Collana LaBianca Serie BIG‐C Grandi Caratteri
La serie Big‐C, Grandi Caratteri, grazie all’alta leggibilità del carattere utilizzato in stampa e alle sue dimensioni (generalmente 13 o 14), propone testi di agile lettura rivolti in particolare a lettori con problemi visivi (ipovedenti). Precisiamo che per i lettori con problemi di dislessia sono in commercio pubblicazioni a stampa realizzate con caratteri e accorgimenti particolari, che i libri della nostra serie non utilizzano. Tuttavia, il carattere utilizzato nella serie Big‐C (Candara) si presta comunque molto bene allo scopo. La presente opera è stata realizzata SENZA alcun finanziamento o contributo statale, pubblico o privato, ma esclusivamente con il capitale della Casa Editrice.
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Claudia Semperboni
IL MIO POSTO NELLA VITA
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IL MIO POSTO NELLA VITA Copyright © 2012 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-458-1 In copertina: “Incanto cinabrio” dell’artista Gianni Bologna
Prima edizione Ottobre 2012 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova
Interamente dedicato a chi mi ha insegnato a essere ad amare e soprattutto a vivere.
RINGRAZIAMENTI Innanzitutto, un immenso grazie alla Casa Editrice 0111 Edizioni, che ha creduto in questo mio progetto e ha reso possibile la realizzazione del sogno di una vita (dopo tutti i miei tentativi vani e i “NO, NON SIAMO INTERESSATI…”); grazie anche a quelle poche persone che sapevano di questo libro e che mi hanno sempre ripetuto di provarci, perché ne valeva la pena; grazie a Gianni per la copertina; grazie alla mia famiglia che mi ha sempre lasciata libera di fare le mie scelte; grazie a chi mi è accanto adesso, perché deve sopportare una testa matta come me. Ma soprattutto, grazie a chi non ha mai creduto in me, a chi mi ha fatto le scarpe, a chi mi ha preso in giro, perché così ho dimostrato loro che forse qualcosa valgo… Claudia
PREFAZIONE Ho voluto questo racconto perché mi è successo di arrivare a un certo momento della mia vita e dire: e adesso? Mi sentivo vuota, non realizzata, priva di ogni soddisfazione. Sentivo il bisogno di dover riempire la mia vita con qualcosa di concreto, che potesse lasciare in qualche modo un segno. Gira e rigira mi è venuta in mente l’idea di scrivere un libro. Appassionata come sono di lettura ho pensato: potrei provarci e magari, se Dio me la manda buona, la cosa va anche a buon fine. L’idea della storia di Bea mi è esplosa in testa così, senza andarla a cercare. Cercavo una storia stimolante, avvincente, magari tetra, visto che la mia passione sono i libri horror, meglio se di Stephen King. Invece è nato questo racconto, scritto con parole semplici e tanto sentimento. Sinceramente non so come sia nata l’idea di “Il mio posto nella vita”, ma sicuramente sono stata condizionata dal fatto che non trovavo lavoro e mi chiedevo sempre: cosa farò nella vita? Claudia Semperboni
IL MIO POSTO NELLA VITA
13 Così può essere la vita… Ho sempre sostenuto che la vita sia strana; in alcuni casi, quando desideriamo qualcosa con tutta l’anima, non riusciamo a vederla realizzata nemmeno se campassimo mille anni, mentre in altri vediamo materializzarsi davanti ai nostri occhi cose e situazioni che non avremmo mai immaginato o sperato di vedere. Era una calda notte di fine primavera quando venni al mondo e già i miei genitori fantasticavano sul mio futuro e su quello che sarei potuta diventare; ero la loro prima e unica figlia e si aspettavano tanto da me. Mia madre lasciò il lavoro temporaneamente per potermi stare vicino e contribuire con i propri desideri alla mia crescita e alla mia formazione. Anche papà veniva a casa più sovente e non perdeva occasione per prendermi sulle ginocchia e raccontarmi cosa aveva fatto al lavoro; era un uomo molto intelligente e pieno di idee, ambizioso e deciso a diventare qualcuno. Mamma mi leggeva tantissimi libri e ogni volta inventava giochi nuovi. Presto, però, riprese il lavoro e io cominciai a frequentare l’asilo. Ero una normalissima bambina, andavo d’accordo con i miei compagni e amavo tantissimo i colori, disegnare, dipingere. Fu proprio mentre facevo un quadretto da regalare ai miei genitori, durante l’ultimo anno d’asilo, che ebbi uno svenimento e cadendo feci rotolare per terra tutti i pastelli; la maestra accorse subito urlando disperatamente e facendo spostare su un lato tutti i bambini. Quando ripresi i
14 sensi ero sdraiata su una brandina del dormitorio, circondata dalla maestra e da un medico sorridente. I miei genitori giunsero dopo pochi minuti e mia madre non era ancora entrata nella stanza che già piangeva come una disperata; mio padre era più calmo ma evidentemente preoccupato. Il medico li rassicurò subito e li condusse verso la finestra che dava sul cortile. «Non è niente di grave, ha avuto un piccolo svenimento, forse per il caldo, ma basterà tenerla a riposo per il resto della giornata.» Mia madre mi abbracciò teneramente e, con l’aiuto di papà, mi caricò sulla sua macchina. Tornando a casa ripensavo a quel momento e l’unica cosa che mi tornava in mente era l’attimo in cui la vista mi si era annebbiata e non avevo visto più nulla. Non dimenticherò mai il primo giorno di scuola: indossavo il grembiulino nero col fiocco blu e sotto un grazioso vestitino scozzese acquistato da mamma due giorni prima. Tempestavo mia madre con mille domande mentre lei continuava a ripetermi: «Stai calma, ti piacerà e andrà tutto bene. In fondo siamo andati tutti a scuola e ci siamo salvati di fronte a questo “mostro” della nostra società!» Aveva proprio ragione, perché mi ambientai subito e addirittura mi divertivo a dover fare i compiti. In un certo senso mi sentivo importante e impegnata, come se fossi a lavorare in ufficio. Alcune volte fingevo anche di essere la padrona di una ditta e dare ordini a dipendenti immaginari.
15 I miei genitori erano fieri di me, anche perché non davo loro problemi. Cominciarono, però, a preoccuparsi un po’ quando ero già alla scuola media e avevo legato con una ragazza che abitava non lontano da noi. Era figlia di un uomo non molto ben visto dalle nostre parti e, visto che lei a scuola non si impegnava come avrebbe dovuto, i miei genitori continuavano a ripetermi che dovevo pensare di più allo studio, non frequentare compagnie che mi avrebbero portata sulla «cattiva strada» e… insomma: era ora che pensassi un po’ di più al mio futuro! Fantasticavano sovente su cosa avrei potuto fare da grande e temevano che frequentando Laura avrei potuto buttare all’aria la mia vita e rendere la mia esistenza insignificante. Era assurdo! Avevo solo tredici anni e avevo diritto a divertirmi. E fu proprio alla festa per il mio quattordicesimo compleanno che mi divertii da matti. Mamma mi aveva dato il permesso di organizzare una vera festa a casa nostra e di invitare tutti i miei amici, compresa Laura. Mi ricorderò sempre che una settimana prima dell’evento ero già tutta agitata perché la mia migliore amica mi aveva promesso che avrebbe portato suo cugino Marco, per il quale mi ero presa una piccola cotta. Diciamo che era il più bel ragazzo che avessi mai visto; aveva sedici anni, un fisico discreto, giocava benissimo a calcio, ma più che altro possedeva due occhi incredibilmente profondi nei quali, ogni volta che lo vedevo e mi salutava, mi perdevo senza speranza restando imbambolata come un pesce lesso. Una volta, addirittura, vedendo che lo fissavo e non proferivo parola, mi chiese: «Stai poco bene?»
16 Diventai rosso fuoco e risposi: «No, anzi. Il fatto è che fa piuttosto caldo qui!» Peccato che eravamo in pieno inverno e per le strade c’era anche la neve. Per fortuna Laura, che sapeva tutto di me, si informò sui gusti e le abitudini di suo cugino e scoprì che era il più corteggiato della sua scuola ma aveva anche una particolare simpatia per me. Sembrava troppo facile e irreale ma durante la mia festa ebbi l’occasione di appurarlo personalmente, anche se con una punta di amarezza e delusione. Il tanto sospirato giorno arrivò e io ero talmente euforica che riuscii a farmi maltrattare dalla mamma. «Ma’, è tutto pronto? Posso andare a cambiarmi? Sei sicura che non manchi niente? Forse sarebbe meglio…» «Insomma, hai finito? È da questa mattina che mi torturi con le tue domande e ti ho già detto che è tutto pronto. Mancano solamente i tuoi amici e penso che tu non voglia accoglierli con la tuta da ginnastica addosso, giusto?» «Scusa ma’, hai ragione, ma il fatto è che sono talmente contenta per questa festa che… che…» All’improvviso vidi tutto puntinato, come se migliaia e migliaia di insetti mi volassero intorno e fu solo una scrollata di mia mamma a farli sparire. «Cosa ti succede? Stai male?» «No, no… sarà questo caldo. Adesso vado a cambiarmi così sarò in grado di ricevere i miei invitati.» «D’accordo, corri a cambiarti.» Mamma riusciva a nascondere molto bene l’ansia e la paura ma in quell'occasione mi resi conto di averla spaventata
17 parecchio perché non mi aveva mai guardato con tanto terrore. Era evidentemente preoccupata per ciò che era accaduto, anche se io non lo ritenevo così grave. Giunta in camera mi coricai sul letto; mi sentivo un po’ debole ma era il mio compleanno e avevo solo voglia di divertirmi. Era una splendida giornata; il sole caldo rifletteva i suoi raggi sulla vetrata e mi inondava di calore il viso. Chiusi gli occhi e avvertii l’intenso profumo dei fiori che la mamma aveva accuratamente messo sul davanzale… Mi sentivo in pace con me stessa e sarei rimasta su quel letto per il resto del pomeriggio se non fosse stato per l’arrivo di Laura che, come entrò nel giardino di casa, esordì intonando “Tanti auguri a te” a gran voce. Mi alzai e mi diressi verso l’armadio. La festa doveva cominciare. Quando riuscii finalmente a prepararmi, scesi in giardino dove c’era Laura che chiacchierava animatamente con mia madre. «Finalmente sei arrivata! Ci hai messo un po’ a prepararti ma ne è valsa la pena! Avete preparato tutto molto bene qua in giardino e sono convinta che sarà una giornata fantastica.» Laura era una ragazza molto dolce e allo stesso tempo esplosiva. Voleva fare mille cose insieme ma al primo posto per lei c’era sempre la nostra amicizia. Ogni sua iniziativa coinvolgeva anche me e aveva già progettato che da grandi, terminata la scuola, saremmo andate a vivere insieme. Sul suo futuro aveva già le idee chiare: voleva fare una qualsiasi scuola superiore per poi iscriversi all’ISEF e diventare un’insegnante di educazione fisica. Io, a differenza di lei,
18 non sapevo ancora cosa volevo fare nella vita; da una parte desideravo diventare avvocato perché era il sogno dei miei genitori vedere la loro unica figlia nelle vesti di un’affermata donna nel campo del lavoro ma dall’altra pensavo più a me stessa e sinceramente non riuscivo a capire cosa volessi francamente dalla vita. Mi piaceva molto la natura, visitare posti nuovi, quindi sognavo un lavoro che mi potesse portare a essere libera e magari a girare il mondo. Un giorno io e Laura parlavamo proprio di questo e lei mi diede subito la risposta al mio problema: «Ma è semplice: fai l’hostess!» «Ti ringrazio!» E le lanciai addosso un grosso peluche che si trovava sul mio letto. Laura per schivarlo inciampò in una sedia e cadendo si graffiò un braccio; ancora adesso ha una piccola cicatrice ma invece di nasconderla ne va fiera e ogni volta che qualcuno le chiede cos’abbia fatto lei risponde: «Questo è un segno di amicizia e non si può togliere!» per poi scoppiare sempre a ridere. Non so come avrei fatto senza la sua amicizia. I miei amici erano tutti radunati in giardino intorno al tavolo dei salatini; alcuni erano seduti sull’erba, altri facevano a turno per avere un posto sul grande dondolo blu mentre io non riuscivo a distogliere gli occhi dalla strada. Marco non c’era ancora e temevo che non venisse più alla mia festa; avevo ricevuto moltissimi regali ma non riuscivano a distrarmi come avrebbero dovuto. Poi Laura si avvicinò a me:
19 «Ho telefonato a Marco e mi ha detto di scusarsi con te per…» «No, non dirmelo. Non può venire!» «Ma smettila Bea! Ha detto di scusarsi per il ritardo. Parte adesso da casa e fra meno di dieci minuti sarà qui. Tieniti pronta, è la tua giornata!» «Oh mio Dio, cosa devo dirgli quando arriverà? Sono in ordine? Gli piacerò vestita così?» «Perché non lo chiedi a lui?» Marco stava parcheggiando davanti a casa mia; non appena si tolse il casco i suoi capelli castani furono inondati di lucentezza e i suoi occhi mi incantarono all’istante. Provavo una sensazione strana, mi sembrava di avere le vertigini e lui… era talmente bello! Si stava avvicinando; dimostrava più anni di quelli che aveva e per me era come un sogno irrealizzabile. Aveva un fisico slanciato e ben modellato; le lunghe dita della sua mano destra trattenevano un pacchetto colorato mentre con la sinistra si aggiustava accuratamente i capelli. Sarebbe diventato un bellissimo ragazzo. «Auguri Bea e grazie per l’invito.» Mentre porgeva il regalo mi schioccò due baci sulle guance e credo che in quel momento i miei invitati avvertirono il calore che stava emanando il mio viso. Laura cominciò a sghignazzare; ero imbarazzatissima ma riuscii a reagire: «Grazie, ma non dovevi disturbarti. Pensavo non venissi più…»
20 «Il fatto è che sto preparando una ricerca con alcuni compagni di scuola e per questo sono sempre molto occupato. Spero che il regalo ti piaccia. Io lo adoro!» Aprii il pacchetto: era un cd di un gruppo nuovo che stava tentando fortuna. Ne avevo sentito parlare ma non conoscevo la loro musica. Da quel giorno, ogni volta che sentivo la musica di quel gruppo, il mio cuore si riempiva di tenerezza e gli occhi si velavano di lacrime… Mia madre arrivò con la torta di compleanno, i miei amici si stavano divertendo e io non ero mai stata così felice; mamma accese le candeline e Laura mi invitò subito a esprimere un desiderio. Socchiusi gli occhi, pensai intensamente, riempii i polmoni d’aria e soffiai. Mia madre cominciò a tagliare la torta e a distribuire le fette ai miei amici, quando arrivò in giardino una ragazza che conoscevo di vista. Era più grande di me e vestiva in modo eccessivamente audace per la sua età; indossava una camicia bianca semitrasparente chiusa con un semplice bottone al centro e una gonnellina “inguinale” di jeans. Si avvicinò a me. «Tu sei Bea, vero? Sai dov’è Marco?» Mi sentii sprofondare; non sapevo che Marco avesse una ragazza e provai subito odio per lui. «Ciao Marta, arrivo!» Marco si avvicinò con Laura e fece le presentazioni. «Io e Marta, insieme ad altri due amici, stiamo preparando la ricerca di cui ti ho accennato prima e siamo ancora molto indietro col lavoro. Mi dispiace tanto Bea ma devo andare.»
21 «Ma è proprio il caso? Non puoi fermarti ancora un po’? I tuoi amici possono continuare il lavoro per te, no?» sbottò Laura. «Mi piacerebbe stare ancora ma ognuno di noi ha un compito ben preciso e non posso essere sostituito. Vi saluto, ci vediamo!» Laura rincorse Marco e lo strattonò per un braccio. «Ma è possibile che tu non capisca mai niente! Bea è tutto il giorno che ti aspetta, tu arrivi e dopo nemmeno un’ora te ne vai con una svampita che ti viene a chiamare. Sei proprio uno stronzo!» Io ero allibita, Marco anche più di me. Non avevo parole e per sfuggire alla situazione mi precipitai verso il tavolo dove c’era mia madre e l’aiutai a ritirare i piatti sporchi. Laura e Marco stavano ancora discutendo; mentre io spiavo ogni loro mossa dalla finestra della cucina, mia madre si avvicinò a me per chiedermi cosa stesse succedendo. «Niente. Il fatto è che Laura è più pazza di quanto immaginavo!» risposi con un sorriso e uscii in giardino, anche perché Marco era andato via. Corsi incontro a Laura: «Ma cosa gli hai detto? Cosa ti ha detto?» «Gli ho semplicemente detto che tu eri contenta se si fermava ancora un po’ alla festa, però doveva assolutamente andare, per rispetto dei suoi amici. Glielo do io il rispetto! Lasciare una ragazza nel giorno del suo compleanno per andare via con una ragazzetta di dubbio gusto! Pazzesco…»
22 «Calmati, non c’è niente di male. Io sono già molto contenta che lui sia venuto, anche se per poco. Non capisci la mia felicità? Tuo cugino è troppo bello! Ho paura di essermi innamorata.» «Allora ferma i tuoi bollori.» «Perché?» «Gli ho fatto una battutina e da quello che ho capito, ma spero di sbagliarmi, ti vuole bene ma… come a una cugina.» Vidi ogni sogno, ogni speranza crollare ai miei piedi; il ragazzo che mi faceva accelerare il battito cardiaco ogni volta che mi passava davanti mi considerava come… sua cugina! Mi sentii svuotata di tutte le emozioni che avevo sempre provato per Marco; una nuvola nera era passata davanti al sole e aveva oscurato ogni ricordo che conservavo di quel ragazzo. I miei amici se ne stavano andando perché la festa era finita e si stava facendo tardi. I loro genitori li stavano aspettando a casa per la cena, avrebbero chiesto loro come avevano passato la giornata da me, se si erano divertiti e soprattutto se era stata una bella festa, ma io cosa avrei raccontato a cena ai miei genitori quando mi avrebbero domandato che ricordo avrei avuto del mio compleanno e se ero felice come speravo? Non potevo confessare loro che era stata una giornata stupenda fino al momento in cui un ragazzino che conoscevo a malapena mi aveva spezzato il cuore in mille pezzi! Il solo pensiero mi riempiva di tristezza e ancora una volta Laura intervenne in mio soccorso.
23 «Hai gli occhi lucidi, Bea. Non dirmi che ti sei fatta spezzare il cuoricino da quell’idiota di Marco! Ti prometto che indagherò meglio, ma sicuramente ho frainteso le sue parole… E poi ci sono decine di ragazzi che ti fanno il filo. Devi infischiartene di questi ragazzetti che ci fanno soffrire e non si accorgono nemmeno della nostra esistenza! Siamo ancora delle bambine e abbiamo tempo per queste cose.» Ero piena di tristezza e angoscia; ero delusa ma Laura aveva ragione. Avevamo solo quattordici anni e sarebbe venuto il nostro tempo. «Andiamo in casa a vedere se c’è ancora una fetta di torta!» urlai, e prendendo Laura per mano mi accorsi di quanto era forte la nostra amicizia e soprattutto quant’è importante un amico nel momento del bisogno. Erano passate due settimane dalla festa del mio compleanno; ero a tavola con i miei genitori: papà a capotavola, mamma e io ai lati opposti del tavolo. Avevo appena finito di mangiare gli spinaci al burro quando papà mi domandò: «Fra poco finirà la scuola e spero tu abbia già deciso presso quale istituto vorrai iscriverti. Abbiamo parlato sovente di questo argomento senza giungere a nulla di concreto, quindi è ora che ti decida.» Ci fu un lungo silenzio, durante il quale pensai velocemente a come rispondere a mio padre e soprattutto alla domanda. Mia madre mi precedette: «Io pensavo a un istituto tecnico commerciale, così se in seguito non volesse più iscriversi all’università avrà
24 comunque un buon titolo di studio col quale potrà sicuramente inserirsi nel mondo del lavoro.» «Al giorno d’oggi, se non hai almeno una laurea non sei nessuno, non trovi nessun impiego e soprattutto non arriverai mai da nessuna parte!» «Mi sembri un po’ esagerato ma non hai tutti i torti. Anch’io voglio che Bea vada all’università ma è anche bene che abbia qualcosa in mano fin dall’inizio. Conosco gente che ha fatto carriera anche con un semplice diploma da segretaria d’azienda!» «Ma tesoro! Erano altri tempi…» Era pazzesco! I miei genitori stavano discutendo come non mai su una decisione che spettava a me, solo a me. Ero contenta per il loro interessamento ma esageravano decisamente. Loro sognavano il meglio per me, volevano che io mi costruissi le basi per un futuro sicuro e concreto; insomma, si aspettavano grandi cose dalla loro unica figlia. Credo che volessero arrivare al punto di poter dire un giorno “Quella è nostra figlia! Siamo fieri di lei”. Io non condividevo pienamente le loro idee; certo, non escludevo dalla mia vita una brillante carriera, vedermi affermata e soprattutto rispettata nell’immenso mondo del lavoro, ma ritenevo che anche il più semplice impiego potesse dare grandi soddisfazioni. Per esempio, quando ero più piccola passavo ore e ore a pettinare le mie bambole pensando di essere una parrucchiera e, ogni qualvolta i miei giocattoli erano “soddisfatti” dell’acconciatura che facevo loro, mi sentivo realizzata e appagata. Ero felice per il semplice fatto che mi immaginavo un lavoro vero, e non un
25 gioco, per il quale davo tutta me stessa e i miei potenziali clienti erano soddisfatti del mio operato. Non mi sono, però, mai sentita realizzata come quando giocavo al dottore; assumevo sempre un’aria molto professionale quando mi immedesimavo nel mestiere e talvolta ero anche assistita da Laura. Curavamo influenze, raffreddori, gambe rotte e anche malattie di nostra invenzione che potevano però causare la morte. Come sempre le mie bambole erano i malati e provavo moltissima gioia quando i loro genitori immaginari si congratulavano con me e la mia assistente quando svolgevamo “un ottimo lavoro”. Durante la fanciullezza ci accontentavamo di poco ma con tanta fantasia e ora, invece, ci trovavamo a un punto morto della nostra vita in cui era necessario prendere una decisione: cosa avrei fatto nel mio futuro che si stava sempre più trasformando in presente? Fu il principale argomento della serata, ma io non riuscivo a darmi una risposta. Mia madre aveva avuto un’ottima idea, così pensai di accordarmi con la sua proposta. Dovetti però giurare a mio padre che sarei anche andata all’università. Gli esami si stavano avvicinando; io e Laura passavamo ormai tutti i pomeriggi a studiare anche se le belle giornate ci invitavano a uscire. Tutti i pomeriggi facevamo una passeggiata lungo il sentiero della boscaglia che si trovava sulla collina dietro casa; non era un luogo isolato e c’era sovente molta gente che si avventurava sulla collina. Faceva molto caldo ma lungo quel sentiero si poteva ritrovare quel piacevole fresco naturale. Gli alti castagni contribuivano con
26 i loro rami a creare la frescura che si ricercava durante le passeggiate e fu proprio in un caldo pomeriggio che mi capitò di incontrare Marco con alcuni amici. Stavo camminando al centro del sentiero, assorta nei pensieri sullo studio e intenta a riflettere sul programma che dovevo seguire con Laura, quando alcune voci maschili mi fecero sobbalzare e mi portarono a spostarmi velocemente verso destra. Spiccai un balzo e mi ritrovai praticamente nel prato costellato di margherite. Mi fermai per lasciare passare quei ragazzi in bicicletta, quando riconobbi fra essi un viso conosciuto e sempre più luminoso: era Marco. Rimasi ad ammirarlo mentre mi transitava davanti. Lui subito non mi vide perché stava parlando col ragazzo che si trovava alla sua sinistra, poi si fermò, con una lunga frenata, pronunciando il mio nome. Mi avvicinai e gli chiesi come stava. «Bene e tu? Stai preparando l’esame? Non ti preoccupare, andrà benissimo. E poi non è così difficile come sembra.» Lo stavo fissando intensamente perché all’improvviso mi era tornato in mente il giorno della festa di compleanno e l’amarezza che mi aveva fatto provare quell’individuo. Sicuramente si stava chiedendo perché lo fissavo così ma riuscii a disincantarmi e a proferire parola. «È tanto che non ci vediamo. Pensavo fossi partito per le ferie…» «No, non ancora. Dobbiamo fare ancora un po’ di allenamento per il campionato estivo, poi vedrò cosa fare. È davvero tanto tempo che non vedo sia te che mia cugina. È ancora viva?» «Oh si, studiamo sempre insieme.»
27 Era più forte di me, non riuscivo a staccarmi da quegli occhi stupendi. «Appena finite l’esame possiamo vederci e magari organizziamo una festa. Ne posso parlare subito con i miei amici. Cosa ne pensi? Vuoi parlarne con Laura?» «D’accordo! Andrà benissimo anche per lei!» «Allora ci sentiamo e in bocca al lupo per l’esame! Anche a Laura.» E mi schioccò un bacio sulla guancia sinistra. Rimasi imbambolata ed ebbi a malapena la forza di alzare la mano per salutarlo. Nonostante la delusione che avevo provato, mi stavo rendendo conto che quel ragazzo mi aveva stregata. Dovevo odiarlo e invece il mio cuore stava galoppando solo perché avevo parlato con lui due minuti, dopo tanto tempo che non lo vedevo. Quando riuscii a riprendermi cominciai a saltellare verso casa fischiettando un brano della cassetta che mi aveva regalato proprio lui al compleanno ma dovetti fermarmi poco prima di giungere a destinazione. Sentivo in testa come un martelletto che picchiava, subito sul lato destro della fronte, poi tutta la nuca cominciò a dolermi. Fu un attimo, ma temevo di finire lunga e distesa sul prato dietro casa. Poi avvertii solo una piccola fitta alla tempia e niente più. Cos’era successo? Probabilmente era il caldo oppure la troppa tensione per l’esame. Non sentii più nulla, quindi mi avviai verso casa dove c’era già Laura che mi aspettava per studiare. Non raccontai a nessuno ciò che mi era successo quel giorno ma non potei nascondere l’incontro con Marco e spifferai tutto a Laura quello stesso pomeriggio.
28 «Davvero ti ha detto che ci vedremo dopo l’esame? Lo sapevo io che non c’era niente tra lui e quella Marta.» «Io lo spero con tutto il cuore perché credo di essere… sai com’è…» «Sei cotta!» «Ho paura di sì! Il fatto è che tuo cugino è così bello, è così simpatico, è così e basta. Mi piace da morire!» «Ti vedo proprio bene come cugina! Però stai attenta: i tipi troppo belli ti fanno soffrire.» «Sono disposta a rischiare!» Quel pomeriggio non studiammo moltissimo ma ci divertimmo come due pazze a scherzare e a immaginare un incontro romantico fra me e Marco. Più si andava avanti e più mi chiedevo quanto bene volessi a Laura e quanto forte fosse il legame che ci univa. Arrivarono anche i giorni dell’esame; Laura faceva scongiuri e inscenava riti propiziatori anti – sfiga mentre tutti i nostri compagni la seguivano divertiti risollevandosi così il morale. Proprio quando toccava a me affrontare l’orale, sentii di nuovo quel leggero martelletto che mi picchiava vicino alla tempia destra. Feci una leggera pressione con le dita e il fastidio sparì. Entrai nell’aula e sostenni l’esame. FINE ANTEPRIMA CONTINUA...