La bambina dietro allo specchio

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In uscita il 29/7/2014 (15,70 euro) Versione ebook in uscita tra fine agosto e inizio settembre 2014 (3,99 euro)

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MATTEO ASTONE

LA BAMBINA DIETRO ALLO SPECCHIO

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LA BAMBINA DIETRO ALLO SPECCHIO

Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-757-5 Immagini interne e in copertina: illustrazioni di Loredana Re David

Prima edizione Luglio 2014 Stampato da Logo srl

Borgoricco – Padova


A tutti i bambini della casa famiglia IN-CON-TRA, che mi hanno ricordato quanto è bello ascoltare una storia anche quando non si è più tanto piccoli… A tutti i bambini nell’anima. A chi di fronte a un sasso, una nuvola, un sorriso, un tramonto sa ancora meravigliarsi. A chi non riesce a capire come il mare possa essere così grande. A chi non ricorda più come si fanno tutte queste cose… Ma vorrebbe tornare a farle.



Sono nata oggi E cosa c’era ieri non lo so. Sono nata oggi E non so dire ancora che farò. Se sarò una stella gigante O un puntino nel cielo Ma so di sicuro che senza amore Non vivrò. “Il più grande motore” Zecchino d’Oro 1991



7 IO SONO UN VAGABONDO

C’era una volta un piccolo villaggio alle soglie del bosco, non molto distante dal mare. C’erano poche, semplici case e la vita scorreva tranquilla e leggera, come l’acqua che sgorga da una fontanella di campagna. Poi c’era un castello, come quelli delle fiabe, ma non proprio come quelli delle fiabe. Ci vivevano un re e una regina, ma avrò tempo più tardi per raccontarvi meglio del castello e della sua storia. Io ci sono stato, ed è stato un tempo bellissimo. Mi piacerebbe molto tornarci, ma la mia strada mi ha ormai portato lontano da quel villaggio. Non è però lontano dai miei pensieri, perché c’è qualcosa di più, qualcosa che non riesco a descrivere, che lo rende unico. E io, nella mia lunga vita, ho visto così tanti posti diversi che le dita di un millepiedi non basterebbero a contarli. Sicuramente ha a che fare con la sorgente che luccica ai margini del bosco, dove la stradina del paese comincia a sparire sotto le fronde degli alberi.


8 Io sono un vagabondo. Non mi fermo mai molto tempo in un posto, ma così visito un mare di paesi diversi. Ma questo angolo di mondo mi è rimasto nel cuore più di ogni altro, per questo voglio raccontarvelo. Vi racconterò ogni particolare che la mia mente riuscirà a ricordare. Vi racconterò le persone che ho conosciuto. Vi racconterò i sussulti del mio cuore, le lacrime dei miei occhi, i sorrisi della mia bocca. Vi racconterò quello che altri mi hanno raccontato. Vi racconterò quello che ho sentito nel profondo di me. Racconterò per non dimenticare e perché le emozioni che ho provato continuino a vivere dentro di me… e dentro di voi. Non ha importanza come io sia giunto in quel villaggio o perché io mi sia fermato lì per qualche tempo. Diciamo solo che… era sulla mia strada. Quando qualcosa è sulla nostra strada, sono molte le cose che possiamo fare. Possiamo fermarci, girare le spalle e tornare indietro. Possiamo deviare, passare oltre facendo finta di niente. O possiamo chiudere gli occhi un istante, poi riaprirli e continuare a camminare dritti davanti a noi… sulla nostra strada. È così che feci quando il sentiero di sassi su cui strascicavo le mie scarpe stanche e impolverate s’infilò fra un pugno di casette, abbracciate poco più in là dai primi, giovani alberi del bosco. Le foglie più alte erano arrossite dallo stupore,


9 nell’ammirare un nuovo saluto del sole, che rosso dalla stanchezza andava a coricarsi a ovest. Alzai lo sguardo anch’io, e il vento fresco dell’inverno in arrivo mi accarezzò e mi schiaffeggiò. Il viaggio era stato lungo ed ero molto stanco, ma il benvenuto del vento mi fece subito sentire a casa. Poco più avanti, dove il sentiero diventava una stradina più battuta, vidi un cartello di legno piantato dietro a una grossa roccia, ai margini della strada. Il tutto mi sembrò il corpo di un elefante ciccione appisolato sulla soglia del villaggio, ma con ancora la forza di alzare la sua proboscide per accogliere un nuovo visitatore. Lo salutai con un sorriso e mi avvicinai per leggere l’incisione sul cartello. Dopo qualche passo, un lampo di luce arancione mi colpì gli occhi, accecandomi per un istante. Quando si ripresero, il passo successivo, capii da dove era venuta la luce. C’era un frammento di qualcosa attaccato sulla piccola insegna di legno, in parte. Ora si mostrava di un celeste argenteo, ma sul momento ancora non capii cosa fosse. Raggiunsi l’elefante di pietra e gli accarezzai lentamente la schiena. Il palmo ruvido della mia mano grattava sulla sua superficie liscia. E vidi il pezzo di vetro che mi aveva sorpreso da lontano riflettendo la luce del sole. Vi avvicinai il volto per osservarlo più da vicino e feci un piccolo balzo all’indietro dalla sorpresa e dalla paura.


10 Posai a terra il bastone che porto sempre sulla spalla, con la mia vecchia sacca appesa a un’estremità. Emisi un respiro e tornai a guardare. C’era il viso di uno sconosciuto, bruciato dal sole e dal tempo, con gli occhi stanchi e la fronte appena rigata di sudore, i lunghi capelli sporchi e spettinati che si agitavano scomposti nel vento. Ero io. Non ricordo l’ultima volta, prima di quella, in cui mi era capitato di guardare la mia immagine riflessa in uno specchio; nella vita da vagabondo non capita spesso di incontrare degli specchi lungo il cammino. Distolsi lo sguardo da quel viso consumato dal vento e lessi l’incisione sul legno. Ero curioso di conoscere il nome del villaggio in cui la mia strada mi aveva condotto. Rimasi quasi deluso. Il cartello diceva solo: Villaggio. Accarezzai un’altra volta l’elefante, mi ricaricai sulla spalla il bastone con il mio bagaglio e passai oltre, chiedendomi cosa potesse significare. Forse aveva visto la mia espressione sorpresa l’uomo che mi si affiancò sulla stradina, venendo dal braccio di bosco non lontano sulla sinistra. «Un nome che stupisce molti» disse. «Ma capirai, se avrai il piacere di fermarti un po’ nel nostro paese.» «Villaggio…» mormorai quasi senza accorgermene, pensieroso.


11 «Non proprio» mi corresse l’uomo sorridendo. «Il frammento di vetro a fianco al nome non è messo a caso. Villaggio dello Specchio; è qui che ti trovi.» Le mie labbra aprirono una fessura, ma non ne uscì alcun suono. «Vuoi sapere perché dello specchio» mi lesse nel pensiero. Annuii. «Lo capirai presto. Alcuni dicono che è magia, ma nessuno lo sa davvero. Io è da una vita che sono in questo villaggio, ma lo specchio non ha ancora cessato di sorprendermi.» Rimasi a guardarlo ammirato, senza capire le sue parole. Ma non chiesi nulla; i miei lunghi viaggi mi hanno insegnato che bisogna saper aspettare. Un ruscello d’acqua gelida e limpida è un dono molto più prezioso se arriva dopo ore di cammino sotto il sole. L’uomo mi sorrise di nuovo e con un cenno mi invitò a seguirlo. «È da molto che sei in viaggio?» mi chiese. «Da una vita» risposi. Ed era la verità. «Ma non è molto che ho lasciato l’ultimo centro abitato. Sono tre giorni di cammino» aggiunsi. «Ti tratterrai molto qua?» «Qualche giorno al massimo.» Questa non era la verità, ma non potevo saperlo allora.


12 Poco prima che la stradina curvasse verso il centro del paese, nasceva un piccolo sentiero di terra battuta che si dirigeva lento verso il bosco. L’uomo lo imboccò e io lo seguii. Presto giungemmo a una vecchia staccionata di legno. Dietro alla staccionata c’era un orticello ben curato, con piccole aiole fiorite e i frutti della stagione. «Questo è il nostro orticello» mi spiegò l’uomo guardando oltre alla staccionata, «mio e di mia moglie. Il nostro lavoro ci dà quasi tutto quello che ci serve per vivere. Vieni, ti mostro la nostra casa.» Eravamo ormai ai piedi del bosco, e le sue braccia ci avevano già avvolti in un’atmosfera fresca e ombrosa. Non immaginavo certo di trovare una casa laggiù, se non forse uno di quei piccoli rifugi per la legna che sembrano casette degli gnomi. Costeggiammo la staccionata alla nostra destra e camminammo qualche altro minuto lungo il sentiero, ora sempre più stretto e coperto di aghi di pino e di foglie cadute dell’autunno. Il bosco era una coperta sopra di noi; lì sotto sembrava che il sole fosse già tramontato da un pezzo. Solo quando il sentiero si aprì in una minuscola radura fra gli alberi, l’uomo parlò di nuovo. «Questa è la nostra casa.»


13 Indicò una vecchia costruzione di legno, piccola come una casetta degli gnomi ma carina e accogliente come una baita di montagna. La porta ad arco, di legno scuro, era socchiusa, e sopra di essa due finestrelle sorridevano come occhi al nuovo arrivato, salutando con i loro balconcini aperti che ondeggiavano appena al vento della sera. «E questa è mia moglie.» Incantato a guardare la casetta, non mi ero accorto della donna che stava stendendo un panno ai margini della radura, su un filo teso fra il tronco di un albero e un palo piantato qualche metro più in là. «Benvenuto nella nostra casa» mi salutò. «Grazie, tuo marito è stato già fin troppo gentile.» L’uomo fece un gesto con la mano come a dire che non aveva fatto niente di che, quindi si rivolse alla donna. «È un viaggiatore, è appena giunto nel nostro villaggio, al tramonto.» Il tramonto… pensai, rivedendo con gli occhi della mente la palla rossa del sole che mi aveva accolto sulla strada. Guardai a ovest, all’orizzonte, ma nel cielo fra gli alberi non era rimasto che qualche debole spennellata di arancione. Il sole per oggi ha chiuso il suo spettacolo, riflettei con una vena di nostalgia. Ma lo ripeterà domani, basterà attenderlo.


14 «Sono un vagabondo» dissi. « È così che mi chiamano di solito ed è così che mi piace definirmi.» «Sai una cosa?» l’uomo guardò me, poi sua moglie. «Non ci siamo ancora presentati.» «È vero» risposi. «Ma credo che possiamo rimediare.» Dissi loro il mio nome e mi disposi ad ascoltare i loro, ma non mi sarei mai aspettato una sorpresa quale quella che mi colpì. «Io mi chiamo Gioacchino» si presentò l’uomo tendendomi la mano. Gli porsi la mia, e stringendomela continuò: «Ti accolgo come re di Villaggio dello Specchio. Benvenuto nel nostro paese, e che tu possa passare un periodo sereno qui da noi.» Per un attimo rimasi imbambolato. Re? Stava scherzando? Lo guardai negli occhi e… no, quella era la verità. Ho incontrato persone di tutti i tipi nella mia vita di viaggi e parlato con molte di loro, e capisco al volo se il cuore di chi mi parla è sincero. E il cuore di Gioacchino era sincero. Tuttavia non avevo mai fatto conoscenza con un re e restai con gli occhi fissi e la bocca aperta, quasi spaventato. Come ci si comporta con un re? Accennai un inchino, incerto. Gioacchino si mise a ridere e lasciò cadere la sua mano sulla mia spalla. Ma la sua era una risata amichevole, che cancellò all’istante ogni mio disagio.


15 «Oh, lascia stare queste cose! Un inchino?!» mi scosse dolcemente la spalla e rise di nuovo. «Queste sono cose per i re cattivi delle fiabe, non per noi! Io voglio solo essere amico. Sono l’uomo che hai incontrato sulla tua strada appena sei arrivato al villaggio, niente di più. Solo che ho il compito di governare questo paese, di cercare il bene per i suoi abitanti, con il loro aiuto. Questo è un re, e mi sembrava giusto dirtelo. Assieme alla mia regina, e regina del villaggio: mia moglie Anna.» Stavolta fu Anna a dedicarmi un inchino e io non potei far altro che sorridere, piacevolmente sorpreso. Gioacchino scoppiò a ridere e un secondo dopo eravamo in tre. Fu così che conobbi il re e la regina di Villaggio dello Specchio. «Dove passerai la notte?» mi domandò Gioacchino. «Se hai bisogno…» Non sentii subito la sua domanda; ero perso nei miei pensieri. Un re e una regina che vivono in una catapecchia di legno come questa, bah, riflettevo, un re e una regina che lavorano la terra in un orticello, come gli altri abitanti del paese, i loro… sudditi. Per quel che ne sapevo io, forse più dalle fiabe e dalle storie passate di bocca in bocca, i re stavano seduti sui troni, i re comandavano, i re decidevano cosa gli altri dovevano fare, che diamine! Eppure da quando


16 avevo incontrato il re di Villaggio dello Specchio, sentivo nel cuore un battito positivo e confortante. Forse sono gli altri che sono sbagliati, ma Gioacchino… Gioacchino è un re vero, è questo che sentivo nel cuore. «Se non hai un posto dove andare a dormire, noi…» ripeté lui, vedendo che non rispondevo. Mi riscossi dai miei pensieri, scusandomi, e risposi: «No, questo no. Io sono un vagabondo, ve l’ho detto, e dormo dove la natura mi offre un giaciglio. Non ho bisogno di molto.» «Solo…» disse Anna sorridendo «non penserai che il nostro villaggio non sia ospitale?» «Sono appena arrivato e so già che questo è un paese fantastico. Non potrebbe essere altrimenti, con un re e una regina come voi.» «Grazie, sei troppo gentile» mi rispose Anna. Gioacchino invece mormorò qualcosa, lo sguardo sospeso verso le cime degli alberi. «Un posto fantastico…» Vidi un’ombra nei suoi occhi, qualcosa che non avevo notato prima e che mi stupì. Calò il silenzio per qualche istante, colorato appena dal fruscio delle foglie degli alberi che oscillavano al vento. Ma l’alone di tristezza sul volto di Gioacchino non andò via.


17 Lo guardai profondamente e lui abbassò lo sguardo su di me. Non ci fu bisogno di parole. «Vieni» disse parlando lentamente con voce più profonda della sua. «Ti mostrerò il cuore vivo di Villaggio dello Specchio, un cuore meraviglioso e terribile, e capirai molte cose…» Partì, e prima di seguirlo io mi voltai un attimo indietro, verso Anna, per salutarla e ringraziarla con lo sguardo. All’angolo di un occhio della donna si era affacciata una lacrima. La casetta di legno era accoccolata sul nascere della parte più fitta del bosco. Infatti, spostandoci sul retro per imboccare un altro sentiero, percepii il veloce diminuire della luce. L’inizio del sentiero era quasi invisibile; una galleria naturale si apriva fra i rami degli alti pini e le piante cariche di piccoli frutti rossi. Lì il buio era già quasi quello della notte. Mi infilai fra le fronde al seguito di Gioacchino, che si muoveva con agilità fra le fitte ombre del bosco, scavalcando con naturalezza pietre e radici affioranti. Io non conoscevo la strada come la conosceva lui, ma sono abituato a ogni genere di cammino e non mi fu difficile seguirlo. Presto il sentiero si aprì in una radura, molto più grande di quella in cui sorgeva la casa del re e della regina del villag-


18 gio. Era incredibilmente luminosa, sebbene fosse ormai sera, il tramonto ormai dimenticato sotto l’orizzonte. Sembrava che la luce giungesse dal sottobosco tutt’intorno, e fosse magicamente riflessa in tutta la radura con una delicatezza rosea quasi irreale. E al centro il cuore pulsante di Villaggio dello Specchio. Gioacchino mi posò una mano sulla spalla, e in quel momento dimenticai che era un re; in quel momento era un amico che aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino. «La sorgente» mormorò. «Ha molti altri nomi; se rimarrai fra noi per qualche tempo, li conoscerai. È lei che dà il nome al nostro villaggio.» Senza che me lo dicesse, seppi che avrei dovuto aspettare prima di capirne il perché. Nel fulcro dei riflessi rosei librati nell’aria della radura si apriva uno specchio d’acqua. La superficie era chiara, come fosse bagnata dalla luce dell’alba, lucente e… misteriosa. In un angolo era ormeggiata una barchetta di legno. Un brivido mi percorse il corpo. Ancora non capivo come quella sorgente fosse il cuore vivo del paese, ma sentivo già con una sicurezza inspiegabile che era vero. Gioacchino cominciò a parlare all’improvviso, come in un sogno. «Io e mia moglie Anna avevamo una figlia.»


19 Mi voltai verso di lui e vidi che le sue guance erano già rigate dalle prime lacrime. Sapevo che eravamo andati alla sorgente per questo. «Stella. Era la principessa del villaggio. Ma prima di tutto era la gioia dei nostri cuori.» Ci fu una lunga pausa di silenzio. Tornai a guardare le placide acque della sorgente e aspettai. Stava cercando la forza per continuare. «Ma molti anni fa… o pochi… - il tempo si è sfocato nella mia testa - Stella è sparita.» Mi salivano alla mente una marea di domande, ma temevo di ferire il suo ricordo e il suo dolore, ancora vivi più che mai. Così tacqui. «Aveva poco più di un anno.» Si passò due dita sull’angolo di un occhio per asciugarsi le lacrime e continuò: «Da allora non si è più saputo niente di Stella, e Anna e io viviamo come a metà.» Alzò lo sguardo verso l’alto, dove cominciavano a spuntare le prime stelle della notte. Le sue lacrime brillarono nella luce misteriosa che bagnava la radura della sorgente. «Stella…» bisbigliò in un sussurro così dolce che mi fece commuovere. Pareva scrutare le stelle come se sua figlia fosse una di loro. Forse era così.


20 Quando Gioacchino tornò a posare lo sguardo su di me, lesse tutte le domande inespresse che vorticavano nei miei occhi e si sforzò di rispondere. «È stata rapita? È stata uccisa? Non lo sappiamo. L’unica cosa che ci è rimasta di lei è la voce della sorgente.» Avanzò lentamente fino al ciglio dello specchio d’acqua, facendo scricchiolare i lucenti sassi bianchi sotto i sandali. «Vieni, guarda» mi invitò. Mi avvicinai leggero, sospeso nell’alone di mistero e sacralità che ispirava la sorgente. La superficie dell’acqua davanti ai miei piedi ondeggiò dolcemente. Lungo le lievi increspature scivolò un soffio di quella magica luce rosata, poi l’acqua si fece piatta e si vestì di turchese. Sentii fremere tutto intorno a me, e osservai meravigliato i nastri di luce che presero a vorticare lenti nell’azzurro dell’acqua, disegnando figure evanescenti che i miei occhi non riuscivano ad afferrare. Poi la sorgente parlò. I segni tracciati dalla luce divennero lettere, parole, divennero la voce incantata della sorgente che mai dimenticherò. Brilla una stella nella notte ma la notte la rubò È nata in una lacrima che la notte spegnerà


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Aspettate l’azzurra stella che sorge all’alba della luna e di essere non ha paura Fra mille stelle uguali diversa la troverai se oltre il riflesso saprai leggere l’amore «Cosa significa?» chiesi a Gioacchino, staccando a fatica lo sguardo dalla sorgente. «Non lo sappiamo. Ma ogni mattina, quando mi sveglio, sento queste parole risuonare nella mia mente. E ogni sera, prima di addormentarmi, penso che possano avere un senso, che possano dare una speranza.» Le parole di Gioacchino riecheggiavano ancora nel mio cuore quando quella sera mi coricai sotto a un albero, al limitare del bosco, sul letto di foglie colorate d’autunno che mi fece da materasso. Mi addormentai con un sorriso tinto di malinconia, e con quel sorriso mi sorprese l’alba di un nuovo giorno, il primo dei tanti che avrei passato al villaggio.


22 Così è iniziata la mia avventura a Villaggio dello Specchio. Il paese mi aveva affascinato e rapito fin dal primo incontro, e la nascosta magia della sorgente aveva lasciato un seme dentro di me, una piccola traccia che prometteva un germoglio nuovo e affascinante. Perciò non me ne andai subito, com’era mia intenzione e mia abitudine. Ogni giorno coltivavo questo germoglio e scoprivo qualcosa di più del mistero della sorgente. Capii perché dava il nome al villaggio, capii l’importanza che aveva per Anna e Gioacchino, ne intuii la bellezza e il pericolo. Così il tempo scorreva, lento e veloce, e la mia anima di vagabondo dovette fermarsi a riposare per un po’. Poi arrivò la zingarella… e tutto cambiò.


23 LA ZINGARELLA

Due code sbarazzine, qualche filo di fieno che spunta fra i capelli castani, due nastrini colorati, uno azzurro e uno giallo, ingarbugliati in due buffi fiocchi. Un vestitino color della terra, con tanti fiorellini, ma che forse una volta era di un arancio brillante come il sole. Due sandaletti bianchi, color dei sassi della strada. È così che me la ricordo, è così che apparve un tardo pomeriggio a fianco all’elefante di pietra. L’elefante la salutò con la sua proboscide alzata, offrendole un frammento di vetro in cui avrebbe potuto specchiarsi per sistemarsi un po’ i capelli arruffati che giocherellavano come un mucchietto di paglia al vento. Ma la bambina non lo fece. Avanzò lenta, guardandosi intorno spaesata. Si voltò indietro, osservando i suoi ultimi passi e poi lasciando scivolare gli occhi lontano, dove il sentiero si perdeva nel ricordo di una bambina che qualche tempo prima era passata di lì. Il suo viso limpido e fresco era dipinto dei colori che potreb-


24 be avere una contadinella dopo un pomeriggio passato a giocare in campagna, correndo su e giù per i fossati e rotolandosi nell’erba. E c’era una macchiolina color caffelatte sul monticello di una guancia, che le dava una tenera espressione giocosa. Lei odiava quella macchia sul suo viso, ma secondo me la rendeva ancora più bella. Prima che la strada raggiungesse la più vicina abitazione del villaggio, la bambina abbandonò la via e s’incamminò verso il bosco. Era da molto che vagava da sola, e forse l’idea di incontrare la gente del paese la intimoriva. Inoltrandosi fra gli alberi, la leggera aria di malinconia che l’accompagnava lasciò il posto a un accenno di sorriso, come se stesse entrando in casa sua anziché in un luogo sconosciuto. «E quella chi è?» «Che ci fa qui una bambina da sola?» «E tutta sporca e trasandata. Io mi vergognerei con una figlia così.» «Una forestiera. Di sicuro.» «Ci mancava solo la zingarella!» La bambina non se n’era accorta, ma c’era qualcuno dietro a quelle prime case fra le quali s’infilava la strada che aveva appena abbandonato. E loro l’avevano notata. Si sporsero oltre il muro di una casa e la squadrarono da capo a piedi


25 mentre si allontanava verso il bosco. Un commento antipatico dopo l’altro se la raccontarono, contenti di aver trovato quello che giudicarono un buon argomento di cui spettegolare. Contenti ma non del tutto soddisfatti. Dopo tutto l’avevano solo vista da distante, la zingarella, e solo per qualche minuto prima che sparisse fra le fronde del bosco. Poi un signore del gruppetto, con un brutto cappello nero, ebbe un’idea che parve agli altri una pensata eccezionale. Si complimentarono con lui e non persero un secondo di più. «Che vergogna» fu l’ultimo commento di uno sguardo che strisciava verso il bosco, lì dove era appena scomparsa la zingarella. La bambina camminò finché non arrivò alla sorgente che conosciamo bene, o quasi, e lì c’era un uomo e non era solo, ma stavolta la bambina non sembrò per nulla intimorita. L’uomo sembrava vestito di stracci e sulla sponda dello specchio d’acqua sembrava parlare con delle macchioline marroni che si muovevano davanti a lui. Al suo fianco, posata sui sassi bianchi della sorgente, c’era una vecchia scatola di legno. La bambina rallentò appena il passo, continuando ad avvicinarsi. L’uomo non si era accorto di lei e lei ora poteva vedere bene che era davvero vestito di stracci. Le vecchie


26 pezze sbrindellate, di colori diversi, erano attaccate insieme come dalla mano di un bambino maldestro, a formare un paio di pantaloni e una specie di giaccone che gli ricadeva da un lato. La bambina era ora abbastanza vicina da capire anche cosa fossero quelle macchie marroni che saltellavano attorno all’uomo. Lui stava davvero parlando con loro. E le macchie erano scoiattoli, che si rincorrevano, si scavalcavano e agitavano concitati le loro folte code. La bambina si fermò con la bocca spalancata in un sorriso di stupore. L’unica cosa che desiderava in quel momento era accarezzare uno di quei meravigliosi scoiattoli. Fece qualche altro passo avanti, ma era ancora nell’ombra degli ultimi alberi prima dell’inizio della radura quando si arrestò di botto spaventata. L’uomo aveva lanciato il braccio all’indietro con uno scatto improvviso, facendosi ricadere pesantemente la mano sul sedere. Poi era tornato a chiacchierare con i suoi piccoli amici, come nulla fosse. Gli scoiattoli, sebbene molto più vicini della bambina, si erano spaventati molto meno di lei, facendo solo un saltello indietro per poi tornare immediatamente attorno all’uomo. Un respiro e un passo avanti; così le avevano insegnato una volta non si ricordava chi. Prese coraggio, scostò un ramo ed entrò nella radura, muovendo qualche timoroso passo verso lo sconosciuto. Gli scoiattoli furono i primi ad accorgersi della sua presenza. Alzarono i musi incuriositi e pun-


27 tarono gli occhi sulla nuova arrivata. Tutto parve congelarsi per un istante. Poi la bambina mosse un altro passo e gli scoiattoli schizzarono via veloci come il vento, scomparendo nella vegetazione ai margini della radura. Due secondi dopo la sorgente era muta e deserta, se non per un singolare uomo vestito di stracci e una altrettanto strana bambina con una macchia al caffelatte sulla guancia. L’uomo si voltò inquieto per capire cosa avesse fatto fuggire i suoi scoiattoli e si stupì nel trovarsi di fronte una piccola vagabonda, ferma con le braccia appena sollevate e l’espressione stranita e sorpresa. «Hai fatto scappare i miei amici!» la rimproverò offeso. «Non sei una brava bambina!» «Scusa, io…» balbettò lei «volevo solo accarezzarli.» «Chi sei?» La bambina rimase in silenzio, imbarazzata, non sapendo bene cosa rispondere. L’uomo non ci fece caso. «Vuoi essere mia amica?» le chiese con un grande sorriso stampato in faccia. La bambina era sempre più confusa. Lei era ancora piccola, ma davvero non capiva il comportamento assurdo dello sconosciuto, che parlava come un bambino più piccolo di lei.


28 Poi all’improvviso il braccio dell’uomo scattò alle sue spalle e ricadde colpendosi il di dietro, come era successo poco prima davanti agli scoiattoli, quando lei era ancora nascosta fra gli alberi. La bambina ebbe un sussulto, ma lui parve non accorgersi di niente. «Se diventerai mia amica ti farò conoscere i miei amici ciamociaccioli!» La bambina lo squadrò con la faccia come un punto interrogativo. «I miei amici ciamociaccioli! Quelli che hai spaventato. Non sei stata una brava bambina!» La piccola abbassò lo sguardo ai suoi piedi, rattristata, mostrando quanto davvero le dispiacesse per gli scoiattoli. «Oh, non importa per i ciamociaccioli!» Lo sconosciuto si abbassò inclinandosi comicamente da un lato per incrociare lo sguardo della bambina e le sorrise. «I ciamociaccioli torneranno. Vengono a trovarmi ogni giorno. Se vuoi diventare mia amica te li farò conoscere. Uno per uno, tutti quanti. Secondo me sei una brava bambina.» La bambina non ci capiva più niente, ma si sentì di abbandonare le paure che provava verso quell’uomo. Era strano, di sicuro, ma se fosse stato solo un po’ più piccolo anche lei avrebbe detto che lui era un bravo bambino. «Ma ho fatto scappare i tuoi scoiattoli.»


29 «Scappano perché ancora non ti conoscono.» «Neanche tu mi conosci.» «No, ma ho già visto che sei una bambina buona. E adesso ti conosco.» «Come fai a dirlo?» «Me l’ha detto il ciuffolo che hai sulla guancia.» «Ciuffolo?» «Sì, quella macchiolina al cioccolato. Un ciuffolo!» La bambina abbassò gli occhi inorridita, cercando di guardarsi la guancia. Non riusciva a vedere la macchia al caffelatte, ma sapeva che c’era e lei odiava quel suo difetto. «No, non guardare!» strillò coprendosi il viso con le mani. « È bruttissima.» «Invece è proprio bella! Sembra una goccia di cioccolato su una torta!» Le parole dell’uomo forse non la convinsero, ma la gioia sincera e spensierata che emanava da tutto se stesso era tale che pian piano le mani della bambina scivolarono giù, tornando a mostrare tutta la bellezza del suo viso. «E cosa ti avrebbe raccontato questa bruttissima macchiolina sulla mia guancia?» «Mi ha raccontato una storia.»


30 Raccolse la scatola di legno che era posata sui sassi bianchi lungo la sponda della sorgente e la prese sottobraccio, stringendosela al fianco. «Un sacco di cose raccontano storie, solo che di solito noi non le ascoltiamo.» La bambina era sempre più incuriosita: «Sentiamo questa storia.» «C’era una volta una tazza di caffelatte e dentro alla tazza di caffelatte c’erano un sacco di gocce di caffelatte. Un signore con un alto cappello nero stava mescolando il suo caffelatte e le goccioline si divertivano un sacco a girare e girare in tondo dentro alla tazza. «Ogni tanto qualche goccia schizzava un po’ più su, così poteva vedere un pezzo del mondo, che da dentro alla tazza non si vedeva. Quando la goccia di caffelatte ricadeva giù, sempre girando e girando, raccontava alle altre del mare stupendo che si vedeva oltre il bordo della tazza, con le vele colorate delle barche che scivolavano veloci e felici sull’acqua. Tutte le gocce di caffelatte sognavano così di riuscire un giorno a tuffarsi nel mare, per nuotare insieme a tutte le migliaia e milioni e miliardi di gocce dell’acqua del mare, che le avrebbero portate ad ammirare pesci, alghe e coralli nelle profondità dell’oceano.


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32 «Il signore con l’alto cappello nero e con la faccia burbera mescolava il caffelatte sempre più nervosamente, mentre leggeva una lettera posata sul tavolo di fianco alla tazza. Le gocce erano contente perché la giostra era sempre più veloce e sempre più spesso qualcuna di loro riusciva a guardare il mondo oltre il bordo della tazza. Ma non si accorgevano del pericolo. «All’improvviso il brutto signore doveva aver letto qualcosa che lo fece molto arrabbiare nella lettera, perché batté un forte colpo col pugno sul tavolo. La tazza piena di caffelatte sussultò e un sacco di gocce fecero il loro salto e videro il mare oltre la terrazza dello scuro signore che mescolava il suo caffelatte e leggeva la lettera. Le gocce erano sempre più contente e strillavano di gioia. Ma davvero non si accorgevano del pericolo. «Il signore col brutto cappello nero continuò a leggere la lettera sempre più furioso, finché esplose di rabbia, batté di nuovo il pugno fortissimo sul tavolo e poi diede uno schiaffone rovescio alla tazza di caffelatte, come se fossero state tutte quelle simpatiche goccioline di caffelatte a farlo arrabbiare. La tazza volò giù dal tavolo finendo a terra sulla terrazza e tutte le gocce di caffelatte fecero un lungo schizzo come una fontana, spalmandosi sul pavimento. «La loro fine è molto triste ed è meglio non raccontarla. Ma una goccia, una goccia di caffelatte riuscì a fare un salto più


33 grande di tutte le altre e nel suo volo superò il parapetto della terrazza, volando oltre, sopra la spiaggia che portava a quel mare stupendo in cui tutte le sue amiche gocce sognavano di tuffarsi. Non avrebbe mai raggiunto il mare per unirsi alle gocce dell’acqua del mare perché era troppo distante. Ma c’era una bambina sulla spiaggia, che correva a piedi nudi veloce e felice come le vele delle barche in mezzo al mare. La goccia di caffelatte volando cominciò a piangere, perché vide che si sarebbe spalmata sulla sabbia, facendo una fine triste come le sue amiche sul pavimento della terrazza. Ma quando ormai la gocciolina aveva chiuso gli occhi perché fra un istante si sarebbe schiantata sulla sabbia, la bambina che correva a piedi nudi passò davanti a lei e la goccia atterrò sul suo viso, disegnando una macchia al caffelatte sulla guancia della bimba. La bambina non si accorse di nulla e continuò a correre leggera e veloce e felice. «Chissà, forse poi avrebbe odiato quella macchia di caffelatte sul suo viso, ma aveva salvato la vita a una piccola goccia, che ora sulla sua guancia avrebbe potuto visitare il mondo, ammirarne il mare e il cielo e tutte le sue meraviglie.» «E allora io sono una bambina buona?» chiese la bambina all’uomo vestito di stracci, affascinata dalla sua storia.


34 «Hai salvato una goccia di caffelatte. E hai un bellissimo ciuffolo sulla guancia!» L’uomo fece saettare nuovamente il suo braccio all’indietro e si sculacciò. La bambina sussultò, ma meno di prima. Guardò quello sconosciuto, che era tutto fuori che normale, e non poté evitare di sorridere. «Chi sei?» le domandò di nuovo lui. La bambina alzò le spalle e spostò lo sguardo verso il cielo. «Non lo so.» Nello specchio di cielo fra le fronde degli alberi che delimitavano la radura, stava sorgendo la luna, e pareva anch’essa riflettere la luce rosea della sorgente. «Quanti anni hai?» chiese l’uomo dopo aver gettato solo un’occhiata fugace al cielo. «Non lo so.» «Da dove vieni?» «Da lì» rispose la bambina indicando semplicemente dietro di sé, dove era sbucata dal bosco entrando nella radura. Non aveva risposto a nessuna delle domande dello sconosciuto, ma lui non sembrò preoccuparsene. «Come ti chiami?» le chiese ancora, sorridendo. La bambina alzò di nuovo le spalle e gli rispose un po’ triste. «Non lo so.» «Io so il mio nome!» replicò lui allargando il suo sorriso.


35 Poi aspettò un istante, forse sperando che la bambina gli domandasse quale fosse. Ma lei non lo fece. «Patapà!» esclamò allora lui. «Patapà è il mio nome. Patapà! Non ti piace?» Alla bambina sfuggì una risatina. «Oh, sì… è così… strano. Ma carino.» «Prova a dirlo!» «Patapà.» Il sorriso dell’uomo si trasformò in una risata gioiosa, e ancora una volta il suo braccio guizzò all’indietro. «Mi diverte un sacco quando qualcuno dice il mio nome. Patapà, Patapà!» «Patapà» ripeté la bambina scoppiando a ridere assieme allo sconosciuto, che per lei non era più uno sconosciuto perché ora sapeva che si chiamava Patapà. «E tu come ti chiami?» provò di nuovo lui. «Non lo so, te l’ho detto.» «Oh, ma ce l’avrai un nome! Il mio è Patapà, e mi piace un sacco. Tu quando pensi a te come ti chiami?» «A me piace…» cominciò timidamente la bambina, come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato. «Hai visto che lo sai!» «A me piace Celeste.» «Che bel nome! Celeste…»


36 Inclinò la testa da un lato, cercando di assaporare il suono del nome della bambina. «Non divertente come Patapà, ma sicuramente bello come te, dolce come il tuo viso.» La bambina, che ora non era più una bambina a caso ma era Celeste, si rasserenò, diventando ancora più bella. «Dici che mi sta bene?» «Oh… oh sì. Vuoi diventare mia amica, Celeste? Ti farò conoscere tutti i miei amici ciamociaccioli!» «Guardali lì come se la raccontano! Lei e quel fuori di testa!» «Non deve essere molto normale neanche lei, se si trova con quel matto.» «Cosa potevamo aspettarci da una bambinetta che arriva da sola nel nostro paese? Una zingarella! L’avevo detto io, l’ho inquadrata subito appena è spuntata nel nostro villaggio.» Il signore con il brutto cappello nero e il resto del gruppetto che aveva spiato Celeste al suo arrivo al Villaggio dello Specchio erano lì, a pochi passi da lei e Patapà, nascosti dietro a un groviglio di piante ai margini della radura. Era stata quella la pensata eccezionale del brutto signore col cappello nero: seguire la zingarella, così magari avrebbero


37 trovato qualcos’altro su cui spettegolare. E di meglio non potevano aspettarsi. «Non ci bastava un matto in paese! Adesso ha trovato pure una che ascolta tutte le sue scemenze!» Celeste e Patapà parlavano, si ascoltavano e ridevano insieme, felici entrambi di aver trovato un amico. Il tempo passava, il cielo era ormai scuro e lo spicchio di luna era brillante sopra la sorgente. Ma i due non se ne rendevano conto e non se ne preoccupavano; non avevano una casa a cui dover fare ritorno. E il gruppetto di spioni stava lì, dietro alle foglie. Qualcosa vedevano, qualcosa sentivano, ma nulla capivano. Ridacchiavano e spettegolavano, e a loro bastava. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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