INPS stories

Page 1


In uscita il 29/9/2017 (1 , 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine settembre e inizio ottobre 2017 (3,99 euro)

AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


PIO RACCUGLIA

INPS STORIES Intrecci Storie Negligenze Passioni

Nel piĂš grande istituto di previdenza e assistenza sociale Del mondo

www.0111edizioni.com


www.0111edizioni.com

www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/

INPS STORIES Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-130-3 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Settembre 2017 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


«Un medesimo significato cambia secondo le parole che lo esprimono. I significati ricevono dalle parole la loro dignità, invece di conferirla ad esse». Blaise Pascal

«Evitare uno stile troppo colto. Bisogna aiutare il lettore, ogni tanto, con delle piccole frasi banali». Jules Renard



5 Le stanza è in penombra solo l’abat-jour è acceso c’è silenzio N.d.A.

Buonasera, mi chiamo Pio Raccuglia e sono l’autore di questo romanzo giallo. Mi corre l’obbligo di porgerle, a nome mio e di tutti coloro che hanno concorso alla realizzazione di questo testo, un cordiale augurio di buona lettura. Devo, però, metterla a conoscenza di alcuni fatti strani che mi sono accaduti proprio quando avevo finito di scriverlo… no, niente di preoccupante, stia tranquillo. O, perlomeno, niente di così grave da farle maturare il proposito di evitarne la lettura per non incorrere in chissà quali conseguenze. Si è trattato di avvenimenti che non hanno nulla di pericoloso, tutt’altro. Immagino di averla incuriosita abbastanza ed è giusto che le spieghi, in poche parole, di cosa si tratta. Mi trovavo nel mio studiolo, alle prese con gli ultimi ritocchi al libro che ha davanti agli occhi, quando arrivai a digitare la parola “fine”. «Il libro è terminato» mi dissi sbuffando di stanchezza. Puntai il mouse sull’icona del “salva” e vi cliccai sopra con determinazione. Scivolai sulla sedia, portando le mani dietro la nuca a rimirare la mia opera, che si stagliava sullo schermo del computer. Stavo apprezzando il tipo di carattere scelto e le sue dimensioni, quando ebbi la sensazione che le lettere si animassero, confondendosi fra loro come a formar nuove parole. Si creò una nuova prima pagina che si autoproclamò “backstage”, dopodiché spuntarono nuove frasi e punteggiature. I personaggi del libro si auto-presentarono, affollandosi a tal punto che il nome dell’uno si confondeva con quello degli altri. Allora provai a scrivere anch’io qualcosa, tentando così di mettere ordine in quel guazzabuglio che si stava formando a mia insaputa. «Chi siete? Cosa volete?» scrissi nervosamente sulla tastiera. Non vi fu risposta. Aggiunsi allora dell’altro. «Vi prego, lasciate stare il mio libro». Non apparve alcun carattere. Probabilmente le presunte apparizioni di


6 frasi sconnesse erano dovute alla stanchezza prodotta dallo scrivere fino a tarda sera. Allungai la mano verso il mouse per chiudere il file, quando spuntarono nuovamente dei caratteri che ripresero a formar parole. «Io sono quello che ha battezzato col nome di Concetto Tamagnini». «Io, invece, sono il commissario Chindemi Bartolomeo, della Polizia di Stato». A uno a uno i personaggi si presentarono, cominciando un po’ tutti a lamentarsi, chi per la breve parte, altri per la brutta fine. A un certo punto le frasi si accavallarono così tanto che pensai d’intervenire di nuovo. «Un attimo di attenzione, prego!». Misi un punto esclamativo per dare maggior risalto alla frase. Tutti si acquietarono. «Mi dispiace se siete rimasti scontenti di come vi ho trattato, ma vi giuro che non l’ho fatto apposta». Comparvero dei caratteri strani, come se tanti di loro stessero a rumoreggiare. I successivi caratteri furono, per fortuna, comprensibili. «Sono Tamagnini. Sul fatto che il libro sia suo, siamo tutti d’accordo, ma non per questo ha il diritto di creare dei personaggi per essere utilizzati in modo sconsiderato, non crede?». «Cosa avrei dovuto fare, chiedere la vostra collaborazione? Questa è bella!». «Lascia stare Concetto, a questo ci penso io. Allora, mio caro scrittore da strapazzo, è il commissario Chindemi che le parla…». «Lei è commissario perché l’ho deciso io, chiaro?». Altri caratteri strani apparvero. Le lascio immaginare come dovevano essere arrabbiati! Chindemi riprese a scrivere. «Su questo concordiamo tutti. È proprio l’averci dato un’identità, un carattere per ognuno diverso e altro ancora che la deve far sentire obbligato moralmente all’assunzione di responsabilità nei nostri confronti». «Scusi, in che senso?». «Come, in che senso…». «Bartolomeo, se permetti rispondo io. Sono Dora Terzi e riconosco che mi ha dato una parte importante…». «È contenta, quindi». «Sì, ma non è questo il punto. Pensa veramente che uno scrittore possa detenere fino alla fine il potere di vita o di morte sui propri personaggi? Una volta che li ha ideati, formati, inseriti in contesti che li hanno visti protagonisti, non può decidere autonomamente di cambiare i loro destini. È la loro storia fin lì vissuta, è la loro esperienza maturata nel tempo che li ha portati a essere quel che sono. E non li può cambiare per puro divertissement».


7 Come può ben immaginare, mi resi conto che tanto torto, alla fine, non avevano. «Ho capito cosa volete dirmi» le risposi. «Un personaggio può subire delle trasformazioni ma occorre che vi sia una giustificazione valida, almeno dal punto di vista narrativo». «Bravo, signor… come si chiama?». «Io Raccuglia, e lei?». «Giovanni Spagnolo. Sono il direttore regionale dell’Inps. Quindi, se è d’accordo con noi, prenda la penna… oh, pardon, il mouse e faccia in modo che la storia sia sensata, okay?». A quel punto, per prendere tempo, scarabocchiai dei caratteri bizzarri, tipo “zxfnsbzw”, come a dire che stavo riflettendo. Mi lasciarono pensare. A un tratto, caro signore, tutto mi fu chiaro. Ripresi a ticchettare sui tasti. «Ho capito qual è il problema e ho la soluzione». Vidi lampeggiare lo schermo. Seguitai. «L’autore, in quanto tale, è responsabile della trama e si serve dei personaggi necessari ma ha l’obbligo morale, da fabbricatore di storie, di utilizzarli nel modo migliore, rispettando le loro doti caratteriali e il loro vissuto…». Fui interrotto da un sacco di  favorevoli. Continuai a scrivere. «Lasciatemi dire. Proverò a modificare, aggiustare, sistemare per quanto mi sarà possibile ma non chiedetemi miracoli. Il problema vero però è un altro...». Comparvero tanti punti interrogativi. «… e sorge quando il libro è dato alle stampe ed entra in relazione con i suoi lettori. Della buona riuscita in termini generali ne è responsabile l’autore, l’editore, il correttore di bozze, il grafico, la catena di distribuzione eccetera...». Non vi furono più interruzioni. Si vede che stavano attenti al display. «… ma della riuscita individuale ne sono responsabili in massima parte gli stessi personaggi». Le emoticon si sprecarono fino a quando intervenne di nuovo Tamagnini. «Sono Tamagnini. La ringrazio per la disponibilità ad apportare dei cambiamenti, però noto che sta provando a invertire l’ordine delle cose. Se ho capito bene, ci vorrebbe convincere che la responsabilità maggiore del buon andamento delle vendite è nostra?».


8 «Sì, ma solo nel momento in cui ci si rapporta col singolo lettore. Quando una persona decide di comprare un libro, tiene conto del parere dei critici, valuta l’affidabilità della casa editrice, poi si lascia convincere anche dalle qualità grafiche, dal prezzo abbordabile e lì finisce il compito dell’autore, editore, eccetera». «E noi, povere marionette in balia dei suoi umori, che responsabilità potremmo avere?». Altra caterva di faccine strane comparvero a favore di Tamagnini. Provai a spiegarmi meglio. «Nel momento in cui il lettore si siede su una poltrona e apre il libro, siete voi che interagite con lui, non certo io!». «Sono Esther Melioli. E che dovremmo fare, secondo lei?». «Vede, cara Esther, il lettore tipo non esiste. Potreste incappare in una persona particolarmente colta, oppure poco istruita che magari ha dei pensieri per la testa, eccetera. C’è quello che legge per svagarsi, quell’altro per riempire uno spazio di relax, oppure chi cerca delle rivincite e si identifica con un personaggio e così via. Ecco, voi dovreste creare un rapporto di complicità che l’attiri e lo tenga agganciato alla trama fino alla fine e che abbia persino desiderio di rivedervi in azione in nuove avventure». «Sono il dottor Parisi. Secondo lei, dovremmo fare in modo che il lettore si affezioni ai personaggi, cioè a noi stessi. È questo il nostro compito?». «Sì, è proprio questo» risposi, soddisfatto di essere riuscito a persuaderli. «Che ne dite, vi ho convinto?». Apparvero un mucchio di “sì!”, “bene!”, “sicuro!”. Stavo accingendomi a spegnere il computer quando comparvero altri vocaboli scritti in “Garamond”. «Sono l’avvocato Lorenza Vendretti. Allora, Raccuglia, direi di stringere un patto di reciproca collaborazione. E voi, amici, siete tutti d’accordo?». Risposero di sì. «La prego solo di avvertirci quando dovremo entrare in ballo». Come avrà capito, ormai siamo pronti per garantire ai nostri lettori un buon libro da godere tutto d’un fiato. Adesso, se mi permette, vado a dire loro che è già in postazione, pronto a leggere. Mi creda, non può immaginare in che stato d’ansia li


9 metterò! Ecco, ho finito il mio compito, adesso inizia il suo e spero che le piaccia. Ringraziandola per l’attenzione accordatami, le auguro buona lettura.


10

BACKSTAGE

«Mannaggia, Concetto, dobbiamo ancora iniziare e già quest’abito di scena comincia a darmi fastidio!». «Caro Bartolomeo, che dovrei dire io che interpreto il personaggio principale?». «Se permetti, Concetto, qui di protagonisti ce ne sono almeno due, capito?». «Lorenza, vuoi paragonarti a me? Non scherzerai mica! Sì, una qualche importanza non ti si può negare…». «Smettetela voi due, che poi, da buon poliziotto, della parte determinante me ne devo occupare sempre io. Ah, ecco Dora, finalmente. Adesso può cominciare lo spettacolo; noto che la signora si è degnata d’indossare i panni di scena». «Sei sempre lo stesso, Bartolomeo, il garbo ti contraddistingue sempre». «Basta, è ora di finirla!». «Ragazzi, sono Raccuglia. Forse ci siamo». «Non ci posso credere. Andiamo a sbirciare dietro la copertina, presto!». «Che sta succedendo, Concetto?». «Forse abbiamo un lettore, Lorenza». «Allora stiamo per entrare in scena? Ragazzi, come mi batte il cuore!». «Piuttosto, dov’è Lisa? È lei che appare per prima. Lorenza, Dora, vedete se è ancora nel suo camerino». «Ha ragione Bartolomeo quando dice che quella lì non finisce mai di truccarsi. Su, Dora, andiamo a vedere dove s’è cacciata». «Ecco, sta per aprire il libro e Lisa è sparita, per la miseria!». «È arrivata, Bartolomeo. Dov’era finita, ragazze?». «L’abbiamo beccata in camerino, indovinate cosa faceva?». «Solo un po’ di cipria, che c’è di male?». «Bartolomeo, cosa sta facendo il nostro lettore?». «Ormai ci siamo, ha finito le dediche ed è passato già alla nota dell’autore. Ragazzi, è arrivato il momento tanto atteso, ci sta leggendo!».


11

PRIMA PARTE



13

CASA DI LISA ANDRETTI

Lisa era una donna giovane ma sfortunata. Non è che non disponesse di belle fattezze; era, infatti, molto carina. Per darvi un’idea della sua bellezza vorrei servirmi di una pittura. Avete presente la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci? Be’, la Cecilia Gallerani, dipinta in quel quadro, fa capire quanto era attraente la nostra Lisa. E, prendendo a prestito i versi di Bernardo Bellincioni, potremmo descriverla così: “Cecilia! Sì bellissima oggi è quella che a suoi begli occhi el sol par ombra oscura”. In pratica non le mancava nulla per godersi la vita e farla godere agli altri e, appunto, questo era il suo problema. Da quando era ragazzina, la mamma non faceva che vestirla in modo da accentuare le sue forme, senza tenere conto che queste si sarebbero notate a prescindere dal vestito indossato. Come accade, per esempio, nel mondo delle favole, in cui Cenerentola appare bellissima anche se coperta solo dai suoi straccetti sporchi. Questa ricerca della perfezione corporea l’aveva abituata a non perseguire altrettanta finezza nella cura della sua bellezza interiore che rimase rintanata nella psiche della sua infanzia. I rapporti amorosi, che non le mancavano mai, iniziavano in grande stile, solitamente amore a prima vista, per poi regredire in amplessi sempre meno coinvolgenti e appaganti. D’altronde questi rappresentavano le uniche finalità ambite dai suoi provvisori partner. «Sono convintissima di aver trovato l’amore della mia vita» diceva spesso a se stessa allo specchio mentre si truccava, anche se era ben consapevole che il rapporto non era dei più lineari. Infatti, il presunto amore era sposato e, come se non bastasse, con questa persona conviveva stabilmente. Il suo amore definiva il loro rapporto “dominante” per diversificarlo dall’altro, quello ufficiale. «Vedrai, Lisa, che presto da relazione dominante diventerà legame ufficiale». Il suo pio desiderio si tramutò in certezza assoluta allorquando il par-


14 tner le disse che era d’accordo a renderlo pubblico. Quella sera, come d’abitudine, si sarebbero incontrati a casa sua ma stavolta l’appuntamento era riservato alla messa a punto di ciò che si doveva fare. Le era stato detto che bisognava tenere conto di tutti i fattori in gioco, per tentare di evitare discussioni, discordie e azioni rivendicative del coniuge che si dimostrava ancora innamorato. Lisa non stava più nella pelle. Fra qualche minuto il suo amore avrebbe suonato alla porta e quello sarebbe stato l’ultimo approccio clandestino. Non avrebbe dovuto più eliminare le tracce del loro idillio, per sicurezza, perché questo le si diceva di fare. Così, lo star lì a lavar le lenzuola dopo il rapporto consumato, candeggiare i sanitari, insaponare le stoviglie e gettare nel pattume anche un semplice scontrino dimenticato apparteneva ormai al tempo passato; il futuro si prefigurava a due, nell’intimità come in pubblico, e il solo pensiero di ciò le procurava dei fremiti di gioia che solo delle bambine pre-adolescenziali riescono a percepire con tanta intensità. «Accipicchia, e questo cos’è?» si domandò, mentre andava in camera a finire di truccarsi. Sotto il letto, celato dai lembi del piumone che poggiavano sul pavimento, si scorgevano dei fogli di carta, pinzettati nella parte in alto a sinistra. Li raccolse e si rese conto che erano dei documenti di lavoro dell’amante; si ricordò perché si trovassero lì e non dentro il borsone porta-documenti che l’amor suo portava sempre con sé quando usciva dal suo ufficio per venire a trovarla. Quella sera era stata lei che, preso il borsone da sopra il letto, l’aveva consegnato, tutta eccitata dagli accordi presi, al suo amoruccio che nell’attesa, indossato lo spolverino e rassettato i capelli, si attardava a sistemarsi per bene il berretto all’ingresso. Non diede un’occhiata dentro, per vedere se fosse tutto a posto, come faceva sempre; si limitò insolitamente ad allungare una mano per ricevere il borsone e ad accettare di farsi baciare prima di andare via. “Adesso lo metto in cassaforte, tanto da domani questa casa sarà anche la sua”. *** Suonò, puntuale come sempre. Le braccia al collo e un bacio seguirono subito dopo. Il borsone questa volta l’appoggiò sullo scendiletto della camera da letto. Lisa comprese da quel gesto che aveva una voglia matta di fare l’amore subito e, anche se si erano detti che quel giorno avrebbero solo


15 parlato, non se la sentì di dire no. Afferrò i lembi del suo tailleur e stava per sfilarselo da sopra la testa quando si vide porre le mani sulle sue braccia, a fermargliele. Si vede che le veniva richiesto un trattamento speciale e, anche se avrebbe voluto che rispettasse i patti, non seppe dire di no. Così lasciò che le scorresse la cerniera lentamente e, sempre con movimenti calmi, le abbassasse le bretelline facendo in modo che il vestito si sfilasse da solo, ricadendo sul pavimento. Poi procedette in sequenza con gli altri indumenti. Questa sua voglia di indugiare nei preliminari era insolita, anche se aveva dimostrato sempre una certa tenerezza. Forse voleva compiacersi, per l’ultima volta, delle sensazioni provocate da un rapporto clandestino e questo pensiero la eccitò enormemente. Si compiacque di starci a quell’insolito gioco erotico, e ricambiò le sue attenzioni restituendo gesto su gesto, languidamente. Si adagiarono sul letto e incominciarono a baciarsi e a carezzarsi con estrema dolcezza e tenerezza e questo già bastò a soddisfarla tantissimo. Le mani sul suo corpo erano delicate al punto che le sembrò che avesse timore di farle del male ma, come poteva essere? Si dispose sul dorso, nell’atteggiamento di colei che vuole essere penetrata. Fu accontentata subito e tutto quello che serviva era lì, pronto da un pezzo. Le due teste si picchiettavano con ritmo cadenzato, conformemente all’alternarsi delle incurvature sinuose di entrambi i dorsi. Lisa capì che la fine era vicina e, infatti, dopo alcuni istanti capitolò sussultando di gioia sterminata. Il colpo, giunto in quell’attimo di eternità, la sottrasse alla visione della morte, sicché essa non poté segnarle il volto che rimase sereno. L’Amante Perduto le aveva fracassato la tempia con il pesante posacenere d’alabastro che la sprovveduta teneva sul ripiano che fungeva da porta-cuscini. Anche quell’oggetto si frantumò in tanti pezzetti verdi e arancioni, che rotolarono sul volto della sventurata per poi ricadere da una parte e dall’altra, a inghirlandarle il viso che già si andava arrossando. *** Anche se la situazione che si era creata era eccezionale, i suoi gesti rimasero calmi e meticolosi, come sempre. Stavolta non toccò a Lisa il noioso compito di pulire e lavare. Tutto ciò che era necessario fare fu portato a termine; e così, quando il sangue


16 si coagulò, deterse e profumò il cadavere e il viso fu truccato con accuratezza. Le lenzuola furono lavate, i sanitari igienizzati mentre i cocci del posacenere furono sistemati in una ciotolina di ceramica e posizionati al loro solito posto, sul ripiano al capezzale del letto. Alla fine, il corpicino inerme di Lisa, anche se con grande fatica, venne risistemato sul letto e coperto fino al ventre con il piumone; il viso, pur nella fissità della sua condizione conclusiva, ostentava una pittorica vitalità che produsse, in coloro che ebbero la ventura di vederla da morta, una sensazione di composta piacevolezza.


17

CASA DI CONCETTO TAMAGNINI

Sera del quattro dicembre 2011. Concetto, come tantissimi italiani, era davanti alla tv a seguire l’illustrazione del decreto “Salva Italia” da parte del nuovo governo. Più che al provvedimento in sé, era interessato alla riforma pensionistica in esso contenuta e che, a quanto pare, ne costituiva la parte più cospicua. Quella sera si era ritirato presto, volendo assistere in diretta alle novità della legge, sperando che non lo riguardassero in prima persona. Però, dicevano in giro che ci sarebbe stata una nuova stangata sulle pensioni e lui, che sapeva che avrebbe maturato i requisiti nel corso del 2012, si sentiva scombussolato. Per questo, nel momento in cui il primo ministro dette la parola alla Fornero, drizzò le orecchie. L’audio, inspiegabilmente, si era abbassato e lui, per essere certo di sentire tutto per bene, premette più volte sul tasto del volume del telecomando. “… sessantadue anni per la pensione delle donne, 66 per gli uomini. Non ci sono più finestre né le quote, anticipiamo così le misure previste dal precedente decreto correttivo…”. “E che significa? Non posso andarci più? Mah!” “… la convergenza invece tra uomini e donne per l’età di vecchiaia a sessantasei anni, e che per gli uomini è prevista fin dal 2012, sarà raggiunta nel 2018…”. “Ma allora sono rovinato!” Il cinquantanovenne Concetto rimase in balia di un sommovimento dell’organismo che gli procurò qualcosa di simile a uno tsunami. In un primo momento avvertì una sensazione, come del rinsecchirsi dei fluidi extracellulari che si ritiravano praticamente dalla maggior parte dei suoi organi verso posti ignoti per poi cogliere il prorompente bisogno di liberarsene attraverso i canali lacrimali. Ma, vedendo il latore di quella ferale notizia, probabilmente perché colpito in prima persona dalle parole testé pronunciate, rimanere preda di un irrefrenabile pianto dirotto, riuscì a calmarsi tramutando però quello stimolo in altri di diversa natura, di sicuro ben più rumorosi ed eloquenti.


18

INPS – SEDE PROVINCIALE DI CLATERNA

Quel lunedì 5 dicembre 2011, degli spiritosi colleghi riservarono ai tre sfigati in odor di pensione un’accoglienza speciale. Avevano, infatti, incollato al muro, davanti agli orologi posti subito dopo l’ingresso degli impiegati, un foglio A4 con un necrologio pensionistico a uso dei compagni di lavoro rei di condividere la stessa età, cioè quella della sfigatissima “classe 52”. Quando Concetto entrò, si accorse del foglietto ma suppose che si trattasse del solito comunicato sindacale. Dopo aver timbrato decise comunque di darci un’occhiata. Abbiam tre vec’ un po’ sunè che pensan sol alle pension per ander a pi, a girer, a fare solo i pelandron. Comprese subito che era opera di qualche compagno di lavoro burlone e si accinse a leggere il resto. Ma la ministra non fa gli accordi e dice di quelli del cinquantadue: “Sân sbianchiien da strapâz, dei balordi; an sân mégga Cimabue!” «Secondo me è stato quel pirla di Stefano. Oh, quando vado su vedrai che gli faccio!». «Dai Giorgi, stai calmo che non ne vale la pena. È andata così, purtroppo. Piuttosto, fammi leggere il resto». E così tornate a sgubèr, Conci, Giorgi e Ligabue e alla pension che più non vien gli diciam in coro: sócc’mel!


19

Mentre si dirigeva verso le scale, sentĂŹ il Giorgi che vociava al Ligabue che, arrivato in quel momento, stava accingendosi al cambio di occhiali per leggere meglio.


20

INPS – SEDE REGIONALE DI BOLOGNA

Alfredo Mariani era abbattuto mentre si trovava nel vagone di prima classe del treno che lo stava portando a Bologna. Quel mercoledì del 1° febbraio 2012 la neve stava cadendo abbondantemente su tutta la Val Padana e quel treno non ne voleva sapere di arrivare in orario. «Porca zozza, proprio oggi doveva nevicare. Non viaggio quasi mai e ora che non ne potevo fare a meno, guarda qua quanta neve! Speriamo almeno di arrivare in tempo alla sede regionale. Chissà se troverò il Zanni». Il dottor Giovanni Spagnolo, soprannominato Zanni, era il direttore regionale dell’Inps e il dottor Mariani quello della sede provinciale di Claterna. Meno male che dalla stazione centrale l’Inps distava pochissimo e fortunatamente non c’era il rischio di bagnarsi troppo, in quanto per una buona parte si percorreva la galleria 2 Agosto 1980. Spagnolo lo accolse subito. «Alfredo caro, accomodati. Aspetta che chiamo il bar e ti faccio portare qualcosa di caldo. Va bene una tazza di tè o vuoi altro?». «Va bene il tè, anche se non riuscirà a togliermi il fiele che ho dentro». Il Zanni prese la cornetta in mano e chiamò il bar. «Eles, sì sono Spagnolo, fammi una cortesia, porta su un tè, anzi, portacene due, ok? Grazie». Finito di parlare, si sedette nella poltroncina di fronte a quella dove si era sistemato il Mariani. «E allora, Alfi? Dev’essere successo qualcosa di veramente increscioso». «È così e ancora adesso non riesco a capacitarmi che sia accaduto proprio a me». «Mi vuoi dire, cavolo?». «Niente, è solo che hanno ucciso una persona e pensano che sia stato uno dell’Inps». «Come? Chi l’ha ucciso?» domandò il capo, che non riusciva a trova-


21 re la posizione giusta su quella poltroncina, quasi fosse un cadreghino. «Non ti preoccupare, non sanno, la polizia dico, non sa ancora chi può essere stato ad assassinare quella povera ragazza…». «E chi era?». «Una certa Lisa Andretti. Ho già fatto dei controlli e non sembra che vi sia alcun collegamento col nostro istituto, se non fosse per…». «Per che cosa?» fece Spagnolo, che mostrava tanta voglia di sapere e spingeva il suo sottoposto ad arrivare presto alla fine del racconto, perché gli interessava capire quale poteva essere il grado di coinvolgimento dell’Inps e soprattutto il suo. «Il fatto che nella sua cassaforte è stato trovato un ricorso giudiziario contro il ruolo». Nel frattempo era entrato Eles con il carrello su cui stazionavano la teiera, due tazze e delle madeleines, che tanto piacevano al Zanni. Non appena il barista uscì, il direttore regionale tornò alla carica. «Spiegamelo bene, per favore». «Il ruolo esattoriale, sembra per contributi omessi ma il commissario non ha specificato più di tanto. Ha solo detto che il giudice, proprio per questo, già qualche mese fa ne aveva disposto la sospensione». «E noi che c’entriamo in tutto ciò?». «Il commissario ritiene che possa esserci un impiegato dell’Inps connivente e che probabilmente lavora all’ufficio legale. Quel documento ha il timbro nostro!». «Quale timbro? Quello a secco?». «Sì, proprio quello. Per questo non esclude che possa trattarsi dell’omicida stesso». «Ah…». «Mi ha anche detto che non hanno proceduto con l’informazione di garanzia perché non hanno certezza della persona implicata né dell’eventuale formulazione di reato. Chiede anche una nostra collaborazione». «E che possiamo fare, secondo lui. I poliziotti?». «Dice che, essendo a capo di un’istituzione pubblica, abbiamo il dovere di collaborare più di un qualunque comune cittadino. E poi si rende conto che bisogna evitare di alzare polveroni. E per far ciò gli serve il nostro aiuto». «Uhm… qui ha ragione il nostro commissario. Come si chiama?». «Chindemi, Bartolomeo Chindemi, di Siracusa. È siciliano, Giovanni». «Se è di Siracusa è siciliano di sicuro, non ti pare?».


22 «Comunque ha ragione che dobbiamo aiutarlo… qui bisogna evitare che nasca un putiferio con i giornali; mamma mia, non ci voglio proprio pensare». In realtà ci pensò e, subito dopo, aggiunse: «Ma te l’immagini cosa potrebbe accadere se si venisse a scoprire che la procura sta cercando un omicida fra i dipendenti dell’istituto? No, non ci voglio proprio pensare» disse, pienamente convinto dalle sue stesse argomentazioni. «Senti, una cosa possiamo farla da subito. Hai presente quei colloqui, quelli del nucleo di valutazione?». «Ah, quelli, sì, ma che c’entrano?» osservò il direttore provinciale. «C’entrano, eccome! Con la nuova organizzazione che l’Istituto si è dato non dobbiamo nominare, fra gli altri, an-che i responsabili amministrativi degli uffici legali? Bene! Nominiamo a Claterna qualcuno che, oltre a essere bravo, sia soprattutto una persona di cui ci si possa fidare. «Scusami, fammi capire bene come potremmo o dovremmo agire. Ci sarà un colloquio, anzi ne dovremmo fare tanti e…». «Alfredo, lascia perdere i tanti e concentrati su colui che dobbiamo prendere. Deve essere uno bravo, è chiaro…». «È quello che volevo dire…». «Insomma, un individuo che goda della fiducia di questi colleghi del legale, che non gli sia inviso, cioè; in modo che possa entrare in confidenza, hai capito? Che ne dici?». «Mi pare un’ottima idea. Ma chi prendiamo? Non mi viene in mente nessuno» fece Alfredo. «Non ti preoccupare, vedrai che lo troveremo, speriamolo almeno. Comunque, facciamoci venire qualche idea, che il tempo stringe. Questo qui lo dobbiamo nominare entro marzo!».


23

USCITA DEI BANDI E PROVE CONCORSUALI

A gennaio uscirono i bandi e tanti colleghi spronarono Concetto a fare domanda. «Dai Conci presentala, su! Vedrai che questa è la volta buona». In realtà lui aveva voglia di tentare ancora, ma non voleva apparire un carrierista e poi non gli andava di comportarsi diversamente da coloro che, pur volendosi mettere alla prova, andavano dicendo in giro che no, questa volta non avrebbero partecipato. Il problema era che ora, a differenza delle volte precedenti, il nucleo di valutazione aveva deciso di rifare i colloqui a tutti e questo aveva preoccupato chi, come Conci, avendolo già superato, non era sicuro di riuscire a farcela ancora. Una decisione, infine, la prese. Ma proprio all’ultimo, appena qualche ora prima che il tempo previsto dal bando scadesse. La presentò ma decise di non prepararsi; solo che, a mano a mano che il giorno del colloquio si avvicinava, non se la sentì di correre il rischio, non di fare bella figura ma di farla brutta; e per evitare quest’ultima eventualità provò a rimediare una preparazione che lui stesso definì di “galleggiamento”. Questa consisteva nel rinfrescarsi un po’ la memoria, badando soprattutto agli argomenti più attinenti con la seconda preferenza che aveva segnalato. Cos’era questa fantomatica preferenza? Era semplicemente la possibilità data al candidato di elencare almeno due incarichi che, fra le varie “offerte” annoverate nel bando di selezione, gli risultassero di maggior gradimento. Non aveva voglia di provare a fare le scarpe al suo responsabile dell’Assicurato-Pensionato che riteneva valido e capace. Decise, quindi, di concorrere per il Controllo Prestazioni di cui l’allora responsabile gli aveva da tempo confidato di voler lasciare per mantenere quello dell’ufficio Contabilità, che gli era stato affidato ad interim. L’altra scelta fu per l’agenzia territoriale di Ozzano, attraente soprattutto dal lato economico perché maggiormente remunerata in quanto posizione organizzativa con rilevanza esterna. Sapeva, però, che il titolare in scadenza sarebbe stato sicuramente riconfermato. C’era un posto che si veniva a costituire per la prima volta, quello dell’ufficio legale, ma


24 non lo interessava nel modo più assoluto. «Conci, perché non provi con l’ufficio legale?» gli consigliavano i colleghi più prossimi. «Ma no, dai! Lì ci vuole una laurea specifica, in giurisprudenza di sicuro e io non sono nemmeno laureato». «Ma ti mancano poche materie, no?». «Sì, ma niente a che vedere con quel tipo di studi, e poi ormai ho smesso di frequentare». Così, indicò le altre due nell’ordine d’importanza, secondo il grado e il censo, sapendo di concorrere più che altro per il meno nobile e cioè per il “Controllo prestazioni e Ricorsi amministrativi”. *** I candidati, radunati nella stanza del Comitato, in attesa del loro interrogatorio, esprimevano le loro sensazioni soprattutto a Tamagnini, che consideravano il meno coinvolto. «Caspitina, Conci, sono una molla pronta a scattare. Tu, invece, mi sembri calmo». «Non so te ma io sto per svenire». «Mannaggia, non mi ricordo più niente!». «Su, ragazzi stiamo calmi e sereni. Se c’innervosiamo, complichiamo tutto» rispondeva solerte e tranquillizzante. Lui, così come gli altri notavano, dimostrava quello che veramente percepiva in quelle circostanze, ossia i nervi a posto. I suoi cinquantanove anni sicuramente l’aiutavano a non accentuare più di tanto l’ansia e il nervosismo che comunque c’erano. È vero che di occasioni di far carriera difficilmente ne avrebbe avute in futuro e sarà per questo che lui, quando si rese conto che era arrivata l’ultima opportunità da sfruttare, reagì con calma e sicurezza; sostantivi che, in altri momenti, preferiscono stargli alla larga. L’ultimo a essere esaminato fu lui. «Buongiorno Tamagnini, si accomodi pure» gli disse Mariani mentre lo riceveva alla porta del suo ufficio, adattato per la bisogna a “Camera di Tortura Candidati”. E, mentre gli infondeva coraggio con una vigorosa stretta di mano, con l’altra lo spingeva vero la “sedia chiodata”. Ebbe la sensazione che con quei gesti volesse camuffare agli occhi degli esaminatori un eventuale atteggiamento riluttante da parte sua. Concetto si sentì rinfrancato e riacquistò pienamente calma e serenità. Non oppose resistenza alla stretta


25 di mano, anzi sorrise al direttore quasi a ringraziarlo del piacevole indolenzimento che gli aveva procurato. Accettò il suo cortese invito a indirizzarsi verso la poltroncina a lui riservata ed espresse gioiosità nell’accettare le proposte di saluto da parte dei componenti del Nucleo. Poi si accomodò sulla seduta chiodata mostrando di gradire anche quella e, dopo essersi allentato le braghe all’altezza delle ginocchia, poggiò una mano sul fianco e l’altra sul mento, con il gomito sul tavolo. Il senso di quella postura veniva maggiormente esplicitato dall’apporto della mimica facciale che denotava sguardo attento e pensieroso mentre la posizione assunta, pur di attesa, mostrava d’esser propedeutica al successivo impiego del gesto in supporto alla parola. «Come va? È tutto a posto?» domandò il tortura… oh, pardon, il Zanni che lo voleva mettere a suo agio. «Veramente non è che vada proprio bene» fece il Conci. «Perché? Che c’è che non le va?». «Ma doveva per forza riconvocarci?». «Non avrei dovuto, forse? E come mai?». «Già ci aveva sentiti e un’idea se l’era fatta. Comunque, ci ha messo in un mare di confusione». «Confusione?». «Sì. C’è chi ha dormito pochissimo per il timore di far brutta figura; ci sono colleghi che si sono messi persino in ferie; io, per esempio, credo d’aver perso almeno due chili». Durante quell’inusuale dialogo i valutatori stavano tutti zitti e aspettavano la reazione di Spagnolo. «Allora vede che abbiamo fatto bene a convocarvi di nuovo!». Questa risposta fece ridere tutti e per Concettino fu una buona partenza. «E poi, è così sicuro di aver superato il colloquio l’ultima volta?». «Non credo che se lo possa ricordare, visto la grande quantità di colleghi che ha esaminato. Però le assicuro che sono andato bene». «Arrigo, secondo te com’era andato Tamagnini?». Arrigo, vice direttore regionale, diede una scorsa alla rubrichetta che teneva sul tavolo e dichiarò che no, non aveva risposto bene. «Non è possibile, dottor Gianchetti. Le ripeto, sono sicurissimo di quello che dico». «Arrigo, quali erano le domande che gli avevamo fatto?». «La prima era sulle pensioni». «E come ha risposto?». Il vice, facendo finta di leggere un responso sfavorevole, bisbigliò:


26 «Ha risposto male». «Assolutamente no. Ho risposto benissimo!» Gianchetti tenne il viso chino sulla rubrica e non obiettò. «E la successiva?». «Sulla gestione del credito». «E anche a questa ho risposto benissimo» fece Concetto. Il vice continuò a non fare alcuna osservazione ma, tenendo sempre il capo chino, accennò un sorriso. «Poi gli abbiamo chiesto dell’avviso di addebito». «Anche su questa tutto okay». «E infine sulla normativa disciplinare». «Ed è qui che non ho risposto!». A questo punto Gianchetti rivolse lo sguardo sorridente a Spagnolo che si ricordò della domanda fatta a suo tempo. «Ah, ora mi ricordo, come no!» disse dandosi una manata sulla fronte. Poi, di seguito affermò qualcosa che fece molto piacere al Conci. «Forza, che mi sta piacendo! Avanti, Alberto, fagli tu una domanda». Alberto Di Girolamo era il direttore di Ravenna. «Mi può dire come si svolge il procedimento dell’avviso di addebito quando è stato attivato già il recupero rateale del credito?». Su quell’argomento c’erano delle novità legislative rispetto al precedente colloquio; pensò a un tranello teso ma si tranquillizzò perché la sapeva. «Mi pare che con decorrenza primo gennaio dell’anno scorso l’Istituto, prima di ricorrere all’avviso di addebito, può avvalersi della facoltà di richiedere al debitore il pagamento mediante un avviso bonario». Diede un’occhiata al suo direttore che gli fece l’occhiolino. “Buon segno” pensò, rincuorato. «Conseguentemente, presumo che, per essere in corso la rateizzazione, il contribuente debba aver già sottoscritto un piano di ammortamento. Solo nel caso di mancato versamento, mi pare… ecco… penso di due…». Concetto guardò il dirigente in faccia e lui annuì. «Rate consecutive ci potrebbe essere la revoca della dilazione, dopodiché tutto passerebbe di mano, cioè a Equitalia». Vedendo che non sembravano accontentarsi della risposta, provò ad aggiungere qualcos’altro. «In ogni caso, avverso l’avviso di addebito può essere presentato ricorso presso il giud…».


27 «No, non vada oltre che sui ricorsi Gianchetti ha già predisposto una domanda per lei». E poi, rivolgendosi al direttore regionale precisò: «Io, comunque, mi ritengo soddisfatto». Gianchetti prese la parola. «Sì. Veramente m’interessavano soprattutto i ricorsi in fase legale. Può dirmi qualcosa su quest’argomento?». «Quello che posso dire è che esiste una novità che attiene ai ricorsi giudiziari in materia di invalidità civile, che devono soggiacere a nuove modalità procedurali. Il giudice nominerà un CTU, ovvero un Consulente Tecnico d’Uff…». «Ma quali preferenze ha indicato?». A interromperlo era stato Spagnolo che stava spulciando fra le sue carte, alla ricerca di quei dati. «Ah, sì, ma lo sa che quei posti non sono liberi? Ci sono dei responsabili in carica. Come mai non ha fatto domanda per l’ufficio legale che si assegna per la prima volta?». «Ma, veramente, pensavo di essere fuori posto». «E perché?». «Penso che vi siano dei colleghi molto meglio preparati di me che possono ricoprire quel ruolo. Almeno credo». «Non creda e non pensi. Mi dica solo se si sentirebbe di ricoprire quell’incarico oppure no». Concetto non seppe più cosa rispondere, anche se qualcosa doveva pur inventarsi. Guardò Spagnolo, poi Gianchetti, Di Girolamo, la dirigente della sede regionale Graziella Domenghini, il suo direttore e tutti quanti sembravano pendere dalle sue labbra. “Vuoi vedere che nessuno di quelle iene dei miei colleghi ha presentato domanda per il legale?” pensò convulsamente e, visto che i secondi passavano, provò a dire che sì, certo che gli andava di accettare! «Dottore, se mi chiede chi è l’attuale direttore centrale delle pensioni oppure quello delle prestazioni io, sinceramente, non le saprei rispondere». Spagnolo gli mostrò uno sguardo perplesso ma lui non si perse d’animo. «Sa perché? Perché sono lontani da me. Intendiamoci, leggo e applico le loro circolari, ma non sono i miei referenti diretti. Da responsabile, mi dovrò riferire a lei, che il mio direttore regionale e…», si girò dalla parte opposta «a lei, che è il mio direttore provinciale. Con voi dovrò confrontarmi, discutere, obbedire, persino disobbedire…». Gli occhi si erano spalancati su di lui. «Quando dovessi, per assurdo, riscontrare la non legittimità degli atti che voi potreste sollecitarmi ad assumere, nel caso in cui ovviamente ne fossi responsabile in prima persona».


28 Aveva pronunciato, senza saperlo, la frase magica. La persona che cercavano era lì, davanti a loro. Aveva dimostrato di essere preparato, ma soprattutto di essere talmente onesto da aver la forza di disobbedire ai suoi superiori, se costoro si fossero dimostrati corrotti, comunque indegni del loro compito. «Ancora non ha risposto alla mia domanda. E allora, Tamagnini?» l’incalzò il Zanni. «Certo che sì, se questo può far piacere ai miei direttori». L’accomiatarono con le solite strette di mano vigorose e una serie di pacche complimentose sulle spalle che lui decifrò come nomina sul campo. Uscì da quell’ufficio esultando dentro di sé, sentendosi osannato come può esserlo un pontefice. Infatti, la notte si sognò di ripetere il colloquio e di superarlo con una brillantezza tale che si sentì sollevato di peso da Spagnolo e Mariani e posto sulla sedia chiodata. Questa, per l’occasione si era trasformata in gestatoria e su di essa fu portato a spalla da costoro fuori dalla stanza. Una moltitudine di colleghi, accorrendo da tutte le parti, confluì nel corridoio a vedere il “prescelto” per acclamarlo e alcuni vollero porgergli dei documenti da fargli firmare. Lui, ridendo a crepapelle, arraffò quei fogli e gli appose il “Sigillo del Capo”. La folla osannante, riappropriandosi dei preziosi “Atti Convalidati”, si ricongiunse alle sue spalle dopo il suo passaggio e lo seguì in processione fino a quando i valenti portatori lo infilarono con tutta la sedia nell’ascensore. Egli, pigiando il pulsante dell’aldilà, s’involò oltre il terrazzo per assurgere al paradiso riservato ai “Bravi Impiegati”.


29

ACCETTAZIONE DELLA POSIZIONE ORGANIZZATIVA

«Ma è sicuro di quello che dice? Mi sembra tutto un brutto sogno, dottor Mariani, proprio un gran brutto sogno!». «Intanto diamoci del tu e chiamami Alfredo, per cortesia». «Sì, potrei essere d’accordo ma se lo faccio adesso mi prenderei troppa confidenza e potrei, per esempio, chiederle del perché avete scelto proprio me per questo… come lo debbo definire? Vuole che usi un termine dispregiativo? Ne preferisce uno più confidenziale?». «Hai tutte le ragioni di questo mondo, Concetto… posso chiamarti così, vero?». «Mi chiami pure come vuole, ma questo non me l’aspettavo, soprattutto da Spagnolo, questo no!». «Concetto, ma ci pensi che sei stato scelto per le tue doti morali e di grande, veramente grande onestà…». «Qui c’è di mezzo un omicidio! Ma le pare che l’incremento retributivo possa, come dire, possa…». «Non compensa Concetto, non può compensare, ci mancherebbe altro». «Appunto. Sapete cosa si fa, Alfr… no; lo chiamerò per nome solo quando avrò accettato, sempre che decida di farlo. Facciamo così dottor Mariani, dica al Zanni, oh pardon, Spagnolo, che Tamagnini è disposto ad accettare se lui sgancia il triplo, che dico, il quadr…». «Tamagnini, stai dicendo… stupidaggini». «Non c’è problema. Tanti saluti e amici come prima». Concetto gli afferrò la mano e gliela strinse forte, almeno questa rivincita se la prese. «Vai pure, che stai a fare ancora qui?» disse Mariani che non aveva opposto resistenza alla stretta. La mano l’immolò a parziale compensazione di quel chiarimento sul durissimo lavoro che aveva appena finito di prospettargli. Si accorse, però, che il nuovo capo in pectore dell’ufficio legale era rimasto immobile. Forse non si aspettava quella sua ritirata repentina? Decise di continuare con questo cambio strategia. «Comunicherò al direttore regionale che non ha accettato, diciamo, per motivi personali. Poi convocherò il commissario Chindemi e gli dirò


30 che non abbiamo motivo di procedere così come precedentemente concordato e che può emettere tutti gli avvisi di garanzia che vuole e…». «Adesso non dica lei idiozie. Questo è un ricatto! Così non farà certo gli interessi dell’Istituto, non finga di non saperlo». «Intanto, non puoi affermare che dico baggianate dandomi del lei, caro mio». Ovviamente il ‘caro’ era ironico. «Si rende conto che non può impedirmi di darle del lei, chiaro?». Il direttore lo guardò schifato. “Se non riesco a convincerlo, Spagnolo mi fa un culo così” pensò con sofferenza, quasi a immaginarsi il dolore che si poteva provare in quella circostanza. Tentò, quindi, di controbattere. «Perché fai finta di non sapere che, senza di te, posso fare ben poco? Forse conosco questa sede come la conosci tu? Sono nella condizione di poter ricevere delle confidenze da questi colleghi?». «Certo che sì, è il direttore di questa sede se non sbaglio». «No! Posso solo comportarmi secondo il ruolo che ho e basta. Tu, invece, potresti fare tanto per loro. Di te si fidano perché ti conoscono. Solo tu puoi impedire che un collega innocente possa ricevere un avviso di garanzia e magari un processo inquisitorio che gli rovinerebbe la carriera e chissà quante lacrime e delusioni». Concetto aveva abbassato lo sguardo e sembrava riflettere. «Quello che ti chiedo di fare sono solo tre, anzi quattro cose». «Non credo di essere all’altezza del compito». Mariani era prostrato e deluso dello sforzo che si rivelava inutile. «Fammele dire, per favore!». Tamagnini abbassò lo sguardo, come a voler significare che avrebbe acconsentito. «Una è che devi tentare di far funzionare come si deve quell’ufficio, l’altra è di provare a tirar fuori dagli impicci quei colleghi che non c’entrano nulla ed evitare di farli soffrire inutilmente; terzo, io e il Zanni… abbiamo bisogno di te». Si fermò, attendendo che gli chiedesse dell’ultimo favore. «E la quarta?». «Vedi di farlo soprattutto per te stesso!». Tamagnini Concetto, di anni cinquantanove, scribacchino per una vita, decise che era arrivato il momento di attaccare le mezze maniche di tela al chiodo. «Ha ragione, dottor Alfredo; sì va bene, Alfredo e basta. Allora che facciamo? Dai che la ‘quarta’ mi piace!».


31

DIFFERENZE FRA UFFICI E ACCORDO CON IL DIRETTORE

«Buongiorno Egisto, mi cercavi?». «Sì, Concetto. Vieni qua, fatti abbracciare» rispose il suo capo alzandosi e andandogli incontro. «Sono proprio contento per te, te lo meritavi proprio». «Grazie di cuore. Come vedi c’hai indovinato». «Te lo dicevo fin dai tempi che scelsero me per questo posto, ti ricordi? Ti dicevo che sarebbe stato più giusto se avessero preso te. A proposito, mi hanno detto che non hai concorso per questo posto. Come mai?». «Dai, ma ti sembra che mi mettevo contro di te? Sì, è vero, all’inizio era logico concorrere ma ora, con l’esperienza che ti sei fatto sul campo, non aveva senso e sarebbe stato ingiusto. Piuttosto, cosa mi puoi dire del legale?». «Siediti che ne parliamo». Concetto non se lo fece ripetere. «Apparentemente i colleghi dell’ufficio legale, a vederli con gli occhi di noi che siamo alle pensioni, sembrano né più né meno uguali ai colleghi degli altri uffici, no?». «Sembrerebbe di sì. Ricordo che col tempo fra noi che siamo adesso una quarantina…». «Conci, era lo stesso quando eravamo sessanta o più». «Giusto. A lungo andare, dicevo, s’era creata una confidenza che derivava da una lunga conoscenza non limitata, come dire, al comportamento che tenevamo in ufficio ma estesa alle abitudini a stare insieme con i nostri stessi familiari». «Vedo che la pensi come me. Solo che questo stato di cose ha portato noi, ma questo ragionamento vale per qualunque altro ufficio, a racchiuderci in noi stessi costituendo, si potrebbe dire, un assieme catalogabile con la medesima etichetta». «È proprio vero! Infatti gli altri ci hanno sempre catalogato come “i colleghi delle pensioni” e noi, di converso, li definivamo come “i colle-


32 ghi delle aziende” e così via. In pratica ognuno dei componenti era identificabile da un comportamento, come dire…». «Assimilabile al contesto di cui faceva parte». «Bravo, Egisto». «Grazie. È anche vero che in quelli corposi come il nostro si creavano, come dire, dei sottogruppi i cui membri dimostravano maggiore affiatamento; ma lì si trattava di storie di vera amicizia e non più solo di rapporto collaborativo». Dai discorsi fatti con il suo ex capo Concetto imparò che i colleghi dell’ufficio legale costituivano una diversità in quel contesto. Bisognava assimilarli certamente a un sottogruppo se si faceva riferimento solo al numero complessivo degli addetti mentre, se si prendeva a riferimento il ruolo di appartenenza, ecco che l’avere competenze di notevole diversità contribuiva a scavare al suo interno profondi fossati. Per questo era necessario che egli iniziasse subito a prendere confidenza dei rapporti umani esistenti al suo interno. E poi non doveva trascurare la storia personale di ciascuno e gli venne in mente che questo particolare studio poteva assolverlo ricorrendo all’aiuto del commissario Chindemi. Nell’attesa, quindi, della nomina ufficiale, chiese al direttore di fissargli un appuntamento con questo tizio. «Concetto, l’incontro è per le diciannove e trenta di sabato. A proposito, per te va bene come orario?». «Ma sabato non si lavora! E poi, a quell’ora, figuriamoci». «Forse non hai capito» borbottò Mariani, infastidito dal fatto che Tamagnini non arrivasse a comprenderne i motivi. Gli venne da pensare che, probabilmente, c’era da lavorare molto su quell’uomo abituato da sempre a essere un semplice impiegato e che da un giorno all’altro avrebbe dovuto pensare e agire da capo. Pazientemente, proseguì con le spiegazioni. «Chindemi, non vuole e non può farsi vedere in istituto. Ufficialmente nessuno qui dentro è implicato e di questa storia non deve trapelare niente. Ecco perché tu…». «Ah, giusto!» riconobbe il Conci. «Mannaggia, non ci avevo pensato» aggiunse. «Scusami, ma…». «Ci mancherebbe altro! Pian pianino ti dovrai abituare e non ti faccio fretta. Ci vuole tempo ma vedrai che per te non ce ne vorrà poi tanto. Piuttosto, volevo dirti che l’appuntamento è davanti al teatro, sì, quello lirico. In pratica basta che tu arrivi lì che sarà lui a contattarti». «Già mi conosce?». «Non sarebbe un poliziotto, no? Sarà lui ad avvicinarsi e lo farà con


33 fare amichevole, come se foste amici da tanto tempo. Lì, evidentemente, potrete parlarvi…». «Sì, ho capito tutto. Sarà il primo approccio e ne dovranno seguire molti altri». «Esatto. Poi toccherà a te rapportarti dopo con lui; vi metterete d’accordo». «Piuttosto, se dovrò affrontare delle spese, che ne so, un caffè oppure qualcos’altro anche di più costoso come debbo comportarmi? Nel senso che mi rimborserete? Per esempio, sabato, a quell’ora un po’ di fame ti viene…». «Non ti preoccupare, Chindemi mi ha detto che tutte le spese dei vostri incontri rientrano nel budget investigativo del commissariato. Anche il biglietto del teatro». «Come il biglietto, ma per caso dobbiamo entrarci dentro? Ah, io pensavo che dopo l’incontro avremmo fatto una passeggiata!». Mariani non replicò. Si vedeva che cominciava a innervosirsi. «Vabbè, okay ho capito tutto, almeno credo» continuò Concetto, che s’era accorto della gaffe e così, tanto per dire qualcosa a conclusione dell’incontro, domandò: «Che spettacolo c’è sabato sera?». Il direttore non gli parve vero di potersi scrollare di dosso, in un sol colpo, un fastidioso malessere che si sentiva crescere dentro, sicuramente procurato da quei, per lui, noiosi chiarimenti che a ragione o a torto aveva dovuto fornire al non tanto ancora consapevole responsabile Tamagnini; e così rispose con finta noncuranza: «I lombardi alla prima crociata!».


34

INCONTRO COL COMMISSARIO

«Tamagnini?». «Sì?». «Piacere. Sono Bartolomeo Chindemi». «Piacere mio, mi dispiace di conoscerla in un momentaccio simile». «Ci sono abituato. Piuttosto, gliel’ha detto il suo direttore che è meglio se ci spacciamo per amici, vero?». «Sì, certo, è meglio non dare nell’occhio». «Appunto. Cominciamo, quindi, da subito. Io di lei so abbastanza mentre di me non sa quasi niente». «Proprio niente». «Per l’appunto. Quindi ci daremo del tu, Concetto. Per iniziare, sappi che io sono originario di Siracusa. Sicilianu sugnu, ah, ah!». «Io invece no. Si sente, vero?» disse Concetto che cominciava ad avvertire una certa antipatia nei confronti del commissario. «Sì, si sente. Però, con quel nome. Tamagnini sarà tuo padre mentre Concetto…». «Okay, okay, mia mamma era siciliana ma sono nato e cresciuto a Claterna e mi è sempre dispiaciuto di an capir un azidóll del sizigliàn». «Nessuno è perfetto». L’antipatia aumentava e Concetto fece forza su se stesso per non rispondere per le rime. «Piuttosto, dimmi qualcosa di te. Ah, boja dla miseria!». Era successo che la scarpa destra, avvertendo il pericolo di essere trafitta dal tacco a spillo di una signora che arretrava incautamente, aveva allentato la sua tomaia. Rischiò, però, di trasferire così il duro colpo, quasi del tutto, alle povere dita del malcapitato piede in esso contenuto. Al primo contatto i muscoli interessati entrarono in funzione repentinamente, ma non riuscirono a svincolare la scarpa dal tacco killer che si conficcò sulla mascherina della calzatura, deformandola e penetrando fra le ossa del metatarso. «Scusi, le ho fatto male? Oh, Tamagnini è lei!». «Salve avvocato. No, non si preoccupi, cose che capitano». «Va tutto bene? Hai problemi?» domandò il commissario.


35 «No, fa male, ma è tutto a posto. La signora è una mia collega, sai?» fece Concetto mentre stringeva la mano alla proprietaria di quel tacco maledetto. «L’avvocato Lorenza Vendretti, il commissario Chindemi». «Molto lieto». «Piacere mio. Vi presento mio marito. Alfonso, vieni!». «Ma è il giudice Guarino, vero?». «Sì, commissario… eccolo! Alfi, lui è il commissario…». «Chindemi, come no! Salve, commissario. Come va?». «E questo è il mio collega, appena diventato capo ufficio proprio da noi. A proposito, Tamagnini, ho saputo che il Zanni ha già firmato la determinazione e domani sicuramente la vedremo nei messaggi… ma, piuttosto, le ho fatto tanto male? A proposito, non è meglio darci del tu?». «Assolutamente no, cioè sì, nel senso del tu» farfugliò arrossendo. «Vedrai che mi basteranno poche settimane di ricovero in ospedale per guarire». «Speriamo che non ce ne sia veramente bisogno. Quindi, tu e il commissario vi conoscete?». «Siamo amici di vecchia data; nel s-senso…» balbettò Concetto. Gli venne in aiuto Bartolomeo, almeno tentò di farlo. «Che la mia famiglia e la sua, cioè quella di sua madre che è…». Ahi, la mamma era morta da qualche anno. Tamagnini intervenne ancora: «Era siciliana e si conoscevano, loro, da tanto tempo». A conti fatti, non è poi così difficile inventarsi una comune storia familiare. *** Finito il primo tempo, presero atto che ne avevano avuto abbastanza dell’opera lirica. Decisero di guadagnare l’uscita, raggiungendo velocemente la macchina di Concetto. S’infilarono dentro a scambiarsi qualche informazione. «Ma chi era questa ragazza uccisa?». «Una certa Andretti Lisa, di anni trentacinque, piuttosto belloccia». «E che faceva, la prostituta?». «Non proprio. Diciamo che il suo mestiere era quello di innamorarsi perdutamente di qualcheduno che, per suo conto, si voleva soltanto divertire». «Che poveracci!». «Per la verità, li pescava ricchi perché il giro che frequentava era


36 quello. Sai, dopo il primo se la spassavano i suoi amici, insomma quei tipi lì». «E com’è stata uccisa?». «Sicuramente dopo che hanno fatto l’amore. Ci pensi? Che vigliacco!». Concetto rabbrividì ma diede la colpa alla macchina che era fredda. «E il movente?». «E bravo, Concettino! Il movente cerchi? Dimmi un po’, ma quanti film gialli hai visto, una montagna, vero?». «È che volevo darmi un contegno. Ma tu lo sai qual è il movente? Oppure viaggiate alla cieca?» insistette il Conci che tremava dal freddo, così tanto che anche il commissario lo notò. «Sento un po’ di freddo, Concetto. Fammi il favore, metti in moto, così ci riscaldiamo; magari facciamo un giro qua intorno». La macchina si mosse piano e s’infilò nell’onda verde. «Questo figlio di puttana ha cancellato ogni traccia di sé, carogna!». «Ma allora che c’entriamo noi?» disse con forza “l’infreddolito ora un po’ meno”. «Che fai, tenti di fuggire? Mi lasci solo a combattere contro questo killer di donne sole? Vigliacco!» disse Bartolomeo sogghignando. Concetto, anche se per quel solo istante, volle godersi il piacere di non averci nulla a che fare. Sapeva che non era così ma si sentì rinfrancato. «E invece voi c’entrate, eccome! Ah, il mio caro, come dite voi? Ah sì, caro il mio responsabile!». «Ho capito che ci siamo dentro fino al collo per via di quel documento che avete trovato in cassaforte». Chindemi si rabbuiò. «Il documento c’era. Qualcuno dei miei l’ha visto e gli ha anche dato una scorsa. Solo che l’ha rimesso dentro la cassaforte quando siamo andati via». «Come? Mi vuoi dire che poi non l’avete trovato più?» sbottò stupito. Il commissario si fece ancora più cupo. «Andando via abbiamo seguito le regole, sigilli e tutto, la volante con due poliziotti parcheggiata sotto. Quella notte sembrava che non ci volessero far stare in pace; chiamate a ripetizione». «Per caso fu quella la notte in cui una macchina era andata a sbattere con quattro ragazzi a bordo, ubriachi?». «Per i due davanti niente da fare, poi…».


37

«Poi c’è che vi siete lasciati trombare dall’omicida!» Concetto si era fermato nello stesso posto di prima, con il condizionatore acceso. «Spegnilo, se no ti faccio una multa per cretinaggine acuta. A quest’ora la gente dorme!». Tamagnini obbedì. «Quando i due ragazzi di dietro furono portati via dall’ambulanza, il mio sottoposto mi disse del documento». «Già, il “famoso documento” che se non ci fosse stato non sarei qui a rovinarmi la vita». «Sì, proprio quello lì. Capii subito che poteva fornirci degli indizi sull’identità dell’omicida per cui, dopo avergli fatto un cazziatone siamo andati a riprendercelo. Saliti su, che ti vedo? Sigilli manomessi, porta chiusa, cassaforte aperta e…». «Cazziatone per i due poliziotti in macchina». «Esatto, quel cretino fortunatamente si ricordò che si trattava di un ric…». «Ricorso giudiziario. La ragione sociale della ditta se la ricordava?». «Macché. Dice che ha visto scritto una sigla e comunque non si ricorda i nomi, per cui, caro il mio “responsabile aiutante”, adesso tocca a te. Mi aiuterai?». “E due!” pensò Concetto, riferendosi al suo direttore che gli aveva chiesto la stessa cosa. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.