su un foglio di carta il nome dell’interlocutore. «Lo conosceva?» «Sì, certo.» «Mi dica perché mi ha chiamato. L’ascolto.» L’altro ebbe un riso nervoso.


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«Veramente non avevo pensato di chiamare proprio lei. Ma sentivo il bisogno di parlare con un giornalista.» Anche Galleri si permise una risata. «Be', signor Laghi, io sono un giornalista. Magari non uno dei suoi preferiti.» «Ha afferrato il concetto. Niente di personale, visto che non ci conosciamo; dipende dall’orientamento del suo giornale, vede.» «Se intende che L’Agora è di sinistra, comprendo. Ma allora?» «Allora, il fatto è che lei è l’unico che sulla faccenda di Luciani ha capito qualche cosa. Mi spiace un po’ ammetterlo, perché io invece sono piuttosto di destra, ma è così.» «L’ascolto.» «Ora le dico. Lei è quello che ha tirato fuori la storia dell’appuntamento. E anche quella del silenziatore.» Marco era sconcertato. «Tuttavia, signor Laghi, le confesso che, a differenza di lei, non conoscevo affatto il commissario.» «Lo so; ed è proprio questo che m’intriga, Galleri. Le spiego subito; quella sera, Luciani aveva effettivamente un appuntamento con qualcuno. E quel qualcuno era il sottoscritto. Il giornalista rimase impietrito.» «Galleri, è sempre in linea?» mormorò la voce arrochita. «Sì.» «Non vada a pensare a cose strane. Non sono stato io a… insomma, ci siamo capiti. In effetti dovevo andare a quell’appuntamento, ma poi non ci andai.»


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Galleri si sentiva sempre più a disagio. «Mi scusi, Laghi, ma lei non avvertì Luciani? Che non ci sarebbe andato, voglio dire?» «No, no. È un po’ complicato da spiegare. Forse è meglio se ci vediamo.» «Quando vuole. Da lei, o da me?» «No, no, troppo pericoloso. Dobbiamo vederci in campo neutro. Domani alle dieci, parco Ravizza, alla fermata della 91, corsia nord. Può andare?» Galleri sfogliò rapidamente l’agenda. «Certo. Può lasciarmi un recapito telefonico?» Una nuova risata nervosa. «No, Galleri. Niente telefono, fisso o mobile che sia. E niente e-mail. La sto chiamando da un telefono pubblico.» «Ma come possiamo comunicare, allora?» «Glielo spiegherò quando ci vediamo. Abbia pazienza, le assicuro che non sto esagerando. La prudenza non è mai troppa.» Galleri sbuffò silenziosamente. «Come farò a riconoscerla?» «Facile. Sono alto uno e ottanta, grande e grosso, piuttosto brutto. Porterò una cravatta gialla.»


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CAPITOLO 3

Riconoscere Renzo Laghi risultò facile a Galleri, benché questi fosse sceso dal filobus in mezzo a una folla di persone. Nonostante la giornata grigia e l’aria carica di pioggia, l’uomo portava un paio di Ray-Ban a specchio. La sua stretta di mano era forte, concitata. Galleri non riuscì a trattenere un sorriso. «Non pensa di dare ancor più nell’occhio, con quelli?» L’altro tolse di scatto gli occhiali, con un gesto nervoso. «Ha ragione. Sto perdendo il controllo. È da quando è successo che non riesco a chiudere occhio, sa. Non so come fa mia moglie a sopportarmi.» Il giornalista allargò le mani in segno di comprensione. «Si sarà resa conto della situazione, suppongo.» Laghi, che si era avviato, si arrestò di colpo, fece una smorfia. «Figurarsi, mica le ho detto niente. Lei è sposato?» Galleri rifletté per qualche secondo. «Non ancora, ma ci sto pensando.» «Mi scusi, era solo per farle capire. Ci sono donne che non capiscono nulla e altre, come mia moglie, che capiscono quasi


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tutto, ma anche queste ultime non capirebbero certe cose. Così a lei ho detto che è per via del lavoro.» «Perché, che lavoro fa lei?» «Sono un broker, opero in borsa. Tratto parecchi clienti, clienti cui non posso dare buca; mica facile di questi tempi. È questo che ho detto a mia moglie.» «Mi perdoni se sono indiscreto, ma come reagirebbe sua moglie, se lei le rivelasse la verità?» Laghi riprese a camminare con un passo lievemente ondeggiante, alzò le braccia, le lasciò ricadere. «Direbbe che devo rivolgermi alla polizia.» «Appunto» osservò il giornalista. «Appunto un fico secco, signor mio. Quella è proprio l’ultima cosa da fare.» «Come fa a esserne sicuro?» «Perché così mi ha detto lui. Lui, intendo Luciani.» «Il commissario Luciani?!» «Proprio. Ecco, possiamo fermarci qui.» Laghi indicò una specie di radura. Galleri si sentiva confuso. «Mi faccia capire. Partendo dall’inizio, per favore.» «D’accordo, mi sforzerò. Era stato Luciani a mettersi in contatto con me. Voleva delle informazioni che l’aiutassero a indagare su una persona che lui aveva arrestato sei o sette anni fa, quando stava a Roma.» «Come si chiamava, questo tale?»


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«Si chiama Domenico Arquati, ma immagino che questo nome non le dica nulla. Era direttore di un istituto di credito e venne inquisito per bancarotta. In pratica, aveva sottratto dei soldi alla clientela; le risparmio i particolari. E aveva dirottato i fondi a una finanziaria offshore.» «E dove si trova, adesso, questo tale?» «Libero come l’aria. Prima del processo, restituì il maltolto e così se la cavò con la condizionale. Il PM si appellò, ma le parti civili, a quel punto, ritirarono la denuncia. Insomma, tutto finì in una bolla di sapone. Naturalmente – Laghi strizzò un occhio per sottolineare l’ambiguità della vicenda – non fu lui a pagare, ma altri.» «Prestanome?» «È più esatto dire che il prestanome era lui, Galleri.» «Non mi ha ancora detto che fa adesso, questo signore.» «Ha ragione, rimedio subito. Arquati è divenuto il lobbista dei piccoli azionisti di una finanziaria di nome Costanza; vale a dire che è stato scelto come loro uomo di fiducia. Mi segue?» «Faccio fatica.» «Me ne rendo conto, è una storia piuttosto complicata. Tuttavia, volevo prima spiegarle il senso dell’affermazione di Luciani.» «Quando le disse di non rivolgersi alla polizia?» «Esatto. Per essere più preciso, mi spiegò che lui stesso non si fidava dei suoi colleghi.» «Perché? Gelosia professionale?»


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«Non esattamente. Temeva che passassero informazioni a chi non dovevano.» «Intende all’inquisito?» «Non entrò in dettagli, ma mi fece capire che il giro era un po’ più lungo. Non che ne fosse sicurissimo, ma nutriva dei sospetti. Sa che aveva ottenuto dal questore di condurre le indagini in totale autonomia?» Galleri ricordò quanto dettogli da Derna e pensò che fosse meglio fingere. «Questo l’ignoravo. Ma mi spieghi questa faccenda dell’appuntamento.» «Vengo al punto. Dovevamo vederci alle dieci e quaranta in piazzale***, dove l’hanno ammazzato. Ma non ci andai, perché avevo ricevuto dei segnali.» «Che segnali?» «Un paio di chiamate a vuoto da numeri riservati. Mi convinsi che ci avevano mesi sotto controllo.» Galleri sospirò. «Lei è davvero sospettoso, Laghi. Chi mai vi avrebbe messo sotto controllo?» L’altro scoppiò in una risata nervosa. «Se lo sapessi, mi sarei rivolto alla magistratura. Mica alla polizia.» «Mi ha detto che non avvertì Luciani.» «Infatti. Quando ci davamo un rendez-vous, la regola era arrivare esattamente all’ora stabilita. Né un minuto prima, né


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uno dopo. Perciò Luciani, quando non mi vide, avrebbe dovuto filarsela senza attendere oltre.» Il giornalista rifletté per qualche secondo. «Lei mi sta dicendo che qualcuno si presentò in sua vece al posto convenuto esattamente alle dieci e quaranta?» Il broker squadrò Marco per un attimo, poi crollò il capo affermativamente. «Ma non è possibile!» «E invece, signor giornalista, non può essere andata che così. Segua il mio ragionamento. Luciani era uno prudente, di più, sospettoso. Se avesse notato qualche cosa di strano, si sarebbe messo in allarme. Invece no: ha parcheggiato vicino alla rotonda, come d’accordo.» Galleri descrisse un cerchio con la mano, poi, di colpo, si bloccò a mezz’aria. «Diavolo! Ma allora, se Luciani era come lei lo descrive, deve aver visto arrivare qualcuno più o meno della sua corporatura. Il che deve averlo tratto in inganno, considerato anche che l’illuminazione era molto scarsa. E di conseguenza, lei… ora capisco.» Laghi sogghignò. «Bravo, vedo che giunge in fretta alle conclusioni. È una dote di voialtri rossi.» «Di conseguenza, lei ha avuto la prova che chi ha eliminato Luciani non solo sapesse del rapporto che c’era tra voi, ma avesse spiato i vostri incontri» terminò il giornalista, senza rilevare l’interruzione.


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«Appunto. Capisce perché mi sento nel mirino?» Galleri si strofinò le mani sulla faccia, come se volesse svegliarsi da un sogno. «Ha un’idea di chi possa essere stato?» «Il sicario no. Quanto al mandante, ho una certa idea, ma per il momento preferisco non dirgliela.» Il broker fece qualche passo, gettò intorno uno sguardo sospettoso. «In questa storia, lei m’intende, bisogna far quadrare tutto: mandante, movente, circostanze, collegamenti, complicità. Se si trascura uno solo di questi elementi, l’intera ipotesi rischia di crollare. Sto raccogliendo indizi, certo. Ma non ho in mano la storia, mi spiego? Un po’ come uno scrittore che ha in mente i personaggi, ma non è ancora riuscito a organizzare la trama. Ma mi accorgo che non le ho ancora detto come intendo comunicare con lei. Quando avrò delle novità, glielo farò sapere chiamandola da un telefono pubblico. Quattro squilli, poi riattaccherò. E le lascerò qualche cosa qui dentro.» Così dicendo, indicò al giornalista un albero che presentava un cavo. «Sarà la nostra dead drop, come la chiamano in America. Un posto dove gli agenti segreti si scambiano i messaggi, e che solo loro conoscono.» Galleri annuì, ma voleva ancora chiarire un particolare. «Qualche volta, però, dovremo anche incontrarci.» «Ma sceglieremo un posto sempre diverso. E comunque mai qui. D’accordo?»


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Galleri rifletté che era piuttosto complicato, ma che era necessario adeguarsi. «E io? Che dovrei fare, secondo lei?» «Niente di straordinario. Prosegua sulla linea che ha seguito fin qui; scriva i suoi articoli basandosi su quelle che possono sembrare deduzioni attendibili. Il suo ruolo è quello di stanare la polizia, farla venire allo scoperto. Dobbiamo capire come la pensano, che cosa hanno in mano, come intendono muoversi. Ma stia bene attento a non parlare in giro di ciò che sa; si accontenti di recitare la parte del giornalista che ha il dovere di informare l’opinione pubblica. Vantarsi della sua posizione sarebbe… estremamente pericoloso per lei.»


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CAPITOLO 4

Al tavolo della sala operativa sedevano, insieme a Giulio Viti, gli ispettori Mario De Carolis e Luca Vincenti. Entrambi sui quaranta, entrambi di origine meridionale, ma le somiglianze finivano qui. De Carolis era un pezzo d’uomo, fisico da rugbista; Vincenti magro, allampanato, leggermente curvo. «Il commissario Sassi sarà qui tra breve. Nel frattempo, gradite un caffè?» Entrambi annuirono, accennando un muto gesto di ringraziamento. Quella laconicità non sorprese il questore, il quale sapeva che entrambi avevano lavorato con Luciani ed erano rimasti molto scossi dalla sua morte. Viti stesso, prima di convocarli, aveva preferito attendere l’arrivo del nuovo responsabile, del quale aveva loro unicamente comunicato il cognome. La reazione dei due, così, fu di una certa sorpresa quando l’agente di guardia introdusse nella sala una giovane donna in uniforme.


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«La dottoressa Delia Sassi. Gli ispettori Mario De Carolis e Luca Vincenti.» I tre si strinsero la mano in silenzio. Delia Sassi, che doveva avere passato da poco i trenta, era una bionda di media statura, magra, dai lineamenti aguzzi. «Sono venuta subito dopo aver lasciato le valige in foresteria» disse accennando alla divisa, come per scusarsi di portarla ancora addosso. Viti sorrise, per indicare che non era il caso. «La dottoressa Sassi è in polizia da dieci anni. Ha operato a Roma: prima alla Mobile, poi alla Narcotici. Prenderà il posto del nostro collega Giacomo Luciani.» Entrambi gli ispettori annuirono. «Desidera rivolgere qualche domanda ai colleghi, dottoressa?» La Sassi deglutì a vuoto. «Ho letto i rapporti. Emerge che la sera in cui fu ucciso il collega Luciani avrebbe dovuto incontrare un confidente della cui identità, però, risulta non vi avesse messo a parte. Potreste dirmi come mai?» Il suo sguardo vagò rapido dall’uno altro dei due uomini. Vincenti appoggiò il mento sulle mani intrecciate, si sporse in avanti. «Ci disse che si trattava di un testimone importante, ma molto diffidente. Uno che non si sarebbe fatto avvicinare da altri che non fosse lui. E che solo da poco si era deciso a rivelargli certi retroscena.» «Quali, Vincenti?»


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«Vengo al punto. Come lei sa, la nostra unità indagava su questo Domenico Arquati, che diversi anni prima era stato inquisito per bancarotta.» «Sì, ho presente il caso.» «In realtà, Arquati se la cavò con una condanna per appropriazione indebita. Dopo di che, per un certo periodo sparì dalla circolazione. Ma Luciani, quella specie di assoluzione, per così dire, l’aveva presa storta. Voglio dire che era convinto che Arquati non fosse uno così, di mezza tacca. Insomma, gli stette alle costole. Un anno fa, venne a sapere che aveva fondato una finanziaria di nome Costanza, che aveva sede legale nel Liechtenstein…» )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

Capitolo 1............................................................................... 5 Capitolo 2............................................................................. 10 Capitolo 3............................................................................. 20 Capitolo 4............................................................................. 27 Capitolo 5............................................................................. 30 Capitolo 6............................................................................. 38 Capitolo 7............................................................................. 48 Capitolo 8............................................................................. 55 Capitolo 9............................................................................. 61 Capitolo 10........................................................................... 76 Capitolo 11........................................................................... 83 Capitolo 12........................................................................... 92 Capitolo 13......................................................................... 100 Capitolo 14......................................................................... 113 Capitolo 15......................................................................... 119 Capitolo 16......................................................................... 127 Capitolo 17......................................................................... 136



AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI

La 0111edizioni organizza la Quinta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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