In uscita il 3 / /2019 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine DSULOH e inizio PDJJLR 2019 ( ,99 euro)
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GIULIA BERANZONI
LA BOTOLA
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ LA BOTOLA Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-299-7 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Aprile 2019 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Come gli adesivi che si staccano lascio che le cose ora succedano quante circostanze si riattivano fuori dai circuiti della volontà. Come il vento gioca con la plastica vedo trasportata la mia dignità. Oggi tradisco la stabilità senza attenuanti e nessuna pietà. Oggi il mio passato mi ricorda che io non so sfuggirti senza fingere. E che non posso sentirmi libero dalla tua corda, dal tuo patibolo. E un'altra volta mi avvicinerò alla tua bocca mi avvicinerò E un'altra volta mi avvelenerò del tuo veleno mi avvelenerò.
(Veleno – Subsonica)
LA BOTOLA
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VILLA ROSA
Villa Rosa si trovava in cima a una collinetta. Il paesaggio intorno era magnifico. Campagne verdi, filari di viti e una macchia fittissima la circondavano per tre quarti. Dal paese, Villa Rosa sembrava un maniero, una fortezza inespugnabile che, ergendosi in totale solitudine, dominava la valle. Non c’era un fosso a separarla dall’attacco di truppe nemiche, né un ponte levatoio da abbassare in occasione delle feste di corte per far passare gli ospiti provenienti dai regni vicini. In compenso c’era un piccolo ruscello che scorreva lì, a pochi passi, e che in estate si prosciugava totalmente e si trasformava in un percorso per escursionisti improvvisati. Villa Rosa era una splendida costruzione di quasi duecento metri quadri, tutta rifinita in pietra, con un portone in legno massiccio che si scorgeva già all’inizio del viale che portava all’abitazione.
8 Un viale dritto, ghiaioso, che partiva dalla strada principale, quella che arrivava dal paese, Giove, e che portava alla villa. Nessun cancello, nessun’inferriata, l’abitazione era sguarnita di difese. Solo la collinetta le donava un che di irraggiungibile. Villa Rosa era stata ristrutturata non molto tempo prima. “Composta da piano terra, salone con camino, cucina, due camere,
bagno
e
ripostiglio”:
così
recitava
l’annuncio
dell’agenzia immobiliare. Il secondo piano era composto più o meno allo stesso modo, non c’era la cucina, ma aveva una splendida terrazza “abitabile e panoramica”. Il seminterrato era ampio, “da rifinire, ideale come taverna o cantina o ampio garage”. Claudio, dopo aver letto l’annuncio sul sito dell’agenzia “CasaNuova”, e dopo averne viste alcune fotografie, se ne era perdutamente innamorato. Gli sembrava impossibile che una casa così bella, per giunta in campagna, potesse costare così poco. Sarà che a Roma per affittare un monolocale bisognava essere uno sceicco del Dubai mentre in questo piccolo paese il costo
9 della vita era assai più basso, ma gli sembrò comunque incredibile. Claudio era nato e cresciuto nella capitale e aveva passato lì tutti i suoi quarantacinque anni. Ora che il lavoro di architetto andava bene, anzi benone, ora che lo studio che suo padre gli aveva lasciato in eredità, e all’interno del quale aveva passato gli ultimi vent’anni della sua vita dopo l’esame di abilitazione, era tra i più rinomati della città, poteva esaudire il suo più grande sogno: comprarsi una villa in campagna, lontana dal traffico e della confusione, dove poter disegnare e progettare nella pace più completa. Possibilmente con uno studio con ampie vetrate che avrebbero filtrato la luce del sole e attraverso le quali avrebbe osservato
la
vegetazione
rigogliosa
circostante.
Niente
automobili, niente clacson, niente pareti grigie affacciandosi alla finestra. Era giovane, in gamba e ora che era diventato lui il padrone della “baracca” che lavorava a pieno ritmo, ora che il suo team di collaboratori fidati e competenti era al completo, ora, poteva finalmente dedicarsi un po’ a sé stesso ed esaudire i propri desideri.
10 «Ragazzi, tranquilli, non sarò qui fisicamente, ma sarò con voi con la testa, acca ventiquattro. Mi sposto di un centinaio di chilometri, ma sarò connesso sempre e comunque a voi. Ovviamente per tutte le grane, sarò a Roma prima che ve ne accorgiate.» I suoi “ragazzi”, ovvero i suoi dipendenti quasi tutti suoi coetanei e alcuni con molti anni in più. Ma per lui non erano solo semplici collaboratori: erano le sue gambe, le sue braccia, i suoi occhi. Si fidava ciecamente di loro e loro lo ripagavano appieno. Rispetto reciproco e forte senso di collaborazione: forse era questo il segreto del successo della sua squadra, che da un paio di architetti si era trasformata in un esercito di professionisti eccellenti. Claudio non era affatto il solito figlio di papà che si era, suo malgrado, ritrovato con in mano un’attività da gestire ma senza averne le competenze. Amava il suo lavoro più di ogni altra cosa. Per questo, forse, non si era mai creato una famiglia. Aveva avuto sì, svariate donne, fidanzate per brevi periodi, ma mai una storia vera e propria. Più che bello era molto affascinante: alto, slanciato, capelli scurissimi e scompigliati, una barba fintamente
11 trasandata. Sempre impeccabile, anche con addosso solo una polo e un paio di jeans. Al lavoro era vestito sempre in modo informale, ma nessun dettaglio era lasciato al caso; la camicia abbinata ai pantaloni, nessuna cravatta se non per le riunioni importanti, scarpe comode ma sempre di ottima fattura. Atletico, alto quasi un metro e novanta, amava correre all’aria aperta, ma a Roma, a causa del tempo libero centellinato, era quasi un’impresa riuscire a divorare qualche chilometro in assoluta libertà. Ora ce l’aveva fatta: poteva avere ben più di un po’ d’aria aperta, poteva avere un’intera campagna intorno a sé, un bosco che gli lambiva casa, un ruscello che scorreva a pochi metri dal suo porticato. Era felice e ancora non ci credeva. Era capitato proprio in quel minuscolo paese, Giove, con il nome di un pianeta, non certo per caso. I suoi nonni materni avevano vissuto lì la loro infanzia e adolescenza prima di trasferirsi a Roma per cercare lavoro. E poi sposarsi e fare due figli, sua madre Elisa e suo zio Giovanni. Claudio era nato e cresciuto nella capitale ed era venuto al paesello giusto qualche volta, sia con sua madre che da solo. Ma
12 quel luogo gli era rimasto nel cuore: per il verde, per la tranquillità, ed era pure facilmente raggiungibile da Roma. Quando ebbe l’opportunità di traslocare finalmente in campagna, non ci pensò due volte: iniziò a cercare un’abitazione proprio lì, possibilmente isolata e ovviamente immersa nella natura. Si era affidato così a questo giovanotto dell’agenzia immobiliare conosciuto anni prima, Simone, spigliato e intraprendente. Da subito
estremamente
disponibile,
l’agente
si
era
messo
immediatamente in moto per mostrare a Claudio alcune proposte di case in vendita che potevano fare al caso suo. Non ci volle molto prima di imbattersi in Villa Rosa: il proprietario, un abitante del posto, l’aveva affidata all’agenzia la settimana precedente, non si sapeva il motivo per cui volesse lasciarla, dal momento che non molto tempo prima aveva terminato i lavori di ristrutturazione al suo interno. In ogni caso, Simone era un professionista nel suo campo: il suo compito era quello di vendere e affittare case, non quello di analizzare la mente umana. L’uomo, di nome Ernesto, si era presentato nell’ufficio dell’agenzia il lunedì precedente. Più che presentato, aveva fatto
13 irruzione. Simone era rimasto colpito soprattutto dal suo aspetto: conosceva Ernesto, il suo essere schivo e solitario, ma in quell’occasione gli era parso come stralunato. I soliti abiti che indossava per lavorare nei campi, un camicione di cotone a scacchi e un paio di jeans logori, erano sporchissimi. I capelli castani con qualche striatura bianca, sconvolti e impolverati, le guance paonazze. Simone ci fece caso, ma non più di tanto: Ernesto era un gran lavoratore e passava intere giornate tra attrezzi agricoli e sudore. La cosa che forse lo colpì maggiormente fu il suo tono di voce, assai concitato, troppo per una persona mite come Ernesto. Voleva mettere in vendita Villa Rosa e trasferirsi altrove, non disse altro. Simone lo fece accomodare e iniziò il suo lavoro da agente immobiliare. «Sei sicuro di volerla vendere a questo prezzo, Ernesto? Guarda che potresti guadagnarci un bel po’ di soldi!» Simone era un agente onesto. «Sì, sì… voglio venderla! Questo prezzo va bene, basta che la vendiamo!» E così fece. Fatto sta che la settimana dopo, Claudio si ritrovò a scorrere, su indicazione di Simone, le immagini della pagina web del sito
14 dell’agenzia e non poté non restare colpito da quella splendida abitazione, messa in vendita a un prezzo veramente stracciato. Dopo aver spulciato tutte le fotografie, il giovane architetto telefonò subito all’agente immobiliare, che conosceva da diversi anni e che aveva incontrato per caso anche l’ultima volta che era tornato a Giove, giusto qualche giorno prima, per chiedergli altre informazioni. «Ciao Simone, guarda, stavo guardando il vostro sito… ti ricordi della villa che mi dicevi? Beh, mi ha molto colpito, ma mi sembra impossibile che abbia un prezzo del genere!» Claudio era eccitato, ma al tempo stesso perplesso. «Parli di Villa Rosa, no? Guarda, t’assicuro che non c’è trucco né inganno, sei solo fortunato che sia stata messa in vendita da poco e che nessuno ci abbia ancora messo gli occhi addosso.» E Simone iniziò a elencare gli infiniti pregi della casa e di come fosse un’occasione da non perdere, ecc. ecc. Ma Claudio non doveva essere assolutamente convinto, lui lo era già. Voleva quella casa, ora lo sapeva, e la voleva anche subito! Così il giorno dopo venne a Giove per parlare di persona con Simone e andare con lui a fare un sopralluogo.
15 Ernesto non era in villa quel giorno e nemmeno sua moglie. Sì, perché Ernesto era sposato e pure con una bellissima donna, Mara. Lunghi capelli rosso rame, occhi quasi dello stesso colore, pelle bianchissima e un corpo sinuoso. Le sue gambe erano state elette “le più belle di Giove” e nonostante si recasse in paese solo per fare la spesa e svolgere qualche altra piccola commissione, ogni volta che camminava per le vie si fermavano tutti: bambini, adulti e pure gli anziani. Era bella, di una bellezza fuori dall’ordinario, quasi una sirena strappata al mare aperto. Indossava sempre abiti molto sobri, mai una scollatura, né uno spacco audace. Scarpe comode e gonne fino al ginocchio, ma la sua femminilità trasudava da ogni poro. Il padre di Mara, originario di un paese vicino, era stato molto amico del padre di Ernesto: i figli si conoscevano fin da bambini e avevano passato molto tempo insieme. In età adolescenziale il padre di Mara, geloso alla follia della sua unica figlia, per giunta così bella, non la faceva uscire quasi mai. Tranne che con Ernesto. Per questo Mara non ebbe mai molte amiche e soprattutto amici maschi. Nemmeno con Matilde, la sorella di Ernesto, riuscì a legare così
16 tanto come con lui. Da piccole si dovevano “contendere” quell’unico cavaliere a disposizione per i loro giochi; poi da adolescenti, le loro strade si divisero del tutto. Matilde, durante gli anni della scuola superiore, iniziò a frequentare i suoi compagni e a uscire con loro ed era sempre meno il tempo che passava in casa. Al contrario Mara usciva poco, conduceva quasi una vita da novizia. Solo Ernesto poteva donarle qualche ora di libertà ogni tanto quando non era curvo sul terreno insieme a suo padre. Per questo non gli disse di no quando, in una giornata di settembre di vent’anni prima, lui, dopo un lunghissimo corteggiamento che aveva fruttato sì e no qualche casto bacio, le chiese se volesse sposarlo. «Sì», disse Mara. E non aggiunse altro. Voleva bene a Ernesto, lui era gentile ed educato, lavorava tantissimo, ma non era certo un adone. Lei invece era una dea, ma una dea in un Olimpo vuoto, ammirata da tutti, ma accessibile a pochi, anzi a uno solo. Ernesto dal canto suo, per quanto persona mite e tranquilla, era gelosissimo di Mara. Non voleva che indossasse abiti attillati, non voleva che mostrasse troppo le sue gambe lunghe e candide, che lasciasse i capelli ramati e ondulati
17 sciolti. E Mara non faceva nulla di tutto ciò perché Ernesto era tutto quello che aveva, il suo mondo, tutto ciò che conosceva. Simone e Claudio arrivarono a Villa Rosa intorno alle dieci circa. Il giovane architetto non vedeva l’ora di vedere da vicino l’interno della casa dei suoi sogni (o così sembrava dalle fotografie sul sito web dell’agenzia); era partito da Roma in largo anticipo e alle nove e trenta era già sotto il Palazzo Ducale, nella piazza centrale di Giove. Si recò al bar lì di fronte, prese un caffè tanto per temporeggiare, scambiò qualche chiacchiera con un paio di anziani seduti su una panchina al sole intenti a guardare le automobili che passavano e poi si avviò verso l’ufficio di Simone. La giornata era magnifica: era fine marzo e il meteo era assai clemente, l’aria fresca e il sole caldo accarezzavano le teste, donando poi ai corpi un piacevole tepore. «Ciao Simone, eccomi qua, puntuale come uno svizzero.» L’architetto era più allegro che mai. «Ciao Claudio, fatto buon viaggio? Io sono pronto, se vuoi, andiamo anche subito.» «E me lo chiedi?» E i due erano già in strada.
18 Simone prese la sua automobile, parcheggiata proprio lì davanti, e dopo solo qualche minuto si lasciarono alle spalle il piccolo paese e si gettarono tra le braccia dell’ampia campagna. «Ah, mi sento già rigenerato», disse Claudio portandosi le mani dietro alla nuca e allungando le gambe nell’abitacolo. Simone si girò verso di lui sorridendo e disse: «Questo verde qua te lo scordi nella capitale. E pure tutte le altre bellezze che abbiamo.» «Non puoi capire quanto hai ragione», rispose quasi melanconico l’altro. L’automobile si fermò all’inizio del vialetto che conduceva alla casa: i due scesero e proseguirono a piedi. «Dai, continuiamo a piedi così ti mostro tutte le meraviglie che ci sono qui intorno.» E Claudio accettò quel consiglio di buon grado. Simone era un perfetto cicerone, ma soprattutto un bravissimo agente immobiliare: per quanto mettesse sempre al primo posto la soddisfazione dei suoi clienti sapeva perfettamente come comportarsi per accaparrarsi l’attenzione e il rispetto di chi aveva di fronte. Amava profondamente il suo lavoro, per questo lo svolgeva sempre nel migliore dei modi.
19 «Allora, dall’altra parte della strada principale, dove abbiamo lasciato l’auto, ci sono degli appezzamenti di terra. Sono sempre del proprietario della villa, ma ha già deciso di venderli a un suo vicino, un tizio che ha l’orto confinante con il suo, proprio lì», e Simone indicò un punto al di là della strada dove si scorgeva una piccola rimessa agricola e svariati terreni coltivati. «Ma tanto immagino che tu da bravo contadino quale non sei non avevi certo mire agricole, no? Tutt’al più di villeggiatura…» aggiunse Simone facendo l’occhiolino a Claudio. «In realtà, più che villeggiatura la mia idea era proprio di stabilirmi qui. Per i terreni nessun problema, fare il contadino non è mai stata una mia priorità», rispose sorridendo l’architetto. «Immaginavo. Vedi qui sulla destra, ci sono quei vitigni: anche questi sono già stati venduti a parte dal proprietario, questa volta a un altro suo vicino.» «Chissà come mai avrà deciso di darli via così, dopo tutto il tempo e il sudore che gli avrà dedicato», disse Claudio in maniera meccanica.
20 «Mah, io non l’ho ancora capito. Vendere tutto così, all’improvviso, senza un motivo apparente… va beh meglio per te, no?» disse Simone. «E pure per te!» rispose sorridendo Claudio. I due procedevano ridendo e scherzando, come due amici di vecchia data, lungo il viale ed erano quasi giunti al portone quando Simone indicò nuovamente un punto distante da lì. «Vedi laggiù, sulla sinistra? C’è quel torrente magnifico. Praticamente ce l’hai sotto casa: ti puoi affacciare al balcone e ammirarlo in tutto il suo splendore», disse Simone. «Sei proprio un perfetto venditore, non c’è che dire! Scherzi a parte, è bellissimo, qui è tutto favoloso. E ancora non ho visto il pezzo forte», rispose Claudio. Arrivati davanti al portone massiccio, Simone estrasse un mazzo contenente chiavi su chiavi. Ne prese una a colpo sicuro, la inserì nella toppa e girò. La stanza che si ritrovarono davanti era inondata di luce. Era ampia e anche se quasi vuota, poiché il proprietario aveva già
21 portato via gran parte del mobilio e degli effetti personali, fece restare Claudio senza parole. «È bellissima Simone, dal vivo è ancora meglio che in foto.» «Te l’ho detto. Questo è veramente un affarone. Vieni, ti faccio vedere.» Il salone era spazioso ed estremamente luminoso, grazie alla luce che entrava dalla grande finestra che guardava verso i vigneti. C’era una libreria enorme sulla sinistra, di legno chiaro, vuota, accanto a un caminetto in pietra. Un tavolino rotondo che probabilmente prima era al centro della stanza sopra al tappeto color avorio e adesso era accostato alla parete color tortora. «Dall’altra parte, accanto al finestrone, prima c’era un divano», spiegò Simone, «ora è rimasto solo questo piccolo pouf.» In fondo, sulla destra, una porta scorrevole divideva il salone dalla cucina la quale, seppur non grandissima, era ben fornita. C’era un tavolo rettangolare, sempre di legno chiaro come tutti i pochi mobili rimasti in casa, ma nessuna sedia. Uno spazio vuoto dove prima c’era il frigorifero, mentre ancora resisteva la cucina componibile di un bianco lucido, accecante. «Considera che questi e il resto delle cose non sono comprese nell’affare», disse
22 Simone indicando i pensili, «ma t’assicuro che con quel prezzo di vendita non troveresti da nessuna parte al mondo una villa del genere.» Claudio lo sapeva e sapeva di volere quella casa a tutti i costi. Accanto alla cucina, un’altra porta scorrevole portava nella camera da letto principale, totalmente vuota. Poi passarono al bagno, elegante e rifinito, dove sempre il bianco faceva da padrone, e poi all’altra stanza, probabilmente destinata agli ospiti, anch’essa vuota e dotata di un piccolo bagno interno, per poi giungere a un piccolo ripostiglio. Claudio constatò che il salone all’entrata aveva la stessa larghezza delle quattro stanze disposte in fondo. Una scala interna posta tra la cameretta e la porta che faceva accedere al seminterrato, portava al piano superiore. Era lampante che la casa fosse stata ristrutturata da poco: le pareti tortora erano verniciate perfettamente, senza il minimo segno di sporcizia, non avevano un graffio, le rifiniture all’interno delle stanze erano impeccabili, gli stessi componenti del bagno sembravano essere usciti da poco dalla fabbrica. Il secondo piano
23 era formato più o meno come il primo, a eccezione della cucina che non c’era e che aveva ceduto il suo posto a due stanze molto ampie con bagno annesso e una più piccola, adibita a ripostiglio. I due si affacciarono poi sulla terrazza, enorme, che dava sulla campagna sottostante e sovrastava precisamente il piccolo ruscello. «Che meraviglia!» Claudio era entusiasta e non aggiunse altro. Rimasero così qualche minuto a godere della brezza leggera che soffiava, in silenzio, con lo sguardo puntato verso il paese che si scorgeva in lontananza, in direzione della strada principale. E poi scesero nuovamente al piano di sotto. «Ecco, lì c’è la porta del seminterrato. Vieni che te lo mostro.» Simone stava guidando Claudio verso quella direzione quando il secondo lo bloccò appoggiandogli una mano sul braccio, con fermezza. «Guarda Simone, adesso devo scappare. Ho un appuntamento importante a Roma e devo praticamente partire ora se voglio arrivare in tempo. Comunque ho già visto un paio di foto del seminterrato sul sito e francamente la casa mi aveva già
24 conquistato dall’ingresso, non ho bisogno di ulteriori conferme», disse sempre tenendo Simone per il braccio. «Ok, come vuoi. Dai, torniamo all’auto.» Simone era soddisfatto, con un sorriso rilassato che gli incorniciava il volto. Claudio era eccitatissimo, anche lui con un sorriso stampato in faccia. Per alcuni versi più inquietante dell’altro. Claudio non appena salì in auto e si sedette non disse altro che “sì, la voglio”, come un promesso sposo. Simone appoggiò le mani sul volante e iniziò a parlare spiegando che il proprietario aveva intenzione di venderla il prima possibile e pensava di riuscire a sistemare tutte le scartoffie necessarie già nei prossimi giorni per poi effettuare l’atto di vendita dal notaio. «Ti chiamo appena ho tutto pronto, ok?» disse Simone sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi. «Non vedo l’ora!» rispose Claudio. I giorni seguenti passarono con una lentezza fuori dal comune. L’architetto non era più nella pelle e pensava già a come trasformare la stanza più grande al piano terra nel suo nuovo studio: “Sistemerò un’altra porta finestra, enorme, così da far entrare tutta la luce possibile. Proprio verso il lato del ruscello.”
25 Simone, dal canto suo, era alle prese con alcuni problemi causati dai documenti catastali e così i giorni continuarono a passare. E Claudio era sempre più insofferente. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
INDICE
VILLA ROSA ............................................................................... 7 ERNESTO................................................................................... 46 CLAUDIO .................................................................................. 77 MARA ........................................................................................ 92 L’AMORE PUÒ UCCIDERE? ................................................... 99