La città della Madre

Page 1


ENRICO MARIA GUIDI

LA CITTÀ DELLA MADRE

www.0111edizioni.com


www.0111edizioni.com www.labandadelbook.it

LA CITTÀ DELLA MADRE Copyright © 2012 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-452-9 In copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Settembre 2012 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova

Fatti, personaggi, e avvenimenti citati nell’opera sono totalmente frutto della fantasia dell’autore.


A Claudia, Gianluca e a mia madre che ci hanno sempre creduto.



5

1

«Procuratore. Lo abbiamo trovato!» Il Procuratore Gori non si girò neppure verso il proprio collaboratore. Lanciò un’occhiata di studio lungo i muri del locale nel quale si era seduto per bere qualcosa. Alle ventuno e trenta il bar cominciava a riempirsi. Gori avrebbe preferito che David non gli avesse mai portato quella notizia. Scolò il whisky in un sorso e ne ordinò un altro. Le bottiglie, allineate contro il muro di fronte a lui e davanti a una specchiera, sembravano volergli trasmettere l’inquietudine che già si sentiva dentro e il bancone di legno scuro, un’imitazione squallida e approssimativa dei banconi londinesi, gli premeva contro il ginocchio. Il bar centrale forse era il migliore della piccola città ed era ugualmente ancora lontano da quello che si poteva definire un buon bar, ma almeno aveva un servizio decente e un caffè eccellente. «Dove lo avete trovato?» domandò. «Nella discarica. Sa, quella a pochi chilometri da qui.» «In che condizioni?» «Se lo può immaginare.» «Già! Chi lo ha trovato?» disse mentre si portava il bicchiere alla bocca. «Uno del posto. Era andato là per gettare via un televisore e ha notato il cadavere. Lo hanno abbandonato proprio vicino alla strada… nudo.» Il procuratore si alzò e andò alla cassa, pagò e fece cenno al suo collaboratore di seguirlo fuori. La primavera si faceva sentire e la serata era tiepida. Allentò il nodo della cravatta e slacciò il primo bottone della camicia. Nella piazza principale non c’erano ancora molte persone, la maggior parte della gente stava ancora mangiando e Gori si ricordò di non aver cenato, ma non sentiva nessun desiderio di assumere del cibo. Il suo sguardo girava per la piazza, i lunghi portici secenteschi e l’antica chiesa romanica rendevano l’atmosfera irreale, gli sembrava di


6 essere capitato in una città abbandonata chissà da quanti secoli e nella quale tutto era rimasto immutato. Per un attimo pensò che una strana epidemia avesse decimato la popolazione e che se solo fosse entrato in una di quelle case avrebbe trovato i cadaveri distesi sul pavimento, sorpresi dalla morte improvvisa e con il corpo seminato di pustole provocate da un gas urticante o da una malattia sconosciuta. David lo osservava attentamente, erano ormai diversi anni che lavorava con lui e lo stimava molto, ma aveva imparato anche a leggere le espressioni del suo capo e quella che gli si disegnava sul viso in quel momento non era certo delle più rassicuranti. Era evidentemente preoccupato e forse anche un poco deluso, aveva sperato fino alla fine che non avrebbero trovato quel cadavere. David sapeva che ciò voleva dire lavoro extra e cercava di rassegnarsi. Aveva poco più di trent’anni e la sua corporatura atletica, i capelli vagamente castani e una cicatrice che gli ornava la guancia destra, lo rendevano attraente. Molti, compreso il procuratore, gli avevano domandato più volte come se la fosse procurata e lui, scherzandoci sopra, aveva sempre risposto che era il regalo che gli aveva lasciato un tossico durante l’arresto, ma in realtà era il ricordo di una caduta dalla bicicletta quando era solamente un bambino scatenato. «Dove lo avete portato?» domandò il procuratore. «All’ospedale. Domani faranno l’autopsia.» «No, chiama il medico legale. Anzi, lo chiameremo dalla macchina… hai il dischetto?» «Sì, certamente.» Si avviarono lungo il portico deserto, un vento quasi ostile passava attraverso le colonne e investiva i due sul fianco sinistro. L’aria era calda, ma quella brezza infastidiva il procuratore che cercava di accelerare il passo. Giunti in fondo al portico entrarono nella rampa elicoidale quattrocentesca che li avrebbe condotti al parcheggio dove David aveva lasciato la macchina. Scendevano girando, il procuratore dalla parte interna e David da quella esterna; sembrava a tutti e due di sprofondare nelle viscere della terra, e in un certo senso era davvero come andare verso un territorio sconosciuto e imprevedibile. Il procuratore stava per salire al posto del passeggero quando rivolse gli occhi verso la sommità della città. Il Palazzo Ducale era immobile e dominava con la sua facciata non solamente il parcheggio, ma l’intera campagna che si estendeva modulata sulle colline e sulle valli fino a scontrarsi contro i ben più alti monti dell’Appennino Centrale.


7 David avviò l’auto e subito Gori gli ordinò di chiamare il medico legale e di comunicargli che si facesse trovare il più presto possibile all’ospedale per eseguire un’autopsia. Il medico non fu molto d’accordo e protestò per l’ora, ma quando sentì la voce del procuratore si lasciò convincere e diede appuntamento ai due presso l’ospedale dopo una quindicina di minuti. «Non si preoccupi procuratore, il cadavere non scappa.» disse il medico con un tono ironico che diede molto fastidio ai due ufficiali. L’auto imboccò la circonvallazione e dopo pochi chilometri entrarono nel parcheggio dell’ospedale. Appena mostrati i documenti in portineria e al medico di guardia, il procuratore ordinò che si preparasse tutto per l’autopsia e che gli fosse portato un computer nella sala d’aspetto. Non avevano proferito parola che non fosse indispensabile e David leggeva chiaramente nel viso del capo una preoccupazione mista a riflessione, era evidente che Gori non riusciva ancora a capacitarsi di quel ritrovamento. Il procuratore avvertì una presenza alle sue spalle. Si girò di scatto. Pagi, un giornalista della zona, stimato soprattutto per i suoi articoli sulla politica e la cronaca nera. Raramente si fermava nella piccola città, non c’erano abbastanza notizie per uno del suo calibro, ma a volte avvertiva l’odore di qualche scandalo, soprattutto quando c’erano in ballo parecchi milioni stanziati dallo stato per il restauro di qualche opera d’arte. Il procuratore lo salutò e Pagi fece altrettanto. Era un uomo alto e robusto, perfettamente a suo agio nel vestito sgualcito da una giornata di lavoro. «Procuratore, anche lei qui?» «Già. Che ci fa lei, Pagi?» «Un incidente automobilistico. Dicono che sia rimasto coinvolto un personaggio politico e allora… lei piuttosto?» «Sto aspettando il medico legale.» «A quest’ora?» «Già, a quest’ora» rispose il procuratore facendo capire al giornalista che doveva lasciarli soli. Pagi salutò e si allontanò, non senza aver lanciato un’occhiata interrogativa al dischetto che David teneva in mano e batteva nervosamente contro la coscia. In quel momento la stampa era proprio ciò che Gori non voleva tra i piedi.


8 Alle ventidue e trenta arrivò il medico legale. Entrò nella sala d’aspetto e corse incontro ai due. Era alto sul metro e ottanta, biondo e con due occhi azzurri che sprigionavano simpatia. Aveva indosso un vestito di lino color panna e nella mano destra impugnava la valigetta del pronto intervento. Sapeva che non sarebbe stata utile, ma era un’abitudine e quando usciva per lavoro la portava sempre dietro. «Buona sera, sono il dottor André» disse porgendo la mano. «Buona sera dottore. Io sono il procuratore, dottor Gori… dottor David Bergamo» disse indicando David. I tre rimasero in piedi in silenzio, il dottor André osservava stupito i due ufficiali attendendo che dicessero qualcosa, che gli spiegassero la situazione e l’urgenza. Era incuriosito dal computer, ma i due non aprivano bocca. «Allora, procuratore?» «Certo. Prima che lei esamini il cadavere vorrei che vedesse questo DVD. David, per favore.» David scartò il dischetto avvolto in un cellofan trasparente e si avvicinò al computer. Lo accese e introdusse il DVD. Intanto il procuratore spiegava al medico. «Ho ricevuto una e-mail qualche giorno fa.» Sullo schermo in immagini ad alta definizione comparve un uomo nudo, disteso e legato a un rudimentale letto chirurgico. Era sveglio e si guardava attorno con uno sguardo terrorizzato e smarrito, sembrava che stesse seguendo qualcuno che si muoveva nella stanza. «Mio dio! Ma cos’è?» esclamò il medico. «È un giovane zingaro, dottore. Quanti anni può avere?» «Tra i sedici e i diciotto, credo.» «L’e-mail era firmata www.josef.died. Ho pensato a un macabro scherzo. Ce ne fanno ogni tanto. Purtroppo qualche giorno dopo ci è arrivata la denuncia di una scomparsa dalla comunità di zingari che da qualche tempo si è fermata qui con un piccolo luna park, quello vicino al campo sportivo.» «Sì, l’ho visto» disse il medico. «Siamo corsi là e la fotografia che ci hanno mostrato corrispondeva a quella del ragazzo che ha appena veduto. Non sapevamo proprio cosa pensare, nessuna traccia, impossibile per ora capire da dove è partita l’e-mail. Nessuna traccia fino a questa sera, e capirà il perché. David riavvia.»


9 Il computer ripartì, sullo schermo comparvero due mani ricoperte da guanti chirurgici. Non si vedeva altro se non il corpo del giovane e le braccia del chirurgo con il camice bianco. Lentamente le due mani si avvicinarono al ragazzo e, dopo avere pulito con un batuffolo di cotone una superficie di qualche centimetro su di uno stinco, vi applicò una gomma simile a quella da masticare. Il giovane steso continuava a gridare a domandare che cosa stesse facendo il suo rapitore. Il carnefice uscì per un attimo dal campo visivo e, quando vi tornò, aveva in mano un accendino. Con una calma estrema che si percepiva dai movimenti sicuri delle mani, diede fuoco alla gomma. Si alzò una fiammella tenue che continuò a bruciare per alcuni minuti. Alla fine sullo stinco del giovane era evidente una profonda ustione. Le grida erano terrificanti, ma lasciavano del tutto indifferente il carnefice che, sempre con calma, continuò ad applicare la strana gomma sia sulla ferita già prodotta che su altre parti del corpo del giovane: sulle cosce, sull’inguine, sul pene, sul torace e sul volto. Appiccò fuoco e questa volta le fiamme durarono quasi venti minuti. Il giovane urlò e cercò di dimenarsi, non riusciva neppure a produrre suoni umani con la voce, implorava, chiedeva spiegazioni, imprecava contro il suo torturatore e inutilmente lo minacciava senza ottenere nessuna risposta. Svenne. Le fiammelle lasciarono ustioni profonde anche due, due centimetri e mezzo sul corpo. Ricomparvero le mani con i guanti, si avvicinarono al giovane e posero vicino alla sua testa una fialetta di vetro. La spezzarono e scomparvero. Il giovane si risvegliò il tempo necessario di rendersi conto di ciò che era accaduto, poi contorse il volto, una bava biancastra colò dalla bocca e si abbandonò. Il film finì. Il medico rimase allibito, si guardava attorno, poi fissava i due ufficiali attendendo una risposta. Era impallidito, non riusciva a parlare, prese il fazzoletto dalla tasca della giacca e si asciugò il sudore sulla fronte e lungo il colletto della camicia. «Ma cos’è?» domandò. «Ce lo dica lei.» Disse David. «Non so, devo fare l’autopsia… cosa volete che vi dica… le ustioni sono state provocate sicuramente da una sostanza chimica, acido forse, e nella fialetta sicuramente c’era del gas volatile.»


10 «Fino a qui c’eravamo arrivati anche noi dottore. Ci parli della sala operatoria.» «Non è certamente convenzionale. Potrebbe essere stata ricavata in una qualsiasi stanza. Non c’era igiene, niente lampade operatorie.» «Ma il lettino e i guanti sono specifici.» «Un lettino come quello lo si può trovare anche da un robivecchi. Non è altro che uno di quelli che tutti i medici hanno nello studio… anche i veterinari. E i guanti, come tutti gli strumenti chirurgici, si possono acquistare liberamente anche in un supermercato. Piuttosto, ciò che mi incuriosisce è la pratica con cui agiva, la sicurezza.» «Vuol dire che potrebbe essere un suo collega?» domandò il procuratore con gesto di stizza. «Direi piuttosto un biologo o qualcosa del genere. Questo tipo di esperimenti non si fanno sugli uomini… al limite sugli animali. Certamente è un pazzo. Forse un sadico mitomane e questo spiegherebbe le riprese. A proposito, non c’è la possibilità che fossero in due? Uno opera e l’altro filma?» «Non credo» rispose David «le immagini sono fisse e quando zooma le mani dell’assassino escono dal campo visivo, segno che è lui ad azionare lo zoom.» «Capisco. Be’, vado a fare l’autopsia. Se non avete voglia di attendere vi farò avere il responso domani.» «No, aspettiamo dottore.» Gori e David videro attraverso la porta il cadavere disteso, aveva i segni delle ustioni ben evidenti, la faccia ancora contorta nello spasimo provocato del gas. Provarono una profonda pietà per quel ragazzino, ma anche una rabbia incredibile che saliva loro fino al cervello. Continuarono a osservare il medico attraverso il vetro e capirono che stava facendo analizzare i reperti che trovava sul corpo. Quando il dottor André aprì il torace del cadavere, entrambi dovettero allontanarsi in preda alla nausea. Alle quattro il dottore uscì e andò verso i due ufficiali con stampata in faccia un’espressione dubbiosa. «Allora dottore?» domandò David. «C’è poco da dire. La morte risale circa a sei giorni fa. Le ustioni sono state provocate dal fosforo, gomma fosforata per la precisione. La morte è avvenuta con il gas.» «Che gas?» disse Gori.


11 «Non lo so. Gli effetti che ha provocato non mi sono nuovi, ma non lo so.» «Che tipo di effetti?» insistette Bergamo. Il medico andò a sedersi su di una panca e si tolse la cuffietta, poi si asciugò il sudore. I due ufficiali lo seguirono curiosi. «Be’, il corpo presenta ustioni mutilanti ed estese, del terzo grado, non prodotte dal fosforo ma da quest’altra sostanza. I polmoni del cadavere sono raggrinziti, hanno la dimensione di una mela e sono pieni di un liquido sieropurulento. Gli occhi appaiono necrotizzati e il cuore, il fegato, la milza, reni, pancreas sono praticamente irriconoscibili.» «Cazzo!» esclamò David portandosi una mano sul volto. «Sono effetti di cui ho sentito parlare, che forse ho studiato all’Università, ma al momento non mi viene in mente quale gas possa produrli. Mi documenterò e vi farò sapere al più presto.» Si salutarono, il dottor André se ne andò immediatamente mentre il procuratore e David rimasero ancora un poco nella sala d’aspetto seduti sulla panca, senza parlare. Entrambi e in silenzio cercavano di rendersi conto di quanto il medico aveva appena detto loro. No, nessuno dei due aveva mai veduto una cosa del genere, una pratica tanto spietata. Certo avevano sentito parlare di torture, ma non era mai capitato loro un caso in cui le sevizie erano fine a se stesse. Il più delle volte servivano per indurre la vittima a parlare, a confessare. «Ti offro un whisky?» disse Gori. «Grazie, ne ho bisogno» rispose David. Uscirono dall’ospedale e diressero l’auto verso un bar del centro. Solo a metà strada si resero conto che non ne avrebbero trovati aperti a quell’ora e decisero di andare a bere un goccio a casa del procuratore. Parcheggiarono sotto i palazzi della zona nuova della città. Erano palazzi apparentemente tutti uguali, costruiti senza un preciso progetto, ma in realtà, soprattutto all’interno, curati nei minimi particolari. Entrarono nell’appartamento, il procuratore fece segno a David di fare piano, la moglie e il figlio sicuramente dormivano. Si accomodarono in cucina, Gori prese dal bar posto in sala del Jack Daniels e lo versò in due bicchieri. «Non beve troppo, procuratore?» domandò David. «Forse. Non so perché, ma da quando mi è arrivata quell’e-mail sto tornando sui livelli dei vecchi tempi.»


12 «In che senso?» «Tu non ne sai nulla. Prima di essere assegnato qui io ero in bassa Italia. Avevo a che fare con la mafia e dopo poco tempo cominciai a bere più del normale. Non potevo sopportare che quei figli di puttana la scampassero quasi sempre. Ero perfino favorevole alla pena di morte. Poi mi sono convinto che bere non serviva, anzi se avevo bisogno di qualcosa era di energia. Così con l’aiuto di un amico medico ho cominciato a prendere delle amfetamine. Non so se lui o chi altro lo ha fatto arrivare alle orecchie del giudice, e di conseguenza mi è stato proposto o di rassegnare le dimissioni o di accettare un trasferimento.» «Triste. Ma cosa c’entra con il caso?» «Provo lo stesso senso di impotenza. Non capisco. Cerco di formulare mille ipotesi ma non ci cavo le gambe. È un pazzo, d’accordo, ma un pazzo lucido. Quale sarà la sua prossima mossa?» Gori si alzò e fece un breve giro per la stanza, poi si mise di nuovo a sedere sul margine del tavolo. «Perché in quel modo, perché l’e-mail?» «Lo ha già detto il medico. Probabilmente è un mitomane sadico. Gli piace autorappresentarsi e si filma.» «E il ragazzino zingaro?» «Ci ho già pensato. Forse sperava che sarebbe stato più difficile da identificare, capire chi fosse. Quello che ha ammazzato è un nomade, i genitori ne saranno dispiaciuti, ma per forza di cose se ne dovranno andare, e forse noi non verremmo mai a capo del caso.» «Mah! Se è un mitomane sicuramente si aspetterà che domani tutti i giornali parlino di lui. Silenzio assoluto quindi, non vorrei che ciò lo spingesse a compiere un nuovo delitto.» «E con i genitori?» «Inventeremo qualcosa.» Si accordarono per il giorno dopo e il procuratore accompagnò David alla porta. Era molto tardi e l’indomani, o meglio quella mattina, sarebbe dovuto essere in studio non dopo le dieci. Chiuse la porta e si girò, ma prima di andare in camera tornò in sala per riporre la bottiglia e i bicchieri. Sulla soglia vide la moglie in vestaglia appoggiata al muro che lo stava fissando. Le si avvicinò e la strinse forte. La donna dopo un’esitazione ricambiò l’abbraccio. «Dove sei stato? Potevi avvertire.» «Scusa. Un caso del cazzo incasinato.»


13 «Sì, ti ho sentito discuterne con David. Ma cos’è accaduto?» Spiegò in poche parole i fatti alla moglie che ne rimase sconvolta. Se un po’ di rabbia si era insinuata in lei per l’attesa non annunciata del ritardo del marito, scomparve e si trasformò in una pena amorosa per il proprio compagno. Si sedette accanto a lui e lo accarezzò sulla testa, poi gli diede un bacio sulla fronte. «Non ci pensare ora. È meglio che dormi. Hai mangiato?» «No. Ma non ho fame.» «Andiamo a dormire allora.» «Sì, forse è meglio, ma non ho voglia di dormire. Andiamo a letto.» La moglie sorrise e si avviarono verso la camera. Lungo il corridoio il procuratore non poté fare a meno di aprire per un attimo la porta della camera del figlio e guardarlo avvolto nel sonno. Evitò di fare rumore e si immaginò il volto della moglie il mattino seguente mentre vestiva il figlio che doveva andare a scuola, un volto disfatto dalla fatica, la fatica di averlo atteso fino a quell’ora.


14

2

La sveglia urlò il suo terribile trillo e Gori si svegliò di soprassalto. Erano le nove e mezza. Con la mano cercò Mary al suo fianco. Ricordò che il giovedì la moglie aveva lezione alle nove, lezione di psicologia di cui era titolare di cattedra presso l’università locale. Si alzò a malincuore e raggiunse il bagno, girò il rubinetto della doccia, stava per mettersi sotto l’acqua e avvertì il bisogno di orinare. L’acqua della doccia sembrava lavare via tutta la stanchezza, ma fu una sensazione che durò poco. Andò in cucina e si preparò il solito caffè, poi prese la propria cartella e si avviò verso l’uscita. Nel piccolo corridoio urtò contro un giocattolo di Mirco, lo raccolse e sorrise. Era un video game portabile con protagoniste le Tartarughe Ninja. La macchina stentava a scaldarsi e Gori decise di partire ugualmente, il motore tossì lungo la breve salita che separava il garage dalla strada, ma alla fine riuscì a giungere alla sommità. Prese la circonvallazione, tutto sembrava normale. Nulla era accaduto dalla sera precedente eppure lui sapeva, o perlomeno presupponeva, che un pazzo assassino girava per la città. Gli sembrava così assurdo. Un pazzo assassino che forse non si ricordava neppure di avere ucciso, passeggiava per quella piccola città di non più di diecimila anime, forse ventimila con gli studenti. Quella piccola città che lui aveva scelto proprio pensando alla sua tranquillità. Un dubbio lo colse. “L’Università! Il dottor André ha detto che sembravano più i movimenti di un biologo che di un medico, e qui c’è la facoltà di biologia e di farmacia.” Troppi potevano avere commesso quell’omicidio. Capì anche che stava ragionando con una mentalità provinciale, chi poteva dire infatti che l’assassino fosse un abitante o anche solamente un residente? Non sapeva ancora neppure se quell’atto, quella metodica fosse davvero fine a se stessa o se sottintendesse qualcos’altro, magari era un messaggio.


15 Raggiunta la procura salì velocemente le scale. Lungo il corridoio salutò chiunque incontrasse senza però far caso ai loro volti. Nella stanzetta a lei riservata la segretaria stava riordinando uno schedario. Le domandò cordialmente, dopo averla salutata, se ci fosse nulla di nuovo e alla risposta negativa aprì la porta del proprio studio ed entrò. Seduto in una poltrona vicino alla finestra trovò David che sonnecchiava con la testa appoggiata a una mano. Sorrise, fece di tutto per non fare rumore, ma quando aprì il cassetto della scrivania David si destò. Si guardò attorno smarrito prima di mettere a fuoco il procuratore, poi scattò in piedi come se avesse visto un fantasma. «Dormito poco?» domandò Gori. «Già. Non riuscivo a chiudere occhio. Forse ho dormito tre o quattro ore» disse stropicciandosi gli occhi. «Leggerino, eh?» «Non sono più abituato. Quando lavoravo in Riviera a volte non si dormiva per due giorni. Ma qui non succede mai nulla.» «Fino a ieri.» Il procuratore si sedette dietro alla scrivania e David sprofondò di nuovo nella poltrona. Dopo aver consultato sommariamente la posta Gori fece un paio di telefonate, poi chiamò l’ospedale e si raccomandò che mettessero immediatamente il cadavere nella cassa e la sigillassero. Riuscì a parlare con il dottor André, il quale gli assicurò che tutto sarebbe stato fatto a dovere. Si appoggiò allo schienale con tutto il peso del corpo come se fosse già alla fine della giornata lavorativa e la stanchezza lo avesse sopraffatto. Accese una sigaretta; provava un piacere indicibile a fumare di mattina, ne aveva bisogno più che in ogni altro momento. Lo sguardo scivolava per lo studio, sui muri, sui mobili e si fermò su David. Un’altra boccata di fumo e tutto sarebbe stato a posto. «Facciamo il punto?» «D’accordo.» «Abbiamo un cadavere, un ragazzo nomade trucidato, seviziato con metodologia strana. L’assassino probabilmente è un pazzo, anzi lo è, ma un pazzo lucido che tra l’altro conosce la chimica. È anche un mitomane come dimostra l’e-mail che ci ha inviato.» «Sembra tanto e non è nulla. Vero?» «Già» disse il procuratore alzandosi dalla sedia. «La prossima mossa?»


16 «È semplice. Dobbiamo avvertire i genitori alla giostra.» «Non mi dica che vuole che lo faccia io! Non sono portato per queste cose.» «Lo faremo assieme, ma non è questo il problema.» «Ah no? E qual è?» Il procuratore andò a sedersi sulla scrivania e spense la sigaretta nel portacenere. «Non voglio che si sappia.» «Cosa?» chiese Bergamo stupito. «Quello che è accaduto e come è accaduto lo sappiamo in tre. Io, te e il dottore, che mi sembra una persona fidata. Sì, c’è anche l’uomo che ha ritrovato il cadavere, ma se non lo interroghiamo vedrà bene di starsene zitto.» «Ma i genitori?» «È per questo che ho chiesto all’ospedale di sigillare immediatamente il corpo nella bara. Diremo loro che si è trattato di arresto cardiaco e che si è dovuto procedere alla sigillatura per motivi di igiene.» «Non pensa che si insospettiranno? Crede che non sappiano che si può gelare il corpo e che ci deve essere il resoconto dell’autopsia? E che è indispensabile il riconoscimento?» «Sono nomadi e spero che, nella stretta del dolore, non pensino a tutto ciò.» David lo guardò con sospetto, non capiva tutto quel cinismo, e soprattutto sapeva che ciò era illegale. Inoltre il procuratore avrebbe dovuto fare un rapporto ai superiori, e come pensava di nascondere la verità? «E con i suoi superiori come farà?» «Non dirò loro nulla. Per il momento voglio condurle da solo le indagini. È chiaro che mi assumo tutte le responsabilità.» «Ma perché?» «Se è vero che abbiamo a che fare con un mitomane, ho paura che dare pubblicità al caso lo spinga a commettere nuovi omicidi. Se si vede sui giornali si sentirà finalmente importante e vorrà continuare a esserlo. Andiamo dai nomadi.» Uscirono dall’ufficio, il procuratore si raccomandò con la segretaria affinché prendesse appunti su ogni persona che lo avesse cercato e le lasciò il tragitto che avrebbe percorso. Salirono in auto e David espose la paletta rossa in modo che nessuno li fermasse. Scese lungo il corso e attraversò la piazza per dirigersi poi verso il campo sportivo.


17 All’incrocio per la zona residenziale il procuratore ordinò di fare prima un salto all’ospedale per assicurarsi che tutto fosse stato eseguito secondo le sue disposizioni. Entrarono nell’atrio e domandarono al portiere del dottor André. Dopo una breve telefonata il portiere disse loro che il dottore li aspettava nella camera ardente al piano di sotto. Si avviarono lungo il corridoio e scesero le scale, l’ascensore era occupato e non avevano voglia di attendere. Entrarono nella camera mortuaria in assoluto silenzio, all’interno alcuni infermieri erano intenti a riordinare degli strumenti e parlavano allegramente tra di loro. Al centro della camera era posta la bara di alluminio, già piombata. Il procuratore si guardò attorno cercando di individuare il dottor André e finalmente lo vide venirgli incontro con il sorriso sulle labbra. «Buon giorno procuratore, buon giorno David.» «Buon giorno dottore» rispose Gori con un’evidente espressione di perplessità stampata in viso. Il dottore se ne accorse e capì anche da cosa fosse generata. Spiegò in due parole al procuratore e al suo collaboratore come il suo sorriso e l’indifferenza degli infermieri non fosse cinismo, ma semplicemente abitudine a quell’ambiente; loro di cadaveri ne vedevano più di uno al giorno, a volte anche in stato peggiore. Il procuratore annuì e domandò al dottore se tutto era stato eseguito. Spiegò poi il perché di quella procedura insolita e chiese al medico la sua piena collaborazione specificando che tutte le responsabilità se le prendeva lui. André accettò non pienamente convinto. «Scoperto qualcos’altro, dottore?» domandò David. «No. Sto aspettando i risultati del laboratorio. Ho dovuto mandare dei reperti ai laboratori dell’Università per maggiore sicurezza.» Il procuratore continuava a guardarsi attorno, si sentiva fortemente a disagio il quel luogo. Improvvisamente notò una piccola telecamera istallata sopra il letto su cui era posta la cassa e dove solitamente si adagiavano i cadaveri. La studiò attentamente prima di rivolgersi al medico. «E quella?» «È una telecamera a circuito chiuso. È collegata con una stanza al piano superiore dove a turno stanno gli infermieri. Serve per controllare i cadaveri… sa, nel caso che si risvegliassero. È raro, ma può accadere. Per maggiore sicurezza viene anche applicato loro un elettrocardiogramma.


18 Fino a qualche decennio fa veniva legato un filo a un piede e a una mano e lo si collegava a dei campanelli messi nella sala degli infermieri. Se il cadavere si svegliava avrebbe mosso la mano o il piede e i campanelli suonavano. Spesso gli infermieri si divertivano a fare scherzi ai colleghi.» «Nessuna possibilità di registrazione?» «Non credo. Controllerò. Ma perché?» «Per un attimo ho pensato che l’assassino avesse potuto usare queste strutture.» «È escluso procuratore. Qui c’è un controllo severissimo e poi avrei riconosciuto la camera mortuaria nel video. Si ricordi anche che quella è una registrazione digitale.» «Però potrebbe essere qualcosa di simile.» «Non è da escludere, ma mi sembra poco probabile.» Il dottore accompagnò il procuratore e il suo collaboratore all’uscita. Si offrì di accompagnarli dai nomadi, nell’eventualità che ci fosse bisogno di un medico, ma il procuratore preferì di no, avrebbe avvertito un altro medico se fosse stato necessario, la presenza del medico legale avrebbe potuto generare dei sospetti. Si salutarono, il procuratore e David salirono in auto e si avviarono verso il luna park. Dopo un breve tragitto, superato il campo sportivo, si trovarono davanti all’entrata del parco giochi. Un arco fatto di luci colorate segnava l’ingresso, erano già accese anche se la mattina gli avventori erano davvero pochi. Varcata la soglia i due si guardarono attorno; era desolante, la maggior parte dei baracconi e delle giostre erano spente, aperti vi erano solamente i giochi destinati agli adulti o, per lo meno, ai ragazzi più grandi. Avanzarono. Il procuratore si sentiva sempre colto da una certa malinconia quando entrava in quei luoghi, le luci colorate e il rumore festoso non riuscivano a togliergli l’idea che quella gente fosse nomade. Certo, era convinto che loro stessero meglio così, ma non riusciva proprio a capirlo. Dei ragazzini tra i sedici e diciotto anni si stavano divertendo davanti a delle slots machines; introducevano i gettoni e tiravano energicamente la leva. Nella maggior parte dei casi perdevano, ma ridevano ugualmente tra le imprecazioni. David fece notare a Gori che il giovane deceduto lavorava al tiro a segno, e fu in quel momento che il procuratore si rammentò che non conosceva neppure il nome del defunto. Lo domandò al suo collaboratore


19 che estrasse un taccuino prima di rispondere. Marcello Karal, si chiamava Marcello Karal. Raggiunsero il tiro a segno e dovettero insistere un poco per convincere una vecchia signora a chiudere, ma alla fine la serranda calò e i pochi giovani che stavano in attesa del loro turno se ne andarono con un’alzata di spalle. La zingara li fece entrare in una roulotte dove c’erano un signore anziano seduto in una specie di poltrona, una giovane ragazza e un bambino talmente piccolo che non si capiva se fosse maschio o femmina. Il procuratore mostrò a tutti la fotografia e tutti lo riconobbero, chi come figlio, chi come fratello. Gori spiegò freddamente cosa era accaduto, disse che lo avevano trovato morto per un attacco cardiaco e che anche se sembra strano a quella età a volte capita. Il cadavere era in stato di avanzata decomposizione e avevano dovuto sigillarlo immediatamente. Ci fu qualche secondo eterno di attesa e di stupore. Poi la ragazza giovane scoppiò a piangere, mentre i due anziani rimasero immobili con gli occhi fissi su di un punto qualsiasi della roulotte. I due non sapevano bene cosa fare, continuavano a scambiarsi occhiate interrogative. Il bambino cominciò a piangere. Non avrebbero certamente potuto interrogare i due anziani genitori attoniti nel loro dolore e decisero di provare con la sorella. Riuscirono a calmarla e le chiesero se ci fosse un posto tranquillo lontano di lì. La ragazza si asciugò gli occhi e fece cenno di seguirla. Uscirono dalla roulotte, e dopo pochi passi entrarono in un’altra, la ragazza fece strada e aprì la piccola porta. All’interno solamente dei letti con le lenzuola pulite e sul fondo uno scaffale con dei farmaci. Se ne servivano come infermeria per le emergenze o quando qualcuno si ammalava di qualche malattia infettiva e non poteva essere ricoverato in ospedale a causa dei loro spostamenti. I due annuirono. La ragazza si sedette su di un letto e con un cenno propose la stessa cosa al procuratore e a David, poi attese le domande. Le chiesero cosa fosse accaduto la sera della scomparsa del fratello. Prima di rispondere, la nomade li guardò con un’espressione interrogativa. «Pioveva… aveva cominciato a piovere nel tardo pomeriggio. Io e mio fratello avevamo aperto ugualmente per non irritare i nostri genitori, ma dopo un’oretta abbiamo tirato giù i battenti» si asciugò le lacrime che ancora colavano dai suoi occhi «io mi sentivo stanca, saranno state le


20 dieci di sera, e sono rientrata in roulotte. Marcello aveva voglia di fare due passi e disse che sarebbe andato in centro a bere una birra.» «Era solo?» domandò David. «Sì. Ma non capisco, è stato un infarto. E allora?» «Un arresto cardiaco» precisò il procuratore «fa parte della routine, magari con lui c’era qualcuno e non lo ha soccorso.» «Che importanza fa ormai?» «Di dove siete originari?» domandò Bergamo per allentare la tensione. «Credo dell’Ungheria. Noi siamo nati qui, i miei non ci parlano mai delle nostre origini e a me non me importa nulla. Ho solo voglia di farla finita con questo genere di vita.» «Capisco» rispose il procuratore. «Non credo. Avete visto i volti dei miei genitori? Sembrano vecchi ma non è così, non come appaiono. L’ultimo mio fratello ha solamente un anno. Sono distrutti dalla vita, questo è il terzo figlio che muore loro e io non voglio finire i miei giorni in una roulotte a spaccarmi la schiena. Marcello aveva diciannove anni e senza di lui tutto il peso ricade su di me.» «E lei quanti anni ha?» «Quindici» rispose nascondendosi il viso. David continuava a prendere appunti anche se gli sembrava del tutto inutile, sarebbe stato indispensabile per un caso qualsiasi, ma quello proprio non lo era. «Mi scusi ma è necessario. Come sono morti gli altri due fratelli?» domandò il procuratore. «Il primo in un incidente di lavoro, mentre montava una giostra un cavo si è rotto e lui è rimasto sotto a un trave. L’altro si è suicidato, impiccagione, dopo aver scoperto di essere sieropositivo, AIDS, contagiato probabilmente da qualche prostituta. Sa cos’è curioso? Abbiamo saputo solamente allora come proteggerci dalla malattia, nessuno mai aveva avuto la premura di informarci.» Il procuratore osservò la ragazza. Non si poteva dire che dimostrasse la sua età, almeno tre o quattro anni in più, ma era ugualmente bella, con la carnagione scura che esaltava i suoi occhi bianchissimi e poi di nuovo nerissimi. Le gambe scoperte fino a metà della coscia erano affusolate e ben fatte, le braccia talmente sottili che sembrava impossibile che potessero reggere un qualsiasi sforzo. Si alzò e fece cenno a David di


21 fare altrettanto. Salutarono la ragazza e uscirono, lasciandola seduta sul letto con un’espressione vuota negli occhi. Riattraversarono il luna park e lanciarono un’occhiata verso la roulotte dove erano rimasti i due coniugi. Dal finestrino appannato intravidero la madre che cercava di calmare il piccolo cullandolo in braccio mentre passeggiava avanti e indietro per il breve corridoio. Salirono in auto e si avviarono verso l’ufficio. Era quasi mezzogiorno e il procuratore decise che era ormai inutile tornare in ufficio e si fece accompagnare fino all’auto. Prima di scendere salutò David e gli disse che poteva prendersi il pomeriggio libero, anche lui sarebbe rimasto in casa a riordinare i pensieri. Quando aprì la porta di casa, non fece in tempo a posare la borsa che udì il trotto di Mirco, il figlio di sette anni, che gli correva incontro. Con un agile movimento riuscì a gettare via la borsa e afferrare il piccolo che si era lanciato come un kamikaze tra sue braccia. «Heilà piccolo! Come mai già a casa?» Rispose la moglie che emerse dalla cucina con un grembiule attaccato al collo e un bicchiere con dell’olio per l’arrosto in mano. «Ciao. Ci siamo tutti e due!» Il procuratore la raggiunse in cucina e rimase sorpreso di vederla intenta a cucinare. La osservò, si sentì eccitato seguendo con lo sguardo il suo corpo di spalle e leggermente piegato su di una pentola. Le si avvicinò e la abbracciò, le diede un bacio leggero sul collo. La moglie sorrise e raddrizzò la schiena quel tanto che bastava a rendere il contatto con il corpo del marito più completo. «Come mai questa sorpresa Mary?» le disse in un orecchio. «Non chiamarmi Mary. Mi chiamo Maria!» gli rispose sorridendo. «Oh, dai… è da quando ci siamo conosciuti che ti chiamo così!» La moglie si girò e gli gettò delicatamente le braccia attorno al collo e lo baciò sul naso prima di offrirgli le labbra. «Non è una sorpresa. La domestica mi ha chiamato in facoltà e mi ha chiesto se poteva andarsene prima. Stai buono, dai…! Così sono tornata per cucinare e sono passata a prendere Mirco a scuola. Se per una volta non fa il doposcuola non succede nulla. A te com’è andata la mattinata?» Gori non rispose, lasciò la moglie e andò in sala. Si appoggiò sul davanzale e guardò, fuori dalla vetrata del terrazzo, la campagna che si


22 allontanava. In lontananza, sulla punta del monte più alto di quella parte dell’Appennino, si intravedevano le due enormi antenne dei ripetitori della televisione. La voce di Mary lo distolse da quel torpore, si girò e si sedette a tavola con gli altri. «Hai lavato le mani?» domandò Mary a Mirco «fila in bagno!» Il bambino si alzò e sgattaiolò veloce verso il lavabo. Si servirono la pasta alla quale il procuratore non sapeva rinunciare, Mary ne prese appena per far compagnia al marito e dare l’esempio al figlio; ci teneva alla linea. Mangiarono allegramente ascoltando i racconti di Mirco sulla scuola, poi Mary si alzò da tavola per andare a prendere il caffè. «Babbo! Cos’è questo?» domandò Mirco. Il procuratore prese in mano il piccolo oggetto che il figlio gli porgeva e lo esaminò con un sorriso sulla bocca. Anche la moglie rientrata guardava incuriosita quella piccola aquila metallica con sotto due esse. «Dove l’hai trovata?» chiese Gori. «Nel tuo studio, di là. In un cassetto.» «Lo sai che non voglio che rovisti tra le mie cose. È il simbolo che le SS portavano sul berretto.» «Cosa sono le SS babbo?» «Cosa erano per fortuna! Sai durante la guerra, la seconda guerra Mondiale…» «Quella che hanno vinto gli americani?» «Sì. Le SS era un corpo dell’esercito tedesco ed erano molto cattivi.» «Tutti i tedeschi erano cattivi?» «Ma cosa dici Mirco!» lo apostrofò la madre. Il procuratore continuava a rigirare divertito il distintivo tra le mani. Bevve il caffè. «Lo posso tenere per giocare?» «Sì, certo, te lo regalo» gli rispose Gori porgendoglielo. Il bambino lo prese e cominciò a simulare il volo dell’uccello facendolo planare tra la mano al di sopra della propria testa per poi fingere una picchiata fino al pavimento. Corse verso la sua camera parlando da solo. «Come mai avevi quello stemma?» «Non te l’ho mai detto? Durante il liceo e i primi anni di università collezionavo reperti della guerra, in particolare quelli nazisti, mi affascinavano. Poi andava di moda.» «E ne avevi molti?»


23 «Più di cento pezzi.» «Non appoggiare il bicchiere sul mobiletto antico. E dove sono finiti?» «Ora riderai, ma li ho venduti durante gli ultimi due anni di corso… quando ho cominciato a fumare gli spinelli. Quello mi deve essere rimasto per caso.» «Un procuratore dal passato da nascondere, eh?» Risero e si gettarono sul divano. Rimasero abbracciati a baciarsi mentre dall’altra stanza giungeva il sereno e rassicurante rumore dei giochi di Mirco. Mary era contenta di starsene così attaccata a suo marito, era una situazione che le capitava così di rado. Tra i suoi impegni universitari e il lavoro di Gori, a volte passavano intere settimane che si vedevano giusto per darsi la buona notte. Ma si erano abituati e si amavano ancora molto. Mary percepiva che il marito era preoccupato e sapeva che solamente lei poteva aiutarlo, magari facendolo sfogare. «Cosa c’è che non va?» gli domandò. «Il lavoro. Quel caso mi assilla. Passami il portacenere.» «Siete stati dai genitori?» «Sì. È stato straziante. Pensa che è il terzo figlio che perdono.» «Aspetta, fumo anch’io. Come hanno reagito quando hanno visto il corpo torturato?» «Non lo hanno visto. Ho detto loro che era morto per arresto cardiaco e che il corpo in putrefazione era stato già sigillato nella cassa.» «Ma è illegale…» «Lo so» rispose il procuratore mentre osservava le labbra rosse della moglie stringere il filtro della sigaretta. «E David cosa dice?» «Non era molto d’accordo, ma gli ho assicurato che mi assumo tutte le responsabilità.» Mary si alzò preoccupata dal divano e cominciò nervosamente a sparecchiare. Quando anche l’ultima posata fu nella lavastoviglie tornò in sala e vide il marito sempre seduto. Andò al bar e si versò un dito di whisky. «Perché lo hai fatto?» «Non voglio che si sappia in giro quello che è accaduto… mi stai viziando!» «Una tantum! Perché?»


24 «In questo modo domani ci sarà solamente un trafiletto minuscolo sulla pagina locale e passerà inosservato. Se avessi detto tutto ai genitori e alla stampa, probabilmente sarebbe finito sulla pagina nazionale con tanto di fotografia e descrizione, se non altro per il gusto macabro e per aumentare le vendite.» «E allora? Non ti facevo così moralista.» «Non è per quello. Se l’assassino è davvero un paranoico mitomane, si aspetterà una grande pubblicità, e vedendosi in prima pagina potrebbe aver voglia di tornarci con un nuovo omicidio spettacolare.» Mary gli si sedette accanto e pose le sue belle gambe racchiuse in calze scure sulle cosce del marito che cominciò ad accarezzarle. Bevve un sorso di whisky e si pose il bicchiere sulle tempie per sentirne il fresco. Strinse gli occhi come per concentrarsi. «Potrebbe non andare come tu pensi.» «E cioè?» «Vedi» disse assumendo un’espressione professionale che fece sorridere il marito «se è mitomane e paranoico, se ne avrà a morte perché il suo gesto non è finito sul giornale. È questo che vuole. E non credo che un individuo simile desista al primo tentativo. Potrebbe essere portato a ricommettere un omicidio proprio per costringerti a pubblicizzarlo. Magari la prossima volta invece che a te manderà l’e-mail direttamente a un giornale.» La cosa era possibile, anzi probabile. Ma non sapeva cosa fare, non sarebbe servito a nulla intensificare i controlli perché non sapeva cosa o chi controllare. Gli unici indizi che aveva erano un’e-mail dalla quale gli esperti non avevano cavato nulla di particolare, una metodica assassina crudele e allucinata e la vittima, un nomade, uno zingaro. Chi avrebbe dovuto far controllare? E poi chi gli diceva che non si fosse trattato di un rito dei compagni della vittima, consumato magari dentro a quella piccola roulotte adibita a infermeria? Forse qualcuno si era poi pentito e aveva spedito l’e-mail. In questo caso se lui avesse diffuso la notizia gli altri avrebbero fatto fuori la spia, ma dichiarando che era morto per arresto cardiaco li avrebbe comunque insospettiti. Non c’era altro da fare che attendere e documentarsi. Sapeva che la moglie tra i suoi libri ne aveva alcuni sui riti satanici e cose del genere, e decise di consultarli. La voce di Mirco che chiamava la madre lo distolse dai suoi pensieri. Si chiuse in studio.


25

3

I testi di Mary non gli avevano suggerito nessuna probabile soluzione, eppure li aveva consultati a fondo. Le righe cominciavano a sovrapporsi e le parole a confondersi, meglio lasciare perdere e rimandare il tutto al giorno dopo. L’ora di cena era ormai giunta e Gori non ebbe bisogno di guardare l’orologio per rendersene conto, furono sufficienti i crampi allo stomaco. Dalla stanza accanto gli giungevano rumori familiari: Mirco che giocava incurante della fame e sua moglie che preparava la tavola. Adorava quella donna, tante volte le aveva proposto di prendere una domestica anche per la sera, ma lei no, almeno la cena voleva prepararla lei quando era possibile. Le sere che era impegnata ci pensava lui, qualche surgelato o una pasta per suo figlio. Spense la lampada da tavolo e, nonostante la luce centrale fosse accesa, si sentì come al buio, dovette chiudere gli occhi e riaprirli per trovarsi a suo agio. Prese i libri, e dopo essere uscito dallo studio andò in quello della moglie e con cura li rimise al loro posto. Mirco stava giocando con i Transformers nel corridoio, agitava i piccoli congegni meccanici come se fossero cose vive, nel suo volto si leggeva un’immedesimazione che faceva tenerezza. «Cosa sta succedendo?» chiese il padre. «È come nel cartone, ba’» rispose entusiasta Mirco «faccio precipitare la macchina fino a pochi centimetri dal suolo. Ma poi si trasforma in una navetta e vola via a salvare i buoni.» «Non mettere le mani in bocca… e chi sono i buoni?» «Uffa! Quelli che uccidono i cattivi babbo!» disse con tono compassionevole. «Ah! E perché li uccidono?» «Non rispettano le regole babbo! Nel cartone di oggi ho visto un robot buono che ha sconfitto uno cattivo. Pensa quello cattivo voleva giocare a calcio in un torneo per umani!»


26 «E che c’è di strano? Forse era un robot intelligente.» «Se era intelligente non lo domandava! Avrebbe saputo che non poteva.» Il procuratore accarezzò il figlio sulla testa, sentire quei capelli morbidi sotto le dita gli infuse una dolcezza incredibile. Raggiunse la sala e si mise a sedere sul divano, impugnò il telecomando e cominciò il consueto giro dei canali televisivi. Gioco a premi no, cretino, film Misery non deve morire no, King meglio leggerlo, telegiornale no, troppe cavolate, un talk show perfetto, il miglior varietà che gli potesse capitare. Sullo schermo, in un studio dalle scenografie virtuali, apparve un uomo grasso da dieta americana con barba e capelli incolti, altri stavano seduti in fila e altri ancora erano collegati in diretta da altri studi attraverso il monitor in diverse parti del paese. Una musica per pianoforte partì e il presentatore assunse un tono languido e si appoggiò, immancabile giacca slacciata, allo schienale di una sedia. Di tanto in tanto lanciava un’occhiata al copione, scritto da chissà chi, che teneva in mano. “Abbiamo in studio stasera un personaggio che forse… forse… interpreta il pensiero di molti telespettatori. Il professor Ceni presidente dell’ACIEC”. L’ospite entrò tra una marea di applausi e si sedette. Aveva lo sguardo compiaciuto e sicuro e ringraziava il pubblico con piccoli gesti contenuti. Il presentatore si avvicinò all’ospite con un passo cadente, era evidente che il protagonista rimaneva comunque lui, gli lanciò qualche sguardo amichevole prima di consultare il copione. “Allora dottor Ceni ci spieghi la sigla!” “È semplice: ‘Associazione Contro gli Immigrati Extra Comunitari’, tutto qui.” Un applauso non richiesto salì nel teatro generando l’imbarazzo del presentatore, probabilmente metà degli spettatori non avevano capito lo sviluppo della sigla. Il presentatore grasso sorrise con ironia. “Quindi non volete extracomunitari nel paese?” “Non è che non vogliamo extracomunitari. È che li vogliamo di un certo tipo.” “Cioè?” “Americani, giapponesi, australiani vanno bene. Ma i negri, gli albanesi, arabi eccetera… non possiamo importare feccia. Sono sporchi e poi non si sanno adeguare. Pensi che ho conosciuto un nigeriano che


27 rimpiangeva l’Africa. Con tutto quello che hanno qui come si fa a rimpiangere l’Afr…” Gori cambiò canale e si sintonizzò su una telenovela. Non riusciva proprio a sopportare tutta quell’imbecillità e chi la sfruttava. Mary continuava a fare avanti e indietro dalla cucina alla sala con piatti e stoviglie in mano. Si fermò per un attimo stupita quando si accorse che il marito stava seguendo una telenovela, rise mentre appoggiava un piatto sulla tavola. Il procuratore si alzò dal divano e le andò incontro. «Ti do una mano» le disse stringendosela contro. «Grazie, non importa» rispose lei. Conosceva bene l’incuranza tipicamente maschile del marito nelle faccende di casa. Una volta si era assentata un intero mese per un giro di convegni e quando era tornata, nonostante la presenza della domestica, aveva trovato l’appartamento completamente cambiato. Bicchieri e stoviglie si erano ridotte della metà, e dopo aveva saputo che toccava a Mirco, che allora non aveva più di sei anni, metterli dentro alla lavastoviglie con le conseguenti rotture. L’armadio di Gori, nel quale lui non voleva che la cameriera mettesse il naso, sembrava la bancarella di un mercato, una di quelle in cui si vendono a prezzo minimo i capi fallati o fuori moda e li si accatastano senza un ordine preciso. Lui era un vero disastro, e d’altronde ne erano specchio i suoi due studi, quello di casa e quello della procura, nei quali regnava un disordine meraviglioso. A quello di casa pensava lei riordinando quel poco che poteva senza farsi accorgere dal marito, mentre a quello della procura pensava la segretaria che era una sua buona amica. Mary chiamò più volte Mirco a tavola, e quando furono tutti seduti servì un piatto di pasta avanzata dal pranzo e riscaldata al marito e una portata generale di pollo arrosto con le patate o, a scelta, insalata mista. La dieta mediterranea era una sua fissazione, ma il procuratore, anche se la prendeva in giro, aveva notato che si sentiva molto più in forma da quando mangiava secondo le indicazioni della moglie. «Mi passi il vino per favore?» domandò Gori al figlio. «Anch’io!» disse prontamente Mirco. «Va bene, ma con l’acqua» si impose la madre mentre preparava la miscela. Terminata la cena rimasero ancora un poco a tavola a discutere, entrambi evitavano di parlare di lavoro in presenza di Mirco per non an-


28 noiarlo. Ben presto il bambino si stancò e domandò il permesso di andare in camera a guardare dei cartoni prima di mettersi a dormire. Il permesso fu accordato. Non appena furono soli, con un gesto della testa Mary invitò il marito a sedersi sul divano e, quasi interpretando il suo pensiero, prima di raggiungerlo prese la bottiglia di whisky e due bicchieri. Gli si sedette accanto mentre Gori accendeva la televisione senza l’intenzione di guardarla, solamente per abitudine. «C’è un classico holliwoodiano sul terzo. Allora? Scoperto qualcosa?» chiese Mary mentre appoggiava la guancia sulla spalla del marito. «No, ma mi è venuta un’idea. Sai, al campo nomadi hanno una roulotte adibita a infermeria. Ho pensato che l’omicidio potesse essere avvenuto lì, magari per vendetta o in base a qualche tradizione. Ho consultato i tutti libri sull’argomento, ma non ho trovato nulla.» «Sono libri vecchi. Comunque non credo sia la strada giusta. Gli zingari non sono violenti tra di loro se non in casi particolari. E anche quando c’è una condanna a morte non è mai inflitta con la tortura. Per gli zingari, almeno per i più conservatori, se ci deve essere esempio deve essere in vita.» «E cioè?» «Secoli fa per esempio, l’adulterio da parte delle donne veniva punito se il marito voleva e solamente in rari casi la donna veniva uccisa, il più delle volte subiva delle percosse o al massimo l’amputazione del naso.» «Carini!» «Sempre meglio che finire sul rogo o impalate come ai tempi dell’Inquisizione! E che dici della lapidazione?» Lo squillo del telefono li interruppe; Gori si alzò e andò a rispondere controvoglia. Era David che voleva sapere come andavano le cose. Aveva notato che il suo capo era stanco quando erano usciti dal campo dei nomadi. Il procuratore lo rassicurò e lo mise al corrente delle ultime sue supposizioni. «Sì, potrebbe essere. Bisognerebbe documentarsi.» «Ho consultato qualche testo, ma non ho trovato nulla» aggiunse il procuratore. «Se vuole posso continuare io, ho un’amica che si è laureata in storia proprio sulle tradizioni degli zingari. Posso andare subito da lei se è in casa.» «Puoi farlo domani David, ora sarai stanco.»


29 «No, ho dormito nel pomeriggio e poi questa storia non mi va giù. Ci vediamo domani in procura.» «Ok, ciao.» Mise giù la cornetta e tornò in sala, stava per sedersi di nuovo accanto alla moglie quando mutò improvvisamente direzione. Si diresse alla camera del figlio e aprì delicatamente la porta. Mirco era in pigiama disteso sul letto e sopra le coperte, stringeva tra le braccia un pupazzo di pezza e la televisione era ancora accesa nonostante il bambino dormisse. Trasmetteva un telefilm poliziesco. Il procuratore spense la televisione, mise il figlio sotto le coperte e, dopo averlo baciato sulla fronte, spense la luce e uscì. Tornò a sedersi accanto alla moglie. «Dorme?» «Sì. Si è addormentato davanti alla televisione.» «Ah, quella televisione! Non sarebbe meglio che leggesse?» «Oltre tutto continua a fregarci. Stava di nuovo guardando un poliziesco invece che i cartoni.» «Tutto suo padre!» Il procuratore rise e cominciò una lotta scherzosa con la moglie che terminò in un lungo abbraccio e in un bacio. Il telefono squillò di nuovo. Gori trattenne la moglie dicendole di lasciarlo suonare, ma la moglie si divincolò e andò a rispondere. «È per te!» gli disse mentre si sedeva davanti al televisione con un’espressione scocciata in volto. Una smorfia gli si disegnò sul viso e, prima di alzarsi, si accese una sigaretta. Aveva la sensazione che non sarebbe stata una serata tranquilla. «Pronto, sono Gori.» «Procuratore, buona sera e scusi l’ora. Sono il dottor André, mi sono arrivati i risultati dall’Università. Credo che la cosa sia più grave di quanto pensassimo.» «Mi dica dottore.» «No, non per telefono. È… è incredibile. Senta, le va bene il bar in centro tra… diciamo tra mezz’ora?» «D’accordo» rispose Gori con rassegnazione. Un quarto d’ora dopo era seduto al bancone del bar con un caffè davanti e la sigaretta accesa nonostante il divieto. Mary si era dispiaciuta di quella inaspettata partenza, ma ormai ci era abituata. Il cameriere del bar continuava a osservarlo e a parlare a bassa voce con un altro cliente,


30 sicuramente stava raccontando che quello era il procuratore della città. Non ci face caso, conosceva quella piccola città e sapeva bene che l’attività preferita dai cittadini era la chiacchiera, sparlavano di chiunque capitasse loro sotto gli occhi, spesso inventandosi tutto. L’orologio a muro del bar segnava le ventidue e lui si stava spazientendo di aspettare. Il bancone del locale correva lungo lo stretto spazio e sopra alla sua testa pendevano i bicchieri da birra appesi stile pub inglese. Gli avventori erano pochi, nella città c’era l’abitudine di uscire non prima delle ventidue e trenta, forse perché le alternative erano davvero poche e così si riduceva il tempo da perdere in giro. Come fosse un’apparizione, si trovò il dottor André seduto accanto. Era sudato e con l’indice della mano destra cercava di allentare il morso del colletto della camicia. Ordinò un liquore dopo aver salutato Gori. «Allora dottore, che c’è?» domandò il procuratore. «Ho avuto quelle analisi. Per quanto riguarda la gomma fosforata avevo ragione. L’altra sostanza, quella contenuta nella fialetta, è una forte dose di ossicloruro di carbonio, meglio conosciuto come fosgene. È un gas asfissiante che provoca ustioni.» Il dottore bevve un sorso di liquore, poi un altro prima di ordinare al cameriere un bicchiere d’acqua. Il procuratore si convinse che il medico era profondamente scosso, ma non riusciva a capire il perché, le mani gli tremavano e anche le labbra si contraevano a scatti per il nervosismo. Dalla fronte colava il sudore e non era davvero troppo caldo dentro a quel bar. Aveva trovato quali erano state le sostanze e, anche se era strano usarle per un omicidio, sapeva fin dall’inizio che l’assassino era probabilmente un pazzo. «E allora dottore cosa c’è di tanto sconvolgente?» «Procuratore, io sono un appassionato di storia della medicina, specie della medicina legale. Questa sostanza mi ricordava qualcosa, ma non riuscivo a metterla a fuoco. Così mi sono documentato. Visto che ci troviamo di fronte a uno squilibrato ho cercato di pensare dove potesse avere letto o sentito di questa sostanza. Così mi sono venute in mente le camere a gas americane, forse il nostro uomo è ossessionato da un terribile bisogno di farsi giustizia da sé e la vuole fare attraverso gli strumenti di morte, diciamo, “legali”. Mi sembrava improbabile fin dall’inizio, è un gas troppo particolare, ustiona e in una camera a gas americana non sarebbe stato permesso e infatti non è mai stato usato. Allora mi è venuta in mente la guerra chimica, qualche potenza, magari


31 araba, che conducesse esperimenti con questa sostanza, ma nulla. Improvvisamente ho avuto l’illuminazione.» Si portò di nuovo il bicchiere alle labbra e si accese una sigaretta. Le mani gli tremavano e continuava a sudare vistosamente. «Dottore, per favore!» «Ha mai sentito parlare di Natzweiler e del dottor Bickenbach… di Buchenwald e del dottor Ding-Schuler?» «No, non mi sembra.» «Sono due località in cui sorgevano i lager nazisti e gli altri sono i nomi dei medici che conducevano esperimenti su cavie umane. Capisce ora?» Il procuratore si sentì gelare. Guardò con sgomento il dottore poi si scolò in un solo sorso il suo caffè. Tossì e si portò il fazzoletto alla bocca. «Continui dottore.» «Le due sostanze venivano sperimentate sulle cavie, i prigionieri dei lager, nel tentativo pazzoide di scoprire un antidoto nel caso che gli alleati avessero attaccato con questi gas.» «Mio dio!» «Ma non è tutto. Le vittime nella maggior parte dei casi erano zingari.» Il procuratore si portò le mani sul viso, avvertiva che sotto ci poteva essere qualcosa di tremendo, ma non riusciva a capire. Si accese una sigaretta e, non preoccupandosi minimamente degli avventori che stavano riempiendo il locale, si slacciò la cravatta e il colletto della camicia. «Cosa ne deduce dottore?» «Non lo so. Certo che quest’uomo agisce con una logica perfetta, allucinata ma razionale. Probabilmente sull’onda razziale che sta investendo l’Europa ha riscoperto le teorie naziste.» «Bisognerà controllare gli ebrei della città.» «Gli ebrei!» esclamò il dottore con un sorriso sarcastico «quante famiglie ebraiche ci sono in città? Poche. Loro non costituiscono un problema, si possono avvertire anche privatamente. Ma lei sa quale era la politica razziale di Himmler?» «Solo quello che ho letto sui libri di scuola.» «Già, i libri di scuola! Volevano la razza pura, la razza ariana tedesca, anche a costo di costruirla in laboratorio. È stata una fortuna che ancora non sapessero nulla dell’ingegneria genetica» bevve un altro sorso «negri, polacchi, storpi e chi più ne ha ne metta sono in pericolo. Capisce?» «E cosa si può fare?»


32 «Nulla. Bisogna aspettare sperando che non si faccia più vivo o, se lo farà, cercare di capire che logica segue.» «In che senso?» «Ha dimostrato di conoscere le pratiche chirurgiche naziste; secondo me questo fatto non è da sottovalutare, ci deve essere un motivo per cui ha scelto gli esperimenti. Magari è un biologo o un medico, o uno studente…» «Non sarà facile controllare. Forse è un neonazista.» «Probabile.» Il dottore finì la sua acqua e salutò Gori. Il procuratore rimase ancora nel bar a guardare la gente attorno e a bere. Era terrorizzato da ciò che aveva sentito e si accorgeva anche che il dottor André gli sarebbe stato utile solamente fino a un certo punto. Gli ripugnava trascinare Mary in quella storia, ma lei era la migliore psicologa dell’università e avrebbe potuto aiutarlo. Pagò e uscì. Quando entrò dentro all’appartamento si sentiva le gambe cedere. Raggiunse la cucina e aprì il frigo, si versò dell’acqua e, dopo il primo sorso, riuscì a malapena a raggiungere il bagno per vomitare. Mery lo raggiunse in vestaglia e lo aiutò a rimettersi. Poi lo accompagnò a letto, lo spogliò e lo coprì. Non gli domandò nulla, ma intuì che il problema era più grave di quello che appariva.


33

4

La testa sembrava volesse scoppiare, ma cercò ugualmente di alzarsi dal letto e una fitta tremenda lo ricacciò steso tra le lenzuola. Si girò verso la finestra, la luce solare come una lama scagliata a distanza ferì i suoi occhi e dovette rassegnarsi a rimanere ancora un poco disteso. Finalmente riuscì a trovare le forze per raggiungere il bagno. Lo specchio rifletteva una faccia orribile e non era il caso di andare in studio in quelle condizioni, con la fronte cosparsa di macchie rosse e le guance pallide, bianche. Aprì il rubinetto e si chinò per lavarsi la faccia con l’acqua fredda. Tornato in camera si sedette sul letto, davanti a lui la specchiera dell’armadio rifletteva la sua immagine. Era un uomo sulla quarantina, solitamente di bell’aspetto, con i capelli ancora tutti al loro posto tranne due leggere stempiature che gli donavano un aspetto un po’ severo ma al tempo stesso tranquillizzante. Dalle spalle e dal torace si intuiva che da giovane aveva dovuto essere uno sportivo, le fasce muscolari erano ancora toniche e ben visibili. Finito di vestirsi si sentì meglio, si annodò la cravatta e infilò la giacca, sicuramente Mary gli aveva lasciato la colazione sul tavolo. L’orologio d’oro che aveva al polso, quello che i genitori gli avevano regalato per la laurea, segnava le dieci e mezza, era tardissimo e si affrettò a uscire dalla camera. Percorso il corridoio rimase sorpreso. Mary stava spolverando un mobile, si accorse di lui e si girò con un sorriso. «Buon giorno!» gli disse. «Buon giorno! Non sei andata in facoltà?» «No, ho accompagnato Mirco a scuola e sono tornata. Oggi è giorno di libertà per la domestica e ieri sera non mi sei sembrato molto in forma.» «Già» rispose prima di sedersi a tavola. Non riuscì a mangiare nulla di quello che Mary gli aveva preparato e bevve solamente del caffè amaro, mentre cercava di ricostruire mental-


34 mente i suoi movimenti dal momento in cui aveva salutato il dottor André al suo rientro in casa. «Bevi ancora caffè che ti fa bene e non metterci lo zucchero» gli disse la moglie. «Già. Erano anni che non mi sentivo così la mattina.» «Capita, probabilmente è lo stress. Con la tua gastrite, poi…» «È tardi, devo andare in procura. E non ho la gastrite io!» «Non ti preoccupare» gli disse Mary appoggiandogli una mano sulla spalla e curvandosi per baciarlo sulla guancia «ho telefonato io e ho detto che non vai questa mattina. Mi ha risposto la segretaria e poi David.» «Che ha detto David?» «Si è messo a ridere. Non pensava che tu avessi la gastrite nervosa.» «Ha detto nulla a proposito del caso?» «Che aveva ancora dei libri sugli zingari da consultare e che lo avrebbe fatto in mattinata.» «Tanto non serve a nulla!» «Perché?» domandò Mary stupita. Il procuratore raccontò alla moglie quanto il medico aveva scoperto. Lo fece con meticolosità, cercando di non omettere nessun particolare, voleva incuriosire la moglie e avere il suo parere. Mary rimase sconvolta in un primo momento, ma immediatamente dopo socchiuse gli occhi in atto di meditazione. «Cosa ne pensi?» le chiese Gori. «Non lo so. Certamente è un maniaco, ma un maniaco lucido, sa benissimo quello che fa. Sì, forse è un nazista o solamente un razzista, ma il fatto che abbia scelto questo metodo, gli esperimenti clinici, è indicativo. Ci deve essere un motivo, qualcosa che lo ha traumatizzato.» «Ad esempio? Dove ho messo l’accendino?» «Oh, non so, potrebbe essere qualsiasi cosa ad esempio… prendi il mio ma non fregarmelo… ad esempio un parente, il padre, la madre, un figlio, morto sotto i ferri, e magari il chirurgo era ebreo. Però non si può asserire con sicurezza che siano gli esperimenti e, soprattutto, il razzismo a muovere le sue mani. Potrebbe essere solamente un caso, e d’altronde non hai nulla se non quel filmato. Potrebbe essere che un pazzo qualsiasi ha letto quella procedura o l’ha vista in qualche documentario e ne è rimasto suggestionato.» «Cosa dici di fare?»


35 «Non lo so. Aspettare. Però c’è una cosa che ti vorrei dire. Tu hai evitato che si desse spazio al fatto sui giornali. Bene, può essere una buona mossa. Ma, come ti ho già detto, potrebbe funzionare al contrario. Allora in quel caso per vendicarsi di te cercherebbe di colpire qualcuno che ti è vicino… non ti mettere il mio accendino in tasca!» «Mi stai dicendo che tu e Mirco siete in pericolo?» «No, non tanto noi. Se agisce con una mentalità nazista cercherà di colpire qualcuno che rientri comunque nel suo programma.» «David!» esclamò il procuratore perplesso. «Già. Le sue origini ebraiche sono una minaccia per lui. Forse è meglio che tu lo metta in guardia, lui e suoi parenti.» Rimasero in casa tutta la mattina a parlare del caso e a cercare nei libri della moglie qualcosa che potesse aiutarli. Il procuratore si fece anche portare dalla segretaria con urgenza dei volumi nei quali erano elencati e descritti la maggior parte dei casi riguardanti omicidi commessi da squilibrati e ne trovarono diversi, specie in America, che avevano come movente il razzismo o il nazismo, ma nessuno che potesse somigliare a quello che stava loro a cuore. Mary avanzò anche l’ipotesi che l’assassino potesse essere stato influenzato dai recenti casi di xenofobia che investivano l’Europa, i vari delitti e pestaggi in Germania e in Italia contro extracomunitari e in questo caso era molto probabile che il pazzo fosse un giovane, un ragazzo. Questo poteva spiegare anche la scelta dello zingaro diciannovenne, l’assassino proiettava la propria violenza distruttiva su qualcuno che aveva la sua stessa età e le stesse caratteristiche. Pranzarono con tutta tranquillità, Mirco aveva il doposcuola e sarebbe rientrato solamente dopo le quattro. Finito il pranzo bevvero un caffè. Erano ormai le due e Gori prese la sua borsa da lavoro e salutò Mary prima di uscire. Mary lo baciò e lo guardò uscire dalla porta. Anche lei sarebbe andata in facoltà a sbrigare quel poco di lavoro che aveva trascurato la mattina, ma prima voleva riordinare la camera di Mirco. Il letto era ancora disfatto e i giochi erano distribuiti per tutta la stanza. Cominciò a raccoglierli e a riporli al loro posto. Aveva quasi finito quando sul pavimento scorse l’aquila delle SS che il padre gli aveva regalato il giorno prima. La raccolse con un sorriso e la depose sul comodino del figlio. Mirco non le avrebbe mai perdonato di avere perso qualcosa che il padre gli aveva regalato. FINE ANTEPRIMA CONTINUA...


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.