In uscita il 25/6/2014 (15,70 euro) Versione ebook in uscita tra fine luglio e inizio agosto 2014 Collana "A Piccole Dosi"
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MARCELLO CIANCIO
LA MEMORIA DEL CORPO
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LA MEMORIA DEL CORPO Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-730-8 Copertina: Immagine proposta dall’Autore
Prima edizione Giugno 2014 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
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Prefazione
In questo romanzo si parla di musica. Sono un appassionato ascoltatore di musica e in gioventù ho anche suonato in alcuni gruppi musicali. Ogni capitolo è stato scritto ascoltando dei brani che rappresentano per me la colonna sonora del romanzo. Alcuni di questi brani sono citati, altri no. Non è per nulla importante che il lettore ascolti durante la lettura la stessa musica che ho ascoltato io mentre scrivevo il romanzo, ma mi sembra opportuno segnalare il caso particolare del capitolo 39. Il capitolo 39 non sarebbe stato lo stesso senza l’ascolto di Excavation degli Haxan Cloak. Chi avrà il coraggio di leggere il capitolo ascoltando il brano in questione capirà. I capitoli del diario di Marina sono stati scritti ascoltando musica leggera degli anni ’40. Per gran parte del romanzo ho utilizzato la musica elettronica come fonte di ispirazione ed è stata un’ottima consigliera. Non citerò tutti i riferimenti musicali che mi hanno aiutato nella stesura del libro, sarebbe troppo faticoso, comunque la mia classifica personale del 2013 è nel mio sito http://ciancio.altervista.org. In questo romanzo si parla dell’affetto per i propri figli o nipotini. E’ da poco nato il mio secondo figlio e ogni riferimento non può essere casuale. In questo romanzo si parla di pedofilia in una maniera che potrebbe risultare disturbante. Ciò è voluto. Qual è la vera età di una persona? Quella esteriore del suo corpo? La maturità del suo cervello? In questo romanzo ci sono alcuni riferimenti cinematografici. Oltre a quelli citati esplicitamente, il lettore attento non potrà non accorgersi di Pulp Fiction. In questo romanzo si parla di paesi lontani, del Cile ma soprattutto del Vietnam, credo con cognizione di causa. Il mio girovagare da turista è servito a qualcosa. In questo romanzo si parla di crittografia. Ciò vuole essere un omaggio a Turing, il padre dell’informatica.
4 In questo romanzo c’è un memento mori. L’ho scritto da adolescente e l’ho riciclato cambiando i nomi. Si incastrava bene con la storia. Questo romanzo è il seguito di “L’ombra della realtà”, ma può essere letto autonomamente da esso. L’idea è simile ma anche totalmente differente. Entrambi i romanzi hanno la struttura di un libro giallo, ma all’interno delle storie sono presenti elementi di fantasia, pertanto la storia non potrebbe verificarsi nel mondo reale. La difficoltà del commissario Mantini, che coordina le indagini, è proprio quella di prendere coscienza delle incongruenze e accettarle. E’ proprio questa accettazione dell’impossibile che gli permetterà di risolvere i casi. I romanzi appartengono al genere “giallo paranormale” e non conosco altri romanzi di questo genere oltre ai miei due. Ho cercato di lavorare sull’evoluzione dei personaggi principali, Sergio e Simona. Spero di essere riuscito a dare spessore ai personaggi di Stefania Molinari, Paolo Sereni, Francesco Paoli, Santi Felici, Riccardo Sardelli, Fabio Dettori, del professor Protti ma soprattutto di Marina, in assoluto il più difficile personaggio nel quale mi sia mai cimentato. Questo romanzo ha una struttura complessa, anche più del già complesso “L’ombra della realtà”. Ci sono voluti oltre sei mesi di organizzazione del materiale prima che mi azzardassi a scrivere una sola riga. Infine, tema principale del romanzo, si parla del dualismo cartesiano mentecorpo. Nel mondo occidentale è assodato che noi siamo il nostro cervello, ma non è detto che le cose siano così semplici. Dopo che ho terminato la prima stesura ho letto su internet la notizia che negli ambienti scientifici si sta pensando alla realizzazione del trapianto di testa tra esseri umani. Si pensa forse che il corpo sia solo un mezzo di trasporto per la testa di turno? Io non credo affatto che sia così, perciò ho cercato di rappresentare la relazione mente-corpo in maniera più completa e rispondente a quella che potrebbe essere la realtà. Spero di esserci riuscito. Il tempo meteorologico di venerdì 15 novembre è finzione scenica. Mi serviva un acquazzone e acquazzone fu. Ho scritto il libro prima del 15 novembre 2013 e non potevo certo sperare che il 15 novembre ci sarebbe stato un temporale. Poi c’è stato effettivamente un discreto temporale. Grazie. Si ringrazia Piovesan Irene per l’immagine di copertina. Non capirò mai come lei riesca a rappresentare così bene l’espressione del viso: è la stessa sia per il vecchio che per la bambina.
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Lunedì 22 aprile 2013 Emidio Sereni entrò lentamente nell’atrio dell’ospedale “CTO Andrea Alesini” di Roma. Davanti all’ingresso erano stati appesi numerosi striscioni scritti con bombolette spray blu e nere, ma gli striscioni non contenevano graffiti o altre opere d’arte urbana. I messaggi contenuti negli striscioni erano rivolti contro il governo appena caduto ed esprimevano la rabbia dei lavoratori per la ventilata chiusura dell’ospedale. Emidio riusciva a comprendere lo stato d’animo dei lavoratori in stato di agitazione e gli sarebbe piaciuto combattere con loro questa battaglia, ma era ormai tardi per questo. Non era tardi solo per questo ma anche per molto altro. Nei suoi 94 anni aveva combattuto così tante battaglie che ormai non aveva più la forza neanche per pensare di potersi rimettere in gioco. Invece era proprio lì per questo. Faticosamente, si avvicinò allo sportello informazioni e chiese del dottor Paolo Sereni, primario di neurochirurgia traumatologica. L’impiegata gli indicò la strada e raggiunse così senza problemi il reparto. Non era mai andato in quell’ospedale, neanche una volta, nonostante il nipote lavorasse lì. Quando Emidio era più giovane e la salute glielo permetteva andava più spesso a salutare suo nipote al lavoro al San Filippo Neri, altro ospedale oggi a rischio chiusura, dove Paolo lavorava precedentemente. La sala d’attesa era minuscola, anzi inesistente: 4 sedie in un corridoio, tutte vuote. Si sedette con l’aiuto del bastone e, una volta rilassata la muscolatura, si rassettò il maglione. Aveva già il fiatone e aveva percorso solo poche centinaia di metri. Era stato un rischio uscire da solo, ma voleva assolutamente parlare a quattr’occhi con il nipote in modo che nessuno sapesse della loro conversazione. Emidio attese fino a che si aprì la porta del dottor Sereni, così vide Paolo congedare un uomo, presumibilmente un paziente. Paolo era un bellissimo uomo, alto e magro, con il viso da simpatica canaglia, ma era anche una persona estremamente sensibile, forse troppo. Il portamento e lo sguardo profondo facevano sì che chiunque lo riconoscesse come leader. Paolo vide lo zio Emidio e gli chiese, sorpreso: «Ciao, ma che ci fai qui? Sei uscito da solo?» «Tanto che può succedermi? »
6 «Non hai tutta questa autonomia. Non sono sicuro che il tuo fisico possa reggere questi sforzi.» «E cosa vuoi che cambi se ormai mi succedesse qualcosa?» Il nipote capì cosa lo zio intendesse e così rimase in silenzio a fissarlo con un misto di rimprovero e di tenerezza. Poi gli si avvicinò e lo invitò a entrare nello studio, aiutandolo ad alzarsi dalla sedia in modo da evitare che compiesse sforzi. L’ufficio del primario era semplice, una scrivania, un armadio, un lettino e poco altro. Emidio si guardò un poco in giro come per riordinare le idee. Non era facile ricominciare un discorso iniziato e finito oltre 30 anni prima. «Qual buon vento ti porta?» ruppe il ghiaccio Paolo. Emidio restò a fissarlo in silenzio, allora Paolo continuò: «Ti conosco troppo bene per pensare che tu sia venuto solo per porgermi un saluto. Non è nel tuo stile. Poca analisi e molta sintesi, vero?» «Mi conosci bene.» «Per me sei sempre stato un punto di riferimento. Mi ricordo le nostre interminabili discussioni riguardo all’importanza dello studio.» «Tu non volevi neanche iscriverti all’università.» «Avrei sbagliato. Senza di te avrei commesso un terribile errore. Questo lavoro è la mia vita.» «Non avresti voluto qualcosa di più?» Paolo rifletté un poco e poi rispose: «Come capofamiglia sono stato un disastro. Due divorzi, figli da due matrimoni diversi, ma sai già.» Emidio ridacchiò: «Ti piaceva troppo la gonnella, Paolo!» Anche a Paolo venne da ridere. Poi proseguì: «Il lavoro è stato per me un’ancora di salvezza, un susseguirsi di successi. Ciò mi ha permesso di superare le mie disavventure sentimentali. In ambito lavorativo sono sicuro di non avere niente da rimproverarmi. Ho raggiunto tutti i risultati che desideravo.» «Proprio tutti?» «Zio, mi spieghi che sei venuto a fare? Sei venuto qua per parlare dei bei tempi andati? Sei interessato al mio lavoro? Per quale ragione?» Emidio si sporse in avanti e ripeté la domanda con un filo di voce, sillabando: «Pro-prio tut-ti?» Paolo non voleva essere scortese, ma proprio non riusciva a capire di cosa stesse parlando il vecchio zio, così iniziò a pensare che forse era venuto lì perché ormai era fuori di testa. Troppo rincoglionito. La vecchiaia gioca brutti scherzi. Fu Emidio a cambiare discorso e lo disse proprio a voce alta: «Cambiamo discorso. Quanto mi resta da vivere?» «Allegria.» «Rispondi.»
7 «Lo sai anche te. Due mesi? Tre? Chi lo sa? Fino a che prenderai i farmaci che ti hanno prescritto non sentirai dolore, ma come sai questi farmaci ti rimbecilliscono un pochino. Tra un paio di mesi puoi scegliere se venire a fare una lunga agonia in ospedale o una breve agonia a casa.» «Lo sapevo anche io. E comunque potevi anche rispondere con un po’ più di diplomazia, cazzo.» «Parolacce? Mi dicevi sempre di non dirle.» «Ormai posso dire quello che voglio, tanto che me ne frega?» Emidio continuava a non spiegare a Paolo per quale ragione fosse venuto fin lì per trovarlo e così quest’ultimo si spazientì: «Zio, devo lavorare. Ti ringrazio per essere passato, ma non ha proprio senso che mandiamo avanti questa sterile discussione. Non se ne esce. Se vuoi ti vengo a trovare una di queste sere.» Emidio lo interruppe: «Non se ne parla nemmeno. Devo chiederti una cosa, ma visto che non te ne ricordi tu dovrò ricordartelo io.» «Che cosa?» «Tu mi hai espresso un desiderio ben chiaro quando ti sei laureato, prima di finire il tirocinio. Avevi da poco visto un episodio di Star Trek, la prima serie. Mi avevi detto che ti era venuta un’idea su come realizzare ciò che Mc Coy era riuscito a fare nel telefilm.» Solo allora Paolo realizzò di cosa lo zio parlasse e allora rispose d’istinto: «Scemenze di gioventù.» «No, invece. Perché ben dieci anni dopo ero a casa tua per pranzo. In una delle mie lunghe sedute nelle quali mi prendo il tempo che serve… » Lo interruppe Paolo: «Ce ne ricordiamo bene. I bambini dovevano andare in bagno e tu restavi mezz’ora in cesso a leggere il giornale.» «Sì, ma quel giorno non c’era il giornale, Paolo. C’era una cartellina sopra la lavatrice e l’ho sfogliata. Così ho capito che non hai mai abbandonato quel progetto.» «Anche se fosse?» «Sono a tua disposizione, Paolo. Ormai ho un mese di vita, due, che importa. Posso essere una cavia a beneficio della ricerca scientifica? Magari riesco anche a ottenerne qualcosa. Non è possibile?» Squillò il telefono. Paolo continuava a guardare negli occhi lo zio, come per essere sicuro che non stesse scherzando. No, capì che lo zio non scherzava. Rispose al telefono solo al quinto squillo: «Qualunque cosa dopo, grazie» e rimise giù la cornetta. Poi si alzò dalla sedia, aprì un archivio e iniziò a sfogliare numerose cartelle, fino a che trovò quella che stava cercando. La studiò per un paio di minuti, poi si sedette nuovamente. Pensieroso, fece ruotare più volte la sedia girevole a destra e a sinistra; Emidio aspettava in silenzio. «Possiamo provare» sentenziò Paolo.
8 «Quando?» «Mi devi dare un po’ di tempo per organizzare il tutto. Comunque non è detto che funzioni. Anche se andasse tutto bene non puoi certo sperare di avere molti più mesi di vita di quelli che avresti senza fare da cavia.» «Quello che è, tanto ormai, che cambia?» «Ti richiamo io, zio.» Paolo accompagnò Emidio alla porta e gli chiese: «Dopo questa discussione mi è chiaro perché sei venuto da solo. Nessuno doveva sapere che ci eravamo visti, vero?» «Già.» «Ce la fai anche a tornare a casa?» «Certo che ce la faccio» rispose lo zio accomiatandosi. Appena lo zio se ne fu andato, Paolo fu preso da una frenesia incredibile. Iniziò a spulciare libri, appunti nascosti di cui quasi non ricordava più l’esistenza. Si chiese se potesse davvero funzionare e si rispose di sì.
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Venerdì 18 ottobre 2013 Alle quattro del pomeriggio il commissario Sergio Mantini attendeva che venisse aperto il cancello d’ingresso della scuola dell'infanzia. Era lì, come ogni giorno infrasettimanale, per andare a prendere il suo nipotino di tre anni. John aveva iniziato da meno di un mese la sua prima esperienza scolastica ed era toccato proprio a Sergio accompagnarlo al suo primo giorno di scuola. Il commissario aveva quasi sessanta anni e l’età aveva iniziato a lasciare il segno sul suo fisico. Era sovrappeso ma, grazie al regime alimentare molto controllato che aveva rispettato negli ultimi anni, era riuscito a non ingrassare troppo. Il fisico da atleta della sua gioventù era però ormai solo un ricordo. Era da pochi mesi che i rapporti di Sergio con Lucia, sua figlia, erano diventati più regolari. Ciò avveniva dopo un lungo periodo durante il quale non si erano quasi frequentati per nulla e rari erano stati anche i loro contatti per telefono. Lucia lavorava alla reception di un albergo a Londra. Durante l’estate appena trascorsa era venuta a Roma a trovare Sergio e sua madre, nonna Sandra. La sorpresa fu che arrivò a Roma con il suo compagno e due figli, uno di tre anni e uno di pochi mesi. Né Sergio né sua madre avevano saputo fino a quel momento che Lucia avesse un compagno, né tantomeno che fosse diventata madre di due bambini. Il compagno, Trin Hoang La, era un musicista vietnamita che era stato a lungo ospite dell'albergo dove Lucia lavorava. I due bambini si chiamavano John e Allen. Sergio era rimasto interdetto quando Lucia gli disse i nomi dei piccoli. Un padre vietnamita e una madre italiana avrebbero potuto fare a meno di chiamare i figli con dei nomi inglesi, ma Trin e Lucia vivevano da tempo a Londra ed erano convinti che avere un nome inglese sarebbe stato un vantaggio per dei bambini che vivevano in Inghilterra. Successivamente, Trin aveva ricevuto un'offerta di lavoro a Roma come docente presso il conservatorio, così Trin e Lucia avevano deciso di trasferirsi nella capitale. Lucia, Trin e il piccolo Allen erano andati in Vietnam per organizzare il trasloco mentre John era rimasto a Roma dal nonno Sergio.
10 In questo modo Sergio, che dopo la morte della moglie si era lamentato per anni della sua solitudine, aveva iniziato invece a lamentarsi per la mancanza di tempo libero. Non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe trovato a svolgere le mansioni di nonno, invece si trovò costretto da un momento all’altro addirittura a svolgere le mansioni di genitore, dato che John alloggiava da lui in pianta stabile. I genitori di Trin sarebbero arrivati dal Vietnam la settimana seguente e li avrebbe ospitati Sandra, la madre di Sergio. Sergio non poteva ospitare nessuno perché viveva in una casa troppo piccola. Alcuni giorni Sergio riusciva a staccare dal lavoro alle 15.30, ma altri giorni proprio non ce la faceva a terminare così presto. In quest’ultimo caso doveva andare a prendere John a scuola all’ora di uscita, portarlo a casa dove lo aspettava la babysitter e tornare infine di corsa al lavoro. Quel venerdì i tempi erano particolarmente stretti. Quando si aprì il portone della scuola, i genitori e i nonni si affrettarono a entrare nell’edificio presentandosi poi all'ingresso delle classi, dove le maestre lasciavano i bambini in consegna solo alle persone autorizzate, che di solito erano i genitori o i parenti indicati nel modulo di iscrizione consegnato a inizio anno. Non si sa mai ai giorni d'oggi cosa può succedere! Sergio vide il nipotino correre verso di lui. John raggiunse il nonno e lo abbracciò forte mentre Sergio lo riempiva di baci sul collo. «Ti voglio bene, piccolino» disse Sergio, ma la risposta di John, come era da aspettarsi, riguardò altri argomenti ben più interessanti. «Sai nonno, oggi ho giocato con la canna da pesca!» Il discorso di John proseguì a lungo. Sergio accompagnò in macchina il nipotino mentre quest'ultimo gli raccontava per filo e per segno gli avvenimenti fondamentali accaduti in mattinata nella scuola dell'infanzia. Sergio arrivò a casa e vide Erika, la babysitter, che lo attendeva davanti al portone del condominio. Erika Borta, una ragazza di 20 anni originaria di Sarmede, in provincia di Treviso, aveva collaborato durante le scuole superiori alla manifestazione annuale del suo paese di illustrazioni per l'infanzia. Ora studiava a Roma scienze della formazione e, per guadagnare qualcosa, faceva saltuariamente la baby-sitter con dei bambini piccoli. Sergio non fece neanche in tempo ad aprire la porta del suo appartamento che squillò il suo cellulare. Rispose: «Pronto?» Venne così a sapere del rapimento e si precipitò fuori. Arrivò all'EUR non più di mezz'ora dopo. Una macchina della polizia era posteggiata al di fuori dell'ingresso di un condominio. Il pubblico ministero e il commissario erano arrivati nello stesso momento e si incontrarono proprio all'ingresso dell'atrio. Ostilio Bartolomei, il pubblico ministero, era
11 un uomo grasso e sudaticcio, con quei pochi capelli attaccati alla testa che sembravano naufraghi su una zattera. A causa della sua mole faceva molta fatica anche solo a camminare per pochi metri e per questo avrebbe sicuramente preferito rimanere in ufficio. Ciò nonostante, non poteva delegare a qualcun altro il lavoro che in quel caso spettava esclusivamente a lui. Sull'ascensore spiccava un cartello: “Non salire in più di due sull'ascensore senno si blokka”. «Salve commissario. Ho già parlato con la centrale per istituire posti di blocco lungo tutte le principali arterie in uscita da Roma. Ho anche chiamato la scientifica. E lei, invece, ha fatto qualcosa?» chiese Bartolomei insinuando tra le righe che il commissario stesse lavorando poco. «Non ho avuto il tempo di fare nulla, ero a casa quando mi hanno avvisato telefonicamente.» «E che cosa mi racconta?» Mantini decise di rispondere in maniera sarcastica, dato che il magistrato lo aveva provocato gratuitamente. «Accompagno il nipotino a scuola, lo vado a riprendere e quando mi capita ogni tanto anche lavoro.» «Date le sue battute la vedo più in forma del solito, commissario. E visto che è in forma vada a piedi che per riempire l'ascensore basto io.» Avrebbe fatto meglio a non fare lo spiritoso, pensò Mantini salendo le scale fino al quinto piano dell'edificio. Forse era meglio così, dopo tutto la passeggiata poteva essere utile per smaltire un poco di ciccia. Sergio entrò nell'appartamento poco dopo il pubblico ministero. La porta era aperta e un agente sulla porta si presentò: «Agente Celio Arcelli. Io e l'agente Bianchi siamo arrivati da una ventina di minuti. Abbiamo fatto accomodare tutti nella camera da letto della signora Sardelli, ci sembrava che fosse il luogo migliore per non inquinare la scena del crimine in attesa dell'arrivo della scientifica.» «Grazie, agente» rispose il commissario. Non era un caso di omicidio, ma la scientifica avrebbe potuto trovare qualche indizio importante tale da mettere gli inquirenti sulla giusta strada. Arcelli chiamò l'agente Bianchi: «Armando!» Quando quest'ultimo si presentò gli disse di fare strada al commissario e al pubblico ministero fino alla camera da letto. Mantini e Bartolomei si presentarono alle tre persone che erano state confinate in camera da letto, due donne e un uomo. La signora in lacrime era Beatrice Sardelli, che dimostrava ben più di cinquanta anni, nonostante ne avesse solamente quarantasei. Dopo la conversazione che seguì capirono anche il perché di questo invecchiamento precoce. Oltre a Beatrice erano presenti anche un'altra bella signora sulla trentina, ma dall'aspetto un po'
12 trascurato, e un signore massiccio più avanti con l'età, con pochi capelli bianchi confinati ai lati del cranio e molto abbronzato nonostante la stagione autunnale. Mantini e Bartolomei si erano appena seduti sulle uniche due sedie presenti in camera da letto quando Beatrice proruppe in un urlo bestiale e si accasciò sul letto matrimoniale. Il signore avanti con l’età andò a consolare Beatrice mentre l'altra signora si rivolse a Mantini e a Bartolomei: «Aspettiamo di là per un poco. Non credo che sia in grado di reggere una conversazione. Si può andare in cucina?» Mantini si consultò con lo sguardo con Bartolomei e poi rispose: «Sì, ma stiamo attenti a non toccare niente.» Poi si alzò e si avvicinò a Bartolomei: «La posso aiutare ad alzarsi?» Quest'ultimo abbozzò: «Grazie.» La signora li fece accomodare in cucina e finalmente si sedette anche lei, presentandosi: «Sono Conchita Sardelli, la sorella di Beatrice, e sono la zia di Marina.» Fu Bartolomei ad avviare la conversazione: «Mi racconti cos'è successo.» «Io abito qui vicino, a poche centinaia di metri. Erano circa le 17 quando mia sorella mi ha telefonato in lacrime. Ho chiamato Riccardo, il signore che avete visto di là, poi sono corsa qui. Riccardo era già per strada ed è arrivato da pochi minuti.» «Chi è Riccardo?» chiese Bartolomei. «Riccardo Sardelli è lo zio di Beatrice, il fratello del padre. Viene sempre qui a passare i fine settimana, lavora come agricoltore, ha un’azienda nell'agro pontino.» «Quando è arrivata qui cosa le ha detto sua sorella?» «Ha detto che Marina è sparita.» «La bambina rapita si chiama Marina?» «Marina Fiore. Dieci anni.» «Come fa a essere sicura che si tratta di un rapimento?» «Mia sorella mi ha detto che è arrivata a casa e ha trovato le sedie del soggiorno rovesciate, poi c'erano alcuni soprammobili per terra e Marina non c'era più. Comunque per queste cose è meglio che parliate direttamente con lei quando starà meglio.» Si sentì un altro urlo provenire dalla camera da letto. «Mantini» disse Bartolomei rivolgendosi al commissario, «è meglio chiamare un dottore per calmare la signora.» Mantini domandò a Conchita il nome del dottore, poi si alzò dalla sedia per andare a prendere nell’atrio l'agenda di Beatrice con i numeri di telefono. Si mise a spulciarla fino a che non trovò il numero del dottore e lo compose. Dopo averlo chiamato ritornò in cucina e sentì Conchita aggiungere qualcosa che incuriosì Bartolomei e Mantini: «Un'altra disgrazia così! Povera sorella maggiore.»
13 Mantini allora le chiese: «Ci sono altre cose che dovremmo sapere?» «Sì, ora vi racconto tutto. Era il 10 aprile 2011, il martedì dopo Pasqua. Marina aveva una sorella gemella, Chiara. Le bambine erano da sole a casa, perché mia sorella era uscita per andare qui sotto a comprare il pane. Nel giro di mezz’ora è ritornata a casa e ha ritrovato una scena da incubo.» La cucina e il soggiorno dell'appartamento formavano un open space abbastanza grande. Conchita si alzò e indicò la linea di separazione virtuale tra cucina e soggiorno, facilmente visibile perché cambiava il colore delle mattonelle del pavimento: «Qui c'era una libreria che fungeva da separazione tra ambienti. Molte volte le bambine erano state invitate a non spingere la libreria, perché, nonostante fosse fissata alla parete di sinistra, non era comunque così stabile. Dovevano essersi arrampicate per prendere un libro e la libreria era caduta su di loro con tutto il suo peso, compreso quello dei libri che conteneva. Chiara è morta sul colpo, Marina è finita in coma. In seguito all'incidente Beatrice fu indagata e poi assolta per abbandono di minori. Il padre delle bambine l’ha sempre ritenuta moralmente colpevole di ciò che era accaduto e così, dopo mesi di litigi, l’ha lasciata.» «Come si chiama il padre di Marina?» «Sebastiano Fiore, è imprenditore edile. Il suo numero di telefono è nell'agenda che ha preso il commissario.» «Marina quando si è ripresa dal coma?» chiese ancora Mantini. «Poco tempo fa. All'inizio di maggio il primario di neurologia del “CTO Andrea Alesini” aveva proposto una innovativa operazione al cervello per ridurre l'emorragia. In seguito all'intervento la bambina ha ripreso conoscenza circa a metà giugno. Non ricordo bene le date, ma potete chiederle direttamente a lui. Purtroppo la bambina ha perso completamente la memoria. Non ricorda assolutamente nulla, neanche il suo nome.» «Come si chiama il dottore?» «Di cognome mi pare faccia Serena, Sereno, o qualcosa del genere. Mia sorella se lo ricorda senz'altro perché il dottore ha poi continuato a seguire la bambina durante la convalescenza. Marina ha dovuto svolgere un lungo periodo di riabilitazione, deve ancora prendere regolarmente alcune pastiglie che il dottore ritiene fondamentali per evitare ricadute. Il dottore ci aveva detto che l'intervento era molto rischioso e che in questi casi una amnesia temporanea è una conseguenza da tenere presente. Marina è stata dimessa solo il 30 agosto, era tornata a casa da circa un mese e mezzo. Ancora oggi cammina con difficoltà, ma da due settimane non ha più bisogno di utilizzare le stampelle. Si è dedicata con grandissimo impegno alla riabilitazione. Beatrice mi ha raccontato che ogni giorno ha preso con regolarità le sue pastiglie e svolto gli esercizi di fisioterapia.» «Come mai oggi Marina si trovava da sola a casa?»
14 «Non avrebbe dovuto trovarsi a casa da sola. Il venerdì io vengo qui a pranzo e Riccardo di solito arriva nel primo pomeriggio, ma oggi era in ritardo e io dovevo tornare al lavoro. Beatrice lavora come commessa in un supermercato e il venerdì torna a casa dal lavoro poco prima delle cinque. Io sono andata via prima che arrivasse Riccardo confidando che sarebbe arrivato in breve tempo.» Bartolomei iniziò a fare domande non propriamente inerenti al caso, voleva probabilmente farsi un'idea sulla situazione familiare; nel frattempo Mantini iniziò a passeggiare per la casa. «Mi dica, signora, come mai lei ha un nome così particolare?» «Conchita?» «Esatto, è un nome un po' particolare, non crede?» «Diciamo che è un guanto di sfida tra fratelli. Mio padre era un comunista convinto, suo fratello Riccardo era invece democristiano ma aveva idee di destra. Mio padre voleva darmi un nome che richiamasse l'immaginario collettivo delle rivoluzioni sudamericane, ma ha avuto solo due figlie femmine e non ha potuto essere più esplicito con il nome di un rivoluzionario tipo Fidel o Che.» Il commissario disse a Bartolomei che avrebbe voluto dare una occhiata all'appartamento prima dell'arrivo della scientifica. Mentre passeggiava curioso per la casa, telefonò al vicecommissario Stefania Molinari chiedendole di andare a parlare con il padre di Marina, sia per informarlo dell'accaduto che per fargli qualche domanda, dicendole che ne avrebbero poi discusso in ufficio la mattina seguente. Sergio entrò nella cameretta di Marina e si mise dei guanti per evitare di inquinare eventuali prove. Appena entrò nella cameretta della bambina Mantini si accorse che c’era della polvere bianca per terra nei pressi di una parete. Il particolare lo incuriosì, così si fece un giro per la casa e notò altri punti nei quali si trovava questa strana polverina bianca per terra. In quel mentre arrivò Tomas Gloria, della scientifica. Mantini gli chiese di prendere dei campioni di quella polvere. Bartolomei continuava la sua chiacchierata con Conchita, giacché di interrogatorio non si poteva parlare, intanto Mantini rimuginava sul perché fosse stata rapita la figlia di una commessa di supermercato. Al rapimento segue una richiesta di riscatto se la famiglia è ricca ed era da supporre che la madre probabilmente non lo fosse. Era possibile che il padre fosse pieno di soldi per la sua attività di imprenditore edile per cui era necessario informarsi della situazione economica di Sebastiano Fiore, ma, non si sa mai, anche di Beatrice Sardelli. Ritornò in cucina e si unì nuovamente alla conversazione. Bartolomei aveva appena chiesto a Conchita della situazione sentimentale di Beatrice dopo la separazione dal marito.
15 «E' libera. Anzi è prigioniera di quello che è successo. Lei si confida con me e a quanto mi risulta non credo che dopo il divorzio abbia anche solo lontanamente pensato di iniziare una relazione con qualcuno. Prende antidepressivi dal giorno della morte di Chiara e i medicinali le provocano sonnolenza. Parlando con lei vi accorgerete della situazione.» «Lei invece ha qualcuno?» «Io? Sì, sono fidanzata.» «Come si chiama il suo fidanzato?» «Mario Colasanti.» «Che lavoro fa?» «Niente. E' disoccupato. Fa lavoretti per i negozianti, servizi a domicilio, ma non è assunto da nessuno, lo chiamano solo se serve.» «Tutto bene tra voi?» «Gli voglio bene, ma non so se sono davvero ricambiata. Non stiamo attraversando un bel periodo.» «Avete altri parenti?» «No. La bambina ha altri parenti da parte di padre, ma non li vede quasi mai. Io, Beatrice e Riccardo siamo tutta la sua famiglia.» Intervenne dunque Mantini: «Ha idea di qualcuno in famiglia che possa avere una disponibilità economica tale da poter sostenere il pagamento di un riscatto?» «Assolutamente no. Qualche tempo fa gli affari di Sebastiano, il padre delle bambine, andavano bene, ma credo che ultimamente anche lui abbia risentito della crisi.» Quando arrivò il dottore, Conchita aiutò sua sorella a stendersi a letto, così il medico gli somministrò dei sedativi. Riccardo uscì dalla camera da letto e si sedette su una sedia in cucina mentre gli agenti della scientifica osservavano il resto dell'appartamento alla ricerca di eventuali tracce. Riccardo si mise a disposizione di Mantini e Bartolomei per rispondere alle loro domande. «Lei ha una azienda agricola?» «Sì, io e il mio socio.» «Come si chiama?» «Fabio Dettori.» «Come mai lei viene qui i fine settimana? Non deve lavorare?» «Il mio socio lavora dal venerdì al lunedì e io dal lunedì al venerdì. Ci diamo il cambio.» «Avete dipendenti?» «No, è una piccola azienda, ce la caviamo da soli, anche se ogni tanto qualcuno che svolgesse qualche lavoretto sarebbe utile. Nonostante la crisi è ancora difficile trovare qualche giovane che abbia voglia di lavorare nei campi. Abbiamo trovato solo extracomunitari senza permesso di soggiorno, ma vogliamo assumere solo qualcuno in regola.»
16 «Come mai, lei che è sempre puntuale, è arrivato in ritardo proprio oggi?» «Il mio socio è dovuto andare via mezza giornata per prendere un pezzo di ricambio per il trattore, io ho dovuto aspettare che ritornasse. Poi mi ha telefonato dicendomi che era in ritardo perché si trovava dal rivenditore, ma il pezzo non era ancora arrivato. Io sono partito lo stesso, ma un paio di ore dopo.» «Lei è molto legato a sua nipote?» «Da quando è morto il loro padre per una brutta malattia considero Beatrice e Conchita come mie figlie.» «Non è sposato?» «Non sono il tipo. Ho avuto le mie storie, ma non ho mai trovato l'anima gemella. E ormai ho la mia età e con il mestiere che mi sono scelto non è facile costruire un rapporto. E poi non mi interessa più.» In quel momento un ragazzo sulla trentina, di altezza media e dall'aspetto curato chiese di entrare nell'appartamento. Si presentò come Francesco Paoli e disse di essere il vicino di casa. «Cos'è successo?» chiese. Mantini gli fece cenno di accomodarsi in cucina per rispondere ad alcune domande. «Lei era qui nel primo pomeriggio?» «Ma cosa è successo?» «Prima risponda alle domande.» Fu Riccardo a intervenire: «Guardi che è un caro amico di famiglia. Il giovedì ci fa il favore di andare a prendere Marina a scuola, perché il giovedì alle 4 di pomeriggio lavoriamo tutti. Se non si fosse offerto lui di andare a prendere Marina di giovedì non avremmo saputo come fare.» «Insomma, cos'è successo?» «Hanno rapito Marina» lo informò Bartolomei. «Ora per favore ci dica se era qui nel primo pomeriggio.» Francesco fu molto colpito, sbiancò: «Hanno rapito Marina? Ma chi può avere fatto una cosa del genere?» «Se lei ci aiuta rispondendo alle domande forse lo scopriremo» intervenne Mantini. «Già, già, ha ragione. No, ero a lavorare. Ho il giovedì libero, sono guardia giurata e fino alla prossima estate avrò il giovedì libero, per questo andavo a prendere Marina a scuola ogni giovedì. Non posso credere che qualcuno l’abbia rapita!» «Ha visto per caso qualcuno a scuola di sospetto quando l’andava a prendere?» «Assolutamente no.» Bartolomei sussurrò a Mantini: «Questo non sa niente.»
17 Si vedeva che Francesco era veramente molto scosso per l’accaduto, come se fosse uno della famiglia, così Mantini lo invitò a tornare a casa sua. Il dottore uscì dalla camera di Beatrice e disse loro: «Beatrice dorme. E' meglio che aspettiate domani mattina se avete intenzione di porle delle domande.» Bartolomei capì che era inutile restare lì: «Io vado a casa. Mi aggiorni, commissario.» Mantini chiese a Tomas Gloria di fargli sapere appena possibile se avessero trovato qualche indizio e si congedò anche lui. Prima di andare a casa telefonò ad alcuni colleghi convocandoli l'indomani mattina in commissariato per stabilire le priorità dell'indagine. Mentre guidava l'auto verso casa cercò di immedesimarsi nella situazione in cui si trovava la signora Sardelli e non riuscì neanche a sopportare l’idea che qualcuno potesse rapire il suo nipotino.
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Agosto 2013 Marina si risvegliò dal coma il 9 giugno, ma venne tenuta per quasi un mese in coma farmacologico. In luglio i genitori, la zia Conchita e lo zio Riccardo le fecero compagnia a turno in ospedale sia durante i periodi di veglia che durante il sonno. A fine luglio i tempi di veglia iniziarono ad aumentare e Marina ricominciò a parlare. Fu purtroppo subito chiaro a tutti che non era in grado di ricordare nulla né dell'incidente né della sua vita antecedente all’incidente. Addirittura non ricordava il suo nome. Il dottore che l'aveva operata, Paolo Sereni, fissò una tabella di marcia per riportare Marina a una vita normale. La fisioterapia giornaliera e la somministrazione costante dei farmaci prescritti portò ottimi risultati dal punto di vista del recupero fisico, ma la bambina continuò a soffrire di amnesia. Venerdì 30 agosto Marina venne dimessa. Tutta la famiglia si presentò all'ospedale a prendere la bambina, compreso il padre. Uscirono di casa nel primo pomeriggio, subito dopo l'arrivo dello zio Riccardo. Quel giorno, un uomo si era nascosto nel garage sotterraneo del condominio. Indossava il passamontagna in modo che non fosse possibile riconoscerlo nonostante ci fossero delle telecamere di sicurezza installate. Aveva posteggiato il suo furgoncino a qualche isolato di distanza, non voleva che qualcuno potesse riconoscerne la targa. Si era seduto per terra dietro una colonna in modo da tenere sotto controllo l'autovettura della famiglia Sardelli, in una posizione tale che chi si fosse avvicinato alla vettura non avrebbe potuto vederlo. Appena l’auto della famiglia Sardelli si allontanò, l’uomo si alzò da terra e si avviò verso la porta che permetteva di accedere alla rampa delle scale. Chiuse la porta e si tolse il passamontagna; sapeva che nelle scale non erano state installate telecamere di sorveglianza e non voleva insospettire qualcuno indossandolo. Salì a piedi fino al quinto piano, perché temeva che se avesse preso l'ascensore qualcuno avrebbe potuto osservare il suo viso e ricordarlo. Non aveva alcuna voglia di lasciare in giro scomodi testimoni. Per le scale non incontrò nessuno. Giunto al pianerottolo del quinto piano aprì la porta di casa Sardelli con la chiave, non ebbe bisogno di forzare la porta.
19 Era sicuro che avrebbe avuto almeno un'ora di tempo, quindi pianificò il lavoro con calma, prendendosi tutto il tempo necessario. Aprì il suo borsone e tirò fuori alcune minuscole telecamere di sorveglianza: erano quasi invisibili, piccole come una capocchia di spillo e dotate di autonomia energetica per trasmettere continuativamente immagini e suoni per oltre tre mesi. Ognuna di queste telecamere trovava posto sulla testa di un chiodo, per cui in alcuni casi sostituì i chiodi con cui erano fissati i quadri alle pareti con i chiodi che contenevano le telecamere di sorveglianza. Ne installò dapprima una nella camera da letto di Marina, poi ne mise una in ogni altra stanza, in questo modo avrebbe potuto controllare tutto l'appartamento. Terminò questo lavoro e controllò che ora fosse. Aveva ancora un margine di sicurezza di trenta minuti, così si mise a rovistare per l'appartamento. Era alla ricerca di qualcosa. Concentrò le sue ricerche soprattutto nella camera di Marina, ma nonostante i 20 minuti di ricerca non riuscì a trovare quello che cercava. Decise dunque di rimettere tutto a posto, non voleva correre il rischio che i familiari di Marina potessero accorgersi della sua perquisizione. Uscì dall’appartamento, chiuse la porta, scese le scale e nel sottoscala del sotterraneo installò un ricetrasmettitore. Tale congegno riceveva il segnale proveniente dalle telecamere installate nell'appartamento e lo trasmetteva in un luogo dove precedentemente aveva configurato un sistema di monitor di controllo. L’uomo era stato addestrato a leggere le labbra perciò non aveva installato alcun microfono, avrebbe potuto seguire quasi ogni dialogo osservando le immagini. Non era riuscito a trovare quello che cercava, ma non si era fatto illusioni. Era però sicuro che prima o poi, controllando con costanza i movimenti di Marina all’interno dell'appartamento, sarebbe riuscito a trovare quell’oggetto. Non voleva uscire dal portone principale, lo riteneva troppo pericoloso perché avrebbe potuto essere riconosciuto da qualcuno, per cui preferì passare nuovamente attraverso il garage sotterraneo. Uscito dal garage, si avviò a piedi verso il suo furgoncino. Poco dopo che l’uomo si fu allontanato arrivarono a casa Marina, Conchita, Beatrice e Riccardo. Sebastiano, il padre della bambina, aveva preferito ritornare a casa sua. Marina camminava con difficoltà, ma era intenzionata a non farsi aiutare da nessuno, cercava per quanto possibile di essere autonoma. La madre dapprima le mostrò la sua camera da letto, poi il resto della casa. Tutti e cinque sedettero intorno al tavolo della cucina. La zia disse a Marina: «Noi ricordiamo che tu e Chiara avevate un diario e lo scrivevate insieme. Ho un regalo per te.»
20 La zia prese dalla sua borsa un fotolibro. Sulla prima pagina era scritto “Diario della piccola Marina”. «Grazie» rispose Marina, e iniziò subito, curiosa, a sfogliare il fotolibro. Le pagine non erano di carta lucida come quella di solito utilizzata per i fotolibri, ma ruvida come quella dei quaderni. Ogni pagina conteneva una foto di Marina, di Chiara o di entrambe, ma gran parte della pagina non conteneva fotografie, bensì solo righe prestampate. Conchita allora si rivolse a Marina dicendole: «Le pagine sono in carta ruvida così che tu possa scrivere negli spazi bianchi, così lo puoi usare come diario. Ho voluto mettere molte fotografie di te e Chiara nella speranza che queste foto ti aiuteranno pian piano a recuperare la memoria.» La madre Beatrice intervenne: «Tu e Chiara avevate un diario, ma non sappiamo dove sia finito. Forse lo abbiamo buttato via insieme a tutti i libri che si trovavano nella libreria. Dopo l'incidente non ho più voluto tenere libri in casa.» «Userò il diario senz'altro» rispose Marina. Qualcosa, non capiva cosa, le diceva che in realtà il diario suo e di sua sorella non era stato buttato via insieme agli altri libri. Un brivido le corse lungo la schiena. Non riusciva a capire se la sua famiglia le stesse mentendo o se neanche loro erano a conoscenza di dove fosse realmente finito il diario, ma qualcosa le dava la certezza che non era stato gettato nell’immondizia. La persona che aveva piazzato le microcamere nell'appartamento della famiglia Sardelli osservava con grande attenzione dal furgoncino, mentre tornava a casa, ciò che accadeva in cucina. Una delle telecamere era piazzata in maniera tale che si vedesse bene il viso di Marina. L’uomo notò che quando a Marina venne detto della scomparsa del diario il suo viso fu percorso da un quasi impercettibile movimento. Ciò lo convinse che Marina sapeva qualcosa, non poteva aver perso completamente la memoria. L’uomo sapeva che Marina non avrebbe mai trovato il diario, ma avrebbe invece trovato, prima o poi, l’oggetto che lui stava cercando. In quel momento sarebbe intervenuto.
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Sabato 19 ottobre 2013 Mantini aveva convocato una riunione alle nove di mattina per fare il punto sull’avvio delle indagini. Il commissario si svegliò verso le 7, si vestì, fece colazione, svegliò il piccolo John e lo accompagnò a scuola. Arrivò in anticipo al commissariato, così preparò degli appunti per riassumere agli altri poliziotti quel poco di cui, fino a quel momento, era a conoscenza. Alla riunione erano presenti il commissario Mantini, il vicecommissario Stefania Molinari, l'ispettore Marco Morandi, l'agente Gloria Falzini e l'agente Raimondo Varatti. A parte i primi due gli altri non erano a conoscenza di nulla, così il commissario riepilogò loro i pochi elementi raccolti fino a quel momento. «Salve, colleghi. Siamo di fronte a un rapimento atipico. In caso di rapimenti o sparizioni le prime 48 ore sono fondamentali, se non si trova presto la persona rapita le percentuali di trovarla crollano. Vi rendo partecipi dei progressi delle indagini fino a questo momento. Abbiamo avuto richieste di informazioni da parte della stampa già ieri sera, perciò vi raccomando di tenere solo per voi quanto vi riferisco. L'unico autorizzato a dare informazioni alla stampa sono io. Va bene?» «Assolutamente sì» rispose l'agente Varatti. «Meglio così, che già una volta ne ho sentite quattro per avere detto una parola fuori posto a un cronista del Messaggero.» «Bene, allora proseguo» continuò Mantini. «Due anni fa Marina e Chiara, due gemelle di 8 anni, vengono schiacciate dalla libreria di casa che cade loro addosso mentre la madre faceva la spesa e il padre era al lavoro. Chiara muore, Marina entra in coma. La madre viene indagata e assolta per abbandono di minore. Il padre delle gemelle lascia la madre dopo molti litigi, perché la ritiene moralmente responsabile dell'accaduto.» Intervenne l'ispettore Morandi: «Ha già parlato con il responsabile di quelle indagini?» «No, non ancora. Stefania, per favore, prendine nota tra le cose da fare. Ci andrò nei prossimi giorni.» «Va bene» rispose il vicecommissario Molinari. Il vicecommissario era una trentenne che aveva rapidamente fatto carriera ed era stata promossa al posto del povero Carlo Ricci ucciso due anni prima.
22 Il rapporto del commissario Mantini con Ricci era stato spesso conflittuale. Mantini sapeva che la colpa era del suo brutto carattere dato che, specialmente dopo la morte della moglie, si era molto chiuso in se stesso. Dopo la morte di Ricci il commissario Mantini aveva sofferto di sensi di colpa così aveva cercato di mantenere dei rapporti migliori con i nuovi colleghi. Stefania e Sergio andavano d'accordo, inoltre Sergio e il fidanzato di Stefania erano entrati subito in sintonia sin da quando si erano conosciuti. Ogni tanto il commissario era stato invitato a feste di trentenni nelle quali, dopo le prime volte nelle quali si era sentito a disagio, aveva iniziato a divertirsi. Ora che il suo nipotino viveva da lui era più difficile gestire amicizie e conoscenze, così passava quasi tutte le serate a casa. Il commissario proseguì: «Ieri pomeriggio la madre di Marina, Beatrice, ha terminato di lavorare alle 16.30 ed è tornata a casa verso le 17. La bambina solitamente passa il venerdì pomeriggio con suo zio Riccardo, che in realtà è il prozio perché è il fratello del padre di Beatrice. Fa l'agricoltore vicino a Latina però passa i fine settimana a Roma dandosi il cambio con il suo collega. Il suo collega lavora dal venerdì al lunedì e lui dal lunedì al venerdì, così riescono entrambi a tornare a casa dai parenti quando sono liberi. Anzi, no. Non ho chiesto a Riccardo cosa faccia il suo collega dal lunedì al venerdì. No, Stefania, non prendere nota, non mi sembra importante.» «Vabbè, chiediglielo lo stesso» ribatté Stefania. «Ok, quando mi ricordo glielo chiedo. Riccardo era in ritardo così la zia Conchita, la sorella di Beatrice, è andata via da casa dopo pranzo confidando che Riccardo sarebbe arrivato presto. Non è però andata in questo modo, Riccardo è arrivato solo dopo le 17. La prima ad arrivare a casa è stata la madre, Beatrice, che ha trovato la porta dell'appartamento forzata, alcune sedie rovesciate per terra e Marina era scomparsa. Gli agenti che sono arrivati lì per primi hanno prestato attenzione al fatto che non venisse toccato nulla, così forse la scientifica potrà scoprire qualcosa di interessante. Vedremo a cosa ciò possa portare. La madre di Marina ha avuto una crisi di nervi e il suo medico le ha somministrato dei sedativi, così ieri non abbiamo potuto chiederle nulla. Il padre di Marina è imprenditore edile ma, a quanto diceva Conchita, probabilmente non se la passa così bene. Dicci tu, Stefania, che hai parlato con lui.» Stefania prese la parola: «Ieri, appena sono stata avvisata dal commissario Mantini, sono andata dal padre di Marina a comunicargli la notizia del rapimento. Sebastiano Fiore è quasi impazzito. Non so se ha avuto una crisi di nervi come quella di Beatrice, ma vi garantisco che non è stato uno spettacolo piacevole. Continuava a ripetere che non era possibile che tutte le disgrazie si abbattessero sulla sua famiglia. Comunque, quando si è calmato sono riuscita a porgli alcune domande. Mi ha detto che i suoi genitori sono morti da una decina d'anni, mentre suo fratello e sua sorella vivono in nord
23 Italia da circa vent’anni. Mi ha detto che ha tagliato completamente i rapporti con i suoi fratelli per via di due questioni. La prima è che lui si è dovuto accollare tutta la fatica di accudire i genitori durante le loro malattie. La madre di Sebastiano Fiore ha avuto un tumore e il padre poco dopo ha avuto un infarto. Il padre, pur se sopravvissuto all’infarto, non è mai riuscito a riprendere una vita normale. I fratelli non lo hanno mai aiutato e si sono fatti sentire solo per venire a reclamare la loro parte di eredità alla morte dei genitori. Ciò nonostante lui non ha tagliato i ponti con i fratelli. In seguito Sebastiano Fiore ha chiesto loro un piccolo prestito per le difficoltà economiche che stava incontrando nella sua attività, ma i fratelli gli hanno risposto picche. Fiore dice che in quel momento non avevano alcun problema economico e hanno proprio scelto di non aiutarlo. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da quel momento non li ha più voluti sentire. Gli ho chiesto se per caso qualcuno in famiglia si potesse permettere di pagare un eventuale riscatto di Marina. Lui ha risposto che suo fratello Alfredo avrebbe probabilmente i soldi per pagarlo, ma se avesse dovuto contare sui soldi di suo fratello allora Marina era già morta.» Riprese la parola Mantini: «Insomma per questo rapimento non abbiamo alcun sospetto, né un movente. Idee?» «Telecamere di sorveglianza nei pressi dell'edificio?» chiese Gloria Falzini. Gloria era la fidanzata del vicecommissario Ricci ucciso pochi anni prima. Era molto attenta e metodica nel suo lavoro così Mantini gli disse: «Occupatene tu. Facci sapere se ci sono telecamere di sorveglianza. Nel caso fatti dare le registrazioni e inizia a visionarle. Altro?» Fu Varatti a intervenire: «Bisogna mettere sotto sorveglianza i telefoni.» «Ho già fatto mettere sotto sorveglianza il telefono di casa Sardelli, perché potrebbe arrivare una richiesta di riscatto, ma ancora niente.» «No» proseguì Varatti. «Si devono mettere sotto sorveglianza anche i telefoni di tutti i familiari, compresi i fratelli di lui, non si sa mai. Potrebbe anche non arrivare mai una richiesta di riscatto, il rapimento potrebbe inquadrarsi come una vendetta personale, forse conseguenza di dinamiche interfamiliari che non conosciamo. Oppure potrebbe arrivare una richiesta di riscatto ai telefoni cellulari o di casa dei familiari e in tal caso non averli messi sotto sorveglianza si potrebbe rivelare un errore madornale.» «Va bene, di questo occupatene tu» rispose Mantini. «In che altra direzione possiamo puntare? Altre idee? Io pensavo di andare a chiedere qualcosa al dottore che ha operato Marina, magari ha visto qualcosa di strano nel periodo in cui era in ospedale e potrebbe riferircelo. Magari c’era qualcuno che osservava la bambina o i suoi familiari.» Intervenne Stefania. «Cosa fa il fidanzato di Conchita?» «Lavoretti in nero. Diciamo che è disoccupato e si arrangia.»
24 «Io andrei a informarmi da Conchita per capire esattamente cosa fa, non si sa mai.» «Va bene. Morandi, lei potrebbe tenere i rapporti con la scientifica e magari pressarli un poco perché si sbrighino a fornirci qualche informazione. Richieda anche le autorizzazioni per le intercettazioni telefoniche dal pubblico ministero. Si informi anche se Beatrice sta meglio così possiamo farci una chiacchierata.» «Vado subito.» «Domani, se non ci sono novità importanti, ci ritroviamo qui alle nove. Signori, la riunione è sciolta. Al lavoro. Con te, Stefania, ci troviamo nel primo pomeriggio dopo che hai parlato con Conchita e il suo fidanzato.» Mantini uscì dal commissariato e si recò presso l'ospedale “CTO Andrea Alesini” per parlare con il dottore che aveva operato Marina. Si fece annunciare, ma una volta che si sedette in sala d'aspetto dovette attendere oltre mezz'ora. Finalmente il dottore aprì la porta e invitò Mantini ad accomodarsi. Nello studio del dottore non c’era nessuno. Mantini si chiese per quale ragione avesse dovuto aspettare così a lungo dato che il primario si trovava in ufficio da solo. Ciò lo insospettì. «Buongiorno, dottore. Mi servirebbero alcune informazioni.» «Sono a sua disposizione.» «Potrebbe raccontarmi di Marina?» «Ero in servizio il giorno dell'incidente della libreria oltre due anni fa. Non ho potuto fare altro che constatare il decesso di Chiara. Siamo invece riusciti a salvare Marina che però è caduta in coma. A fine aprile ho proposto ai familiari un intervento per ridurre l'emorragia al cervello e i genitori hanno acconsentito.» Il dottore consultò degli appunti, poi proseguì, evitando però lo sguardo diretto del commissario: «L'otto di maggio ho operato Marina al cervello e nei giorni seguenti abbiamo rilevato dei segnali di miglioramento. Il 9 giugno la bambina si è risvegliata; ne ho seguito personalmente l'iter di riabilitazione e una volta alla settimana la sono andata a trovare a casa al fine di personalizzare la terapia.» «Immagino che non sia normale che un primario vada a visitare i suoi pazienti a casa loro.» «E' un caso particolare. Era da due anni che vedevo la bambina qui in coma tutti i giorni, quando si è risvegliata ho provato un interesse personale per il caso.» «Potrebbe farmi vedere la scheda della paziente?» Il dottore rifiutò energicamente: «Senza autorizzazione scritta non si può accedere a tali dati. Sono tenuto al rispetto della privacy per quanto riguarda i dati sensibili.»
25 Mantini non capiva perché il dottore si fosse inalberato in questo modo. Aveva solo chiesto di dare un’occhiata alla scheda della paziente, gli pareva una richiesta innocua. Era abbastanza comprensibile che il primario rifiutasse, ma il tono con cui quest'ultimo si era espresso lo fecero sospettare nuovamente che egli volesse nascondere qualcosa. «Va bene, non c'è problema. Consideri però che si tratta di un caso di rapimento, è una cosa seria. Ogni indizio potrebbe portare le indagini nella giusta direzione e il tempo stringe. Non potrebbe mostrarmi proprio nulla?» «Non se ne parla nemmeno» sentenziò il dottore. «Un'altra cosa» proseguì il commissario cambiando discorso. «Non è che per caso ha visto qualcuno aggirarsi in modo sospetto in ospedale intorno a Marina?» «Assolutamente no.» «Ne è certo?» «Durante la convalescenza sono venuti a trovare la bambina solamente i parenti più stretti. Non ho mai visto nessun altro.» «Bene» disse Mantini alzandosi dalla sedia. «Le lascio il mio numero di telefono. Se le viene qualcosa in mente mi chiami liberamente.» «Lo farò senz'altro» disse il dottor Sereni congedando il commissario. Mantini aveva notato che c’era qualcosa nell'atteggiamento del dottore che non lo convinceva per niente, era assolutamente certo che la verità che gli era stata raccontata fosse parziale. Non aveva però assolutamente idea di cosa il dottore intendesse tenere nascosto. Stefania e Sergio si trovarono nell'ufficio del commissario verso le 14:30. Il commissario riferì a Stefania del colloquio con il dottor Sereni, senza però informarla del suo sospetto che il dottore avesse taciuto qualcosa. Stefania invece raccontò a Sergio cosa era riuscita a sapere di Conchita e del suo fidanzato. Mario Colasanti, il fidanzato di Conchita, era un poco di buono. Era finito in galera ben due volte per rissa e ora passava le giornate giocando ai videopoker, buttando via alle macchinette quel poco che riusciva a guadagnare con dei lavoretti in nero. Mantini capì che poteva essere un personaggio da tenere sotto controllo. Poi, si ripropose di passare al più presto da Bartolomei per metterlo al corrente degli sviluppi del caso. Alle 15 Mantini incontrò alcuni giornalisti che chiedevano notizie riguardo al rapimento e alle indagini. Fece una breve relazione aggiungendo che non si sarebbe trascurata alcuna pista. Riferì anche che, al momento, non c'era stata alcuna richiesta di riscatto e che sarebbe stato opportuno non mettere sotto pressione la famiglia di Marina, già molto provata per la triste vicenda. Rispose solo a poche domande, poi interruppe la conferenza stampa perché era ora di passare a prendere il nipotino a scuola.
26 Mentre aspettava che aprissero le porte dell'asilo Sergio pensò che, per quanto potesse essere impegnativo accudire John, il piccolo nipotino gli riempiva la vita. Non avrebbe potuto più fare a meno di lui. Fino a pochi mesi prima del suo arrivo aveva cercato disperatamente una donna con cui costruire una vita in comune, ma da quando aveva iniziato a badare al bambino aveva compreso che non aveva bisogno di una donna, ma di una famiglia. Non vedeva l'ora che sua figlia si trasferisse a Roma. L'ultima sua relazione duratura era stata con Anna Ciuffa, una prostituta, con la quale si era frequentato fino a due anni prima. Tre anni prima, durante le indagini del caso più difficile della sua carriera, aveva conosciuto la zia di Anna, Simona, incontrata una sola volta durante un’incredibile notte. L'incontro era avvenuto nei pressi di Civita Castellana, in una casa diroccata nel bosco che sembrava infestata dai fantasmi. Simona era stata la pedina fondamentale che gli aveva permesso di risolvere il caso. In realtà Sergio e Simona si erano salvati la vita a vicenda. Lei lo aveva messo al corrente di alcune informazioni riguardanti l’assassino senza le quali il commissario avrebbe potuto rimetterci le penne, lui aveva elaborato un piano che aveva permesso di risolvere l'intricato caso salvandola dalle grinfie del folle maniaco. Simona era l'unica, oltre a lui, a conoscere tutti i retroscena del caso. Neanche il pubblico ministero era stato informato in maniera completa riguardo a ciò che in realtà era successo. Lui e Simona non si erano più sentiti da quell'unico decisivo incontro, per questo fu per lui una grande sorpresa ricevere una sua telefonata. Il telefono squillò appena era entrato in casa con John. «Pronto, chi parla?» «Sono Simona.» «Simona chi?» «Simona Ciuffa, la zia di Anna.» Il commissario ammutolì, dopo qualche secondo Simona proseguì: «Pronto? E' caduta la linea?» «No, sono qui. E' da tanto che non ci sentiamo.» «Già. Volevo sapere come stavi dopo così tanto tempo. Avrei piacere di incontrarti, così, per una chiacchierata.» «Va bene. Quando sei libera?» «Giovedì prossimo? A cena?» Il commissario fece mente locale e ricordò che era proprio la sera in cui sarebbero arrivati i suoceri di Lucia: «No, ho già un impegno inderogabile. Mercoledì?» «Sì, va bene mercoledì. Avevo un mezzo impegno ma mi libero. Dove ci troviamo?» «Ho voglia di pizza.»
27 «Allora decidi tu la pizzeria. Ti mando un sms con il mio indirizzo. Passi a prendermi alle 8, va bene? Hai sempre lo stesso numero di cellulare?» «Sì, lo stesso numero, passo a prenderti io.» «Ciao.» «Ciao.» Il commissario ripensò a Simona, almeno per come la ricordava dopo quell’unico incontro. Una donna bella e intelligente. Era piccolina, alta circa un metro e sessanta, vita stretta, capelli neri raccolti a chignon e vestita di nero. L’aveva intravista nella penombra di una stanza illuminata solo da poche candele. L’aveva poi incrociata mentre usciva dalla casa dell’assassino il giorno dopo e non era certo di ricordare bene i lineamenti del suo viso. Simona si era nascosta per oltre venti anni per evitare che l'assassino a cui lui aveva dato la caccia la trovasse ed era stata così spietata da eseguire il piano che il commissario aveva elaborato in un momento di lucida disperazione. Il commissario era contento di incontrare nuovamente Simona. Era curioso di vedere come fosse cambiata. Era una donna interessante e cominciò a chiedersi per quale ragione Simona volesse incontrarlo. Il commissario, come molti uomini avanti con gli anni, si illudeva inconsciamente che Simona fosse interessata a lui da un punto di vista sentimentale, ma non voleva ammetterlo con se stesso.
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Giovedì 12 settembre 2013 Francesco Paoli posteggiò la sua automobile nei pressi della scuola elementare frequentata da Marina. Francesco aveva preso l'impegno con Beatrice, la madre di Marina, di riaccompagnare la figlia a casa tutti i giovedì pomeriggio, in quanto il giovedì a quell’ora Beatrice e sua sorella Conchita si trovavano entrambe al lavoro. Era la prima volta che adempieva a questo compito e ancor prima di iniziare si era già pentito di aver dato la sua disponibilità. Francesco era un bel ragazzo, magro, atletico e sempre esageratamente attento al suo aspetto; qualcuno lo avrebbe potuto definire un metrosessuale. Nel suo animo si era sempre sentito un artista. Era appassionato ed esperto musicale e recensiva per alcuni siti internet e per alcuni periodici della capitale le ultime novità discografiche. La sua grande cultura musicale gli permetteva di confrontare i lavori degli artisti contemporanei con quelli dei più famosi musicisti di tutto il secolo precedente. Purtroppo con la cultura non si mangia, almeno in Italia, e ciò che guadagnava da questa sua passione non sarebbe bastato a sbarcare il lunario, così si guadagnava da vivere lavorando come guardia giurata per una nota azienda di sicurezza. Qualche anno prima veniva chiamato come tecnico del suono durante le esibizioni dal vivo di numerosi gruppi italiani e stranieri, ed era anche ben pagato perché era capace di creare sempre, trovando i corretti bilanciamenti, il tipo di suono dal vivo che gli veniva richiesto. La sua fidanzata, che al momento frequentava da tre anni, aveva insistito perché non dedicasse tutto questo tempo alla musica, voleva che Francesco dedicasse più tempo a lei. Lui l’aveva accontentata, poi le cose non erano andate come lui avrebbe voluto. Lui e la sua fidanzata avevano fissato le nozze per aprile 2013, ma in dicembre lui aveva scoperto che lei portava avanti da oltre cinque anni una relazione con un noto chitarrista di Roma. Quando scoprì l’inganno la loro relazione terminò, lei sposò il suo amante in dicembre e, ciliegina sulla torta, Francesco aveva saputo durante l’estate che la sua ex aspettava un bambino. Francesco viveva come un fallimento personale il fatto di non essersi reso conto di chi era veramente la sua fidanzata e temeva che non sarebbe stato più capace di fidarsi di un’altra donna. A causa sua aveva perso di vista tutti i suoi amici più stretti che precedentemente frequentava in ambito musicale.
29 Gli rimaneva solo il lavoro e la sensazione di avere puntato per anni sul cavallo sbagliato. Marina uscì da scuola, lo vide e gli si avvicinò zoppicando vistosamente. La muscolatura del viso di Marina era in alcuni tratti rigida, Francesco sapeva che la bambina doveva ancora riprendersi completamente dai due anni di coma. Salirono in auto. Appena lui accese la vettura l'autoradio iniziò a intonare ad alto volume Taro degli Alt-J, un brano tratto da An awesome wave, uno dei migliori album del 2012 secondo le riviste specializzate. Marina rimase in silenzio ad ascoltare il brano. Solo quando terminò chiese a Francesco: «Che canzone era?» «Taro, degli Alt-j. So che alla vostra età ascoltate altro. Se vuoi ti metto musica da discoteca.» «No, sento quello che vuoi tu. Di cosa parlava la canzone? Ho capito molto poco dal testo in inglese.» «La canzone prende il nome dallo pseudonimo di Gerta non mi ricordo il cognome, moglie di Andree non mi ricordo il cognome. Insieme hanno inventato lo pseudonimo di Robert Capa, fantomatico fotografo americano che ha vinto numerosi premi per i reportage di guerra.» «Conosco la storia» rispose Marina. «Lei morì giovane schiacciata da un carro armato e Robert Capa continuò per anni a gettarsi in imprese sempre più rischiose fino a che non trovò la morte in Indocina.» «Come fai a sapere queste cose?» «Non ne ho idea. Non ricordo nulla di prima dell’incidente. Non so perché ricordo certe cose. Forse mia madre aveva un libro di Robert Capa nella libreria che mi è caduta addosso qualche anno fa e magari io lo avevo letto. Dovrò chiederlo a mia madre. Comunque era proprio una bella canzone. Mi fai sentire qualche altro brano degli ultimi anni? Come sai mi sono persa parecchie novità.» «Ci penso io a farti recuperare il tempo perduto» rispose Francesco. «Scrivo recensioni musicali. La musica è molto più che un hobby.» Francesco, tramite il lettore MP3 collegato all'autoradio, le fece ascoltare ad alto volume alcuni brani di Sundark and Riverlight di Patrick Wolf, dicendole: «Gli arrangiamenti ricordano quelli della musica da camera rinascimentale. Patrick Wolf è un musicista inglese non molto conosciuto in Italia.» Ascoltarono la musica senza più parlare fino a che arrivarono a casa. Quando lui posteggiò nel parcheggio sotterraneo l'autoradio si spense e Marina commentò: «Due brani bellissimi, come si chiamavano?» «Bitten la prima e Bermondsey Street la seconda canzone.» «Mi ricordava qualcosa, ma non sono sicura.» «Cosa?»
30 «Certi arrangiamenti degli anni quaranta di musica da camera, ma non erano cantati. Achille Longo?» «Secondo me Achille Longo faceva musica totalmente diversa da Patrick Wolf» disse Francesco girandosi verso Marina e guardandola negli occhi. «Ma come fai a conoscere Achille Longo?» Marina lo guardò con lo sguardo più innocente del mondo: «Non lo so.» Presero l'ascensore e arrivarono al pianerottolo, Marina invitò Francesco a casa sua per bere un caffè, glielo avrebbe preparato lei. Francesco accettò e rimase in silenzio a guardarla, Marina lo aveva stupito. Era rimasto molto colpito dalla conversazione in automobile. Marina versò del caffè per Francesco mentre versò per se stessa del succo di albicocca in un bicchiere, e lo gustò come se quel sapore fosse l’unica cosa importante al mondo: «Ora che sono tornata a vivere voglio godermi al massimo le piccole cose. Il dottore mi ha detto che non sono ancora fuori pericolo. Se entro un anno non ci saranno ricadute allora probabilmente non ne rischierò più, ma per il primo anno devo considerarmi costantemente a rischio. Voglio godere di ciò che di bello può offrire la vita.» Al pensiero di ciò che aveva passato quella bambina Francesco si ritrovò a considerare la sua disavventura sentimentale come qualcosa di poco conto. Poi lei gli chiese: «Raccontami di te. Da quando ti ho visto per la prima volta ho notato che hai lo sguardo triste come se ti fosse caduto il mondo addosso. Sei sempre stato così?» «No, veramente no.» «E allora?» «La mia fidanzata mi ha tradito, ci siamo lasciati. Ci saremmo dovuti sposare in aprile. Lei invece ha sposato da poco quello che prima era il suo amante e ora aspetta un bambino. Io ho tralasciato gli amici per stare con lei e ora mi ritrovo senza fidanzata e senza amici. Non è così grave come quello che hai passato tu, però non ne sono ancora venuto fuori.» «Se ti mancano amici io posso essere tua amica. Abbiamo quest'ora a disposizione ogni giovedì, mi piace parlare con te. Se hai bisogno di parlare con qualcuno io ci sono.» «Grazie» rispose Francesco finendo il caffè. Si sentiva a suo agio mentre parlava con la bambina, ma nel contempo provava anche disagio e non riusciva a spiegarsi il perché. Era come se qualcosa si trovasse fuori posto e sentì il bisogno di andare via, non voleva che Beatrice lo trovasse lì. «Ciao, Marina. Ci vediamo il prossimo giovedì.» «Ciao. A giovedì.»
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Domenica 20 ottobre 2013 Domenica o non domenica, comunque si lavora, fu la prima cosa che pensò Mantini svegliandosi la mattina di domenica 20 ottobre 2013. Erano le 7 e il suo nipotino non si era ancora svegliato. Si ricordò solo allora che si era dimenticato di chiedere se la babysitter, Erika, fosse libera di domenica. Un bel problema, ma la faccenda del rapimento lo aveva preso completamente e proprio non gli era venuto in mente che di domenica il pargoletto doveva tenerlo lui. Provò a telefonarle ma, come si aspettava, il telefonino era spento. Non c’era altro da fare che portarsi il nipotino in ufficio. Prima che il nipotino venisse ad abitare da lui Mantini usciva ogni mattina a comprare il giornale, così si gustava la colazione leggendosi le ultime notizie, ma adesso non poteva lasciare il bimbo da solo a casa. Mangiò qualcosa leggendo distrattamente le principali notizie su internet, rimanendo seduto con lo sguardo perso per circa un’ora, poi svegliò il nipotino. John aprì gli occhi, vide il nonno e lo abbracciò forte forte chiedendogli di restare abbracciato a letto con lui. Tra una cosa e l'altra riuscì ad arrivare in ufficio solo per le nove e meno male che aveva pensato a portare alcuni giochini per tenere impegnato John durante la riunione. Quando arrivò erano già tutti presenti, mancava solo lui. Gloria Falzini sorrise al piccolo John e disse al commissario: «Che bella sorpresa! E' il suo nipotino?» «Sì, si chiama John Hoang.» «Ha dei bellissimi occhietti a mandorla. Un amore!» John apprezzò molto i sorrisi di Gloria e le andò incontro lasciando cadere per terra la macchinina che stringeva in mano. Gloria allora disse a tutti: «Vi relaziono velocemente e poi gioco qui per terra con il bimbo, così potete discutere senza interruzioni. Ci sono 6 telecamere nel parcheggio sotterraneo e altre 4 nei pressi del condominio. Due delle telecamere che si trovano vicine al condominio sono le telecamere di sicurezza di una banca, un'altra telecamera si trova davanti a una gioielleria e l'ultima si trova a un incrocio. Quest'ultima è del comune che mi ha già fornito le registrazioni, ma è inutile visionarle dato che non so neanche cosa devo cercare. Dovrò cominciare a visionare le registrazioni delle telecamere di sicurezza del garage. Le registrazioni sono della Si.P.Ro., acronimo per Sicurezza Privata Romana,
32 alla quale ho presentato richiesta ieri. Mi hanno risposto che mi faranno avere le registrazioni oggi in mattinata, nonostante sia domenica, perché si rendono conto dell’urgenza. Dovrò visionare le registrazioni di 6 telecamere dalle 14 alle 17 di pomeriggio, quindi mi serviranno 18 ore di visione. Se trovo qualcosa vi faccio sapere.» Il bambino intanto scalpitava. «E adesso giochiamo!» gli disse Gloria sedendosi e posando per terra dei fogli di carta e delle matite colorate. Il commissario ringraziò Gloria e poi chiese a tutti: «Altre novità?» Morandi intervenne per primo: «Beatrice sta ancora male, ma sono stato da lei. E’ a casa. Non le ho fatto alcuna domanda. Io non volevo chiederle nulla perché è compito del commissario porle le opportune domande, ma in ogni caso Beatrice mi ha detto che avrebbe parlato solo con il responsabile delle indagini. La scientifica non ha ancora esaminato un bel nulla. Io telefono ogni sei ore per mettergli fretta. «Va bene» rispose Mantini. «Andrò a parlare con Beatrice, tu tieni sotto pressione la scientifica. Altro?» «Sì» disse Varatti. «I telefoni di tutti i familiari sono sotto sorveglianza. Niente da segnalare. Non ci sono richieste di riscatto né telefonate sospette. Però c'è una cosa che non mi è chiara.» «Cosa?» chiese Mantini. «Non risultano telefonini intestati a Riccardo Sardelli.» «Conchita ha detto che lo ha chiamato sul cellulare, quindi dovrebbe averne uno. Continua a cercare il suo numero.» «Va bene.» «Avvisami a qualsiasi ora se c'è qualche telefonata che ci possa mettere su una qualsiasi pista. Vicecommissario Molinari?» «Io ho parlato con Conchita e il suo fidanzato Mario Colasanti.» «Bene, informaci.» «Il commissario sa già che ho chiesto a Conchita del suo fidanzato. Lei mi ha fatto capire che è un poco di buono. Sono passata ieri pomeriggio da casa sua ma non era lì. Vive ancora con i genitori ed è disoccupato nonostante i suoi 35 anni. La madre mi ha detto che probabilmente si trovava al bar sotto casa. In realtà non si trovava lì, ma il barista mi ha detto che probabilmente l'avrei trovato in un'agenzia di scommesse lì vicino. Infatti si trovava proprio davanti all'ingresso dell'agenzia e c’erano due brutti ceffi che lo stavano spintonando. Mi sono qualificata come vicecommissario di polizia e quei due signori si sono allontanati. Mario mi ha ringraziato e mi ha spiegato che aveva contratto dei debiti di gioco, così quelle due persone minacciavano ritorsioni contro di lui o contro la sua famiglia. Lui mi ha detto che già da una settimana prometteva loro che avrebbe pagato presto.» «Entità del debito?» «Tremila euro.»
33 «E come pensava di restituirli?» «Mi ha detto che aveva un lavoretto da fare, ma non è sceso nei particolari.» «Tu cosa ne pensi, Stefania?» «Per me non ha a che fare con il nostro caso, la cifra di cui si parla non è tale da giustificare il rapimento di un minore. I due tipi che lo spintonavano probabilmente fungevano da esattori per qualche usuraio. Mario si sarà ripromesso di fare dei lavoretti in nero, non so quanto legali, per racimolare la quota richiesta.» «Concordo. Allora io direi di non seguire direttamente questa parte dell’indagine ma deleghiamola a qualcun altro che non faccia parte del nostro gruppo. Non è il caso di disperdere tutte le nostre energie cercando qualcosa che non abbia a che fare direttamente con il rapimento. Stefania, ti occupi tu di trovare qualcuno?» «Ci penso io domani. Ok.» «Bene. Riferisco io, adesso. Ho parlato con il primario. Mi ha detto che non ha notato alcun sospetto in ospedale e non ha idea di chi possa avere rapito la bambina. Nulla di nulla. Gloria, oggi puoi iniziare a vederti un po' di registrazioni, anche se è domenica? Recupererai con un giorno di ferie in settimana.» «Nessun problema.» «Morandi, insisti con la scientifica. Varatti, insisti con le intercettazioni. Molinari, andiamo a parlare con Beatrice. Anche per voi, stesso discorso: appena finisce l'emergenza recuperiamo le domeniche in cui abbiamo lavorato. Riunione sciolta.» Poi si rivolse al vicecommissario: «Stefania, aspetta un attimo che devo fare una telefonata.» Mantini chiamò di nuovo la babysitter, Erika, che stavolta rispose al telefono e disse che sì, era disponibile a tenere il bambino fino alle 16, poi aveva degli impegni. Mantini, sollevato, le disse che non c'era problema e che per le sedici sarebbe rincasato. Stefania Molinari si avviò verso l'appartamento di Beatrice Sardelli. Sergio Mantini accompagnò a casa John per poi raggiungere il vicecommissario da Beatrice. A Mantini squillò il telefono proprio mentre posteggiava sotto casa di Beatrice: era sua madre, Sandra, che voleva vedere il nipotino. Le disse che sarebbe andato a cena da lei con il bambino l'indomani sera. Il commissario salutò Stefania e Beatrice, che erano sedute sul divano del soggiorno, e si sedette. Riccardo si avviò verso la cucina informando tutti che avrebbe preparato un tè per chi lo desiderasse e tutti risposero di sì. La signora Sardelli sembrava essersi ripresa, almeno parzialmente. Il colorito del suo viso era molto pallido ma nonostante ciò sembrava in grado di rispondere alle domande della polizia.
34 «Salve, signora Sardelli. Sono Sergio Mantini, il commissario responsabile delle indagini sul rapimento di sua figlia. Lei è Stefania Molinari, vicecommissario. Le garantisco che stiamo facendo tutto il possibile per trovare Marina e abbiamo bisogno di farle qualche domanda per indirizzare meglio le indagini.» «Sì» rispose la signora, con lo sguardo fisso da qualche parte oltre la finestra. «Mi racconti cosa è successo.» «Sono rientrata a casa poco prima delle 17. Ho trovato la porta aperta e forzata, ho visto le sedie per terra e ho capito che era successo qualcosa. Ho girato tutta la casa chiamando Marina, ma lei non c'era. Ho provato a chiamare Francesco, il dirimpettaio, ma non era in casa. Ho telefonato a Riccardo e a mia sorella. Riccardo era per strada e mi ha detto di chiamare la polizia. Riccardo è arrivato poco dopo, mia sorella è corsa qui. Poco dopo è arrivata una pattuglia della polizia. Il resto lo sapete già.» Il commissario non sapeva cos'altro chiedere, tutti avevano dato la stessa versione. Fu la signora a proseguire: «Sono molto preoccupata perché Marina deve prendere regolarmente le medicine.» «Che medicine deve prendere?» «Non ricordo i nomi delle medicine, le teneva Marina in camera sua.» «Di solito sono i genitori a dare le medicine ai bambini, Marina le assumeva da sola?» chiese perplessa Stefania. «Sì, doveva prendere le pastiglie a orari fissi e spesso in quegli orari era a scuola. Comunque Marina è sempre stata estremamente diligente, sin da quando era più piccolina. Mi fido di lei. Se dice che prenderà una medicina a una certa ora io sono certa che lo farà. Comunque credo che le medicine le abbia portate via la polizia scientifica, perché in camera sua non ho trovato nulla. Il dottore ha detto che se Marina non prende le medicine regolarmente la sua salute potrebbe rapidamente peggiorare e, addirittura, cadere nuovamente in coma.» Mantini non capiva. Perché mai il dottore non gli aveva fatto cenno delle medicine che Marina doveva assumere con regolarità? Perché non gli aveva neanche accennato ai rischi in cui sarebbe incorsa Marina se per un periodo non avesse preso i medicinali? «Scusi, signora» chiese il commissario. «Il dottor Sereni veniva spesso a visitare Marina?» «Sì, una o due volte la settimana, Più spesso due volte. Voleva visitarla da solo e si chiudevano in camera di Marina per non più di un quarto d'ora. Poi uscivano dalla camera e allora ce ne stavamo un po' qui a chiacchierare di Marina o del più e del meno.» «Non è strano che un dottore visiti una bambina, per giunta a casa sua, senza la presenza dei genitori?»
35 «Era Marina che desiderava essere visitata dal dottore senza la nostra presenza. Il dottore non ha mai espresso alcun desiderio di rimanere da solo con la bambina. Non so perché Marina si comportasse così. Il dottore le ha salvato la vita così immagino che lei abbia sviluppato con il suo medico un fortissimo legame. Lei non ricordava più nulla della sua vita precedente, quindi doveva ricostruire il suo legame con tutti noi. Il dottore era forse la persona più importante in questa sua nuova vita. Almeno, questa è l'interpretazione che io ho dato al comportamento di Marina.» In quel momento Riccardo servì a tutti una tazza di tè, dicendo che era tè dell'Afghanistan e che glielo avevano portato direttamente da lì. «Ci può parlare un poco della bambina. Che tipo era?» «Chiara, la gemella, aveva un carattere più esuberante, Marina è invece stata sempre una bambina molto posata. Avete presente la classica brava bambina? Ecco, proprio così. Mi sembra ancora incredibile che sia accaduto l'incidente con la libreria due anni fa. Dalle indagini è emerso che era stata Marina ad arrampicarsi più in alto, mi avrebbe stupito di meno se invece fosse stata Chiara.» Mantini si ripropose di discutere di questo fatto con il commissario che aveva seguito il caso dell'incidente. «E poi» aggiunse la signora Sardelli, «c'è la faccenda del diario.» Stefania e Sergio caddero dalle nuvole. «Quale diario?» chiesero quasi in coro. «Marina e Chiara avevano un diario. Scrivevano insieme su di esso, poi dopo l'incidente non l'abbiamo più trovato.» «Sapete cosa scrivessero le bambine nel diario?» chiese Mantini rivolgendosi a tutti i presenti. «Io non l’ho mai letto» disse Beatrice. «Rispettavo il diritto delle bambine a tenere i loro segreti.» «Io l'ho letto» intervenne Riccardo. «Ma non c'era nulla che possa essere utile alle indagini. Era solo un diario di due bambine di otto anni.» «Non mi avevi mai detto che lo avessi letto» disse Beatrice guardando Riccardo, stupita. «Volevo controllare che le bambine non si mettessero nei guai.» Beatrice prima redarguì lo zio: «Non si fanno queste cose.» Poi si rivolse a Mantini e a Molinari: «Dopo l'incidente abbiamo buttato via tutti i libri che erano in casa, forse abbiamo buttato anche il loro diario, anche se non me ne ricordo.» «Beh, allora può esserci una spiegazione per la sua sparizione.» «Sì, ma adesso è sparito anche il diario che Conchita ha regalato a Marina dopo l'incidente.» Era la prima volta che venivano a conoscenza del fatto che Marina tenesse un diario. Nel diario avrebbero potuto trovare importanti spunti per le
36 indagini. La signora Sardelli continuò: «Ho cercato dappertutto ma il diario non si trova. Ho paura che lo abbia preso il rapitore insieme alla bambina.» «Io non ho mai visto il diario di Marina» intervenne stupito Riccardo. «Non sapevo neanche che ne tenesse uno.» In Mantini si insinuò il dubbio che la bambina fosse a conoscenza di qualcosa che non avrebbe dovuto conoscere e che quindi il rapimento non avesse come scopo il pagamento di un riscatto, ma l’eliminazione di una pericolosa testimone. Che forse c'entrasse il dottore con questo mistero? E Riccardo? Possibile che veramente, dopo aver letto il diario delle due gemelle, non avesse mai letto quello di Marina due anni dopo? Che nascondesse qualcosa anche lui? Questo ragionamento venne parzialmente spazzato via nei due minuti seguenti. Squillò il telefono, tutti si girarono a guardarlo ma nessuno lo prese. La signora Sardelli dopo qualche secondo si alzò e prese la cornetta, mettendo il viva voce come gli aveva spiegato Morandi: «Pronto?» «Signora Sardelli?» «Sì.» «Sua figlia sta bene. Ci faremo vivi noi per la richiesta di riscatto.» L'interlocutore mise giù la cornetta. Mantini telefonò immediatamente con il suo cellulare a Varatti: «Da dove arrivava la telefonata?» «Nord Italia. Ci sto lavorando. Tra cinque minuti la richiamo.» Rimasero in silenzio ad aspettare la telefonata di Varatti che arrivò qualche minuto dopo. «Commissario.» «Sì.» «Un cellulare in provincia di Padova, non posso essere più preciso. Abbiamo il numero da cui è partita la telefonata.» «Si metta subito in contatto con il commissariato di Padova e faccia svolgere subito rapide ricerche sul proprietario del numero di telefono.» «D'accordo, commissario» concluse Varatti chiudendo la conversazione. «E' incredibile» disse la signora Sardelli. «Nessuno di noi ha abbastanza soldi per pagare un riscatto, non ha senso.» Sergio e Stefania uscirono da casa Sardelli. Stefania andò a casa sua, Sergio controllò invece l’ora sul cellulare. Era mezzogiorno. Ripensò al comportamento del primario e si convinse che aveva sicuramente qualcosa da nascondere. Ma che cosa? Aveva tempo fino alle quattro prima di dover rientrare a casa, così preferì mangiare un panino in un bar. Aveva bisogno di restare da solo, doveva pensare. Il dottore non aveva voluto mostrargli la scheda della paziente e per giunta aveva risposto in modo brusco. Non aveva fatto cenno ai medicinali che doveva prendere Marina nonostante fossero indispensabili per evitarle complicazioni anche molto gravi. Visitava la
37 bambina senza testimoni. Se due indizi fanno una prova qui di prove ce n’erano fin troppe. Avrebbe dovuto mettere sotto sorveglianza il dottore, ma non poteva disturbare Bartolomei solo per ottenere questa autorizzazione. Però non poteva procrastinare, così trovò qualcos’altro da dire al pubblico ministero. Gli telefonò a casa alle 14. Bartolomei rispose al settimo squillo. «Pronto, chi parla?» «Commissario Mantini. Ci sono sviluppi.» «Stavo facendo il mio sonnellino pomeridiano. Oramai che mi ha svegliato passi pure da me e mi racconti tutto. Ci tocca lavorare anche di domenica?» «Non mi dica niente, che è quello che sto facendo da stamattina. Vengo subito.» Mantini si recò a casa di Bartolomei e riassunse gli ultimi sviluppi. Chiese l'autorizzazione per indagare su Mario Colasanti, il fidanzato di Conchita, e Bartolomei acconsentì subito. Poi fece un resoconto dei suoi sospetti sul dottor Sereni, ma Bartolomei fu irremovibile: «Non se ne parla nemmeno, commissario. Parliamo di un dottore tra i più bravi in Italia, ha salvato la vita a Marina e lei pensa che abbia a che fare con il rapimento? Faceva prima a ucciderla in ospedale e senza rischi.» «Non penso che abbia a che fare con il rapimento, credo però che nasconda qualcosa e forse è proprio quello che potrebbe indirizzare le indagini nella giusta direzione. Il suo comportamento è sospetto. Sa di più di quel che dice.» «Se anche fosse vero non ha comunque a che fare con il rapimento. Lasci stare in pace il dottore Sereni.» Mantini abbozzò, su Paolo Sereni non si poteva indagare. Avrebbe dovuto farsene una ragione.
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Giovedì 19 settembre 2013 Francesco si sentiva combattuto. Da un lato gli faceva piacere andare a prendere Marina a scuola. Sapeva che era una buona azione e ciò lo faceva sentire bene, ma si sentiva anche in colpa. Non riusciva a realizzare per quale ragione provasse dei sensi di colpa in quanto era consapevole di non aver fatto nulla di male. Marina uscì dal cancello della scuola, si avvicinò a Francesco e gli sorrise. Francesco la osservò e pensò che, nonostante fosse passata solo una settimana da quando era andata a prenderla a scuola per la prima volta, gli sembrava che zoppicasse già di meno. Il viso di Marina era più espressivo rispetto alla settimana precedente, la sua salute era evidentemente in miglioramento. «Ciao. Cosa mi fai sentire oggi?» «Non ci ho pensato.» «Non è vero» disse lei salendo in auto. «Sono sicura che ci hai pensato.» Marina aveva ragione, lui ci aveva pensato, aveva già deciso cosa farle ascoltare: «Ti piace l'elettronica?» «Cos'è?» «Musica elettronica, musica creata da sintetizzatori elettronici. Spesso non ci sono strumentisti che suonano un loro strumento vero e proprio, il compositore crea i brani armeggiando in studio con computer e schede audio che riproducono fedelmente il suono di strumenti reali o il suono di strumenti inventati. E’ troppo complicato?» «No, ho capito.» «Ti faccio sentire un brano tratto da uno dei migliori album di musica elettronica/jazz del 2011, Limit to your love di James Blake.» «Avevi già deciso di farmi sentire questo, vero?» «Sì» le rispose Francesco sorridendo nervosamente. Le dava fastidio che lei gli leggesse dentro con tanta facilità. Durante il brano Marina chiuse gli occhi per ascoltare con la massima attenzione possibile. Francesco, durante la guida, si girò spesso a osservarla. Al termine del brano abbassò il volume e le chiese: «Che te ne pare?» «Il tempo. Ha usato il tempo in maniera molto originale. Il silenzio era parte integrante della musica. E' andato oltre la lezione di John Cage.»
39 Francesco non capiva come fosse possibile che una bambina di dieci anni conoscesse anche John Cage; un brivido gli corse lungo la schiena: «Come fai a conoscere John Cage?» «Ti ho già risposto la scorsa settimana. Non ne ho idea. Non sapevo neanche di conoscere John Cage fino a che non ne ho parlato adesso con te. Si vede che a causa dell’amnesia le mie conoscenze sono a un livello inconscio e non mi rendo conto di esse fino a che non è il momento di utilizzarle.» Marina pensò però che avrebbe fatto meglio a evitare di citare John Cage. Si vedeva chiaramente che Francesco non aveva gradito e lei non voleva risultare sgradita a nessuno e tantomeno a Francesco. Francesco rimase in silenzio, senza proporle altri brani musicali, fino a quando parcheggiò l'auto. Quando Francesco spense l’autovettura Marina le chiese: «Ho fatto qualcosa che non va?» «No, Marina. Niente che non va. Solo che mi sento a disagio. Forse è colpa mia.» «Capisco. E' strano che io conosca John Cage e Achille Longo. Non so perché li conosco. Non devi sentirti a disagio.» Francesco aprì la macchina e scese, Marina lo seguì e si avviarono verso i loro appartamenti. Quando giunsero al loro pianerottolo Marina invitò Francesco a bere un caffè da lei. Francesco rifiutò accampando come scusa un appuntamento con un suo collega. Marina non insistette ed entrò in casa. Francesco non entrò subito in casa, ma scese per fare una passeggiata. Immaginava che Marina avrebbe controllato dallo spioncino cosa avesse fatto e non voleva che Marina capisse che gli aveva mentito. Passeggiò per oltre un'ora. Non riusciva a capire cosa lo mettesse così a disagio in Marina. Si rendeva conto che un pensiero, come un tarlo, lo tormentava. Questo pensiero non voleva venire a galla, rimaneva sommerso nel suo inconscio ed era questo pensiero, più che Marina, la causa del suo malessere. Ma lui non riusciva a mettere a fuoco questo pensiero e ciò gli creava il forte senso di disagio che provava ogni volta che la incontrava. Rientrò a casa per prepararsi qualcosa da mangiare. Proprio mentre trafficava ai fornelli il terribile pensiero che stava cercando di nascondere a se stesso emerse dal subconscio. Si spaventò dei suoi stessi pensieri e si distese a letto mentre i suoi battiti cardiaci acceleravano. Si rese conto di non conoscere se stesso così bene come pensava.
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Lunedì 21 ottobre 2013 In commissariato alle nove di mattina Mantini incontrò i suoi colleghi per fare il punto sulle indagini. Erano tutti presenti e in orario. Mantini prese la parola e riferì riguardo agli ultimi sviluppi. «Salve a tutti. Ci sono state alcune novità. Ieri sera è arrivata una richiesta di riscatto da un numero di Padova. Varatti, hai trovato qualcosa?» «Sì, commissario. Ho sentito telefonicamente il commissariato di Padova. Il telefonino da cui è partita la telefonata è intestato a un giovane di 20 anni, Enrico Piovesana. Sono scattate immediatamente le indagini sul giovane che è stato bloccato al suo rientro a casa da due agenti. Mi hanno detto che quando sono arrivate le forze dell’ordine per poco alla madre del giovane veniva un colpo. Piovesana è iscritto al secondo anno di ingegneria a Padova. Ha raccontato che ieri pomeriggio, quando è stata fatta la telefonata, si trovava in palestra pesi. Aveva lasciato il cellulare negli spogliatoi, dentro il suo giaccone, e non lo ha più trovato. Si è accorto del furto solo al termine dell'allenamento e ha detto agli agenti che avrebbe sporto denuncia in data odierna. Gli agenti hanno chiesto a Piovesana se l’accesso ai locali della palestra fosse permesso solamente agli iscritti alla società sportiva, lui ha risposto che in teoria sì, l’accesso è permesso solo agli iscritti, ma non ci sono controlli all'ingresso, quindi potrebbe essere entrato chiunque.» «Insomma, un vicolo cieco. Ci sono telecamere all'ingresso della palestra?» «No, ho chiesto.» «Il ragazzo potrebbe avere mentito?» «Il commissario di Padova mi ha detto che secondo lui il giovane non c'entra niente. Evidentemente chi voleva telefonare per rivendicare il rapimento ha rubato un telefono per non essere rintracciabile.» «Bisogna chiedere alle compagnie telefoniche l’elenco di tutti i telefoni attivi nei pressi della palestra durante l'ora del furto, poi si possono escludere quelli degli iscritti alla palestra e vedere se tra gli altri numeri salta fuori qualcosa di interessante. Morandi. Potresti occupartene te? So che hai parenti da quelle parti.» «Ho zii e cugini a Ferrara. Sì, vado volentieri, me ne occupo io. Se trovo qualcosa mi faccio vivo.» «C’è altro?» chiese Mantini.
41 «La scientifica dovrebbe portarmi oggi i risultati dei rilievi. Se c'è qualcosa di urgente le telefono, altrimenti dico a Tomas Gloria di venire domani mattina all'incontro delle nove per relazionare al posto mio.» «Va bene. Varatti, altre novità sui cellulari dei familiari?» «Sì» rispose Varatti soddisfatto. «Ascoltate questa telefonata partita dal cellulare del padre di Marina alle 23 di ieri sera.» Tutti prestarono attenzione mentre Varatti poggiava un piccolo registratore sul tavolo e schiacciava play. “Pronto, chi parla?” “Grandissimi stronzi e figli di puttana!” “Uhe calma, chi è?” “Sono Sebastiano Fiore, sono. Ci dovete lasciare in pace! Mia figlia non c'entra niente!” “Ma che cazzo vuoi? Ma vaffanculo.” «L'interlocutore di Sebastiano Fiore, il padre di Marina, è Piergiorgio Marino, detto 'er puzza, di cui forse qualcuno ha sentito parlare.» «Certo che sì» intervenne Stefania Molinari. «E' il tirapiedi di uno dei più noti usurai della città, Santi Felici. Non siamo mai riusciti a incastrare l'usuraio, ma Piergiorgio Marino lo conosciamo bene. E’ stato arrestato un paio di volte dopo che aveva pestato alcuni commercianti che probabilmente non avevano rispettato le date concordate per la restituzione degli interessi.» «Perché si chiama 'er puzza?» chiese Mantini. «Per me che l'ho arrestato è abbastanza chiaro» rispose Stefania toccandosi il naso. «Credo che sia un problema congenito, non di igiene. Me ne occupo io. Metto sotto sorveglianza Sebastiano Fiore e lo pediniamo. E' una pista che potrebbe portarci da qualche parte. Questi non sono dilettanti, il rapimento di Marina potrebbe riguardare una faccenda di estorsione o di usura.» «Agente Falzini, novità?» «Entro oggi finisco di visionare i filmati del garage sotterraneo. Ancora niente da segnalare. Se c'è qualcosa mi faccio viva io.» «Bene, io ho una novità. Marina e Chiara tenevano un diario che è scomparso dopo l'incidente della libreria. Marina teneva un diario che è scomparso dopo il rapimento. Non sarà un grande indizio da cui partire, ma teniamo presente la possibilità che qualcuno abbia fatto sparire il diario o i diari. Riepilogando: il vicecommissario Molinari pensa alla pista di Santi Felici e di er puzza. Falzini ai video delle telecamere. Morandi in trasferta per la telefonata da Padova. Varatti alle intercettazioni. Io vado a parlare stamattina con il commissario che ha seguito le indagini riguardanti la
42 caduta della libreria, forse potrebbe fornirci qualche informazione che non è stata poi riportata nel rapporto conclusivo delle indagini.» Il commissario Emanuele Seccia era stato compagno di corso di Mantini tanti anni prima, quando entrambi avevano deciso di entrare in polizia. Per un certo periodo si erano frequentati anche al di fuori dell'ambiente lavorativo, ma poi si erano persi di vista. Mantini era molto contento di rivederlo. Quando entrò nel suo ufficio lo trovò molto invecchiato. Se non avesse saputo di avere di fronte il commissario Seccia avrebbe fatto fatica a riconoscerlo. Il commissario Mantini era un po’ sovrappeso mentre Seccia era magrissimo, gli occhi scavati, sembrava Jack di Nightmare before Christmas. Seccia salutò Mantini: «Ti trovo bene. Tu non mi trovi bene, vero?» Un po' in imbarazzo Mantini ammise: «Sei molto magro.» «Sono stato operato un mese fa per un cancro al colon. Per un certo periodo non ho mangiato quasi nulla. Ma dovrei riprendermi.» «Per il resto?» «Sono felicemente sposato con quella che era la mia fidanzata di tanti anni fa, abbiamo tre figli e otto nipoti. Una grande festa tutti i giorni, ma ogni tanto con i miei problemi di salute mi farebbe piacere un poco di tranquillità. E tu?» « Sono vedovo, mia moglie è morta otto anni fa. Ho una figlia che ha un compagno vietnamita e due nipotini piccoli con gli occhietti a mandorla.» Il commissario Seccia sorrise: «Sono contento di vederti. So che mi vuoi chiedere qualcosa riguardo all'incidente della libreria.» «Già. Ho letto il tuo rapporto. So che hai scritto che è stato un incidente. Volevo sapere se c'è qualcosa che non hai scritto nel rapporto. I resoconti sono impersonali e non tengono conto delle impressioni di chi ha svolto le indagini.» «Non ho alcuna prova che non sia stato un incidente, però alcune cose non mi convincono» rispose Seccia. «Cosa?» chiese Mantini interessato. «La libreria fungeva da separazione tra gli ambienti della cucina e del soggiorno ed era fissata da un lato solo a una parete, mentre dall’altra parte era libera. Le bambine pesavano meno di 30 chili ciascuna, e per rovesciare la libreria avrebbero dovuto arrivare molto in alto per poter fare leva in modo adeguato a far crollare la libreria. Quando la madre le ha trovate sotto la libreria le ha trascinate di peso spostando i libri, poi mi ha spiegato dove le aveva trovate. Almeno una delle due, Chiara, era stata ritrovata in un posto poco compatibile con il fatto che lei si trovasse così in alto sulla libreria, ma forse era solo una mia impressione. La madre ha spostato le
43 bambine, non sono stato io a trovarle sotto la libreria, forse non erano nella posizione da lei descritta. Poi...» Il commissario Seccia si concentrò. «Ho trovato strano che due bambine di otto anni si arrampicassero su una libreria. Queste scemenze le fanno solo bambini più piccoli. Per ultima cosa sappi che l'autopsia di Chiara ha chiarito che la morte è dovuta al trauma della libreria che gli è caduta addosso, ma non ci sono evidenti segnali di caduta di Chiara sul pavimento.» «Come se la libreria le fosse caduta addosso senza che lei si fosse arrampicata?» «Sì, però anche questa è una mia interpretazione. Diciamo che ci sono alcuni indizi che non mi convincono, però resta tutto solamente una mia impressione. Comunque i genitori erano sinceramente disperati, quindi è da escludere un movente riguardante maltrattamenti domestici.» «Ti ringrazio molto, Emanuele. Mi hai dato delle informazioni importanti. Spero ti riprenderai presto.» «Ne sono certo. Sono ancora in forte dieta perché non digerisco quasi nulla, ma la salute sta migliorando. La prossima volta mi ritroverai più in forze.» Erano le undici di mattina. Mentre Mantini si avvicinava alla sua autovettura ricevette una telefonata da parte di Gloria Falzini. «Pronto, commissario?» «Sì, Gloria. Dimmi.» «Ho trovato qualcosa. Venga subito a vedere.» Dopo mezz'ora Mantini arrivò nel suo ufficio. Gloria lo aspettava fuori dalla porta con una chiavetta USB in mano. Mantini aprì la porta del suo ufficio e accese il computer, Gloria intanto inserì la chiave USB e attivò VLC per vedere un video .mpg: «Guardi cosa ho trovato.» Mantini osservò il video in bianco e nero. Alle 15.17 una macchina entrava nel parcheggio sotterraneo parcheggiando molto vicina alla porta che dava sulla rampa di scale di accesso al condominio. L'autovettura era una Opel Astra SW di colore scuro. La targa non era leggibile, ma alla scientifica avrebbero probabilmente trovato il modo di identificarla. Dall'auto uscì un uomo (era evidente dalla corporatura che fosse di sesso maschile) che indossava un passamontagna e teneva una borsa di pelle nella mano destra. Senza indugiare aprì subito la porta che portava alla rampa di scale. «E ora il secondo video» disse Gloria avviando la visione di un altro video .mpg. Quest'ultimo era stato girato alle 16.13. Si aprì la porta e uscì un uomo in passamontagna. Mantini era certo che fosse lo stesso uomo che era entrato poco meno di un'ora prima. L'uomo teneva con la mano sinistra la borsa di pelle mentre con la mano destra trascinava un sacco molto pesante.
44 Aprì il portabagagli dell'automobile poggiando per un momento il sacco per terra e poi caricò il sacco nel portabagagli. «Guardi qui.» Gloria fece notare a Mantini che mentre il sacco era per terra c’era qualcosa che si muoveva al suo interno. L'auto poi partì e andò via. Gloria spiegò: «Sono certa che è il rapitore. Conosce bene l'edificio, non è la prima volta che si reca lì. Conosce la posizione delle telecamere di sicurezza e utilizza il passamontagna per non farsi riconoscere non solo dalle telecamere ma anche dagli altri condomini che potrebbero identificarlo. Per entrare nel parcheggio sotterraneo serve un pass magnetico. In teoria dovrebbero averlo solo i condomini, ma quest’uomo è entrato. L'uomo si è procurato il pass, dunque conosce il posto.» Mantini dovette concordare: «Oppure vive nel condominio. In ogni caso quest’uomo è il rapitore. Agente Falzini, cerchi di trovare l'auto che è stata utilizzata, anche se credo che sia una pista che non ci porterà da nessuna parte. Provi a visionare anche i filmati delle altre telecamere di sicurezza nei pressi del condominio, potrebbe trovare qualcos'altro di utile. Grazie agente, ottimo lavoro.» «Grazie a lei, commissario. Le lascio la chiavetta USB con la copia del video. L'originale è già depositato tra le prove relative al caso.» Il commissario telefonò a Bartolomei per metterlo al corrente delle novità delle indagini, poi andò a casa a prepararsi qualcosa da mangiare. Il pomeriggio si recò in ufficio, ma non arrivò alcuna novità. Più passava il tempo e peggio si mettevano le cose per la povera Marina. Sergio andò a prendere John a scuola e lo accompagnò al parco giochi. Quando poteva, cercava di approfittare delle belle giornate: voleva godersi la vista del bambino sugli scivoli e sulle altalene, ma anche in quei momenti di gioia non riusciva a distogliere il pensiero dal caso della bambina rapita. Guardava John e si chiedeva come avrebbe reagito se qualcuno gli avesse rapito il nipotino. Avrebbe provato un'angoscia terribile, forse insopportabile. Doveva andare a trovare la povera Beatrice, farle sapere che le erano vicini. Doveva mostrarle il video del rapitore nel sotterraneo, forse lei avrebbe potuto riconoscerlo. Alle otto di sera Sergio andò a cena da sua madre portando con sé il nipotino, di cui la madre era entusiasta. Sandra Casilli era molto anziana e il figlio le aveva trovato qualche anno prima una badante per tenerle compagnia e per sbrigare le faccende domestiche. Era una signora rumena sulla sessantina, Sorina Culianu, laureata in lingue, ma a causa dei bassi stipendi rumeni aveva preferito trasferirsi in Italia. Aveva tre figli e sei nipoti, e i soldi che mandava a casa erano necessari per mantenere la sua famiglia. Il bambino abbracciò la nonna, poi Sorina prese un libretto in
45 rumeno e chiamò John per leggerglielo. Non fecero in tempo a sedersi a tavola che squillò il cellulare del commissario Mantini. «Sono Molinari. Novità. Venga subito. Sono in via Lemonia, dalle parti della Tuscolana, al numero dieci.» «Sono a cena da mia madre!» protestò Mantini. «E’ urgente, presto!» replicò il vicecommissario con un tono che non ammetteva repliche. Mantini si rivolse alla madre: «Mamma, devo andare a lavorare. Scusa se non posso restare, è un’emergenza.» «Non ti preoccupare.» «Puoi tenere tu John stasera?» «Certo che sì.» «Passo a prenderlo domani per portarlo a scuola» disse il commissario infilandosi di fretta il giubbotto, poi uscì di corsa. Mantini trovò il vicecommissario Molinari in compagnia di Sebastiano Fiore, erano entrambi seduti sul marciapiedi. Sebastiano, il padre di Marina, era sicuramente stato picchiato; aveva il viso pesto e sputava grumi di sangue per terra. «Cos'è successo?» chiese Mantini. «Lo stavo seguendo, lui si è infilato nell'androne di quel palazzo» rispose Molinari. «Dopo cinque minuti mi sono avvicinata al portone e ho sentito dei rumori. Ho capito che c'era in atto un pestaggio. Mi sono qualificata come vicecommissario di polizia e si è fatto silenzio. Ho provato ad aprire il portone, ma era chiuso dall'interno. Ho suonato tutti i campanelli fino a che qualcuno non mi ha aperto. Ho trovato Sebastiano per terra. Degli altri nessuna traccia, saranno scappati dal retro dell'edificio. Era troppo pericoloso inseguirli, così ti ho chiamato.» «E lui che dice?» «Non parla.» «Parlerà, parlerà» fu la previsione del commissario. Aiutò Sebastiano Fiore ad alzarsi e lo invitò a salire sulla sua auto. Mantini si diresse al pronto soccorso dell'ospedale, dove riscontrarono in Sebastiano numerose lesioni ed ecchimosi. Stefania Molinari invece si recò direttamente in commissariato. Sergio dovette attendere che i dottori cucissero con quattro punti l'arcata sopraccigliare destra, quando Sebastiano venne dimesso Mantini lo accompagnò in commissariato per porgli qualche domanda. «Signor Fiore. Cosa ci vuole raccontare?» «Niente.»
46 «Non so mica se lei se la sarebbe cavata senza il mio intervento» gli fece notare il vicecommissario Molinari. «Pensi se sua figlia torna a casa e lei si è fatto ammazzare!» «Tanto, anche se mi ammazzano, che importanza ha?» Il commissario gli fece sentire allora la registrazione della telefonata con 'er puzza, che Sebastiano ascoltò con noncuranza, poi gli disse: «Gli affari non vanno tanto bene, immagino, altrimenti non si spiegherebbe come mai lei ha a che fare con questa gentaglia.» Sebastiano guardò storto il commissario: «Sì, gli affari vanno da schifo, ma sono cazzi miei.» «E' stata rapita sua figlia. Sono cazzi anche nostri. Specialmente se lei accusa per telefono il signor Piergiorgio Marino di essere il responsabile del rapimento.» Sebastiano Fiore non rispose e abbassò la testa prendendosela tra le mani. Mantini si alzò dalla sedia e gli poggiò la mano sulla spalla: «Vogliamo solo trovare sua figlia.» «Lo so» rispose lui senza alzare il capo. «Avevo perso la testa. Volevo farmi giustizia da solo.» «L’hanno rapita loro? Gli usurai?» «Non lo so. Prima ne ero convinto, ma adesso non lo credo più. Avevo dato appuntamento a Santi Felici davanti a quel palazzo alle otto di sera, ma invece si è presentato 'er puzza con altri due scagnozzi. Li ho accusati di avere rapito mia figlia. Loro mi hanno risposto che non c'entravano un cazzo e io gli ho detto che erano solo degli stronzi che erano capaci di prendersela soltanto con i bambini, perché a prendersela con me si cacavano sotto. Loro mi sono venuti incontro. Io ho mollato un pugno in faccia a uno dei due scagnozzi, loro mi hanno bloccato, mi hanno trascinato nell'androne del condominio e mi hanno pestato per bene.» «Perché ha pensato che avrebbero potuto rapire sua figlia?» «Ho dei grossi debiti. Dovevo terminare una ristrutturazione per la provincia, ma la provincia non mi paga da sei mesi. La pubblica amministrazione vuole le tasse alle scadenze fissate e poi ti paga dopo un anno. Dovevo terminare il lavoro altrimenti gli operai scioperavano e poi mi toccava anche pagare pesanti penali allo stato per non aver consegnato il palazzo alla scadenza. Stato di merda. Se lavoro non mi pagano, se non lavoro mi chiedono i danni. Ho dovuto chiedere i soldi a un usuraio perché le banche ormai non ti danno un cazzo e così sono finito dalla padella nella brace.» «L'economia in questo paese è uno schifo. I ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione sono una cosa vergognosa, concordo con lei. Ma,
47 mi ascolti bene, non cerchi di farsi giustizia da solo. Metteremo sotto controllo i telefoni di questi delinquenti. Lei pensi a se stesso. Vada a casa.» Sebastiano Fiore si alzò e andò via senza salutare, Sergio e Stefania lo videro allontanarsi come un’ombra. Sembrava un morto che cammina. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD