In uscita il /1 /20 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine RWWREUH e inizio GLFHPEUH 2020 ( ,99 euro)
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MATTEO CAFFETTANI
IMMAGINA DI ESSERE VIVO
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ IMMAGINA DI ESSERE VIVO Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-420-5 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Ottobre 2020
Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a luoghi o persone esistenti o a fatti realmente accaduti ha esclusivamente lo scopo di conferire veridicità alla narrazione.
“I ricordi ti riscaldano dall’interno. Ma possono anche lacerarti” (Kafka sulla spiaggia, Haruki Murakami)
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PROLOGO
Cambogia, oggi Quel lavoro gli fa schifo. Spera che questa sia una delle ultime volte. La chiatta rallenta. Il cambogiano al timone sputa in acqua. L’occidentale guarda il cielo. Non si è mai abituato a quel lattiginoso muro che sembra cadere da un momento all’altro. “Se accadesse”, pensa mentre si accende una sigaretta di pessima qualità “sarebbe una colata nel marrone del Mekong, anche se in quella zona il fiume tende al grigio”. Il villaggio galleggiante sul Tonle Sap. Un luogo dove fiume, lago e cielo si fondono, un posto assurdo abitato da poveracci che vivono su barchette da due soldi. Sono tutti poveri lì. Forse ancora di più che nel resto del Paese. A Phnom Pehn, la capitale, almeno ci sono parvenze di civiltà. Qui invece, dove ha preso la chiatta, un villaggio di bambini che camminano scalzi tra i rifiuti, di donne che buttano l’acqua sporca nel fiume, di palafitte di legno marcio che affondano nella melma. Di serpenti che mutano e lasciano la pelle sulla terra rossa. Lì, la terra è la strada, l’asfalto un lusso. Il timoniere accosta presso una barchetta blu, la loro meta. Accenna un sorriso sdentato e fa un cenno con la testa. L’occidentale mette il cappello di paglia e scende. Quello che trova dentro la baracca galleggiante non lo sorprende, è come ha già visto tante volte. Nella penombra senza luce elettrica ci sono quattro persone, ma non è escluso che un neonato o un bambino poco più grande sia nascosto da qualche parte. L’occidentale non parla, non ne ha bisogno. Tutti sanno già tutto lì. L’affare è praticamente fatto. Il suo compito è solo dare una specie di ratifica e far capire a quei poveracci che potranno tirare avanti un altro po’ in quell’assurdità di abitazione. Una donna, la moglie dell’uomo rintanato in un angolo, si sposta per farlo passare. Ha la bruttezza tipica di quelle che la vita ha condannato a
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sembrare sempre più vecchie di quello che sono. In realtà, non avrà più di venticinque anni. L’uomo fa un passo verso l’occidentale. Trema ed è madido di sudore. Nella baracca c’è puzza di legno marcio e di pesce. Le prime volte gli veniva da vomitare. Ora non più, ora non sente più gli odori, tutta la merda che ha trovato in Cambogia, la sporcizia, lo schifo morale e materiale, le puttane bambine, gli approfittatori di vario genere, i truffatori senza patria, niente lo tocca più. Neanche la situazione di quella gente che vede ora per la prima e unica volta. Neanche il fisico minuto del capofamiglia. Avrà trent’anni al massimo. Sempre senza parlare, l’occidentale lancia un’occhiata alla moglie, che sparisce nell’ombra di un angolo della baracca, e poi al marito. Quell’uomo forse ha la febbre, ma a lui non interessa. Il suo mestiere ormai è fare dei cenni alle persone e assicurarsi che queste rispondano. In quel genere di commercio le parole non servono, le parole non fanno altro che aumentare il rischio. Perciò fa un cenno anche a lui, e l’uomo risponde. Anche lui non parla. L’occidentale esce dalla baracca. Il cambogiano lo seguirà poco dopo. Quando rientrerà, se tornerà, sarà una persona diversa.
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CAPITOLO 1
«È qui la festa? Non sento il tintinnio dei calici.» «Perché stiamo usando bicchieri di plastica, Commissario.» «Fottiti, Franchi. Non capisci mai il mio sottile umorismo.» Il Commissario Santoro parla a voce alta per sovrastare il brusìo in sala riunioni. Questura di Milano, via Fatebenefratelli. Sezione Prima Reati contro la Persona. Il Commissario Santoro abbraccia con lo sguardo i suoi uomini. Pensa che i colleghi siano come i parenti: non li puoi scegliere. Ma lui non ha di che lamentarsi. Ognuno ha i suoi difetti, tutti hanno le loro debolezze, ciascuno ha una zona d’ombra. Lo sanno loro, lo sa lui. Eppure nulla potrà togliergli la certezza che sono una squadra. Spesso vincente. Si lascia andare a un sorriso. Poi cerca lui, il festeggiato per interposta persona. Giordano Blasetti. Blasetti, sempre così schivo, ha voluto offrire un piccolo rinfresco perché la moglie è tornata alla vita. Dopo anni di assenza, di lutto mai elaborato per la perdita del loro unico figlio, ha finalmente accettato di tornare a suonare, da musicista professionista qual è. Sta parlando con un paio di agenti giovani. Quando incrocia lo sguardo di Santoro, molla il bicchiere in mano a uno dei due e avanza di un passo. «Sorridere mai, eh Giordano? Vedi che siamo a una festa che hai voluto tu, mica al tuo funerale. Non ancora.» «Commissario, chiamarla festa… sono solo due pasticcini e una bottiglia.» «È proprio quello che stavo pensando: che pidocchiosi questi vecchi poliziotti, e non mi chiamare Commissario.» Blasetti si lascia andare a un sorriso. Santoro gli fa l’occhiolino. Di Blasetti si fida più di se stesso, tante volte gli ha levato le castagne dal fuoco, e se l’ultima parte della sua vita lavorativa è stata segnata dalla
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morte dell’unico figlio, per fortuna in tempi recenti le cose sono un po’ migliorate. Blasetti non glielo ha mai confessato, ma il Commissario sa che, dopo il caso Bonavita, una luce è riapparsa sul suo volto. Nessuno pare abbia mai osato chiederglielo, neppure Simona Calabria, che Blasetti considera quasi come una figlia. Un agente si avvicina a Santoro: «Commissario, è arrivato quel tenente della Guardia di Finanza.» «Che due coglioni la Finanza.» Blasetti lo guarda mentre si dirige verso la porta. Poi una mano gli si posa sulla spalla. Potrebbe quasi riconoscere il tocco. Non è un energumeno della nuova leva. Senza voltarsi glielo dice: «Simona meno male che ogni tanto ti appoggi ancora a me.» Simona Calabria gli arriva davanti e gli schiocca un bacio in fronte, alzandosi sulle punte dei piedi. «Auguri Giordano.» «Guarda che non è il mio compleanno.» «Non fare lo scemo!» «Che ne so? L’usciere che mi ha visto arrivare con i pasticcini pensava che andassi in pensione.» «In quel caso non avrei saputo cosa dirti. Che ne so cosa si augura a uno che va in pensione, tanto io non ci arriverò mai.»
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CAPITOLO 2
Verderami dà un ultimo tiro e butta la sigaretta. Apre un altro bottone della camicia a quadri. È un settembre afoso, il caldo ancora non molla, è una lunghissima estate. Sono le sette di sera. Il sole sta tramontando, c’è poca luce, quel che basta per non farsi notare più di tanto. Almeno nel tragitto dalla macchina alla galleria. Per il resto, non può pretendere di essere invisibile, via Brera è pur sempre una zona frequentata, ma se il modo più sicuro di beccare quello stronzo di gallerista è andarlo a trovare proprio lì, nella sua tana, non può farci niente. Deve agire in fretta. Si guarda intorno e attraversa la strada. Per il momento sono solo lui e un paio di gatti. Qualche persona a decine di metri. Le saracinesche sono un po’ più in là, la zona delle gallerie d’arte invece non è frequentata come un supermercato. Mentre suona il campanello, lo vede attraverso la vetrina. Lo osserva mentre alza lo sguardo e socchiude un po’ gli occhi per scrutare nella penombra che c’è fuori. Mario Rossini Vitali attende ancora un momento, sembra sospettoso, poi preme il pulsante che fa scattare la porta. Verderami d’istinto mette mano alla Beretta che tiene sotto la giacca di pelle. Mentre spinge la pesante porta di vetro e metallo, sta già studiando il modo migliore di eliminare quel viscido.
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CAPITOLO 3
Pensare che era capitato lì per caso. A lui il signor Mario sta simpatico e pensa che la cosa sia reciproca. È un amico di suo padre, glielo ha fatto conoscere un po’ di tempo fa, non ricorda quanto fosse piccolo, ma ricorda bene che gli disse che lo portava a vedere delle cose meravigliose. Lì per lì i quadri e le statue che il signor Mario teneva nel suo ufficio, come lo chiama Zeta, non gli fecero una grande impressione. Più che altro lo colpì la quantità di roba che quel negozio conteneva, come la bottega di un inventore che aveva visto in un cartone animato. Lui, Zeta, capì subito che sarebbe tornato a far visita al signor Mario più e più volte. Con o senza suo padre o suo fratello. Zeta in realtà si chiama Alberto ma quello scemo di suo fratello, che vive in un mondo tutto suo, dice che arriva sempre per ultimo a capire le cose, e siccome suo fratello complica tutto, il modo più semplice secondo lui per esprimere questo concetto dell’arrivare ultimi è indicarlo con la zeta, la lettera dell’alfabeto che arriva ultima. Ora però non pensa a suo fratello, a suo padre o all’alfabeto. Ora Zeta si trova in una brutta situazione. Come tante altre volte, quel pomeriggio è venuto a far visita al signor Mario. Come spesso accade, quello strano uomo, né alto né basso, né magro né grasso, con due occhi piccolissimi dal colore per lui indefinibile, ma dotato di uno sguardo magnetico, aveva saputo catturare l’attenzione di Zeta. Non serve neanche che lui faccia le domande, Mario presenta subito le risposte. Uno sguardo a un quadro di uno sconosciuto artista moderno? Nessun problema: Mario inizia con una spiegazione a misura di bambino di dieci anni. Allora anche una linea rossa su fondo bianco può aprire l’accesso ad altri mondi. Per non parlare delle sculture, anche di forme spaventose, che a volte hanno popolato i suoi incubi. Che poi puntualmente riferisce a suo fratello, per scaricare su quel piccolo pazzo almeno un po’ della sua paura. Solo che proprio mentre Zeta stava per dirgli che se ne sarebbe andato, è suonato il campanello. Il signor Mario non aveva detto di aspettare visite
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e non ha mai visto un cliente arrivare proprio verso l’orario di chiusura. Senza dire niente, l’istinto gli ha suggerito di spostarsi verso il fondo del locale, dove tanti oggetti sono stipati. Per fortuna. Perché l’ultima cosa che vede è un tizio dall’aspetto cattivo, una giacca di pelle marrone, una camicia aperta sul petto, un paio di occhiali scuri anche se fuori è buio, un’aria da cattivo dei film, di quelli che ogni tanto ha bisogno di chiudere gli occhi per non vedere scene brutte. Il tizio cattivo sussurra qualcosa alle domande del signor Mario. Poi uno scatto, di qualcosa che si muove rapidamente. Subito il rumore di una sedia rovesciata. Il resto avviene come in un incubo. Zeta ansima, non riesce a controllare il respiro. La scena brutta da film è lì, a pochi metri da lui. Si trattiene a stento dal fare pipì sul tappeto del signor… Il signor Mario! Il signor Mario grida, appena prima che tre colpi – o saranno quattro o cinque? – rompano il silenzio ovattato della galleria. Poi un tonfo. Qualche passo. Zeta teme che i passi si dirigano verso di lui, e ha la fondata impressione che appartengano al tizio cattivo. Non può avermi visto. Trattenendo il cuore nel petto, che sta per esplodere, Zeta s’impone di restare calmo, mentre i passi si muovono con circospezione, quasi con delicatezza. È questione di un minuto al massimo, poi si sente lo scatto che apre la porta. Zeta ci pensa e ci ripensa: tra lui e l’uomo cattivo non c’era più di una sottile parete, un separé che divide la sala mostre dal retro della galleria, pieno di quadri, statue, scatoloni da imballaggio, riviste, libri, cianfrusaglie varie. In quel momento non ci sono le meraviglie che gli aveva promesso suo padre. In quel momento c’è solo il cadavere a pancia in su del signor Mario, con la camicia bianca che ora è rossa. Zeta trattiene un conato di vomito. Resiste. Pensa a come scappare da lì. Teme che andando in strada il killer possa essere ancora nei paraggi e che possa vederlo uscire. Allora si volta. Raccogliendo le ultime energie nervose, torna verso il retro della galleria. C’è un mucchio di roba, tutto tranne che una via d’uscita, posto che nemmeno il signor Mario gli ha mai detto che ce ne fosse una. Sta per abbandonare l’idea, è disposto a sfidare la sorte uscendo per strada
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Forse è meglio, così chiedo aiuto. D’un tratto c’è un particolare che colpisce la sua attenzione, qualcosa che non aveva mai notato perché forse era sempre coperto da altra roba. È un particolare che lo attrae, anche se non saprebbe spiegare perché. Non sa ancora che è la via d’uscita che stava cercando.
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CAPITOLO 4
In Questura i più se ne sono ormai andati, ognuno alle proprie occupazioni. La festicciola di Blasetti è terminata da un paio d’ore. Sono le nove di sera. Il Commissario Santoro è rimasto ad ascoltare le ragioni di un tenente della Finanza, che gli ha esposto per filo e per segno perché dovrebbe intercedere con il Procuratore per farsi autorizzare a utilizzare, a fini fiscali, le informazioni emerse nel corso di un procedimento penale. Santoro si è spazientito e gli ha risposto che lui si occupa di omicidi, non di dichiarazioni dei redditi, e che a quanto pare il tenente conosceva già la risposta: farsi autorizzare dalla Procura. Blasetti è rimasto un po’ a vivacchiare nel suo ufficio. La scrivania con sopra un dito di polvere, la luce sempre un po’ più fioca di quello che dovrebbe. Guarda fuori dalla finestra. L’unica visuale che gli è concessa è il cortile interno della Questura, una sorta di chiostro ma senza la poesia dei chiostri veri, quelli dei monasteri. Lì le uniche celle non sono per i monaci, ma per trattenere qualcuno che ha combinato qualcosa di brutto e, soprattutto, se si medita lo si fa su cose brutali, molto materiali. Gli sovviene che a volte, soprattutto nella fase più critica della sua vita, subito dopo la morte di suo figlio Sandro, il Commissario Santoro gli affibbiava vari appellativi, tra cui “il monaco”, imputandogli un ascetismo che solo lui vedeva. “Non è ascetico”, lo correggeva Franchi “è solo devastato”. “Lo so Franchi, non sono coglione”, rispondeva il Commissario “cerco solo di prenderlo un po’ in giro per non perderlo.” Non l’avrebbe perso, in effetti. Anche nei giorni più bui Blasetti non ha mai perso la testa, è sempre riuscito a mantenersi saldo sul lavoro. Anzi, forse è stata la sua ancora di salvezza. A volte ci pensa su e quasi se ne vergogna: gli omicidi mi hanno tenuto in vita. Chiude la finestra. Per essere fine settembre fa ancora davvero caldo. Raccoglie la giacca dalla sedia alla scrivania e si avvia verso la porta ma viene preceduto. L’agente Modica non bussa neanche. Dietro di lui c’è Santoro, che lo scavalca.
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«Giordano mi spiace rovinarti la festa, ma abbiamo un omicidio. Se non sapevi come occupare le prossime ore, dopo una festa così inebriante, ora sei servito.» Lui lascia ricadere la giacca direttamente sulla scrivania. «Di che si tratta?» «Uno che si occupava di arte. A Brera.» Santoro manda a chiamare Franchi. Sono le nove e mezza di sera. «Calabria dov’è?» chiede Blasetti. «Chiedilo a Franchi» risponde Santoro, con un sorriso, appena il collega entra. Franchi sbuffa. «Stasera dovrebbe essere a casa, con sua figlia.» «La farò chiamare. Anzi, no. Vi raggiungerà direttamente sul luogo del delitto. Arrivateci voi prima che quelli della scientifica la trasformino in una stazione spaziale.»
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CAPITOLO 5
L’odore della notte è già sceso sulla città. Nell’elegante Brera c’è solo silenzio, il traffico è un sottofondo ovattato, oltre l’incrocio con via Fatebenefratelli. Un cane le passa vicino mentre scende dalla sua auto, una donna si affaccia alla finestra. Gli agenti sono riusciti a tenere a bada i curiosi, c’è solo un capannello di irriducibili che tenta di affacciarsi sulla scena del crimine. Nell’aria c’è odore di fiori marci e di cannella. Simona Calabria chiude la giacchetta antivento, che ha indossato in fretta e furia appena Franchi le ha telefonato. Pensare che aveva un programma del tutto innocente: passare la serata con sua figlia Veronica, nove anni e nessuna voglia di andare a dormire. Poi la telefonata che la distoglie dalle Winx e da discorsi da piccole donne. Un omicidio a Brera. Un delitto nel cuore della Milano eclettica, ricca, aperta al mondo. L’agente che tiene a bada i curiosi alza il nastro bianco e rosso. Simona solleva lo sguardo, prima di entrare nel negozio. Come si chiama un posto del genere? Negozio? Galleria? Studio? Trappola per ricchi? Osserva l’insegna sopra la sua testa: “ROSSINI VITALI – ICONIC ART”. Ripromettendosi di approfondire il concetto di “Iconic art”, si lascia guidare da Franchi e dall’agente Russotti. La porta che si apre li introduce in una sala piuttosto ampia, illuminata da una fastidiosa luce diffusa, troppo chiara per i suoi gusti. Non ne indovina subito la fonte, poi capisce che arriva da numerosi minuscoli faretti incastonati sul soffitto, come tanti piccoli fori. Una lampada a piantana dietro il bancone di vetro getta un fascio di luce proprio sul motivo per cui sono lì: un uomo è riverso tra il bancone e il muro, prima di un breve corridoio che conduce sul retro del locale. Russotti alza il lenzuolo che copre il cadavere. Lei e Franchi si avvicinano, Simona s’inginocchia.
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«Mario Rossini Vitali, cinquantanove anni, titolare della galleria o comunque si definisca questo posto» spiega Franchi. Simona osserva il volto dell’uomo per cui la vita ora è solo un ricordo per i suoi cari. Capelli radi ma ancora neri, fronte alta, occhi cerulei, un naso importante, un accenno di barba bianca, la morte gli ha regalato un aspetto tutto sommato dignitoso, sembra quasi sereno. Peccato che la fronte abbia qualcosa che non va: un buco al centro, un grumo nerastro contornato di rosso. Simona scosta il lenzuolo macchiato all’altezza del petto. La camicia bianca è imbrattata di sangue. «Il medico legale cos’ha detto? Perché non è qui?» «Era qui fino a poco fa, non poteva aspettare noi che aspettavamo te, ha detto. Simpatico il dottor Manzella, eh?» Simona sospira. Manzella fa di tutto per rendersi sgradevole e non la mette mai a proprio agio. Per quanto si possa essere a proprio agio ascoltando uno che parla di cadaveri. Lei invece è sicura di sé, ora. Non ha più quella strana sensazione che s’impossessava di lei – e di cui si vergognava – alla vista dei morti ammazzati, quella che aveva capito essere una sorta di fascinazione per la morte, anzi, per la sua rappresentazione coreografica. Ne aveva parlato con Blasetti, con lui solo. Giordano, con il suo solito aplomb, le aveva detto che può capitare, che secondo lui era un meccanismo di difesa per non farsi travolgere dallo shock, lei che prima della Omicidi lavorava alla Stradale. Sarà, aveva risposto poco convinta. Un paio di volte era stata sul punto di parlarne con Franchi, ma nonostante col collega ci fosse stata una ben maggior intimità che con Blasetti, alla fine non se l’era sentita. Con Blasetti c’era un’intimità diversa. Franchi poteva essere stato amante, a un certo punto ci aveva pure creduto, Blasetti invece poteva essere padre, confessore, amico, a volte tutto questo insieme, a volte nessuna cosa, solo una tabula rasa che la risacca della disgrazia che gli aveva travolto la vita, risucchiava giù per i suoi bui meandri. Allora non ce n’era per nessuno, nemmeno per Simona, con buona pace dei suoi desideri di rassicurazione. «Comunque Manzella dice che a un primo esame ha trovato due colpi d’arma da fuoco di medio calibro al petto, uno ha centrato l’aorta, e un terzo colpo, “come potrete vedere”, ha detto, direttamente in fronte. Che per il resto…» «Bisogna attendere l’autopsia, sì lo so, dice sempre così quello, mi fa venire i nervi» dice Simona, rialzandosi.
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Franchi sorride. «Torniamo a noi. Che ne pensi? A me sa tanto di esecuzione.» «Chi ha trovato il corpo? Ma perché non c’è nessuno qui?» «Simona, calmati.» La prende per le spalle e la scuote. Franchi ha ragione. Cosa le prende? Perché è agitata? «L’ha trovato il fratello. È arrivato poco prima delle ventuno. Dice che non gli ha risposto al telefono, né al cellulare né al fisso di casa né al fisso della galleria… di qui. Siccome è un tipo che si preoccupa per niente, e dato che non abita molto lontano, è venuto a cercarlo. Stavolta la sua preoccupazione era fondata.» «Dov’è ora?» «In Questura.» Simona guarda Franchi strabuzzando gli occhi. «E noi che cazzo ci facciamo qui, anziché parlare con lui?» «Ti dice niente il concetto di scena del crimine? Pensavo volessi esaminarla prima della scientifica, mica te li ho regalati così tanto per fare, questi soprascarpe e questi guanti. Cosa ti dice il cervello Simona? Che hai stasera?» Calabria si allontana dal cadavere, fa due passi. «Hai ragione, scusa, non so cosa mi prende» tira su col naso, senza farsi vedere da Russotti «cos’è questo posto, Massimo? Che faceva ‘sto tizio?» «A quanto pare comprava e vendeva opere d’arte.» «Questo l’ho capito, intendo se aveva qualche giro strano. La porta non è stata forzata e l’omicidio puzza di esecuzione, come hai detto tu. Quindi il nostro commerciante di iconic art, che non so che cavolo sia, forse aveva qualcosa da nascondere. Magari il fratello potrà dirci qualcosa di utile. Da qualche parte dobbiamo pur partire.» «D’accordo, torniamo alla base. Tanto ormai qui non c’è più nulla da fare.» Franchi fa un cenno a Russotti, che a sua volta fa un fischio in direzione dell’agente che piantona l’entrata. «Aspetta. Finché siamo qui, diamo un’occhiata. Che c’è nel retro del locale?» Finora Simona ha visto quadri d’arte contemporanea che arredano le pareti, una piccola scultura di bronzo di un oggetto indefinito su un mobiletto in vetrina, una rappresentazione sacra dietro la scrivania. Una
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Madonna con bambino di dubbio gusto: la Madonna ha il volto di Marilyn Monroe. «Niente sul tavolo, solo una stilografica e un computer portatile che la scientifica analizzerà.» «Lascia perdere il tavolo, vieni con me.» Simona si avvia verso il retro del locale, aggirando una sedia rovesciata, che probabilmente la vittima ha fatto cadere nel tentativo di sfuggire al suo assassino. Forse indietreggiando l’ha travolta, o forse l’ha buttata giù cadendo dopo essere stato colpito. Un breve corridoio spoglio indirizza verso una seconda sala, più ampia della sala mostra, zeppa di mobili, quadri antichi, oggetti di design. Il contrasto tra l’ordine della sala mostra e la confusione del retrobottega è evidente. L’unica cosa che si staglia con nettezza, che è un po’ libera rispetto a tutto il resto, che ha un po’ di spazio davanti, è un quadro alto circa un metro e mezzo che ritrae una ragazzina. Simona non se ne intende molto, ma le sembra una cosa a metà tra un quadro di Hopper, con le figure in una luce stilizzata, e un quadro rinascimentale. Il volto della fanciulla è rubizzo, come se bevesse, le guance sono piene, gli occhi sono brillanti, ma il contorno è glaciale, asettico. «Massimo ma quest’uomo cosa trattava? Opere antiche o moderne?» «E che ne so?» «Voglio dire: davanti sembra che ci sia solo roba ultramoderna, mentre il retro sembra un negozio di antiquariato. Non capisco.» «Cosa ci sarebbe di strano? Forse trattava antico e moderno insieme. Andiamo, lo chiederemo direttamente al fratello. Prima che Santoro lo sbatta fuori, gli faremo noi qualche domanda.»
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CAPITOLO 6
«Santoro ha fatto le cose in grande: non ha lasciato che fossero altri a interrogare il fratello del morto, vuole essere presente. Questa storia dell’omicidio a Brera, a un tiro di schioppo da qui, gli brucia il culo.» «Secondo me gli scoccia il fatto che un assassino abbia deciso di mettersi al lavoro proprio il giorno della tua festa» risponde Franchi, accendendosi una sigaretta. Blasetti gliela toglie e se la mette in bocca. «Vai avanti tu. Sono nella saletta riunioni. Io arrivo. Dammi un minuto prima di buttarmi in questo mare di merda.» «Insomma lei, dottor Rossini Vitali… posso chiamarla solo Vitali, che facciamo prima? Se la chiamo Rossini mi viene in mente l’opera, e di conseguenza la mia ex moglie, che mi ci voleva portare a tutti i costi. Dunque, per non farmi travolgere dai cattivi ricordi la chiamerò Vitali. Dottor Vitali. Va bene?» Alfredo Rossini Vitali muove appena la testa in segno di accondiscendenza. Da quanto è entrato in Questura a stento ha detto qualche parola. Gli sembra di aver esaurito la dose, lui che non è certo un tipo taciturno, subito dopo aver riattaccato col 112. Appena trovato il corpo di Mario, ha estratto il fazzoletto a quadretti blu dal taschino, per ricacciare in gola il conato di vomito. Poi si è guardato intorno, disperatamente, nell’assurda convinzione che l’assassino fosse ancora lì, per far fuori anche lui. Dopo un bel respiro e stabilito le cose da fare secondo la logica, ha deciso di chiamare il 112, prima ancora che sua moglie. Poi da quel momento ha smesso quasi di parlare. La successiva telefonata l’ha ricevuta da una voce indifferente, quasi scocciata, che lo invitava a recarsi subito in Questura, sezione Reati contro la Persona, chiedendo del Commissario Santoro: l’uomo con una cravatta rosa salmone improponibile che gli fa queste domande sul doppio cognome. «Dunque, Vitali, mi racconti un po’ come sono andati i fatti.»
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«È la terza volta che la racconto, Commissario. Prima al 112, poi all’agente là fuori, mentre aspettavo lei.» «Ho capito ma non l’ha raccontata a me, e nemmeno a loro.» Indica Calabria e Franchi, che stanno entrando. Vitali sospira. Guarda il Rolex al polso. Deglutisce. La fronte è imperlata di sudore. Pensare che il dottore gli aveva detto giusto una settimana prima: evita gli stress. «Niente. Sono andato a cercare Mario… mio fratello, perché non rispondeva al telefono, da nessuna parte. Dovevamo parlare di una questione che riguarda il suo lavoro.» Abbassa lo sguardo. «Vada avanti» incalza Santoro. «Alla fine ho deciso di andare a cercarlo di persona, in galleria. Se mi chiedete gli orari, ve lo dico subito: saranno state circa le nove quando sono arrivato davanti alla vetrina. Di per sé non ci sarebbe niente di strano, sapeste quante volte si tratteneva lì, quella era più che casa sua, l’orario di chiusura era puramente indicativo.» Una lacrima gli bagna l’occhio. Vitali chiede scusa e si soffia il naso. In quell’istante entra Blasetti. Santoro approfitta dell’interruzione per bere un bicchiere d’acqua e offrirne uno a Vitali. Poi riprende: «Dottore, gli ispettori Calabria e Franchi, questi due bei giovanotti, sono appena tornati dal sopralluogo nella galleria di suo fratello, forse hanno delle domande da farle. Se non le dispiace» e fa un cenno a Simona. «Mi spiace molto per quello che è successo, le porgo le mie condoglianze» dice lei «ora però, come potrà immaginare, la cosa più urgente è mettersi sulle tracce di chi ha commesso questo crimine orribile. Quindi la prego di dirci tutto quello che potrebbe essere utile. Naturalmente la prima domanda è: suo fratello aveva dei nemici? Aveva motivo di avere paura? Le ha mai confidato qualche preoccupazione?» Vitali ci mette quasi un minuto prima di rispondere. Un minuto durante il quale i poliziotti si scambiano occhiate interrogative. Solo Simona non distoglie mai lo sguardo da lui. «Che io sappia… proprio no. Mario era un uomo buono, dedito completamente alla sua attività. Non aveva famiglia, a parte me e mia moglie. La sua vita era l’arte. Non avendo avuto la possibilità di sfondare come artista, ha pensato di vivere comunque di arte, l’arte degli altri: non nego che gli rendesse anche piuttosto bene.» «Ecco, a proposito, signor Vitali Rossini…» «Rossini Vitali. O anche solo Vitali, come ha detto il Commissario.»
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Calabria lo fulmina. «Vitali, parliamoci chiaro. Lei certamente saprà o indovinerà che tra un minuto la vita di suo fratello sarà indagata e rivoltata come un calzino. Amicizie, affari, clienti, voci dalla strada. Quindi se ha anche solo una lontanissima dritta, è meglio per tutti se ce la suggerisce subito.» «Quello che la mia collega sta dicendo, è che una delle opzioni è che suo fratello conoscesse l’assassino» interviene Santoro «quindi c’è qualcosa che dobbiamo sapere subito, dottor Vitali?»
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CAPITOLO 7
Le undici di sera. Alfredo Rossini Vitali è andato via da un’ora. Santoro non ha proferito parola, si è chiuso nella sua stanza a fare un paio di telefonate. Blasetti ha chiamato la moglie per dirle di rinunciare all’idea di averlo per cena. Calabria e Franchi sono rimasti nella sala riunioni, ma non si sono scambiati che poche parole, ognuno perso nei propri ragionamenti. Simona ha avvisato la madre di pensare lei a mettere a letto Veronica, “che qui non si sa quando si finirà”. “C’è stato un morto Simona?”. “Purtroppo sì, mamma”. E via discorsi del genere. Quando riattacca il telefono, pensa che sua madre capisce subito quando il motivo della telefonata è un delitto. Non troppo spesso, per fortuna. Però non lo chiama mai col suo nome, per lei è sempre “c’è stato un morto”, il morto non è mai stato ammazzato. Anche se non ne hanno mai parlato, crede che sia per il fatto che il morto ammazzato ce l’hanno avuto in casa, quando durante il caso Bonavita la babysitter è stata uccisa lì, nel loro appartamento, prima che Veronica venisse rapita. Una vecchia storia, che certo non ha fatto bene a quella povera madre. La porta della sala riunioni si apre, è Blasetti, dice che sono tutti convocati da Santoro. «Questo cazzo di delitto non ci voleva, e sapete perché? Perché un morto ammazzato a Brera non è un Sudamericano in via Padova, con tutto il rispetto. Questo significa che avremo tutti il pepe al culo. Il Procuratore, il Sindaco, le attenzioni della stampa, persino i comitati di quartiere. Tutti a spiare dal buco della nostra serratura.» Santoro appallottola un foglio di carta e lo lancia verso il cestino della spazzatura, senza centrarlo. «Per cui tutti al lavoro. Questo caso ha la massima priorità. Cominciamo a spremere le meningi, in attesa dei risultati dell’autopsia, delle ricostruzioni della scientifica e dei filmati delle telecamere nella zona, che per fortuna non mancano. Che idea vi siete fatti?»
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«Il fratello non è stato molto di aiuto. Non ci ha detto niente di utile, mi pare.» «Pare anche a me, Giordano, quel Vitali era un po’ confuso e un po’ mellifluo. Abbastanza per non farmelo piacere, a pelle. Che sappiamo di questa famiglia Vitali Rossini, o come cazzo si chiamano?» «La famiglia Rossini Vitali è un pezzo buono della borghesia arricchita milanese. Gestisce da due generazioni un’impresa di trasporti: camion, ma anche navi. Roba grossa, mica due carrette» dice Franchi «il padre ha fondato l’impero, poi il personaggio che era qui poco fa l’ha ingrandita. Anche se sembra un salame e si muove come un adolescente al primo appuntamento, evidentemente ha il cervello fino.» «Come mai il fratello morto non era nell’impresa?» chiede Blasetti. Franchi gira i fogli che ha stampato poco fa, uno gli cade, lo raccoglie Simona e glielo porge. «Dunque Mario aveva una quota, in realtà. Una quota del tre percento. L’impresa di famiglia, a oggi, è così suddivisa: il boss, Alfredo, ha la maggioranza relativa, quaranta percento. La moglie, Anna Evangelisti, ha il dieci. Mario il tre, appunto, poi c’è un fondo d’investimento americano che ha il ventisette, e l’ultimo venti percento è in mano a una fiduciaria. Datemi qualche minuto e vi so dire chi c’è dietro a questa fiduciaria.» «Non male come business. Ma perché il figliol prodigo non ha voluto saperne di questa grossa torta e ha deciso di dedicarsi all’arte?» chiede Santoro. «In ogni famiglia che si rispetti c’è sempre qualcuno che vuole smarcarsi, anche se l’attività è redditizia. Mario aveva ambizioni artistiche, avete sentito, quindi su questo io tendo a credere a quanto ci ha raccontato suo fratello. Questo però non ci fa capire ancora perché sia stato ammazzato. Credete che possa c’entrare l’impresa di famiglia? Lui ha pur sempre una quota, anche se piccola.» «Io non credo niente, Simona» risponde Santoro «per ora non possiamo escludere nessuna pista, né quella che riguarda solo la sua attività di mercante d’arte, né la seconda vita di socio del fratello. Io comincerei comunque dalla pista dell’arte. Vitali ci ha detto che gli rendeva piuttosto bene. Franchi dove abitava questo disgraziato?» «Poco lontano da qui: in via Borgonuovo.» «Praticamente via Montenapoleone. Sticazzi. Tutto casa e bottega. Però è stato ammazzato in negozio, l’assassino non si è disturbato per andare a
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trovarlo a casa. Siamo sicuri che non sia stata una rapina? Calabria, che cazzo c’è in quel posto?» «Commissario, io e Franchi abbiamo dato un’occhiata sommaria alla roba stipata nel retro. C’era un po’ di casino, difficile dire se sia stato rubato qualcosa, cercheremo di venirne a capo, la vittima avrà pure tenuto un inventario.» «Simona è rimasta colpita dal contrasto tra antico e moderno che c’è là dentro» aggiunge Franchi. «Che significa?» «Ma niente, Commissario, solo che c’è una bella differenza tra la sala mostra, chiamiamola così, con arte moderna, tutta bella ordinata, e il retro, con anticaglia tutta in disordine. C’è molto contrasto, insomma.» «Che vuoi dire, che qualcosa non torna? Pensi che quel negozio sia una copertura?» Simona non risponde. «Va be’ ragazzi, setacciamo la vita di questi fenomeni. Voglio sapere tutto di questa impresa di trasporti, cosa trasportano, dove e se sono solidi oppure se hanno qualche problemino economico. Poi, per il lato galleria: clienti e fornitori. Vediamo se c’è qualcosa che non quadra. Nella speranza che quei geni della scientifica mi diano almeno il computer del morto.» Blasetti alza la mano. «Come ci dividiamo i compiti?» Santoro si alza. «Giordano so già che tu vuoi ficcanasare in questa impresa di trasporti di mio nonno. Mi raccomando discrezione, però, il delitto non è stato commesso nei loro locali e non c’è per il momento un nesso, quindi muoviti con i piedi di piombo. Calabria e Franchi invece indagheranno nel meraviglioso mondo delle gallerie d’arte. Scoprite che considerazione aveva questo tizio nell’ambiente.»
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CAPITOLO 8
Mario Rossini vitali è stato ammazzato ieri sera. Sono le due del pomeriggio e una leggera pioggia scalfisce l’afa degli ultimi giorni, eccessiva per la stagione. Via Manzoni è il solito di brulicare di varia umanità, quell’arteria che collega piazza della Scala con la stazione centrale è un viavai, dai venditori di fiori ai banchieri che non sanno contare se le cifre hanno meno di sei zeri. Un uomo con un vistoso cappello nero calato sulla fronte schiaccia la sigaretta col tacco della scarpa firmata, raggiunge con calma via Borgonuovo per dare un ultimo superfluo sguardo alla casa di Mario, quella casa dove è stato tante volte. Qualcosa di simile alla commozione vela i suoi occhi. È solo un attimo. Ora anche quell’appartamento andrà ad arricchire la già ricca collezione del fratello Alfredo. Ride al pensiero di quello stronzo di Alfredo. Distoglie lo sguardo e si rimette in cammino. S’infila in una via laterale. Sapeva che sarebbe andata a finire così. Ora è giunto il momento di muoversi.
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CAPITOLO 9
«Abbiamo i video delle telecamere e c’è una bella sorpresa.» Santoro entra di corsa nell’ufficio di Calabria e Franchi, che d’istinto si alza, rovesciando la bottiglietta d’acqua che teneva aperta. Dietro Santoro c’è Blasetti, che fa loro cenno di seguirli nell’altra stanza. Si radunano nell’ufficio del Commissario capo. «Questo è il duplicato del video che ci ha fatto la scientifica. Hanno visto i filmati da quattro ore prima del delitto e ce ne hanno fatta una sintesi. Lo studio di Vitali non ha telecamere, ma ce ne sono alcune nei paraggi, come si sapeva, più una che punta direttamente sulla galleria.» Si radunano intorno al monitor di Santoro. Parte un filmato a colori. Alle 19:04 un uomo entra nella galleria. È un tizio di corporatura media, con una giacca di pelle e un paio di occhiali scuri, nonostante fosse il tramonto. «Guardate qua» indica Santoro «c’è questo tizio che entra. Non vediamo cosa succede dentro, poi… vai avanti, Massimo.» Franchi procede con l’avanzamento veloce. Alle 19:13 lo stesso personaggio esce. «Nove minuti. O è stato particolarmente veloce, oppure l’assassino non aveva bisogno di cercare nient’altro. È andato lì per commettere un’esecuzione. Niente rapina» dice Simona. Blasetti si fa pensieroso. Guarda fuori dalla finestra. Sono le otto di sera. Anche stasera non se ne parla di finirla prima. «L’assassino ha agito a volto scoperto, e questo è un colpo di fortuna inaspettato. Ma…» «Ma… c’è sempre un ma, Simona, continua. Cosa pensi? Lo sai che in questo mestiere le cose non sono mai troppo facili, e se lo sembrano, nascondono una trappola» afferma Santoro. Simona si allontana dallo schermo. «Se l’assassino è entrato con tutta calma, a volto scoperto, è impossibile credere che non sapesse che la zona è piena di telecamere. Questo significa che non gli interessava essere riconosciuto.» «Cosa che faremo a breve, c’è qualcuno che sta già spulciando negli archivi. L’immagine è in alta definizione e lui non si copre il viso, prima
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che finiamo questa chiacchierata avremo già il suo nome sul tavolo. Piuttosto, quello che ha detto Calabria che vuol dire?» Santoro punta l’indice verso Franchi. «Che non è un serial killer. Il serial killer in fondo vuole essere preso, ma prima desidera che sia riconosciuta la sua arte. Non è questo il caso. Questo è un professionista» risponde Franchi. «Questo tizio lavora per qualcun altro. È un omicidio su commissione» interviene Blasetti, sempre guardando fuori dalla finestra «ci scommetto la mia futura ricca pensione che scopriremo che è uno con una fedina penale lunga un chilometro.» «Lo penso anch’io, Giordano» interviene Santoro «e questo non mi fa stare tranquillo, perché oltre a cercare un assassino a piede libero, dobbiamo capire che giro c’è sotto. Perché un collezionista di Brera viene assassinato su commissione, se è questo è davvero ciò che è accaduto?» «Sono d’accordo, ma a me interessa leggerla in maniera un filo diversa» dice Simona «ovvero: perché un tranquillo mercante d’arte subisce un’esecuzione? Ha combinato qualcosa di grosso.» «Il che ci conferma che dobbiamo setacciare la vita di questo tizio, qualunque cosa facesse» dice Santoro «ma prima c’è un’altra cosa che dovete vedere.» Chiede a Franchi di mandare indietro il filmato. Gli altri tre si guardano, Santoro sussurra: «Questo ci farà impazzire: l’assassino non è la cosa più importante ripresa dalle telecamere.»
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CAPITOLO 10
Rimangono tutti a bocca aperta. Le immagini della stessa telecamera che ha ripreso l’ingresso del probabile assassino, mostrano che alle 18:42 – quindi poco più di venti minuti prima dell’omicida – un bambino è entrato nella galleria d’arte. In questo caso doveva essere proprio una persona conosciuta, perché appena arriva Rossini Vitali gli apre la porta. Anzi, le immagini mostrano chiaramente che prima ancora di entrare il bambino, che avrà visto la vittima dalla vetrina, lo saluta con un gesto della mano. «E questo chi è?» chiede Franchi. Nessuno risponde. «Il problema per il momento non è chi, ma che fine ha fatto. Perché le telecamere registrano che un bambino entra nel negozio di Vitali poco prima che questo sia ucciso, ma non mostrano che esce» dice Simona. «Esatto, e questo vuol dire che questo bambino, di cui ignoriamo l’identità, è un potenziale testimone dell’omicidio» replica Blasetti. «Ma soprattutto: che fine ha fatto questo bambino? Si vede bene che l’assassino esce così com’è entrato, cioè da solo. Sulla scena del crimine non c’era, quindi per fortuna non è stato ucciso. Se ha visto qualcosa, l’assassino non lo sa» aggiunge Simona. Santoro si fa pensieroso. Dopo pochi secondi sbotta, una manata sulla scrivania. «Ma porca miseria! Ci mancava solo questa. Sapete cosa significa?» «Che è bello avere un testimone, magari oculare, dell’omicidio. Ma se non si trova, vuol dire “persone scomparse.” Peggio: minori scomparsi» risponde Blasetti. «Peggio ancora: la stampa ancora più accanita, già mi vedo i titoli, “il caso del bambino sparito sul luogo del delitto”, gli psicologi e compagnia cantante, la famiglia. Paradossalmente, sarebbe meglio non averlo un testimone oculare, abbiamo già le immagini.» A Simona non frega niente di quello che scriveranno i giornali. Al di là del bambino, di cui prima o poi scopriranno l’identità, anche se è molto meno in favore di telecamera rispetto all’assassino, riflette su una cosa: i suoi colleghi sono stati colpiti, come lei, dall’ingresso in scena di questo
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piccolo, ma non si sono chiesti che fine abbia fatto. Se non è stato ucciso e non è stato trovato nei locali, da dove è uscito? Inoltre, Santoro cita tra i problemi da gestire la famiglia del bambino scomparso. Ma chi ha detto che sia scomparso?
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CAPITOLO 11
È in fila al banco della gastronomia, è quasi l’orario di chiusura. Davanti a lei ha due numeri. Controlla il telefono per ingannare l’attesa. Nessun messaggio. Strano che non ci sia niente almeno da Massimo. Perché dovrebbe? La loro storia, se così si può dire, non è mai partita davvero, c’è stata l’illusione di volersi. Poi su tutto è prevalsa la consapevolezza di essere troppo diversi. Ed è stata lei a capirlo per prima, quando ha visto che Massimo non riesce a pensare sempre e solo alla stessa donna. Non hanno mai convissuto, perché per lei non è stato neanche lontanamente possibile pensarci, almeno per un po’. La figlia, la madre. Tutti sotto lo stesso tetto… quando ha iniziato ad accarezzare l’idea di provarci, sono successe due cose. La prima: la madre ha iniziato a dare qualche segno di cedimento, a perdere qualche colpo. Poche cose, niente di che, una visita dal medico generico per un generale senso di spossatezza, poi una visita neurologica dietro forte insistenza di Simona. Era tutto a posto, eppure Simona trova che stia invecchiando in fretta. La seconda: non si è mai rassegnata all’idea che Massimo non possa essere diverso da come l’ha conosciuto lei. Un brav’uomo, ma con un debole per le donne, non solo per lei. Non ha prove che abbia frequentato altre mentre avevano in piedi una relazione, ma teme che prima o poi il tradimento possa accadere. È un processo alle intenzioni. È solo colpa sua. Forse Massimo le sarebbe stato davvero fedele, ma non gli ha concesso la possibilità di provarlo. Non si è fidata. “È questo fottuto lavoro”, pensa mentre si avvicina alla cassa. È il lavoro di poliziotta, in cui soprattutto dopo il caso Bonavita si è dimostrata anche piuttosto brava, a tracimare nella sua vita, a inoculare il virus del sospetto anche nella vita sentimentale, a vedere del marcio anche dove non ce n’è. “Ma vaffanculo, Simona”. Solo che ormai è tardi e ci sono le complicazioni delle sue donne di famiglia. Non è così, le ha giurato Franchi anche di recente. Ma lei è scappata, come al solito.
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Esce dal supermercato, c’è buio e la temperatura è scesa, per la prima volta dopo un po’ di giorni. Fa uno squillo a casa, risponde Veronica, le dice solo che la mamma sta rientrando. Appena riattacca, chiamano dalla Questura. Una voce che lì per lì non riconosce, la invita ad attendere in linea il Commissario Santoro. Mentre sale in macchina, le dicono solo due parole. Il nome e il cognome dell’assassino.
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CAPITOLO 12
«Non è stato difficile rintracciarlo, come avevamo ipotizzato. Le immagini erano chiare, ma è saltato fuori subito perché in effetti ha una fedina penale lunga un chilometro» spiega Santoro. Sono le dieci e mezza di sera. Simona ha preparato la cena per tutte e tre, poi ha spiegato a Veronica che si sarebbe dovuta assentare per un motivo urgente, e che toccava a lei dare un occhio alla nonna. Veronica l’ha guardata sospettosa, poi ha fatto sì con la testa e ha promesso di andare a letto alle dieci e mezza. A nove anni può bastare come orario. Simona ha baciato la figlia e ha scambiato due chiacchiere con la madre. Lei ha riso quando ha sentito Simona dire alla figlia di darle un occhio, ma per Simona non era affatto una battuta. Ora è nell’ufficio di Blasetti, con Franchi. Santoro continua: «Questo stronzo si chiama Roberto Verderami, ha cinquantasette anni, da almeno quaranta è nel crimine. Rapina, estorsione, rapina a mano armata, associazione a delinquere, minacce, lesioni, lesioni gravi, chi più ne ha più ne metta.» «Questo non fa di lui un assassino.» «E qui ti sbagli, Franchi. Perché il nostro eroe è vero che non è mai stato dentro per omicidio, ma l’associazione a delinquere che ho citato è frutto di una sentenza che lo ha favorito.» «Spiegati meglio» chiede Blasetti. «Nel 2007 arrivò una sentenza del tribunale di Caltanissetta contro alcuni mafiosi. A certuni andò male, perché si beccarono l’ergastolo, in considerazione di omicidi e altre amenità, e perché fu riconosciuta l’associazione di stampo mafioso. Ad altri andò meglio.» «A questo Verderami, ad esempio?» «Esatto, Massimo. Per lui fu contestata l’associazione a delinquere semplice. Fece qualche anno poi uscì. Ma le cronache informali parlano di lui come di un killer efferato, anche se ha qualche santo in paradiso, perché non è mai stato incriminato per omicidio. A volte anche a servizio di Cosa Nostra. Però questo tizio fa dentro e fuori dalle carceri, e ogni volta che è fuori fa di tutto per rientrarci.»
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«Vediamo se ho capito bene» interviene Simona «la nostra vittima è stata uccisa da un killer della mafia?» «Se ti stai chiedendo se questo ci solleva dalla competenza, perché se ne deve occupare un’altra Procura o un Magistrato antimafia, ti deludo subito: il fatto che sia stato ucciso da uno che ha o ha avuto a che fare con la mafia, non rende questo crimine un delitto di mafia.» Franchi si alza e apre la finestra. «Ho bisogno d’aria.» Blasetti ride sotto i baffi. «Ultima considerazione, poi ragioniamo a ruota libera: dal momento che è nota l’identità, la segnaletica di Verderami è stata diffusa a tutti i livelli, per ora di Polizia, Carabinieri e Finanza. Posti di blocco sono stati istituiti su tutte le direttrici che portano fuori Milano. Ho solo due ordini di preoccupazioni: che per questo tizio i nostri informatori del cazzo non ci siano utili, che siano troppo di basso livello per sapere qualcosa di uno del genere, e che appena leggerà il suo curriculum, il Procuratore mi farà una telefonata per dirmi che per ora può tenere a bada la stampa, ma che appena salterà fuori che il killer è un professionista, non potrà fare più niente. Questo significa che dobbiamo fare presto: prima lo troviamo, prima lo diamo in pasto ai giornali, che non rompano il cazzo a noi. Ho finito.» «Commissario, il killer non si è premurato di celare la sua identità, infatti ora sappiamo chi è. Se consideriamo che Vitali è stato ammazzato con le modalità tipiche di un’esecuzione, io penso che fosse proprio quello lo scopo del killer. Ora non ci sono dubbi.» «Mi fa piacere Calabria, lo credo anch’io, ma mentre speriamo che sia altrettanto menefreghista da farsi beccare da altre telecamere in giro per Milano, vediamo d’indagare sugli affari di questo Vitali.» «Se è stato fatto fuori da uno che fa i lavoretti per i mafiosi, tanto pulito non doveva essere neanche lui» sentenzia Franchi. «Non è detto. Potrebbe trattarsi di un’estorsione. Vitali doveva dei soldi a qualcuno, per i più svariati motivi. Non ha pagato ed è stato eliminato, fine della storia. Non confondiamo il mezzo con il fine; se è stato ucciso da uno che uccide anche per la mafia, non vuol dire che dobbiamo cercare per forza in quell’ambiente.» «Giusto, Blasetti» dice Santoro «escludendo la rapina, rimane in piedi l’ipotesi dell’estorsione, oppure che Vitali fosse in qualche giro strano da cui non è riuscito a uscire se non orizzontale. Calabria e Franchi: visto che la caccia all’assassino non è per il momento compito vostro, pensate almeno a farmi sapere perché l’ha fatto.»
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«Certamente, Commissario. Mi chiedevo però una cosa.» «Cosa?» «Il bambino» risponde Simona «non dimentichiamo che c’è sempre il mistero del bambino che era presente mentre Vitali veniva ammazzato.» «Questa storia mi farà diventare i capelli bianchi, porca miseria. Fuori di qui. Scoprite che cazzo aveva combinato quel maledetto Vitali.»
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CAPITOLO 13
Due giorni dopo l’omicidio, verso metà giornata. La squadra non ha cavato un ragno dal buco. Santoro è cupo, non parla. I suoi uomini sanno che se fa così è perché qualcuno, tipo il procuratore, ha cominciato a fargli pressione, ma lui tiene tutto per sé, non è il caso di riversare questo carico su di loro. Che peraltro lo sanno benissimo: se un omicidio non si risolve nel giro di ventiquattro-quarantotto ore, le probabilità di risolverlo crollano vertiginosamente. Simona Calabria è nel suo ufficio, è tutta la mattina che in testa le girano diversi pensieri, e scontrandosi tra loro a farne le spese è la logica. Passa in rassegna la scena del crimine, pensa a sua figlia che ha iniziato da meno di venti giorni l’anno scolastico, si preoccupa per sua madre, da prima dell’estate la vede con meno energia addosso, poi ritorna al cadavere di Rossini Vitali, il buco in fronte e i segreti che il morto si è portato via e che loro non sono ancora riusciti a decifrare. Su di lui non hanno scoperto molto: nell’ambiente delle gallerie d’arte è considerato un uomo piuttosto anonimo, che tratta opere di medio livello. La mattinata è stata tersa, il cielo promette ciò che non può mantenere: un’estate che sembra ancora lì invece è già andata, quella che si sente è solo l’illusione del bello. Il tempo presto cambierà. Franchi entra, facendo sbattere la porta. «Simona non puoi immaginare!» «Spara.» «Il bambino. Il bambino che era nella galleria d’arte.» «E allora?» «Abbiamo la sua identità ma… è scomparso. La sua famiglia ha presentato denuncia. Corrisponde alle immagini.» A Simona vengono i brividi. Ora almeno sanno chi è. Un’ora dopo sono da Blasetti. Santoro è alle Persone Scomparse. «Mi stavo chiedendo come muoversi adesso» dice Franchi «voglio dire: è stata denunciata la sparizione del bambino, e questo ne fa un caso per
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quelli delle persone scomparse, ma lo stesso bambino era sulla scena del crimine, e questo ne fa un testimone per noi.» «Sì, ma com’è scomparso? Dove? Quando?» chiede Simona. «Pare sia scomparso ieri sera. I suoi genitori hanno atteso fino a mezzanotte, poi hanno fatto la denuncia. So solo quello che mi ha detto Santoro al volo prima di precipitarsi dai colleghi.» risponde Blasetti. «Ieri sera? Dunque un giorno abbondante dopo l’omicidio.» «In qualche modo il bambino è uscito da quel negozio ed è arrivato a casa» dice Franchi. «Esatto. Quindi la cosa si fa ingarbugliata. Un bambino è testimone di un omicidio, riesce misteriosamente ad abbandonare la scena del crimine senza essere ripreso, e guarda caso il giorno dopo scompare.» «O questo moccioso ha il dono di apparire e scomparire a piacimento, oppure qualcuno è venuto a sapere che può essere stato testimone di un omicidio» dice Blasetti «il che conferma l’ipotesi che dietro questo delitto c’è qualche mandante. Speriamo solo che questo bambino sia vivo, e che magari abbia raccontato come ha fatto a tornare a casa.» «E magari anche cosa visto o sentito nella galleria» conclude Simona «non vedo l’ora che torni Santoro con buone notizie. Dobbiamo andare dai genitori di questo ragazzino.» )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
INDICE
PROLOGO...................................................................................... 5 CAPITOLO 1 .................................................................................. 7 CAPITOLO 2 .................................................................................. 9 CAPITOLO 3 ................................................................................ 10 CAPITOLO 4 ................................................................................ 13 CAPITOLO 5 ................................................................................ 15 CAPITOLO 6 ................................................................................ 19 CAPITOLO 7 ................................................................................ 22 CAPITOLO 8 ................................................................................ 25 CAPITOLO 9 ................................................................................ 26 CAPITOLO 10 .............................................................................. 28 CAPITOLO 11 .............................................................................. 30 CAPITOLO 12 .............................................................................. 32 CAPITOLO 13 .............................................................................. 35 CAPITOLO 14 .............................................................................. 37 CAPITOLO 15 .............................................................................. 39
Â
CAPITOLO 16 .............................................................................. 40 CAPITOLO 17 .............................................................................. 42 CAPITOLO 18 .............................................................................. 44 CAPITOLO 19 .............................................................................. 45 CAPITOLO 20 .............................................................................. 48 CAPITOLO 21 .............................................................................. 49 CAPITOLO 22 .............................................................................. 51 CAPITOLO 23 .............................................................................. 55 CAPITOLO 24 .............................................................................. 58 CAPITOLO 25 .............................................................................. 61 CAPITOLO 26 .............................................................................. 63 CAPITOLO 27 .............................................................................. 65 CAPITOLO 28 .............................................................................. 67 CAPITOLO 29 .............................................................................. 70 CAPITOLO 30 .............................................................................. 74 CAPITOLO 31 .............................................................................. 77 CAPITOLO 32 .............................................................................. 83 CAPITOLO 33 .............................................................................. 86 CAPITOLO 34 .............................................................................. 88 CAPITOLO 35 .............................................................................. 89 CAPITOLO 36 .............................................................................. 91 CAPITOLO 37 .............................................................................. 94 CAPITOLO 38 .............................................................................. 95
CAPITOLO 39 .............................................................................. 97 CAPITOLO 40 .............................................................................. 99 CAPITOLO 41 ............................................................................ 101 CAPITOLO 42 ............................................................................ 107 CAPITOLO 43 ............................................................................ 124 CAPITOLO 44 ............................................................................ 130 CAPITOLO 45 ............................................................................ 135 CAPITOLO 46 ............................................................................ 140 CAPITOLO 47 ............................................................................ 143 CAPITOLO 48 ............................................................................ 146 CAPITOLO 49 ............................................................................ 150 CAPITOLO 50 ............................................................................ 153 CAPITOLO 51 ............................................................................ 156 CAPITOLO 52 ............................................................................ 160 CAPITOLO 53 ............................................................................ 166 CAPITOLO 54 ............................................................................ 171 CAPITOLO 55 ............................................................................ 173 EPILOGO ................................................................................... 177 RINGRAZIAMENTI .................................................................. 181 INDICE ......................................................................................... 183
AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Terza edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2020) www.0111edizioni.com
Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.