ALESSANDRO CIRILLO
IL TEMPO DEGLI UOMINI MORTI
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Serie BIG‐C Grandi Caratteri, lettura facilitata IL TEMPO DEGLI UOMINI MORTI Copyright © 2013 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-680-6 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione fEBBRAIO 2014 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova
Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale
Al figlio che diventerà padre
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DISTENSIO ANIMI Una settimana prima di Pasqua mi viene consegnato dal corriere un pacco giallo avvolto in una carta antica e gros‐ solana, lacerato e invecchiato. Lo tengo in mano per qual‐ che istante. Lo peso, lo annuso. Guardo i timbri e mi chie‐ do se chi ha spedito il pacco abbia veramente pensato a me. Poi leggo una scritta scolorita: Zio Agostino. Per un attimo torno alla mia adolescenza, alla vacanza a Milano. Ho la terribile età in cui non si è più bambini e non si è an‐ cora uomini. Mi annoio a morte buttato su quei divani di pelle verde. A un certo punto mi presentano un ragazzo che dicono essere mio zio. È la mia via di fuga dall’inferno familiare. Mi porta allo stadio a vedere Milan‐Juventus. Arriviamo in Metro e ci sediamo sui seggiolini nuovi del Meazza. Io par‐ lo poco, lui per niente. É alto, biondo e fuma da figo con la sigaretta che scivola verso il basso. Mi offre un tiro, rifiu‐ to. Ho quattordici anni e un autocontrollo da sistemare.
6 Lui mi colpisce sulla nuca e guardandomi con l'autorità di un maestro mi ammonisce: «Se non provi come fai a dire che ti fa schifo?». Lo reputo un pessimo elemento a cui i miei pessimi genitori mi hanno incautamente affidato. Poi un tipo grosso come un bue bestemmia contro la Madon‐ na. Zio Agostino si gira di scatto, gli spegne la cicca sulla fronte e lo stende. Mi prende la mano e scappiamo via, mentre Casiraghi segna una grandissima rete al volo. Mi confessa di odiare i bestemmiatori e che prima di allora non aveva mai picchiato nessuno in vita sua. Gli credo. Mangiamo merendine e snack in uno squallido posto die‐ tro allo stadio. Diventiamo amici, di penna. Lui mi parla di cose assurde e, per rispondere a tono, devo iniziare a leg‐ gere libri di filosofia e a guardare film lentissimi e introva‐ bili. È un gioco per me, cerco di rispettare le regole, as‐ surde. Per lui è una responsabilità, perché ha preso a cuo‐ re la mia situazione. Ci mandiamo almeno una dozzina di lettere sulle interpretazioni del Castello di Kafka e per po‐ co non mi porta a Praga per convincermi della sua tesi. Viene assunto da un'agenzia pubblicitaria. Si definisce creatore, unico genio tra centinaia di falsi creativi. È la mente ispiratrice delle più importanti campagne pubblici‐ tarie dell'Italia della Seconda Repubblica. Diventa il ghost
7 writer di qualche politico milanese di primo piano da cui riceve somme generose che non fiaccano la sua tracotan‐ za. Quando compio diciotto anni, si presenta sotto casa mia a bordo di una spider rossa in compagnia di due mo‐ delle mozzafiato. Mi fa salire mentre le due principesse scendono e mi accarezzano il viso tirandomi delicatamen‐ te le orecchie. Andiamo sull'autostrada oltre il limite con‐ sentito, ascoltando Until the end of the world a un volume esagerato. Improvvisamente si butta sul sedile posteriore e grida: adesso tocca a te. Gli rispondo che non ho la pa‐ tente ma lui canticchia tranquillo a piedi all'aria. Sono di‐ sperato, consapevole che lui non mi aiuterà. Mi metto alla guida del mezzo e mi ritrovo fermo sulla carreggiata di emergenza. «Da oggi non lasciare ad altri il privilegio di condurre la tua vita!» mi dice schiaffeggiandomi sulla guancia. Per anni parlerà al mondo con le sue pubblicità e la gente ripeterà ossessivamente i suoi slogan senza sa‐ pere nulla di lui. Fabbrica soldi in continuazione e vorreb‐ be aiutarmi con gli studi, come un padrino. Preferisco ri‐ manere dalle mie parti e lo perdo di vista. Forse avrei do‐ vuto accettare i suoi soldi, l’ho mortificato. Il nuovo millennio lo manda in crisi. È stufo di dirigere gente, di licenziare collaboratori piagnucoloni, di caricare
8 le molle di un mondo decadente. È fuori controllo. Si ritira in campagna e cambia vita. Lavora la terra e coltiva in modo biologico frutta e verdura. Mi manda una sua foto vestito da apicoltore con una frase di William Golding che ricordo ancora: “gli uomini producono il male come le api producono miele”. Zio Agostino è tormentato dalla ricerca del significato dell’esistenza. La natura, la bella natura sa‐ rebbe dovuta diventare il suo paradiso. Ma la ciclicità con‐ tadina in cui si è rinchiuso diviene insopportabilmente in‐ fantile. Sente di doversi muovere verso qualcosa di più grande. Vende tutte le sue proprietà e viaggia alla ricerca del respiro del mondo. Mi manda una serie di foto im‐ pressionanti: Chiapas, Tokio, Africa Nera, Nuova Caledo‐ nia. Visita i templi e i musei più importanti del mondo, fa‐ cendo risuonare all’infinito un'unica domanda: perché vi‐ vere? In pochi istanti sembra smaterializzarsi e ricomporsi nelle città sacre, nei parchi naturali, nei bordelli più infimi alla disperata ricerca di una parola vera, definitiva. L'ulti‐ ma lettera me la manda da un eremo in cui si è ritirato de‐ finitivamente, ma di cui non conosco la posizione. Forse è già morto o è chiuso in una camera d’albergo in attesa di spararsi. Chiude le sue ultime raccomandazioni con poche parole che mi lasciano pensare il peggio: stanco, riposo.
9 Poi arriva questo pacco giallo. Lo apro. All'interno un ma‐ noscritto e un biglietto, ricavato da una metallica scatola di biscotti: Di questo libro la parte non scritta è più importante della parte scritta. Ma senza la parte scritta non puoi accedere alla parte non scritta. Leggo e rileggo quest’opera per conoscerlo, per conosce‐ re. Questi racconti sono preceduti da una strana rilettura del libro della Genesi che sembra prepararci al tema di fondo dell’opera. Ho deciso di pubblicare il testo per pura gratitudine, ricordando il bene ricevuto dai miei maestri.
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IL TEMPO DEGLI UOMINI MORTI L’uscita dell’uomo da uno stato di santità La luce penetrava nel giardino donando vita, portava a compimento il suo agire, cercando di non offendere oltre misura l’oscurità. La divisione iniziale era stata netta eppure mantenevano entrambe uno struggente desiderio di tornare insieme: avevano nostalgia della totalità, del totalmente altro. I fiumi scorrevano maestosi con la forza irrefrenabile della purezza armonizzante. Innumerevoli soli bruciavano raggianti nel cielo, scaldando con amore una terra che germogliava feconda le sue primizie. Gruppi di uccelli cangianti si rincorrevano allegramente nei frutteti,
salmeggiando
alla
natura
con
gioia
incommensurabile. Era il giorno che precedeva la notte. L’uomo camminava felice in mezzo a un prato, sfiorando con le dita i fiori profumati che non conoscevano tristezza. Nei suoi movimenti circolari esaltava la perfezione di chi l’aveva desiderato. Aveva imparato a riconoscere la sua presenza ed esultava innocente
11 quando si mostrava alla sua vista. L’uomo non era mai solo. La donna era sempre con lui. Il loro amore era nella verità e li legava incessantemente. Anche nell’assenza fisica erano una cosa sola. L’uomo si trovava alle cascate e la donna cantava vicino alle grotte, eppure rimanevano sempre insieme, conoscevano i reciproci pensieri e li condividevano apertamente senza proferir parola. Vivevano la beatitudine. Si cercavano nella dimensione dell’amore di chi li aveva desiderati. La loro unione fisica completava la comunione ontologica. Erano uno pur essendo due, perché si corrispondevano pienamente. Così li aveva voluti il Creatore: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. Gli animali non conoscevano la morte e si moltiplicavano per esaltare la bellezza del giardino. Servivano l’uomo con sottomissione, addomesticati da una mano che non incuteva loro timore. In un momento imprecisato accadde che la muta del serpente non si dischiuse: l’uomo cercò invano di forzarla per rianimare la bestia. Non poté fare nulla: non apparve il luminoso vestito, non apparvero le squame iridescenti. Un sonno incomprensibile colpì la bestia. L’uomo prese il corpo del rettile e, con l’aiuto della donna, lo depose con compassione sotto le pietre, dove il
12 rettile era solito godere della luce. L’uomo andò via, preoccupato di visitare gli altri animali che riposano per cambiare la pelle. Non capiva cosa fosse successo al serpente e temeva di perdere altre creature. Lungo la strada che lo separava dal bosco dei letarghi, incontrò inaspettatamente il serpente, dritto davanti a lui come un angelo di luce. «Cosa ti è accaduto? Come sei arrivato qui prima di me?» chiese l’uomo. «Ho visto la grande luce e ho scoperto una cosa che non conosci» rispose il serpente. «Sei diverso, hai uno sguardo che non ti appartiene». «Cosa ci appartiene uomo? Cosa abbiamo scelto in questo luogo, noi che abitiamo qui dall’eternità del tutto inconsapevoli del nostro destino?». «Non comprendo le tue parole» rispose l’uomo, provando sentimenti a lui sconosciuti. «Da dove vieni? Chi sei uomo? Cosa fai qui?» lo interrogò l’angelo di luce. «Sono stato voluto dal Creatore e vivo in questo giardino felice insieme alla donna». «Lo so e sei anche un bravo custode, ma dimmi, in questo fai la tua volontà o cerchi solamente di essere gradito a
13 colui che ti ha messo in questo giardino?» riprese il serpente. «La nostra volontà è la volontà di chi ci ha desiderato» affermò l’uomo con decisione. «Dici bene. Però non sei ancora pronto. Volevo farti conoscere la verità, ma tu non puoi separarti da chi ami. Se la donna che ami ti aprisse le porte della conoscenza, soltanto allora potresti diventare ciò per cui sei stato creato» concluse il serpente allontanandosi da lui. L’uomo si sentì stanco, appesantito dalla fatica di chi combatte mille battaglie, e si addormentò lasciando sola la donna al suo destino. Il serpente arrivò vicino alla donna soltanto dopo aver appesantito il cuore dell’uomo con il dubbio. Anche lei era stanca ma non dormiva, vegliava sul corpo assopito del marito, con l’amore di cui è capace soltanto una donna. «È vero che voi non potete mangiare di nessun albero presente nel giardino?» chiese il serpente con voce suadente. «Noi possiamo mangiare di tutti gli alberi del giardino. Solamente dell’albero che è nel mezzo non possiamo coglierne i frutti. Qualora ne mangiassimo, moriremmo certamente» rispose la donna.
14 «Non è vero. Non morireste ma conoscereste la verità, diventereste uguali a chi conosce il bene e il male». Il serpente era astuto e riuscì a trascinare dolcemente la donna nel centro del giardino. L’albero nel centro del giardino era piccolo e possedeva un unico frutto nascosto in un cuore di foglie dorate. Il serpente mosse le foglie e scoprì il frutto proibito. La donna lo guardò attentamente e lo desiderò in un modo in cui non aveva desiderato mai nemmeno suo marito. Chinò devotamente le sue ginocchia e quel piccolo morso mellifluo scatenò i sette spiriti del male. La sua innocenza veniva meno. Cresceva in lei la disobbedienza e un nuovo sentimento, la paura. Il giardino apparve alla donna improvvisamente deformato, il luogo meraviglioso della comunione diventava un posto nauseabondo e angosciante. Il serpente era scomparso beffardamente sotto le pietre. La donna era sola e guardava il suo corpo disprezzando quelle forme improvvisamente brutte e imperfette. Non sopportava più la sua carne. Decise così di andare a cercare la compagnia dell’uomo per sopprimere quella angoscia. Arrivò da lui mentre era ancora addormentato. Desiderava ardentemente di recuperare l’intimità con il creato, la pace che sentiva perduta. Si mise sopra di lui e
15 lo obbligò a unirsi a lei. Risvegliato dal sonno, l’uomo era confuso e inspiegabilmente affamato, ricevette il frutto dalla donna e lo mangiò con voracità. Si ricordò delle parole del serpente e iniziò a disprezzare nel suo cuore il creatore, sicuramente invidioso di quella nuova libertà, a loro inspiegabilmente preclusa. L’uomo e la donna non si guardavano più negli occhi e continuarono ad accoppiarsi come avevano visto fare negli animali, mossi da un vuoto insaziabile. Poi udirono il Creatore che passeggiava nel giardino ed ebbero entrambi paura. «Uomo dove sei?». «Ho udito i tuoi passi e ho avuto paura. Mi sono nascosto perché sono nudo» rispose l’uomo agitato. «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo ordinato di non mangiare?». L’uomo allora prese per i capelli sua moglie e la buttò violentemente per terra alla presenza del Creatore. «Questa donna che mi hai messo accanto mi ha ingannato, mi ha dato il frutto dell’albero e io ne ho mangiato». «Donna cosa hai fatto?». La donna stringeva nella mano la metà rimanente del frutto, con l’ansia di chi deve proteggere un tesoro
16 prezioso dai suoi nemici. Alzò lo sguardo e con tono deciso disse: «Il serpente mi ha ingannata». I sette spiriti del male entrarono così nel giardino, esiliando i loro custodi nel mondo della solitudine. Da quel giorno tutti gli uomini sono schiacciati dal peso degli anni, nella misura in cui si sono rinnegati. La fatica che chiude gli occhi la sera, il decadimento fisico, la morte di un amico malato, anticipano la grande scoperta che alcuni riescono eventualmente a raggiungere in un lampo improvviso: il tempo è la frattura di un’esistenza che cerca un significato unitario. Si cerca invano di tenere insieme, di legare, vite pavide e dissolute, disprezzate e rassegnate, false e vincenti nelle molteplici situazioni della storia, nell’unica reale situazione. La discordia del regno rivela la fragilità del sovrano che ha smarrito l’unicità del suo privilegio. Il tempo degli uomini morti, l’uscita dell’uomo da uno stato di santità.
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INVERSIONE L'empio si vanta delle sue brame, l'avaro maledice, disprezza Dio (Salmo 9) Prima di mezzanotte o forse subito dopo, Hisham, sacerdote di Ut della Città del Sole, ebbe un'illuminazione. Per salvare la vita di suo figlio, del suo unico figlio afflitto dalla progeria, avrebbe dovuto fermare il tempo. Ma un uomo non può fermare il tempo, al massimo può contenerlo, limitarlo, sublimarlo. Il passato sembra appartenerci più del futuro, o forse vorremmo addormentarci con questa consolazione, dimenticando che quello che sarà, dopo poco sarà stato. Nell'intervallo di un incontro diventiamo una corda sottesa tra il ricordo e l'attesa, inequivocabilmente sconfitti da una clessidra che svuota amaramente i nostri giorni e riempie con solerzia la sacca della nostra fine. Ancora più meschina è la sorte di chi vede involontariamente il dramma dell'esistenza accelerato in
18 modo grottesco e misterioso. Maledetta e inumana l'esperienza del padre che vede sfiorire i giorni del figlio amato nella morsa di una vecchiaia anticipata. Esser colti dall'improvvisa morte di un giovane è una sventura lancinante. Scoprire di affiancare un bimbetto di dieci anni nella degenerazione dei suoi anni è un anatema indecifrabile. È la bestemmia del tempo. La progeria rende anziano anticipatamente chi non dovrebbe esserlo. Già nel primo anno il bimbo accusa i sintomi di un'evoluzione insana: non cresce. Guardandolo, i genitori si augurano di aver partorito un nano, un piccolo uomo, non un piccolo vecchio. Stringendolo tra le braccia non si nota l'entusiasmo solito di chi vede la vita continuare ma la delusione di chi tocca la senile pelle aggrinzita invece delle tenere carni di un lattante. Anche l'assenza di peluria è desolante e la testina glabra precorre mestamente la calvizie. Accarezzando la nuca si avrebbe la sensazione di tenere tra le mani un piccolo teschio. Non c'è speranza nel futuro. Il piccolo non migliorerà con la crescita, anzi. I suoi coetanei correranno sui prati, canteranno le canzoncine insegnate dal loro maestro, si apriranno con entusiasmo e curiosità alla vita. Lui, se è fortunato, avvertirà la sfinitezza dei suoi muscoli inutili.
19 Seduto nella sua immobilità si sforzerà di distinguere le sagome dei suoi amici mentre giocano, vecchio e cieco ma adolescente. La sua demenza senile a malapena gli consentirà di riconoscere i volti piangenti dei suoi genitori. La progeria non è una malattia moderna ma ormai tristemente conosciuta. Il bambino di Hisham era nato circa dieci anni prima in una notte di luna piena: all'età di cinque anni aveva pochi capelli già nevosi, un viso rugoso e una testa spropositata. Negli ultimi mesi era peggiorato, non riusciva quasi più a camminare e aveva perso dieci denti. Suo padre era consapevole che presto sarebbe morto. E non poteva accettarlo. Ai suoi occhi il destino lo aveva derubato di una ricchezza inestimabile, in modo ingiustificato. Quel figlio era stato concepito in modo miracoloso. Sua moglie soffriva di un male all'utero e non poteva generare. Quel bambino era venuto al mondo come una benedizione. O forse come una maledizione. Dal suo punto di vista, non era un problema di vita o di morte, ma di esistenza degna di essere vissuta. Se avesse fermato il tempo avrebbe salvato la vita di suo figlio e l'onore della sua casa. I suoi avi
avevano
procreato
generosamente,
ma
sfortunatamente la linea dinastica rischiava di esaurirsi. La
20 sua posizione sociale risentiva di quella sterile generazione, le chiacchiere s’inseguivano nella Città del Sole ma da bravo professionista celava le presunte colpe del figlio nella saggezza del padre. Quel giorno Hisham si era occupato della preparazione funebre di due ricchi defunti. Aveva impiegato parecchio tempo a infilare l'uncino ricurvo nel naso di un grasso cadavere, forse occluso da una precedente frattura. Con abilità straordinaria aveva frantumato gli ostacoli della cavità nasale senza procurare nessun danno al volto dell'uomo. Era risalito fino alla lamina cribosa con la pazienza del beduino, spingendo e raschiando le parti bucherellate delle terminazioni olfattive. Poi si era fatto largo nel tentorio del cervelletto, sminuzzando il lembo della dura madre con un sapiente gioco di polso. L'estrazione dei primi tessuti appiccicosi avvenne senza troppi problemi. Quando arrivò a colpire l'angolo smusso si accorse invece che il cervello dell'uomo era probabilmente
affetto
da
qualche
patologia
degenerativa. Pensò allora di utilizzare l'uncino a spirale che aveva inventato mesi prima per asportare il cervello del primo coppiere del faraone. Lo infilò nell'altra narice e, con grande soddisfazione, bucò la cavità cranica con la
21 perizia di un trivellatore. Lasciò l'incombenza di risucchiare i liquidi al suo servitore e sistemò tutto il materiale melmoso in una piccola anfora dorata. Con estrema cura. Insieme iniziarono a lavare il corpo con vino di palma, olio e mirra. Il defunto era pronto per essere disidratato, sistemato nella quarantena di sale. Povero Hisham. Conosceva il modo di preparare i corpi per il viaggio ultraterreno ma non sapeva controllare il tempo. Hisham era stanco e sedette su una pietra, assorto nei pensieri, passando un telo di lino sul volto scavato dagli anni. Si vide davanti la vita che trascorreva tra atroci ingiustizie, angustiata dai capricci delle caste superiori che fino all'ultimo tentano di resistere alla morte. Tutto gli sembrò vano. In particolare le preghiere che dovevano raggiungere la pietà degli dei apparivano inutili. Il suo unico figlio Zeyd era morente. Perché morire? Come era possibile affrancarsi dalla paura di dover soccombere come le altre bestie? Perché doveva presentire la morte in ogni sguardo rivolto a suo figlio? Non riusciva a trovare risposte e la sua convinzione di essere vittima di un umbratile inganno lo rendeva sempre più solo. Avrebbe voluto chiedere un parere al suo antico maestro, il saggio amico e consigliere, ma molti suoi
22 compagni ridevano di suo figlio, del vecchio bambino e condannavano la sua sorte: pensavano che quella mostruosità era la punizione che le divinità avevano inflitto ad Hisham per la sua malvagità e per la sua tracotanza. Lo accusavano di prendersi gioco dei rituali tebani, della vecchia religione come della nuova. Era un uomo senza dio, perciò dio si era dimenticato di lui. Ma tutti lo temevano per la sua una profonda conoscenza del libro dei morti e degli antichi testi. Eppure la magia era per lui utile soltanto per la sezione dei corpi. Svolgeva la sua professione con estrema cura e abilità. Uno scienziato a servizio dei rituali religiosi. Era riuscito perfino a inventare nuovi strumenti di lavoro come l'uncino a spirale e la piccola pompa a pressione. I sacerdoti di Ut nutrivano anche del rancore nei suoi confronti. Hisham aveva infatti rotto il segreto omertoso dei mummificatori, denunciando alcuni necrofili. I sacerdoti di Ut si lasciavano spesso andare ad accoppiamenti impuri con i corpi da ripulire, in modo ingiustificato. Alcuni credevano di poter controllare le anime dei morti e arrivare al cospetto di Osiride. Altri lo facevano in modo perverso. L’empietà dilagava nella casta dei sacerdoti ma erano troppo potenti per essere fermati. Hisham li denunciò alle
23 autorità più vicine al faraone e da quel momento la schiera dei suoi nemici divenne numerosa. Di tanto in tanto si ritirava nel deserto in solitudine o alla ricerca di pietre taglienti, soprattutto di ossidiana. Pochi sacerdoti erano in grado di creare arnesi con le pietre dure: bisognava
unire
abilità
manuali
e
conoscenze
mineralogiche che la maggior parte dei suoi colleghi trascurava. La grande curiosità intellettiva aveva reso Hisham capace di tutto. Spariva e ricompariva senza dare spiegazioni in cerca di oggetti o di risposte. Ma non è possibile trovare risposte alle domande sbagliate, non è possibile credere contro ogni speranza. Hisham andò via nella notte dell'illuminazione e corse verso il suo villaggio per capire come fermare il tempo. Sua moglie e suo figlio lo aspettavano a casa, ma il medico di Ut aveva cose più importanti da fare che stare seduto di fronte alla pentola della zuppa. Dopo circa due ore di cammino si riposò sotto una palma, allungando gli arti doloranti. Iniziò a studiare la volta celeste elaborando i calcoli astronomici del calendario siderale. Aveva compreso che una stella era solita passare per lo stesso punto a seconda del mutamento delle stagioni. Hisham era attratto dalla puntualità degli astri e cercava di
24 scorgere nella muta notte oscura un segno del loro segreto. L'uomo è solito guardare il cielo quando la terra è avara di risposte. Ma le stelle ci guardano con tristezza, mute nel loro silenzio, incapaci di mettersi in relazione con noi. Non possono svelarci i piani degli dei. Quaggiù non resta che sopravvivere allo scorrere degli anni, magari conservando gelosamente quello che di buono si è ricevuto. Anche il fluire del Nilo, lento e costante come il respiro del mondo, era diventato un'ossessione per il sacerdote di Ut. Gli uomini avevano costruito degli argini per bloccare il passaggio delle acque e impiegare la piena per irrigare le terre con il limo. Soltanto dopo la saturazione della terra, i canali attigui disperdevano le acque reflue, arricchendo luoghi altrimenti aridi. Hisham avrebbe voluto applicare quella tecnica fluviale al cielo per regolare l'andamento delle stelle. Così facendo avrebbe bloccato il tempo. Non capiva però come poter modificare il ciclo astrale. Lui, così piccolo, sulla terra. Sapeva che le preghiere o i sacrifici non avrebbero intenerito le capricciose divinità egizie. Se voleva salvare la vita del suo unico figlio, doveva andare a cercare il significato profondo del mutamento e non confidare
25 nelle litanie nubiane. Il cambiamento segna la nostra esistenza ma non siamo in grado di determinarlo. Quando non si è più bambini? In quale ora, in quale giorno, in quale anno? E se un bambino è già vecchio quando smetterà di essere vecchio e diventerà bambino? Lo diventerà mai? Ci preoccupiamo di non assomigliare a chi ci ha preceduto ma fatalmente commettiamo sempre gli stessi errori. Riproponiamo all'infinito lo schema insoddisfacente della nostra incompiutezza. Tutta la nostra vita è spesa per raggiungere il fallimento iniziale dei nostri genitori: non amiamo i nostri figli perché non li preserviamo dallo scorrere del tempo. Cambiamo per non accettare la verità sulla nostra vita. Ogni momento moriamo inesorabilmente. E non l'accettiamo. Quanto più la fine si avvicina, tanto più ci avvinghiamo avidamente al tempo che rimane. Hisham aveva compreso di dovere fermare il tempo ma non aveva ancora scoperto come risolvere l’arcano. Incrociò all'ingresso del suo villaggio il vecchio Ruben, un ebreo rimasto in Egitto dopo il grande esodo. Lo fissò negli occhi, con l’angoscia dell’uomo smarrito. Il figlio di Abramo iniziò a cantare un antico brano sulla fedeltà dell'Onnipotente,
che
dura
di
generazione
in
26 generazione. Il tempo non è degli uomini, il tempo è del Santo. Hisham rimase con lui tre giorni e tre notti. Alla fine comprese che la sapienza di Ruben non gli era utile. In quel preciso istante si chiuse in se stesso, preservando gelosamente il suo tempo. Le chiacchiere, i ragionamenti, le preghiere del mondo dilapidavano la ricchezza delle ore. Hisham diventò avaro, avaro di tempo. Tornò a casa sua e non si mostrò a suo figlio, nel timore di potersi perdere nelle lacrime. Come fermarsi ad accarezzare quel vecchio bambino, come perdere le energie da dedicare alla cura di Zeyd? Fuggì dalla sua famiglia in nome della sua missione, a fin di bene. Ma a volte i buoni propositi ci conducono inesorabilmente verso la fine. Hisham morì prima di suo figlio e solo apparentemente continuò a cercare il modo per fermare il tempo. Scelse di non avvicinare più nessuno, rinunciò al cibo, al sonno. Non parlò più con anima viva. Diventò un’anima dannata e il suo tormento divenne il suo piacere. Scavò per se stesso una fossa di distruzione. Tornò nel suo laboratorio. I suoi strumenti erano sul tavolo operatorio in attesa di perforare le carni degli illusi dormienti. Non c'era nessuna vita ultraterrena. Hisham credeva nella forza della medicina, della scienza. Se il corpo dell'uomo era curabile,
27 era vivo. Se il corpo dell'uomo non era curabile, era morto. Sarebbe precipitato nel nulla e lì sarebbe rimasto per l'eternità. Hishan doveva salvare Zeyd prima della sua morte. Doveva fermare il tempo prima che Zeyd spegnesse il soffio delle sue ore. Sua moglie arrivò nel laboratorio avvertita dagli altri sacerdoti di Ut. Le avevano riferito che Hisham era impazzito e dava segni di squilibrio. La donna non capiva la sua inquietudine, la sua ossessione. Prese per mano suo marito, come solo una moglie sa fare, e gli ricordò la storia del loro amore, della loro giovinezza. Hisham sembrò tranquillizzarsi e stava per tornare a casa con lei quando la donna gli parlò di suo figlio Zeyd, di come era stato bravo a non farsi i bisogni addosso. Hisham divenne improvvisamente furente e iniziò a inveire contro di lei, a maltrattarla. Sarebbe dovuto essere orgoglioso di un bambino di dieci anni che non si piscia nella tunica? No. Comprese che avrebbe dovuto aiutare suo figlio a non precipitare nel nulla e forse a farlo diventare immortale. Rimandò sua moglie a casa e l'obbligò a stare sempre con Zeyd mentre lui cercava una soluzione. Una soluzione per l'intero universo. E così cacciò tutti i suoi aiutanti dalla stanza. Rimase solo con tre corpi da sistemare per il viaggio verso
28 l'aldilà. Di giorno lavorava sui corpi dei defunti, incidendo le loro carni e svuotando le loro interiora. Di notte meditava e rifletteva sullo scorrere del tempo. Iniziò a osservare le larve delle cicale, segno inequivocabile della vita che muore e rinasce, questi insetti che cambiano la loro forma per un miglioramento evolutivo e per i quali la morte è una rinascita. Hisham restava ore ad aspettare l'uscita della neanide. Preventivamente raccoglieva il liquido che sgorgava dalla muta prima del sopraggiungere del nuovo cuticolo. Aveva provato a mischiare il liquido con l'aloe per ottenere quella che chiamò l'essenza del mutamento. Mise il composto sopra la testa di un morto, nella speranza di notare qualche effetto. Nulla. I morti rimanevano morti. Prese allora una gallina che produceva giornalmente uova e applicò il composto impedendole l'estro. Il volatile morì due giorni dopo. La parete dietro il tavolo dei defunti era completamente larvata e rifletteva l'angoscia impotente di Hisham. Si stava abbrutendo dietro l'estrazione dei succhi delle larve. Aveva ancora bisogno di tempo. Più per lui che per suo figlio. Erano passati sei mesi dalla notte dell'illuminazione. Zeyd era morto ma suo padre continuava a cercare una soluzione, lavorava in modo ossessivo.
29 Un genitore ossessionato si chiude negli impegni quotidiani, in nome del benessere dei figli. Ma è solo egoismo, soliloquio, cupidigia. L'avaro non mette al sicuro soltanto i preziosi ma quello che ha di più prezioso. Quando sua moglie gli riferì del sonno eterno di suo figlio, Hisham non mostrò nessuna emozione. La poverina dovette ricorrere al suo maestro per dare al corpo del vecchio bambino una degna sepoltura. Fu una cerimonia funebre semplice e toccante. Le persone, che per anni li avevano scherniti, si erano raccolte intorno al corpo misterioso di Zeyd, quasi adorando un dio sconosciuto. Hisham era lontano, nel suo piccolo tempio, ripetendo i suoi calcoli e le sue teorie. Non mangiava più, era diventato uno scheletro. I suoi collaboratori vennero scacciati come mosche fastidiose. Non poteva concedersi distrazioni. Dopo circa tre anni arrivò la notizia della morte di sua moglie, per una banale febbre, curabile in pochi giorni da qualsiasi sacerdote di Ut. La sera in cui apprese di essere vedovo, ribaltò il tavolo su cui era solito lavorare e iniziò a inveire contro una clessidra che aveva sistemato nel centro della stanza adibita alla scansione delle ore. Era distrutto, non tanto dalla fatica quanto dalla sorte avversa. Solo, in un laboratorio pieno di vermi e di
30 piante maledette, immerso in ricordi sbiaditi e in attese mal poste. Cosa avrebbe dovuto fare del tempo accumulato, del tempo rubato ai suoi cari, alla sua carriera, alla sua vita? Decise di uccidersi. Lo fece nell'unico modo permesso a un sacerdote di Ut. Si rinchiuse in un sarcofago con due aspidi. Morì come un ladro, nascosto ermeticamente nel dolore. La sua ultima immagine: si vide in braccio a suo figlio, vecchio e stanco, mentre Anubis cercava di cavare il suo cuore dal petto. Il dio lo estrasse con cura e lo mise sulla bilancia. Sull’altro piatto atterrò una piuma. Hisham chiuse gli occhi per l’eternità. Colpevole.
Fine anteprima. Continua... Disponibile anche in ebook a 4,99 euro da marzo-aprile 2014