La vedova ombra, Chiara Viotti

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CHIARA VIOTTI

LA VEDOVA OMBRA

ZeroUnoUndici Edizioni


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LA VEDOVA OMBRA Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-453-3 Copertina: immagine proposta dall’Autore Prima edizione Marzo 2021


Con tutto il mio amore in memoria del mio Eroe Chiara



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PREFAZIONE

La vedova ombra è il risultato ottenuto dal ritrovamento di sette quaderni scritti pagina dopo pagina da mio nonno, Francesco Viotti, e da me riscoperti all'interno di una sua vecchia cartella alcuni anni dopo la sua morte. Chi conosce l'autore del libro, oggi alla sua seconda pubblicazione postuma dopo l'opera autobiografica Un berretto di panno blu, scritto che racconta la sua storia di giovane partigiano deportato durante la Seconda Guerra Mondiale, comprenderà che non è un fatto inusuale l'aver ritrovato un manoscritto inedito da lui redatto senza che nessuno ne fosse a conoscenza. Francesco era infatti un'anima pura, libera e ribelle che viveva in un suo mondo fantastico, quasi trascendentale, fisicamente inaccessibile agli altri, ma ben visibile nella sua arte, in particolare negli innumerevoli quadri ricchi di scene fantastiche e colori vivaci da lui dipinti durante la sua vita. La storia si ripete e ancora una volta mi ritrovo con un gioiello prezioso tra le mani, pronta ad assumermi il compito di sedermi dietro alla mia scrivania per dargli vita, riscrivendo, parola per parola, la sua opera. L'emozione è sempre la stessa, quella di una nipote che legge le opere del nonno e che tenta in tutti modi, rispettandole, di dargli vita eterna. L'intero scritto prende forma dalle mani di mio nonno Francesco e si trasforma in un giallo, che in fondo tanto giallo non è, che non perde mai quel particolare stile di scrittura con il quale era in grado di disegnare, come in un quadro, i personaggi che prendono vita nel suo romanzo. Preciso infine che anche per quest'opera, come per la precedente, la copertina del libro ritrae uno dei quadri dipinti da Francesco Viotti.



PRIMA PARTE



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1. L'OPERA PIA

"L'Opera Pia" è un solido edificio settecentesco ben piazzato sulla collina nella parte orientale della città ligure. Costruito per essere la dimora ambiziosa di un principe divenne, un secolo dopo, ma solo per metà, la corte mondana di un ricco importatore di rame, e tale rimase finché l'impero finanziario non andò in fumo, bruciato dagli eredi ai tavoli da gioco. L'edificio venne assegnato per un quarto a una prestigiosa scuola di restauri di fama internazionale e la rimanente parte, ai piani superiori, fu divisa tra un club privato promiscuo e l'ente di assistenza dei diseredati. Da quest'ultimo prese il nome di "Opera Pia". Col passare degli anni i negletti vennero via via relegati negli angusti ospizi di periferia, il club venne chiuso d'autorità e trasformato in conservatorio. La scuola restauri rimase dove era, con ingresso al piano terra sul retro. La restante parte dell'edificio, al piano nobile, è oggi la residenza di élite di un'esigua schiera di anziani di origine straniera. Ornella Ghighiù, romena, è una di costoro. Il nome "Opera Pia" è rimasto e non lo toglierà più nessuno. Specie quel "Pia", che suscita tanto l'ironia della gente comune, rimarrà per sempre. Per Ornella è semplicemente "l'Opera", dove lei si muove avvolta nei suoi veli leggeri, con passo lento, in certe ore del giorno e della sera. Sull'imbrunire, nella buona stagione, Ornella si aggira nel parco. I cipressi alti e bassi, scuri contro un cielo ancora tenue, assumono l'aspetto spettrale di antichi castelli scozzesi. Poi va a raccogliersi nella sua camera dove l'attende l'inseparabile elisir di ginepro che fa svanire i ricordi e promuove le suggestioni. Ornella può essere definita, a ragion veduta, l'esempio di quanto possa


10 mutare la personalità femminile attraverso matrimonio, vedovanza e convivenza. All'età di sedici anni, con l'innata attitudine alla recitazione, seduce il giovane Oreste e il componimento brillante si conclude con la scena di matrimonio. La fantasia di Ornella sposa la creatività di Oreste, ideatore e produttore di giocattoli di carta. Nell'atelier luminoso le pantomime, animate dalle rime spontanee di Ornella, si succedono con ritmo incalzante e diventano sempre più frenetiche mano a mano che nei capaci bicchieri scende il livello del gin. Poi, per finire, il tonfo di Oreste sul tappeto e di Ornella sul divano. Nient'altro. La giovane donna sopravvisse al compagno distrutto dal vizio che lei chiamava "il male di Oreste" e di cui Oreste, insieme alla fabbrica di giocattoli di carta, con un ultimo "prosit", la lasciò erede universale. Da quel giorno Ornella dalle lunghe ciglia, che dalle complesse e vivaci recitazioni era passata ai monologhi brevi e contenuti, e poi ai frammenti di monologo, intermezzati da altrettanto brevi ma sempre più frequenti parentesi tonde tra gin e ghiaccio, si ridusse a interminabili silenzi, e infine all’ascolto passivo dei garbati rimproveri di Mauro, amico di giochi della prima età, cugino in primo grado e convivente a tempo perso. La comparsa di Mauro sulla scena, quando lo spettacolo stava ormai per finire, non era stata un semplice fuori programma. Più volte Oreste, negli ultimi tempi ormai instabile e traballante, aveva pregato il vecchio amico di prendersi cura di Ornella. Mauro, cugino super affettuoso, rinunciando allo stato di libertà provvisoria in cui si era venuto a trovare dopo la fuga della moglie, mantenne l'impegno e convisse con Ornella per aiutarla a guarire. Il micione (così lo chiamava la moglie Mirella) era astemio, ghiotto di pesce con spremuta di limone in acqua frizzante. Ma la nuova dieta, l'esempio e la scrupolosa attenzione di Mauro non valsero ad allontanare il gin dalle labbra di Ornella. Così, come ultimo tentativo, Mauro e Amarilla, sorella di Ornella,


11 decisero di affidare Ornella, consenziente, all'istituto dell'"Opera Pia", di cui era stata facoltosa promotrice ed era ora ospite privilegiata. Ma la decisione del cugino Mauro e di Amarilla doveva nascondere altre verità inquietanti. *** Ornella, avvolta nell'intreccio traforato del tulle, i gomiti puntellati sui braccioli della poltrona, un po' protesa in avanti, scruta il parco attraverso le vetrate della hall dell'"Opera Pia". Il lungo viale rettilineo disteso sul prato erboso è deserto. Amarilla non si vede ancora. Gli ospiti dell'istituto sono tutti riuniti nella sala dei concerti dove il quartetto d'archi del conservatorio prova musiche di Vivaldi. «Chissà Amarilla cosa dovrà dirmi di così importante» si chiede Ornella tamburellando sui vetri. Una voce alle sue spalle la scuote. «Non va al concerto, signora Ghighiù?». È la direttrice del laboratorio di restauri che sta attraversando la hall a passo di minuetto. «Non le piace la musica classica?». «Mi piace moltissimo. Ma sto aspettando mia sorella. Dovrebbe essere già qui. Forse, guardi, sta arrivando» qualcosa di informe infatti si muove lungo il viale ondeggiando. «No, signora Ghighiù, non è sua sorella, sono i ragazzi che trasportano il "Ritratto di una sconosciuta", un quadro di grande valore ma deturpato dai fumi. Si figuri che era depositato nell'officina del fabbro nell'angiporto di una cittadina sul Mar Nero. Il viso della donna, che era giovanile e bellissimo, è ridotto in uno stato pietoso. Ma dopo il restauro tornerà a risplendere come prima.» «So che siete famosi in tutto il mondo per l'arte del restauro, non sarà difficile per voi.» Poi, abbandonandosi sulla poltrona, sussurra con un brivido: «i fumi del fabbro.» Ora il ritratto è di fronte a lei. È vero, quel viso doveva essere bello. Si notano ancora le ciglia, "lunghe come le mie". Gli occhi fieri sono offuscati dai fumi della fucina, le guance ridotte a una rete di solchi


12 irregolari, violacee su quel tondo che doveva essere stato roseo. Il naso impertinente sembra scolpito nel marmo cipollino grigio con venature verdastre. Attraverso le labbra socchiuse si intravede "qualcosa che sembra, ma di certo non è, una protesi dentaria", il mento per effetto dei fumi caldi del fabbro è diventato simile al fondo di una cipolla rossa cotta al forno con tuniche e barbicelle, "mi dà la nausea" pensa Ornella. La mano sinistra ha l'aspetto di un topolino roditore, "è orrenda". Il collo, "lungo come il mio", sembra rigonfio sopra e sotto il nastro nero che lo cinge. Sulla spalla un festone di fiori di ciliegio, "i fiori che preferisco", conserva ancora inalterati i suoi colori, e crea un contrasto quasi insopportabile. «Portatelo via», intima Ornella. Poi, furtiva, estrae dalla borsa il botticello di gin, ma viene interrotta dalla voce di Amarilla: «Mauro si è impiccato.» Un cestello colmo di ciliegie, posto ai piedi di Ornella, attira l'attenzione di Amarilla. «Le ha portate Zecca, credo. Prendine, se le gradisci.»


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2. AMARILLA

Quella sera stessa Amarilla chiamò Jim Madia e gli disse che aveva un problema serio da risolvere. Jim Madia conosceva Amarilla dai tempi del liceo e appunto perché la conosceva bene non si preoccupò più di tanto. «Ti chiamo più tardi» le disse. La conosceva bene, ma non a fondo. Qualcosa in quella ragazzina gli era sempre sfuggito. Ora non si vedevano da qualche anno, dal tempo del liceo, ossia da quando lui si era dedicato all'arte dell'"infallibile fiuto". «Avrà circa la mia età, due o tre meno della sorella. Chissà se sarà cambiata.» Intanto cercò di ricostruirla mentalmente, pezzo per pezzo, con calma, senza trascurare i dettagli. Era una ragazza interessante, talvolta molto fantasiosa, talvolta volubile, anche nel vestire, in un alternarsi di conformismo e ribellione. Era sempre fuori moda, come una provocazione, quando la fase glielo imponeva. Forse da bambina era stata molto a osservare le prime fasi della luna, quando il satellite, tutto volto di profilo, disdegna i piccoli nottambuli del pianeta che la guardano affascinati. Forse per questo l'espressione del suo viso, da qualsiasi parte lo si osservasse, si presentava di profilo, "come quello della luna". Amarilla ragazzina apparteneva alla categoria degli esseri insonni. La bella testa posta di profilo sul lungo collo sembrava in stato di equilibrio instabile permanente. Eppure Amarilla, in ultima analisi, è l'essenza della stabilità, o almeno, per essere più precisi, è l'essenza della stabilità delle fasi. Per trattare con lei occorre aspettare con pazienza la fase più propizia. Consapevole, Jim Madia attese il momento più adatto per chiederle, in sostanza: «cosa posso fare per te?».


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Si incontrarono, alle quattro del pomeriggio, al bar sotto i portici di Piazza dell'Obelisco, nota da qualche tempo come "Piazza dell'Esplosione". Lei portava un berrettone di lana da vogatore, blu con nappa rossa al centro ma di tonalità pastello, maglioncino e gonna pantalone al di sopra del ginocchio. Accavallò le belle gambe e accese una sigaretta. Non era per niente ben disposta a fare preamboli e convenevoli, anche se si rivedevano ora dopo tanto tempo, né a dilungarsi in particolari. Così gli disse in poche parole che suo cugino, il cavaliere Mauro Ghighiù, era stato trovato penzolante da una trave a "Secche di Rocca ". Jim Madia chiese quale motivo poteva averlo portato al suicidio. «Il fallimento della "Grandi Imballaggi", di cui Mauro era proprietario e amministratore» rispose Amarilla. «Ma ora basta con le domande. Ho pochi minuti.» Poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunse: «sul volto e sulle mani aveva tracce di rossetto, i pantaloni sulle ginocchia erano unti di cera rossa, come fosse stato a lungo inginocchiato sul pavimento.» Jim Madia intuì che Amarilla, circa il suicidio, aveva dei dubbi. Chiese allora se sospettava qualcosa, ma venne interrotto da una coppia di turisti curiosi di sapere perché quella si chiamava "Piazza dell'Esplosione". Amarilla già in piedi, annoiata, raccontò per l'ennesima volta che un tempo in mezzo alla piazza c'era un obelisco, che intorno all'obelisco giocavano i ragazzini e che una sera alcuni di loro raccolsero davanti al municipio un grosso pacco tondo e lo legarono alla coda di un cane, che il cane prese la corsa verso l'obelisco, che a pochi metri il pacco si staccò dalla coda, che il cane cambiò direzione e il pacco proseguì verso l'obelisco, urtò la base ed esplose. Ecco il perché. I due turisti, sollevati dal fatto che il cane l'aveva scampata, ringraziarono e salutarono. J.M. disse che si sarebbe messo subito al lavoro per scoprire la verità su Mauro, intanto lei andasse pure dal dottore. Amarilla era in cura presso uno specialista di malattie dello stomaco. Durante la notte i dolori le turbavano il sonno e le provocavano sogni inquietanti. Ma soprattutto temeva gli effetti collaterali che i farmaci le procuravano. Personaggio dei sogni era spesso Mauro e in particolare la


15 sua puerile incoscienza, a dire il vero un poco mostruosa per l'animo sensibile di Amarilla. Così Amarilla durante il periodo di luna calante passava molte ore di attesa nell'ambulatorio, tra la lettura dei settimanali e la conversazione con le altre pazienti che erano sempre le stesse, in cura per gli stessi motivi. Chi accusava un fastidio, chi un dolore, chi l'uno e l'altro, chi, non accusando alcun effetto collaterale dubitava della terapia stessa. Conobbe così l'Amelia che era esperta, oltre che in bugiardini e controindicazioni, anche in una materia poco nota che studia la "mostruosità morale congenita dell'uomo". Amarilla non capì mai di cosa si trattava anche perché l'Amelia non sapeva spiegarsi, ma le rimase la convinzione, tutta sua, che nell'uomo la mostruosità morale risieda soprattutto nell'incoscienza, di cui però non è responsabile quando è congenita. Ma cosa c'entrava l'incoscienza con la morte di Mauro? Come le era nato questo pensiero?


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3. SECCHE DI ROCCA

J.M. il mattino dopo l'incontro con Amarilla, si recò a Secche di Rocca. Il sole era già alto quando arrivò ai piedi della collina. Scese dalla Renault con il rasoio in mano, si specchiò nella pozza dove guizzavano trote e cavedani, poi si fece la barba con cura. Quella località così silenziosa gli diede una sensazione di ebbrezza a cui non era abituato. Amarilla la sera prima al telefono gli aveva raccomandato di non sbagliare strada, ma lui due o tre volte si era perso e ora finalmente si trovava ai piedi della collina, sul lato dove la strada tra un guado e una stretta curva in salita, incassata tra enormi rocce e folta vegetazione, si inerpica tra i dirupi. Ma quella strada dava l'impressione di non portare in nessun luogo abitato e J.M. era incerto se proseguire o tornare indietro, quando all'improvviso il silenzio si spezzò al rumore assordante di una moto di grossa cilindrata che sbucò dalla curva, per poco non lo travolse e sbandando scomparve nel fondo della valle. J.M risalì in macchina, raggiunse il culmine della collina e vide sotto di sé il piccolo borgo sul pianoro a mezza costa. Capì allora perché Amarilla e Mauro si erano invaghiti di quell'angolo di paradiso. Il piccolo borgo di poche case, tutti ruderi abbandonati, salvo una col poggiolo fiorito, è esposto interamente a levante, ossia al sorgere del sole. La proprietà Ghighiù emerge al centro del borgo ed è circondata di orti frutteti e prati. Il complesso apparteneva alle due sorelle Ghighiù. Mentre Ornella era stata a visitarlo almeno una volta, Amarilla ne conosceva l'esistenza solo per sentito dire, e Mauro non ne aveva mai sentito parlare. Un giorno, ed era di maggio, Amarilla e il cugino Mauro decisero di


17 andare alla ricerca di questa proprietà catastale. Trovarono l'interno del rustico in pessime condizioni, con muri lesionati, scalini consumati, imposte mancanti e vetri rotti, ma il complesso nell'insieme era suggestivo. Decisero così, all'istante, di ristrutturarlo e fantasticarono a lungo. Ne discussero poi con Ornella, che era da tempo ospite dell'"Opera Pia", la cui espressione in quel momento apparve più inquietante del solito. «Mettetevi d'accordo con Zecca» disse, e pose fine alla discussione. «Per me Zecca se ne deve andare» disse Amarilla. Ornella scrollò il capo e Mauro alzò le sopracciglia. In quel momento nessuno poteva immaginare che Secche di Rocca sarebbe diventato teatro di imprevedibili vicende.


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4. ZECCA

Il marocchino che abitava solitario nel rustico di Secche di Rocca occupandovi una delle tredici stanze, quella al piano terra più prossima all'ingresso, era qui alloggiato per concessione di Ornella. Piccolo di statura, nero di capelli, tarchiato, taciturno, ben curato nel vestire, dimostrava una trentina d'anni. Parlava correttamente quattro lingue oltre l'arabo. Con questa sistemazione a Secche di Rocca Ornella intendeva fare un'opera umanitaria, dotare la proprietà di un guardiano permanente e togliersi dai piedi l'insistente venditore del Maghreb che odorava di cammello. Il fondo assistenza della "fondazione Ghighiù" gli aveva assegnato un sussidio mensile che egli arrotondava coltivando parte del terreno della proprietà e curando il frutteto. Una volta al mese si recava a riscuotere il sussidio e con l'occasione portava a Ornella un piccolo campionario del raccolto. Ornella lo ringraziava e licenziava all'istante. Mauro, cugino e compagno di Ornella, si era rifiutato di allontanarlo dalla proprietà di Secche di Rocca, sia per compiacere Ornella, sia perché Zecca gli era parso un uomo fidato. Amarilla, seppur malvolentieri, non si era opposta. Così ora, dopo il restauro, Zecca abitava una specie di cripta sul retro del rustico, con finestrella in alto, botola e locale igienico all'antica. Attraverso la botola si accedeva a un minuscolo rifugio, forse costruito ai tempi dei saraceni per proteggere gli abitanti dalle loro scorrerie. Alle pareti del suo alloggio Zecca aveva appeso un poster con il ritratto dell'Ayatollah e un altro con l'immagine di una donna araba completamente nuda ma con il velo sugli occhi, in groppa a un cammello. A fianco splendeva la lama di una roncola. Così, con questo arredamento, Zecca si sentiva a casa sua.


19 J.M, seguendo un suo ordine di idee, era innanzi tutto interessato a indagare sul luogo in cui il cav. Mauro era stato trovato impiccato, ossia il rustico di Secche di Rocca, e sui personaggi più vicini, Zecca primo fra tutti. Aveva quindi indagato nell'ambiente dei marocchini e aveva appreso che Zecca era assolutamente malvisto; era inoltre venuto a sapere, da voci sommesse e spesso reticenti, alcune cose interessanti. Originario di Agadir dove era stato, sino a qualche tempo prima, alle dipendenze di una ditta locale che forniva attrezzature da pesca ai battelli da diporto, soprattutto stranieri, che affollavano tutto l'anno quella costa, impegnati in gare di pesca, Zecca era specializzato in quegli strumenti sofisticati che fanno impazzire gli appassionati della lenza quando riescono a cogliere di sorpresa i malcapitati abitanti dei fondali. Durante una partita di pesca alla quale era stato invitato come addestratore, la sua ospite, una rumena trentenne, nel salpare la lenza era stata ferita dalla pinna appuntita di un pesce appartenente a una specie particolarmente velenosa. Solo l'intervento della base NATO riuscì a salvarla da sicura morte, mediante un antidoto sperimentale prelevato con l'elicottero dal laboratorio di una nave oceanografica impegnata nelle acque al largo di Tenerife. Quell'estate stessa, Zecca, coinvolto in una rissa con un berbero, si era rifugiato in Italia ed era capitato proprio nel quartiere residenziale della famiglia Ghighiù. Chi l'aveva indirizzato in Via dei Melograni? J.M seppe inoltre che Zecca da qualche tempo disponeva di molto denaro ed era proprietario di una "Scorpio Due " grigio metallizzato, con aria condizionata e radiotelefono. Con questa auto nuova fiammante si era recato una volta a Costanza, sul Mar Nero. «Guarda caso proprio a Costanza» disse Amarilla soprappensiero.


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5. LA "GRANDI IMBALLAGGI"

Il programma di J.M., dopo la visita a Secche di Rocca e le ricerche tra i marocchini del centro storico per avere informazioni su Zecca, prevedeva una puntatina alla "Grande Imballaggi". «Io in quell'inferno non ci vengo» gli aveva detto Amarilla. Così il mattino seguente J.M. si recò da solo di buon'ora alla ricerca dell'opificio. Dovette percorrere diverse strade dell'hinterland, tra comunali, provinciali, statali e private e una sopraelevata che doveva essere panoramica. Bel panorama! Ciminiere eruttanti fumo giallastro, nuvole di vapore, grandi serbatoi petroliferi, cataste di materiali anonimi, capannoni obsoleti con vetri rotti, rifiuti e linee ferroviarie abbandonate per far posto ai TIR. La "Grande Imballaggi" si presentava invece abbastanza bene, isolata in una valletta interna. La facciata degli uffici decorata in stile liberty con rilievi in mattoni rossi, fregi a tema floreale e ghirlande era stata rinfrescata di recente, il piazzale tra i capannoni era abbellito da qualche aiuola fiorita. J.M. posteggiò la macchina e si avvicinò a piedi, rasentando i capannoni. Attraverso i piccoli vetri rettangolari di uno di essi scorse l'ombra di un guardiano che vagava solitario e meditabondo tra cataste di materiale compresso. J.M. richiamò l'attenzione del guardiano e si fece aprire. L'ometto era mesto ma desideroso di parlare con qualcuno, e J.M. ne approfittò. Apprese così che la fabbrica era chiusa da tempo e presto l'autorità avrebbe posto i sigilli per insolvenze, fallimento, gravi danni economici, errori di gestione. L'omino parlò anche di licenziamenti e sindacati.


21 Disse infine che causa di tutto questo era stato il cav. Ghighiù, che nominò con accento decisamente sprezzante. J.M. disse che una fabbrica di imballaggi, specialmente in questi tempi di sfrenato consumismo, avrebbe dovuto essere molto redditizia. L'ometto fece un sorrisino malizioso. «Ma che imballaggi» sbottò «qui il rumeno fabbricava ben altro.» J.M. venne così a sapere che il cav. Ghighiù costruiva su commessa centinaia di carri armati di cartone. J.M., estasiato dalla formidabile notizia e ansioso di rivelarla ad Amarilla, le diede appuntamento per la sera stessa in Piazza dell'Esplosione. Amarilla, cloche ampia sui lunghi capelli lisci, camicetta a righini sotto lo scialle sbuffante fucsia, gonna corta grigio ghisa come il cappello, guanti lunghi bucherellati, seduta al tavolino d'angolo sotto i portici con il lembo della tovaglietta ricamata che le copre le ginocchia, aspetta J.M., l'eterno ritardatario. «Cosa dovrà dirmi di così importante?» si chiede. Una voce alle sue spalle la desta dal torpore. «Subito non ti avevo riconosciuta» mormora J.M. «Sei molto elegante oggi, scusami.» Amarilla sfila nervosamente un guanto e impaziente dice: «veniamo al dunque.» J.M. con molta cautela la rimprovera: «non mi avevi detto che Mauro fabbricava carri armati di cartone.» Amarilla scatta: «Ma cosa dici? Carri armati di cartone? Ma che idiozia è mai questa? Non mi prendere in giro! E tu come lo sai? Io non ne sapevo niente. E se anche fosse vero cosa c'è di male? I cinesi non costruirono un'intera armata di terracotta? Anche io creavo giocattoli di carta.» «Ma cosa hai capito?» ribatte J.M. «non erano giocattoli ma carri armati che sembravano veri proprio come quelli dell'esercito.» «Anche se fosse vero, cosa c'entra tutto questo con la morte di Mauro? Me lo vuoi spiegare?» Alla prevista raffica di Amarilla, J.M. non si scopone. «C'entra eccome. Se mi ascolti ti racconto una storia vera che sembra una favola.» «Sentiamo.»


22 «C'era una volta un beduino che guidava le carovane nel deserto. Era muscoloso fiero astuto e presuntuoso. Era anche molto scontento della vita che conducevano lui e il suo popolo. Allora comandavano ancora gli inglesi. Uno di essi, un lord più importante degli altri, lo prese al suo servizio e, terminato il mandato, lo portò con sé in Inghilterra, lo fece addestrare alla scuola militare e lo nominò aiutante di campo. Pensava di eliminare così un possibile nemico di Albione. Illuso. Il beduino tornò in patria e divenne Rais. Non è escluso comunque che ciò rientrasse nei piani dello scaltro governo di Sua Maestà. Una volta al potere si dedicò a realizzare quelli che erano stati i suoi sogni di grandezza e da buon beduino pensò di offrire al suo popolo tutta una serie di miraggi. Tra essi, ecco il punto, intere divisioni di carri armati. Ma come si poteva averne tanti in poco tempo, e sempre più moderni? Semplice, usando il cartone. Così, per anni, si videro transitare per quel paese innumerevoli convogli carichi di carri armati del tipo sempre più all'avanguardia, diretti a fantomatiche frontiere. Le parate militari in cui il Rais, ritto su un carro armato vero, passava in rassegna gli schieramenti di carri armati finti, venivano quotidianamente trasmesse in TV. Questa è una mia fantasia, ma i carri armati di cartone sono una realtà.» Amarilla si è tolta la cloche e libera la folta capigliatura che ondeggia a lungo su quel profilo immutabile. «Da quanto ho capito» dice «i carri armati portavano il marchio della "Grandi Imballaggi". Fantastico micione, le pensava proprio tutte.» «Perché micione?» «Così lo chiamava affettuosamente sua moglie Mirella prima di abbandonarlo. Ma ora dimmi, piuttosto, come erano i carri armati?» «Perfetti. Venivano realizzati su modellini messi a disposizione dai grandi fabbricanti d'armi dell'Europa Nord Orientale, solidi, impermeabili, laccati, lucidi. Uscivano dalla "Grandi Imballaggi" in kit e un solo TIR poteva trasportarne centinaia. Il montaggio era semplice.» «Poi com'è finita?» «Un giorno il Rais crollò e tornò a fare il beduino nel deserto.» «E la fabbrica ?»


23 «I danni materiali subiti dalla "Grande Imballaggi" per l'insolvenza del Rais furono enormi e altrettanto quelli morali. Da qui il fallimento e il suicidio.» «Quale suicidio? Andiamoci adagio» dice Amarilla guardando l'orologio.


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6. ANNA

J.M. un po' per mestiere un po' per diletto tornò a Secche di Rocca. Di buon mattino il borgo rotondo di Secche di Rocca, come il pentolino del latte, versava tutto intorno la crema ribollente dei suoi vapori. Tra poco il sole come al solito avrebbe diradato le bianche nebbie. Il rustico se ne stava lì, immerso nel suo frutteto incolto, tra le erbacce degli orti e le pietre scalzate dei viali, ancorato nell'ombra. La proprietà Ghighiù, abbandonata da Mauro e Amarilla, nel giro di poco tempo si era ridotta al degrado. Si salvava la "casina delle gazze" con le sue travi, arcarecci, grigliati e strutture in teak, perché era quasi nuova. Era questa l'unica costruzione del complesso che a quell'ora dava segni di vita. J.M. diede un fischio. La prima a uscire fu una cornacchia abusiva, seguirono poi due o tre gazze che rientrarono quasi subito. J.M. vide poi arrivare “i teppisti della notte”, tutti insieme, due per moto, sulle loro vecchie Suzuki modificate, sulle rombanti e roboanti Yamaha trasformate, sulle Honda riciclate, maschi e femmine senza particolari distinzioni, espressioni da ricercati spavaldi semi assonnati. Avevano tutti una sola cosa in comune, le gambe arcuate. Ruppero il silenzio. La cornacchia, colta di sorpresa, dopo un attimo di esitazione si trasferì sul ramo di un melo secco ridotto dal tempo a simulacro rappresentativo della resistenza, e lì, su quel ramo, venne colpita in pieno dal colpo di cerbottana di un franco tiratore, o incosciente che fosse. Cadde, come la nota di un controfagotto, in un coro di risate. La banda dei giovani teppisti, padrona notturna del luna park e del centro storico, era ora padrona abusiva, nelle ore diurne, del rustico di Secche di Rocca, dove qualcuno l'aveva introdotta per vari motivi di opportunità.


25 J.M. si chiese chi poteva essere il qualcuno, e quali i motivi. Oppure erano lì solo per riposarsi dopo aver fatto casino tutta la notte? Oppure, ancora, era questa la base operativa di una banda che si destreggiava di notte nelle vie del centro? J.M., quando sorse il sole, vide il capo banda con pantaloni sbottonati, bocca aperta, mani dietro alla nuca, già sprofondato nel sonno sul pavimento del salone che era stato trasformato in camera da letto ai tempi del restauro. Notò che era basso di statura, tarchiato, rapato a zero e portava gli occhiali scuri anche quando dormiva. J.M. si aggirava cautamente nel bivacco promiscuo quando udì due note di violoncello provenire da un'abitazione vicina. Si affacciò sull'uscio e poco dopo, da una porticina sotto il poggiolo fiorito, apparve una ragazzina vestita di nero con custodia a tracolla. In sella al motorino imboccò la strada, forse diretta al conservatorio. La sera stessa Amarilla, in Piazza dell'Esplosione, ascoltò la relazione particolareggiata di J.M. «Quella ragazzina ti sarà utile» disse Amarilla «continua le ricerche. Vedrai. Anch'io ho intùito. La ragazzina, che abita nel rustico vicino, a pochi passi dal nostro e in posizione più elevata, può aver visto o notato molte cose interessanti.» J.M. decise così di recarsi, per la terza volta, a Secche di Rocca, ma a pomeriggio inoltrato. Il segnale di via libera in queste ore era dato dall'assenza totale di caschi neri e rossi sull'erba e sugli scalini. La banda dei giovani teppisti, alle sei di sera partiva in missione, e per dieci dodici ore il silenzio tornava a regnare a Secche di Rocca. Ora che la cornacchia era stata sacrificata e le gazze giorno dopo giorno si erano diradate preferendo le vie più tranquille dei rifugi nel bosco, il silenzio era ancora più completo. Ma qualche gazza era rimasta. J.M. amava le gazze, il loro piumaggio bianco e nero, la coda lunga e soprattutto la loro abilità nel nascondere oggetti luccicanti. Si sentiva un po' come loro, le considerava colleghe piumate sempre in servizio; in quanto ad afferrarle, anche se avesse voluto, era tutta un'altra cosa. Si lasciavano avvicinare ma al di là di ben precisi limiti. Le gazze sembravano ben disposte a collaborare professionalmente, però senza correre rischi.


26 Mentre divagava su questo tema, J.M. udì le note di un violoncello provenire da qualche sala interna del rustico abbandonato. Salì cauto lo scalone e sulla veranda prospiciente il parco, nel bel centro della vetrata, vide posteggiata la suonatrice in blu jeans, ampia maglietta nera con l'effige di "Sting", violoncello tra le gambe e spartiti disseminati sul pavimento. Aveva l'aria sconsolata quasi sull'orlo del pianto e le braccia abbandonate sui fianchi. «Perché hai smesso?» chiese J.M. con cortesia. «Guarda» disse la sconosciuta e per tutta risposta gli mostrò la fasciatura della mano destra dalla quale uscivano solo i polpastrelli. «Accidenti!» sbuffò la ragazzina e descrisse brevemente l'incidente. «Ieri più o meno a quest'ora, mentre facevo l'amore nel fienile comunicante con la casina delle gazze, mi sono ferita con una scheggia di lametta da barba che era nascosta tra il fieno. Pensare che nello stesso posto c'ero già stata altre volte a fare l'amore e non mi era capitato nulla. Chissà da dove è uscita quella maledetta lama! Eppure luccicava come uno specchio. Mi si è infilata nel dorso della mano come uno stilo. Che male!» J.M. volle vedere subito la maledetta lama guastafeste. Era posata sul davanzale del fienile, ancora sporca di sangue raggrumato. Notò con interesse che non era una lama ma una scheggia. La prese tra le dita cautamente, ne esaminò bene la forma, il filo e la punta. Riscontrò una rottura nella parte inferiore. Si chiese per quale motivo era stata lavorata manualmente in quel modo, con la sagomatura accurata di un amo. Non vedeva un nesso tra la scheggia e il dramma su cui stava indagando, ma ritenne opportuno custodirla nel taschino. Prese la ragazzina per la mano sana e si diressero alla casina delle gazze, lui alto e magro e lei piccoletta più o meno come la custodia del violoncello, e con i fianchi altrettanto larghi. Strada facendo le chiese: «Con chi facevi l'amore?» e alla risposta «sono affari miei» non aggiunse parola. Giunti nell'uccelliera J.M. ebbe l'idea di mettere alla prova la gazza ivi residente. Posò la scheggia di lama in un punto dove maggiormente la luce la rendeva brillante, poi, nascosti, rimasero in attesa che succedesse


27 qualcosa. Passò una buona mezz'ora poi finalmente la gazza, stanca di aspettare, si spostò da una postazione all'altra, di qui iniziò il volo di avvicinamento, sostò a lungo su una posizione tattica, scattò di lato in senso diametralmente opposto, pulì il becco su una sporgenza di pietra manifestando il suo grande disinteresse, poi rapida tornò alla postazione iniziale tenendo la scheggia nel becco. Nessuno dei due aveva percepito la fase finale di attacco perché si era svolta con eccezionale destrezza. Attesero ancora, impazienti, finché la gazza depose la refurtiva dove doveva deporla. J.M. si precipitò e tornò indietro trionfante con una manciata di schegge lucenti. La ragazza era divertita e si tamburellava sulle anche a tempo di musica. «Come ti chiami?» lui le chiese. «Anna» «Dove abiti?» «Al numero sei»


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7. I MODELLINI

Qualche giorno dopo, nel tardo pomeriggio, Amarilla chiusa nello studio di Mauro al piano terra della "Villa Ghighiù" in Via dai Melograni, giocherella con un modellino di carro armato, l'ultimo arrivato da Praga e conservato nella bacheca di Secche di Rocca, dove Mauro teneva in buon ordine la sua collezione di almeno venti pezzi, ognuno numerato e dotato di targhetta. Il modellino che Amarilla teneva ora tra le mani non aveva né numero né targa, però era più sofisticato degli altri e la torretta era più grande. Glielo aveva portato J.M. e le aveva detto: «Scrivi tu il numero e la targa, poi lo rimetteremo al suo posto nella bacheca. Ha il numero venti e la sigla TK8B.» Amarilla aveva passato molte ore con Mauro a studiare queste piccole riproduzioni in scala. «A cosa ti servono?» aveva chiesto la prima volta. «Sono collezionista» era stata la risposta bugiarda di Mauro. Insieme studiavano quei piccoli mostri cercando di capirne i congegni micidiali, i cingoli implacabili, le torrette, il periscopio, le armi. A volte Amarilla osservandoli si aspettava di veder spuntare dalle torrette quei piccoli rettili mimetizzati che vivono nella foresta tropicale. Ed era curiosa. Ora, con quel modellino tra le mani, tenta di aprire lo sportello della torretta, come aveva visto Mauro tante volte fare. Ma lo sportello fa resistenza come se fosse stato pressato con forza. Quando Amarilla riesce ad aprirlo avviene un fatto pauroso. Una lama sottilissima, corta e appuntita, scatta colpisce la mano e rientra rapidamente. Amarilla lancia un grido, balza in piedi, corre al lavabo, usa alcool e cotone sulla ferita sanguinante. J.M. arriva subito, rosso in volto, balbettante, e si precipita al laboratorio di analisi.


29 Da un primo esame non risulta nulla, ma un successivo più accurato controllo della lama rivela tracce residue di un potente veleno. Quel veleno, dice l'esperto, provoca la morte istantanea per soffocamento. Il modellino venne poi scomposto ed esaminato attentamente in tutte le sue parti e si poté stabilire con certezza che il meccanismo micidiale era stato applicato di recente, sicuramente prima della morte di Mauro. Amarilla, dopo aver ascoltato la relazione di J.M. e sollevata al pensiero di averla scampata, si distende sul divano e socchiude gli occhi, tira un profondo sospiro e rivede il corpo del povero micione penzolare sullo sfondo dell'abbaino contro il cielo azzurro, come in un atterraggio sfortunato di un paracadutista inesperto. Le torna in mente allora quella domenica mattina piena di sole quando lei e Mauro decisero di fare una passeggiata nel quartiere est della città, di solito molto tranquillo come sono le zone militari la domenica. Invece c'era quel mattino una gran folla vociante e uno sventolio di bandiere. Era il giorno del giuramento dei cadetti. Allo squillare delle trombe tutti i militari erano già perfettamente schierati e sulle tribune si era fatto un grande silenzio. Al culmine della parata incominciò il lancio della squadra acrobatica paracadutisti, reduce dal grande raduno agonistico in Amazzonia. Piovvero dal cielo, all'inizio puntini quasi invisibili, poi mano a mano grossi come goccioloni di pioggia sotto il sole. Scesero rapidamente dalle alte quote, poi improvvisi si aprirono i paracadute e la discesa divenne lenta. Ondeggiarono e si spostarono tutti assieme sulla corrente, sembravano allontanarsi verso le montagne, fermarsi, tornare indietro, risalire, disperdersi, ridiscendere. Infine uno per uno, a ben precisi intervalli, toccarono il suolo al centro della piazza d'armi e si sciolsero. Mauro era pensieroso ma lei, eccitata e battendo le mani dalla gioia, lo precedette: «Iscriviamoci al corso» disse, e alla risposta affermativa di Mauro, aggiunse: «giura!». Il giorno dopo ebbero in dotazione il loro basco verde. Al primo lancio Amarilla non provò alcuna emozione e d'altronde non era del tutto contenta, perché Mauro non aveva frequentato il corso con lei. Era rimasto laggiù sul prato, un puntino tra altri puntini, col naso rivolto in su; sembrava straordinariamente eccitato e sventolava il basco


30 in continuazione. Amarilla immaginò che stesse sognando che lei sarebbe piovuta dal cielo e che, toccando terra, il grande ombrellone si sarebbe allargato sopra di lei e l'avrebbe sommersa. Lui, il micione, sarebbe venuto felino alla sua ricerca sotto quella distesa di tessuto multicolore e l'avrebbe finalmente trovata. Certamente tutto questo stava passando nella mente di Mauro. Così Amarilla si faceva attendere per provocazione. Scendeva di quota con un andamento languido, lento, di una lentezza quasi ostentata, ossessionante, da far perdere la pazienza anche a un micio. Ondeggiava, si fermava su cuscinetti d'aria, risaliva, unica cosa mobile sullo schermo gigante del cielo. Intanto si era fatto buio. Quando toccò terra non successe proprio niente di ciò che lei aveva immaginato. Mauro, col basco verde di traverso, le andò incontro. Lei disse: «non sai che cosa hai perso.» Al di là delle divagazioni sentimentali in memoria, o rimembranza, di Mauro, le riflessioni di Amarilla sui fatti concreti di cui è venuta a conoscenza in questi giorni predominano nel suo pensiero. Soprattutto l'episodio del TK8B. All'appuntamento serale ormai consueto con J.M. in Piazza dell'Esplosione, Amarilla affronta il problema con grande decisione e intuito. «Siamo già a buon punto» afferma risoluta. «Alt» contesta J.M. «diciamo piuttosto che siamo sulla buona strada. Il percorso sarà ancora lungo e insidioso.» «Comunque a questo punto ci sei arrivato.» «Anche e soprattutto merito tuo» aggiunge J.M. con una punta di rimorso «se non era per te e per la tua curiosità non avremmo scoperto niente.» «Più che curiosità» dice Amarilla «era un'abitudine. Mauro mi aveva insegnato il sistema di apertura del portello della torretta e io ho fatto ciò che avevo imparato da lui.» J.M. è visibilmente commosso per la situazione pericolosa in cui ha posto Amarilla senza volere. «Credevo semplicemente di fare un atto di cortesia mettendoti in grado


31 di completare con l'ultimo modellino la collezione a cui sapevo che tu e Mauro tenevate molto. Mai mi sarei aspettato che contenesse un pericolo: nessuno poteva intuire che il TK8B non è l'arma del delitto, ma solo il suo contenitore.» «Ragione di più per assolverti» dice Amarilla ridendo. «So che mi hai assolto e ti ringrazio. Ma d'ora innanzi dovrò essere più cauto.» «Se fossi stato più cauto» conclude Amarilla «non avremmo scoperto niente.»


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8. IL LUNA PARK

La sera stessa Amarilla, anziché recarsi all'"Opera Pia" a trovare la sorella Ornella, girovagò nel quartiere ovest, il più vivace e animato della città, poi si diresse al luna park già pieno di luci e rumori. Si soffermò, per prima cosa, a un padiglione dove uomini di cartone si offrivano come bersaglio del tiro a segno. Naturalmente occorreva puntare al cuore, cuore di cartone, per fare centro. Pensò che sarebbe stato divertente se quegli uomini di cartone si fossero sollevati in aria facendo sberleffi. Mauro avrebbe fatto affari d'oro fornendo soldati di cartone ai piccoli dittatori del Medio Oriente. E che impressione, sul cervello ridotto all'ottusità dei loro fanatici sostenitori permanentemente impegnati a levare in alto l'indice e il medio divaricati in segno di vittoria. Ma passò oltre e si fermò a una bancarella di giocattoli di carta artigianali, molto colorati ed estrosi. Osservò che i più attratti da queste graziose sciocchezze erano i genitori, mentre i bambini, più maturi, preferivano il tiro a segno, ed esultavano quando il bersaglio veniva centrato. Si imbarcò poi su un disco volante che volò molto in alto, da dove si poteva vedere tutta la città illuminata dalla luna. Al secondo giro qualcosa le sibilò vicino all'orecchio e una fitta atroce fece impazzire la luna che lei vide crollare nello spazio celeste. Quando riaprì gli occhi riconobbe, un po' sfumata, l'ombra di Ornella china al suo capezzale. Ornella era venuta di premura dall' "Opera Pia". «Stai ferma» diceva sottovoce «hai una brutta ferita al lobo dell'orecchio, ma non è niente di grave. È stata più la paura.» Amarilla pensò che anche lei era nel mirino, come quei bersagli del tiro a segno. La colse una fifa tremenda e la sua espressione in quel momento divenne di eclisse totale.


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*** Per effetto dell'anestesia Amarilla fece un sogno. Era fatta di cartapesta. Sul lobo sinistro aveva un orecchino di carta a forma di fiore con tanti cerchi intorno. Doveva essere una rosa con una spina. Le gambe erano impedite nei loro movimenti rigidi da una miriade di giocattoli svolazzanti, tra cui cammelli, scorpioni e carri armati. Così attorniata Amarilla si solleva verso la luna mentre il cielo è solcato da innumerevoli fuochi artificiali colorati e brillanti, provenienti dal padiglione del tiro a segno, tutti diretti verso di lei come in una festa. Mano a mano che gli effetti dell'anestesia si attenuano il sogno svanisce. Amarilla si volta dall'altra parte. Nell'atmosfera asettica di quella cameretta d'ospedale le tende di garza ondeggianti alle finestre simulano lo scenario di un acquario. Un ciuffo di fiori di campo, di quelli che crescono spontanei a Secche di Rocca, fa capolino tra le tende fluttuanti. Per un attimo un gabbiano al di là dei vetri tenta l'approdo senza riuscirvi e scompare. Quell'ombra improvvisa fa sussultare la giovane donna appena entrata nella stanza. Il gabbiano riappare altre due volte ma non più solo. Dopo un paio di evoluzioni accompagnate da gridi rauchi i palmati si allontanano verso il mare. «Il loro gridìo sembra un avvertimento minaccioso» dice tra sé Amarilla. La visitatrice attaccata ai vetri tiene le mani intrecciate dietro i capelli folti e neri. Poi allunga una mano per ravvivare il ciuffo di fiori che lei stessi aveva raccolti. Ed ecco la voce di Amarilla che ordina aperitivi per due con cubetti di ghiaccio e pizzette. «Posso offrire?» dice. La giovane visitatrice con moto lento e languido si avvicina al lettino e ridendo mima il gesto di chi porta il calcio del fucile alla spalla, prende la mira e preme il grilletto : -zac!Amarilla è perplessa ma ride anche lei, il viso buffo della visitatrice le dà sollievo.


34 «Ma tu chi sei?» chiede «Anna.» «Da dove spunti?» «Sono un regalo del tuo amico Jim, l'inglese» «Ho capito.» La relazione di J.M. quel giorno fu deludente ma fortunatamente breve. Aveva ripercorso il luna park seguendo un gruppo di ragazzi all'apparenza solamente chiassosi. Aveva sostato con grande rassegnazione davanti a tutti i padiglioni, nessuno escluso, per non perderli di vista. J.M. aveva scherzato con loro, li aveva perfino sfidati al tiro a segno, aveva subito spintoni e gomitate, era stato sul punto di fare a pugni con il loro capo, c'era stata una mischia senza ragione. La banda si era poi imbarcata sui dischi volanti ed era incominciato il sibilo delle cerbottane a destra e a sinistra in tutte le direzioni, verso tutti i bersagli possibili. Quando le luci del luna park si spensero i giovani terremoti si eclissarono nel buio dei vicoli del centro storico. «Li ho guardati uno per uno» disse J.M. «ma non ho riconosciuto nessuno. Non erano quelli di Secche di Rocca, escluso, forse, il loro capo. Il tipo, piccoletto tarchiato con occhiali scuri, si è imbarcato per ultimo su una Suzuki rosso metallizzato e ha coperto col casco la testa rapata. Amarilla ascoltò in silenzio, poi disse: «ma l'altra sera al luna park non c'era nessuna banda». Poi, come spinta da una molla improvvisa, aggiunse: «ora mi ricordo! Ho notato che c'era una signora. Posso sbagliarmi, ma era proprio lei.»


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9. MAURO

Quando J.M., tornato dall'incontro con Anna, consegnò ad Amarilla un paio di occhiali con montatura rossiccia, lei trasalì e corrugò la fronte: «dove li hai presi?» «Li ho trovati tra l'erba a Secche di Rocca.» «Sono di Mauro» disse Amarilla con la voce un tantino tremante e raccontò a J.M la circostanza buffa in cui erano volati via dal naso del micione. Raccontando l'episodio, ad Amarilla veniva da ridere e piangere nello stesso tempo. Per gustare la scena occorreva però che lei descrivesse la figura di Mauro, cugino e compagno di giochi sin dall'adolescenza e immutabile nel tempo. J.M. non lo aveva mai visto né conosciuto e neppure gli era mai stato descritto, ma riteneva importante sapere qualcosa di lui, virtù e difetti, per poterne trarre eventuali elementi utili alle sue indagini. «Sento molto la sua mancanza e non riesco ad abituarmici, anche se Mauro è stato solo un compagno di ingenui giochi, svaghi, ricreazioni. Avevamo entrambi interesse per quei modellini di armi blindate, che per me erano semplici oggetti da collezione. A dire il vero erano per me più una compiacenza verso Mauro che altro. Ora li odio. Avevamo invece in comune una forte passione per il rustico ristrutturato di Secche di Rocca dove erano stati profusi inventiva originalità e molto denaro. Ci eravamo rincorsi tra quelle mura e sui prati come bambini. Io ero più svelta e agile e lui non riusciva mai ad afferrarmi come avrebbe voluto. Solo una volta ero inciampata in una zolla e il micione ne aveva approfittato per buttarsi a piombo su di me, ma era sfinito dalla corsa, rosso e sudato, e la tentata conquista sul terreno finì in una risata di entrambi.»


36 «non ti viene lo scrupolo per non averlo mai accontentato?» «neanche per sogno! Durante l'inseguimento Mauro aveva perso gli occhiali mai più ritrovati. Ne era rimasto sconcertato. Quegli occhiali, ossia questi, li avevo scelti io e lui ci teneva molto a portarli, rendevano il suo aspetto ancor più micionesco, anche se l'espressione rimaneva di severa diffidenza e di ingenua attesa.» «Mauro aveva i baffi?» «Sì, folti e lunghi.» «E le sopracciglia?» «Come i baffi.» «E le basette?» «Come le sopracciglia.» «Di che colore era tutto quel pelo?» «Rossiccio, come la montatura degli occhiali» dice Amarilla intenta a lucidare le lenti «I rapporti di Mauro con i gatti?» «Gli piacevano di più le gazze ma non riusciva mai ad afferrarne una.» «Neanche te riusciva ad afferrare. Il micione ha tentato spesso?» «Sempre, sin da ragazzino. Quante volte ho sentito Ornella gridare in mio aiuto "Mauro smettila!"» «Lui cos'era per te?» «L'ho già detto. Per i riguardi che avevo verso di lui ero più di un'amica, più di una compagna. C'era solo un limite che non doveva essere assolutamente superato. Lui lo sapeva e aspettava che si presentasse la fase propizia, e da buon micione in tale attesa si leccava i baffi. "Non farti illusioni", ripetevo, "piuttosto bada a Ornella". Questo naturalmente dopo la scomparsa di suo marito Oreste.» «I rapporti tra Mauro e Ornella?» «Di affetto e sopportazione.» Amarilla aveva ascoltato, almeno una volta alla settimana, i lamenti di Ornella. «La scena non cambia, i lamenti neppure» era solita dire. *** Rizzata sui gomiti puntati contro i braccioli della poltrona, protesa in avanti, un po' sollevata sul cuscino, Ornella scruta attraverso i vetri del salotto dell'"Opera Pia".


37 «Ormai non viene più» dice tra sé scuotendo la testa. Poi si alza, raccoglie la gattina bianca e va ad accomodarsi nell'angolo del divano vicino alla lampada a stelo. Per stare più comoda raccoglie le ginocchia sul fianco, sistema il cuscino dietro alla schiena e preme la gattina di stoffa contro lo stomaco freddo. L'ultimo bicchiere di gin era ghiacciato. L'indice della mano destra percorre avanti e indietro la micropeluria dorata sotto il labbro inferiore. Ed ecco Amarilla. «Mauro detestava questa peluria mentre Oreste l'adorava» spiega Ornella «l'adorava per una ragione...» «Lo so. L'umore del gin.» «Mauro non amava i liquori mentre Oreste era legato alla bottiglia che, all'età di ventitré anni, gli fu fatale» «A Mauro è stato fatale il cartone, o meglio la forma data al cartone» «Guarda il destino. Oreste e Mauro erano buoni amici anche se molto diversi di temperamento. E ora io sono, per così dire, vedova di tutti e due, entrambi presi per la gola, l'alcolizzato e l'impiccato, beone uno e astemio l'altro. Io ne sono uscita in buono stato malgrado le fesserie e le minchionerie dei miei partner. Inetti entrambi, il micione sorridente e il beone compiacente.» «Erano anche molto appassionati per il lavoro, però.» «Direi che Oreste era appassionato per il suo lavoro, i giocattoli di carta, mentre Mauro era più interessato ai ricavi della "Grandi Imballaggi", era molto attaccato al denaro. Mauro tentò più di una volta di coinvolgermi. Come sai la fabbrica di giocattoli apparteneva a me» disse Ornella «ma io non me ne sono mai occupata. Alla morte di Oreste le due attività si sono fuse e io ho continuato a non occuparmene. "Faresti bene a interessarti dei giocattoli", mi aveva detto più volte Mauro, ma senza risultato, così dei giocattoli te ne sei occupata tu.» «E con me entrarono in scena» dice Amarilla ridendo «la giraffa con i binocoli, la gallina che firma le uova, la zebra al pianoforte, la volpe in sahariana, il canguro del supermarket, il mastino con la bambola da masticare, il pinguino con la bottiglia di gin sotto il frac» «Tutte idee tue» ride Ornella «l'unica idea mia, il gufo con lo shaker, morì sul nascere»


38 «pensa che il micio col paracadute, occhiali e baffi, era già in embrione quando la ditta fece il tonfo definitivo.» «È stato un errore fondere le due attività, imballi e giocattoli» dice Ornella tradendo un senso di colpa per non aver fatto nulla per evitarlo «almeno la fabbrica di giocattoli potrebbe essere ancora in piedi. Ma infine che importa? Mi spiace per te, che sei così estrosa anche se un po' matta e lunatica.» «Metterò su un atelier. Dammi tempo. Produrrò manichini di cartone, tanto per essere in tema.» «Il primo manichino, se vuoi darmi ascolto, dovrà raffigurare Mirella» propone Ornella. «Così vedremo esposta la bella Mira, nelle sue pose classiche, in tutti i negozi di abbigliamento» ironizza Amarilla. E Ornella, misteriosa: «se hai bisogno di ispirazione, vieni con me, tra qualche tempo, al laboratorio dei restauri. Non ora, tra qualche tempo. Vedrai.» )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

PREFAZIONE .............................................................................. 5 PRIMA PARTE ............................................................................. 7 1. L'OPERA PIA ....................................................................... 9 2. AMARILLA........................................................................ 13 3. SECCHE DI ROCCA ......................................................... 16 4. ZECCA ............................................................................... 18 5. LA "GRANDI IMBALLAGGI" ......................................... 20 6. ANNA ................................................................................. 24 7. I MODELLINI .................................................................... 28 8. IL LUNA PARK .................................................................. 32 9. MAURO.............................................................................. 35 10. IL FUNERALE DI GHIGHIU' ......................................... 39 11. ZECCA SPARITO............................................................. 41 12. TOMAS ............................................................................. 45 13. DUE GIORNI DI RIPOSO ............................................... 48 14. UNA NOTTE DA INCUBI............................................... 51 15. LA SCORPIO DUE .......................................................... 54 16. A MARRAKECH ............................................................. 57 17. ANNA NEL CICLONE .................................................... 62 18. IL GATTO NERO ............................................................. 66 19. PADRE ATEUS................................................................. 69 20. UNA GIORNATA QUASI NORMALE ........................... 71 21. ANNA RAPITA ................................................................ 75 22. DUBBI E PERPLESSITÀ ................................................ 79 23. LE AZIONI E LE MINACCE .......................................... 82


24. I MASCHERONI .............................................................. 84 25. LA RISATA SQUILLANTE ............................................. 87 26. PROPRIO LEI .................................................................. 90 SECONDA PARTE ..................................................................... 93 1. MIRA .................................................................................. 95 2. LA RIBELLE ...................................................................... 98 3. MICHAIL ......................................................................... 100 4. LA FOBIA ........................................................................ 103 5. LE CANDELE .................................................................. 107 6. LACUNE E OMISSIONI ................................................. 110 7. DAL MAR NERO AL PANAMA .................................... 113 8. UN PASSO AVANTI......................................................... 115 9. CODICEMANIA .............................................................. 118 10. LA GRAFFIATA ............................................................. 121 11. IL MOMENTO DI AGIRE ............................................. 124 TERZA PARTE ......................................................................... 127 1. LA BALLATA DELL'ANATROCCOLA ......................... 129 2. LA BALLATA DEL MICIONE ........................................ 133 3. LE IENE ........................................................................... 136 4. IL NEONATO ................................................................... 139 5. WANTED .......................................................................... 141 6. NESSUNO ........................................................................ 144 7. LE TRE MIRELLE ........................................................... 147 8. LE IMPREVEDIBILI GIRAVOLTE ................................ 152 9. LE DUE VERSIONI ......................................................... 156 10. UNO SPETTRO IN PIÙ ................................................. 160 11. IL MAGO DEL BRIVIDO ............................................. 163 12. L'ULTIMA CARTA ........................................................ 166 13. GLI APPLAUSI .............................................................. 169 14. IL MISTERO DELLE CANDELE ................................. 172 RINGRAZIAMENTI ................................................................ 177


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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