In uscita il 20/7/2018 (1 , 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine luglio e inizio agosto 2018 (3,99 euro)
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ANTONIO ENRICO FROSINA
L’OMBRA DEL VERO
FINALISTA AL PREMIO 1 GIALLO X 1.000
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/
L’OMBRA DEL VERO Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-219-5 Copertina: immagine Proposta dall’Autore
Prima edizione Luglio 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Il sogno è l’infinita ombra del Vero. (dai Poemi Conviviali di Giovanni Pascoli)
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PROLOGO – GIULIA 1
Erano passate le otto di sera quando Giulia uscì dallo Studio Legale Rossi e Associati in cui lavorava. Mentre si dirigeva a passo svelto verso casa, pensava che non sarebbe riuscita a sostenere ancora per molto il ritmo a cui l’aveva sottoposta il suo titolare. Continuando a camminare, accese il cellulare che aveva tenuto spento durante il lavoro e vide che le erano pervenuti una mezza dozzina di messaggi: due di sua madre che voleva sapere quando sarebbe andata a trovarla, uno di un’ex compagna di scuola che le chiedeva quando si sarebbe resa disponibile per una rimpatriata fra ragazze, e tre di amici che la invitavano a una festicciola, a teatro e a una manifestazione sportiva. Avrebbe risposto a tutti una volta a casa, nel frattempo era tentata di prendere i mezzi pubblici o un taxi, dato che si sentiva stanchissima. Sapeva che la sua era più che altro una stanchezza mentale e le avrebbe fatto bene muoversi un po’ prima di rintanarsi nell’appartamento preso in affitto, piccolo e non particolarmente bene arredato, ma da dove contava di non uscire fino al pomeriggio del giorno successivo, visto che l’indomani era domenica e non sarebbe dovuta andare al lavoro. Non che avere un giorno libero alla settimana fosse scontato, dato che spesso aveva dovuto trascorrere le festività allo studio legale, per completare qualche pratica da presentare tassativamente in tribunale il giorno successivo. Entrata nell’androne del condominio dove abitava, le saltò subito all’occhio la busta gialla a uso commerciale che si intravedeva nella sua cassetta delle lettere. Prendendola in mano, percepì all’interno un oggetto piccolo e duro. Corse con lo sguardo a controllare il mittente e vide che si trattava di Enrico Gherardi. Enrico era stato un
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suo compagno di università, perso di vista dopo l’esame di laurea che avevano superato insieme un paio di anni prima. Con lui e altri tre studenti aveva diviso per diverso tempo un appartamento in affitto fino alla conclusione degli studi. Sapeva che qualche mese prima era stato ferito durante una rapina nella banca in cui lavorava e ne era rimasta turbata, tanto che si era interessata presso l’ospedale del suo stato di salute. Ogni volta che aveva chiamato le avevano però risposto che era in coma e non si sapeva quando si sarebbe risvegliato. Alla fine aveva smesso di telefonare. Il fatto che le avesse inoltrato una lettera le faceva ritenere che si fosse ristabilito, ma non riusciva a immaginare perché avesse sentito il bisogno di scriverle. Aprì il plico e, oltre a una lettera, trovò una chiavetta USB. Si domandò per quale motivo gliel’avesse inoltrata. Andò nel suo appartamento, si lasciò cadere sul divano del soggiorno, calciò via le scarpe dai piedi indolenziti e, aperta la busta, ne sfilò il foglio scritto a mano. Iniziò a leggere. Carissima Giulia, mi hanno riferito che avevi telefonato in ospedale per informarti sulle mie condizioni di salute. Ti ringrazio per l’interessamento e ti rassicuro che ora mi sono rimesso. I capelli, dopo l’operazione di estrazione della pallottola, mi stanno ricrescendo e tra poco riusciranno a nascondere completamente la cicatrice. Il tempo, poi, riuscirà a farmi dimenticare la brutta esperienza. In conseguenza del trauma subito ho dei vuoti di memoria e gli episodi sognati mentre ero in coma farmacologico mi stanno creando una certa confusione accavallandosi con i ricordi veri. L’analista che mi ha preso in cura mi ha assicurato che la memoria prima o poi tornerà, e io dovrei riuscire a distinguere l’immaginario dal reale. Mi ha anche consigliato di parlarne con te per affrettare il ritorno alla normalità in quanto, essendo tu la figura centrale di questi sogni, dovresti essere in grado di aiutarmi a fare chiarezza.
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Seguendo i consigli dello psicoterapeuta, ho pertanto trascritto il più fedelmente possibile i sogni che ho fatto nella chiavetta USB che ho allegato alla lettera, contando che tu voglia aiutarmi a mettere ordine nei miei ricordi. Sarebbe troppo semplice spiegare la tua presenza nei miei sogni come una tardiva dichiarazione d’amore, secondo quanto potrebbe apparire a una lettura superficiale di quanto ho scritto. Che interesse avrei a dichiararmi dopo che è trascorso tanto tempo da quando le nostre strade si sono divise? Fra l’altro, che io ricordi, eri fidanzata con il professor Belli che, per quanto ne so, potresti ormai avere già sposato. Quindi, non potendo essere questa la ragione per cui ti ho sognata, mi chiedo se saresti disponibile ad aiutarmi a capire quale potrebbe essere. Spero che tu non ti senta offesa dalla lettura di avvenimenti che ti coinvolgono; considera che nei sogni vengono rappresentate più le nostre paure che i nostri desideri. Ti anticipo però che verso la fine della narrazione troverai un po’ di confusione, dato che la fase del risveglio e quella onirica si accavallano. Credo che le mie asserzioni risulteranno più chiare solo dopo aver letto quanto ho provato a esporre nella chiavetta e scusami per la prolissità della narrazione, d’altronde non poteva essere altrimenti per soddisfare il fine per cui è stato scritto. Enrico Gherardi Giulia aggrottò le sopracciglia, lesse la lettera altre due volte, poi riempì la vasca e fece un bagno caldo cercando di rilassarsi, anche se continuava a rimuginare sul contenuto della lettera. Doveva ammettere di essere incuriosita dalla richiesta, ma anche infastidita dal fatto che Enrico desse per scontato che lei si sarebbe presa la briga di leggere il racconto dei suoi sogni. Enrico, lei lo ricordava bene, era un tipo piuttosto introverso, la stupiva, quindi, che si fosse risolto a farle rivelazioni personali e la induceva a temere che il colpo in testa da lui subito potesse avere influito sulla sua personalità.
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Quando uscì dal bagno con ancora l’accappatoio addosso, tirò fuori dal frigorifero del brodo avanzato dal giorno prima e si preparò una minestra. Appoggiò il computer portatile sul tavolo della cucina e inserì la chiavetta. Fece una smorfia accorgendosi che il file da leggere era così lungo che Enrico aveva ritenuto opportuno suddividerlo in capitoli. Trovò strano che lei non ricordasse mai i propri sogni mentre, a quanto sembrava, lui li ricordava alla perfezione, visto che era riuscito addirittura a scriverci un libro. Iniziò a cenare leggendo.
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CAPITOLO PRIMO – SEDUTA SPIRITICA
Intorno al tavolo rotondo della sala da pranzo, noi cinque studenti universitari siamo intenti a una seduta spiritica. A fare da medium è Stefano, iscritto a scienze politiche, che prendiamo amichevolmente in giro per la sua corporatura da lottatore di sumo. Tenta di invocare lo spirito della bisnonna morta che, a suo dire, era stata ai suoi tempi una famosa chiromante. Alle sue invocazioni il tavolo sussulta e tutti sappiamo che è causato dalla pompetta che lui manovra con il piede, ancorché per compiacerlo fingiamo di non essercene accorti. Romina e Anna, soprannominate “le gemelle” perché stanno sempre insieme e sono entrambe al terzo anno di lettere, si divertono ugualmente a emettere finti gridolini di terrore, continuando poi a ridacchiare fra loro. Tu e io siamo infastiditi dal loro cicaleccio che ci disturba mentre cerchiamo di ripassare mentalmente qualche argomento della materia di esame che dovremo affrontare domani. Sarebbe opportuno impiegare il nostro tempo a studiare, ma è venuta a mancare la corrente e, nell’attesa che il gestore della compagnia elettrica la ripristini, in questo buio pomeriggio di inizio inverno abbiamo acconsentito a partecipare a questa seduta spiritica per cui sono sufficienti i due mozziconi di candela, lasciati dai precedenti inquilini, a rischiarare un po’ la stanza e a rendere al contempo le ombre più misteriose. Mi chiedo di che cosa siano composte queste candele per produrre un fumo tanto nauseante. Avrei suggerito di lasciare aperta la finestra, se non fosse scoppiato il temporale che ha causato l’interruzione di corrente. Al bagliore dei lampi, che penetra fra le fessure delle persiane e dovrebbe rendere più emozionante la seduta spiritica, i nostri volti annoiati si illuminano a tratti di una spettrale
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luce bianca. Non avremmo accettato di partecipare a questo discutibile passatempo, se non ce l’avesse chiesto con insistenza Stefano verso cui abbiamo un debito di riconoscenza. Egli si presta, infatti, a fare da cuoco per noi cinque, convinto di essere l’unico a saper preparare da mangiare decentemente. Abbiamo peraltro il fondato sospetto che lo faccia prevalentemente per avere una scusa per rimandare il più possibile il momento dello studio. Come coinquilino, in ogni caso, è il migliore che si possa trovare, perché è sempre pacioso, anche nelle situazioni più irritanti, a differenza delle gemelle che tendono a essere estremamente petulanti. Stefano, l’unico che sembra divertirsi in questa seduta spiritica, ha promesso di farci assistere a manifestazioni sovrannaturali, cosa a cui nessuno crede. Però, quando alzo distrattamente la testa, chiedendomi quando finalmente tornerà la corrente, alla luce di un lampo mi accorgo che il fumo delle candele si sta addensando sul soffitto in maniera innaturale. Mentre sbatto più volte le palpebre meravigliato, la coltre grigia si trasforma gradualmente in un essere diabolico. Due grosse corna puntute spuntano da una fronte bassa, occhi maliziosi guizzano a ispezionare la camera e il naso aquilino sormonta una bocca dalla piega crudele. Dal labbro inferiore fuoriescono due zanne giallo scuro, mentre sul mento si nota un grosso porro peloso. È impossibile che sia uno degli effetti speciali millantati da Stefano e il mio stupore si trasforma in timore. Mentre mi guardo cautamente intorno per vedere se qualcun altro si è accorto dell’apparizione, ti stringo con forza la mano per segnalarti il fenomeno ma, quando giro gli occhi verso di te, noto che lo stai già osservando con un’espressione compiaciuta. Anche gli altri, subito dopo, si avvedono di questa manifestazione soprannaturale che incombe minacciosa sul tavolo. Stefano si limita a proferire sottovoce un timido «cazzo!», strabuzzando prima gli occhi e poi cercando di rendersi più piccolo possibile, cosa che presenta qualche difficoltà data la sua stazza. Le gemelle smettono finalmente di ridacchiare e lanciano questa volta un vero urlo di terrore, pur avendo la speranza che si tratti di uno degli effetti speciali promessi
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da Stefano e non di un demonio salito dall’inferno in risposta alle sue evocazioni. Rimaniamo impietriti a guardare l’apparizione che, compiaciuta della nostra attenzione, si mette a sua volta a fissarci. In particolare sembra attirata da Romina e, mentre la scruta, si passa la lingua biforcuta sulle labbra in un gesto lascivo, mentre è evidente che la sua eccitazione sessuale aumenta. Afferra con una mano simile all’artiglio di un rapace un pene enorme e inizia oscenamente a masturbarsi. A quel punto Romina si riscuote dalla propria immobilità e si alza di scatto dalla sedia per fuggire dalla stanza. Nella fretta inciampa nelle gambe che Stefano ha allungato sotto il tavolo, nel maldestro tentativo di defilarsi il più possibile, e cade a terra. Il mostro eiacula e il getto di liquido seminale compie una parabola per poi cadere addosso a Romina in grosse gocce grigie. «Brucia! Brucia!» urla la ragazza, cercando di ripararsi il volto. In quel momento torna la corrente elettrica e le luci si riaccendono. Nonostante la pioggia battente mi infradici i vestiti, mi affretto a spegnere le candele e ad aprire la finestra per far uscire il fumo facendo dissolvere il mostro, mentre gli altri cercano di aiutare a rialzarsi Romina che piange di paura e dolore. «Finalmente una seduta spiritica diversa dal solito» mi sussurri in tono divertito e poi aggiungi, ritornando seria: «Torniamo ai nostri studi?». «Lascia solo che controlli una cosa». Mi avvicino a Romina, che Anna e Stefano cercano di confortare minimizzando l’accaduto, e le controllo la pelle per trovare eventuali tracce di scottature. Non ne vedo e cerco di rassicurarla a mia volta. «Su, su, è tutto finito ormai! È stata solo un’allucinazione!». Mentre Anna accompagna Romina sconvolta verso la loro camera, Stefano mi prende da parte. «Ma pensi veramente che sia stata un’allucinazione?» domanda a bassa voce perché le altre ragazze non sentano. «Sembrava così reale!». «Ma certo! Hai visto anche tu che Romina, nonostante la sensazione di bruciore che ha avuto, non presenta scottature».
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«Ma come pensi sia stato possibile che…». «Isteria di gruppo. È la prima volta che assisto a un fenomeno del genere, ma ho letto che può succedere. Forse è stata causata dall’elettricità nell’aria dovuta al temporale, o da qualche sostanza allucinogena contenuta nelle candele, non so, ma non c’è da preoccuparsi e non dirmi che hai paura e vorresti che dormissi con te questa notte». Nonostante io abbia cercato di minimizzare l’accaduto scherzando, Stefano non sembra troppo convinto della mia spiegazione. «E se facessimo esorcizzare l’appartamento?» propone serio. «Nei muri delle vecchie case potrebbero annidarsi entità maligne. Questa si è limitata a masturbarsi ma qualche altra potrebbe assalirci durante la notte!». Scoppio a ridere perché il suggerimento mi sembra buffo e, scrollando le spalle, ti raggiungo in camera pensando che dovrei farti una ramanzina. L’antipatia fra te e Romina è sempre stata evidente, ma non avresti dovuto spaventarla in quella maniera. «Era opportuno?» ti chiedo quando rimaniamo da soli in camera. Fingi di non capire. «Era opportuno cosa? L’hai detto tu stesso che si è trattato di un’allucinazione!». Sospiro. Ho intuito che l’apparizione è opera tua, anche se non so in che modo tu vi sia riuscita, ma non riesco mai ad avercela abbastanza con te da sgridarti seriamente. «Chi conosci che ha un porro peloso sul mento?» chiedo invece. Ridacchi. «Credo che tu sia stato l’unico a notarlo. Ne aveva uno uguale la mia maestra alle elementari, non riuscivo mai a staccarne gli occhi quando la guardavo. Era già anziana a quel tempo, presumo che ormai, se non è morta, sarà all’ospizio».
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CAPITOLO SECONDO – RISVEGLIO
Il trillo della sveglia mi desta. Automaticamente allungo la mano per fermare la suoneria, ma mi occorre qualche attimo per capire di essere rientrato nella realtà e che, se sono al buio, non è perché è mancata la corrente elettrica. Rimango ancora qualche secondo a letto a rimuginare. Continuo a sognarti da quando tre anni fa sei venuta ad abitare con noi. Non è strano che continui a pensare a te anche quando dormo, visto che so di essermi preso una cotta da paura, ma i sogni che faccio, anche se il loro significato mi sfugge, sembrano così veritieri che ho sempre bisogno di un po’ di tempo per capire di essere rientrato nella realtà. Talvolta è come se vivessi in due mondi paralleli: in sogno interagisco con te, ti parlo, ti faccio la corte; nella realtà mi limito a guardarti, spiando ogni tuo respiro, ogni parola che dici, ogni tuo gesto, rimanendo sempre meravigliato dalla grazia dei tuoi movimenti. Non credo che tu ti sia accorta di questo mio interesse verso di te o, quantomeno, non lo dai a vedere. Nonostante frequentiamo lo stesso corso di giurisprudenza, tu e io ci siamo limitati a scambiare solo qualche raro commento sulle materie d’esame e sui professori. Non ho alcuna speranza che ti possa interessare a me perché sei una delle ragazze più ricercate dai miei compagni di università, specie i più arrembanti. A questo si aggiunge che sei legata sentimentalmente a Umberto Belli, il più giovane professore dell’ateneo, rampollo di una stirpe di baroni universitari di cui è destinato a ricalcare le orme. So che viene soprannominato Bellumberto per i suoi lineamenti regolari che lo fanno assomigliare a un noto attore cinematografico. Come potrei competere con un uomo ricco, bello e che può farti ottenere, grazie alle conoscenze della sua famiglia, una brillante carriera in ambito
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legale? È chiaro che non posso, ma il mio subconscio la pensa diversamente e, quando dormo, sogno che fra noi ci sia ben più che una semplice conoscenza superficiale. Non ho tempo per soffermarmi a cercare di interpretare il sogno, perché abbiamo orari ben precisi per occupare l’unico bagno dell’appartamento e io ho il primo turno. Accendo la luce e mi affretto quindi ad alzarmi. Mentre sto terminando di farmi la barba bussano alla porta. Guardo l’orologio. «Non è ancora il tuo turno chiunque tu sia» rispondo. «Apri o la faccio nel corridoio!». La voce acuta è quella di Romina. Sarei tentato di dirle che può farla dovunque voglia eccetto che in bagno, visto che le gemelle hanno sempre rifiutato di cambiare il loro turno con il mio con la scusa che loro hanno bisogno di dormire a lungo. Invece, maledetto il mio cuore tenero, pur sbuffando, apro la porta. Vedo Romina che saltella da un piede all’altro e che, appena mi scorge, si precipita in bagno e mi spinge fuori con malgarbo. Termino di vestirmi in camera e poi vado in cucina a fare colazione. Dopo poco entri tu borbottando un saluto. Rimango a guardarti mentre ti versi un po’ di latte in una tazza e la porti alla bocca. Ti trovo bellissima nonostante non ti sia ancora data quel filo di trucco che usi, abbia ancora i capelli arruffati e sia infagottata in un ampio pigiama di flanella a righe che addosso a qualcun altro sembrerebbe una divisa da carcerato mentre a te conferisce un aspetto sexy. Siamo soli in cucina ma, al solito, non cogli l’intimità della nostra situazione e continui a bere dalla tazza, tutta persa nei tuoi pensieri. Per te faccio parte dell’arredamento. Quando inaspettatamente i nostri sguardi si incrociano e io non faccio in tempo a distogliere il mio, capisci che ti sto osservando da un po’ di tempo. Fai una smorfia spostando con un soffio i capelli che ti coprono un occhio. «Be’, che c’è? Non hai mai visto una ragazza ancora mezzo addormentata che fa colazione?». «Hai mai avuto alle scuole elementari una maestra con un porro peloso sul mento?» chiedo, invece di rispondere.
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Rimani interdetta dalla mia domanda e socchiudi gli occhi scrutandomi da sopra la tazza da cui continui a bere. Forse ti chiedi perché stamattina, al contrario delle altre, io sia loquace e se la mia non sia una nuova specie di avance, cosa che in effetti è, perché cerco di suscitare la tua curiosità. Finisci di bere il latte e posi la tazza sul tavolo. «Perché?» chiedi in tono guardingo. Dovrei raccontarti il sogno che ho fatto su di te, ma il tuo atteggiamento sospettoso mi fa desistere. Scrollo le spalle. «Non ha importanza». La tua curiosità ha il sopravvento. «Sì, ho avuto una maestra a scuola con una cosa così sul mento, ma tu come fai a saperlo?». Forse c’è ancora speranza che sia riuscito a solleticare il tuo interesse. «L’ho sognato stanotte». Inarchi le sopracciglia. «Be’, è un sogno curioso. Racconta!». Guardo l’orologio e tentenno il capo. «Ora non ho tempo. Ho iniziato a preparare la tesi di laurea e ho un appuntamento con il relatore che deve darmi alcune dritte». Non riesco a capire dalla tua espressione se sei rimasta delusa. «Qual è il prossimo esame che intendi dare?» chiedi. «Diritto Amministrativo e sarà finalmente l’ultimo». «Lo stesso che manca anche a me. Se sei d’accordo potremmo prepararlo insieme». «Volentieri» rispondo cogliendo la palla al balzo. “Wow!” penso. Mi metterei a ballare per la gioia, ma mantengo un atteggiamento impassibile. Non che mi aspetti veramente che fra noi possa nascere qualcosa, ma solo starti vicino mi sembra un colpo di fortuna. «E mi racconterai anche il sogno che hai fatto su di me?» chiedi. Annuisco sorridendo. Ne ho fatti tanti su di te, ma alcuni è meglio che rimangano segreti.
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CAPITOLO TERZO - SOGNI
«Facciamo una pausa?» chiedi. Annuisco e mi alzo per sgranchirmi le gambe. Sono tre ore almeno che studiamo e sicuramente un’interruzione è necessaria. Fra l’altro trovo che il diritto amministrativo sia l’esame più noioso da preparare, anche se la tua presenza lo rende più sopportabile. Talvolta, quando facciamo una pausa, chiacchieriamo del più e del meno, tralasciando di parlare di politica su cui abbiamo punti di vista piuttosto contrastanti. Ci capita spesso di sorridere per qualche episodio universitario e, quando tu ridi di gusto, hai il vezzo di appoggiarmi la mano sul ginocchio. È una cosa che mi turba e mi chiedo se sia solo un gesto amichevole o attenda una reazione da parte mia che manca, perché temo di compromettere l’amicizia che si è stabilita fra noi. Ma il più delle volte, quando smettiamo di studiare, ti limiti ad appoggiarti allo schienale della sedia e intimarmi: «racconta!». Ormai non hai più bisogno di precisare a cosa ti stai riferendo. Ammetto di essere stato all’inizio piacevolmente sorpreso da tanto interesse, quando ti ho accennato a quanto spesso mi è capitato di sognarti, ma adesso che è trascorsa una settimana da quando abbiamo iniziato a studiare insieme, mi pare che tu stia esagerando nella tua pretesa di indagare sui minimi particolari dei miei sogni. Poi, si sa, i sogni rimangono impressi appena svegli, ma poi tendono a svanire e risulta impossibile ricordarli compiutamente. «Sei su una pista da sci» inizio, mentre cammino su e giù per la stanza, pescando fra i ricordi dei sogni che non abbiano implicazioni sessuali e cercando di non incontrare il tuo sguardo, perché sei brava a intuire se sto omettendo qualche particolare, «e il maestro che ti dà
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lezione è molto contento dei tuoi progressi. Ti sta dicendo che diventerai una vera campionessa. Tu sorridi, pensando che l’uomo esageri nei complimenti che, peraltro, ti fanno ugualmente piacere perché ti rendono più sicura di te stessa. Hai una tuta celeste e il casco rosa. Sai di essere molto carina e percepisci un interessamento nei tuoi confronti da parte del maestro di sci che va oltre il normale rapporto che dovrebbe sussistere fra insegnante e allievo, anche se sei ancora troppo giovane per comprenderne appieno la portata. Improvvisamente un altro sciatore, che scende troppo velocemente, fa una manovra azzardata e cade. Rotola verso di te che non fai in tempo a scostarti prima di esserne travolta. Vieni sbalzata verso valle, rotoli più volte e, quando finalmente ti arresti affondando nella neve fresca, senti un gran dolore alla gamba destra e non riesci ad alzarti. Piangi. Il maestro ti si avvicina e dall’angolatura che ha assunto il tuo ginocchio capisce che il danno è piuttosto grave. Telefona chiedendo l’intervento del soccorso alpino e poi ti slaccia lo scarpone rimasto ancora attaccato allo sci. Quello che ti ha fatto cadere non si è fatto praticamente niente. Approfitta che il maestro sia occupato ad aiutarti per riprendere la discesa senza neanche scusarsi per il suo comportamento avventato». Tu annuisci. «Avevo undici anni e la mia carriera sciistica è finita in quel momento. Mi stupisce sempre che tu possa raccontare non solo episodi della mia vita che non dovresti conoscere, ma che addirittura tu possa interpretare i pensieri che mi passavano per la testa in quei momenti e che neanche io ero consapevole di avere. Come lo spieghi?». Mi stringo nelle spalle. Non me lo spiego, ma non do alla cosa tutta l’importanza che sembri attribuire tu. Per quanto ne so, è possibile che a coloro che si sono presi una cotta da paura come la mia capitino nei sogni queste interferenze con i ricordi della persona amata. Il fatto che a te non succeda sta solo a dimostrare che non sei altrettanto interessata a me di quanto lo sono io a te. «Cos’altro?» insisti, dato che non rispondo.
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«Sei al mare su una spiaggia bianca che sembra formata dai gusci di tante piccole conchiglie. Farebbe molto caldo se non ci fosse una leggera brezza a rinfrescare l’aria. Tu hai circa tredici anni. Ti sei slacciata il reggiseno del bikini per prendere il sole sulla schiena. Vicino a te c’è un ragazzo di qualche anno più vecchio che ti fa la corte. Anche se tieni gli occhi chiusi intuisci che ti sta guardando. La sera prima vi siete baciati mentre ascoltavate in un locale la musica rock di un complesso musicale di cui non ricordo il nome. Non è che il ragazzo ti interessi in modo particolare, ma sei curiosa di capire fino a che punto puoi fargli perdere la testa. Gli chiedi di spalmarti un po’ di crema solare sulle spalle. Lui si precipita a ubbidire. «Basta così» gli dici dopo mezz’ora di massaggi, perché lui sarebbe andato avanti tutto il giorno se tu glielo avessi permesso, mentre tu ne sei già annoiata». Mi guardi. «Se non fossi tanto curiosa, troverei imbarazzante che qualcuno possa penetrare nei miei pensieri. Mi chiedo quali altre cose sai di me che non vuoi raccontarmi». «In realtà non molte». «No? Tendi a essere così sfuggente a volte! Vuoi dire che non fai mai sogni erotici su di me?». Rido cercando di nascondere il mio imbarazzo. «Qualche volta può succedere, ma non sei la sola ragazza che mi capita di sognare» e questa è una patetica bugia, perché sei solo tu a occupare i miei pensieri dal giorno in cui ti ho conosciuta. «Delle altre non mi interessa, di me cosa hai notato?». «Mmhm, vediamo: hai una piccola voglia color caffelatte sul fianco destro e un neo sotto il seno sinistro che qualche volta hai pensato di farti togliere, non perché sia molto evidente, ma perché temi che il reggiseno possa irritarlo con lo sfregamento». «Impressionante!». “E non ti ho detto il resto!” penso. «Impressionante sarebbe non riuscire a superare l’esame» affermo per indurla a riprendere lo studio e interrompere una conversazione che sta diventando sempre più scabrosa.
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«Dimmi solo se riesci a vedere episodi che riguardano la vita di altre persone oltre alla mia». «No, sei l’unica, e ti dirò di più: mi capita di sognarti solo quando siamo vicini. Quando siamo distanti, come nei fine settimana, quando ognuno torna a casa propria, smetto di vedere avvenimenti che ti riguardano. Naturalmente può succedere che continui a sognarti, ma come mi capita per tutte le altre persone che conosco». «Dovrei sentirmi infastidita, dato che i tuoi sogni ledono la mia privacy, invece sono affascinata dal fatto che tu possa venire a conoscere episodi del mio passato che ritenevo noti solo a me». «Be’, almeno sai che puoi interrompere i sogni che faccio su di te standomi lontano». In realtà talvolta sono più imbarazzato io a conoscere alcuni particolari della tua vita di quanto non sembri esserlo tu, tanto più che mi sento un po’ in colpa, perché alcuni episodi li conosco avendo ascoltato di nascosto qualche tua conversazione al cellulare. La mia stanza e la tua sono state ricavate dividendo a metà l’originale l’ampio soggiorno e sono separate solo da un falso muro in cartongesso contro cui è accostato il mio letto. Appoggiando l’orecchio alla parete, riesco a percepire piuttosto distintamente le parole che vengono pronunciate aldilà del divisorio.
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CAPITOLO QUARTO – DOPO L’ESAME
Dall’espressione soddisfatta che vedo apparire sul tuo volto alle domande del professore, anche se sono seduto troppo lontano per riuscire a capirle, immagino che vertano proprio sugli argomenti su cui ti avevo detto che ti avrebbero interrogata. Ma io ero andato ad ascoltare le precedenti sessioni di esami e seguito attentamente le lezioni del professore, sapevo quindi quali fossero i punti su cui tendeva a insistere e le risposte da dare alle sue precise richieste. Così riusciamo a prendere entrambi trenta e a te viene addirittura assegnata la lode, perché sei una gran bella ragazza e il professore non si lascia sfuggire quest’occasione per farti i complimenti. Probabilmente ti darebbe volentieri il bacio accademico ma, per non cadere nel ridicolo, si limita solo a farti grandi sorrisi e, cosa abbastanza rara, perché in genere i professori vengono assillati dalle richieste di noi studenti, proporti di preparare la tesi di laurea con lui. Naturalmente siamo entrambi contentissimi per il risultato dell’esame, sapendo che il traguardo dei nostri studi è ormai prossimo. «Potremmo comprare un dolce per fare una sorpresa ai nostri coinquilini e festeggiare con loro il nostro successo» proponi e così facciamo, ma quando arriviamo a casa non troviamo nessuno degli altri. Ci guardiamo ridendo. I pasticcini che abbiamo comprato dovremo mangiarceli da soli. Ma, quando i nostri occhi si incontrano, succede qualcosa. Non abbiamo bisogno di parole. I pasticcini restano dimenticati sul tavolo. Entriamo in camera mia e ci spogliamo. Ho visto tante volte il tuo corpo in sogno che non mi meraviglia vederti
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nuda. Ciò che non sentivo è il piacere di accarezzarti dal vero, percepire la tua pelle setosa e calda sotto le mani. Mi stupisce che tu abbia voluto fare l’amore con me, io ti ho sempre desiderata, ma dubito che tu abbia mai sentito lo stesso trasporto nei miei confronti. Quando rimaniamo distesi ansanti uno vicino all’altra, vorrei chiederti se ciò che è avvenuto fra noi non modifichi il tuo rapporto con Umberto. Temo però che la mia domanda possa rovinare questo momento e, prima che riesca a pensare di dire qualcosa d’altro, mi anticipa tu. «Quante volte hai già fatto l’amore con me in sogno?» chiedi. «Tante, ma ti assicuro che ogni volta è la prima volta». Ridi. È bello quando una ragazza si diverte a quelle che ritiene essere battute, perché in questo caso rispondono alla verità. Vorrei che il tempo si fermasse per mantenere questa sensazione di appagamento che sto provando e che ritengo sia quanto di più simile alla felicità riesca a immaginare. «Ho letto un libro che parla di anime complementari. Secondo l’autore sarebbero in grado di prevedere il futuro». Sento dal tono della tua voce che sta per iniziare un discorso serio. Ti guardo di sottecchi. Dove vuoi andare a parare? «Immagino che l’autore sia stato ricoverato al reparto neurodeliri». Ti volti verso di me stando appoggiata su un gomito. «Non scherzare, sto parlando seriamente». «Ma questo in che modo questo ci riguarda?». Ciò che vorrei chiederti è cosa pensi che ci sia di più importante in questo momento del fatto che siamo insieme. «Ma non capisci? Non ti sei accorto che più stiamo vicini e più i tuoi sogni diventano dettagliati e precisi? Non mi hai detto tu di aver sognato che avremmo superato l’esame che abbiamo preparato insieme? Scommetto che hai sognato che dopo avremmo anche fatto l’amore!». Effettivamente è stato così, ma mi è già capitato altre volte di sognare di fare l’amore con te. «Non sei l’unica ragazza che ho sognato, ma sei l’unica con cui il sogno si è realizzato, non si tratta
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di prevedere il futuro, ma solo di un’eventualità, per quanto remota, che si è avverata». «Tu ti rifiuti di capire. Non ti sembra fuori del normale riuscire a vedere il passato di una persona di cui dovresti ignorare praticamente tutto? Non ti viene da pensare che, se riesci a conoscere il passato, potresti anche arrivare a indovinare il futuro? Ci sono tante cose che sul momento non ci accorgiamo di recepire ma che poi, in determinate circostanze, come durante il sonno, il nostro subconscio elabora e comunica attraverso i sogni. Questa teoria è fondata su basi scientifiche inconfutabili». Potrei dirti che è perché sono innamorato pazzo di te che riesco a penetrare nei tuoi pensieri. Nel tentativo di nascondere i miei sentimenti, pontifico in tono più sprezzante di quanto vorrei: «Le basi scientifiche saranno inconfutabili, ma la conclusione è del tutto fantasiosa. Sinceramente mi meraviglia che una persona intelligente come te presti fede a simili assurdità». Appena ho pronunciato queste parole vorrei rimangiarmele. Tu ti stacchi da me e mi guardi freddamente. «Non pensavo che tu avessi una mentalità così limitata da non accorgerti del dono che hai». Poi ti alzi e inizi a vestirsi. «Ciò che è successo oggi non avrà più occasione di ripetersi» affermi lapidaria. Sono troppo scosso per reagire e non riesco a trovare parole di scusa che possano dissuaderti dal tuo proposito. Non posso fare a meno di pensare che sei tanto bella quanto permalosa e io tanto stupido quanto autolesionista. Se ciò che ti attrae di me sono i sogni che faccio su di te, perché cercare di minimizzarli? Spero di non aver rovinato irreparabilmente il nostro rapporto. Rimango a guardarti pensando che, anche quando ti vesti, per quanto tu possa essere arrabbiata, mantieni quella naturale eleganza di movimenti che mi affascina. Prima di uscire dalla stanza ti volti verso di me. «E non sopporto quando mi guardi senza espressione!» sbotti con rabbia. Mi chiedo che espressione debba avere una persona che si trattiene dal mettersi a piangere.
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CAPITOLO QUINTO – LA LAUREA
Sono trascorsi tre mesi da quando abbiamo dato insieme l’ultimo esame, un periodo di tempo caratterizzato da un’estrema laconicità da parte tua, che ti sei limitata a salutarmi freddamente quando ci incontravamo. Ma oggi, che è la giornata di coronamento dei nostri studi, tu non sembri essere più in collera. Ci sorridiamo e ci abbracciamo facendoci reciprocamente gli auguri, prima di avviarci a discutere le nostre tesi davanti alla commissione esaminatrice. Gli amici, subito dopo la laurea, ci sottopongono ai soliti scherzi goliardici. Tu vieni vestita da gatta e ti vengono disegnati sotto il naso lunghi baffi. A me viene fatto indossare un costume da pellerossa che mi lascia in gran parte scoperto e rabbrividisco dal freddo. Sul volto mi vengono dipinti i colori di guerra e mi costringono a fare una specie di danza propiziatrice della pioggia che, vista la giornata nuvolosa, dopo poco arriva veramente con un grande scroscio. Corriamo tutti a ripararci e, mentre io cerco di avvicinarmi a te, vengo raggiunto da Stefano che mi sussurra all’orecchio di avere conosciuto due sventole del primo anno e sarebbe sufficiente avere l’appartamento libero per combinare un incontro suscettibile di diventare memorabile. Gli dico che in serata torno a casa dai miei ma che, per quanto mi riguarda, l’appartamento è a sua disposizione. Lui mi lancia un’occhiata di compatimento. Ritiene che non sappia godermi la vita e cogliere occasioni forse irripetibili. Gli auguro di divertirsi e cerco di scoprire dove tu sia andata a finire. Naturalmente sei circondata da un gruppetto di ammiratori e quando riesco a richiamare la tua attenzione e ti segnalo che vado a casa a cambiarmi, mi gridi: «Aspetta, vengo anch’io!».
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Saluti il gruppo che ti circonda e che vorrebbe trattenerti, parlotti con una signora che ti sta a fianco e che so essere tua madre e a cui, prima di allontanarti, mi presenti. La signora mi porge la mano quasi con fastidio, senza guardarmi, visto che sembra fissare un punto alle mie spalle, e ti dice di affrettarti, perché lei non conosce tutte le persone che interverranno nel locale in cui è stato prenotato il tuo rinfresco di laurea. «Non ho visto i tuoi, non dirmi che non sono venuti a festeggiare la tua laurea!» mi chiedi mentre camminiamo verso il nostro appartamento. «Purtroppo mia sorella si è rotta un braccio in una gara di pattini a rotelle e così i miei sono rimasti a Belluno per le radiografie e l’ingessatura». «Oh, mi dispiace, spero che ora stia meglio!». «Mi hanno detto che potrà riprendere gli allenamenti fra qualche settimana, ma Lisa è un po’ giù di morale perché non riuscirà a partecipare alla finale a cui avrebbe voluto primeggiare. È lei la sportiva di famiglia». Ricomincia a piovere. Ti prendo per mano e corriamo ridendo fino a casa dove arriviamo fradici. Anche le pozze d’acqua che i nostri indumenti bagnati lasciano sul pavimento aumentano la nostra ilarità. È bello sentirsi di nuovo in sintonia. Ti pulisco la guancia sporca dell’inchiostro che hanno usato per disegnarti i baffi da gatto, mentre tu mi togli un po’ di vernice colorata dalla fronte. I nostri corpi si sfiorano e viene naturale abbracciarsi, ma staccarsi diventa difficile. La tua bocca socchiusa attira la mia. Il bacio inizialmente dolce diventa sempre più intenso e profondo. Mentre il cuore mi scoppia, sento il tuo respiro farsi affannoso e il tuo corpo aderire al mio. Iniziamo precipitosamente a slacciarci reciprocamente i bottoni e sfilarci gli abiti. Mi stacco un attimo da te per lasciar cadere a terra gli ultimi indumenti e incontro il tuo sguardo. Quando si legge in un romanzo che “lui” è stato travolto dalla passione che ha letto negli occhi di “lei”, penso che siano tutte balle. Il tuo sguardo è vacuo, come se in realtà non mi vedessi neanche. Il
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mio è altrettanto assente? Mi piacerebbe chiedertelo se in questo momento non ci fosse qualcosa di più urgente a impegnarmi. In ogni caso sta per accadere ciò che avevi asserito che non sarebbe più accaduto. Mentre mi domando se sia opportuno fare l’amore in piedi o sia meglio trascinarci in camera da letto, squilla il campanello alla porta. Nessuno dei due sul momento ha una reazione. Il suono sembra così alieno e distante da essere oltre la nostra comprensione. Alla seconda scampanellata, più lunga e imperiosa, mentre io penso che chiunque sia lo scocciatore non ho intenzione di aprire, tu ti stacchi da me. Il tuo sguardo torna vigile. Le labbra che tenevi socchiuse si stringono. «Arrivo!». Gridi e ti precipiti nella tua stanza, ti rivesti in fretta con indumenti asciutti e corri ad aprire, mentre io mi eclisso in camera mia a smaltire la delusione. “Parenti” penso, sentendo le esclamazioni di congratulazione e quelle frasi tipo “Ma non dovevi!”, “Ma è carinissimo!”, che usate sempre voi donne quando ricevete regali.
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CAPITOLO SESTO – SEPARAZIONE
«Entrare in banca è come buttare dalla finestra quattro anni di studi universitari. È da stupidi rassegnarsi a vivere una vita da impiegato quando insieme potremmo fare grandi cose!». Mentre mi dici queste parole hai lo sguardo fiammeggiante. Sei bellissima, ma mi fai anche rabbia. Questa volta però sono deciso e, una volta tanto che non tentenno nelle mie convinzioni, non riuscirai a smuovermi dal mio proposito. Sai cosa provo per te, ma continui a trattarmi come se fossi uno dei tuoi tanti corteggiatori, sempre pronto a divertirti con il racconto dei miei sogni che, secondo te, adeguatamente interpretati, mostrerebbero il futuro. Riconosco che, quando dormo, avviene un’interferenza con i tuoi ricordi, ma è assurdo ritenere che questo possa avere un’influenza determinante sulle nostre vite. I sogni, poi, sono spesso bugiardi: mi è capitato di sognare di fare l’amore con mia sorella, ma questo non vuol dire che lo desideri, anzi, è una cosa raccapricciante, e da sveglio il pensiero mi disgusta. Pertanto ti rispondo a tono. «Abbiamo mai parlato di una vita insieme? Che io sappia tu sei fidanzata con Umberto Belli che, grazie alle conoscenze della sua famiglia, ti spianerà la strada per una carriera legale piena di successo. Io non ho le possibilità che hai tu e non mi sento portato per la libera professione. Per emergere dovrei possedere una grinta che non ho. Se poi volessi entrare in magistratura, dovrei mettermi a studiare chissà per quanto tempo per prepararmi al concorso e non voglio pesare ancora sulle finanze dei miei genitori, che a breve avranno da mantenere all’università anche mia sorella». «Le tue sono solo scuse per scaricarti di ogni responsabilità. Umberto, che ci sia o meno, non dovrebbe condizionare il tuo
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comportamento. È un tale spreco che tu non voglia utilizzare le tue capacità che ti picchierei per la rabbia che mi fai!». Te ne vai in camera tua sbattendo la porta. Freno l’impulso di inseguirti perché sono convinto che il mio futuro sia in banca, un posto tranquillo che mi darà di che vivere anche se non riuscissi a fare carriera. C’è già la mia attività onirica, talvolta, a stressarmi, voglio che la mia vita reale scorra placida. Mi sono sempre sentito in dovere di risultare all’altezza delle aspettative degli altri. A scuola dovevo essere uno dei primi della classe perché è quello che ci si aspetta dal figlio di due professori. Dovevo anche primeggiare nello sport, per non sembrare il solito secchione sfigato capace solo di studiare. Ora che posso gestire il mio futuro in autonomia, mi rifiuto di lasciare che gli altri mi impongano la loro volontà su come impostare la mia vita. Non sono un combattente, non sono uno con le cosiddette “palle quadrate”, ho il diritto di scegliere la strada che ritengo più facile anche a costo di dovermene pentire. Se tu mi volessi veramente bene dovresti riuscire ad accettarmi senza pretendere di cambiarmi.
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CAPITOLO SETTIMO PRIMO GIORNO DI LAVORO
Al mio primo giorno di lavoro arrivo in banca in perfetto orario e un impiegato mi indirizza gentilmente al piano superiore dove, mi dice, troverò l’ufficio del capo del personale. Quando busso nessuno risponde e la porta che provo ad aprire è chiusa a chiave. A fianco c’è un altro ufficio dove una targa segnala “Ufficio del Personale”. Busso anche a quella senza ottenere risultato e allora appoggio l’orecchio prima a una e poi all’altra porta, ma non sento rumori. Ricontrollo per puro scrupolo la lettera di assunzione che indica la data e l’ora a cui devo presentarmi, passata ormai da diversi minuti. Finalmente sento delle voci e metto via la lettera che, nella fretta, si accartoccia nella tasca della giacca. Cerco di schiacciarla il più possibile con la mano, mentre da dietro l’angolo del corridoio appaiono un uomo e una donna. Lui mi dà l’idea del classico dirigente in carriera: vestito Principe di Galles con tanto di gilet, capelli con riporto nel tentativo di nascondere la calvizie incipiente e al polso un orologio d’oro. Lei è decisamente più giovane e sembra lusingata dall’interessamento che lui le dimostra. Parlano e ridono. È palese che fra loro esista un certo grado di complicità. Quando mi scorgono si zittiscono e mi guardano con aria infastidita. Spiego il motivo della mia presenza. La donna mi ordina di passare nel suo ufficio che apre con la chiave, mentre l’uomo entra in quello vicino e si chiude la porta alle spalle. Rimango in piedi mentre la donna si siede alla scrivania, accende il computer e, nell’attesa che si avvii, alza la cornetta e compone un numero di telefono. Mi gira parzialmente la schiena e inizia a parlare
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sottovoce. Ho modo di osservarla con comodo perché non guarda mai verso di me. È giovane, bionda e sarebbe anche molto bella se non avesse l’espressione arcigna. Trascorrono i minuti. Alla fine si accende una luce verde sopra la porta comunicante con l’altro ufficio. La donna mi fa cenno di entrare e mi tende la mano. Faccio per stringergliela ma lei la ritrae. «La lettera di assunzione» dice freddamente. Mi scuso per l’incomprensione, la estraggo di tasca e gliela porgo. Lei guarda con disappunto il foglio spiegazzato e cerca di spianarlo passandoci più volte sopra la mano per poi appoggiarlo in una vaschetta in plastica. Apro intanto la porta di comunicazione fra gli uffici. «Permesso?» chiedo. «Venga!» abbaia l’uomo. Siede dietro una scrivania lontana alcuni metri, su cui spicca un parallelepipedo che reca il suo cognome a caratteri cubitali: Valsecchi. Stira le labbra in un sorriso poco convinto e mi porge la mano senza alzarsi. Riesco a stringergli appena un paio di falangi prima che la ritiri. «Si sieda. È il suo primo impiego questo?». «Sì, se si esclude qualche breve incombenza durante l’estate per svolgere lavori al computer. In genere inserimento dati per conto di...». Ho la sensazione che non stia assolutamente ascoltando ciò che sto dicendo e mi fermo a metà della frase senza che Valsecchi sembri notarlo. Mi pento di non essermi limitato a rispondere con un sì o un no. Nel frattempo ha aperto una cartellina con sopra evidenziato il mio nome. «Leggo che lei è laureato in giurisprudenza. Bene, un laureato fa sempre carriera» commenta, mostrando nuovamente un sorriso la cui affabilità è smentita dalla freddezza degli occhi. «La sua destinazione finale, dato il tipo di studi, sarà sicuramente la segreteria, un ufficio specializzato in questioni legali. Tuttavia al momento dobbiamo tamponare le esigenze immediate dell’Istituto e quindi lei svolgerà le funzioni di cassiere. È un lavoro che forse non
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viene valutato come si dovrebbe, ma l’operatore di sportello è, come si dice, il biglietto da visita della banca. Ora vada, la segretaria la presenterà al direttore di filiale». Fa un gesto con la mano che, più che un saluto, sembra volermi sollecitare ad andarmene e abbassa lo sguardo per dedicarsi ad altro. Mi ripresento davanti alla segretaria che mi guarda con aria di sopportazione. Si alza poi con sussiego e mi ordina di seguirla. Non ha mai accennato un sorriso. Sicuramente il suo atteggiamento sta a significare che deve essere evitato ogni tentativo di familiarità. Abbiamo probabilmente la stessa età, ma darle del tu in questo contesto sarebbe giudicato decisamente riprovevole da parte sua. La segretaria mi precede lungo i corridoi che ho già percorso arrivando. Si ferma davanti alla porta del direttore, bussa ed entra senza attendere risposta. L’ufficio è vuoto. La donna stringe le labbra contrariata ed esce dalla stanza con me sempre alle calcagna. Prendiamo l’ascensore che ci porta al pianterreno. Ci fermiamo davanti a una scrivania posta ai margini del retro sportello, dietro di cui è seduto un uomo segaligno a cui gli occhiali dalle lenti spesse conferiscono un aspetto vagamente alieno. «Ragionier Rossi, questo è il nuovo impiegato» afferma laconica la segretaria dell’Ufficio del Personale e si allontana senza salutare. Il ragionier Rossi, un uomo non certo giovane ma di cui non riesco a definire l’età per l’estrema magrezza, mi sorride. «Benvenuto!» dice, porgendomi la mano, poi si alza e mi conduce vicino al bancone. «Ti presento velocemente i componenti dell’ufficio cassa. Sandra, Maurizio e Paolo. Tu verrai affiancato a quest’ultimo che è destinato ad attività di ben altro spessore. Non ho tempo adesso di farti fare il giro dei vari uffici, ma sono convinto che non ti sarà difficile orizzontarti e conoscere gli altri colleghi, aiutato anche dal tuo maestro che non vedeva l’ora di poter travasare su qualcuno tutto il proprio sapere». Il tono è vagamente sarcastico ma il destinatario delle parole non ne appare assolutamente infastidito. «Piacerissimo di conoscerti!» dice Paolo alle parole di Rossi. «Aspettavo con ansia questo momento. Hai già conosciuto
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Valsecchi, il capo del personale? Sì? Allora ti avrà rifilato le solite menate». E, imitando alla perfezione la sua voce, esclama: «Lei così giovane è destinato a una brillante carriera. Al momento ci necessita ricoprire il posto di cassiere. Un lavoro delicatissimo perché, come si dice, il cassiere è il biglietto da visita della banca». Rido perché mi sembra di risentire Valsecchi. «Sai» gli confido, «dopo aver incontrato la segretaria dell’ufficio del personale che ho trovato molto scostante, mi ero spaventato, mentre qui in salone mi sembrate tutti cordiali». «Ah, la direttrice intendi! La chiamiamo così perché si comporta come se fosse lei a comandare qua dentro. Valsecchi le lascia carta bianca in tutto perché ha un debole per lei. D'altronde lo capisco, lei è un gran bel pezzo di figliola e lui è stronzo ma non cieco».
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CAPITOLO OTTAVO - SOLITUDINE
I giorni passano velocemente ed è ormai un anno che lavoro in banca. Conosco perfettamente i compiti che devo svolgere e gran parte dei fatti personali dei colleghi e di molti clienti che vengono a effettuare operazioni allo sportello. Come insegnante di maldicenze Paolo è insuperabile. I colleghi non sono antipatici ma, forse per il mio carattere schivo, non ho fatto amicizie con nessuno, a parte Paolo che, nonostante il carattere piuttosto esuberante, non mi pare risulti molto popolare e credo di essere l’unico con cui riesce a legare. Il lavoro che svolgo è piuttosto ripetitivo, ma non sono pentito della mia scelta perché risponde alle mie aspettative. L’unico inconveniente è che non mi assorbe così tanto da poterti dimenticare e questo mi provoca una certa malinconia. Prima di addormentarmi ti penso sempre e questo mi fa stare sveglio a lungo. Mi ripeto spesso che è solo una fissazione quella che ho per te. L’amore è un sentimento alimentato dalla reciprocità e quando questa manca è destinato a morire. Se la mia è, quindi, solo attrazione, potrebbe essere soddisfatta da una delle tante altre belle ragazze che esistono al mondo. Tu, però, sei anche una persona positiva e, a differenza di me, affronti la vita con entusiasmo. Non so da dove provenga la mia malinconia, tuttavia qualche volta mi è venuto da pensare che stando con te avrei potuto vivere anche io la vita, anche se per interposta persona. Oggi non ho resistito al desiderio di rivederti. Nel pomeriggio, al termine dell’orario di banca, invece di tornare a casa mi sono appostato nelle vicinanze dello studio legale in cui tu lavori. Quando ti ho vista uscire, dopo alcune ore di attesa, il cuore ha iniziato a
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battermi forte. Ti ho seguita ed ero tentato di fingere di incontrarti per caso. Poi ho pensato che il mio comportamento sarebbe parso infantile e che tu avresti capito subito che la mia era solo una scusa per cercare di riallacciare un rapporto che, dal tuo punto di vista, probabilmente non ha più storia. Quando sei entrata in un palazzo del centro, ho guardato i nomi degli inquilini segnati a fianco dei campanelli. Il tuo era indicato al quarto piano. Ho aspettato per vedere quale finestra si sarebbe illuminata e, quando ho visto finalmente apparire una luce, me ne sono andato solitario e patetico nella notte, pensando che il detto amor che a nullo amato amar perdona fosse solo una bufala medievale. Ho preso pertanto la decisione, cui sono il primo a non credere, non solo di non tentare più di rivederti, ma addirittura di dimenticarti. La prima cosa che faccio è mettere in fondo a un cassetto la foto che ti ritrae con la corona d’alloro al collo subito dopo la laurea e poi accetto di uscire con Paolo e la sua ragazza. Loro riescono a convincermi dicendomi che avrebbero provveduto a invitare una bella amica con cui fare coppia. Faccio pertanto la conoscenza di Anna e, contrariamente alle mie aspettative, è carina, ma quando ride fa un verso che sembra un nitrito. Per il resto sarebbe abbastanza simpatica e ha anche un bel decolté, che sottolinea lasciando slacciati i primi bottoni della camicetta. Mentre balliamo cerca la mia complicità dicendo che, ogni volta che ha accettato di uscire con un ragazzo presentatole da amiche, ha rimpianto la propria decisione, perché erano di una stupidità impressionante e cercavano di allungare le mani. Mi racconta di essere stata fidanzata per tanto tempo con un suo coetaneo, ma la storia d’amore non è sopravvissuta alla distanza, quando i suoi sono stati trasferiti per lavoro in un’altra città. «Lui si chiama Marco?» le chiedo, pensando alla canzone della Pausini e lei coglie il riferimento e fa nuovamente quel nitrito che mi fa accapponare la pelle. Probabilmente, nel silenzio che segue, aspetta qualche analoga confidenza da parte mia, però non sono pronto a raccontare la mia
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storia con te, ammesso che possa essere definita “storia” anche se mi fa ancora soffrire. Quando l’accompagno a casa, mi lascia il suo numero di cellulare dicendomi di chiamarla quando voglio e mi bacia velocemente sull’angolo della bocca. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/
Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.
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