La fatica di essere amata copia

Page 1


In uscita il 23/12/2016 (1 , 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine dicembre e inizio gennaio 2017 (2,99 euro)

AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


ROSSELLA POMPILIO

LA FATICA DI ESSERE AMATA

www.0111edizioni.com


www.0111edizioni.com

www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/

LA FATICA DI ESSERE AMATA Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-063-4 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Dicembre 2016 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


Fuga è il cesto che mette in salvo il cuore quando da qualche torre precipita giÚ il resto della vita. (Emily Dickinson)



Me ne vado nella notte logorando strade‌ Ho paura di specchiarmi dentro una vetrina‌ Guardo le mie dita gialle sono tanto stanco di sputare i mozziconi di tutta una vita‌ (C. Baglioni)



7

1

Bene, prima o poi, bisognava accordarlo quel pianoforte. Un vecchio pianoforte che era rimasto lì, muto e inerte per tanti anni, da quando lei aveva smesso di suonarlo. Ed era stato un sacco di tempo fa. La ragazza lo guardava e pensò che era davvero passato tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno si era seduto davanti a quei tasti e li aveva sfiorati, diffondendo ovunque musica sublime. Dopo la separazione, sua madre aveva chiuso con il mondo. Poche uscite, pochi amici, poche occasioni anche di vedere i figli. Aveva messo giù il coperchio e aveva chiuso la tastiera, così come aveva chiuso la sua vita e il suo cuore. Nulla riusciva a farla rivivere. Non si era ancora abituata al non pensare, al non ricordare. Al non voltarsi indietro senza provare nostalgia e malinconia per la vita vissuta. Neanche il pianoforte e la musica la facevano più sorridere.


8 Aveva mollato tutto, compreso lui, il suo pianoforte. Che da quel momento aveva taciuto per sempre. Il pianoforte era sempre stato una cosa viva, tanto che ci parlava, lo accarezzava, lo suonava, sottomesso completamente al suo volere. Poi, di punto in bianco, aveva deciso di liberarsene, di regalarlo. La ragazza avrebbe desiderato che la vita di sua madre fosse andata diversamente, ma quando la vita si incaponisce, beh allora è inutile puntare i piedi contro il destino. Suo fratello era andato via di casa quando aveva iniziato l’Università, lei poco dopo. Preso il diploma al Conservatorio andò via. I ragazzi non avevano tempo di pensare al passato, a quello che i loro genitori avevano nascosto per anni, anche se non avevano mai capito come avesse potuto una donna tanto innamorata del proprio uomo, lasciarlo all’improvviso. Era successo in una torrida sera d’estate di tanti anni prima. Erano un esempio loro, erano come una persona sola. I ragazzi qualche volta avevano provato a chiedere spiegazioni, ma il padre aveva sempre cambiato discorso, evitando qualunque risposta. La mamma, invece, era diventata vittima di improvvisi dolori e malesseri che dirottavano puntualmente la conversazione su altri argomenti. I loro volti erano diventati l’emblema stesso della tristezza.


9

I ragazzi si erano ormai abituati e, nelle rare occasioni in cui s’incontravano, parlavano più che altro del loro lavoro e delle loro vite. Gioia e orgoglio per racconti colmi di soddisfazioni, soprattutto perché erano grandi abbastanza quando i loro genitori avevano deciso di separarsi. Fu anche data loro la possibilità di scegliere se stare con l’uno o con l’altra. Erano maggiorenni, così decisero di andare a vivere ognuno per conto proprio, partendo entrambi dal presupposto che le cose nella vita inevitabilmente cambiano. La ragazza abbandona per un po’ i pensieri che le danzano in testa quando arriva l’accordatore. Armato con la valigetta degli attrezzi in similpelle, alza il coperchio della tastiera e le gocce bianche e nere appaiono lucide, come nuove. La ragazza rivede le mani di sua madre correre sulla tastiera e fanno capolino nella sua mente i ricordi più belli della sua infanzia, quando piccola piccola, con un minuscolo violino, studiavano insieme il brano per il concorso per giovani musicisti a Firenze perché, senza pensarci un attimo, lei aveva detto al suo maestro: “Io suono con mamma!” E alla fine aveva costretto la sua mamma a suonare in pubblico, lei che non amava dare prova del suo talento, rimasto nascosto e represso da situazioni mai risolte.


10 Lei, a cui si attorcigliavano le dita al solo pensiero che ci potesse essere alle sue spalle un orecchio ad ascoltarla e, più che altro, un cuore. Con cautela, l’accordatore afferra il coperchio della cassa armonica per tirarlo su e guardarci dentro. «È suo signora?» chiede. Estrae un quadernetto con la copertina di stoffa imbottita a fiori, di quelli d’altri tempi, le pagine ingiallite e anche piuttosto impolverato. La ragazza lo prende e con gesti lenti lo sfoglia, ne guarda la scrittura e la riconosce. «Ma è della mamma!» Un mormorio tra sé, senza voce, senza intonazione. E allora è così, la mamma scriveva. Forse di cose che non aveva mai raccontato a nessuno. La ragazza comincia a leggere con timore, e già dalle prime pagine riconosce la stessa sofferenza che legge ormai da tempo sul volto di sua madre. Suda, fa caldo, c’è il sole fuori, la giornata è torrida, il terrazzo è incandescente, si siede sulla sdraio, sotto l’intreccio del pergolato che regala una piacevole e necessaria ombra, mentre all’interno risuonano le note sconnesse e stridule delle corde pizzicate dall’accordatore. E la storia ha inizio in una calda e umida giornata di sole, proprio come questa.


11

2

Dal diario: Mi alzo dalla sdraio e mi stendo sul lettino. Il sole brucia e il rumore del mare è assordante. Sono ormai giorni e giorni che il mare è mosso e non mi fa neanche dormire. È agitato, incazzato, nero e cupo come i miei giorni. Chiudo gli occhi e quelle onde me le sento addosso, sento il baccano che fanno, mi si infilano nelle ossa, mentre i raggi cocenti del sole mi incendiano la pelle. L’ombra di lui mi si avvicina piano, è fresca, per un attimo mi isola da quel pianeta di fuoco. La sua mano sulla schiena mi dà un brivido di dolcezza e di fredda malinconia. I muscoli del corpo si allentano e avverto un liquido caldo scorrermi nella pancia. L’emozione è bellissima. Come sempre.


12 Poi, dopo la mano, avverto l’umidità delle sue labbra sulla natica sinistra che sporge fuori dallo slip: è fatta. Non è solo il sole che mi cuoce, ma l’amore per lui, i suoi baci freschi, rigeneranti più delle onde furiose del mare dalle quali vorrei farmi abbracciare, per far scivolar via la parte peggiore della nostra unione. Siamo qui quest’anno, l’occasione è stata unica. Credo che non si ripeterà mai più. Il posto è grandioso, la vacanza più che meritata. Abbiamo fatto le valigie e preso tutto quello di cui avevamo bisogno. Mare, sole, bagni, abbronzatura: non vedevo l’ora di partire, staccare dalla frenesia della città, dalla gente che si accalca ai semafori e dal traffico indiavolato delle mattine piovose d’inverno. Occasione unica: è un posto come pochi al mondo ed è un rifugio perfetto dalle mie giornate caotiche e confuse. Costume intero o bikini? Dovrei dimagrire, ma che fatica! Non ne ho proprio voglia e poi adesso è troppo tardi, ci penserò la prossima stagione, anzi, giuro che mi metterò d’impegno; niente più dolci, gelati, panini e pizze. Sarò rigida, perché quando mi metto una cosa in testa, io… per dire tutta la verità, non me la metto mai una cosa in testa io, e non solo di dimagrire! È che…


13

Forza di volontà? Io? Qui sono proprio perdente, anche se tutti dicono il contrario. In fondo sono sempre stata una persona debole anche se la vita, giunta alla sua seconda metà, mi ha insegnato che a tutti i costi bisogna farsi valere. Imporsi a tutti i costi. Già. E io non sono stata mai brava in questo: ho lasciato che la vita decidesse per me, imponendomi scelte obbligate e lasciando andare via i sogni. Ci voleva coraggio e io non ne ho mai avuto. La vita è andata da sola, senza che io potessi deviarne il percorso. Era così che doveva andare. Forse era tutta un’illusione credere che avrei potuto vivere un mondo tutto mio, fatto su misura per me e per i miei desideri. Comunque va bene lo stesso, perché ho l’amore. Comunque, vada per il bikini, tanto questo posto sarà isolatissimo e nessuno noterà i miei chili di troppo, magari prenderò anche una bella abbronzatura integrale! Soltanto noi due. Niente amici, niente comitiva. Niente ragazzi cui badare, niente parenti: niente di niente. Un solo grande immenso momento tutto per noi. Beauty-case, ultime cose e siamo in macchina.


14 Non è lontano e in meno di un’ora ci siamo già, percorrendo strade abbastanza trafficate in questa estate che si annuncia calda, lunga e suadente. L’odore di nuovo e di legno, misto plastica, mi riempie le narici nell’appartamentino con i muri di pietra viva e le pareti bianche. È uno spettacolo! Le porte sono tutte di colori diversi, sul soffitto travi in legno a vista e l’angolo cottura in muratura e maiolica. Al piano di sopra le camere da letto. La nostra è freschissima. Poso la valigia e mi distendo sul letto, godendo del soffitto irregolare in stile medioevale. Sorrido: sono felice! Il tramonto è alle porte, ma l’alba sarà più bella. Poi è già sera, mi lascio prendere dalle braccia solide di Morfeo e mi addormento. *** “Deve essere stato proprio quell’anno allora. “Ecco perché in vacanza non ci andammo tutti insieme e perché noi andammo da un’altra parte. “Era questo il motivo per cui ci mandarono in villeggiatura altrove. Fu la prima vacanza senza di loro, e pensare che eravamo pure contenti. “Cazzo come eravamo contenti.”


15

I pensieri nella testa della ragazza si affollano come in un vortice, e quei pensieri la fanno arrabbiare. Non fa che pensare a quella lunga estate in cui accaddero cose che mai avrebbe neanche immaginato. Cose veloci, repentine. Decisioni. Magari, se fossero andati in vacanza tutti e quattro insieme, come sempre, non sarebbe successo niente. Magari avrebbe goduto ancora della tranquillità e della dolcezza che aveva sempre assaporato da ragazzina. Erano sempre insieme i suoi genitori, anche se discutevano un po’ troppo spesso. La ragazza si era chiesta perché sua madre tendesse continuamente a svalutare ogni aspetto di se stessa, anche se non aveva mai fatto domande dirette: la mamma non amava parlare dei suoi problemi. Eppure era così bella, colta, musicalmente dotata e con un lavoro soddisfacente, anche se la verità era che lei, in quel lavoro, ci era stata letteralmente spinta a pedate, infilata a suon di spintoni. Scaraventata dentro un ufficio che aveva sempre odiato, e non gliene importava niente di quello che faceva per otto ore al giorno. A lei piaceva leggere, suonare, scrivere, viaggiare e poter parlare tutte le lingue del mondo. Ma il ‘suo mondo’ non le aveva permesso nulla di tutto ciò, convincendosi che era il prezzo da pagare per tutto il resto, per quello che c’era nella sua vita. Anche se non ne era felice.


16 E poi accadde che una vita finì. Finì la loro vita. *** Dal diario: La mattina mi ritrovo con lui accanto. Chissà a che ora è venuto a letto, mi domando, ma non gli chiedo proprio niente: facciamo solo l’amore. Sa di buono lui, lo bacio, lo adoro, è mio! Il mare è davanti a me, è il mio cuore, la mia mente, la mia anima, la vera essenza, il motore dei miei desideri. Vivo nel respiro del vento e nell’odore della salsedine, il mio cuore batte al ritmo delle onde e questo mi dà un brivido di libertà. “Posso farti una domanda?” Ecco ci risiamo, penso, dura poco, pochissimo l’incantesimo. Allora in silenzio mi alzo, entro in casa, apro il frigo. È il primo gesto che mi viene naturale, quando sto per precipitare nel baratro della tristezza. Quando mi sento vuota e sola. Quando l’amarezza si impossessa di me, perché le sue domande si fanno sempre più incalzanti, tanto da lasciarmi senza energia e senza forza vitale. Cerco qualcosa di fresco e saporito, possibilmente dolce, che possa restituirmi la sensazione meravigliosa di liquidi nella pancia.


17

Tiro fuori la vaschetta del gelato, prendo un cucchiaio e non mi curo nemmeno di servirmene un po’, magari in un bicchiere. Me ne vado fuori lenta e strascicante, con un dolore fitto al petto. Mi siedo a tavola e affondo il cucchiaio nella spumosa massa ghiacciata, costellata di granuli e riccioli di cioccolato cremoso, indecentemente e follemente buono! Lecco lentamente e tristemente il mio gelato e lo sento, fresco, dolce, gratificante, spiaccicarsi contro il palato, diffondersi giù lungo la gola. “Sì, dimmi.” Anche se quello che vuole sapere, alla fine, è sempre la stessa cosa. Come fu? Dove fu? Cosa provasti? Cristo! Ma avevo solo quindici anni, come me lo posso ricordare? E perché poi me lo dovrei ricordare? Non si può dimenticare? La mia voce è roca, stanca, avvilita. Meno male che c’è il gelato. “E che cosa pensavi quando lo facevi?” “Ma che ne so!” “E com’è possibile?” “Ma chi se ne frega!” In fondo era solo sesso per noia o forse per curiosità.


18 O perché forse quella era l’era della rottura degli schemi, l’epoca in cui le barriere del perbenismo dovevano essere abbattute a qualunque prezzo. Anche questo. Gli anni di tutti quei ‘Noi’ che eravamo, pieni della voglia di cambiare. Le guerre erano fredde, gelide e per un’idea qualcuno erano ancora disposto a rischiare. Il sesso gentile diventava meno gentile, si rivoltava contro gli schemi e lo regalava al primo che passava. Le ragazze presero possesso dei loro corpi, e di quel possesso ne fecero una moda. Nelle strade la rivoluzione fluiva come l’inchiostro delle penne a scuola, perché ancora nessuno navigava nell’etere. Fluiva la rivolta delle idee e delle coscienze che si ammalarono però di troppo ingegno. ‘Generazione di fenomeni’ che del fenomeno ‘vita’ ne fece una bandiera. Quando la musica partì, prese il volo e attraversò gli oceani. Dilagò nelle stanze solitarie di ragazzi con l’istinto e il bisogno di gridare. Il bisogno di sputare la polvere ingoiata per decenni, e utilizzata per ricostruire il mondo. Il bisogno di scoprirsi in una nuova volontà di vivere, il bisogno di sbloccare quel retrogrado senso del pudore che incastrava una società borghese e mediocre. L’alternativa, ecco cos’eravamo noi.


19

L’alternativa. Eravamo il sogno, l’estasi, l’ideologia. Eravamo il cambiamento, la forza, le parole e il rumore. Eravamo la tempesta di ormoni in rivolta. Continuo a mangiare il gelato, è l’unico sollievo in questo momento. Sto zitta. Cerco di far finta che la cosa non mi riguardi. Lui continua, picchia come un martello, continuando ad andare a fondo nei miei ricordi, costringendomi a raccontare. A raccontare e a raccontare ancora. Mi sembra di essere la cavia di uno strizzacervelli, un sadico che inchioda i suoi pazienti alla folle e devastante macchina della verità solo per soddisfare la sua sete di curiosità. Qualcosa allora mi torna in mente e decido di raccontargliela. Pazientemente gli racconto della spiaggia, delle feste, del giardino, della camera d’albergo nella speranza di acquietare la sua torbida curiosità e di porre fine all’interrogatorio. Ma non basta, a lui non basta mai. I dettagli non sono sufficienti. Vuole capire anche se sono io che non riesco a capire cosa voglia capire. Racconto ancora, e poi ancora, ma tutto è talmente sfocato. “E quante volte? Una, due, tre? Possibile che non te lo ricordi? Come si fa a non ricordare quante volte?”


20 Eh già! Come è possibile? Ma io non lo ricordo davvero! Mi viene all’improvviso il dubbio che sia io a non voler ricordare. Dunque questa è la giusta punizione? Forse dovrei aggiungere dei particolari, aggiustare un po’ la storia, arricchirla di dettagli. Infiocchettare una storia banale di ragazzini stupidi e curiosi, ansiosi di crescere e diventare adulti. Già, perché l’infanzia non è sempre la cosa più bella che c’è, l’infanzia può essere il nulla, il vuoto. E io quel vuoto me lo portavo dietro da sempre. Forse dovevo inventare, che so, inventare un numero di volte! Come quando da bambina mi inventavo una mano dolce e delicata che mi proteggeva dalle insidie della vita. O come quando speravo sempre in un abbraccio o in un bacio di un padre, di una madre, al posto di quell’indifferenza e di quel senso di vergogna che provavo nell’esistere. “Facciamo due, va bene?” Ma non è questo quello che vuole. Lui vuole la verità! Quale, poi? Per farne cosa? Cosa ne deve fare di una verità che non lo ha mai riguardato e che mai potrà riguardarlo? “Curiosità!” dice. “Solo curiosità!” “Ah!” Ma tutto questo accadeva quasi trent’anni fa.


21

Ero piccola, stupida, ribelle, insensata, disturbata, demotivata, incosciente,

inconsapevole,

indifesa,

curiosa,

malsana,

facilmente

attaccabile,

debole,

infantile,

irresponsabile,

prigioniera nei miei malumori e nel mio autolesionismo. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.