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ISABELLA LIBERTO
IL PIANTO DEL CORVO
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ IL PIANTO DEL CORVO Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-457-1 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Aprile 2021
Ai miei incubi… perché mi hanno regalato questa storia
[…] e canterò di quel secondo regno dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno […] Purgatorio, Canto I – Dante Alighieri
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PROLOGO
Non ricordo con esattezza cosa stavo facendo quel giorno. I ricordi si sono fatti confusi, adesso è tutto strano, come se vedessi il mondo da dietro un vetro. Non ricordo i dettagli, ma ricordo il dolore. So che le cose per me potrebbero migliorare ed essere molto diverse, ce la sto mettendo davvero tutta per uscire da qui. Ma è difficile. Ricordare è davvero difficile. So che è questo che devo fare per vincere, per avere la libertà. So anche che ci riuscirò. Partirò da quello che so, da quello che non ho dimenticato e andrò via da questo posto. Il mio nome è Jane Logan, e sono morta da sei mesi.
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CAPITOLO 1
Il tempo qui non ha misura. Non so dire da quanto tempo esattamente io sia qui. Mi è stato riferito successivamente, ma è tutto confuso e non riesco a orientarmi. Quando tutto è iniziato, ero spaesata. Mi ricordo le mie mani, il colore dei miei occhi, i miei capelli. Mi svolazzavano davanti al viso quel giorno. Ricordo che li ho sempre tenuti legati in una treccia, per evitare che in giornate come quella potessero darmi fastidio e coprirmi la visuale. Ma qualcosa è andato storto, evidentemente… Le mie mani erano piene di libri. Mi passavo il carico di libri da una mano all’altra per levarmi le ciocche di capelli dagli occhi, mentre camminavo per strada. Cosa stavo facendo quel giorno? Perché quei libri? Chi sono io, o meglio, chi ero? Tutto ciò che ricordo chiaramente è che stavo correndo per strada, il vento mi sferzava il viso, facendo danzare i miei capelli color miele davanti agli occhi. Faceva caldo ma non troppo, una bella sensazione. D’un tratto un suono forte, prolungato, poi un tonfo. Dolore improvviso. Poi il buio. Quando ho aperto gli occhi ero in mezzo a un bosco malato. *** La testa mi doleva, le braccia e le gambe erano immobilizzate. Una sensazione di torpore diffuso in tutto il corpo mi evitava ogni tipo di movimento. Un sapore ferroso in bocca. Sangue? Aprii gli occhi a fatica e mi guardai intorno. Alberi. Conifere, abeti, pini, querce, cipressi. Ogni tipo di albero da me conosciuto e non. Qualcosa non andava però, gli alberi non erano floridi, vivi, verdi. Erano marroni, morenti. Imploravano aiuto con i loro rami quasi spogli, gridavano il loro dolore a un cielo che aveva da tempo dimenticato l’azzurro, rimpiazzato da una patina di grigio piombo che riversava quel luogo a un limbo in attesa di assoluzione da ogni peccato.
10 Mi misi a sedere con grande fatica. Mi toccai la testa e constatai che, con il passare dei minuti, il dolore diffuso svaniva rapidamente, lasciando spazio a una sensazione di strana beatitudine che non ricordo di aver mai provato. Mi alzai in piedi e provai a guardarmi intorno. Dove diavolo ero finita? Funghi rossi e velenosi crescevano ai piedi degli alberi, strani fruscii muovevano il sottobosco in una danza inquieta e spettrale. Il respiro mi si mozzò diverse volte mentre cercavo di orientarmi. Ululati e strani gridi soffusi mi arrivavano alle orecchie, facendomi rizzare i peli delle braccia. Rabbrividii, voltandomi di scatto per cercare qualcuno alle mie spalle. «Ehi, c’è qualcuno?» la mia voce mi risuonava estranea. Era davvero la mia? Ancora suoni non identificabili. Le foglie si muovevano nel terreno. Un pungente e sgradevole odore di foglie marce s’insinuava nelle mie narici, facendomi lacrimare gli occhi. «C’è qualcuno?» provai ancora, un senso di panico mi attanagliò il cuore ed è in quel momento che sentii il dolore per la prima volta. Una morsa mi afferrò il cuore e parve stritolarlo. Mi portai una mano al petto e mi accasciai a terra. Il dolore lancinante fu l’unica cosa che mi fece capire di essere ancora viva, ma quella morsa infernale sembrava sul punto di uccidermi. Forse sarei morta di lì a poco. «Aiuto…» sussurrai senza fiato, gli occhi colmi di lacrime. Il dolore si dissolse e ritornai a respirare. Annaspai in cerca di ossigeno. Uno, due, tre respiri profondi. Dove avevo imparato? Pian piano mi ripresi e, appoggiandomi al tronco di un albero, mi rimisi in piedi. «C’è nessuno?» la mia voce adesso era rotta dal pianto. «Ahi! Maledizione» ritrassi di scatto la mano appoggiata all’albero e vidi che decine di piccoli ragni neri la percorrevano, mordendo e graffiando il palmo, il dorso, le dita fino al polso. Cacciai un urlo e cercai di togliermeli di dosso. Andai a sbattere con la schiena contro un altro tronco, ma quando mi voltai, vidi uno scoiattolo sbucare dalla sua tana. Aveva i canini aguzzi e chiazze prive di pelo in tutto il corpo. Indietreggiai inorridita e mi voltai, ma da un altro albero alle mie spalle uno strano suono mi fece voltare. Due occhi rossi mi guardavano
11 minacciosi. Un gufo nero, grande quanto il mio braccio mi fissava, stirando il collo e facendolo ruotare in un modo quasi innaturale. Soffocai un urlo e feci qualche passo indietro. L’animale spiegò le ali e si preparò a spiccare il volo verso di me, inchiodandomi con il suo sguardo di fuoco. Gridai ancora e mi allontanai da lì, iniziando a correre senza meta, senza una direzione. Le foglie marroni si sgretolavano sotto le mie scarpe. Rami appuntiti mi graffiavano il viso e cercai di coprirmi gli occhi. Corsi all’infinito, senza sosta, senza guardarmi indietro. Ululati sinistri accompagnavano la mia fuga, occhi gialli mi seguivano famelici fiutando la mia paura. Guardai per un istante alle mie spalle. Un lupo nero, enorme, con la bava alla bocca, mi stava puntando e sarebbe venuto a reclamare la sua sete di sangue. Quando tornai a guardare dinanzi a me, mi scontrai con qualcosa. Qualcuno. L’impatto con quel corpo mi fece cadere a terra. Con timore guardai in alto e vidi tre persone che mi fissavano con divertimento. Due uomini di età indefinita, che sembravano tuttavia piuttosto giovani, e una donna. Avevano abiti rozzi, strappati in più punti, laceri e sporchi. Portavano sulla schiena faretre rudimentali, con poche frecce dalla punta piumata di colore marrone. I loro occhi sembravano vuoti, guardavano senza vedere, spossati e frustrati, cercavano di nascondere la loro disperazione dietro una compostezza granitica che si accompagnava a un atteggiamento superbo e volutamente strafottente. Mi guardavano come se fossi un cervo durante la stagione di caccia. «Ehi, ragazzi… abbiamo una novellina.»
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CAPITOLO 2
Quello che sembrava il più adulto dei tre mi aiutò a rialzarmi, porgendomi una mano e tirandomi su. «Stai bene?» la sua voce era spenta ma gentile. Una gentilezza che non raggiungeva gli occhi, velati di dolore e preoccupazione. «Ma certo che sta bene» intervenne il ragazzo che mi aveva apostrofato come “novellina” pocanzi «qui tutti stanno bene…» ridacchiò senza gioia. «Dove sono? Chi siete?» cercai inutilmente di controllare il tremore nella mia voce, mentre li guardavo uno per uno, rivolgendo loro quelle domande che mi stavano tormentando da quando avevo riaperto gli occhi. «Oh, sei appena arrivata» constatò la donna, avvicinandosi a me. Aveva gli occhi neri come la notte, i capelli dello stesso colore erano rasati da un lato, e mi guardava come se volesse sentirsi superiore a me in quel momento. Ma nemmeno lei ci credeva davvero. «Non l’hai ancora visto, dunque» disse ancora, squadrandomi dalla testa ai piedi e analizzando i miei vestiti. Avevo una semplice maglietta a maniche lunghe, a righe bianche e nere, al polso avevo un orologio con un quadrante nero e vuoto; un paio di jeans e le scarpe da ginnastica. Erano i miei vestiti? Dove li avevo presi? Non ricordavo nulla. Certo, però, che in confronto a loro, piegati, addomesticati dalla natura stessa di quel luogo, che li aveva forgiati secondo il proprio volere, sembravo del tutto “fuori posto”. «Chi?» chiesi scuotendo la testa, senza capire a chi si stesse riferendo la ragazza. Un suono stridente ci fece sobbalzare. Un urlo sgraziato mi perforò quasi i timpani e mi coprii le orecchie per non sentire. «Che cos’è?» chiesi urlando, senza riuscire a trattenere le lacrime. Era un lamento terribile, un urlo continuo, un grido di dolore che trafiggeva il petto di chiunque ascoltasse.
13 Avevo il viso rigato di lacrime, le mani sulle orecchie che parevano sanguinare. Il dolore al cuore si fece risentire, vivido, straziante, come se dovesse uccidermi da un momento all’altro. Guardai i tre di fronte a me e vidi nei loro occhi la stessa sensazione che albergava in me: terrore. Il lamento continuava. Lo straziante grido dirompente si faceva sempre più vicino. «Che cos’è? Vi prego basta, fatelo smettere!» mi trovai a urlare per sovrastare quel suono. «È il pianto del corvo…» spiegò la donna «lui è qui.» La guardai senza capire. Gli occhi sgranati per la paura. Scuotevo la testa impercettibilmente. Di chi parlava? Le risposte alle mie mute domande arrivarono di lì a poco. Un corvo enorme volò basso sopra le nostre teste, sfiorandoci quasi i capelli. Poco prima di posarsi sul terreno, si trasformò in un uomo. Una figura statuaria, coperta da un mantello nero come le tenebre, con gli orli sfrangiati e lucidi, come se avesse camminato nella pece bollente, si palesò dinanzi a noi. Quando si voltò per guardarci, i suoi occhi gialli mi trafissero il cuore e il dolore tornò a mozzarmi il respiro. Senza sapere perché, abbassai lo sguardo, continuando a piangere in silenzio. I tre accanto a me abbassarono la testa in un inchino reverenziale, deglutendo rumorosamente. Quando tornai a guardare la figura vestita di nero, vidi che i suoi occhi non erano più accesi come prima. La luce gialla aveva ceduto il posto a un delicato color miele e ci scrutava, esaminandoci solo con uno sguardo superficiale. Aveva i capelli neri, quasi rasati. La mascella dura, le labbra piene. Un volto bello nel complesso, ma allo stesso tempo terrificante. Le mani curate scendevano ad accarezzare la sua veste nera, i piedi nudi calpestavano il terreno in parte fangoso, senza sporcarsi. Quando tornò a guardare me, la luce gialla dei suoi occhi si riaccese, facendomi tremare e chinare il capo come gli altri, senza la mia volontà. Facendomi coraggio tornai a guardarlo e vidi che mi fissava. Restò a guardarmi per un tempo che mi parve infinito, mi scrutava a lungo e con una strana luce negli occhi. Ne ebbi paura.
14 Avanzò lentamente, quasi come se stesse fluttuando. I suoi piedi sembravano non poggiare sul terreno. Le foglie e i rametti si spezzavano senza emettere alcun rumore. Il cielo si oscurò ancora di più, privandoci di quella luce grigiastra e facendo scendere il buio per un istante, come se una nube di cera stesse oscurando momentaneamente un sole pallido e privo di speranza. Si fermò proprio davanti a me. Lo guardai, ma non fui in grado di sostenere a lungo il suo sguardo. Tremavo, sentivo freddo, nuvolette di vapore si condensavano nel mio respiro affannato, brividi mi scuotevano il corpo, le mie mani s’intrecciavano nervosamente tra di loro. L’uomo allungò una mano per toccarmi il viso e mi sollevò il mento con gentilezza, per costringermi a guardarlo. Il suo tocco mi fece rilassare istantaneamente e il freddo scomparve. Il suo sguardo si addolcì. Mi accarezzò il viso, come avrebbe fatto un padre con una figlia. Un padre con una figlia. Come lo sapevo? «Ciao, Jane. Benvenuta» la sua voce era puro incanto. Jane. Il mio nome. Non lo avevo ancora udito ma in qualche modo mi ricordò qualcosa. Mi ricordò me stessa. Jane. Ero io. «Sì» annuì, come se avesse letto i miei pensieri «non devi aver paura, Jane» mi accarezzò i capelli e mi fece avvicinare a lui. Mi circondò la vita con un braccio, facendomi voltare verso i tre. «Avete già fatto conoscenza?» chiese gentilmente. «L’abbiamo appena trovata, Gregory. Credevamo che l’avessi già portata via» rispose il più giovane dei tre, quello con l’aria più sprezzante. «Un gruppo sta per arrivare. Jane è in anticipo. Li porterò via quando tutti saranno qui» commentò Gregory. «È terrorizzata… credo… credo che non abbia capito» disse con timore il più grande dei tre. «Certo, Samuel, Jane è appena arrivata. Non può aver capito» annuì Gregory. I tre concentrarono i loro sguardi su di me. L’aria di superbia aveva ceduto il posto alla paura e a un’altra sensazione che in quel momento non riuscivo a spiegare. C’era una parola per descriverla, ma non
15 riuscivo a capire. Lo sapevo. L’avevo provata io stessa, ma come facevo a saperlo? Poi capii. Comprensione. Mi guardavano comprendendo il mio stato d’animo. Di certo c’erano passati anche loro. Mi voltai verso Gregory che mi sorrideva appena, senza coinvolgere gli occhi, che mi fissavano come se stessero scrutando dentro di me. La stretta al cuore si fece risentire e mi toccai il petto, gemendo di dolore. «Vi prego, non sto bene. Ho bisogno di aiuto» dissi con la voce ridotta a un sussurro affaticato, come in preda a un infarto. «Sì, Jane. Sono qui per aiutarti» annuì lui gentile. «Sento dolore al cuore» sussurrai guardando in basso e appoggiandomi alla sua spalla, come se fosse l’unico punto stabile di tutto quel luogo. «Il dolore non cesserà, ma ti aiuterà a capire perché sei qui» disse ancora, come se sapesse perfettamente cosa stavo provando. Di che stava parlando? Quel dolore poteva uccidermi, perché non si rendeva conto della gravità della situazione? «Ti prego, aiutami. Sto per morire…» Lui mi sollevò il mento, come aveva fatto prima, e incontrò nuovamente il mio sguardo. Poi scosse la testa e mi dedicò un sorriso gentile. «No» disse «tu sei già morta, Jane.»
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CAPITOLO 3
Improvvisamente il dolore al petto cessò, così come il mio respiro. Era un sogno, era tutto un sogno, ne ero sicura. Presto mi sarei svegliata e allora… allora cosa avrei fatto? Dove mi sarei dovuta svegliare? Chi ero io e perché non ricordavo assolutamente nulla? Solo di una cosa ero certa: quello che stava dicendo non aveva il minimo senso per me. «Tu sei pazzo…» dissi semplicemente, sconvolta. Guardai prima Gregory, poi quei tre che avevano iniziato a ridacchiare di nuovo. «Voi siete tutti pazzi!» urlai in preda alla disperazione. Feci alcuni passi indietro, continuando a guardare quelle figure che si prendevano gioco di me, del mio dolore e della mia paura. Mi voltai e iniziai a correre di nuovo, senza sosta, cercando di scappare da quel luogo terribile. Delle risate macabre e sinistre fecero da eco ai miei passi, ma non mi voltai indietro. Sapevo che anche Gregory stava ridendo, la sua risata sovrastava tutto il resto. Della gentilezza che mi aveva mostrato non restava più nulla. Correvo più veloce di quel vento freddo e gelido che mi entrava nelle ossa. Se ero morta perché il mio cuore batteva? Perché mi faceva così male? Un soffio di vento contrario alla mia direzione mi scompigliò i capelli, opponendo una forte resistenza alla mia corsa. Come un uragano mi stava spazzando via, facendomi tornare indietro. Mi aggrappai a un albero, ignorando le bestie orribili che mi pungevano la pelle. Quel vento furioso mi stava trascinando via, facendo volare il mio corpo in modo grottesco. Se non fosse stato per quell’appiglio, sarei piombata nuovamente a terra, da quei tre e da quel mostro orrendo che pretendeva di farmi credere alla mia dipartita.
17 Cercai di aprire gli occhi per vedere. Foglie, rami, persino sassi e piccole creature della fauna boschiva, vorticavano attorno a me in un moto devastante, che avrebbe potuto mutare la natura stessa di quel luogo. Mi ritrovai a urlare. Ma quel vento rubò la mia voce, portandola lontano chissà dove. Ben presto, però, vidi qualcosa di strano. C’erano delle persone, decine, forse un centinaio. Venivano verso di me, non erano toccate dal vento, la loro traversata proseguiva indisturbata come se stessero fluttuando sul terreno. Erano anime spaesate, spaventate, viaggiavano in massa verso qualcosa, verso qualcuno. Ai lati di quella fila disordinata c’erano delle creature. Il dorso era umano, ma le gambe avevano qualcosa di diverso. Erano animalesche. Avevano zoccoli al posto dei piedi e una pelliccia nera e marrone rivestiva quegli arti possenti. Strane orecchie appuntite spuntavano dalla loro testa, insieme a quelle che sembravano corna. Il vento mi feriva gli occhi, ma non volevo chiuderli. Volevo continuare a guardare. Quella folla avanzava verso di me, come se non mi vedesse. Udii nuovamente il grido sgraziato e disperato che aveva preceduto l’arrivo di Gregory. Il vento s’intensificò e una nube nera si palesò davanti a me. Quando il corvo arrivò, il vento cessò la sua furia. Caddi a terra ma prontamente qualcuno mi afferrò alle spalle. Era Gregory. La sua presa ferrea mi fece male. Perché sentivo dolore? «Guardali, Jane» mi sussurrò all’orecchio, tenendomi ben ferma. Una mano sul mento mi teneva salda la testa, costringendomi a guardare quelle anime in pena. «Guarda quante anime devastate arrivano in massa, disperate e spaesate. Non puoi scappare… non puoi fuggire, dovrai restare qui e fare i conti con te stessa.» Mi fece voltare di scatto, tenendomi ferma per le braccia, il suo viso a pochi centimetri dal mio. I suoi occhi gialli s’illuminarono in modo spaventoso e un brivido mi attraversò il corpo. «Tu credi di essere diversa, di non appartenere a questo mondo. Pensi che tutto sia un sogno, un terribile incubo. Ma questa è la realtà» mi disse con una voce che non aveva nulla di umano. Tentai di divincolarmi, ma era impossibile. «Lasciami andare!» gridai come una povera sciocca.
18 La sua risata mi gelò il sangue. «Presto sarà tutto chiaro, te lo prometto» mi accarezzò il viso, lasciandomi poi andare di colpo. Caddi a terra da diversi centimetri d’altezza. Eravamo sospesi in aria e non me ne ero accorta. “Se è vero che sono morta, questo dev’essere l’inferno”. Gregory si piazzò davanti a quella massa di anime e tutti, comprese le creature che li accompagnavano, chinarono la testa in segno di rispetto. Si voltò verso di me, ancora a terra, ancora stordita e spaventata. Senza riuscire a capire come e senza poterlo controllare, mi ritrovai a fluttuare verso gli altri, ritrovandomi pochi istanti dopo, in ginocchio, in mezzo a quella gente di ogni età e colore. Gli occhi vuoti, la pelle fredda, il cuore spento. «Benvenuti, figli miei» esordì Gregory. La sua voce aveva ritrovato gentilezza e compostezza. Mi alzai a fatica, cercando di ritrovare un contegno anch’io, e ascoltai in silenzio, senza poter decidere il contrario. Quello che udii quel giorno è rimasto impresso dentro di me come un marchio a fuoco. Ancora oggi stento a credere che sia tutto vero. Ma i fatti, le circostanze e il tempo passato da allora, mi hanno indubbiamente fatto credere che sia questo il vero mondo e non quello che ho vissuto sulla Terra. «Se siete qui, significa che il vostro trapasso è avvenuto in modo violento. La vostra anima è tormentata da qualcosa. Dovete espiare i vostri peccati o perdonare quelli di qualcuno che vi ha ferito talmente profondamente, da condannarvi a un’esistenza di tormenti…» fece una breve pausa, lasciando che le sue parole aleggiassero su di noi per un tempo infinito, in modo che potessimo comprendere appieno quanto aveva detto. Io però mi rifiutavo di accettarlo. Quello che diceva non aveva il minimo senso per me. «Molti di voi se lo stanno chiedendo. La risposta è sì. Siete bloccati in un limbo…» mormorii sommessi si levarono dalla folla «qualcuno lo chiama Purgatorio, altri Mondo Sospeso. Potete chiamarlo come volete, ma il risultato del vostro soggiorno qui sarà uno e uno solo…» “Non può essere vero. Non può essere vero. Non può essere vero”. «Sarete sottoposti a delle prove. Non ricordate chi siete, cosa avete fatto e perché siete qui, ma io so tutto di voi. Ho visto le vostre vite, assistito
19 alla vostra morte, vi ho sentito soffrire e lo sento ancora. Il vostro compito sarà ricordare perché. Quando avrete ricordato e vi sarete perdonati, espiando le vostre colpe, o avrete perdonato qualcuno che vi ha condannato alla sofferenza, allora la vostra anima sarà libera di andare…» Non occorreva che chiarisse dove. In qualche modo il luogo era chiaro persino per noi. «In alternativa» continuò Gregory «se non doveste riuscire a lasciare andare il dolore, alcuni di voi saranno scelti da me in persona per vegliare su questo luogo, restando al mio fianco. Saranno i miei guardiani, le mie ninfe. Mi aiuteranno a gestire le anime e bloccherò i loro tormenti facendogli trovare la pace. Resterete qui con me per l’eternità…» Quando pronunciò quelle parole, guardò dritto nei miei occhi e mi sentii mancare. Quella prospettiva mi gettò nella disperazione più totale. L’eternità in quel luogo. Quante volte può morire un’anima? Quanto a lungo può soffrire senza smembrarsi in mille pezzi, ancora e ancora? No. Sarei andata via da lì. Avrei fatto quanto richiesto. Avrei superato tutte le prove e me ne sarei andata. Prima di tramutarsi nuovamente in corvo e sparire, Gregory disse: «Io sono il Principe di questo mondo. Mi chiamano il Corvo, ma per voi sarò solamente Gregory. Benvenuti in Purgatorio, anime.»
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CAPITOLO 4
Quando il Corvo volò via, regalò a tutti un bacio di morte con il suo pianto disperato, lasciandoci in balìa di quelli che lui aveva chiamato “guardiani”. Quegli ibridi dal corpo mezzo umano e mezzo animalesco. Si disposero l’uno accanto all’altro. Erano sei in tutto: tre maschi e tre femmine. Il più possente del gruppo prese la parola, dopo averci scrutato a lungo, uno per uno. «Salve, anime» tuonò con la sua voce cavernosa «il Principe Gregory vi ha già detto tutto e da oggi inizia il vostro percorso di espiazione. Noi siamo i guardiani di questo mondo. Il mio nome è Zachary, e veglierò su di voi affinché riusciate a trovare la pace.» Molte anime si guardarono, mormorando qualcosa, qualcuno piangeva, qualcun altro scuoteva la testa. Io mi rifiutavo di accettare tutto quello e allora feci un paio di passi indietro, cercando di nascondermi tra la folla di anime disperate. Quando pensai di essere ben nascosta dagli occhi dei guardiani, mi voltai per scappare di nuovo, ma i miei piedi si bloccarono nel terreno. Non riuscivo più a muovermi. “Forza, forza. Devo andarmene di qui” pensai, cercando inutilmente di muovermi. Una nebbia si avvicinò al mio viso e il volto di Gregory apparve. Sobbalzai e repressi un urlo. Mi guardai attorno, nessuno restituiva il mio sguardo, nessuno lo vedeva. «Non puoi scappare, Jane…» sussurrò, per poi svanire in una nube di giallo e nero. I miei piedi si sbloccarono e per poco non persi l’equilibrio. Decisi di voltarmi di nuovo, sconfitta, e ascoltare le parole dei guardiani. Una ninfa si posizionò accanto a Zachary. Aveva le gambe ovine brune, come i capelli e la pelle, un bel viso e due occhi di un blu molto intenso. La sua voce fu un balsamo dopo quella del guardiano.
21 «Il mio nome è Zarina e sono l’intermediaria di Gregory. Parlerò io per lui quando non potrà essere presente. Sceglierò io per lui quando sarà necessario. Vi punirò… quando lo meriterete.» Un brivido mi scosse. Tanta bellezza e tanta gentilezza potevano davvero mascherare tanta crudeltà? «Voi siete un gruppo speciale» continuò Zarina, guardandoci con un sorriso amaro «siete arrivati insieme per un motivo, che adesso non ricordate e che dovrete rammentare al più presto se volete lasciare questo posto. Solo una di voi non fa parte di questo gruppo» disse guardando all’improvviso nella mia direzione e trafiggendomi con i suoi occhi profondi. Gli altri lo capirono e cominciarono a squadrarmi. Mi sentivo sempre più fuori posto. «Ma anche questo, per adesso, stentate a capire. Voi…» continuò rivolta agli altri «eravate più numerosi in principio, ma non tutti sono qui… potete immaginare il perché?» chiese rivolta a nessuno in particolare. «Perché…» si fece avanti un uomo con cautela, sembrava rassegnato a quella situazione, aveva i capelli bianchi e il viso stanco e solcato dai segni del tempo, ma non sembrava volersi opporre «perché forse hanno già trovato la loro strada» per strada intendeva un altro dei mondi a cui eravamo destinati. Questo lo sapevamo tutti, senza capire esattamente come. «Esatto» annuì Zarina «le loro anime non erano tormentate e hanno trovato subito la pace o la dannazione… per voi è diverso, dunque.» «Perché non ricordiamo niente?» chiese una donna dalla pelle marrone, il volto rigato dalle lacrime, gli abiti di colori che avevo dimenticato. Esiste il viola e si chiama così, e ha quell’aspetto. «Perché riusciamo a capirci? Siamo diversi ma parliamo la stessa lingua» chiese ancora un’altra ragazza. La carnagione rosa pallida, gli occhi allungati, i lunghi capelli castani e lisci. «Perché qui tutto si azzera» rispose uno dei guardiani rimasti dietro Zachary e Zarina «non esistono lingue, nazioni, paesi, differenze. Qui tutti siamo uguali. Qui tutti abbiamo un compito da svolgere. Pace o dannazione, sono concetti che non conoscono diversità. L’odio che avete provato per gente diversa da voi, in vita, è qualcosa che vi ha fatto patire l’inferno ancora prima di conoscerlo. Qui nulla di tutto ciò
22 avverrà, o vi guadagnerete un biglietto di sola andata per la casa di Lucifero» concluse sorridendo quello che, avrei scoperto in seguito, si chiamava Gabriel. «La redenzione e l’espiazione sono fatti privati» Zachary prese di nuovo la parola «durante il vostro soggiorno vi capiterà di avvicinarvi gli uni agli altri, ma tutto quello che passerete qui, sarà personale, brutale, doloroso e perfettamente soggettivo.» Ci guardammo per alcuni istanti, qualcuno mormorava qualcosa, ma non riuscii a capirlo. «Non avrete fame, sete, non mangerete o dormirete. Siete morti e non avete necessità fisiche. L’unica cosa che sentirete, sarà dolore.» La fitta al cuore si ripropose e una maschera di sofferenza si soffermò sul mio viso. Perché quel dolore se eravamo morti? Zarina rispose alla mia muta domanda, come se mi avesse letto nel pensiero. «Ognuno di voi sente un dolore diverso. Sta a voi capire perché. È quello la chiave di tutto. Quello che riuscirà a sbloccare i vostri ricordi, a cercare una spiegazione alla vostra presenza qui.» La fitta al petto cessò, mi guardai intorno e vidi le anime toccarsi parti del corpo diverse: la testa, lo stomaco, gli occhi, le orecchie; in preda a un dolore simile al mio. “Cosa significa?”. «Ma io sento il mio cuore battere… io respiro!» una ragazza dai capelli più chiari dei miei si fece avanti, toccandosi il petto e cercando di far capire a quegli esseri che si stavano sbagliando. Zachary andò verso di lei, facendosi strada tra le anime. «Credi davvero di respirare? Senti davvero il tuo cuore battere?» le mise una mano sul petto, e all’improvviso la donna scattò all’indietro. Quello che prima pensava fosse battito cardiaco, si era improvvisamente arrestato. Una consapevolezza, triste come quel posto, si fece strada in ognuno di noi. Non sentivamo più nessun meccanismo all’interno del nostro petto. L’aria non filtrava più dal nostro naso. Tutto ciò che era rimasto del nostro lato umano, era spirato con quelle parole dure e fredde come il respiro di Gregory che vegliava su di noi. «Molti di voi sono qui da tanto tempo» disse Gabriel, cercando di mettere ordine nel vociare scaturito da quella consapevolezza
23 «vogliamo ricordare a tutti che questo è solo un luogo temporaneo, un passaggio obbligatorio per chi non riesce a proseguire liberamente. Non dovete mettere le radici qui, o diverrete parte integrante di questo mondo.» Quelle parole mi fecero pensare ai tre che avevo incontrato al mio arrivo. I loro abiti e i loro volti facevano capire che dovevano trovarsi bloccati in Purgatorio da moltissimo tempo. Avevano avuto paura di Gregory quando si era materializzato davanti a noi. Perché? Zarina parlò di nuovo: «Gregory riceverà ognuno di voi uno alla volta, a partire da adesso, affinché possiate ricordare qualcosa del vostro passato e iniziare a lavorare sulla vostra vita e sul perché vi trovate qui. Non sarà facile, il Corvo non sarà gentile con voi. Vi metterà di fronte a una realtà difficile da accettare…» abbassò lo sguardo per un istante, come se avesse la mente persa in chissà quali luoghi «tenetevi stretti i vostri ricordi e cercate di perdonare voi stessi per ciò che avete fatto… solo così potrete lasciare questo posto.» Gli altri guardiani e ninfe si avvicinarono ai loro compagni, guardandoci per bene, prima di dividerci in gruppi. Io non potei fare altro che seguire i loro voleri, cercando di farmi forza. «Tu» disse un guardiano indicando l’uomo anziano che aveva parlato all’inizio «andrai tu da Gregory per primo. La tua anima mi sembra ben disposta» gli diede una leggera pacca sulla spalla e lo condusse verso un albero. Poi, come ci fosse una tenda accanto al tronco, squarciò l’aria e aprì un passaggio di nuvole grigie e cerulee. Piccoli mugolii di stupore si levarono dalla folla. L’uomo attraversò il passaggio e, proprio come una tenda, questo si richiuse, mostrandoci nuovamente il bosco e il mezzo tronco dell’albero. Mi sentii improvvisamente stanca, senza capire perché. Mi lasciai cadere su una roccia fredda ricoperta di muschio, e attesi in silenzio che fosse il mio turno. Dopo quelli che sembrarono pochissimi istanti, una ninfa ci annunciò che l’uomo aveva trovato la pace e il suo viaggio era iniziato. Qualcuno rise, altri batterono le mani. Mi ricordo gli applausi, e adesso ricordo anche a che servono. Era il turno di qualcun altro. Poi toccò a un altro, e un altro ancora. Una muta disperazione si fece spazio in me man mano che il tempo passava.
24 Molti di quelli che attraversavano il passaggio, ritornavano poco dopo terrorizzati e disperati. Io ebbi paura, non sapendo cosa aspettarmi. Mi guardai intorno e, in mezzo a quasi cento anime, mi sentii incredibilmente sola.
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CAPITOLO 5
Il mio sguardo vagava oltre le chiome degli alberi, errando nel tempo come se potessi percepire lo scorrere dei granelli in quella clessidra che aveva cominciato a rovesciare sabbia a mio sfavore. Più tempo passava, più perdevo contatto con quello che ero stata. Il mio nome era Jane, solo Jane. Ed ero morta. Questo era tutto ciò che sapevo. Il freddo mi attanagliava le ossa e ogni volta che tentavo di ricordare, il dolore al petto mi rammentava che avevo una faccenda in sospeso, un devastante tormento da espiare. Una colpa dunque? “Di certo non può trattarsi di un peccato capitale, altrimenti sarei circondata da ben altri colori e temperature”. Quando giunse il mio turno, due guardiani mi aiutarono a rialzarmi e farmi riprendere coscienza della realtà. «È il tuo turno, Jane» sussurrò Zafira, concedendomi uno strano sorriso. Era naturale che conoscesse il mio nome. Loro sapevano. Loro sentivano. Loro avrebbero potuto sbloccare il nostro stallo in qualunque momento. Ma non era compito loro. «Gregory ti sta aspettando» mi disse, spronandomi ad andare avanti. I miei passi erano incerti, barcollai fino all’albero e Zarina scostò l’invisibile tenda che separava quel bosco dal trono del Corvo. Quando la ninfa aprì il passaggio, vidi nitidamente davanti ai miei occhi un paesaggio del tutto diverso da quello visto fino a quel momento. Nuvole cerulee e grigie, come avevo intravisto prima, si disperdevano a perdita d’occhio ai lati di quello che sembrava un sentiero fatto di… qual era la parola esatta? Tappeto? Sì, sembrava un tappeto rosso. Quel colore. Ricordo quel colore. Rosso. Rosso come… «Coraggio, muoviti!» Gabriel, accanto a Zarina, mi diede una spinta e il passaggio si richiuse alle mie spalle. Avanzai di un passo, guardandomi intorno stupita e con una sensazione nuova. Mi sentivo calma.
26 Un lieve sorriso piegò le mie labbra. Era un sole quello? No, ma non faceva più freddo. Il terreno non era ricoperto di foglie morte e rami spezzati. Le nuvole soffici sembravano avvolgere tutto in un abbraccio, ma c’era dell’altro. Dopo pochi istanti una leggera brezza spazzò via le nuvole e il paesaggio mutò ancora, mostrandomi una sorta di stanza fatta di mattoni del colore della pietra grezza. C’erano delle colonne ai lati della grande sala, la luce era soffusa, creata da fiaccole che ardevano nella parte superiore delle pareti. Davanti a me una breve scalinata conduceva a un grande trono nero, la cui testiera sembrava abbracciata dalle ali di un uccello nero; solo guardando meglio notai un corvo enorme appollaiato sulla spalliera appuntita, che mi guardava come per studiarmi, trafiggendomi con i suoi occhi gialli. Il freddo tornò, distolsi lo sguardo dal corvo e osservai la stanza. Alla mia sinistra, molto più in là rispetto al trono, c’era un grande letto a baldacchino, con drappi di un bordeaux elegante, in tinta con la coperta adagiata sul letto. Vidi anche un mobile con… con i cassetti. Sì, ricordo anche quelli. Il… pavimento della zona letto non era di pietra ma di legno rossiccio, mogano? Sì, mogano. Sopra la cassettiera c’era uno specchio. Uno specchio… ricordo gli specchi. Avanzai stupita verso quell’ovale perfetto che rimandava un’immagine che capii era il mio viso. Capelli color del grano incorniciavano un volto pallido ma giovane e aggraziato. I miei occhi marroni mi scrutavano grandi. Quanti anni avevo? Mi avvicinai allo specchio e osservai più da vicino la mia immagine. I miei occhi, le mie labbra, il mio naso e i miei capelli. Sì, ero io. Lo sapevo, mi riconoscevo. Riconobbi anche la figura che arrivò alle mie spalle, riflessa attraverso lo specchio. Mi voltai di scatto. Era Gregory. «Ciao, Jane» cercò di sorridere gentile. Non riuscii a dire niente. Lo guardai a lungo, aspettando che fosse lui a parlare. Mi indicò lo specchio alle mie spalle. «Ti riconosci?» mi chiese, scrutando il mio viso con i suoi occhi gialli. «Sì» annuì felice.
27 «Chi sei tu?» divenne serio e il suo sorriso si spense, i suoi occhi si accesero. «Io… mi chiamo Jane» di questo ero certa. «Jane e poi?» “Che vuole dire?”. «Ricordi i cognomi?» Sì, li ricordavo. Si accompagnavano al nome, dovevo averne uno anch’io. «Io… io…» abbassai lo sguardo nel tentativo di ricordare. Il dolore al cuore me lo impedì. Lui se ne accorse. «Perché sei qui, Jane?» Tornai a guardarlo negli occhi, erano fuoco puro. «Perché sono morta» mi arresi a quell’evidenza, cercando di prendere tempo, ma lui non aveva voglia di fare quei giochetti. Aveva un’eternità di anime da gestire e governare. Rise di gusto, una risata spettrale che mi diede i brividi. «Mi sei sempre piaciuta, Jane. Sono egoista nel dirti che non vedevo l’ora di conoscerti…» Quelle parole mi lasciarono basita. Mi guardò a lungo, mordendosi leggermente le labbra come se dovesse impedirsi di parlare, poi si allontanò da me e andò verso un mobile accanto al letto. Un comodino. Prese un oggetto da lì e me lo mostrò. Qualcosa dentro di me si sbloccò e lo guardai con occhi sgranati. «Un libro!» dissi sconvolta. Mi era bastato vederlo per ricordarmi dei libri. «Sì, esatto. E cosa ti fa pensare?» chiese ancora, tamburellando debolmente con le dita contro il libro, venendo di nuovo verso di me. Guardai il libro, scuotendo impercettibilmente la testa. I libri. Le sue mani giocavano con il libro, passandoselo da una mano all’altra. Improvvisamente capii. «Avevo dei libri in mano» dissi con la voce ridotta a un sussurro. Lui annuì e sorrise amaramente, come se fosse dispiaciuto per la mia sorte. «Perché?» mi chiese. Non lo sapevo. Non ancora. Cercai di sforzarmi ma provavo dolore al petto.
28 «Sentilo, Jane… senti il dolore» sussurrò mettendomi una mano sul petto. Il dolore era forte, come mai prima di quel momento. Urlai e tentai di divincolarmi, ma non potevo muovermi. Mi stava toccando appena, ma era come se mi stesse uccidendo di nuovo. «Concentrati sul dolore. Abbraccialo» continuò a sussurrare, gli occhi gialli accesi mi perforavano il cuore. «Ti prego basta!» urlai, tentando di togliere la sua mano dal mio cuore. Mi afferrò con entrambe le mani e mi fece voltare verso lo specchio. «Guardati!» urlò con voce cavernosa «guardati e ricorda! Perché i libri?» Guardai lui riflesso nello specchio, alle mie spalle, poi il libro che aveva in mano. D’un tratto il mio sguardo si perse in una visione. *** 11 maggio, 2023 La sveglia suonò presto quella mattina di giovedì. In realtà ero già sveglia, ma indugiavo sotto le lenzuola lasciando che il dolce tepore primaverile mi toccasse il viso, filtrando attraverso la finestra della mia stanza in affitto. Era una bella giornata, lo sapevo. Mi misi a sedere sul letto e guardai il cellulare, sul comodino accanto a me, con un sorriso. Presto tutto sarebbe finito e avrei cominciato una nuova vita. Mi alzai e andai a farmi una doccia, preparandomi a quella giornata. Mi vestii con abiti leggeri, faceva già caldo, ma quella mattina in particolare una dolce brezza d’aria fredda aveva abbracciato la città, quindi optai per una maglietta a maniche lunghe, a righe bianche e nere, come piaceva a me, e un paio di jeans leggeri. Le mie immancabili scarpe da ginnastica. Niente giacca. Mi truccai leggermente, come sempre, senza esagerare. Afferrai la borsa e uscii di casa, facendo attenzione a non svegliare Rosy, la mia coinquilina che condivideva l’appartamento con me dormendo nell’altra stanza. Avevo completato tutti gli esami da un po’, e avevo da tempo iniziato a scrivere la tesi, entro un mese mi sarei laureata in architettura.
29 Ero felice, giovane, bella, quasi dottoressa e tutta la vita davanti. Cosa potevo desiderare di più? Prima di recarmi in ufficio dal relatore, passai in biblioteca per ritirare i testi che mi aveva consigliato il giorno prima, cercando di combattere contro il vento che mi scompigliava i capelli. «Ehi Jane, sei venuta presto stamattina.» Marisol, la bibliotecaria portoricana con cui avevo fatto amicizia durante tutti i miei anni di studio, mi sorrise cordiale, alzandosi per prendere gli occhiali dalla mensola su cui li aveva lasciati. «Ehi Marisol, sì. Ho un appuntamento con Crawford stamattina e non volevo fare tardi» le porsi il post-it rosa, un po’ stropicciato, su cui erano appuntati i titoli dei testi da ritirare «mi servono questi libri e se non mi metto subito sotto, chi lo sente quello» ridacchiai. «Hai scelto proprio un bel tipo con cui scrivere la tesi, tesoro. Qualcosa mi dice che sei davvero masochista» mi fece l’occhiolino, complice. «Sai com’è, non è che avessi molta scelta. Voglio laurearmi a giugno e a settembre provare a entrare nella ditta di costruzioni che mi ha suggerito mio padre. Crawford era l’unico disponibile per questo semestre.» «Oh, hai dei bei progettini a quanto pare.» Marisol era piacevolmente sorpresa. Aveva quarant’anni e lavorava lì da tanto tempo per capire quando una studentessa faceva sul serio o usava l’università solo come parcheggio in attesa di qualcosa di meglio. «Ehi, ho ventiquattro anni, non posso certo marcire qui dentro in eterno» le sorrisi, sentendomi già “vecchia” per il mondo del lavoro. «Sono certa che andrai alla grande» sorrise, poi si alzò e andò verso gli scaffali per cercare i libri. Un rumore metallico ci fece sobbalzare e guardare fuori attraverso le finestre della biblioteca. «Mio Dio» dissi, guardando il cassonetto della spazzatura riversarsi a terra a causa del vento. «Accidenti a questo dannato vento» commentò Marisol scuotendo la testa «ci spazzerà via tutti.» Sparì tra gli scaffali, lasciandomi lì a contemplare foglie, piatti di carta e contenitori vuoti di cibo d’asporto che turbinavano senza sosta.
30 Guardai fuori con distacco e disinteresse. Non m’importava del vento, che avesse pure spazzato via il mondo. Io ero felice e niente e nessuno avrebbe guastato la mia felicità. «Ecco qui, tesoro» Marisol poggiò sul bancone della reception i cinque, pesanti, libri e compilò i moduli prima di farmeli firmare con nome e cognome: Jane Logan. «Grazie» dissi distrattamente, prendendoli con un certo sforzo. «Aspetta, dovrei avere una busta nella borsa» disse lei, notando la difficoltà con cui cercavo di gestire il carico e la borsa. «No, lascia stare, non è necessario. Sono già in ritardo e devo scappare.» Marisol mi guardò preoccupata. «Ma sei sicura? Lasciati accompagnare da José, ha la macchina qui fuori» indicò il giardiniere – suo marito – seduto sul muretto esterno, che aveva abbandonato momentaneamente la cura del giardino, dato che il vento gli avrebbe rovinato il lavoro. «Non è necessario, non disturbare José a causa mia. Anzi, salutamelo. Io devo scappare!» senza attendere repliche e ulteriori proteste da parte sua, uscii dalla biblioteca. Le parole di Marisol accompagnarono la mia uscita: «Stai attenta!» Quando misi piede fuori dall’edificio, i capelli mi svolazzarono davanti agli occhi. “Avrei dovuto legarli” pensai, rimproverandomi di non aver fatto la treccia anche quella mattina. Diedi una rapida occhiata all’orologio che portavo al polso: era tardi, Crawford si sarebbe arrabbiato. Attraversai svelta la strada, con quel pesante carico da portare, passandolo da un braccio all’altro, cercando di scostarmi i capelli dal viso, mentre procedevo con la mente invasa da mille pensieri sulla tesi, le mie ricerche, i miei progetti e… Attraversai ancora la strada, dirigendomi verso le strisce pedonali, e i capelli mi finirono davanti agli occhi. La visuale mi si oscurò. Non vidi niente prima di sentire il forte, ripetuto e prolungato, rumore del clacson. «Attenta!» gridò qualcuno. Quando vidi la grossa Range Rover venirmi addosso, era troppo tardi. Un dolore lancinante. Il rumore del clacson. Poi il buio.
31 *** Riemersi ansimante da quella visione. Gregory mi fece voltare di nuovo. Mi accarezzava il viso, asciugava le lacrime dai miei occhi, mi teneva stretta a sé. «Jane» diceva cercando di farmi riprendere «va tutto bene, Jane.» «No…» scossi la testa devastata dal dolore di quel ricordo. «Sì… guardami» i suoi occhi s’inchiodarono ai miei. Mi persi nelle sue iridi gialle e il pianto cessò, così come il ricordo. Lo stavo perdendo di nuovo. «Jane» la sua voce divenne nuovamente cupa, gli occhi brillarono «chi sei tu?» mi chiese per farmi ripetere quanto avevo visto. «Mi chiamo Jane Logan» dissi. «Continua.» «Mi chiamo Jane Logan e sono morta investita da un’auto.» Gregory sorrise, scostandomi una ciocca di capelli dal viso. «Com’è successo?» chiese preoccupato. «Stavo attraversando la strada. C’era vento, i capelli mi coprivano gli occhi. Avevo dei libri in mano» guardai il libro poggiato sul mobile dietro di me «avevo dei libri in mano…» «Sì, Jane.» Il dolore al cuore si fece risentire. Mi piegai portandomi una mano al petto. Lui mi teneva per le braccia. «Perché provi dolore?» mi chiese d’un tratto. «Non lo so!» urlai frustrata. Gregory sorrise. «La strada è lunga, Jane. Devi ricordare» mi trascinò di peso verso il portale, e prima di lasciarmi andare mi disse: «Ripeti sempre la tua storia, non devi dimenticarla. Affronta le prove dei guardiani e ricorda… devi ricordare, Jane.» Lo guardai scuotendo la testa senza capire. «Cosa? Che altro c’è? Cosa devo ricordare? Che diavolo ci faccio io qui?!» urlai frustrata. Gregory increspò le labbra in un sorriso cinico, il suo sguardo mi trafisse. «Non sono io il diavolo.»
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CAPITOLO 6
Il mio nome è Jane Logan. Sono morta a causa di un incidente stradale. Avevo dei libri in mano, stavo uscendo dalla biblioteca e mi stavo recando a un appuntamento con il mio professore per la tesi. Avevo ventiquattro anni. Stavo per laurearmi. Ero felice. Da quando Gregory mi aveva scaraventata nuovamente nel bosco, i guardiani mi avevano condotta in un luogo diverso. Una sorta di radura, con erba più o meno rigogliosa e strane costruzioni in pietra. Mi spiegarono che era lì che soggiornavano le anime tormentate, in attesa di recuperare i ricordi e purificarsi. Tutto era successo in pochi istanti per me, ma Zarina mi disse che erano passate settimane da quando ero arrivata, volendo ragionare in termini terrestri. Dunque ero lì da settimane? Mio Dio. In quel posto il tempo davvero non aveva misura. La radura era circondata da ninfe e guardiani, Zarina mi spiegò che erano lì per assicurarsi che le anime non varcassero i confini per cercare di andare da Gregory a supplicarlo per un’assoluzione prematura. Quindi lui aveva quel potere. «Non pensarci nemmeno, dolcezza» mi disse lei, intuendo i miei pensieri «con Gregory non si scherza, lo capirai molto presto.» Iniziai a vagare senza meta, solo per osservare quel luogo e studiare quella che sarebbe stata la mia casa per il prossimo futuro. Un futuro che, mi auguravo, sarebbe stato breve. I miei ricordi sugli oggetti, i luoghi e alcuni eventi del passato, si erano sbloccati durante la visione avuta con lo specchio di Gregory. Dovevo rammentare, rammentare sempre, ma adesso tutto cominciava a delinearsi più chiaramente davanti ai miei occhi. Quel luogo era ambiguo. Non era come avevo studiato a scuola, da ragazzina. Adesso lo ricordavo. Le insegnanti ci avevano parlato di uno scrittore italiano che molto tempo prima, circa nel 1300, aveva scritto
33 un libro, chiamato “Divina commedia”. Aveva raccontato di un viaggio in mondi ultraterreni, passando per i tre regni: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Grazie a lui tutti, più o meno, avevano finito per identificare quei luoghi nel modo descritto dal poeta. Ma quel Limbo, il mio Limbo, era diverso. Il principe del Purgatorio era un essere tormentato, oscuro e spietato, non un angelo. Voleva che le anime provassero dolore, che ricordassero e che affrontassero traumi e ricordi del passato. Si trasformava in corvo, ma non sapevo ancora il perché. Il luogo, poi, non era la spiaggia descritta da Dante. Io mi ero risvegliata in un bosco malato, popolato da creature malvagie, pronte a farmi del male. Persino gli alberi attendevano di espiare i loro peccati e ritrovare di nuovo la pace. Avevo incontrato guardiani con metà corpo da uomo e metà da animale. E poi c’erano loro. Mi ricordai dei tre che avevo incontrato al mio arrivo. Uno di loro si chiamava Samuel, così lo aveva chiamato Gregory. Chi erano e che fine avevano fatto? Camminavo da un po’, sentendomi osservata. Mi dissi che in quel luogo sarei stata sempre osservata. Gli occhi di Gregory erano puntati sulle anime che ospitava. I guardiani, poi, vegliavano su tutti, assicurandosi di averci sempre sotto controllo. Camminai ancora, giungendo quasi in prossimità di una delle strutture di pietra. Avevano una forma strana, una sorta di cupola. Guardai all’interno di essa e non riuscii a distinguere nulla. Poi una voce mi fece voltare di scatto. «Sei ancora qui» erano di nuovo loro, i tre che mi avevano “accolta”. La donna mi guardava con aria divertita, quasi felice del fatto che la mia anima fosse ancora bloccata lì e non avesse trovato la pace dopo il mio unico incontro con il Corvo. «E pensare che avrei scommesso su di te» disse Samuel, l’adulto del trio. Tentava in tutti i modi di sembrare indifferente e distaccato, ma il suo sorriso cinico malcelava il dispiacere che provava per me, era perfettamente chiaro. «Che vuoi dire?» chiesi facendo un cenno verso di lui. In circostanze normali il mio cuore avrebbe accelerato il suo battito, ma da quel punto
34 di vista mi ero ormai arresa. Il mio cuore, adesso lo percepivo con chiarezza, non batteva più. «Dico che guardandoti in viso avrei giurato che avresti abbandonato questo posto al tuo primo incontro con il Corvo. Invece eccoti ancora qui. A vagare senza meta nella radura, come una comunissima anima in pena» rise, senza gioia. Alla sua ilarità si unirono gli altri due. «Lasciala stare, Sam. È una povera ragazzina spaventata, anche se…» il ragazzo sprezzante, il più giovane dei tre, si avvicinò a me e mi accarezzò il viso, ma non come aveva fatto Gregory, il suo gesto era più mellifluo, più ambiguo «qualcosa mi dice che darai del filo da torcere al Corvo…» lasciò la frase sospesa, senza spiegarsi, senza spiegarmi. Che intendeva dire? «Non dire sciocchezze, Enzo. Gregory se la mangia a colazione una ragazzina come lei» la donna si avvicinò a me, squadrandomi da capo a piedi, come aveva fatto durante il nostro primo incontro, un’ora o un’eternità fa. «Di certo lei non è all’altezza di sfidarlo» sussurrò con disprezzo. Lo sguardo velato di rabbia e una speranza, disillusa tante di quelle volte, che aveva ceduto il posto alla rassegnazione. «Sfidarlo?» chiesi senza capire «perché mai dovrei sfidare Gregory?» «Per ottenere l’assoluzione, dolcezza» spiegò Enzo «come avrai già sentito da Zarina, sono in molti a supplicarlo di mettere fine a questo tormento, ma lui non cede mai. Sono pochi quelli che tengono duro…» D’un tratto capii. Loro sembravano essere lì da moltissimo tempo. Con me facevano i superbi e gli spacconi, ma quando Gregory era venuto a prendermi al mio arrivo, avevano chinato il capo in segno di sottomissione, mostrando timore per lui. Non erano riusciti a espiare i loro tormenti e cercavano invano di convincere Gregory a lasciarli liberi. «Allora è questo che è successo a voi» dissi guardandoli tutti e tre «state cercando di convincere Gregory a lasciarvi andare.» Si guardarono tra di loro, divertiti dalla mia deduzione. «Non credere che sia così facile. Se ci siamo ridotti a tormentare le novelline come te c’è un motivo. Lui non vuole sentire ragioni» spiegò la donna. «Prima o poi capitolerà, Samara. Vedrai che riusciremo a ottenere la libertà» la rassicurò Samuel.
35 «Forse con una mano in più, potremmo riuscirci» disse Enzo pensieroso, più rivolto ai suoi amici che a me. «Stai scherzando, vero?» chiese sconvolta Samara, guardando prima lui poi me «vorresti coinvolgerla? Ma l’hai vista? Non riuscirà mai a sostenere un incarico simile. Gregory non è uno stupido, vedi di ricordarlo.» «Di che state parlando?» domandai infuriata da quelle insinuazioni sul mio conto, come se non fossi presente. «Enzo vorrebbe che tu entrassi a far parte del nostro piccolo club di rinnegati» ridacchiò Samuel. «È un’idea folle, e tu lo sai» Samara gli puntò contro un indice, parlando duramente «ce la vedi a cacciare le anime per farsi le ossa prima di affrontare Gregory?» Cacciare le anime? Ma di che stavano parlando? Li guardai preoccupata e feci un passo indietro, come per voler scappare da loro. Un rametto si spezzò sotto le mie scarpe e i loro sguardi si concentrarono nuovamente su di me. «Ecco, visto?» disse Samara indicandomi «ha troppa paura, non ce la farebbe mai. Solo che adesso non possiamo permettere che tu vada in giro a piagnucolare su quanto hai sentito…» senza nemmeno terminare la frase, estrasse dalla sua faretra una freccia che mi puntò addosso. «Lasciala stare, Samara» Enzo cercò di dissuaderla, mettendole una mano sul braccio «così lo farai solo arrabbiare» capii che si stava riferendo a Gregory. «Cosa vuoi che importi ormai?» la voce della donna era carica di rabbia. Io li guardai a lungo, allarmata. Che intenzioni avevano? Senza pormi ulteriori domande mi voltai e presi a scappare. «Scappa pure quanto vuoi» ridacchiò la donna prima di scoccare la freccia che mi sfiorò la testa. Repressi un grido, mi voltai verso di loro e li vidi scattare al mio inseguimento. «Andrà dritta da Zarina, maledizione! Coraggio, prendiamola!» gridò Enzo.
36 Aumentai l’andatura e scappai nella direzione da cui ero venuta, sperando di trovare uno dei guardiani o magari proprio Zarina, che si era dimostrata più gentile nei miei confronti. Non c’era nessuno però. Come accidenti era possibile? Samara scoccò un’altra freccia che stavolta mi colpì una spalla, facendomi gridare di dolore. Mi arrestai, guardando la punta conficcata nella carne che aveva preso a sanguinare. “Non può essere” scossi la testa incredula. Ero morta ma potevo provare dolore e sanguinare. Un’altra freccia mi sfiorò una guancia e, senza indugiare ancora, ripresi la mia fuga. «Sei fortunata che la mira di Samuel sia così misera» ridacchiò Samara, scoccando un’altra freccia nella mia direzione. La mira della ragazza invece era buona, e la freccia si conficcò nella mia gamba. Urlai ancora, arrestandomi in prossimità di un albero e coprendomi dalla pioggia di frecce che mi colpì subito dopo, una dopo l’altra, tre per ognuno di loro. «Che cosa volete da me?» urlai con la voce contorta dal dolore, mentre mi tiravo via con forza le frecce dalla spalla e dalla gamba. Sentii la donna ridere e subito dopo tendere nuovamente il suo arco, imitata dagli altri due. «Fa parte del gioco, Jane. Questo è parte del tormento che ti spetta finché non troverai i tuoi ricordi» spiegò Samuel con voce divertita «Gregory non ci vieta di prendercela con le anime, come farebbe qualsiasi principe di questo regno. Secondo lui rafforza le vostre motivazioni, vi sprona a recuperare la memoria ed espiare le vostre colpe il più in fretta possibile. Così che non mettiate radici in questo luogo.» Mi voltai leggermente, cercando di vedere i tre alle mie spalle e notai Enzo abbassare lo sguardo e scuotere leggermente la testa, come se non fosse d’accordo con quello che stavano facendo. Una freccia mi colpì a un fianco scoperto. Urlai in modo disperato, accasciandomi a terra. Sapevo che non sarei morta, ma quel dolore era davvero insopportabile. «Non ci ascolta quando lo supplichiamo di lasciarci andare» la voce di Samara sembrava davvero vicina.
37 Mi alzai a fatica e, tenendomi il fianco destro, mi addentrai in un luogo della radura cosparso di alberi. «Dice che svolgiamo un compito fondamentale per il Limbo» continuò a parlare come se niente fosse «dice che gli evitiamo compiti sgradevoli che altrimenti dovrebbe compiere lui stesso il più delle volte. Ma quando poi tocca a noi confrontarci con lui…» la sua voce s’incrinò tingendosi di rabbia «ci ripaga causandoci dolore e sofferenza, perché non vogliamo ricordare le nostre vite e le nostre colpe… quindi siamo bloccati qui.» Non riuscii più a camminare e mi lasciai cadere dietro una grossa roccia vicino a una zona oscura. Tolsi la mano dal fianco, era sporca di sangue e ne perdevo ancora. Quanto avrei potuto perderne? Quanto sarei potuta andare avanti? Estrassi la freccia dal fianco, impedendomi di urlare o avrei rivelato la mia posizione ai tre rinnegati. Mi rigirai la freccia tra le mani, osservando la punta e la parte piumata. Era di buona fattura, anche se non ne capivo molto. Di certo era un lavoro dettato dall’esperienza e dal tempo avuto a loro disposizione. Un senso di rabbia m’invase. Non potevo scappare all’infinito, lo sapevano anche loro. Quel mondo, per quanto vasto e misterioso, aveva pur sempre dei limiti. Ignorando il dolore, mi alzai e mi voltai. Erano a pochi passi da me, io stringevo la freccia con la mano talmente forte che le nocche mi diventarono bianche. Samara e gli altri due mi guardarono e sorrisero. Senza dire una sola parola, lei estrasse un’altra freccia puntandola verso di me. Non le diedi il tempo di scoccarla perché usai quella che avevo in mano, gettandola con forza verso di lei. Le si conficcò in un braccio e l’arco le cadde dalle mani. Samara urlò e i due uomini mi guardarono sconvolti. «Non posso crederci!» disse lei digrignando i denti per il dolore, il sangue che colava lungo tutto il braccio «che tu sia maledetta, te ne pentirai amaramente!» urlò al mio indirizzo, facendo cenno ai due di venirmi a prendere. Non ebbero tempo di raggiungermi però, perché un terribile pianto accompagnò l’arrivo del Corvo. Si materializzò alle mie spalle e mi portò via da lì, facendomi svanire insieme a lui.
38 I rinnegati guardarono la scena svuotati di ogni emozione e di ogni parola. &/E Ed WZ/D ͘ ŽŶƚŝŶƵĂ͘͘͘
INDICE
PROLOGO.................................................................................... 7 CAPITOLO 1 ................................................................................ 9 CAPITOLO 2 .............................................................................. 12 CAPITOLO 3 .............................................................................. 16 CAPITOLO 4 .............................................................................. 20 CAPITOLO 5 .............................................................................. 24 CAPITOLO 6 .............................................................................. 31 CAPITOLO 7 .............................................................................. 37 CAPITOLO 8 .............................................................................. 47 CAPITOLO 9 .............................................................................. 54 CAPITOLO 10 ............................................................................ 63 CAPITOLO 11 ............................................................................ 68 CAPITOLO 12 ............................................................................ 74 CAPITOLO 13 ............................................................................ 83
CAPITOLO 14 ............................................................................ 91 CAPITOLO 15 ............................................................................ 96 CAPITOLO 16 .......................................................................... 104 CAPITOLO 17 .......................................................................... 110 CAPITOLO 18 .......................................................................... 114 CAPITOLO 19 .......................................................................... 132 CAPITOLO 20 .......................................................................... 136 CAPITOLO 21 .......................................................................... 148 CAPITOLO 22 .......................................................................... 152 CAPITOLO 23 .......................................................................... 157 NOTA DELL’AUTRICE & RINGRAZIAMENTI .................. 165
AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com
Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.
AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2021) www.0111edizioni.com
Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.