In uscita il 30/11/2016 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine dicembre e inizio gennaio 2017 (4,99 euro)
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GIOVANNI AGOSTINI
LA NONA SCATOLA
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LA NONA SCATOLA Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-054-2 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Novembre 2016 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Dedico questo libro ai miei genitori, a mia moglie e alle mie figlie.
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CAPITOLO I
Credo sia successo a tutti. Ci si alza una mattina e non si ha più l’entusiasmo per continuare la giornata. È come ci fosse un blocco alle emozioni. È come se l’esercito contro cui si stava combattendo fosse sparito e non si sapesse più verso chi puntare le armi. È l’apatia, parola derivante dal greco a-pathos che significa “senza emozione”. Di solito subentra a seguito di una delusione, oppure dopo aver trascorso un lungo periodo nel segno dell’entusiasmo più sfrenato. La persona che ne è colpita diventa refrattaria al rapporto con il mondo esterno e finisce per isolarsi richiudendosi in se stessa. L’apatia si può confondere con la depressione e a dir il vero in taluni casi porta proprio a essa. Si differenzia dalla sorella maggiore per la mancanza di sofferenza, arriva e ti spegne. Ogni tanto la subisco anch’io, tuttavia grazie a Dio riesco a superarla abbastanza in fretta. Un metodo che liberi da tale condizione, valido per tutti, suppongo non esista. Bisogna solo saper aspettare con pazienza il ritorno degli stimoli vitali, senza cercarli a ogni costo, e stop! Vorrei rasserenare chiunque che arrivato a questo punto stia già pensando a come farsi rimborsare i soldi spesi per leggere questa roba: le mie nozioni sull’apatia sono terminate. Dicono di me che ho manie di persecuzione e che sospetto sempre di essere giudicato male: non è assolutamente vero, porca troia! Comunque sia, prima di iniziare la vera storia, vi devo raccontare un antefatto, in modo che voi possiate comprendere meglio il mio ruolo e io non corra il rischio di essere frainteso. Vi è mai accaduto di ricevere un invito a soggiornare alle Maldive senza dover pagare un soldo? A me capitò anni fa, quando il mio amico Albino mi offrì di accompagnarlo a trascorrere un paio di settimane in quei posti da sogno. Potevo non accettare? Non sarei andato a sue spese. Si trattava di una vacanza premio per due
6 persone in virtù della sua fedeltà e dedizione al lavoro, almeno così mi disse. Albino, dopo essersi laureato, iniziò subito a lavorare in un’agenzia di assicurazioni e vi era rimasto legato per anni senza cercare mai un’altra occupazione: la vacanza gratis poteva averla benissimo meritata, no? Avrei dovuto indagare? Affari suoi! Con sfacciataggine mi disse che prima di me aveva fatto la stessa proposta a colleghi, a parenti, a ex fidanzate e infine ad alcuni amici. Tutti avevano rifiutato. Io fui il diciannovesimo in ordine di chiamata! Il mio senso di dignità in quel frangente era sottile, se no… ma sì, sarei andato lo stesso, anche senza tante implorazioni. Dopotutto non essere sul podio delle sue amicizie era una logica conseguenza dell’esserci persi di vista e poi un viaggio omaggio fa porre in secondo piano anche sgarbi peggiori. Conobbi Albino al liceo. Non lo ricordavo come un tipo allegro, anzi era piuttosto lunatico. Avevamo smesso di frequentarci senza un motivo particolare. Nessuna litigata. Semplicemente lui non venne più al bar dov’eravamo soliti bivaccare con un gruppo di amici. Per un paio di sere mi chiesi perché non ci fosse, poi me ne dimenticai. Il giorno della partenza ci ritrovammo all’ora stabilita in aeroporto, facemmo il check-in e ci accomodammo nella sala di attesa. Com’era prevedibile, il lungo allontanamento si fece sentire. Non ci fu un imbarazzo, però dopo tanto tempo tra noi due era venuta a mancare la confidenza di prima. Insomma, nonostante fossimo in un aeroporto, la conversazione non decollava. Perdonate la battutaccia. In poche parole non c’era il botta e risposta. D’accordo, la smetto. Anche Albino però non era di nessun aiuto: è mai possibile che ogni mio tentativo di sviluppare un qualunque discorso venisse stroncato sul nascere da laconiche risposte?! È mai possibile che non ci fosse stato un solo argomento di reciproco interesse? Né lo sport, né la politica, né le donne, né i motori: niente! Di cos’altro potevo parlare, di cucito? Mi restava un’ultima carta: fantasticare su quello che avremmo potuto fare una volta atterrati. Così vaneggiai in modo grottesco su improbabili eventi che sarebbero potuti capitarci. Niente, tutto il mio daffare non gli strappò nemmeno un sorriso che avesse una
7 minima parvenza sincera. Mi venne perfino il dubbio che la sua apatia dipendesse dalla mia compagnia. Sì, mi stavo per incazzare! Sarò pure stato un ripiego, però non era il caso di farmelo pesare a quel modo, pensai. E che caspita! Volli togliermi il dubbio e così con aria scherzosa gli chiesi se si era pentito di partire con un rompipalle come me. Ci fu la sua prima vera risata, poi accortosi che mi ero fatto piuttosto serio in attesa di una sua risposta volle tranquillizzarmi: «In giro c’è di peggio». Fortuna per lui che ho un gran senso dell’umorismo, se no… sì, insomma, non si era espresso in modo del tutto lusinghiero, però mi sentii lo stesso sollevato e gli feci eco con un’altra risata. Mi illusi che fosse caduto un muro, invece quel bel momento tanto cercato e arrivato per caso lentamente svanì. Quando da lì a poco ci mettemmo in coda per salire sull’aereo, l’espressione del suo viso era già tornata incolore. Era evidente che qualche problema lo affliggeva, però io avevo già i miei casini, per cui non me la sentivo di fargli la psicanalisi: sarei stato quello che predica bene e razzola male. E poi chissà, magari mi sbagliavo. Forse si trattava di un semplice mal di testa, o della paura per il volo… vabbè, non era quello di sicuro! Fui cinico e me ne fregai di lui. Contenti?! Il suo stato apatico finì per mettermi un’angoscia ingiustificata, tanto che durante il volo mi vennero in mente una sequenza di terribili accadimenti funesti che avrebbero potuto impedirci di arrivare sani e salvi a destinazione: turbolenze, dirottamento, pazzia del pilota e perfino uno scontro con un ufo! Fui tentato di scaraventare quella cornacchia fuori dall’oblò. Fortuna che il finestrino non voleva saperne di aprirsi, altrimenti… sto scherzando! Appena atterrati mi sentii come liberato. Non ce la facevo più a tenermi le palle per allontanare la cattiva sorte. Le mie ansie però non erano terminate: ci attendeva ancora un breve trasferimento con l’idrovolante. Fu allora che capii il senso filosofico della frase “Siamo nati per soffrire”. Ci registrammo alla reception, buttammo le valige dentro il bungalow che ci era stato assegnato, e poi via di corsa verso la
8 spiaggia. Non potei fare a meno di rimanere affascinato dalla natura che là si mostrava in tutta la sua bellezza incontaminata. Il posto era magnifico e indescrivibile: le spiagge erano bianchissime… di sabbia; il mare era limpido di un blu… che più blu non si poteva; la vegetazione era talmente rigogliosa… avete presente le palme… ecco. Che vi avevo detto? Il posto era indescrivibile! In una simile ambientazione perfino la faccia di Albino sembrava meno depressa. Chissà, forse anche lui rimase stregato dallo spettacolo della natura, fatto sta che il morale del barbagianni ne guadagnò fin troppo! Il nostro villaggio non era “all inclusive”, però gli animatori petulanti, quelli che con insistenza ti obbligano a fare qualcosa a ogni ora del giorno, c’erano eccome, accidenti a loro! Albino non opponeva nessuna resistenza alla loro ostinazione, anzi si iscriveva a tutti i tornei con un entusiasmo che stupiva pure gli intrattenitori. Addio vacanze rilassanti, perché da buon compagno di viaggio mi toccò partecipare a tutta una serie di competizioni del piffero. Dal ping pong ai giochi con le carte, dalle bocce al giro in canoa, dal tiro alla fune al tiro con l’arco, non c’era un momento di pace! Gareggiando contro dei marmocchi rimediai delle figuracce che mi fecero sentire più vecchio di cent’anni. L’unica attività che non mi pesava era il corso di sub. Immersi nelle profondità marine, circondati dai mille colori della barriera corallina, è come trovarsi in un altro mondo. Era l’unico posto dove mi sentivo al riparo dalle angherie degli animatori. Dopo l’euforia dei primi giorni, l’effetto salutare dell’isola andò via via a scemare finché il buon umore di Albino regredì a quella forma di apatia che tanto mi aveva irritato ancor prima di partire. Il suo momento preferito diventò la sera tarda, quando ci fermavamo al chiosco bar. All’inizio ci si concedeva solo qualche bicchierino di rum, poi le bevute diventarono sempre più assetate e le soste sempre più lunghe. Capitò di andare a letto mentre il sole albeggiava. Benché non sia un gran bevitore, mi sforzavo di tenergli testa, lo ritenevo una specie di pegno per far funzionare meglio la nostra ritrovata amicizia… sì sì, ridete pure. Avrei
9 dovuto convincerlo ad andare a letto prima del decimo rum? In fondo non dovevamo mica guidare, no?! Scherzi a parte, se fosse dipeso solo dalla mia volontà non avremmo concluso le serate a quel modo, dato che mal si combinavano con le immersioni a cui tenevo moltissimo. Fatto sta che le uscite in barca erano previste a un orario troppo ravvicinato all’ultimo bicchiere e così alzandoci ci ritrovavamo l’alcol ancora a spasso tra i vasi sanguigni. Vedere tra i coralli dei pesci a due teste non è una sensazione bellissima, ve l’assicuro. La prima volta che mi capitò di notarli li descrissi alla guida subacquea, pensando che mi avrebbe detto a quale varietà ittica fossero appartenuti. Sebbene non fosse informato sulle mie cattive abitudini notturne, lui spiegò ciò che avevo visto avvicinandosi di molto alla realtà dei fatti: «Secondo me sei stato vittima della narcosi da azoto, meglio conosciuta come ebbrezza da profondità. È un fenomeno che colpisce i sub quando incautamente scendono oltre una certa soglia». I conti tornavano… sì, insomma, la spiegazione scientifica mi accontentò. Dovevo scomodare i pescatori del posto per cercare qualche riscontro riguardo alle mie visioni? Decisamente no! È meglio che non mi dilunghi oltre sui particolari di una vacanza in fin dei conti banale, non vorrei mai che mi sfuggisse qualcosa che… ehm, quindi mi appresto a chiudere questo ormai prolisso antefatto, arrivando al punto cruciale che ne ha reso necessaria la stesura. Un paio di letti e un piccolo armadio a due ante dentro il quale avevamo ammassato alla rinfusa tutti i nostri capi, ecco l’inventario di tutto quello che ci stava nel nostro bungalow, “ci stava” in tutti i sensi. L’unica stanza di cui disponevamo, oltre al bagno, era di dimensioni assai ridotte e non dava nessuna possibilità di nascondersi. Quindi capite bene che se una mattina appena svegliato mi accorsi di colpo dell’assenza di Albino, non fu per qualche mia capacità extrasensoriale. La porta del micro bagno inoltre era spalancata. Mi stavo abituando a ritrovarlo ancora addormentato, avvolto nelle lenzuola come una mummia, che per alzarlo bisognava prenderlo a calci. Quella mattina invece si era alzato prima di me, non che io
10 sia un tipo mattiniero, però… vabbè, la domenica sto a letto fino a mezzogiorno, contenti? Misi una maglietta stropicciata, un paio di pantaloncini al rovescio, calzai gli infradito, e uscii a cercarlo. Anzitutto andai al bar, chissà magari era rimasto lì dalla sera precedente, d’altronde non è che ricordassi bene come si fosse conclusa. Niente da fare, non c’era e nessuno l’aveva visto. Ispezionai tutte le strutture del villaggio come se fossi alla ricerca di un abuso edilizio, ma di lui non vi era traccia. Comunque sia non poteva essere andato lontano, tanto valeva prendersela con calma. Tornai al bungalow e presi la mia reflex; nel frattempo che perlustravo l’isola, avrei anche potuto scattare qualche foto unendo l’utile al dilettevole. Passeggiai lungo la spiaggia dell’atollo prendendo di mira tutto quello che capitava, senza curarmi troppo delle inquadrature. Da quando ho la digitale faccio degli scatti veramente impressionanti. Mi manca quella tensione che avevo ai tempi della pellicola… vabbè, la maggior parte delle foto risultò mossa per colpa del tasso alcolico che avevo nel sangue. Qualche foto particolarmente sbadata immortalò perfino le classiche dita in primo piano. A turno le centrai tutte, dal pollice al mignolo. Mi capitò pure di fotografare dei topless suscitando le ire delle involontarie modelle. Ovviamente anch’esse furono distrazioni da attribuire all’ubriacatura residua, mica vorrete insinuare… ho già ammesso che non ero sobrio, accontentatevi! Non capisco perché vi vengo a raccontare certi dettagli. Io sono e resto un genio della fotografia. Argomento chiuso! A un tratto lo vidi. Stava sdraiato in mezzo alle palme. Dopo essermi avvicinato mi rivolsi a lui con il tono di una madre che rimprovera il figlio scapestrato: «Cosa ti è saltato in mente?! La prossima volta che trovi una tarantola nel letto dimmelo: mi hai fatto stare in pensiero!». «In pensiero? Ma dove credevi che potessi essere andato? L’isola è grande quanto un francobollo. Comunque lasciami perdere, oggi non ho voglia di far niente. Me ne rimarrò qua all’ombra». La sua faccia era inespressiva. Volli pensare che dipendesse dalle troppe bevute, in fondo l’effetto dannoso dell’alcol è risaputo e chi
11 ne abusa rischia di bruciarsi tutti i neuroni del cervello, ma qualche serata allo stato brado non causa un deperimento così repentino. Albino aveva altri problemi… ah, ho capito dove volete parare: i miei neuroni stanno benissimo e sono ancora tantissimi! Pensate ai vostri! «D’ora in avanti basta rum, solo whiskey» gli dissi sforzandomi di sorridere, poi tornando serio continuai: «a parte gli scherzi, sarebbe meglio piantarla con le sbornie. Non ci si può rovinare le vacanze in questa maniera!». «D’accordo, tanto mi è passata la voglia di far tutto. Passerò i giorni che restano sdraiato qua. Non preoccuparti per me, fai come se non ci fossi» disse con la rassegnazione di un condannato a morte. «Come preferisci, io vado» dissi pensando che il mio disinteresse lo indispettisse… macché! Dovevo insistere e aiutarlo ad aprirsi? Avevo altro da fare. La barca che portava al largo stava per salpare, ancora un paio di lezioni e avrei preso il brevetto da sub. Dite pure che sia un egoista, un insensibile e che me ne frego del prossimo, tanto nulla cambia. Io ho l’animo in pace, perché sono certo che manco il dottor Freud in persona avrebbe spostato Albino da là. Quindi perché intestardirsi in una missione impossibile? In fondo non c’eravamo mai raccontati le nostre pene. Di lui sapevo ben poco, solo qualche aneddoto e niente più. Diciamoci la verità, la nostra società è piuttosto chiusa e riuscire a sviluppare una vera amicizia è difficile. L’impressione è che a confidare i propri problemi a sconosciuti, invece di trovare solidarietà, si rischia solo di dare un segno di debolezza. Io sono fatto diversamente e ve lo dimostro subito svelandovi un mio difetto che mi angustia parecchio… ehm… magari un’altra volta, conoscendovi forse è meglio andare avanti con il racconto. All’ombra del palmeto Albino stava benissimo! Era un posto ideale per meditare e ritrovare se stessi. Qualche ora disteso al fresco gli avrebbe giovato più di mille mie parole e stop! Passarono due giorni, Albino non si era schiodato di là neanche per pranzare o cenare. Come un asceta sembrava in contemplazione di non si sa che cosa. È risaputo che un uomo
12 possa sopravvivere quasi una settimana senza mangiare e bere, indi per cui non c’era da preoccuparsi, no? Seeeeeee, vallo a spiegare alla gente! In un villaggio com’era il nostro dove gli ospiti non superano il centinaio, pochi giorni sono sufficienti per riconoscere le facce di chiunque. Se poi qualcuno fa lo stravagante finisce subito per diventare una specie di celebrità. Per farla breve, tutti sapevano che Albino fosse il mio compagno di viaggio e questo bastò a far ricondurre il suo malessere a me, come se io ne fossi stato la causa. Non sto facendo del vittimismo, ne ebbi un riscontro inequivocabile! Stavo seduto sul bordo della piscina con i piedi in ammollo, quando sentii l’addetta al servizio tavoli del chiosco bar lì vicino chiamarmi ad alta voce, quasi fossi un gelataio ambulante: «Signor Johnnyvanni, signor Johnnyvanni». «Dimmi» risposi io tralasciando di correggere per l’ennesima volta quel suo storpiare il mio nome in una sorta di anglosassone. «Cosa avere tu fatto a tuo amichetto?» continuò lei. A parte l’eccessiva confidenza, quello che mi fece incazzare di più furono gli sguardi maliziosi e ostili di chi mi stava intorno fissati su di me, come se la cameriera avesse parlato a nome di tutti. Quando i fumi dell’ira si diradarono cominciai a ripensare a tutta la vicenda, come a voler ricercare un colpevole che non fossi io. Fu così che mi si aprirono gli occhi. Fino ad allora mi ero dato spiegazioni tra le più diverse senza capire ciò che era del tutto evidente, ossia che Albino cercava in quella vacanza un’evasione e il mio compito era quello di favorirne la riuscita. All’inizio tutto gli sarà sembrato funzionare per il meglio, poi come ben sappiamo i problemi ti ritrovano anche nel posto più sperduto. Ripercorsi mentalmente alcuni episodi analizzandoli con un’ottica diversa e tutto combaciava. Per esempio ricordai che durante un’immersione vidi la sua maschera bagnata dall’interno e io diedi per scontato che fosse acqua di mare filtrata a causa di un difetto all’attrezzatura: “Con ’sta roba da quattro soldi andrà a finire che ci resteremo secchi!” pensai. Come feci a non accorgermi che erano lacrime e che lui stesse piangendo?
13 Dovevo assumermi le mie responsabilità. Dovevo impersonare la figura che Albino avrebbe voluto accanto. Dovevo assolutamente aiutarlo, con le buone o con le cattive, anche perché non riuscivo più a divertirmi. Forse era il rimorso di averlo abbandonato alle sue paranoie… non ci provate! È solo una supposizione, perdiana! Quel restare immobile, disteso su un asciugamano nero, con il costume dello stesso colore e con gli occhi nascosti da un paio d’occhiali scuri, gli dava un’aria funerea. Il raggio di distanza di chi passava nei paraggi della sua salma, pardon, del suo corpo, andava via via ad aumentare, manco fosse stato uno zombie che con uno scatto improvviso avesse potuto afferrare chiunque gli venisse a tiro. Alcune mamme non si facevano scrupolo e lo indicavano ai loro piccoli come l’uomo nero, il mostro che rapisce i bambini, specie quelli capricciosi che non vogliono finire la pappa. Cosa non s’inventerebbero le mamme per fregare i mocciosi! La mia mi diceva che se non avessi mangiato sarei rimasto piccolo… sì vabbè, non sono alto due metri però sono nella media! Ogni occasione è buona per darmi addosso! Piantatela! Da buon samaritano andai nuovamente da Albino e stavolta in tono amichevole gli domandai se stava bene. Lui non rispose, neanche una mossa. I miei sforzi per nascondere il nervosismo andarono a farsi friggere. Uno dei miei tanti motti è “non c’è incontro senza scontro”. Lasciai perdere le buone maniere e decisi di metterlo in pratica all’istante. «Sveglia, pirla!» gli urlai sferrandogli nel contempo un gran ceffone. Era impossibile non reagire a una simile azione. Difatti, dopo che lo schiaffo gli fece partire gli occhiali, vidi i suoi occhi accendersi di rabbia. Fu solo un momento, un attimo dopo si erano già spenti in una smorfia di derisione. «Che cavolo vuoi? Come motivatore non vali niente!» mi disse. «Volevo solo sincerarmi che tu stessi bene». «Ah sì?! Allora la prossima volta sparami un colpo in testa. Farai un piacere a entrambi». Raccolse gli occhiali e a dispetto della montatura del tutto deformata se li infilò, poi si distese di nuovo come un lenzuolo. Le
14 due lenti erano del tutto fuori asse: una gli si arrampicava sulla fronte, l’altra invece gli scivolava giù verso l’angolo della bocca. Chiunque vedendolo avrebbe sorriso. Chiunque, tranne me. La sua indifferenza mi aveva fatto perdere del tutto la pazienza. C’era bisogno di maggiore scontro! Lo presi per le caviglie e iniziai a trascinarlo verso il mare. «Adesso ti faccio fare un bel bagno. Se non dovesse servire a toglierti il torpore, almeno ti leverà la puzza». La mia minaccia voleva essere nient’altro che un bluff con buone possibilità di riuscita, almeno così credevo. Davo per scontato che Albino non gradendo di finire in ammollo mi avrebbe pregato di fermarmi prima di finire tra le onde. Macché, lui si faceva tirare senza opporre resistenza, solcando la sabbia come un sacco di patate. Fu una guerra di nervi. Un pubblico immobile e silenzioso osservava la scena chiedendosi se non fosse il caso di preoccuparsi. Un moccioso invece prese decisamente le mie parti, tentando a più riprese di calciare il mio amico. «Brutto uomo nero!» diceva inveendo a muso duro. Benché avessi accelerato il passo, il cambio di velocità non provocò nessun sussulto. Che nervi! Fui tentato di lasciarlo linciare dal ragazzino! Arrivato al punto limite oltre al quale le onde non riuscivano a spingersi, attesi un attimo, invano. Per non perdere la sfida entrai in mare a grandi passi e mi allontanai dalla riva verso acque più profonde. Mollai la presa solo quando sentii il livello dell’acqua arrivarmi alla gola. Fino a quel momento Albino aveva planato come un surf, ma una volta fermo iniziò ad affondare senza fare una piega come un relitto. Non appena toccò il fondo, fu subito circondato da dei pesciolini giunti lì a curiosare. I vacanzieri si erano assiepati sulla battigia tradendo una certa apprensione che condividevo solo in parte, giacché ero sicuro che da lì a poco sarebbe riaffiorato, sconfitto e incazzato come una iena. L’unico affatto preoccupato era il moccioso vendicativo, anzi mi guardava con aria ammirata e riconoscente come fossi stato un eroe. Ammiccai alla folla per tranquillizzarla, ma l’impressione che avevamo dato non fu di certo rassicurante: pareva proprio che il nostro rapporto fosse talmente in crisi dall’essere giunto all’estrema conseguenza.
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Tra le trasparenze delle acque vidi delle bolle d’aria uscire dalla bocca di Albino. Il gioco non poteva durare oltre, dovevo arrendermi alla sua testardaggine. Lo presi saldamente per i capelli e lo feci riemergere. «Lo sapevo che mi volevi bene» disse Albino tossendo e sputando dell’acqua. «Balle! La verità è che ci sono troppi testimoni» dissi. Poi liberai tutto il mio sconcerto: «Ma cosa diavolo volevi fare? Ti saresti lasciato morire? Sei proprio uno stupido!». «Forse, non lo so. Comunque adesso mi sento diverso. Uscire dall’acqua e rivedere la luce mi ha dato un’emozione particolare, come avessi visto la Madonna». «Ma quale luce?! Hai ancora gli occhiali da sole sul naso. Quasi quasi ti ributto sotto e ti salgo sopra col mio peso!». «Scusami, ero proprio sgonfio, ora non più, ed è tutto merito tuo». Qualcosa realmente era successo. Il mio amico era raggiante come non l’avevo mai visto, così contento da darmi un bacio sulla guancia. Tornammo sulla spiaggia tenendoci per mano tra gli applausi commossi di chi non si era perso neanche un secondo di quel, ahimè, romantico lieto fine. L’unica voce al di fuori dal coro fu di nuovo il moccioso, che deluso e amareggiato corse a nascondersi. Temo per il suo futuro un’infanzia difficile e travagliata. Quella stessa sera Albino mi parlò di quella maledetta apatia che di tanto in tanto lo assaliva e lo rendeva inerme e privo di voglie. Fu così che diventammo veramente amici e passammo il resto della vacanza in piena sintonia. Non provate a insinuare qualcos’altro oltre le righe: se dico amici, intendo amici! La sensazione di essere utile a qualcuno è appagante e porta a voler continuare a esserlo. In poche parole, da allora divenni il suo angelo custode e non persi occasione di sostenerlo anche dopo il nostro ritorno in patria. Adesso che sapete com’è nata la mia amicizia con Albino, posso sperare che eviterete di farvi strane idee sul mio conto. E che caspita! Lo so, se fosse finita così sarebbe stato un bel finale, ma purtroppo questa non è una favola. A chi ha letto fin qua e vorrà continuare, racconterò di come dopo mille traversie Albino si liberò di nuovo
16 dall’apatia, che nonostante le mie attenzioni era tornata a tormentarlo.
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CAPITOLO II
Riuscire nel mestiere dell’assicuratore non è per niente semplice. Bisogna per forza avere una certa predisposizione, perché quando si tratta di sborsare dei soldi le persone diventano diffidenti, specie se l’oggetto della spesa consiste in qualcosa d’intangibile come una polizza assicurativa. Va da sé che gli assicuratori più abili siano fondamentalmente degli attori drammatici: se Albino avesse scelto un’altra carriera, con il suo talento sarebbe arrivato a impersonare Otello alla Scala di Milano. Lui è capace di piazzare ogni tipo di polizza garantendo la copertura su qualunque danno, perfino il casino che potrebbe combinare il vostro gatto se s’infilasse nell’acquario del vicino. Tra le varie polizze la più ostica da vendere è quella sulla vita, perché non basta vincere l’inclinazione ottimistica del cliente, ma occorre anche demolire una componente scaramantica. E già, perché anche le disgrazie ritenute più remote e improbabili sembrano diventare imminenti nel momento in cui si cerca di premunirsene. Una volta Albino cercò di farne firmare una anche a me, però seppi far valere le mie ragioni: «Se io venissi a mancare per davvero in seguito a una morte violenta, che vantaggio ci sarebbe? Col cavolo che mi faccio fregare e poi porta sfiga!». La tecnica di Albino è simile a quella degli altri assicuratori, solo un po’ più evoluta. Al primo approccio si dimostra pieno di entusiasmo e non si risparmia in complimenti. Poi catturate le simpatie del cliente passa alla seconda mossa, che consiste nell’indagare sulle eventuali forme di previdenza già attivate dal suo interlocutore. Se scopre di trovarsi davanti a una persona in balia del destino scatta la terza fase: la trappola psicologica. Fingendosi esageratamente preoccupato e con un tono da “ricordati che devi morire”, snocciola tutta una serie di eventi funesti che potrebbero incombere da un momento all’altro. Una volta resosi conto di aver trasmesso abbastanza insicurezza, passa
18 a proporre un rimedio che garantirebbe sonni tranquilli. Infine estrae lestamente dalla valigetta la polizza assicurativa e dal taschino una penna elegante da far impugnare alla mano ormai tremante della sua povera vittima. Dopo un simile trattamento, il cliente diventa incurante di qualunque cavillo normativo, specialmente di quelli puntualmente riportati a carattere microscopico in fondo all’ultima pagina del documento assicurativo. Inutile dirvi che in quelle righe vi sia la fregatura, ossia tutti quei casi mica tanto particolari per cui non è previsto il rimborso completo. Quando le remore scaramantiche della preda rappresentano un muro troppo duro da sgretolare con la razionalità, Albino cambia registro e ricorre prontamente a un mazzo di tarocchi. Sì, avete letto bene: la sua ultima carta è l’arte della cartomanzia. Scusate il gioco di parole. Con essa ammalia anche i più superstiziosi, e non ci sono né talismani né amuleti che possano far sentire al riparo dalla sua chiaroveggenza. Non per niente alla fine è riuscito a far firmare anche me. Sì, alla fine mi sono assicurato anch’io sulla vita, e con questo? Non si può cambiare idea? E poi erano uscite le carte della torre, dell’appeso e della morte. Si fa presto a giudicare gli altri! Il suo tallone di Achille era l’apatia, probabilmente indotta anche dalla pratica del suo lavoro. D’altra parte, se uno continua a parlare di disgrazie è inevitabile che alla fine perda un po’ la voglia di vivere, no? Quando ne era colpito sembrava ingessato, la naturalezza necessaria per mettere in atto i suoi metodi coercitivi veniva a mancare e così gli affari andavano male. Appena finiva di lavorare si rinchiudeva in casa e non voleva più vedere nessuno. La sua grande fortuna fu quella di avermi incontrato. Sì sì, ridete pure, so io quanto mi è costato stargli vicino per infondergli fiducia, e non solo in senso metaforico: non avete idea di quante polizze del tutto inutili per le mie necessità mi sia fatto rifilare al solo fine di rinvigorire le sue capacità professionali. E non è tutto! Per dargli l’impressione di essere un uomo brillante ridevo di qualunque sua battuta o barzelletta, anche se l’avevo già sentita trecento volte. Quando giocavamo a calcio tra amici convincevo tutti a farsi dribblare come birilli e a sopportare i suoi falli da
19 espulsione senza nemmeno fiatare. Così, nonostante scalciasse la palla con la finezza di un mulo, noi lo facevamo sembrare lo stesso più forte di Maradona. Se lo vedevo particolarmente afflitto mi sostituivo perfino a Cupido, pagando di tanto in tanto qualche bella di notte per dare lustro al suo fascino da latin lover. Il primo che prova solo a immaginare che io possa frequentare quegli ambienti per scopi personali lo querelo! Fortunatamente non s’innamorò mai di quelle donne così facili e così appariscenti, se no addio risparmi! Era un trattamento a 360 gradi che purtroppo dava solo frutti temporanei. Una situazione del genere non poteva continuare a lungo, sia perché ero arrivato al limite delle mie possibilità (in tutti i sensi), sia perché per causa sua mi stavo rendendo antipatico al resto della compagnia. D’altra parte essendo arrivato al punto di non sapere più su cosa assicurarmi, dovetti per forza chiedere a qualcuno di firmare qualcosa al posto mio, no? In fondo era facile, bastava metterli alle strette in una situazione imbarazzante e il gioco era fatto. Sì lo so, erano vere e proprie bassezze, ma lo feci per una buona causa e non per mio tornaconto… be’, se nel tornaconto includiamo pure il mio conto corrente, allora sono stato ignobile per riflesso, sì insomma, indirettamente ignobile. Avrei voluto appendere le ali al chiodo, però non me la sentivo. Mi ritenevo troppo importante per lui. Ero talmente assuefatto dall’idea di dovergli fare da balia che manco concepivo che lui potesse cercare di risolvere la sua apatia da solo. Invece, inaspettatamente, accadde proprio questo. Era da alcuni giorni che non avevo più notizie di Albino, i casi erano due: o era ammalato, o si stava di nuovo emarginando. Avrei potuto togliermi il dubbio con una telefonata, ma mi pareva già di sentire la sua voce imitare goffamente la segreteria telefonica, poi il mio sesto senso mi diceva fortemente che eravamo tornati punto e a capo. Non c’era alternativa, dovevo andare a stanarlo. Albino abita al quarto e ultimo piano di una palazzina non molto distante da casa mia, in un attimo fui da lui. Vinte le solite ritrosie, varcai l’uscio del suo appartamento: un simile disordine non
20 l’avevo mai visto. Non c’era niente che stava al suo posto! Per non violare la sua privacy non vi descriverò niente… be’, se proprio insistete vi accenno qualcosa: c’era una scarpa nel lavello, la tovaglia appesa come fosse una tenda alla finestra, un piatto sporco di sugo tra i cuscini del divano, e un paio di jeans arrotolati sotto un tavolo. D’accordo essere single, ma c’è un limite a tutto! Certe persone piuttosto di farsi trovare in simili condizioni sono disposte a sbarrare porte e finestre. Conoscendo Albino scommetto che non aveva dato troppo peso a quel macello, il motivo per cui non voleva farmi entrare dipendeva solo da un altro fattore, il solito. Per la cronaca anch’io se ho la casa incasinata lascio entrare chiunque… con questo non voglio dire che ho la casa sottosopra… scordatevi di essere invitati a casa mia! Vabbè, andiamo avanti con il racconto che è meglio. «Che è successo? Sono stati i ladri o ti entrato un tornado dalla finestra?». «Magari, almeno avrei una scusa per potermi sentire… no, niente di tutto ciò. Stavo per riassettare poi sei venuto tu. Ecco, se te ne andassi…». «Di’ la verità! Ci sei cascato ancora?». «Ma no. Sono solo un po’ stressato, mi passerà». Si vedeva chiaramente che lui per primo non credeva a quello che diceva. Dovevo incalzarlo perché se non avesse ammesso di essere di nuovo in difficoltà, non avrei potuto aiutarlo. «Perché non esci? Stare in compagnia ti ha sempre fatto bene. E poi Jessica mi ha chiesto di te, mi pare cotta a puntino. Che cosa farai mai tu alle donne? Altro che Casanova!». «Piantala di prendermi per il culo! Quella è una professionista del sesso come tutte quelle che mi hai presentato prima di lei. Non ce la faccio a continuare ad approfittarmi di te e degli altri. Vi ringrazio di tutto ciò che avete fatto, però non funziona più. Mi sento solo un peso perciò lasciatemi vegetare in pace». «Vegetare? Ah, lo vedi?! È sempre il solito problema e sei messo anche peggio di quello che credevo. Mi verrebbe voglia di affogarti nella vasca da bagno! Chissà, magari funziona come alle Maldive! Ti costava tanto chiamarmi?» dissi con il tono di chi non vuol sentire ragioni.
21 Albino sembrò scosso, d’altra parte non è da me perdere le staffe e… ah, per voi invece sarei un rissoso che cerca la lite a ogni costo anche per futili motivi, vero? Io sono buono di cuore e se qualcuno prova a sostenere il contrario gli rompo la faccia! Il mio essermi alterato assieme al ricordo di quella vacanza ottenne il fine auspicato, anzi di più. «Hai ragione, so bene quanto ci tieni ad aiutarmi, però che posso fare se tra gli effetti che mi provoca l’apatia c’è pure quello non volerti incontrare? Eh eh eh. Vabbè, stavolta troverò un rimedio per conto mio» disse con un ritrovato spirito di fiducia. «Così mi piaci, sono contento della tua decisione. Tienimi informato sui tuoi progressi e non provare a fare il furbo». Aprimi la porta. «Sì mamma, contaci, ora però sono stanco e voglio andare a letto». «Come a letto?! Sono appena le nove della sera! A te servirebbe un miracolo, un incantesimo, ma sì, una magia!» dissi scuotendo la testa. «E allora mi rivolgerò a un mago e già che ci sono gli chiederò anche di farti sparire, logorroico che non sei altro!». Alzai gli occhi al cielo e me ne andai senza aggiungere altro. Dopo mesi di attenzioni stile principessa Taitù, aveva finalmente capito la situazione e l’orgoglio aveva preso il sopravvento sulla voglia di farsi compatire. Già questo poteva significare una mezza guarigione, anche se dopo le buone intenzioni ci volevano i fatti. Comunque sia ritenni giusto fare un passo indietro, senza per questo illudermi in un disimpegno definitivo… sì vabbè, speravo non si facesse mai più sentire. Contenti? Non era la prima volta che Albino cercava di affrontare la sua patologia psicologica, il viaggio alle Maldive fu solo l’ultimo di molti tentativi andati a vuoto. Nel tempo aveva provato un po’ di tutto senza risultato. I farmaci gli procuravano un’euforia talmente artificiale da non riuscire trattenere le risate nemmeno durante un funerale. Poi però, passato l’effetto dei principi attivi, tornava a uno stato depressivo peggiore del precedente, con modifiche del comportamento e idee suicidarie. Inoltre a sentir lui l’assunzione di quelle pastiglie gli provocava tutta una serie di effetti collaterali: gastrite, colite, bronchite, otite, congiuntivite, emorroidi e addirittura la forfora. Talvolta addossare a un capro
22 espiatorio la responsabilità di tutti i mali può essere rassicurante e allo stesso tempo consolante. Come non sospettare che qualche problema fisico l’avrà avuto pure di suo, no? Insomma, io faccio fatica a credergli e… no, non li ho affatto provati! Gli psicologi li trovava troppo invadenti: «Il prete si limita ad ascoltare i tuoi peccati, lo psicologo te ne aggiunge degli altri che tu non riesci a ricordare» mi diceva. Provò la terapia della meditazione avvicinandosi allo zen. Niente da fare, la ricerca dell’annullamento della personalità invece di illuminarlo l’ottenebrava ancora di più. Nemmeno l’aver sopportato la tortura dell’agopuntura servì a qualcosa. La somma di numerosi forellini sulla pelle gli procurarono nient’altro che un grosso buco nel portafoglio. Una volta liberatosi di me, Albino si scervellò alla ricerca di un nuovo espediente. Nella testa gli ronzavano ancora i rimproveri appena ricevuti. “Io non ho bisogno di nessuna magia. Figuriamoci se vado a farmi fregare i soldi da chi si approfitta dei problemi altrui” rimuginò tra sé e sé. Poi, inspiegabilmente, si convinse che quella fosse la giusta soluzione. Poteva una battuta influenzarlo a tal punto di farlo andare contro i suoi principi? Certo che no! Fu sicuramente la smania di guarire. Durante la giornata può capitare di carpire discorsi poco interessanti destinati a finire nell’oblio della mente più profonda. D’altra parte, come dicevo a una mia insegnante delle scuole medie, mica ci si può ricordare di tutto! In taluni casi qualche frammento dimenticato può essere casualmente riagganciato, durante le interrogazioni di storia assolutamente no! Albino era sicuro di aver sentito parlare di una specie di mago, una persona straordinaria in grado con la concentrazione di mettersi in contatto con l’essenza delle persone. Non era un falso ricordo, lentamente nella sua mente ricomparve la scena. Si trovava negli spogliatoi della scuola Kimori, il corso zen era appena finito e alcuni alunni tra i più gasati stavano chiacchierando fra loro. L’argomento era proprio quello: il mago. Albino frequentava il corso già da un po’ e ne aveva abbastanza di filosofie orientali. Le mancate aspettative
23 sullo zen avevano fatto sì che dapprima si sentisse escluso dal gruppo, e che poi crescesse nel suo inconscio una specie di invidia tale da portarlo a detestare la disciplina, il maestro e pure i compagni di corso. Certe antipatie nascono proprio così, dall’incapacità di non saper apprezzare qualcosa che non riusciamo a fare nostra, sia per limiti fisici, sia per limiti intellettuali… è una considerazione astratta, non pensavo a me! Appena il maestro Wang dichiarava concluso l’incontro, Albino abbandonava l’aula in tutta fretta senza manco girarsi, mentre altri invece si trattenevano qualche minuto in più. Albino non aveva dubbi, la storia del mago doveva essere venuta fuori in quei frangenti. Per saperne di più, avrebbe dovuto parlare con il maestro Wang, anche se questo non lo entusiasmava affatto. Alcuni anni fa, all’interno di un grosso centro polisportivo, nacque la scuola Kimori. Il suo scopo era quello di fungere da anello di congiunzione tra l’equilibrio mentale e la salute fisica. L’istituto dispone di alcune aule dove viene insegnata la tecnica meditativa dello yoga e dello zen e di un paio di palestre dove viene praticato judo, karate e il taijiquan. Per chi non lo sapesse, il taijiquan è un’arte marziale orientale che se eseguita come un semplice allenamento, tralasciando la sua parte violenta, può servire per un miglioramento fisico e mentale. Lo so, non frega niente a nessuno, però se non lo specificavo qualcuno non avrebbe capito perché Albino oltre a iscriversi al corso zen, trovò opportuno registrarsi pure al corso di taijiquan. È chiaro?! Non fatemi perdere la pazienza. Destino volle che il maestro Wang fosse docente di entrambi i corsi, rivelandosi per Albino un inconveniente non da poco. Nonostante gli insegnamenti della scuola non gli portassero nessun giovamento, il mio amico continuò lo stesso a partecipare ai due corsi. Questo fu un grosso errore perché Albino finì per assistere svogliatamente alle lezioni, per dirlo con un eufemismo. Quando era impegnato in palestra, risultava come se fosse assente; durante la meditazione zen invece era fin troppo attivo, finendo così con il sabotare gli sforzi illuminanti del maestro. I cinesi sono persone gentili e rispettose, ma sanno trovare il modo di vendicarsi. Se durante un allenamento di taijiquan c’era bisogno di
24 dimostrare una nuova tecnica per colpire l’avversario, Albino aveva sempre l’onore di essere prescelto come sparring partner, e sebbene non fosse previsto il contatto, Wang lo colpiva energicamente come in un vero combattimento. Più Albino disturbava nelle ore dedicate allo zen, più il maestro lo picchiava con il taijiquan. In quel periodo andavo anch’io al centro polisportivo per usufruire della piscina olimpica. Tenersi in forma è importante e il nuoto è uno di quegli sport che fa lavorare tutti i muscoli, senza contare che poi ci stanno di quelle belle coscione… comunque io andavo solo per fare del movimento! Incrociai Albino un paio di volte nel parcheggio del centro. Io arrivavo mentre lui se ne stava per andare. La prima volta lo vidi zoppicare, la seconda aveva un braccio al collo. In entrambe le occasioni lo salutai con un ciao come nulla fosse, dopotutto ero all’oscuro della sua vita privata e non volevo neanche dargli l’impressione che me ne importasse qualcosa. E se avesse frequentato delle brutte compagnie? Mica è normale farsi menare a quel modo! Sì vabbè, non potevo sapere la genesi dei suoi infortuni. La verità è che volevo evitarlo e le volte successive andai a nuotare un po’ più tardi. Contenti? Nonostante i miei accorgimenti, la malasorte fece in modo che ci incontrassimo di nuovo al centro polisportivo a sudare insieme nella sauna… a causa del caldo, sia ben inteso. Così svestito, con un solo un asciugamano in vita, Albino metteva in mostra i segni dei colpi ricevuti dal maestro. Si presentavano lungo tutto il corpo sotto forma di macchie violacee e in alcuni punti ne aveva così tante e compatte da sembrare una melanzana! «Sei rotolato giù da qualche scarpata?» gli domandai. «No, sto frequentando il corso taijiquan. È una disciplina impegnativa, però mi sto prendendo le mie soddisfazioni. Ah ah ah!». «Di sicuro c’è che prendi un sacco di botte». «Tu credi nel piacere dato dal sapere di dare fastidio a qualcuno? I lividi che vedi sono la prova della mia riuscita. Peccato che a lungo andare ci si stanchi di tutto e anche le cose più belle siano destinate a finire» disse Albino ghignando sotto i baffi.
25 Feci finta di capire. In realtà non compresi nulla, anche perché io non sono certo il tipo che gode a rompere le palle. Ma che ve lo dico a fare? Il rapporto che era nato fra il maestro e l’allievo si potrebbe paragonare al funzionamento del motore a scoppio a due tempi: c’era la fase della compressione e poi quella dell’espansione, vissute in momenti contrapposti e alterni. Insomma i due s’integravano perfettamente e finivano per essere l’uno lo sfogo dell’altro. Come disse il profetico Albino, con il tempo anche le unioni più solide finiscono per rompersi, specie se si pretende più di quello che il partner può dare. Accadde che il maestro Wang volesse introdurre negli allenamenti un attrezzo che nulla aveva a che fare con il taijiquan: il nunchaku. In realtà tale aggeggio non è nient’altro che un’arma costituita da due bastoni corti uniti insieme mediante una catena di pochi anelli. Probabilmente l’avrete già visto in qualche film con Bruce Lee, dove l’attore grande esperto di kung fu lo faceva roteare con abilità procurando dolori atroci ai suoi avversari. Intuendo il pericolo, all’alunno ribelle non rimase che abbandonare la scuola: meglio rimetterci i soldi che rischiare le ossa! Vi starete chiedendo come faccio a sapere tutti questi dettagli. Diciamo che tornato dalle Maldive mi interessai un po’ dei suoi trascorsi ingloriosi. Feci un sopralluogo alla scuola, incontrai un suo compagno di corso e… si vabbè, investigai su di lui, che non si può? Dovevo aiutarlo o no? Impiccioni sarete voi! Non c’era tempo da perdere. Albino prese il dépliant con gli orari del corso zen e verificò quando si sarebbe tenuto il prossimo incontro. Non era un caso che avesse conservato quel pieghevole, anzi lo consultava spesso, così da essere presente in quelle ore, sotto le finestre, a suonare il clacson della sua auto potenziata ben oltre i cento decibel. Gli bastava far tremare i muri per pochi secondi e poi sgommava via facendo rombare il motore della sua Ford Mustang. L’apatia è proprio una brutta bestia! Nell’area dedicata alla meditazione, il silenzio regnava sovrano. Da dentro una stanza si udiva di tanto in tanto una voce recitare litanie incomprensibili, ma all’apparenza dense di significato.
26 Albino non ce la faceva ad aspettare la fine della lezione, inoltre sapeva quanto fosse importante non interrompere la ricerca dello stato spirituale. Si avvicinò alla porta dell’aula e senza esitare bussò pesantemente. «Chi è che osa disturbareeeeeee?!» urlò il maestro Wang. Ci fu un attimo ancora più silenzioso dei precedenti. «Il danno ormai è fatto. Vieni avanti e fatti vedere!» aggiunse Wang. La porta si aprì e il colpevole venne allo scoperto mostrando la sua faccia non affatto dispiaciuta, tradendo in maniera inequivocabile un mancato pentimento per l’oltraggio appena compiuto. «Mi scusi maestro, avrei una domanda da farle». Wang riconobbe subito il seccatore e fu solo ricorrendo a piene mani al suo leggendario autocontrollo che rimase calmo. Fatto un bel respiro, cercò di scaricare la sua stizza al seccatore. «Ah sei tu, quanto mi sei mancato… ti ricordi quel doppio calcio volante che ti stampai in faccia? È da allora che non mi riesce così bene. Se vuoi tornare agli allenamenti, sei il benvenuto. Eh eh eh». Albino si sentì deriso, bisognava ribaltare subito la frittata: «Io mi divertivo maggiormente quando mi concentravo con lo zen. Era veramente rilassante». Non l’avesse mai detto. Wang perse di colpo l’espressione austera e si lasciò andare in un’invettiva liberatoria: «Ti concentravi a rompere le palle a tutta la classe, brutto deficiente! Quante volte ti avrò detto di non fare smorfie e di non canticchiare durante le lezioni? E che dire delle risatine e delle toccatine che davi agli altri mentre se ne stavano a occhi chiusi in meditazione?! Avresti fatto perdere la pazienza anche a Buddha in persona!». «Stia tranquillo, non sono qua per iscrivermi di nuovo. Vorrei solo che mi raccontasse del suo incontro col mago» disse Albino riuscendo così a interrompere l’elencazione dei suoi peccati. Tutta la classe diventò attenta e interessata come non mai. Altroché lo zen! Il maestro rimase completamente spiazzato. Evidentemente non si aspettava che una sua confidenza fosse arrivata alle orecchie di Albino. In altre circostanze avrebbe cercato di cambiare discorso, però la curiosità dipinta sul volto di tutti i presenti lo costrinse a non sottrarsi.
27 «Ne ho parlato tempo fa al di fuori dell’orario delle lezioni. Se non fosse stata tua abitudine arrivare apposta in ritardo per disturbare la meditazione, probabilmente ne saresti al corrente pure tu. Lo citai per spiegare fin dove potesse arrivare la forza della mente, niente di particolare» disse Wang, cercando di smorzare quell’aria di mistero che si era creata. Fu inutile, l’aula impietrita si era trasformata in una platea. In un primo momento il maestro fu tentato di alterare la trama dell’aneddoto che lo vedeva protagonista, poi siccome c’era il rischio che Albino conoscesse già i fatti in maniera approfondita, decise di riportarlo fedelmente e integralmente per evitare di essere sbugiardato. «Più ci penso e più rimango perplesso. Quell’uomo agì su di me in un modo che difficilmente si può ottenere con la sola energia psichica. Lui possiede dei poteri paranormali» continuò Wang sbarrando gli occhi. Era chiaro che una simile premessa servisse a pararsi il culo. Il malefico Albino rizzò doppiamente le orecchie. Wang proseguì: «Lo notai un giorno mentre stavo passeggiando per il parco cittadino. Era intento ad ammaestrare senza successo il suo cane Drej. Il bastardino avrebbe dovuto riportare un frisbee rosso, ma benché il suo padrone prima di ogni lancio lo minacciasse di una morte violenta, lui di ubbidire non ne voleva sapere. Siccome si era accorto che lo stavo osservando e che scuotevo la testa a ogni suo fallimento, il mago venne da me e mi sfidò a provarci. Diedi una carezza affettuosa alla bestiola e poi lanciai il disco. Drej corse, lo afferrò al volo e me lo riportò tutto scodinzolante. Ero così soddisfatto che mi scappò di criticare quel signore, dicendogli che per addestrare gli animali serviva pazienza e autocontrollo. Lui mi guardò con aria irritata e io capii subito di aver sbagliato. Per rimediare gli rivelai di essere un maestro zen e che se avesse voluto gli avrei insegnato a migliorarsi. Altro errore. Lui si sciolse in un sorriso e mi chiese se fosse stato possibile accordarci per una lezione privata. Credetti di non aver niente da temere, d’altra parte il suo aspetto era quello rassicurante di un uomo anziano, senza tanti grilli per la testa… inoltre mi avrebbe pagato una bella cifra. Accettai. Ci trovammo esattamente in questa stanza. Accesi
28 l’incenso e lo invitai a rilassarsi, poi non so più cosa successe. Persi i sensi e quando mi risvegliai mi ritrovai in mutande, seduto fuori sul marciapiede con un frisbee rosso poggiato sulla testa». Non c’è bisogno di fare alcuno sforzo per immaginare l’imbarazzo di Wang per quella umiliazione. Un imbarazzo che il perfido Albino non si fece sfuggire dal ravvivare: «Ha pure abusato di lei?» disse il mio amico prima di lasciarsi andare in una risata fragorosa e coinvolgente. Sebbene si fossero sforzati di non farlo, gli alunni scoppiarono a ridere, dimostrando quanto ancora avessero da imparare dallo zen. «Mi rincresce deluderti, ma non è andata come sarebbe piaciuto a te! Ha voluto solo darmi una dimostrazione della sua superiorità. Non è stato rubato niente e ho ritrovato i miei vestiti ben ripiegati» disse Wang con proverbiale compostezza cinese. Il maestro stava andando in compressione e Albino se ne era accorto. La tentazione di mandarlo in bestia come ai bei tempi era forte. «Sa dirmi dove abita questo fenomeno della natura?» disse Albino in tono irriverente. «L’indirizzo esatto non lo ricordo. So che abita nei dintorni del parco». «Ho capito, sei geloso e non vuoi che lo incontri». «Figurati quanto me ne frega! Il suo nome è Boris Turbolev. Se cerchi il suo indirizzo sulla rubrica telefonica lo trovi facilmente». «Credo anch’io: tra i miei amici non c’è nessuno che si chiami Boris. Hi hi hi» disse lo spirito di patata. «Non cantar vittoria così facilmente, perché dev’essere un tipo molto schivo. Mi sarebbe piaciuto incontrarlo per discutere delle sue tecniche, ma non ha più voluto parlare con me manco per telefono» fece Wang a denti stretti. «Ti manca molto, vero? Hi hi hi». «Vedo che sei rimasto parecchio astioso nei miei confronti… a proposito, hai per caso una macchina nera di grossa cilindrata?» disse il maestro digrignando leggermente i denti e cambiando il taglio degli occhi da mandorla a spicchio d’aglio.
29 «Una Ford Mustang Fastbak GT 289 del 1967, motore a V, 8 cilindri e 4700 cc di cilindrata? Può darsi, perché? Hi hi hi». Il limite era stato oltrepassato. L’ex allievo capì che se fosse restato ancora un attimo sarebbe toccato a lui ad andare in compressione. Quindi mostrò velocemente la lingua e uscì dalla stanza con un passo affrettato. “Altroché magia. Wang è talmente ingenuo da farsi fregare da un bambino. Quel vecchio l’avrà senz’altro narcotizzato!” pensò Albino. Comunque sia ormai bisognava andare fino in fondo. Rintracciò il numero di telefono di Boris Turbolev e provò a chiamarlo. Qualche istante dopo aver composto il numero, partì la voce metallica di una segreteria telefonica: «Sono momentaneamente assente e se anche ci fossi non risponderei per nessunissimo motivo! Dimenticatevi di potermi contattare e sparite dopo il beep. Beep!». Chi la fa l’aspetti. Evidentemente l’unico modo per parlare col mago era quello di trovarsi faccia a faccia con lui. E vabbè, non era il caso di scoraggiarsi. Importunare uno sconosciuto per Albino non era affatto un problema, visto che lo faceva tutti i giorni per mestiere.
30
CAPITOLO III
Albino era pressoché arrivato a destinazione. La via che aveva imboccato era quella che aveva annotato sul post-it. Benché fosse a bordo della sua potentissima auto, procedeva lentamente, quasi a passo d’uomo per non lasciarsi sfuggire il numero civico che contrassegnava la residenza del mago. A entrambi i lati della strada si affacciavano una lunga parata di case anonime, una appoggiata all’altra, unite e compatte come una cosa sola. Non poteva essere una di quelle, Albino se l’immaginava diversa. Man mano che i numeri decrescevano come un conteggio alla rovescia verso il numero cercato, dentro di sé sentiva aumentare un’inspiegabile agitazione. D’un tratto in lontananza comparve un’antica villa che si distingueva dall’uniformità del quartiere. Ancora prima di arrivarci, Albino ebbe l’esatta sensazione che il mago dovesse abitare lì. Alcune peculiarità della villa parevano rispecchiare il carattere del mago, come se l’edificio fosse in simbiosi con il proprietario. Non solo era disallineata alle altre costruzioni, ma era anche isolata in un vasto giardino che la cingeva tutto attorno. Inoltre il colore dei muri esterni, spento dal tempo e dalle intemperie, dava l’idea che l’intero palazzo volesse scomparire agli occhi dei curiosi. Benché il sole fosse già alto, le imposte erano ancora chiuse. Nonostante l’apparenza, però, la villa non era disabitata, la melodia di un brano di musica classica proveniente dall’interno di quelle stanze tradiva la presenza di qualcuno. Una volta sceso dall’auto, Albino si diresse verso il cancello in ferro battuto che dava accesso alla villa. Giunto a tre passi di distanza, la forza della suggestione lo bloccò senza motivo. Si sentiva così turbato che se non avesse ritenuto l’aiuto del mago così importante per risolvere la sua apatia, si sarebbe allontanato di corsa. Nell’attesa di superare il momento e di riprendere coraggio, il mio amico si mise
31 a osservare tra le sbarre dell’inferriata il cane del mago che gironzolava libero nel giardino. L’istinto di abbaiare per avvertire il padrone di essere a cospetto di uno sconosciuto manco lo sfiorava. Il suo unico interesse era quello di passare da un’aiuola all’altra per pisciare sui pochi fiori che ancora non era riuscito a far rinsecchire. Senza dubbio era proprio un bastardino! Albino stava cercando di rilassarsi facendo ricorso alla meditazione zen quando sopraggiunse un vecchietto, sceso in strada per buttare un sacchetto di carta pieno di cocci di vetro. L’anziano, vedendo quell’uomo imbambolato sul marciapiedi, non seppe resistere alla curiosità: «Sta forse cercando qualcuno?». Albino mi disse che avendo proiettato lo spirito in un’altra dimensione fu colto di sorpresa e sobbalzò. Ma dai, come si fa a credere che il discepolo di Wang con il peggior profitto di sempre possa aver imparato qualcosa sullo zen? Si era distratto e basta! Per un attimo si sentì come una spia, poi si riprese: «È qui che abita il signor Boris Turbolev?» disse Mata Hari fingendo di non saperlo. «Sì, ma si scordi di essere ricevuto. È un tipo scorbutico e irascibile. Mai una volta che incrociandoci mi abbia salutato. Eppure siamo vicini di casa da più di trent’anni!». «Ho sentito dire che è un mago. Lei potrebbe confermarlo?» disse Albino. Il vecchietto sgranò gli occhi come se avesse sentito chissà quale bestemmia. Poi si guardò attorno e con un gesto lo invitò ad abbassare la voce. Quindi gli si avvicinò all’orecchio e sussurrò: «Di notte in quella casa succedono cose strane. L’ho udito pronunciare strane formule magiche. Secondo me ci sono pure i fantasmi! Guardi qua: stamattina mi si è rotto lo specchio del bagno. Lo sa che cosa vuol dire?». Quantunque si sentisse ancora a disagio Albino stava per scoppiare a ridere, ma gli occhi spiritati del vecchietto l’obbligarono a mantenersi serio, anzi da bravo assicuratore prese subito la palla al balzo. «Disgrazie in arrivo! Ha già provveduto ad assicurarsi contro i fantasmi? Altrimenti avrei una polizza da proporle».
32 Boris Turbolev era senza dubbio un tipo chiuso, la testimonianza del suo vicino di casa l’aveva assodato. Per parlare con lui era necessario cambiare strategia, l’incontro doveva sembrare casuale. Albino passò alcuni giorni a sorvegliare Boris per capirne le abitudini e alla fine ebbe chiaro come agire per farlo cadere in trappola. Una mattina all’alba si mise una tuta ginnica, un paio di scarpe da tennis e andò al parco. Confidando che da lì a poco il mago sarebbe arrivato a passeggio con il suo cane, Albino si mise a corricchiare lungo un percorso sterrato, giusto per non destare sospetti. La resistenza dell’assicuratore non era certo quella di un maratoneta e, infatti, dopo dieci lunghissimi minuti era già paonazzo e stava per dare forfait, quand’ecco giunse la sua preda. Boris cercò una zona sgombra di persone, liberò il bastardino dal guinzaglio e iniziò a lanciare il solito frisbee. Come sempre il cane impenitente rimase immobile, a malapena seguiva il piatto rotante con lo sguardo fin dove ricadeva; di rincorrerlo, manco ci pensava. Nel frattempo, Albino continuava a corricchiare aspettando il momento giusto per agire e seppur con il fiato ormai cortissimo si chiedeva come mai il mago insistesse tanto cocciutamente nel voler far imparare quell’esercizio all’animale: «Perché non ricorre a qualche incantesimo? Se io fossi dotato di poteri magici costringerei quel cane perfino a parlare, altroché star lì a subire tante incazzature per niente. Mi sa tanto che è solo un ciarlatano». Come al solito la pazienza di Boris si esaurì in fretta; il suo alternare a dei lanci rabbiosi e lunghissimi altri corti ma altrettanto rabbiosi lo rimarcava senza alcun dubbio. L’avesse colpito almeno una volta, macché, Drej era talmente lesto a schivare che non gli dava manco quella soddisfazione. Tutte le mattine era la stessa storia e Albino sapeva bene come sarebbe andata a finire. Monitorò le traiettorie sempre più sbilenche del frisbee e appena vide il disco volante arrivare nella sua direzione gli corse incontro. Con un piccolo stacco da terra e una torsione del busto lo colpì con la testa. Subito dopo stramazzò al suolo come se fosse stato colpito da un fulmine. Nel calcio si chiama simulazione. Avendolo visto in azione parecchie volte non faccio nessuna fatica a immaginarmelo, vi posso garantire che è bravissimo! Sì ditemi pure che sono ossessionato, tanto è la verità! «Ehi tu, rilanciami il frisbee!» gridò Boris al tramortito.
33 Evidentemente il mago non fu per niente ingannato da quel falso infortunio, la stessa cosa però non si può dire di un capannello di persone, che ignare dell’esatta dinamica dei fatti erano accorse tutte preoccupate al capezzale di Albino. Volente o non nolente, Boris dovette andare ad accertarsi dell’accaduto; data la brutta piega che stava prendendo la faccenda, avrebbe addirittura rischiato di essere denunciato per omissione di soccorso. Sembrava fosse successa una tragedia, qualcuno avrebbe voluto addirittura praticare la respirazione artificiale. Boris raccolse l’arma del delitto e la mostrò ai “crocerossini” con l’intento di convincerli della sua totale innocuità. Visto che nessuno gli dava retta, volle dare una prova di ciò che sosteneva e così iniziò a colpirsi la fronte con il frisbee mantenendo nel contempo un’espressione giuliva. Niente da fare, inoltre quella sorta di auto punizione gli stava procurando un leggero stordimento. Non c’era via di scampo, bisognava affrontare la vittima: «Smettila di fingere, non puoi esserti fatto male per così poco. Alzati e cammina». Boris era sicuro che avrebbe suscitato negli astanti lo stesso stupore dei presenti al miracolo della resurrezione di Lazzaro. Invece no, Albino non deluse la sua dote di grande attore drammatico e ben lontano dal volersi smascherare continuò a recitare la sua parte: «Dove sono? Che cos’è stato? Oddio, non riesco a muovermi» disse falsamente dolorante. «Ma chi vuoi prendere in giro? Il frisbee è leggero ed è fatto di una plastica molle: non farebbe del male a una mosca. E poi ho visto benissimo che l’hai colpirlo intenzionalmente!» disse Boris accigliandosi. «Mi gira tutto… vedo nero… vedo tutto nero» continuò Albino chiudendo gli occhi in un apparente ultimo respiro. Il mago era già talmente stressato dall’addestramento inconcludente del suo bastardino che mancava giusto una goccia per far traboccare il vaso. «Se non la smetti di fare il moribondo, farò in modo che la tua finzione diventi più che reale!». «Sì, la prego. Il dolore è troppo forte. Mi annienti con un maleficio».
34 «Ma quale maleficio? Io alludevo al mio cane! L’unica cosa che sono riuscito a insegnargli è fare il morto. Eh eh eh» disse Boris. Il tentativo di trasformare la sua minaccia in una battuta seppur di dubbio gusto non ebbe effetto. Negli occhi degli astanti si leggeva in modo indelebile l’indignazione per quel suo modo di fare. «Lei è cattivo, non vede come sono ridotto? Se è vero che lei è un mago, mi dovrebbe dare una mano. Il dolore è insopportabile» disse Albino, contorcendosi come se fosse disteso sulle braci. Boris, sentendosi sempre più trascinato al centro dell’attenzione, dovette cedere al ricatto. Prese una mano del mio amico e andò a leggerne tormenti. Una volta compreso il motivo di tale farsa, con l’uso della telepatia fece arrivare un messaggio al cervello dell’impostore: «Ho capito cosa vuoi. Prometto che proverò ad alleviare le tue pene. Adesso alzati imbroglione, deficiente, scemo, stupido, pirla, carogna, e fetente!» Può darsi che proprio tutti quegli insulti non glieli abbia trasmessi, tuttavia a me piace pensare così; voi dite pure quello che volete. Boris strizzò l’occhio ai curiosi per far intendere che Albino fosse matto, poi sollevò lo sguardo al cielo e pronunciò le seguenti parole: «Per il potere divino che mi è stato concesso io ti salverò!». A quel punto strinse energicamente le dita dell’imbroglione facendolo gridare di un vero dolore. Poi tirandogli un braccio verso l’alto lo aiutò a rimettersi in piedi. Avrà stritolato la mano di Albino per aiutarlo a manifestare meglio l’effetto di qualche magia? E sì, come no?! Hi hi hi. Benché una simile sofferenza non fosse stata concordata, Albino rispettò lo stesso il patto recitando il ruolo del miracolato. A sentire lui non riuscì a usare quella mano per una settimana e quando cambia il tempo se la sente ancora indolenzita. «Ecco, lo spettacolo è finito. Potete andare!» proclamò il mago rivolgendosi ai curiosi. Appena furono soli, Boris chiese alla canaglia chi gli avesse parlato di lui. «Ho saputo tutto da Wang, il maestro zen che insegna alla scuola Kimori. Gli avete fatto fare proprio una bella figura» disse Albino. «Balle! Sono stato solo un incauto, non dovevo svelargli le mie capacità. Comunque non sono pentito, meritava una lezione».
35 «Non si preoccupi, Wang non può certo vantarsi di quello che gli ha fatto, e poi ha descritto lei come una persona talmente straordinaria che quell’episodio sarà ricordato alla stregua di una leggenda metropolitana». «Speriamo, non vorrei proprio diventare meta di pellegrinaggio per dei truffatori come te. Ora seguimi, andiamo a casa mia. Io abito poco distante da qua… ma cosa te lo dico a fare? Di certo lo saprai già». Fino a quel punto il piano aveva funzionato, ma il prosieguo era pieno di incognite, per dirlo con un eufemismo. D’altra parte come ci si può fidare di qualcuno che ti odia dal profondo? Insomma, Albino aveva paura che gli sarebbe toccata una vendetta ben più pesante di una stretta di mano. «Wang aveva ragione: sento una forza sovrannaturale provenire da lei» disse il plagiante. «Non dirlo manco per scherzo, sarebbe un male. Anche se ti sei comportato in maniera scorretta, ho promesso di aiutarti e io mantengo sempre le mie promesse. Poi non voglio più vederti» disse il mago comprendendo al volo i timori del mio amico. Ormai era tardi per cambiare idea e poi rinunciare alla magia avrebbe voluto dire dover cercare un’alternativa a una soluzione che pareva l’unica rimasta. Albino strinse metaforicamente le chiappe, si diede una spazzolata e s’incamminò di fianco al mago. Il terzetto era completato a furia di strattoni da Drej, che rimesso al guinzaglio li seguiva controvoglia. «Invece di stare al passo zigzagava di qua e di là. A ogni metro si soffermava per annusare chissà che cosa. No, non era istinto canino, ma istigazione alla violenza! Quel bastardino fa mettere in dubbio il detto che il cane sia il miglior amico dell’uomo!» mi disse testualmente Albino. Pochi minuti e arrivarono alla dimora del mago. Attraversarono il giardino percorrendo un breve viottolo e dopo aver liberato il pestifero Drej, entrarono nella villa. Le imposte era tutte chiuse, così come le aveva viste Albino in precedenza, tuttavia alcuni raggi di sole dispettosi penetravano lo stesso riuscendo a portare un minimo di luce nella casa. La planimetria completa della villa non la conosco, quindi non lamentatevi se la descrizione degli
36 interni sarà stringata. Io vi posso riportare solo ciò che ha visto Albino muovendosi all’interno di essa. Per maggiori dettagli c’è sempre l’ufficio del catasto. Appena entrato, l’assicuratore si ritrovò in salone con un’ampia scala che saliva al piano superiore. Poi, rimanendo incollato come un’ombra al mago, s’infilò in un largo corridoio che conduceva ad alcune stanze del pianterreno. Nella penombra degli alti muri stavano appesi dei quadri incastonati in pesanti cornici e separati in maniera regolare dalle porte che davano accesso alle stanze. Albino si sentiva insicuro come se una minaccia fosse sempre in agguato. Provava una paura indefinita, la stessa paura che si prova quando si ode un rumore terrificante nella notte buia: sarete d’accordo con me che è di gran lunga la paura più paurosa! Quando passava davanti a una porta chiusa accelerava il passo, mentre se la trovava aperta rallentava e prima di oltrepassarla vi gettava dentro un’occhiata furtiva. Seppur mancando di uno sguardo attento, notò che gli arredi erano impolverati e anch’essi antichi come la villa: un posto ideale per gli spettri! “Vuoi vedere che il vicino di casa del mago aveva ragione” pensò Albino con crescente angoscia. Boris aprì la porta del suo studio, fece accomodare il fifone su una poltrona e vi si sedette di fronte dietro a una scrivania. Nella stanza troneggiava a tutta parete una capiente libreria farcita di grossi libri, rari e misteriosi. Lungo le altre tre pareti erano appoggiate delle vetrinette contenenti degli strani oggetti dall’aria maligna. Dei ritratti rasenti al soffitto lo fissavano dall’alto al basso con severità. Sembrava la scenografia di un episodio della serie “Resident Evil”. Albino osservava ogni movimento del mago con diffidenza come se si trovasse in una seduta dal dentista. Non pensiate che voglia narrare una storia del terrore, sto solo riportando alla lettera ciò che mi ha raccontato un pirla facilmente suggestionabile. Di tutta la descrizione che mi diede mi colpì solo il particolare dei libri rari: trovarne uno in casa di Albino è proprio una rarità. Pensate che non ha neanche una copia del primo libro che ho scritto! «Eccoci qua, rilassati e dimmi tutto» disse Boris con un tono cordiale.
37 «Lo sa che il suo museo, pardon, la sua casa è molto bella? Anzitutto mi scuso per come mi sono comportato al parco. Non vorrei che conservasse del rancore» disse Albino con un sorriso sforzato. «In effetti ho ucciso per molto meno, ma a te risparmierò la vita, ah ah ah». Chissà se Boris stesse scherzando, oppure no. A sentire il suggestionabile, sembrerebbe di no. «Grazie, signor Turbolev. Sapevo di poter contare sulla sua bontà». «Un altro complimento e ti ammazzo davvero. Dimmi di preciso qual è il tuo problema, così cerco qualcosa di specifico per aiutarti». «Non ho stimoli, mi sento vuoto» disse Albino. «Immagino che tu abbia provato di tutto e quindi ritieni che solo una magia ti possa aiutare, giusto?». «Sì, altrimenti non mi sarei mai permesso di importunare una così bella persona come lei» disse Albino, poi accortosi di essersi lasciato scappare un altro elogio cercò goffamente di rimediare: «Bella persona per modo di dire… pietà, non mi ammazzi». «Vabbè, facciamo questa magia, però prima di continuare vorrei metterti in guardia: interferire col tuo essere potrebbe cambiarti a tal punto che non saresti più te stesso e faresti una vita diversa, la vita di un altro». Vista la riservatezza del personaggio non ci si aspetterebbe delle aperture sulla sua vita privata; invece, pur di dissuadere Albino, Boris si sbottonò. Mi spiace rallentare il ritmo narrativo, ma devo per forza riportare i ricordi del mago, altrimenti si perderebbero dei dettagli utili al prosieguo della storia. Non mi sto per niente dilungando, anzi cerco sempre di essere il più sintetico possibile. Ingrati! )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD