In uscita il 31/10/2017 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine ottobre e inizio dicembre 2017 (3,99 euro)
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DAVIDE DONATO
IO SONO IL RE NERO
ZEROUNOUNDICI EDIZIONI
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IO SONO IL RE NERO Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-138-9 Copertina: immagine proposta dall’Autore
Prima edizione Ottobre 2017 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
A Paolo Bernardini, mio maestro, che tanto ha migliorato la mia scrittura e che ancora vive nella nostra memoria.
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PREFAZIONE
In questo libro, un giallo basato sugli scacchi, passione che mi porto da quando ero piccino e giocavo con mio padre e gli altri avventori del bar gestito da mia nonna Rina, viene raccontata una partita a scacchi. Ammetto che questa bellissima partita non è merito del mio ingegno e che per poter creare e adattare una storia credibile ho usato una famosa partita di scacchi che si è giocata in Olanda e più precisamente a Wijk aan Zee, tra Judit Polgar e Viswanathan Anand nel 1988. È una partita diventata famosa che ha visto la Polgar trovarsi in una apparente situazione di svantaggio poi volta clamorosamente a suo favore. Mi scuso con tutti i puristi del bel gioco, ma per motivi di trama il finale è stato adattato alla storia narrata nel libro. Spero gradirete lo stesso del modo in cui ho modificato il finale della partita stessa. Ancora sorrido quando ripenso alla risposta che una casa editrice, anche abbastanza conosciuta, mi ha dato quando una decina di anni fa proposi questo libro in valutazione. Mi dissero che il libro era molto bello, la trama avvincente, il finale a sorpresa e assolutamente non scontato, i personaggi tracciati perfettamente ma… che sarebbe stato meglio cambiare la partita all’interno del libro perché si vedeva che era giocata da “principianti”. Chissà, se al tempo il libro fosse stato letto da qualcuno più avvezzo al gioco, cosa ne sarebbe stato de “Io sono il Re Nero” Donato Davide
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CAPITOLO 1
Jimmy teneva la sigaretta con le braci rivolte verso il palmo, usando quattro dita della mano destra. La portava alla bocca e aspirava a occhi chiusi, e mentre il fumo gli sfuggiva dalle narici la sua mano “armata” ridiscendeva leggera lungo il fianco. Henry lo guardava, pestando i piedi per riscaldarsi. Jimmy portò la sigaretta alla bocca e lì la lasciò, aggrappata pendula al suo labbro, mentre ne prendeva un’altra dal pacchetto. Usò il mozzicone per accenderla, prima di gettarlo a terra ancora vivo. Aspirò illuminando le braci. «Danne una anche a me.» «Ma tu non fumi!» «Dammela lo stesso, ho freddo!» La giornata primaverile aveva riservato una mattina di pioggerellina sottile e un pomeriggio assolato. Ma in quella sera, già scura, un leggero vento freddo da Nord si intrufolava tra le case di Newcombe, trascinando turgide nuvole rischiarate da improvvisi lampi muti. Henry aveva preso a noleggio un vestito, un tight leggero, immaginando che lo avrebbero fatto entrare subito al ricevimento, invece un guardiano li aveva bloccati all’entrata. Avevano parcheggiato in un’area per disabili, di fronte all’entrata del Majestic, ed erano scesi aspettando di poter entrare. Jimmy prese il pacchetto e si colpì leggero sul dorso della mano. Una sigaretta scivolò fuori più delle altre; fece per porla ad Henry, ma quegli si allontanò di corsa attraversando la strada. «C’è Peter!» gli gridò mentre si dirigeva verso la Dodge nera del commissario Everett. Jimmy buttò la giovane sigaretta che teneva tra le labbra, la finì con il tacco dei suoi mocassini e si mise al volante. Henry si avvicinò alla Dodge, parlò con Peter e poi si girò verso Jimmy facendogli cenno di venire avanti. Questi accese il motore, ingranò la marcia e si accodò all’auto del suo capo.
8 «Ha detto di seguirlo» disse Henry saltando in macchina. Al commissario Everett bastò un cenno al guardiano per farsi aprire, quando però fu la volta di Jimmy ed Henry l’uomo abbassò la sbarra e si avvicinò al finestrino. «Avete l’invito?» «Siamo con il commissario Everett.» «Niente invito?» «No! Niente invito, testa dura. Te l’abbiamo detto anche un quarto d’ora fa!» «Allora non posso farvi entrare.» «Ma non la vedi la macchina della polizia, coglione? Cosa devo fare, accendere sirena e lampeggiante per farti capire chi siamo?» «Mi dispiace, ho ordini precisi. Il sindaco si è raccomandato…» Jimmy, stanco di trattare, schiacciò forte il pulsante del clacson e lo tenne premuto fino a quando Peter, che attendeva al di là della sbarra, non scese dall’auto e li raggiunse. «Sono con me.» «Ma commissario…» si lamentò la guardia. «Non preoccuparti, sono stati invitati» disse fissandolo con i suoi occhi azzurro ghiaccio «alza la sbarra.» L’uomo ci pensò un attimo, poi li lasciò passare. Parcheggiarono vicini. «Come sei elegante, Emma!» La moglie del commissario indossava un lungo vestito nero, sberluccicante di mille strass, e aveva raccolto i biondi e lunghi capelli in uno chignon. «Anche tu lo sei, Henry.» «E Timmy?» «È a casa con la babysitter» rispose Emma «Elisabeth?» chiese poi rivolgendosi a Jimmy che arrivava da dietro all’auto con una nuova sigaretta accesa in bocca. «Non è stata invitata. A dire il vero non siamo stati invitati nemmeno noi» rispose Jimmy. «È un peccato! Ci fosse stata lei, avrei almeno avuto qualcuno con cui chiacchierare…» «Sarebbe stato lo stesso» intervenne Peter alle sue spalle «noi siamo al tavolo del sindaco…» «E noi no!» puntualizzò Jimmy. «Entriamo adesso. Voi venite?»
9 «Finisco la sigaretta» rispose Jimmy. «Io vengo con voi» disse Henry «fa troppo freddo qui fuori. Ti aspetto dentro» aggiunse poi rivolgendosi al collega. Il Majestic, il più lussuoso hotel di Newcombe, era stato addobbato a festa per l’occasione e brillava in quella notte di inizio primavera. C’erano luci ovunque, e occhi di bue da duemila watt si inseguivano sulla gigantografia del sindaco Ledger fatta fare apposta per l’occasione. La breve scalinata che conduceva al piano nobile dell’hotel era un’esplosione di fiori variopinti e profumati. Paggetti in divisa rossa sgargiante, con bottoni dorati, attendevano sulla porta gli ospiti per accompagnarli nella lussuosa sala dove decine di camerieri si affaccendavano, come solerti api operaie, tra i tavoli imbanditi. Sul palco le dolci note di un quartetto d’archi riuscivano a malapena a sovrastare il brusio della gente già seduta per la cena. Il sindaco preparava la nuova campagna elettorale e quella serata di gala doveva servire a mostrare la bontà del lavoro svolto nei cinque anni del suo mandato e a convincere quanti lo avevano sostenuto nella tornata elettorale precedente a rinnovargli la fiducia. Jimmy entrò nella sala accompagnato da un paggetto con i capelli intonati al colore della divisa che indossava. Appena lo vide apparire Henry si alzò dal posto dove era seduto e si sbracciò per farsi notare; Jimmy lo vide e lo indicò al paggetto. Henry era stato parcheggiato in un tavolo laterale, adiacente al bagno, assieme a una decina di bambini. «Non c’era altro posto!» disse Henry quasi a scusarsi. «Io qui non ci sto, e non dovresti restarci nemmeno tu. O mi trovi un posto decente o me ne vado» disse Jimmy rivolto al paggetto. «Certo, signore» rispose il ragazzetto guardandosi attorno, poi cominciò a camminare tra i tavoli e ritornò poco dopo trionfante «venga, le faccio strada.» Jimmy lo seguì e trovò posto a un tavolo centrale, tra persone che non conosceva, ma da dove poteva vedere il tavolo del sindaco con le più alte personalità della città. Tra loro c’era anche Peter con la sua signora; lo invidiò. A metà della cena pensò che la “haute cuisine” fosse fatta solo per gli anoressici. Gli avevano già servito cinque minuscole e coreografiche portate dai nomi altisonanti e lui aveva più fame di prima. Le altre persone al suo tavolo si sprecavano in complimenti per il cibo raffinato
10 che avevano potuto gustare e lui sognava un bell’hamburger con patatine e Coca Cola. Stanco di rimanere seduto con persone a cui non aveva niente da dire decise che, se non poteva tornare a casa da Elisabeth, almeno poteva concedersi una sigaretta. Stava per alzarsi quando si levò il sindaco che, microfono alla mano, raggiunse il palco. Un applauso convinto si alzò dalla sala. «Grazie, grazie. Siete troppo buoni, grazie» disse al microfono mentre gli applausi si acquietavano «ma ditemi: applaudite me o l’ottima cena che vi è stata servita?» Molti in sala si misero a ridere e dal fondo un uomo si alzò in piedi e urlò: «Applaudiamo te! Evviva il sindaco Ledger!» E tanti lo seguirono e si alzarono applaudendo e inneggiandolo. «Tra pochi mesi ci saranno le elezioni» disse il sindaco riportando un minimo d’ordine «consegneremo la nostra bella città nelle mani dei repubblicani?» «Nooo!» si levò un grido dalla sala. «Volete che le nostre strade restino sicure e pulite e le nostre scuole luoghi dove poter lasciare serenamente i nostri figli, sapendo che saranno cresciuti ed educati secondo regole sane e democratiche, o vogliamo lasciarci trascinare nuovamente nell’anarchia di un miope governo repubblicano?» «No! Non lo permetteremo» urlò la sala. «Il mio avversario, quel… Quimby, crede che creare una squadra in grado di governare una città sia come fare un album di figurine. Non bastano nomi altisonanti per formare un gruppo vincente. Bisogna mettere le persone giuste al posto giusto, persone disposte a darsi per la comunità, per il bene della gente di Newcombe. E noi ce le abbiamo le persone giuste, le persone in grado di governare al mio fianco e sono qui con noi questa sera, pronte a rimettersi in gioco per il bene di tutti. Commissario, venga, salga sul palco» disse il sindaco al microfono rivolgendosi a Peter. Un applauso di incoraggiamento si levò dalla sala. Peter prese il tovagliolo che aveva appoggiato sulle gambe e lo torse prima di buttarlo sul tavolo, poi si alzò cercando di sorridere e, saliti i tre scalini che portavano al palco, raggiunse il sindaco sotto i riflettori. In molti sogghignarono nel vederli vicini, l’uno truce e maestoso nel
11 suo metro e novanta di muscoli, l’altro così magro e minuto da sembrare un infante al suo fianco. Il sindaco prese la mano di Peter e la alzò in segno di vittoria, mettendosi in punta di piedi pur di portarla più in alto possibile, ma riuscendo a malapena ad alzarla a livello degli occhi del commissario. Quel gesto scatenò gli applausi del pubblico e Peter, immobile, rimase con il braccio teso davanti a sé come in un saluto fascista, attento a non far cadere la sua pesante mano sulla testa sgombra di capelli del sindaco Ledger. «È con uomini come questi che abbiamo reso la nostra città migliore» gridò il sindaco alla gente urlante «di quanto è diminuito il tasso di criminalità nella nostra città negli ultimi tre anni?» chiese al commissario. «Del ventisette percento» disse Peter al microfono passandosi la mano tra i corti capelli neri che risposero come molle, ritornando ritti appena liberati da quel peso. «E quanti sono i casi rimasti irrisolti alla fine dell’anno scorso?» «Nessuno» sussurrò al microfono, ma la voce amplificata risuonò chiara nella sala. «Avete capito?!» urlò il sindaco «negli ultimi tre anni, da quando ho messo quest’uomo a capo della polizia, il tasso di criminalità è diminuito del ventisette percento e nell’anno scorso nessun caso è rimasto irrisolto. Saper governare significa questo, mettere le persone giuste al posto giusto.» «Sììì» urlò la gente in sala. «Che schifo!» disse Jimmy, e dopo aver vuotato il suo bicchiere se ne andò passando tra la gente che inneggiava al sindaco. Uscì sulla veranda dell’hotel. Il vento leggero del Nord aveva portato a termine il suo compito e le nubi stavano riversando generose il loro carico sulla città. Jimmy prese il pacchetto delle sigarette, lo avvicinò alla bocca e con le labbra ne sfilò una. La accese e si appoggiò alla ringhiera per assaporarla e godere dello spettacolo della pioggia che cadeva violenta piegando le foglie e i petali dei fiori tra crepitii e schizzi. «Non si può fumare qui, signore» lo distolse una voce alle sue spalle. «Come vede non posso uscire, diluvia» disse senza voltarsi. «Però qui non si può fumare. Regola dell’hotel.»
12 Jimmy si girò e lo guardò negli occhi. Era un uomo sui quarant’anni, alto e robusto, con una linda divisa blu. «Non disturbo nessuno qui fuori. Siamo solo io e lei.» «La prego, non insista. Spenga quella sigaretta.» Jimmy diede una profonda tirata, poi soffiando il fumo sulla faccia dell’uomo in divisa rispose: «Neanche morto.» L’uomo, con un gesto rapido, strappò via la sigaretta dalle labbra di Jimmy e la gettò al di là della ringhiera. Jimmy, sorpreso, la guardò cadere dentro a una pozzanghera e spegnersi, colpita a morte da pesanti gocce di pioggia. Si girò di scatto, afferrò l’uomo per la giacca e alzandolo di peso lo schiacciò al muro. «Tu vuoi morire!» gli urlò «dillo che vuoi morire!» «Mi metta subito giù!» disse l’altro rosso in viso «io la denuncio. Aiuto!» cominciò a gridare «aiuto!» «Non azzardarti mai più a farmi una cosa del genere» gli disse scuotendolo come fosse un sacco di grano da vuotare degli ultimi chicchi rimasti, mentre l’altro, sgambettando alla ricerca di un appoggio al suolo, continuava a chiamare aiuto. «Jimmy, Jimmy, mettilo giù!» disse una voce familiare alle sue spalle. «È stata colpa sua, Henry.» «Ti credo, ma mettilo giù. Dai, andiamo via.» Jimmy appoggiò a terra l’uomo in divisa, che subito indietreggiò radente al muro. «Ti è andata bene» disse Jimmy minacciandolo con il dito teso. «Vieni via, non ti serve un’altra denuncia per violenze» disse Henry, e correndo sotto la pioggia si rifugiò in automobile seguito dall’amico. «Lo conoscevi quel tipo?» «No!» «Pensi che sapesse che sei un poliziotto?» gli chiese Henry prendendo un fazzoletto dalla tasca e strofinandoselo sui biondi capelli ondulati. «Non credo» rispose Jimmy passandosi la mano sulla testa pelata, liberandola con un sol gesto dalle gocce di pioggia che la imperlavano. «Ma cosa ti ha fatto?» «Mi ha chiamato “sporco negro”.» «E tu l’hai attaccato al muro per questo?» «Esatto!»
13 Henry accese l’auto e uscì dal portone del Majestic, incustodito sotto la pioggia scrosciante. «Andiamo, ti porto a casa da Elisabeth.»
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CAPITOLO 2
Il sole nuovo filtrava dalle finestre del commissariato di Newcombe illuminando il monitor del computer di Henry. Il riflesso era insopportabile. Quella scrivania vicina alle finestre esposte a est gli era stata assegnata d’imperio da Jimmy, più anziano e alto in grado di lui. D’inverno era anche piacevole poter godere della poca luce che filtrava dall’esterno, ma appena il sole si faceva più arrogante lavorare lì, in quella posizione, era quasi un martirio. Henry si alzò e si avvicinò alla finestra per abbassare le persiane. «Non provarci nemmeno» lo bloccò Jimmy «Ma il sole mi batte sul monitor!» «Io ho bisogno di luce, lo sai. Spostati, se ti dà fastidio.» Henry ritornò bofonchiando alla scrivania, prese il monitor con due mani e provò a variarne l’inclinazione in maniera da eludere il riflesso. Peter entrò proprio in quel momento, con il giornale sotto braccio e addosso gli occhiali da sole. «Voi due con me!» disse passando tra le loro scrivanie affacciate senza abbassare lo sguardo. Jimmy ed Henry si guardarono. «Merda! Quello dell’hotel deve aver parlato» sussurrò Jimmy. «Stai calmo, sentiamo quello che ha da dirci.» «Mi becco un’altra sospensione.» «Te la meriteresti! Sei sempre pronto a risolvere tutto con la forza. Devi imparare a usare meno le mani e più il cervello» disse toccandosi la fronte con l’indice. L’ufficio di Peter era stato ricavato costruendo una parete in cartongesso in mezzo alla stanza. In quell’ambiente al secondo piano del commissariato lavoravano solo loro tre, tutti gli altri detective erano stati tutti spostati in una stanza adiacente, più ampia e scura. Peter li fece entrare e chiuse la porta alle loro spalle. Si sedettero di fronte a lui.
15 «Cosa ti è successo? Sembri appena uscito da un incontro di boxe!» gli chiese Jimmy appena Peter si tolse gli occhiali da sole mostrando delle profonde occhiaie. «Non ho chiuso occhio tutta la notte, abbiamo portato Timmy all’ospedale. La babysitter si è ordinata del cibo cinese e ne ha dato anche a lui, deve avergli provocato una reazione allergica. Il bambino vomitava, così siamo dovuti tornare a casa poco prima di mezzanotte… a proposito, ma voi dove eravate? Mi hanno detto che avete lasciato la festa molto presto.» «Sì» rispose Jimmy «Elisabeth mi ha chiamato… Andrew è caduto e perdeva molto sangue dal naso, credeva se lo fosse rotto.» «Adesso come sta?» «Bene, non era niente.» «E tu?» chiese poi ad Henry. «Io ero in macchina con lui» rispose scrollando le spalle. «Dicci di Timmy, invece» intervenne Jimmy. «È ancora in ospedale, hanno preferito tenerlo in osservazione una notte.» «Meglio essere prudenti in questi casi» sentenziò Henry. «Cosa ve ne è parso della festa di ieri sera? E del mio intervento?» chiese Peter. «Una bella festa, abbiamo anche mangiato molto bene…» disse Henry. «Insomma!» commentò subito Jimmy «erano porzioni da neonato.» «E quello che ho detto io?» «Be’, non è che tu abbia parlato molto» disse Jimmy. «Come? Ho parlato almeno una decina di minuti.» «Jimmy non ti ha sentito, era già uscito» spiegò Henry «ma io c’ero e devo dire che sei stato bravo e convincente… anche se non è vero che l’anno scorso non è rimasto nemmeno un caso irrisolto. Per esempio la storia dei Wilson…» «…e anche il caso della signora Campbell. Non abbiamo ancora la certezza che si sia trattato di un suicidio» intervenne Jimmy. «E cosa dovevo fare?» disse Peter aprendo le braccia «era la serata di gala del sindaco! Mi ha detto che ieri sera si giocava buona parte della sua campagna elettorale e che gli serviva il mio aiuto. Glielo dovevo, se sono diventato capo della polizia di Newcombe è anche grazie a lui.» «Noi dovremmo essere apolitici, non dovremmo schierarci né con l’uno né con l’altro» puntualizzò Jimmy.
16 «Adesso il sindaco è Ledger, e io sono stato invitato alla sua festa in qualità di capo della polizia locale. Non ho fatto altro che esporre i risultati dei miei ultimi tre anni di lavoro. È fuori di dubbio che da quando sono io al comando, la situazione a Newcombe è cambiata. Perché non dovevo dirlo su quel palco?» «E andresti a dirlo anche se fosse Quimby a chiamarti?» chiese Jimmy. «Certo! Anche se è ovvio che non mi chiamerà mai. Dopotutto io sono quello che ha sostituito il loro uomo, e con risultati migliori per giunta. Comunque se, come sarà, Ledger vincerà le elezioni, sarà un bene sia per me che per voi.» «Parla per te. Io non voglio entrarci in queste storie» disse Jimmy «io non devo niente a nessuno.» «Perché, cosa vorresti dire? Che non mi merito di essere diventato il capo della polizia? O forse pensi che dovresti esserci tu al posto mio?» gli chiese guardandolo negli occhi. «Non ho detto questo, ma non sono meno di te, ricordatelo» rispose Jimmy a muso duro. «Ragazzi, non vorrete litigare per questo» intervenne Henry «dai, si stava solo parlando, Santo Dio.» «Non voglio litigare con nessuno, tanto meno con Jimmy, ma non posso accettare che vengano messe in dubbio le mie capacità. Non sono diventato capo della polizia perché ho amici potenti che mi hanno aiutato, ma solo perché ho dimostrato di valere più di tanti altri.» «Ma lui non ha messo in dubbio le tue capacità. Tu sei il nostro capo e noi ne siamo contenti. Vero Jimmy?» L’ispettore Donovan annuì a fatica. Il cellulare del commissario si mise a squillare rompendo la tensione che si era creata. «Sì Emma …aspettami, vi vengo a prendere …sì, ciao.» «Li mandano a casa?» chiese Henry. «Sì, ha mangiato e non ha più la febbre» disse alzandosi dalla sua sedia e inforcando gli occhiali da sole «io non torno, vado a letto un paio d’ore, se ci sono problemi chiamatemi.» Jimmy lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava. «Quello lì pensa di essere l’ispettore Callaghan! È convinto di essere un superuomo, neanche avessimo dovuto affrontare chissà che casi! È facile fare il duro a Newcombe, in una cittadina di duecentocinquantamila abitanti persa tra i campi di tabacco della
17 Virginia. Vorrei vederlo a Washinghton, o a New York, se sarebbe capo della polizia!» «L’importante è che non sia arrivata nessuna denuncia dal tipo che hai attaccato al muro ieri sera.» «Hai ragione» disse Jimmy alzandosi «andiamo giù al bar; ti offro un caffè, così intanto io mi fumo una cicca.»
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CAPITOLO 3
Erano ormai passati quindici giorni dalla festa del sindaco Ledger e ancora nessuna denuncia era arrivata sul tavolo del commissario Everett. Ogni mattina Jimmy smetteva di lavorare quando il postino bussava alla porta ed entrava con il suo plico di buste e lettere sotto il braccio. Ormai le riconosceva: quelle che portavano brutte notizie per lui erano grandi e giallognole, di carta spessa e imbottita; per riceverle bisognava firmare e quella mattina il postino non aveva con sé la cartelletta per le ricevute. Jimmy si rilassò sulla sedia e si rimise a lavorare al caso della signora Campbell. Dieci minuti dopo la porta dell’ufficio del commissario si aprì e Peter fece capolino: «Jimmy, vieni, devo farti vedere una cosa» poi guardò Henry e aggiunse: «È meglio se vieni anche tu.» Jimmy subito pensò che forse avevano cambiato le buste per notificare le denunce e si sentì fregato. Guardò Henry che gli sorrise e gli si fece vicino e assieme entrarono in ufficio. Peter, seduto alla scrivania, teneva un foglio aperto in mano e lo stava leggendo con avidità. Li guardò e poi porse loro la lettera. «Leggete!» intimò Jimmy la prese, immaginando quello che ci avrebbe trovato scritto, ma dopo aver scorso con lo sguardo le prime righe guardò Henry sorpreso e gli fece cenno di avvicinarsi. «Non è quello che pensavo» gli disse «vieni a vedere.» «Perché, cosa pensavi fosse?» gli chiese Peter. «No, niente, cose nostre.» «Un’altra denuncia, vero?» Jimmy lo guardò ma non rispose, e nel frattempo Henry si mise a leggere ad alta voce la lettera che teneva in mano.
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Caro commissario Everett, sento dire cose talmente strabilianti sul suo conto che mi sono convinto a scriverLe. I suoi concittadini la descrivono tutti come persona capace e bravissimo poliziotto e so che ha al suo fianco due collaboratori fidati e preparati, due alfieri pronti a morire per lei, il loro Re. Da quando c’è lei a Newcombe poi, sembra che nessuno la possa più fare franca e allora mi sono chiesto: sarà veramente così bravo, o sarà che i delinquenti di questa città sono degli inetti? Sa, da buon criminale, questa è una domanda che mi toglie il sonno e non mi fa vivere sereno, anche perché io sono un assassino di quelli veri, di quelli bravi, non come la marmaglia con cui lei si trova di solito a confrontarsi. “Che fare?” mi sono chiesto, e sono arrivato alla conclusione che l’unica cosa che potrebbe ridarmi la serenità che ho perduto a causa sua e della sua bravura è dimostrare pubblicamente che Lei è un incapace, proprio come i poveretti con cui lei ha a che fare. Ma come fare per dimostraLe la mia superiorità? Non è semplice! Lei è così inadeguato a me, caro commissario Everett, che ho dovuto pensarci per giorni prima di trovare il giusto sistema per poterle concedere una chance contro di me. Alla fine sono arrivato alla conclusione che il luogo migliore per giocare questa partita sia una scacchiera. Quale altro gioco di ingegno e intelligenza è paragonabile agli scacchi? Nessuno, mi sento di poter affermare. Una scacchiera è il posto ideale per poter assistere alla sfida suprema tra due persone. Così ho deciso che la mia mente geniale e la sua striminzita materia grigia si confronteranno proprio su una scacchiera. Eh sì - cos’è quell’espressione sorpresa? - la sto proprio sfidando a una partita a scacchi. Niente di più innocuo, penserà Lei, ed è vero, solo che questa volta c’è una piccola differenza: la nostra scacchiera sarà la sua amata Newcombe e per ogni pezzo che Lei perderà io sgraverò la terra dal peso di uno dei suoi concittadini. Spero che questo sia argomento sufficiente per convincerla a non sottovalutare le mie intenzioni. Ed ecco come si svolgerà la nostra partita, perché noi la giocheremo questa partita, caro Re nero. La mia prima mossa è la seguente: pedina da E2 a E4. Lei risponderà utilizzando il servizio dei necrologi del
20 Tribune. Anch’io userò lo stesso mezzo per comunicarvi le mie successive mosse. Che dire a questo punto? Buona partita. E si avvalga pure dell’aiuto dei suoi due alfieri, tanto non ne basterebbero dieci come voi per impensierire uno come me. Cordialmente, il Re bianco. Ps: Non perda tempo a cercare le mie impronte su questa lettera. Come spero avrà capito, non sono uno dei soliti furfantelli con cui Lei ha a che fare. Pss: Si sbrighi a pensare a quale mossa opporre. Le do cinque giorni di tempo, poi comincerò a farmi conoscere dai suoi concittadini con ben altri necrologi e godrò nel sentire la voce querula della sua gente che chiede aiuto. Lo scacchista Henry chiuse la lettera e la ripose sulla scrivania. «Cosa ne pensate?» Jimmy la riprese in mano e la rilesse sottovoce. «Quando è arrivata?» chiese Henry. «Come quando è arrivata? Non hai visto il postino?» «Sì, ma come facevo a sapere…» «Fai sempre domande del cazzo, Henry. Concentrati per favore.» «Secondo me non c’è molto di cui preoccuparsi» intervenne Jimmy «sembra la lettera di un avvocato più che di un assassino. Non c’è rabbia, cattiveria. Secondo me è una presa in giro.» «Tu cosa ne pensi, Henry?» «Magari è un assassino che nella vita fa l’avvocato! Io non la sottovaluterei. Cosa ci costa rispondere alla sua mossa? Prendiamo tempo e cerchiamo di capire chi abbiamo di fronte.» «Così stiamo al suo gioco, però» rispose Jimmy «io non lo farei neanche morto. Non possiamo metterci a giocare con uno psicopatico solo perché ci manda una lettera di minacce. «Lo penso anch’io» disse Peter «io proverei ad aspettare. Vediamo cosa fa.»
21 «E se ammazza davvero qualcuno tra cinque giorni?» disse Henry. «Bisogna correre il rischio.» «Giusto!» disse Jimmy. «Aspettiamo» disse deciso Peter «però procuriamoci una scacchiera. Qualcuno di voi sa giocare a scacchi?» «Io un po’» rispose Jimmy. «Io so solo come si muovono i pezzi» aggiunse Henry. «Allora organizziamoci; tu Jimmy vai a portare la lettera alla scientifica e tu Henry procura una scacchiera e trovami tutti quelli che giocano a scacchi a Newcombe. Voglio nomi, cognomi, indirizzi, dove giocano e con chi, quante volte alla settimana, a che ora, se sono sposati, se hanno figli, che lavoro fanno nella vita, se preferiscono giocare con i bianchi o con i neri, se fanno tornei, se giocano on line, tutto insomma…» «Chiaro capo» disse Henry alzandosi. «Un’altra cosa, Henry: cerca il miglior giocatore dello Stato e portalo qui. Voglio sapere che mossa è questa E2-E4. Se ci costringerà a giocare davvero questa partita voglio avere il migliore dalla mia parte.» «D’accordo.» «OK, adesso al lavoro.» Jimmy raccolse la lettera e uscì diretto alla scientifica, Henry si sedette alla sua scrivania; toccava a lui il lavoro più lungo e impegnativo, ma si mise a farlo con puntiglio e attenzione. Quattro giorni dopo si presentò nell’ufficio di Peter con una pila di fascicoli alta almeno trenta centimetri. «E questa cos’è?» «La lista dei giocatori di scacchi.» Peter prese in mano i fascicoli e li soppesò. «Ma quanti sono?» «Sapevo che me lo avresti chiesto» disse Henry estraendo un foglietto dalla tasca «a Newcombe ci sono tredici circoli di scacchi e quasi tremila persone che giocano, ma quelli che lo fanno con regolarità sono poco più di cinquecento. È però impossibile valutare quanti sono quelli che giocano on line, quindi penso che il numero sia un po’ sottostimato.» «In pratica vorresti dirmi che è come cercare un ago in un pagliaio?» «Non proprio, dipenderà dal livello del nostro avversario. Se, come penso, quello che ci ha sfidato è un campione, il numero si ridurrebbe
22 di molto» Peter annuì «magari domani non succederà niente e avremo solo perso del tempo.» «Magari. Hai trovato un bravo giocatore che ci possa aiutare nel caso succeda il peggio?» «Sì, ho contattato a Richmond un giocatore che è iscritto alla FIDE, la Federazione Internazionale degli scacchi, e che ha anche partecipato all’ultimo campionato mondiale.» «Come si chiama?» «Everton, John Everton.» «Hai fatto davvero un ottimo lavoro, Henry.» «Grazie.» «Hey ragazzi, disturbo?» disse Jimmy entrando in ufficio «è arrivato il risultato della scientifica. Porto cattive notizie: non sono riusciti a trovare niente sulla lettera.» «Com’era prevedibile» disse Peter «non abbiamo a che fare con uno sprovveduto. Be’ a questo punto non ci resta che aspettare domani, tocca a lui la prossima mossa.»
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CAPITOLO 4
Nessuno dei tre riuscì a dormire bene quella notte. Peter continuava a rigirarsi nel letto con nella mente un dubbio tremendo: e se avesse sbagliato? E se l’assassino avesse davvero dato seguito alla sua delirante minaccia? Quella vita troncata avrebbe per sempre pesato sulla sua coscienza. Guardò l’orologio che segnava le tre, si alzò e raggiunse la cucina. Si sedette a tavola, le mani avvolte intorno al bicchiere colmo di acqua gelida. «Sta bluffando. Domani non succederà niente» continuava a ripetersi «mi ha solo messo alla prova e io non sono caduto nella sua trappola. Non succederà niente.» Henry non se la passava meglio. Era andato a letto presto, come al solito, ma si svegliava di continuo a causa di improvvisi dolori allo stomaco. Jimmy dormiva, ma il suo sonno era disturbato da strani incubi e continuava a muoversi nel letto, parlando ad alta voce. La mattina dopo, alle sette, quando Peter arrivò in commissariato trovò Henry già seduto alla sua scrivania con il computer spento e Jimmy alla quarta sigaretta. «Tutto a posto?» chiese Peter passando tra i suoi collaboratori con il tribune aperto alla pagina sportiva. «Sì» rispose Henry. «Lasciate liberi i telefoni e restate qui, potrei aver bisogno di voi.» Poi si chiuse nel suo ufficio. Henry accese il computer e tentò di lavorare, Jimmy cominciò a camminare su e giù per la stanza, i pensieri lontani e una voglia matta di accendersi una sigaretta dopo l’altra. L’arrivo del portalettere, con il suo carico di messaggi cartacei, interruppe la monotonia di una mattinata muta. Jimmy gli andò incontro e si fece consegnare la posta, la controllò sommariamente poi appoggiò le lettere sulla scrivania di Henry e mise in bocca una sigaretta spenta.
24 «Vado a farmi un giro» disse «stare qui ad aspettare mi manda fuori di testa.» Alle undici passate Peter uscì dal suo studio. «Tutto a posto?» «Sì» rispose Henry. «Jimmy?» «È andato via un paio d’ore.» «Puoi andare anche tu se hai qualche caso da seguire.» Henry annuì e si alzò dalla poltrona, infilò la giacca, ma proprio in quel momento il telefono squillò. Peter si avvicinò al telefono e alzò la cornetta. «Sono il commissario Everett, chi parla? …dov’è successo?» chiese sedendosi alla scrivania di Jimmy «…come è stato ucciso? …vengo subito» e riattaccò. Guardò Henry e poi quasi di corsa scese le scale del commissariato seguito dal suo collaboratore. Salirono in macchina, Peter mise fuori il lampeggiante e a sirene spiegate partirono a tutta velocità. «Dov’è successo?» «In Baker Street; è stato trovato morto un barbone, in bocca aveva un foglietto con scritto E2-E4. Quel bastardo ha mantenuto la parola.» Henry prese il cellulare e compose il numero di Jimmy. «Dove sei? …sì, l’ha fatto …in Baker Street.» Arrivarono sul posto in pochi minuti, c’era già un capannello di curiosi che premevano per vedere il corpo della vittima, trattenuti a stento da due poliziotti. Peter cominciò a suonare il clacson e si fece largo tra la gente, parcheggiando in maniera da bloccare lo stretto vicolo dove era stato commesso l’assassinio. Scesero e raggiunsero il corpo. Era un uomo basso di statura, magro, malvestito e puzzolente e giaceva disteso sul fianco destro, con le gambe piegate e le braccia sopra la testa, in posizione innaturale. Da un piccolo foro sulla nuca usciva un rivolo di sangue scuro ormai raggrumato. «Chi l’ha trovato?» chiese Peter a uno dei poliziotti. «Quella signora» rispose quegli indicando una donna sui sessant’anni, ritta in piedi vicino a un cassonetto dell’immondizia, sguardo basso e braccia strette al petto come si riparasse dal freddo «la vittima aveva questo foglietto tra i denti.»
25 Il commissario lo prese in mano e lo distese. Lo lesse: “E2-E4. Da adesso in poi hai solo due giorni per rispondere alle mie mosse. In caso contrario ucciderò ancora”. «Hai chiamato rinforzi via radio?» chiese il commissario. «Sì, stanno per arrivare» rispose. «Sgombrate e recintate la zona» poi gli riconsegnò il foglietto «portalo ad analizzare alla scientifica.» Jimmy arrivò pochi minuti dopo e, facendosi largo a spintoni tra la folla dei curiosi, li raggiunse. «L’ha fatto davvero!» disse guardando il corpo inerme. «Sì» disse Peter «la vita di quest’uomo l’abbiamo sulla coscienza noi due.» «Sembra quasi un’esecuzione» disse Jimmy «da come sono messe le braccia e le gambe sembra che sia stato fatto inginocchiare a terra e poi freddato con un colpo alla testa.» «Il foro è molto piccolo» aggiunse Henry «sembra un calibro 22.» Peter si chinò sul cadavere per verificare il foro della pallottola. «Potrebbe essere» disse «deve avergli sparato da pochi centimetri di distanza.» Poi rivolto ad Henry aggiunse: «Vai a prendere i guanti in lattice in auto e poi trovami il campione di scacchi; noi aspettiamo qui la scientifica.» Henry si fece largo tra i curiosi che spingevano per vedere, ritornò pochi secondi dopo con un paio di guanti e li porse a Peter. Il commissario li infilò. Frugando nelle tasche non trovò che pochi spiccioli e un cellulare vetusto e all’apparenza non funzionante. Raccolse il tutto in una busta di plastica, poi alzò gli occhi e vedendo Henry che lo osservava lo apostrofò. «Cosa ci fai ancora qui? Non erano chiari gli ordini?» Henry sorrise, indietreggiò e poi si allontanò ad ampie falcate. Peter rimase vicino al cadavere fino all’arrivo della scientifica, poi, dopo aver messo in sicurezza la zona e allontanato i curiosi, si diresse all’auto assieme a Jimmy. Mentre stava salendo, un giovane con un taccuino in mano gli si avvicinò. «Sono del Tribune, si sa chi è il morto?» «Non rilascio interviste, ragazzo» disse aprendo la porta della macchina. «Con quanti colpi è stato ucciso?»
26 «Vattene» disse sedendosi alla guida e accendendo il motore. «E sul biglietto cosa c’era scritto?» gli urlò mentre la macchina cominciava a muoversi. Peter frenò all’improvviso e scese dall’auto. «Cosa sai del biglietto?» gli chiese spingendolo addosso alla macchina. «Niente, ho solo visto il poliziotto che lo toglieva dalla bocca del morto» Jimmy gli si avvicinò torvo in viso «non so altro, lo giuro!» «Le tue generalità, ragazzo.» «Mi chiamo Steve Austin, ho ventuno anni e lavoro come giornalista freelance al Tribune.» «Dammi il tuo numero di cellulare.» Il ragazzo prese un foglietto che teneva in tasca, vi scrisse il numero e poi lo consegnò al commissario. «Domani leggerò il Tribune. Non voglio trovarci cazzate, hai capito bene?» il giovane annuì «vai adesso.» «E sul foglietto, commissario, cosa c’era scritto?» gli chiese ancora mentre risaliva in macchina. «“Addio mondo crudele”» rispose Peter.
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CAPITOLO 5
Quando Peter e Jimmy arrivarono in commissariato, Henry non era ancora rientrato con il campione di scacchi. La signora che aveva trovato il corpo era seduta sulla panchina dell’atrio, da sola, si guardava le ciabatte sporche e il grembiule macchiato di scuro. Neanche si accorse che Peter le si era avvicinato. «Signora, sono il commissario Everett. Scusi se l’ho fatta attendere.» «Non importa commissario.» «Mi segua.» Salirono le scale che portavano al piano superiore ed entrarono nell’ufficio di Peter. La signora si adagiò su una delle sedie, come vinta da una stanchezza atavica. «Lo conosceva?» «Di vista. Mi capitava di trovarlo addormentato nel vicolo, vicino ai cassonetti.» «Sa come si chiamava, che lavoro faceva, se aveva una famiglia, una casa, una compagna?» «Era un barbone; non credo avesse una casa o una famiglia. L’unica cosa che so è che si faceva chiamare Dumbo, come l’elefantino sa, quello del cartone animato, e che spesso chiedeva l’elemosina davanti al supermercato di Lincoln Street.» «Come ha fatto a scoprire il corpo?» «Sono andata a buttare la spazzatura e l’ho visto. Ho capito subito che era morto… tutto quel sangue…» disse mentre il suo corpo veniva scosso da un leggero brivido «così sono uscita dal vicolo e ho chiamato aiuto.» «Che ora era?» «Le dieci e mezza, credo.» «Durante la mattina, prima che lei trovasse il corpo di Dumbo, ha sentito dei rumori strani, qualcosa che potesse far pensare a un colpo di pistola?»
28 «Non ho sentito niente. Io abito vicino al vicolo, ma sono un po’ dura d’orecchi.» «Neanche durante la notte?» «No commissario.» «Va bene» disse prendendo un biglietto da visita dal cassetto della scrivania e porgendoglielo «qui c’è il mio numero di telefono, se le viene in mente qualcosa mi chiami. La faccio accompagnare a casa.» «D’accordo commissario.» La signora si alzò dalla sedia e uscì. «Se avessi accettato subito di giocare questa partita, Dumbo sarebbe ancora vivo» disse Peter sottovoce nella solitudine del suo studio. Qualcuno bussò alla porta. Henry entrò accompagnato da un ragazzo sui trent’anni, alto, con i capelli pettinati con la riga a sinistra e occhiali con la montatura in tartaruga. Teneva sottobraccio una scacchiera. «Lui è John Everton» disse Henry. Peter si alzò dalla poltrona e gli porse la mano, poi rimase a fissarlo. «Ma io ti conosco.» John gli sorrise; stava per parlare ma Peter lo fermò con un gesto. «No, non dirmi niente. Voglio arrivarci da solo.» Si rimise a sedere, fece accomodare il suo ospite e rimase a fissarlo. «Ma certo!» esclamò poco dopo «Goofy!» «“John”, commissario» lo corresse subito l’altro. «Era un compagno di classe di Mary, mia sorella» disse rivolto ad Henry «le faceva una corte spietata. Era davanti a casa mia quasi tutti i giorni quando abitavo a Richmond.» «È passato tanto tempo» disse John. «Tu sai di Mary, vero? È in carrozzella adesso, vive a Miami con mio padre.» «Sì commissario, mi dispiace molto per quello che è successo.» «Sono quasi dieci anni ormai. Potevamo ammazzarci tutti e due.» «È stata una disgrazia.» «Sì, una disgrazia. Anche quella ragazza morta… com’è che si chiamava…?» cercò nella memoria «Linda, mi sembra» rimase in silenzio per alcuni secondi, poi guardò John, gli sorrise «Henry ti ha già spiegato il motivo per cui sei stato convocato qui?» «A grandi linee» rispose. «Ti basti sapere che siamo stati obbligati da uno psicopatico a giocare una partita a scacchi…»
29 «E dovete vincerla a tutti i costi» completò il ragazzo. «Esatto, e perdendo il minor numero di pezzi possibili. È una cosa che potrebbe protrarsi per molto tempo, te la senti di aiutarci?» il giovane annuì «ovviamente non pretendo che tu passi le tue giornate in commissariato in attesa di giocare, ci basta la tua più completa disponibilità a portare avanti per noi questa partita.» «Non c’è problema commissario.» «Molto bene. E chiamami Peter, come facevi tanti anni fa.» «Ci proverò» rispose. «La prima mossa del nostro avversario è E2-E4.» John prese la scacchiera, la aprì, ne estrasse i pezzi e creò i due schieramenti. Poi prese la pedina bianca e fece la prima mossa. «Pedina da E2 a E4.» John si girò verso il commissario che lo guardava senza capire. «Io non so giocare» disse subito, quasi a scusarsi. «È molto semplice, immagini che sulla parte bassa della scacchiera le caselle siano contrassegnate con delle lettere, la A sulla prima casella, la B sulla seconda e così via, sino alla H» anche Henry si fece vicino per capire «e che le caselle in verticale siano numerate dall’uno all’otto. La posizione E2 corrisponde alla pedina davanti al Re, colonna E, riga 2.» «Chiaro» disse il commissario. «La casella E4» continuò John «è la casella che si trova nella colonna E sulla quarta riga dal basso.» «Chiarissimo, ho capito» disse Peter. «La nostra mossa» continuò John «potrebbe essere C7-C5» e così dicendo spostò la pedina nera. «Tutto qui?» chiese il commissario segnandosi la mossa sul taccuino «non hai avuto bisogno di pensarci nemmeno un attimo.» «Vede, commissario…» «Ancora? Peter, e dammi del tu.» John sorrise.
30 «Negli scacchi le prime mosse seguono uno schema ben preciso e prestabilito. Queste sequenze di mosse si chiamano “aperture”. La mossa che ha fatto il nostro avversario, E2-E4, è una delle più usate in assoluto e si presta a notevoli diverse combinazioni. Noi abbiamo scelto di opporre alla sua mossa una delle aperture più conosciute e studiate, nota come “Difesa Siciliana”.» «Bene, sono contento; mi piace il nome “Difesa Siciliana”.» «Con questa mossa miriamo a controllare una delle quattro caselle centrali della scacchiera, le più importanti, e in particolare la D4.» «Benissimo, ho capito» rispose Peter «mi sembra un’ottima tattica. Adesso non ci resta che aspettare la mossa del nostro avversario.» «Esatto» rispose John «e potrebbe essere cavallo in F3, così anche il bianco andrebbe in controllo sulla casella D4.» «Perfetto» rispose Peter «ti ringrazio ancora per l’aiuto che ci stai dando. Appena conosceremo la mossa del nostro avversario ti telefonerò. Henry, penso che tu lo possa anche riaccompagnare a casa» disse porgendogli la mano. Peter, rimasto solo, si mise a guardare la scacchiera, poi prese in mano i pezzi per sentirne la consistenza e il peso. Alzò la cornetta e compose il numero del Tribune. «Salve, sono il commissario Everett. Devo mettere un piccolo annuncio nella vostra rubrica dei necrologi …glielo detto: C7-C5. Sì, ne sono sicuro, scriva solo C7-C5 …non citi il mio nome …Cristo, lo faccia e basta …va bene, grazie.» Peter guardò l’orologio; erano ormai passate le quattro del pomeriggio e non poteva fare altro in ufficio, così infilò la giacca e uscì. Tornando verso casa si fermò in una libreria e prese un manuale degli scacchi; decise che l’avrebbe letto quella notte sicuramente insonne, turbata dal pensiero di un uomo malvestito e maleodorante rannicchiato a terra con un foro nella testa.
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CAPITOLO 6 La mattina dopo Peter passò dal giornalaio prima di recarsi al lavoro. Comprò il Tribune e controllò la pagina dei necrologi; il suo messaggio per l’assassino era il primo, in alto a sinistra. Piegò il giornale e risalì in macchina. Quando arrivò in commissariato trovò Jimmy con il giornale aperto sulla scrivania. «Hai letto l’articolo che ha scritto quel ragazzo di ieri?» «No, non ancora.» «Ha combinato un mezzo casino.» Peter si abbassò sul giornale e lesse l’articolo d’un sorso. Il giovane cronista aveva raccontato i fatti in modo abbastanza fedele, però aveva poi aggiunto, di sua fantasia, che sul foglietto tenuto tra i denti dalla vittima c’era una minaccia di morte per qualche importante personaggio di Newcombe, come se quell’omicidio fosse solo un avvertimento; il che - sebbene in altro modo - corrispondeva a verità. «Maledetto!» esclamò Peter «non ci voleva; ci tirerà addosso l’attenzione di tutta Newcombe. Henry dov’è?» «È andato a prendere il risultato delle analisi della scientifica.» «Quando arriva mandalo nel mio ufficio.» Peter non fece neanche in tempo a sedersi sulla sua poltrona che il telefono squillò. «Pronto?» «Parlo con il commissario Everett?» «Sì, lei chi è?» «Chiamo dall’ufficio del sindaco, resti in linea per favore.» Peter si passò la mano sulla testa, poi guardò fuori nella speranza di trovare ispirazione. «Commissario, è lei?» suonò chiara la voce del sindaco Ledger. «Salve signor sindaco.» «Mi racconti un po’ questa storia. È vero quello che ho letto sul Tribune stamattina?» «In buona parte sì. È stato ucciso un barbone con un colpo alla nuca.» «E la storia del foglietto tra i denti?» «Aveva un foglio tra i denti…»
32 «E chi è la persona minacciata di morte?» «Nessuno, nel foglietto c’era scritto tutt’altro.» «Cosa, commissario?» «Mi dispiace, signor sindaco, ma non posso darle altri dettagli.» «Va bene commissario. Questo omicidio capita proprio a fagiolo, il sicuro successo delle indagini darà una spinta ancora maggiore alla mia campagna elettorale.» «Si presenta un caso difficile, signor sindaco; io non…» «Via, via» lo interruppe «non faccia il falso modesto. E poi non mi vorrà deludere proprio adesso, con le votazioni alle porte?» «Io non voglio deluderla, ma questo caso mi preoccupa molto.» «Vedrà che andrà tutto bene. In bocca al lupo commissario» troncò il sindaco. Peter rimase immobile, con la cornetta muta appoggiata all’orecchio. La porta dell’ufficio si aprì appena e il viso sorridente di Henry fece capolino. «Posso? Sei al telefono?» «Vieni pure» disse riponendo la cornetta. Entrò anche Jimmy assieme a lui. «Ho i risultati della scientifica. Non hanno trovato niente sul pezzo di carta che Dumbo teneva tra i denti, però ci ho indovinato con il proiettile; è un calibro 22» disse contento. «Che bravo, sembri quasi un poliziotto vero! Dai qua!» disse prendendogli il foglio che teneva tra le mani. «…proiettile calibro 22… segni di bruciature sulla cute vicino al foro del proiettile… morto sul colpo…» leggeva il commissario, sottolineando con il tono della voce le parti più salienti «…ora del decesso ipotizzabile verso le sette del mattino… sparato a bruciapelo a una distanza non superiore a cinque centimetri… quello che già immaginavamo» concluse. «Come ci muoviamo?» «Cominciamo con i circoli di scacchi» disse prendendo l’incartamento che aveva preparato Henry qualche giorno prima «ce li dividiamo. Tu Henry prendi i primi sette» disse scorrendoli con l’indice «e tu Jimmy quelli che restano. Cercate di identificare per ogni circolo quali sono i giocatori migliori in modo da fare una prima scrematura.» «Ma è un lavoro immane!» si lamentò Jimmy.
33 «Hai qualche idea migliore?» Jimmy non rispose «io prendo Ebe e vado al Tribune, devo mettere sotto controllo i telefoni. Sicuramente l’assassino chiamerà per comunicare la sua mossa e io voglio sentire la voce del mio nemico.»
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CAPITOLO 7
La mattina dopo i telefoni del Tribune erano tutti sotto controllo. Il commissario Everett era seduto, in attesa, davanti alla finestra del terzo piano del palazzo che ospitava la sede del giornale e guardava la gente scorrere ignara lungo la strada sottostante. Uno squillo e Peter si girò verso Ebe, armato di cuffie e registratore. Questi gli fece cenno di no con la testa e il commissario si rilassò di nuovo sulla sedia; ennesimo falso allarme. Proprio in quel momento entrò in redazione, aprendo la porta e salutando in maniera rumorosa, un ragazzo con uno zaino sulle spalle e in mano un voluminoso pacco di lettere. «Ho portato la posta» disse ad alta voce avvicinandosi a una scrivania e depositando il suo carico. Peter lo riconobbe; era il giovane giornalista che lo aveva fermato davanti al vicolo dove era morto Dumbo. Si alzò e si avvicinò a lui, lo prese per un braccio e lo strinse forte. «Devo parlargli» disse Peter rivolgendosi a una delle ragazze intente a stendere gli articoli per la prossima uscita del giornale «dove posso andare per non essere disturbato?» La ragazza guardò la collega al suo fianco, poi disse: «C’è l’ufficio del direttore se vuole, commissario» e glielo indicò. «Va bene» rispose Peter, e si diresse deciso verso l’ufficio trascinando il giovane reporter. Si chiuse la porta alle spalle. «Perché hai scritto quell’articolo?» il giovane indietreggiò di alcuni passi. «È il mio lavoro, commissario.» «Ma non hai scritto il vero! Tu non puoi fare illazioni o inventarti cose. Qui non stiamo giocando, è morto un uomo!» «Si riferisce al foglietto, vero?» «Come ti sei permesso di scrivere che conteneva delle minacce di morte?»
35 «Era ovvio che non poteva esserci scritto “Addio mondo crudele”» rispose con un sorriso «una cosa del genere avrebbe potuto scriverla un suicida, ma quel poveretto è stato ammazzato, così ho pensato che…» «Tu non devi pensare!» gli urlò Peter spingendolo con violenza, rischiando di farlo cadere «devi solo riportare i fatti come sono nella realtà. Hai creato un allarme ingiustificato.» Qualcuno bussò alla porta. Peter non ci badò e continuò a urlare gesticolando contro il malcapitato con sempre maggiore violenza. «Hai interferito con il lavoro della polizia, dando informazioni non vere. Io potrei denunciarti per questo…» a quella minaccia sparì il sorriso sul volto del giovane giornalista. Il bussare alla porta si fece più insistente. «Cosa c’è!» urlò il commissario. Ebe, il poliziotto che stava in ascolto delle telefonate, entrò quasi in punta di piedi. «È arrivato quello che stavamo aspettando… non ha telefonato, ha mandato una lettera» disse porgendogli un foglio piegato in tre parti. «Portalo fuori» disse indicandogli il giornalista. «Ma cos’è?» chiese il giovane mentre veniva trascinato all’esterno dell’ufficio «un altro messaggio dell’assassino?» gli urlò ormai distante. Peter chiuse la porta e restò da solo nell’ufficio del direttore, aprì il foglio e lo lesse: “Per cortesia inserite questo necrologio: Cavallo G1-F3.” Il commissario si sedette sulla prima sedia che trovò libera. «Perché, se aveva intenzione di mandare una lettera, non l’ha mandata in commissariato invece che qui?» si chiese ad alta voce «perché usare il giornale?» Rimase a lungo a pensarci, poi prese il cellulare e compose il numero di John. «L’assassino ha fatto la mossa che avevi previsto, cavallo in F3.» «Un classico» rispose John «noi rispondiamo con pedina D7-D6.» Peter uscì dall’ufficio del direttore. Steve era appoggiato allo stipite della porta d’entrata, con lo zaino tra le gambe. Quando lo vide uscire gli si avvicinò di qualche passo in modo da poter sentire quello che avrebbe detto.
36 «Signorina» disse Peter a una delle due impiegate «inserisca questi necrologi nell’edizione di domani: nel primo scriva “Cavallo G1-F3”, nel secondo “Pedone D7-D6”.» «Va bene commissario.» «Ebe» disse poi rivolgendosi al poliziotto addetto alle intercettazioni telefoniche «vai pure a casa, il nostro uomo non chiamerà di certo prima di domani.» Poi indossò la giacca e fece per uscire, ma Steve gli si pose davanti. «Voi state giocando una partita a scacchi con qualcuno, vero?» Peter lo spostò a forza dalla porta e cominciò a scendere le scale, ma il ragazzo lo seguì. «È questo che c’era scritto nel foglietto in bocca del barbone: una mossa, vero?» Il commissario affrettò il passo. «È con l’assassino che comunicate tramite i necrologi!» Peter si fermò di colpo, si girò verso il ragazzo e afferratolo per i vestiti lo alzò e lo schiacciò al muro. «Adesso basta! Stai intralciando un’operazione di polizia.» «Allora ho indovinato» rispose sorridente, con i piedi che non toccavano terra «tanto non la mollo commissario. Non me la perdo questa storia.» Peter lo appoggiò a terra e fece per colpirlo, ma poi fermò la mano. «Non seguirmi» gli intimò, e scesi da solo gli ultimi scalini salì in macchina. Al commissariato Jimmy ed Henry stavano lavorando sui nomi di centinaia di giocatori di scacchi. Avevano fatto visita ai vari circoli sparsi per Newcombe e stilato una lista degli iscritti divisi per club. Per fortuna all’interno dei circoli esistevano delle classifiche e il lavoro di scrematura dei giocatori più deboli stava assottigliando in maniera considerevole l’enorme numero dei possibili assassini. Quando videro Peter entrare scuro in volto e dirigersi direttamente nel suo ufficio senza neanche salutare, capirono che qualcosa doveva essere andato storto. Si alzarono dalla loro scrivania e lo seguirono. «Cos’è successo?» chiese subito Jimmy «non ha telefonato?» «No! Ha mandato questa per posta» disse tirando fuori la lettera e appoggiandola sul tavolo. Henry la prese in mano e lesse: «“Per cortesia inserite questo necrologio. Cavallo G1-F3”.»
37 Peter prese la scacchiera e fece la mossa. «Hai già chiamato John?» «Sì. La nostra mossa è pedina D7-D6» e spostò la pedina. «Sembra buona» commentò Jimmy. «Sì, ma abbiamo un problema: Steve Austin.» «Il ragazzo dell’altro giorno?» «Esatto. Ha capito quello che sta succedendo. D’altronde ci voleva poco; quel bastardo ci obbliga a usare il giornale per comunicare. Era ovvio che qualcuno prima o poi ci sarebbe arrivato.» «Secondo me è tutto premeditato» disse Henry «vi ricordate la lettera? Diceva che voleva dimostrare la sua superiorità e che tu» disse indicando Peter «sei un incapace. Per questo vuole rendere pubblica questa storia.» «Henry ha ragione» disse Jimmy. «E noi lo becchiamo, così gli facciamo vedere chi è il vero incapace.» «Però questa cosa potrebbe anche tornare a nostro favore» disse Henry «se è vero che quello che vuole ottenere è solo dimostrare la tua incapacità, forse si potrebbe accontentare di una dichiarazione pubblica in cui tu ammetti… insomma hai capito.» «E io dovrei mettermi alla berlina per accontentare uno psicopatico? Tu non mi conosci Henry. Quando lo prendo, perché io lo prendo questo animale, prima di portarlo in galera lo gonfio di botte al punto da farlo sembrare una cornamusa con le gambe.» «Ma ci sono in gioco delle vite umane!» protestò Henry «io non so giocare a scacchi, ma non è difficile prevedere che prima o poi perderemo dei pezzi… e se quel pazzo mantiene la parola?» «Senti Henry, anche se fossi sicuro che mettendomi in ridicolo davanti a tutta Newcombe questa storia finisse, non lo potrei fare. Ha già ammazzato una persona e io devo dargli la caccia. La nostra partita
38 finirà solo quando l’avrò preso, o pensi che si costituirebbe solo perché io ho accettato di passare da coglione davanti a tutti?» «Magari non ucciderebbe più.» «Basta, Henry!» intervenne Jimmy «smettila con queste cazzate!» Henry lo guardò, poi abbassò gli occhi e ritornò alla sua scrivania. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD