In uscita il 30/11/2018 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine novembre e inizio dicembre 2018 (3,99 euro)
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DANIELA SOAVE VIGHESSO
LA CASA DELLE IDEE POSSIBILI
ZeroUnoUndici Edizioni
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LA CASA DELLE IDEE POSSIBILI Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-248-5 Copertina: immagine Shutterstock. com
Prima edizione Novembre 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Questo libro è dedicato a Salvo Lo Galbo, con un ringraziamento
LA CASA DELLE IDEE POSSIBILI
7
La pioggia, delicata e benefica, era cessata e il sole filtrava, dolce e benvenuto. Gli alberi si sforzavano per aprire le gemme gonfie delle foglie. Merli dal becco giallo saltellavano di qua e di là in cerca di una merlotta. Le trote sguazzavano felici nei torrenti gonfi della neve disciolta. Ciliegi, peri, albicocchi e peschi portavano un carico prezioso di frutticini delicati, mentre i meli ancora erano carichi di fiori, ora un po' rovinati, ma promettenti di un buon raccolto. Era la fine di aprile, il periodo più bello e luminoso dell'anno, quando la luce ha una brillantezza tutta particolare. I contadini uscivano per le incombenze serali. Sulla collina più lontana, brillava all'orizzonte la pietra bagnata di un bel castello. Anche in lontananza si notava che non era troppo grande. Avvicinandosi, si notava che era ben costruito e fortificato. Sicuramente un re come si deve si preoccupava che fosse ben difeso e sicuro. Avvicinandosi ancora un po', si notava che era anche tenuto molto bene. Pergolati, giardini, alberi imponenti, gazebo preziosi come ricami rivelavano senza dubbio che una regina come si deve si preoccupava che il castello fosse anche bello da vedere e piacevole da abitare. Dove c'è un castello, in presenza di un re e di una regina, di solito c'è anche una principessa e infatti c'era. Molto giovane e molto bella, come d'obbligo in tutte le fiabe che si rispettino.
8 In quel momento la principessa non stava bene e aveva i crampi nella pancia. Stava a letto, con la nausea e l'emicrania, la testa appoggiata su numerosi cuscini imbottiti. «Balia, che noia! Che male! Ma quanto durerà ancora!». «Ancora un paio di giorni, bambina mia, ma domani dovresti stare già meglio». La balia non aveva informato la principessa che la mattina si era fatta ricevere dalla regina per informarla che Sua altezza era pronta per prendere marito. La regina aveva informato il re che aveva informato il primo ministro che aveva informato il leguleio il quale aveva tirato fuori da uno stipo un librone zeppo di nomi importanti. Tutti i nomi erano segnati con delle croci: alcune erano delle grosse x rosse, altre delle croci cristiane, in nero. Il leguleio guardò il re. «Siete rimasto a piedi, Maestà» lo informò. «A piedi? Che significa?». «Che non c'è un principe libero, dai tre ai cinquant’anni, nemmeno a pagarlo. Vi avevo avvisato di provvedere per tempo, ricordate? Il tempo è passato e i principi vanno via come il pane». Miseriaccia! Possibile che il tempo fosse passato così in fretta? Mentre il re era impegnato negli affari di stato e la regina nella conduzione del castello, gli anni erano passati, per la principessa era arrivato il momento della prima luna e non ci si era preoccupati di trovarle per tempo un marito. Questo deponeva, tutto sommato, a favore dei due giovani sovrani, genitori liberali e un po' distratti. Se si fossero attenuti alle usanze, la principessa avrebbe avuto un consorte ancora prima
9 di lasciare la culla e avrebbe trascorso la sua infanzia rinchiusa nelle sue stanze o nella cella di un monastero per uscirne solo per andare a nozze con un uomo mai visto, magari vecchio e bavoso, ubriacone o manesco, se non un bambino ancora in fasce. La principessa non sapeva di essere fortunata; non sapeva nemmeno se fosse felice; eppure, sì, era una real-bambina fortunata. I suoi genitori la lasciavano uscire a giocare nei giardini del castello e non si opponevano se giocava con i figli della servitù. Talvolta andava nel Borgo con la balia. Amava la musica e le era stato permesso di suonare e studiare il liuto e la ribeca; era ancora affidata a una balia, a cui era molto affezionata, e a una governante che invece non era stata capace di conquistarsi la sua fiducia; la domenica pranzava alla tavola di corte con i reali genitori, i ministri e il ciambellano e, dopo aver chiesto il permesso, poteva fare domande, se lo desiderava, sul regno, sul Borgo, o su qualsiasi argomento di cui si stesse parlando in quel momento. Nobildonne assortite si occupavano della sua educazione: studiava con non poca noia l'etichetta e il rituale di corte, un po' più volentieri la pittura e il ricamo; per volontà della regina, dei precettori severi si occupavano della sua istruzione: matematica, astronomia, latino, retorica, filosofia, tutte cose che si riteneva non servissero alle principesse alle quali a malapena s'insegnava a leggere e scrivere ed era anche troppo. La regina, previdente, pensava al futuro e alla possibilità che la sua real-bambina salisse sul trono come reggente o regina madre e per la sua ignoranza, incapace di prendere decisioni in autonomia, finisse
10 col fidarsi di consiglieri e maneggioni di corte, col rischio di mandare in malora il regno e la corona. Il tempo della principessa era impegnato, ma non mancava mai un momento per fantasticare e sognare; se non era infelice, era tuttavia profondamente inquieta. Non era appagata di quanto la circondava, ma conosceva così poco del mondo di fuori, che non avrebbe saputo dire cosa volesse o cosa le mancasse. «Ma non è possibile!» protestò il re. «Ci deve essere un partito disponibile! Anche diseredato, anche ventesimo in linea di successione, anche illegittimo!». «Nascono più donne che uomini, lo sapete» spiegò il leguleio. «E i maschi hanno una tendenza a morire oltre ogni decenza. Muoiono in guerra, nei duelli, nelle battute di caccia, cadendo da cavallo, assassinati dai pretendenti al trono, dalle congiure di corte e dai mariti gelosi, avvelenati dalle amanti abbandonate o da indigestione di cibo guasto che ingurgitano in quantità inaudite; partono per la Terra santa e muoiono cotti sotto il sole del deserto; partono in pellegrinaggio e vengono aggrediti e uccisi dai briganti di strada per essere derubati del cavallo o della spilla del mantello; quest'anno, come se non bastasse, c'è stata anche un'epidemia di scarlattina che ha fatto una strage. Anche prenotando con molto anticipo non c'è la certezza che arrivati al dunque la merce sia ancora disponibile. Per contro, le delicate e illibate principesse non escono mai dalle mura del castello e muoiono solo di tisi nella proporzione di una ogni venticinque principi. Fate pure i conti, maestà» concluse il leguleio. «Ci sono rimasti due nomi: uno è mutilato, colpito nei punti critici da un cinghiale o evirato dalle corna di un cervo o da quelle di un'amante gelosa, le opinioni
11 divergono; e uno che naviga nel dubbio fin dalla nascita, Luisotte des Dutes, detto Bambolina. Fate voi». Il re era interdetto. Non aveva eredi diretti e gli serviva una discendenza a tutti i costi. Come aveva potuto essere così svanito? Be’, poteva sempre ricorrere a un qualsiasi capitano delle guardie riconoscendolo come figlio suo. Chi mai avrebbe potuto affermare il contrario? Sì, ma il sangue reale? Come la mettiamo? La mettiamo che le regine non sono tutte fedelissime ai loro consorti, spesso vecchi e impediti, mentre i capitani delle guardie sono giovani e belli. Insomma, quasi sempre. Mettiamo che i re amino svolazzare di fiore in fiore e le mogli dei capitani delle guardie siano giovani e belle. Insomma, quasi sempre. Facendo un rapido calcolo, anche molto approssimativo, il re giunse alla conclusione che almeno il 75% dei capitani delle guardie avesse come minimo sei ottavi di sangue reale nelle vene, a dire poco. Probabilmente molto di più di quanto ne avessero buona parte dei principi garantiti 100% puro sangue reale. Lui stesso, giovane Delfino, aveva contribuito… la piccola Marie… con un marito bello ma brutale… lui l'aveva consolata, dandole tanta tenerezza… e un bel bambino era nato, finalmente, dopo tre anni di vana attesa. Il capitano delle guardie, fresco padre, si era gonfiato come un pavone del frutto dei suoi lombi. Non gli somigliava molto, ma non aveva importanza. Per fortuna somigliava alla madre, bruna e riccia, e non al Delfino, che era biondo. In ogni caso chi mai avrebbe accusato il Delfino? La madre, forse, ma non l'erede al trono. Il capitano poi era morto gloriosamente in
12 battaglia … Marie si era risposata … Con chi? Dov'era finita? Doveva trovarla a tutti i costi! «Avvocato» si decise, «dovete rintracciare una signora che risiedeva nel castello come moglie di un capitano delle guardie una quindicina di anni fa. Non dovrebbe essere difficile. Era il capitano Etienne des...». «Avete fruttificato fuori del ramo, Maestà? Perché spero che non abbiate intenzione di combinare delle nozze tra sua Altezza reale e il frutto della colpa». «Avvocato, e quale sarebbe il prob…» stava per ribattere il re, che s'interruppe di colpo nel mezzo della frase. Il problema era chiaro in tutta la sua evidenza. Non era un gran problema. Risolveva la discendenza, e trovare poi un marito alla principessa diventava secondario. «No, avvocato, non penso alle nozze. Penso che c'è qualcuno a cui posso lasciare il trono. Voi rintracciate la signora in questione e poi vedremo il da farsi». Detto, fatto. «Non siete fortunato, Maestà» comunicò il leguleio. «La signora è stata presto rintracciata. Purtroppo il figlio, cresciuto nel culto del suo eroico padre (quello ufficiale) e suo degno erede, è morto in battaglia alla sua prima campagna militare, ancor prima di vedersi spuntare un'ombra di baffi. Siamo daccapo. Se volete seguire il mio consiglio, lanciate un bando». «Un bando?». «Esatto. Noi non possiamo conoscere tutto di tutti. Magari qualche principe dato per morto in realtà è vivo, qualche altro è rimasto ante-vedovo e noi non siamo stati informati, qualche riconoscimento tardivo, qualche screzio che ha portato a
13 rompere un patto già firmato. Può succedere. Sua Altezza è molto giovane, possiamo aspettare qualche mese o un anno». E così fu fatto. Fu emesso in bando nel quale s’invitavano tutti i principi ereditari Delfini o secondogeniti a farsi avanti per chiedere la mano di sua Altezza reale Principessa Dulçedo Marie de Wisteria, dodici anni, unigenita figlia di sua Maestà il Re Julot François Formenton III di Wisteria e della reale consorte Regina Michelia Figo des Toubibs. L'iniziativa andò a buon fine e in capo a sei mesi arrivarono ben nove risposte di candidati disponibili. «Aggiornate i vostri registri, avvocato» gongolava il Re, «sono ancora quelli di vostro nonno». La casa delle idee possibili Un giorno meraviglioso di fine aprile, nel Castello Wisteria, un'attività frenetica metteva tutti in movimento, dagli scudieri all'ultimo degli sguatteri: si preparava la festa per il compleanno di Sua Altezza reale la Principessa Dulçedo Marie de Wisteria. Da giorni, i cuochi lavoravano senza sosta per preparare il banchetto. Montagne di frittelle Piene di vento, Da re e Da imperatore* si accumulavano su enormi piatti di servizio. Centinaia di polli erano sacrificati dentro nella limonia*. Carri e carri pieni di limoni arrivavano uno dopo l'altro, comandati da mesi nelle lontane terre di Sicilia. Una torma di bambini si tuffava nei carri cercando i limoni nascosti tra la paglia che li aveva protetti durante il lungo viaggio e li tiravano agli aiutanti
14 di cucina che lavoravano senza tregua al torchio per estrarre il loro prezioso succo. Cesti e cesti di erbe di campo erano stati raccolti per l'herbolata de majo*. Dagli stabulari dietro le stalle uomini robusti uscivano portando in spalla quarti di maiale e di manzo fresco, che finivano direttamente infilzati negli spiedi dei girarrosti. Le donne più grandi e grosse mescolavano enormi calderoni dove bolliva il nuncato*. Nelle pignatte borbottava il vino melato alla salvia* e, all'ombra di un tralcio, le donne più anziane lavoravano di pestello spezie e frutta secca che i ragazzi si premuravano di portare via via ai cuochi. Da una lunga rastrelliera pendevano file e file di lepri, fagiani e pernici che venivano puliti, disossati e trasformati in pasticci o in civet. Su lunghi tavoli di marmo i più giovani impastavano il biancomangiare*, ed era più quello che come palle di neve si tiravano l’uno addosso con l'altro di quello che finiva nelle teglie. Sotto il pergolato di Wisteria color corallo, unico al mondo, dono della fata madrina alla principessa Dulçedo, dove si sarebbe tenuto il banchetto, i maggiordomi vigilavano i domestici e le fantesche che allungavano sui tavoli le preziose tovaglie di seta ricamate di fili d'argento e posavano scodelle e piatti, bicchieri e coltelli, tutto di oro fino. All'improvviso, risuonarono squilli di tromba e rulli di tamburo. Tutti restarono immobili, in piedi dove si trovavano, impettiti e timorosi. Il Re veniva di persona a sincerarsi che tutto fosse fatto nel modo migliore, che tutto fosse pronto per il * Piatti tipici del medioevo.
15 giorno della festa, che il banchetto fosse degno del suo rango e non lo facesse sfigurare. Ci teneva, a questa festa: nove principi ereditari con tutto il loro seguito di regali genitori, tutori, dignitari, cortigiani, ciambellani, ministri, vassalli, parenti e cugini fino al settimo grado, venivano a vedere la principessa, e uno tra loro, finiti i tira e molla di offerte e pretese, proposte e contrattazioni, l'avrebbe poi sposata. Mentre il Ciambellano e l'economo di corte gli mostravano la ricchezza dei preparativi, e come non si fosse badato a spese, il Re si aggirava tra il pentolame e i girarrosti, approvando col capo, e in realtà sentendosi rifluire il sangue dalle vene, in un tutt'uno con il denaro dai reali forzieri. Per la prima volta, rimpiangeva che si fosse abbandonata la vecchia ed economica usanza del Piatto da pompa, così pratico e poco impegnativo! Un po' di terracotta e quattro pennellate, ed ecco pronto il ritratto della promessa sposa da spedire ai quattro angoli del mondo. Ma in realtà era un'usanza rischiosa, che nel tempo aveva scatenato un'infinità di guerre e conflitti. Il nostro era un re pacifico che viveva in buona armonia con i reami confinanti. Al pensiero di quello che era successo al re confinante di destra, suo buon amico, un brivido gli corse lungo la schiena. In cerca di una sposa per il Delfino, la scelta era caduta su un’angelica creatura dipinta meravigliosamente su una ceramica finissima. La sera delle nozze, nel momento in cui la sposa si era tolta il velo, il principe ereditario aveva sentito fulminea La chiamata del Signore e in camicia da notte, un mantello sulle spalle, aveva inforcato un cavallo rifugiandosi nel convento dei SS Ospizio e Cereale. Nessuno l'aveva più
16 visto. E il vicino di sinistra? Il promesso sposo, l'aitante cavaliere ritratto in arcione, fiero e marziale, si era rivelato non solo brutto come il peccato, che ancora poteva andare, e scemo come una corbella, e pazienza, ma talmente impedito da non saper stare in sella su un cavalluccio di legno, altro che cavalcare un destriero in combattimento. No, per la miseria, no, pensava il Re, per la mia Dulçedo, e per la salvezza e il futuro del mio regno, voglio vedere in faccia il promesso sposo! Il giovane Re aveva accolto con immensa gioia la nascita della sua piccola Dulçedo che faceva ballare sulle ginocchia in attesa di un Delfino che non arrivò mai e adesso, povero sovrano, si trovava nell'impasse della mancanza di un erede maschio e anche di un qualunque nipote, cugino o zio, di qualsiasi grado, anche raccattato, a cui lasciare il trono. Il Principe prescelto come genero, in caso di morte anticipata del Re, unendo provvisoriamente i due regni, avrebbe avuto la Reggenza fino alla maggiore età del Delfino. Così aveva pensato il Ciambellano di corte, per uscire dall'impasse. Che idea balorda! C'era tutto il tempo sufficiente per mandare in malora tre regni, non uno, se il fortunato eletto non fosse stato più che all'altezza del compito. Tuttavia, non aveva trovato soluzioni alternative. Intanto proseguiva l'ispezione e tutti si davano da fare a mostrare, illustrare, raccontare, dettagliare…in poche parole, a rintronarlo di chiacchiere, soprattutto a non fargli aprire bocca, nel caso gli venisse in mente di chiedere notizie della Principessa, perché nessuno avrebbe saputo che cosa rispondere: era scomparsa da tre giorni e nessuno aveva idea di dove fosse. Il trattamento ebbe successo: stordito dal
17 chiacchiericcio, ottenebrato dagli effluvi del lardo arrostito, del vino caldo, della cannella, del caramello e dell'invadente, insopportabile e pertinace cumino (il re odiava tanto questa spezia pestifera da inventare un verbo, “cuminare”, quando non riusciva a levarsi di torno i cortigiani e le comari di corte che s’impicciavano di tutto ed erano sempre tra i piedi) riservandosi tra sé e sé di chiedere allo speziale di corte quanto avesse speso solo di zafferano, il Re girò sui tacchi e tornò nei suoi appartamenti. Uff! Un sospiro di sollievo attraversò tutta la corte: per il momento, il collo era salvo. Il lavoro riprese con gran lena. E la Regina? Perché c'era, una regina. Anch'essa era scomparsa, e ormai da una settimana, ma tutti sapevano dov'era: nelle sue stanze a farsi bella. «Devo sembrare più giovane di mia figlia!» ripeteva alla sua Dama di Compagnia. E la Dama spronava le domestiche a compiere il miracolo. Un giorno, due, tre…Poi la Dama si decise a intervenire. «Mia Signora,» disse all'alba del quinto giorno, «la Principessa compie tredici anni... con tutto il rispetto... non potete sembrare più giovane di lei… tanto varrebbe presentarsi col grembiulino, una bambola sotto il braccio e il pollice in bocca… temo che la vostra Regalità possa soffrirne…In questo momento, voi dimostrate esattamente cinque anni più della Principessa …direi che può bastare». La regina si esaminò allo specchio con occhio critico. «Voi dite? Ma sì, forse è la cosa migliore, non voglio sembrare una di quelle dame ridicole che alla loro età…».
18 Poi si ricordò improvvisamente di un particolare che negli ultimi giorni le era uscito di mente. «Ma la Principessa, è pronta per la festa? Il vestito è finito? Le sue domestiche hanno lavorato bene? Dov'è, nelle sue stanze? O nella cappella a pregare? Mandatela a chiamare, devo parlarle!». Fortunatamente, nell'attimo, il sarto di corte si fece annunciare: portava i vestiti nuovi per tutti, e ovviamente la Regina aveva la precedenza. La Principessa fu scordata. *** No, la Principessa non era scomparsa. Solamente, nessuno aveva tempo per pensare a lei. Certo, l'avevano cercata tutti (tranne il Re e la Regina), per tutto il castello, sempre più ansiosi e preoccupati. Ovunque, tranne che nel posto dove nessuno avrebbe pensato di trovarla, quasi alla vigilia delle sue nozze: la sua stanza dei giochi. Tutti davano per scontato che fosse impaziente di vedere i candidati, di essere al centro dell'attenzione, che questo gran parapiglia tutto per lei lusingasse la sua vanità, che pensasse ansiosamente al giorno del suo matrimonio… Non era proprio così. La Regina, a cui pure voleva bene perché era la sua mamma, le Dame di corte, le Principesse e le Nobildonne con le quali studiava l'Etichetta e il Rituale di corte…Non le piaceva niente, Mio Dio! Che orrore! Che sgomento, all'idea di diventare così! No, no e no! Per dire il vero, ancora neonata già aveva dimostrato un bel carattere e chi si affacciava estasiato sulla sua culla non sempre
19 veniva accolto come si converrebbe da una Principessa di sangue reale, sia pure in pannolino e bavetta (tutto preziosamente ricamato). Nel momento in cui si era richiusa nella stanza dei giochi, pronta a dare battaglia, aveva anche deciso di nutrirsi solo di salumi e dolci, per imbruttire la pelle e scoraggiare in partenza qualsiasi pretendente. Poi, lampo di genio, aveva cominciato ad abbronzarsi, esponendosi al sole che entrava dal riquadro della finestra fortunatamente esposta a ovest. Non aveva molto tempo, ma meglio che niente. Soprattutto, le Dame di corte non avrebbero avuto il tempo di rimediare con i loro impiastri nauseabondi. Si sarebbe presentata all'ultimo momento, nel suo meraviglioso vestito nuovo, elegantissima e regale, ma inguardabile per i nove avvoltoi che volteggiavano mirando alla sua dote. Ancora tre giorni da passare tra i suoi vecchi giocattoli, dormendo su un lettuccio da bambola, guardando dalla finestrella l'attività frenetica dei domestici, tra un pezzo di salame e un dolce da credenza di cui si era fatta una bella scorta. Ogni dieci minuti si guardava allo specchio in cerca di macchie, foruncoli, orribili eruzioni‌Niente, non il minimo segno! La sua pelle era piÚ bianca e pura che mai. Che fossero tutte storie, chiacchiere di vecchie comari? Uffa, che noia! Vesti e svesti le bambole, disegna loro i baffi, scarabocchia con i gessetti, fai i ghirigori sulla lavagna, inventati le caricature dei cortigiani, delle Dame di corte, delle nobildonne. Quello ha le gambe corte e i piedi in fuori e quell'altra è tanto grassa e bassa che i vestiti che indossa
20 sembrano infilati in orizzontale… All'improvviso un certo chiasso proveniente dal cortile attirò la sua attenzione. Si sporse a curiosare: in un lungo corteo colorato musici, saltimbanchi, trovatori e illusionisti venivano a offrire le loro prestazioni per rallegrare la festa. Ce ne sarà bisogno, pensò perfidamente. Il musico di corte era vecchio come Noè, senza denti e tremava tanto che la sua ribeca suonava a singhiozzo, ma costava poco. Tra i numerosi musicanti che sfilavano nel cortile, uno calamitò il suo sguardo: un giovane che non portava il liuto né la ghironda, ma aveva in mano un flauto d'oro. Era alto, dai capelli chiari, vestito di semplice panno scuro; portava sulle spalle una corta mantellina rossa. Sembrava non avere niente di particolare, se non, al posto del cappello, una lunga striscia di un tessuto a piccoli scacchi bianchi e neri annodata attorno alla testa; Dulçedo aveva già visto quella strana stoffa qualche anno prima, quando dei mercanti arabi avevano consegnato al Re dodici cavalli arabi, omaggio del Califfo di Damasco, e una meravigliosa giumenta Akahl-Teke* dal manto dorato per la Regina, e sapeva anche come si chiamava: kefiah. Il musico non sembrava avere niente di speciale ma per qualche ragione misteriosa gli occhi della Principessa lo avevano individuato tra tutti. Tutti gli altri, molto più appariscenti, all'istante scomparvero dal mondo, con i loro strumenti costosi e il loro esibizionismo. Il musico alzò lo sguardo…Fulminea, la Principessa si ritrasse dal quadro della finestrella. Non era possibile che l'avesse vista, era troppo in alto; guardando da * Razza di cavalli originaria del Turkmenistan apprezzata per la velocità,
21 sotto, una grossa quercia ostacolava la visuale, ma allora perché restava a fissare nella sua direzione con tanta insistenza? Perché, Dulçedo non poteva saperlo, un importuno colpo di vento aveva spostato una fronda nel momento più o meno adatto…secondo i punti di vista. Quella sera, povera Principessa, non riusciva a prendere sonno. Quel lettino di bambola sembrava essersi ancora rimpicciolito, e lo sentiva pieno di bozzi che solo la sera prima, ne era certa, non c'erano. Ma cos'era quel leggero affanno, quel sentirsi in gola il battito quieto del cuore? E quel meraviglioso senso di beatitudine, di pace, che la spingeva ad abbracciare il cuscino sospirando? E quel tremore profondo, appena avvertibile al livello più superficiale della coscienza? In lontananza, il banditore le scandiva il tempo della notte che trascorreva lentamente. E improvvisamente una musica dolce…qualcuno suonava a cavalcioni su un ramo della quercia. Poi una voce profonda vicino alla sua finestrella cantò una dolce storia d'amore. Alla luce della luna, un barlume di rosso era distinguibile tra il fitto fogliame della quercia. All'alba, quando Dulçedo alla fine si era assopita, la macchia rossa era scomparsa in un salto. La notte successiva il musico non si limitò a suonare restando seduto in mezzo alla ramaglia, ma si spinse fino in fondo sul ramo della quercia e si issò sul davanzale della finestrella che aveva uno spessore di un metro e ci si stava comodissimi. C'erano le grate, ma erano abbastanza larghe da consentire di l'eleganza e la bellezza del loro manto dai riflessi metallizzati.
22 sfiorarsi le labbra in un leggero e tenero bacio. *** Mentre i giorni passavano, e della Principessa, ovunque fosse, non si trovavano tracce, l'angoscia saliva nella corte; ormai, temevano anche per la sua vita, nella paura che le fosse successa una disgrazia, non più soltanto per la loro testa. Di nascosto, si erano dragati i fossati, erano state rivoltate le concimaie, poi i famigli erano stati mandati prima su su su per le più alte delle torri, e poi giù giù giù nelle più profonde delle segrete. Meno che nella stanza dei giochi. Ma no, lì no, ormai è grande! La balia a cui era ancora affidata forse l'avrebbe cercata lì, prima che in qualsiasi altro posto, ma in quei giorni si era assentata per assistere una vecchia zia moribonda. Si era alla resa dei conti: dovevano avvisare le loro Maestà che Dulçedo era sparita. Ma aspettiamo fino a domani. Arrivò alla fine il giorno della festa. Dall'alba del giorno prima, i principi pretendenti avevano cominciato ad affluire con tutto il loro seguito e una quantità di bauli che sembrava poter contenere vestiti per tutto l'ecumene. Il corteo degli ospiti non si era meritato, da parte della Principessa, nemmeno uno sguardo distratto, presa com'era da pensieri di tutt'altro genere: le labbra che avevano appena sfiorato le sue, il ricordo di un dolce canto e di una musica che nella sera così tiepida e serena, profumata di lillà in fiore, erano saliti da sotto la finestrella. Le parole erano parole d'amore, forse un po' sconvenienti per una Principessa ben educata, la musica quella semplice di un flauto.
23
*** Ventiquattro paggi vestiti di rosso uscirono uno dopo l'altro dal portone del castello. Si disposero in linea, avanzarono di alcuni passi, poi si divisero a destra e a sinistra del portone, componendo due semicerchi. Dietro di loro, dodici paggi vestiti di azzurro si mossero allo stesso modo. Dietro di loro, dodici damigelle vestite di bianco avanzarono e si disposero a loro volta davanti ai paggi rossi e azzurri. Tutto questo inutile trambusto, che era costato ai paggi e alle damigelle giornate lunghissime di prove estenuanti, nerbate, rimbrotti e rabbuffi dal Maestro di cerimonie, perché alla fine, nello spazio lasciato libero al centro, potesse apparire, in tutto il suo splendore, la Principessa. Un «Ooooh!» di meraviglia e incredulità accolse Dulçedo. Indossava un vestito del colore della piombaggine e sopra portava una corta tunica di trina di seta e fili d'oro. I capelli erano raccolti in una preziosa e finissima reticella ugualmente d'oro. Al collo portava una bella collana di avorio e lapislazzuli, lavorata con la delicatezza che la sua giovane età richiedeva. Alta ed elegante nel portamento, naturalmente regale, per contrasto le sussiegose dame di corte e le regine invitate al banchetto sembravano sgraziate e goffe e nei loro vestiti lussuosi apparivano, più che eleganti, pretenziose e ridicole. Già i nove principi invitati al banchetto si guardarono l'un l'altro in cagnesco, decisi ad appropriarsi della preda, e della sua dote, a qualsiasi costo. Pronti a tutto: a scatenare una guerra, a rinnegare ogni principio dei già pochi che
24 possedevano, a rischiare la vita e il trono sul quale ancora non erano seduti. Dulçedo prese posto tra i suoi regali genitori. Divieto assoluto le era stato imposto di alzare gli occhi sui suoi corteggiatori, per nessun motivo, nemmeno per un attimo. «Occhi bassi, contegno e verecondia non sono mai abbastanza per una principessa del vostro rango!» non si stancava di ripetere la Dama di corte incaricata della sua educazione. Dulçedo, però, come si stancava in fretta di ascoltarla. Stavolta non doveva fare nessuno sforzo, perché dei suoi corteggiatori non poteva curarsene di meno. Aveva ben altri pensieri per la testa e quello che la circondava a stento lo percepiva come reale. Se anche fossero state nove scimmie sedute al tavolo d'onore, anziché nove principi, non avrebbe fatto alcuna differenza. Una cosa sola le occupava la mente e il cuore: trovare un modo per uscire da quella galera. Tutori e Dame di corte avevano fatto un buon lavoro. La Principessa era ben consapevole del suo rango, non prendeva la cosa alla leggera. La ragione di Stato veniva prima di ogni altra cosa: profondamente addolorato, piangendo calde lacrime, il Re suo padre le avrebbe fatto tagliare la nobile testina al minimo sgarro (magari no, e alla fine si sarebbe limitato a mandarla a letto senza il dessert). Per salvare il collo (il suo e anche quello del musicista), l'anima e il suo amore nascente, la Principessa avrebbe avuto bisogno di tutta la sua astuzia, la sua intelligenza e la sua pazienza. I servi che incessantemente venivano e andavano le portavano a ogni giro delle enormi quantità di cibo che la Principessa non degnava di uno sguardo. Fagiano arrosto, pernici prelibate,
25 manzo in fricassea, allo spiedo e con l'agliata, pasticci di lepre e di cervo, polli interi galleggianti nel sugo di limone, focacce alle erbe e al cacio…da obesare un orso. “È certamente l'emozione” pensavano commossi i suoi regali genitori. “È certamente la mia educazione alla sobrietà e al ritegno” pensava la Dama di corte. “Sono certamente i miei sermoni sui peccati di gola” pensava il Vescovo. “È certamente la civetteria femminile, la creatura non vuol perdere la sua figura di giunco, costerà poco mantenerla” pensavano i Principi pretendenti. Nessuno prestava attenzione a un principe, tra i nove eletti, stranamente anch'esso privo di appetito. Portava un grosso berrettone impennacchiato come il più strambo degli uccelli esotici. Lunghe piume colorate gli cadevano sul viso, sollevandosi a ogni respiro. Mentre i suoi pari mangiavano come lupi a digiuno da un mese, questi disdegnava le grosse portate di carne e pasticci che aveva davanti. Sembrava un po' a disagio. Al suo fianco, lo Zio Reggente lo guardava sdegnato, schifato e preoccupato. Era la prima uscita ufficiale del giovane principe, erede di una fortuna colossale. Avrebbe dovuto dimostrare un appetito più che gagliardo. Una fighetta, l'erede al trono? Che figura! Il povero principe borbottava di stravizi della sera precedente, di mali di pancia, di ingombri di stomaco, ecc. «Dovevi solo farti portare un decotto di senna e betonica! Che figura mi fai fare! Tutti penseranno che abbia tirato su un
26 pappa molla! Almeno fai finta! Non sarà quell'affare che porti in testa a surriscaldarti il cerebro? Che razza di modo di abbigliarsi!». Il principe, su questo punto, era perfettamente d'accordo con lo zio. «Grazie al cielo tra due giorni sarai maggiorenne e io potrò tornare a cacciare tutto il giorno, finalmente liberato da questo fardello». “I cervi ringrazieranno,” pensava perfidamente il principe tra sé, “data l'acutezza della tua vista d'aquila, potranno stare tranquilli!” «Ma insomma lascialo stare!» interveniva ogni tanto la Zia Reggente Isaboh non meno orba del consorte. Ma in realtà, cosa era successo per far perdere l'appetito al nostro principe? Era successo che a notte fonda, lasciandosi cadere dolcemente da un ramo della quercia, tutto preso dai suoi sogni d'amore, il suonatore di flauto era piombato fra capo e collo a uno dei principi invitati al banchetto, rifugiatosi temporaneamente sotto la pianta per liberarsi del troppo pieno mandato giù in allegrezza durante la nottata di baldoria. Fortuna inaspettata! Fulmineo, il musicista aveva ideato il modo di sfruttare questo autentico dono della provvidenza. Conosceva questo giovane principe, aveva suonato nel suo castello la primavera precedente. Nel frattempo era cresciuto, avevano la stessa corporatura. La vocina che gli sussurrava che stava mettendo allegramente di sua sponte il collo sul ceppo fu zittita a male parole. Detto fatto, il principe vero fu portato come un fagotto in uno stabulario abbandonato. Le ragnatele sulla porta non lasciavano dubbi. Spogliato, legato e adagiato morbidamente su del fieno non proprio dell'ultima falciatura, non doveva far altro che dormire e farsi durare la sbornia il più
27 a lungo possibile. Il principe fasullo non poteva certo presentarsi al Castello chiedendo dove fossero i suoi alloggi. Agì da Principe: si sdraiò sotto la quercia simulando un russare da ubriaco. Il giustacuore era abbastanza lercio da emanare una puzza di vino inequivocabile. Tempo dieci minuti, due paggi robusti, tra i tanti che in quelle ore cercavano i principi stracotti dispersi qua e là, lo presero delicatamente tra le loro tenere braccia portandolo a nanna nel suo lettuccio. La farloccata poteva ben funzionare. Questi pretendenti alle reali corone, legittime, usurpate o immeritate, erano spesso più lucidi da sbronzi che da sobri. Più viziati che arroganti, se ancora potevano contare sui crediti della giovinezza, a cui tutto si perdona, per non pagare dazio, non erano aquile né portenti di deduzione. Le abbondanti libagioni dei giorni di festa che si susseguivano non miglioravano la situazione. Non abituato a letti così morbidi, lenzuola di lino e materassi senza gobbe, aveva dormito male. Un incubo spaventoso, una figura cupa e nascosta nell'ombra fumosa e scura lo guardava con ingordigia, per un momento terrificante, un secondo dopo meravigliosa, poi di nuovo… «Chi sei?». «Io sono la Falciosa». «Che cosa vuoi?» chiedeva nel sonno, rigirandosi affannato e sudando a grosse gocce. «Lo saprai presto mia bella creatura». Quasi un urlo, il cuore in gola che batteva come un maglio. Si svegliò di colpo. Via di corsa, infilando scale su scale, e
28 corridoi scuri, e angoli su angoli, via, da quel posto malefico! Aria! Aria! Via quei vestiti da donzellone, che si toglieva correndo a rotta di collo giù per le rampe, a rischio di capitombolare e rompersi il filo della schiena. Quando, senza chiedere permesso, il pensiero della Principessa lo fulminò all'istante. Si sedette su uno scalino, cercando di connettere, fiutando istintivamente il rischio di attirare l'attenzione di una guardia insonnolita che pisoccava a tratti, la testa ciondolante sul petto. «Calma, flautista, calma» si disse a mezza voce (era così che si interpellava, a volte, parlando tra sé), «datti una calmata o finirai sul ceppo senza passare dal via» (era un giocatore appassionato del Gioco dell'oca). Contegno e sussiego. Sei un principe di sangue reale. Pensa alla Principessa e non fare cipollate o siete fottuti, tu e lei. Non è questo che vuoi, vero? Tu accorciato e lei in convento? Direi di no. Allora rifletti e non fare cavolate (aveva tutto un repertorio di verdure)». Altero e dignitoso, si alzò in tutta la sua statura e, raccogliendo via via i vestiti sparsi sugli scalini, come se il caso non fosse il suo, se ne tornò con sussiego nella sua stanza. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/
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