In uscita il 31/4/2018 (14, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2018 ( ,99 euro)
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ANNA CALCIOLARI
I GEMELLI DEL REGNO DI EREO
ZeroUnoUndici Edizioni
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I GEMELLI DEL REGNO DI EREO
Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-208-9 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Maggio 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
A Lucia e Laura
I GEMELLI DEL REGNO DI EREO
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«Cominciamo da te, Principe Guardiano.» Il Precettore camminava con le mani intrecciate dietro la schiena intorno ai lunghi tavoli di legno che riempivano il centro della sala. I suoi passi lenti non facevano rumore, si sentiva solo il leggero frusciare della sua veste. Era lui che si occupava dell’educazione dei ragazzi del villaggio, compresi i Principi: ogni mattina studiavano tutti insieme nella grande Sala dei libri e del sapere. Ma quel giorno per gli altri le lezioni erano già finite, erano rimasti soltanto Aron e Avalon. In effetti, essere i Principi non regalava ai due gemelli particolari privilegi, anzi, spesso le ore di studio nella Sala dei libri e del sapere per loro erano di più, perché, come Principi, li attendeva una grande responsabilità.
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Aron si alzò, si aggiustò il pettorale di cuoio e si mise ad aspettare
la
prima,
inevitabile,
domanda
della
sua
interrogazione. «Principe Guardiano, prima di una ricognizione alla Punta Nord, quale passaggio fondamentale le Truppe Silenziose non devono mai dimenticare?» Il ragazzo passò mentalmente in rassegna le sue conoscenze sulle ricognizioni: Punta Sud, ci sono le pianure, i Guardiani con le marmotte, hanno i copricapo di foglie…; Punta Est… le colline, ci vanno i Guardiani con i gechi, attenzione ai giorni ventosi; Punta Nord, degli abeti e delle cime… i camosci salgono per primi… Era dura per lui ogni volta non confondersi tra le molte complicate regole del Codice dei Guardiani. Si era sforzato di memorizzare bene la struttura del Regno, tutto l’equipaggiamento dei Guardiani, le tecniche di osservazione degli animali, i segni da decifrare prima di partire, ma al momento di rispondere a un’interrogazione tutte quelle nozioni si ingarbugliavano terribilmente nella sua testa. Il Precettore aspettava la risposta guardando da una delle grandi finestre che si aprivano tra le librerie così Avalon
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azzardò un rapido segno con il braccio e Aron girò la coda dell’occhio per cogliere il suo suggerimento: suo fratello con la mano stava sfregando il legno del tavolo. Allora si buttò: «Prima di partire per una ricognizione alla Punta Nord i Guardiani devono affilare le loro spade!» Avalon si diede una manata sulla fronte: per quale motivo suo fratello non ci beccava mai? Il Precettore si girò a guardarlo con un sospiro: «No, Principe! I Guardiani devono controllare la corteccia che ricopre i loro scudi prima di partire per una ricognizione alla Punta Nord! Se la corteccia dello scudo non è integra, il Guardiano non può mimetizzarsi efficacemente tra i pini mentre i camosci salgono alle cime. Non era questa la risposta.» Accidenti! La corteccia, ecco cosa mi voleva dire! pensò Aron. «Riproviamo. Concentrati. Che cosa devono verificare i Guardiani prima di partire per il confine Est?» Di nuovo il ragazzo si perse nel mare delle informazioni che c’era nel suo cervello. E di nuovo suo fratello tentò di suggerirgli la risposta dal fondo della sala: agitò per un
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secondo le braccia avanti e indietro sopra la testa. Questa volta Aron era quasi sicuro di avere capito il suggerimento, ma ci stava mettendo troppo tempo e tutto d’un fiato disse: «Devono controllare l’umidità dell’aria!» Avalon sbatté la fronte sul tavolo. Il Precettore si girò di scatto: «Aron! Ma perché mai i Guardiani dovrebbero controllare l’umidità prima di partire per la punta Est? L’umidità è importante per le Truppe con i camosci, per verificare che non si avvicini un temporale. Devono controllare le nuvole Aron, le nuvole! E perché sono importanti le nuvole?» A testa bassa, Aron non si azzardò più a rispondere, e il Precettore continuò: «Se le nuvole corrono veloci verso la Punta Est laggiù potrebbe esserci troppo vento, una volta mandati i gechi sui rami dei salici questi si agiterebbero rivelando la presenza degli animali e quindi dei Guardiani. I rami dei salici devono essere fermi perché i gechi possano fare la ricognizione senza essere visti.» Finito di spiegare, di nuovo il Precettore sospirò guardando il ragazzo in piedi davanti a lui.
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«Va bene Principe Guardiano, vai pure a sederti. La prossima volta andrà meglio.» E fu il turno di Avalon. Mentre Aron, nato per primo, sarebbe diventato il Principe Guardiano, responsabile di guidare le Truppe Silenziose dei Guardiani nella difesa dei confini del Regno, suo fratello, nato otto minuti dopo, sarebbe diventato il Principe Custode dei Cicli della Semina. Avrebbe avuto la responsabilità delle Sementi, di governare la semina dei campi e garantire il fluire dei cicli delle stagioni, così da avere raccolti sempre abbondanti e i magazzini pieni, senza affaticare la terra. Il Precettore prese da uno degli scaffali della libreria il grande contenitore di legno. Estrasse una delle tante scatoline che contenevano dei semi, la maggior parte dei quali ad Avalon sembravano del tutto identici, ma che ovviamente non lo erano, e gliela mise davanti, sul tavolo. Tutta la sicurezza di poco prima ora lo aveva abbandonato. Cercava di mantenere un’espressione concentrata per non dare a vedere che stava vagando nella sua mente alla ricerca di una risposta che sperava si affacciasse per miracolo dal caos. Anche lui ci provava, davvero si sforzava nello studio,
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ma era difficile riconoscere tutti quei semi e periodi di semina e tecniche di raccolta e segnali da interpretare e caratteristiche del terreno… Cercò aiuto con uno sguardo rapidissimo in direzione di suo fratello: Aron, all’altro capo del tavolo, stava con le mai aperte davanti alla bocca, come per contenere qualcosa di grosso e fece finta di dare un morso. «Sono semi di pomezie!» rispose allora Avalon. Non c’erano dubbi, quello era il modo in cui si mangiavano le pomezie! «Bene Principe, molto bene. Ora dimmi per favore, in che modo sappiamo che è il momento per la semina di questi frutti?» Di nuovo silenzio, ma questa volta Aron non poteva più aiutarlo: il Precettore stava passando proprio dietro la sua sedia. «Ehm… tocchiamo il terreno, se è abbastanza umido…» «No, no Principe! Non tocchiamo il terreno, ma controlliamo il passaggio delle nuvole perché questi semi hanno bisogno di molta acqua per germogliare! Proviamo con un’altra domanda.»
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Ma con le altre domande le cose non andarono molto meglio. Aron cercava ogni volta di suggerirgli la risposta corretta se il Precettore non era nei paraggi e una volta per poco non era caduto dalla sedia per mimare al fratello che si dovevano fare profondi buchi nel terreno per piantare le piantine di alzafragole. Alla fine, sconsolato, il Precettore li aveva lasciati uscire, dopo qualche rimprovero e numerose raccomandazioni. Appena fuori, Avalon aggredì suo fratello: «Cosa cavolo mi mimavi con quelle braccia in alto che non si capiva niente!» «Il colore delle nuvole! Che cosa secondo te? E non è colpa mia se hai la testa di legno!» Da uno degli alberi un giovane falco si staccò in volo da un ramo e si avvicinò ai due ragazzi. Fece un paio di giri sulle loro teste e infine si andò ad appoggiare sulla spalla di Aron. Il ragazzo gli fece una carezza con il dorso delle dita sulle piume soffici del petto, che lì erano più chiare delle altre, color nocciola. «Ciao Tar.» Si infilarono nel corridoio di fondo delle stalle e subito Aron si tolse con sollievo il pettorale di cuoio dei Guardiani: non
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riusciva a capire perché, ma gli pendeva sempre da una parte e lo impacciava nei movimenti. Aveva aggiustato le stringhe mille volte, ma quel pettorale continuava a stargli scomodo. Lo appese a uno dei ganci sulla parete. Mentre li aspettava, Avalon mise due dita in bocca e lanciò un breve fischio secco, che bastò a svegliare Moses che dormiva all’ombra sotto gli alberi di limone. Il grosso cane nero alzò subito la testa, stirò le zampe davanti poi partì di corsa e un attimo dopo gli era accanto. Avalon gli accarezzò la testa lucida: era soffice come il velluto e così grande che la mano aperta del ragazzo non riusciva a coprirla tutta. Aron e Tar li raggiunsero e insieme attraversarono la grande piazza al centro del villaggio. Fecero un cenno di saluto ad alcuni Guardiani che spazzolavano i loro camosci, poi passarono davanti all’armeria dove il fabbro lavorava sulla soglia, circondato da spranghe di ferro e spade non ancora affilate. Infine, oltrepassarono l’enorme e antichissima quercia su cui riposavano i gechi. Mentre si lasciavano alle spalle le ultime case del villaggio cominciarono i campi e, in fondo, si vedeva la sagoma della foresta che occupava il centro del Regno.
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I loro piedi si fecero impazienti di libertà, il verde entrò loro negli occhi e l’aria leggera attraverso il naso spingeva via dalla mente il pensiero delle interrogazioni. All’inizio dei prati, erano di nuovo solo Aron e Avalon. Per prima cosa, senza neanche doverselo dire, fecero una tappa al campo delle pomezie. Niente piaceva ai ragazzi del villaggio quanto andare a rubare le pomezie sotto il naso del vecchio Deodato. Tutti adoravano quei frutti succosi e squisiti, grossi come un pompelmo ma blu all’esterno come un lampone e dal sapore sorprendente: in superficie sapevano di fragola o di banana, in base al momento di maturazione, poi c’era sempre uno strato spugnoso e soffice che sapeva di pane e infine un cuore morbido, intorno al nocciolo, al gusto di cioccolato. Niente era meglio di una pomezia matura e imbrogliare il povero Guardiano aggiungeva anche il divertimento. Deodato si occupava del campo da tempo immemorabile, e anche se ormai passava buona parte della giornata a sonnecchiare, nessuno osava suggerire di toglierlo da quell’incarico perché tutti temevano che i frutti non crescessero più senza la sua presenza. I gemelli gli si avvicinarono in silenzio da dietro: era seduto nel solito
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angolo, sulla sua solita sedia di legno impagliata, che aveva probabilmente i suoi stessi anni, e sonnecchiava con la testa appoggiata sulla spalla e il cappello sugli occhi. Aron restò di guardia, suo fratello con un balzo silenzioso scavalcò il recinto, staccò due frutti che gli sembrarono maturi al punto giusto, riscavalcò ed entrambi sparirono ridendo. Per gustarsi al meglio quelle meraviglie, si fermarono all’ombra di un grande tiglio. Senza più parlare, a occhi chiusi, si persero nelle loro pomezie, poi, sparita anche l’ultima traccia di amarezza per le interrogazioni di poco prima, decisero che la giornata era buona per dare un po’ fastidio ai grappoli saltanti. Sulle viti robuste, i grappoli erano già belli grossi e, a parte qualche chicco ancora un po’ acerbo, quasi completamente viola. Infilarono le dita tra gli acini e muovendole su e giù presero a fargli il solletico. All’inizio i grappoli si contorsero leggermente, poi sempre di più, mentre i ragazzi scoppiavano a ridere: crudeli, continuarono a fargli il solletico, finché i chicchi si staccarono tutti insieme con un rumore sordo e saltellarono via andando a nascondersi tra l’erba. Non c’era niente da fare, solo i grappoli più grossi e più maturi riuscivano a resistere al
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solletico! Per i ragazzi del villaggio era un divertimento irresistibile e Aron e Avalon ridevano a crepapelle tenendosi la pancia. Sempre ridendo, Avalon prese suo fratello per la manica e lo trascinò via. Trascorso qualche minuto, gli acini viola sbucarono tra i ciuffi d’erba e con qualche saltello tornarono al loro grappolo, finalmente in pace. Per raggiungere i campi di grano i due ragazzi attraversarono il grande prato di erbasvelta. Era impossibile sia calpestarla sia tagliarla, appena stavi per appoggiare il piede a terra si spostava tutto intorno al tuo piede e dopo che lo avevi sollevato da terra, svelta tornava a spuntare al suo posto. Nei pomeriggi d’estate, i ragazzi del villaggio prendevano la rincorsa e si tuffavano a pancia sotto facendo alzare alti ciuffi d’erba uno dopo l’altro, come le onde di un verde mare in tempesta. I gemelli attraversarono di corsa tutto il prato e l’erba si alzava intorno a loro veloce come i loro passi, sollevando in aria nuvole tremolati di piccoli grilli trasparenti come sogni. Quando sbucarono fuori dal prato, erano senza fiato, per la corsa e per le risate.
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Davanti a loro, oltre uno stretto fossato, s’innalzava il muro maestoso delle enormi spighe di grano. In quella stagione gli arrivavano già sopra la testa di tre buone spanne. Aron le amava, tra tutte le piante generose di cui godeva il Regno, quelle erano le sue preferite. Amava la fierezza con cui si ergevano verso il cielo, la robustezza del loro fusto elastico, la loro antica, profonda saggezza. Quando i chicchi della cima, grossi come nocciole, erano maturi, dorati al punto giusto, le spighe si piegavano spontaneamente verso le mani dei raccoglitori, si lasciavano spogliare del loro prezioso carico, poi tornavano dritte e aspettavano serenamente di appassire. Il pane che si realizzava al villaggio con quel grano era il più buono che si possa immaginare e il rispetto per le spighe veniva insegnato ai bambini fin da piccoli. «Dai Aron, lanciami, solo una volta, te lo prometto!» Ma, nonostante tutto questo, c’era un gioco che i ragazzi amavano fare, che era assolutamente proibito perché non si doveva in alcun modo disturbare le spighe, per cui anche quelli più arditi facevano ben attenzione a non farsi mai scoprire. Aron rifiutò molte volte, ma alla fine dovette
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cedere alle insistenze del fratello che avrebbe continuato a dargli il tormento per tutto il pomeriggio. «Va bene, una volta sola! E ricorda che se finiamo nei guai per colpa tua farai i miei compiti fino alla fine della stagione!» «Sì sì… ecco prendiamo questa che è più alta!» Avalon cominciò
ad
arrampicarsi
sul
fusto
di
una
spiga
particolarmente alta e robusta. Arrivato in cima, la pianta si piegò sotto il suo peso e Aron riuscì ad afferrarne l’estremità e la tirò fino a farle sfiorare la terra. I fusti erano molto elastici e non si spezzavano mai, nemmeno durante i temporali più volenti. «Al mio tre… uno, due, tre!» Aron lasciò la presa e Avalon fu scagliato in aria. «AAAAAAAAAAAAAAAAA!» Atterrò dopo un lungo volo nel mezzo del campo di erba svelta e un alto ciuffo verde si innalzò immediatamente rivelando il punto esatto in cui era caduto. Tar dal cielo e Moses di corsa arrivarono a dare un’occhiata. Più tardi, decisero di andare a vedere cosa facevano la madre e le sorelle alla Torre Bianca: la Torre si trovava in mezzo
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alla foresta, non lontana dal Tempio. Dal villaggio a piedi ci voleva almeno mezz’ora e si stava avvicinando la sera, ma i ragazzi avevano troppa voglia di vedere la mamma e dare un po’ fastidio alle loro sorelle. «Da quando si sono trasferite a vivere nella Torre, la mamma mi manca», disse Avalon. «M…» rispose Aron, che nel suo linguaggio significava che mancava anche a lui. Avalon continuò: «Io non capisco perché le Ninfe Nutrici debbano vivere appartate nella foresta, potrebbero fare tutti i loro esercizi durante il giorno e poi tornare a dormire a casa, o no?» «No, Avalon, non funziona così, quante volte la mamma te lo avrà spiegato! Le Nutrici hanno bisogno di vivere in simbiosi con la foresta. Al villaggio c’è troppa confusione.» Sì, Avalon lo sapeva, era sempre stato così, ma avrebbe preferito che ci fosse un altro modo. Finalmente comparve la Torre, silenziosa e fresca: si sarebbe detto che fosse cresciuta dalla terra come uno degli altri alberi della foresta.
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«L’edera l’ha quasi completamente ricoperta!» bisbigliò Aron. «Dovremmo smettere di chiamarla Torre Bianca, ormai la pietra non si vede più, è tutta verde!» Si chinò e si mise in tasca una manciata di sassolini. Senza fare rumore, salirono la stretta scala a chiocciola che si attorcigliava intorno all’antica costruzione e finiva all’unica porta che permetteva l’accesso alla Torre. I gradini erano quasi del tutto nascosti dall’edera. Sbirciarono dentro e le videro: nella grande sala circolare, la mamma era seduta al centro e le loro tre sorelle sedevano in cerchio intorno a lei, a terra, con le gambe incrociate, la schiena dritta e gli occhi chiusi. La mamma insegnava loro a meditare e ad ascoltare il respiro della foresta. Meditare ed entrare in contatto con la foresta era uno dei compiti fondamentali delle Ninfe Nutrici. Le sorelle erano poco più grandi dei gemelli e avevano molto da imparare, per questo il silenzio della Torre era indispensabile. Restarono per un po’ a guardarle. Come diceva spesso il Re, di fronte alla bellezza delle Ninfe Nutrici non si potevano trovare parole, si poteva solo restare a guardarle in silenzio. Respiravano piano, i petti gracili si alzavano appena. La loro pelle bianchissima risplendeva
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nell’ombra quieta della stanza. I lunghi capelli di Lan sfioravano il pavimento, quelli di Rie erano legati in una treccia e Sami, che era l’unica ad avere ereditato i capelli rossi del padre, li portava, come sempre, legati con un filo di edera in cima alla testa. Sembravano molto concentrate. I gemelli sapevano benissimo che se le avessero disturbate si sarebbero arrabbiate, ma non potevano accontentarsi di restare solo lì a guardarle. Aron prese dalla tasca un minuscolo sassolino e con un colpo sicuro lo lanciò: con precisione colpì la schiena di Lan, che era la più vicina. Subito i ragazzi si nascosero dietro l’angolo della porta. Lei si mosse appena. Dopo poco ne lanciò un altro, allora Lan aprì gli occhi, si girò lentamente, non vide nessuno alla porta, si girò di nuovo e riprese la sua meditazione. Al terzo sassolino che la colpì, però, capì che cosa stava succedendo: potevano essere solo i suoi fratelli! Con uno scatto veloce e l’espressione arrabbiata si girò verso la porta e li vide che ridacchiavano con la mano sulla bocca. «Scemi! Andate via!» disse muovendo le labbra senza emettere suono, scandendo bene le parole per farsi capire.
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«Volevamo solo salutarti!» le risposero loro nello stesso modo. Lan aprì di nuovo la bocca per dire qualcosa, ma la voce della mamma attraversò la stanza: «Lan, per caso, ci sono i tuoi fratelli che ti disturbano?» Era rimasta ferma nella stessa posizione, teneva ancora gli occhi chiusi, ma adesso sorrideva leggermente. Anche Sami e Rie aprirono gli occhi ma Aron e Avalon erano già spariti. Lan si alzò e si affacciò alla porta. Portava un lungo vestito bianco e sottile che le lasciava scoperti solo i piedi nudi. Vide i suoi fratelli scendere di corsa gli ultimi gradini della scala: mentre correvano via nella foresta, si girarono a salutarla con la mano. Lei scosse la testa, ma rimase ancora un attimo a guardarli mentre si allontanavano: le sembrava che ultimamente fossero diventati più alti e che le loro spalle fossero più larghe. Forse finalmente Aron riuscirà a indossare il suo pettorale come si deve, pensò. Anche se erano perfettamente identici, era facile distinguerli: Avalon aveva un passo più veloce e saltellava mentre camminava, Aron teneva la schiena in avanti quando si muoveva e piegava sempre la testa verso destra quando osservava
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qualcosa o parlava con qualcuno. Quando sparirono tra gli alberi della foresta, Lan fece ondeggiare leggermente i lunghi capelli chiarissimi con un breve movimento della testa e tornò alla sua meditazione. Mentre si sedeva, pensò a quanto in fondo le mancassero il padre e i fratelli. Anche quella volta, come sempre, mentre se ne andavano i gemelli evitarono con attenzione di avvicinarsi alla radura dell’Arnia. Dietro la Torre, in un piccolo prato, si trovava l’Arnia Inaccessibile: era una semplice arnia di legno bianco, ma nessuno le si poteva avvicinare. Di giorno come di notte era pattugliata dalle api guardiane che le ronzavano intorno senza sosta, ma se qualcuno si avvicinava troppo, da una piccola fessura alla base usciva l’intero alveare che si disponeva compatto impedendo a chiunque di raggiungere l’Arnia. Le api custodivano qualcosa di molto potente, un oggetto antico e prezioso conservato all’ombra della Torre fin dalla prima stagione, ma, a memoria di abitante, nessuno sapeva di cosa si trattasse. Naturalmente, Aron e Avalon erano sempre stati curiosissimi, come tutti i ragazzi del villaggio e una volta, quando erano ancora dei bambini,
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avevano fatto un tentativo di avvicinarsi all’Arnia per sbirciare. Per giorni non avevano discusso d’altro, avevano affrontato tutti gli aspetti della missione e sviscerato ogni possibilità, e infine avevano messo a punto un piano infallibile. Un pomeriggio in cui la madre con le sorelle erano andate alle cascate della punta Nord e la Torre era deserta e silenziosa, lo misero in atto. Avevano indossato una specie di armatura che li ricopriva dalla testa ai piedi costruita con le foglie dell’albero del Kiri che erano grandi, spesse e resistenti e che li avrebbero difesi dalle api. Avanzavano schiena contro schiena e ognuno brandiva in mano un ramo con le grandi foglie con cui allontanare le api guardiane. Avevano studiato ogni mossa: arrivati all’Arnia, Aron avrebbe distratto le guardiane, Avalon l’avrebbe sollevata appena il tempo necessario per sbirciare all’interno, Aron gli avrebbe coperto le spalle e scoperto il segreto si sarebbero allontanati. Più tardi, quel giorno, mentre la madre gli medicava con la resina le decine di punture che li ricoprivano, promisero che non si sarebbero mai più avvicinati. Da allora infatti, ogni
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volta che andavano alla Torre, facevano ben attenzione a girare alla larga dall’Arnia Inaccessibile. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD
AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/
Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.