La nota di Dio, Michele Carini

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MICHELE CARINI

LA NOTA DI DIO

ZeroUnoUndici Edizioni


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LA NOTA DI DIO Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-459-0 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Aprile 2021


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Deserto di Tabernas, Spagna, primo ottobre 2018 L’arida distesa di sabbia, di sassi e di sterpaglie tristemente rinsecchite si perdeva a vista d’occhio fino a infrangersi sulle alture che si potevano scorgere in lontananza. Il sole imperava inesorabile alla ricerca di rare zone umide da prosciugare e, non trovandone, si accaniva sulla terra spaccandola in zolle. Il deserto di Tabernas si rivelava quanto mai inospitale e inadatto alla vita dell’uomo e, forse proprio per questo, il professor Torchianni l’aveva scelto come location dei suoi esperimenti. In quella terra desolata, per poter lavorare sotto il sole di ottobre senza ustionarsi, aveva fatto installare una struttura che ricordava molto il tendone di un circo. Da anni lavorava al progetto a cui ormai dedicava quasi tutte le sue energie fisiche e mentali. Il frutto dei suoi studi si trovava lì sotto, al riparo dal sole e dal vento. Era ormai pomeriggio inoltrato e il caldo risultava opprimente. Rispetto a un mattino caratterizzato dal cielo sereno e dall’aria ferma, nel pomeriggio si era alzato un venticello teso che, benché per un certo verso fosse gradito perché riusciva a rinfrescare un po’ l’aria, al tempo stesso infastidiva in quanto sollevava anche il pulviscolo. Torchianni armeggiava con estrema cura sui delicati meccanismi della macchina. Era particolarmente attento alla pulizia dei sensori che venivano continuamente sollecitati dai suoni che giungevano dai quattro settori del “circo” che erano più o meno equidistanti fra loro e che, nonostante provenissero dal lavoro di un chitarrista, di un bassista, di una vocalist e di un percussionista, non si combinavano in una vera e propria melodia, ma producevano piuttosto un’accozzaglia di note delle più disparate intensità e tonalità che affluivano ordinatamente in semplicissime sequenze ripetitive e ancor più semplici accordi. I musicisti eseguivano il programma rigidissimo imposto dal professore e non provavano accordi più sofisticati neanche quando, come quasi sempre purtroppo, la combinazione di suoni risultava piuttosto sgradevole. La loro funzione era rigidamente definita ed era lontana dalla loro idea di fare musica.


4 Cercavano di svolgere diligentemente quello strano lavoro che alla lunga rischiava di diventare troppo snervante anche per loro nonostante fossero dotati di dispositivi di protezione dell’udito e di tanto in tanto cercassero di staccarsi dal compito tedioso che stavano svolgendo. In queste occasioni entravano e uscivano dal “circo” attraverso diverse aperture, dalle quali scaturiva qualche spiffero più deciso che riusciva a raggiungere anche il centro della “pista”. Torchianni provò ad asciugarsi il sudore dal viso con la manica della sua camicia bianca ottenendo il risultato di cospargersi di un sottile strato di fanghiglia. Anche se una leggera striatura di sporco aveva fatto una fugace apparizione sulla sua fronte ampia, lui non si scompose più di tanto. Non riuscì comunque a restare del tutto insensibile al ben maggiore fastidio di essersi procurato un’irritazione agli occhi. Al destro, in particolar modo. Lo sentiva bruciare, mentre lacrimava copiosamente da entrambi, ma non ne fece un dramma, per lui il senso più importante era senz’altro l’udito. Tuttavia, si avviò comunque fuori dal tendone. A quella vista Alvaro smise di tormentare il suo basso meravigliandosi della scena a cui stava assistendo. Si sedette allungando le gambe e appoggiando schiena e nuca sulla custodia del suo strumento. Quella era la prima volta che lo vedeva staccarsi dal suo lavoro e, anche se avevano cominciato da pochi giorni, a lui sembrava ormai che fosse trascorso un tempo lunghissimo. Alvaro non era mai stato un tipo a cui stessero simpatici gli accademici come il professore, ma aveva apprezzato sin da subito l’idea di guadagnare qualche migliaio di euro suonando banalmente alcune note per lui. La sera prima, quando Torchianni si era un po’ aperto davanti a una birra fresca, aveva potuto conoscere alcuni aspetti della sua ricerca, della quale fino al quel momento era ignaro, e ne era rimasto affascinato. Non subito, però. Lì per lì si era trattenuto dal ridergli in faccia, ma poi, durante la notte, aveva riflettuto a lungo sulla questione e aveva concluso i suoi ragionamenti con un interrogativo inquietante: E se quello che cerca il professore fosse il frutto di conoscenze che la scienza ufficiale ancora ignora? E se scoprisse davvero qualcosa di eccezionale, di fantastico? Io sarei testimone di qualcosa di storico. Fosse davvero possibile suonerei anche gratis... Torchianni impiegò pochi istanti per dirigersi al furgone camperizzato che aveva noleggiato ad Almería per l’occasione. Aprì il frigo e prese una bottiglietta d’acqua fresca per dissetarsi e per detergersi gli occhi e il


5 viso. Raggiunto l’obiettivo, tornò verso il “circo”. Rientrando sotto il tendone, lanciò un’occhiata interrogativa ad Alvaro, il quale sembrò destarsi da quello che poteva sembrare un improvviso sonnellino. «Mi scusi professore, credevo avesse deciso di fare una pausa più lunga. Riprendo subito a suonare.» Torchianni lo degnò solo di un’occhiataccia, ma non rallentò e non rispose. Non che Alvaro si aspettasse una risposta cordiale, però, ci era rimasto male, forse proprio perché si era un po’ affezionato a quel vecchio, o almeno all’idea di una scoperta affascinante, o forse semplicemente perché ci teneva molto a guadagnarsi i suoi soldi. Non aveva davvero temuto che si fosse trattato di un malore, perché, in fondo, era consapevole che solo dopo il tramonto avrebbe potuto sperare di riprendere a parlare civilmente con il professore. Durante gli esperimenti si era abituato a non aspettarsi niente di umano da lui. D’altronde, l’accordo che avevano stipulato prevedeva una condotta rigidamente legata alle regole da lui imposte, che erano strane sicuramente, severe sicuramente, ma teoricamente tollerabili visto che la paga che avrebbero incassato era molto allettante. C’era comunque un’incognita che non lo faceva stare tanto sereno. La paga, seppur altissima, era vincolata anche alle trasgressioni di quelle maledette clausole. Una di queste, in particolare, pendeva su di loro come una spada di Damocle: “Ogni eventuale distrazione o perdita di tempo di qualsiasi genere comporterà l’applicazione di una piccola penale.” In quel momento, Alvaro non ricordava a quanto ammontassero quelle piccole penali, ma sommandone tantissime ogni giorno non poteva certo stare tranquillo. La notte prima aveva fatto un calcolo approssimativo e aveva scoperto che dopo tre giorni di lavoro ne avrebbe potuto accumulare talmente tante da temere una riduzione del guadagno di almeno il 10%. Si domandò quanto gli sarebbe costata quella semplice domanda fatta per pura solidarietà. Già la sera prima Alvaro aveva sollevato la questione parlandone con gli altri componenti della band e dalla conversazione era emerso che anche i suoi amici si erano ritrovati a ragionare sulle stesse questioni sostenendo di essere più o meno nelle sue stesse condizioni. Erano tutti d’accordo sul fatto che quel lavoro si stava prospettando più noioso e stressante del previsto e che ormai anche il guadagno, che all’inizio appariva particolarmente facile, rischiava di assottigliarsi sempre di più. Nel giro di pochi istanti le operazioni erano riprese completamente.


6 Posizionati ai quattro settori del “circo” i musicisti non cassarono più neanche una nota durante l’intera sessione pomeridiana che, come al solito, si concludeva con qualche minuto di libero sfogo della loro arte. Torchianni aveva inserito nel programma una breve sessione di sperimentazione mettendo in input il loro repertorio o qualche eventuale jamming forse più per il loro compiacimento che per una sua convinzione scientifica. Quella sera si riunirono davanti alle tende che avevano noleggiato ad Almería insieme a tutta l’attrezzatura che avevano portato nel deserto per allestire il “circo” e per campeggiare. Come ormai d’abitudine, dopo cena s’intrattenevano intorno a un fuoco acceso a qualche decina di metri dalle tende per rinfrancarsi bevendo qualche birra e per scambiare qualche parola. Dopo aver sofferto il caldo tutto il giorno, già poco dopo il tramonto si erano dovuti coprire con felpe e maglioni, perché la notte nel deserto faceva freddo. L’escursione termica non li infastidiva più di tanto, anzi gradivano molto di più il freddo, mentre invece Torchianni, che era più anziano, pativa di più quel clima e quasi sempre si ritirava sul suo camper per ripararsi e per riposare o, molto più probabilmente, per continuare a lavorare sui risultati degli esperimenti effettuando innumerevoli calcoli e lanciando svariati programmi sul suo computer. E anche quella sera il professore si era congedato presto. Rimasti al riparo da orecchie indiscrete, gli Over the sound si rilassarono un po’ prendendosi alcune libertà che in sua presenza non avevano osato prendersi. Pedro tirò fuori il necessario per rollarsi una canna, mentre Alvaro si apriva un’altra birra. Intanto Angelica accarezzava voluttuosamente la pelata virile di Pascual, il quale se la godeva all’idea di quello che a lui sembrava essere solo il preludio a un’altra nottata di passione. Quando si eccitava, il percussionista diventava più loquace. Fu quindi il primo a esprimersi in maniera particolarmente colorita nel definire la pignoleria e la severità di Torchianni. Esordì rivolgendosi a tutti e a nessuno in particolare: «Se continua così quello stronzo alla fine ci avrà fatto suonare gratis. Ma se si azzarda a segnare tutto io gli rompo il culo!» «Non oserà. Al massimo ci darà il 10% in meno. La paga iniziale era davvero eccellente. Forse troppo anche per noi» disse Pedro, per niente sorpreso da quell’uscita. Pedro forse era il più moderato del gruppo, forse lo era ancora più di Alvaro.


7 «Ma siamo matti? Se mi toglie più del 5% gli faccio causa!» intervenne Angelica, che era in linea con l’atteggiamento di Pascual già da un paio giorni, cioè da quando aveva deciso di accettare il suo corteggiamento anche se, forse, solo per consolarsi per l’assenza di Pepito. «Per riuscire a prendere quanto ci spetta dobbiamo cercare di non fare altre cazzate. Secondo me, se d’ora in poi saremo impeccabili, potremo farlo ragionare senza avvocati e senza minacce.» «Io vorrei credere che tu abbia ragione, Pedro. A me non sembra tanto stronzo a parte quando è sotto quella tenda a trafficare con quel macchinario. Anzi, mi è sembrato di vedere anche un tantino di umana simpatia nei confronti della nostra musica. Sicuramente gli serviamo solo per la potenza dei nostri riff e dei nostri drum rolls, ma mi è sembrato di intuire che ci ha scelto anche perché apprezza la nostra arte» disse Alvaro. «Figuriamoci! A quello al massimo piace Julio Iglesias» esclamò Pascual strappando qualche risata ad Angelica e persino a Pedro. In effetti anche Alvaro sorrise a quella battuta. Per una band heavy metal come la loro quel tipo di musica era davvero agli antipodi, anche se non erano certo nella condizione di poter criticare un artista che poteva vantare una lunga carriera costellata di successi. Loro erano gli Over the sound, erano una band che aveva sfornato solo due album, peraltro noti solo a un pubblico piuttosto ristretto. Non avendo avuto particolare fortuna nelle vendite si mantenevano a fatica con concerti ed esibizioni soprattutto in platee paesane e in piccoli pub in giro per l’Andalusia. Erano ancora nella fase in cui, per risparmiare, eseguivano personalmente anche tutti quei lavori che avrebbero dovuto demandare a tecnici e operai. Purtroppo quella fase della loro carriera pareva non finire più, tanto che, nel frattempo, erano ormai diventati così esperti da essere in grado di organizzare un evento in pochissimo tempo occupandosi di tutto. Tra l’altro, la produzione dei due dischi era costata gran parte dei loro risparmi e non erano ancora rientrati del tutto dalle spese. Gli Over the sound non erano particolarmente affiatati fuori dal palco. Spesso si scontravano tra di loro per le scarse affinità caratteriali o per l’effetto dell’abuso di alcol e droghe o per la rivalità per la leadership. Ognuno aveva la sua specialità. Alvaro suonava il basso, Pedro la chitarra elettrica, Pascual la batteria e Angelica era la vocalist. E poi c’era Pepito che suonava la tastiera e dava il carattere alla band con la


8 sua voce cavernosa, il suo look da biker e la sua inseparabile Harley Davidson. I vocalist principali della band erano quindi Pepito e Angelica, ma anche gli altri partecipavano egregiamente e insieme costituivano un ottimo coro. La loro forza era proprio l’esibizione dal vivo. Pepito era l’unico assente di quello strano ingaggio. O meglio, stava ancora smaltendo i postumi di una fastidiosa influenza e avrebbe dovuto raggiungerli entro un paio di giorni dall’inizio dei lavori. Al terzo giorno non era ancora arrivato, ma il professor Torchianni non se ne lamentava più di tanto. A lui interessavano le note pure e semplici, a vari livelli di potenza e tonalità, non tanto il loro repertorio, né tanto meno era affascinato dal carisma del loro leader. In quel luogo isolato, nel bel mezzo del deserto di Tabernas non avevano visto altre anime vive da quando erano arrivati. Erano come fuori dal mondo, isolati anche nelle comunicazioni. Torchianni diceva di aver scelto accuratamente quel luogo per evitare distrazioni e contaminazioni del suo lavoro. Gli Over the sound non erano affatto abituati a quella specie di confino e non riuscivano a non esternare il loro sempre più evidente malumore. *** Una sera, quella del terzo giorno di permanenza nel deserto, videro un bagliore squarciare il buio. La sua direzione faceva intuire che qualcuno stesse avvicinandosi al campeggio che avevano allestito per pernottare. Speravano tutti che si trattasse dell’arrivo di Pepito, che ancora attendevano. «Qualche dannato turista è arrivato fino a qui. Si sarà fidato del navigatore e avrà sbagliato strada» disse Pascual, non appena si accorse che la luce proveniva dai fari di un camper che sembrava puntare verso il loro accampamento. Anche gli altri si stavano innervosendo per quella sgradita sorpresa, ma era proprio l’umore di Torchianni a sembrare il più cupo di tutti, tanto che, distolto dai suoi calcoli, era uscito dal suo furgone camperizzato per assistere alla scena. Il camper finì la sua corsa ad alcune decine di metri dal “circo”, non prima di aver effettuato una serie di manovre accurate che lasciavano intuire che i turisti avevano l’intenzione di accamparsi per la notte


9 proprio lì. «Devono andarsene subito» sentenziò il professore. «Sì, però, non avremmo nessun diritto di mandarli via» disse Pedro. Torchianni si guardò intorno, cercò un sasso, l’afferrò e si avviò a dare il benvenuto ai turisti. «Professore, aspetti, vengo con lei» disse Alvaro. «Veniamo anche noi» disse Angelica afferrando Pascual per un braccio e avviandosi verso il camper. Anche Pedro, con una certa riluttanza, si avviò al seguito. Man mano che si avvicinavano, strabuzzavano gli occhi per cercare di vedere chi ci fosse a bordo, ma i camperisti avevano chiuso le tendine e messo gli scuri ai finestrini prima che il gruppo si fosse avvicinato abbastanza per poter individuare qualche sagoma. Torchianni giunse per primo davanti alla porta fermamente intenzionato a cacciare via gli intrusi. Bussò con decisione ancora prima di sincerarsi di essere raggiunto dagli altri. Passarono pochi istanti nei quali i membri degli Over the sound fremettero per poter menare le mani con chissà quali energumeni e, nonostante facessero il possibile per apparire duri come il loro sound, lasciarono trasparire diversi segni di nervosismo e di insicurezza. Un conto è dire di essere dei duri, farsi decorare il corpo da un esercito di tatuatori indemoniati, farsi applicare innumerevoli piercing, indossare pellame scuro e ruvido adornato di borchie, mostrare cicatrici frutto di chissà quali battaglie, mostrare le proprie criniere sollevate verso il cielo contro ogni legge di gravità e un conto è comportarsi come tali di fronte all’ignoto. L’apprensione comparve impietosa nei loro sguardi, nelle loro espressioni. Solo il professore appariva imperturbabile e spietatamente determinato nell’atto di tempestare di pugni la portiera del camper. Passarono alcuni secondi, poi la porta si aprì e apparve la sagoma muscolosa di un uomo in canotta e bermuda con tasconi. Il suo viso era sorridente, ma un po’ sofferente e discretamente coperto di barba e incorniciato dalle ciocche di lunghi capelli neri. L’uomo del camper era decorato da tatuaggi, tra i quali spiccava un grosso vegvisir, che sembrava uno scudo posto a protezione del suo collo, e piercing disseminati senza apparente logica su alcune parti scoperte della sua pelle. «Professor Torchianni, che bella accoglienza! Ciao ragazzi!» disse Giuseppe Verdi, detto Pepito. «Meglio tardi che mai! C’è qualcun altro a bordo?» chiese Torchianni,


10 ancora sul chi vive. «Nessuno, stia tranquillo.» «Perché quelle facce?» disse Pepito rivolgendosi ai suoi amici. «Credevamo venissi con l’Harley» disse Pascual ancora visibilmente sorpreso. «Ho noleggiato questo pachiderma perché sono ancora un po’ febbricitante e volevo stare più riguardato. Ho sentito dire che qui di notte fa freddo.» «Alvaro, per favore, informa Pepito di quello che dovrà fare domani mattina. Tu, Pedro e Angelica continuerete a fare solo la vostra parte. Sono fiducioso. Ci saranno sviluppi importanti» concluse Torchianni lasciandosi sfuggire un sorriso e mollando il sasso per terra. Il professore salutò tutti e si avviò verso il suo camper, mentre gli Over the sound si stringevano intorno al loro leader. L’accoglienza più calorosa gliela riservò Angelica con un lunghissimo bacio proprio sotto lo sguardo allibito di Pascual. Salirono tutti e cinque sul camper e si accomodarono sulle dinette. Stavano un po’ strettini, ma non se ne curarono perché quella era l’occasione per ricompattare il gruppo. Alvaro cominciò a ragguagliare Pepito: «Che vuoi che ti dica? Domani toccherà anche a te romperti le palle come ce le siamo rotte noi in questi tre giorni di merda passati in questo deserto di merda con questo clima di merda. Ti dovrai piazzare alle tastiere e fornirgli le note che ti chiederà. C’è un programma ben preciso. Ce l’ho in tenda. Poi te lo passo. Insomma: dovrai fornire note, potenza, tonalità in tutte le miriadi di combinazioni che a quello svitato son venute in mente. E in più ti chiederà di aggiungere tutte quelle che possono saltare in mente a te. Stiamo consumando quantità enormi di tappi, ma abbiamo comunque tutti un male fottuto alle orecchie.» «Prendete una birra» intervenne Pepito, che nel frattempo ne aveva tirate fuori cinque dal frigorifero. «Ma la cosa peggiore è che quel figlio di puttana fa valere la clausola delle penali per ogni minima cazzata. Secondo me vuole farci suonare gratis» disse Pascual dopo aver tracannato una generosa sorsata. «Così, il vecchio è un pignolo di merda?» «Sì, ma solo quando è al lavoro nel “circo”» disse Pedro. «Circo?» «Tu come lo chiameresti quel tendone?» «È buffo, non ci avevo pensato. E quando non lavora, che fa?»


11 «Mangia, dorme o studia, ma non disturba nessuno.» «Forse è solo stanco di fare lo stronzo tutto il giorno» puntualizzò Pascual. «A proposito di stanchezza, forse è il caso di farti riposare, visto che hai ancora la febbre» disse Alvaro. «Grazie, ma qui sopra riposerò benissimo anche se farò più tardi. Confesso che se fossi riuscito a mettermi in contatto con voi forse avrei atteso almeno un altro giorno prima di venire fino qui. Questo non è proprio il posto ideale per fare campeggio. Non c’è campo per qualche decina di chilometri e si fa fatica a distinguere le strade dal nulla che attraversano. Come avete potuto immaginare che questo fosse un camper carico di turisti?» «Non lo so. Ti accorgerai anche tu che la situazione qui è surreale e non stimola la razionalità. D’altronde, non abbiamo ancora capito qual è lo scopo di questi esperimenti» rispose Pedro. «Voi non lo avete ancora capito, ma io cercherò di farlo. E sapete come? Glielo chiederò. Prima con le buone, ovviamente» disse Pepito, scoppiando a ridere. «Meglio di no. Chissà quanto ci costerebbe come penale un’azione del genere» disse Pedro. «Io ci ho parlato già e non so se ho capito bene. Pare che stia cercando un modo per canalizzare l’energia che scaturisce dal suono dei nostri strumenti. Secondo lui c’è qualcosa nell’etere, o forse intendeva nell’aria, che possiede un’energia enorme che potrebbe essere scovata con questo esperimento. Potrebbe fare la scoperta del secolo se solo non fosse matto. Comunque io sono d’accordo con Pepito. Vale la pena correre il rischio di farlo parlare. Meglio mal pagati che ignoranti» disse Alvaro. «Meglio informati bene e pagati meglio» aggiunse Pascual palesemente in accordo con il suo leader. Angelica invece taceva, mentre sorseggiava la sua birra e mangiava con gli occhi Pepito, il quale a sua volta pregustava sornione l’epilogo della serata. Il discorso relativo al mistero dello scopo degli esperimenti quindi non decollò, nonostante il tentativo del bassista di suscitare l’interesse con quelle parole. Quando Alvaro e Pedro si alzarono per tornarsene all’accampamento, Pascual aveva cercato lo sguardo della vocalist per capirne le intenzioni e aveva visto quello che gli altri avevano compreso molto prima di lui.


12 Con Pepito presente Angelica era ormai off-limits anche per lui. Di malavoglia si alzò e si avviò come gli altri due lungo il breve tragitto che divideva il camper del nuovo arrivato dalle tende. Intanto Alvaro aveva rallentato ad arte facendosi raggiungere da Pascual. Quindi gli disse: «Vieni, ti offro una birra. Ti devo confidare una cosa che mi ha detto il vecchio.» «Che vuoi che mi freghi? Quello se la farà ancora una volta. Mi fotte anche da malato. Che cazzo!» «Mi dispiace Pascual. Non ti fissare con quella troietta. Appena ce ne andremo da questo posto di merda ne troverai altre mille che sbaveranno per te. Ma adesso ascoltami, perché se quello che ho scoperto ieri sera fosse vero…» «Che vuoi dire?» «Voglio dire che secondo me il vecchio ha fatto una scoperta eccezionale che potrebbe valere miliardi e potere. Con il tuo aiuto potremmo ottenere tutto questo solo per noi.» «Non ti seguo. Di che si tratta? E perché non lo hai detto prima?» «Di che si tratta lo vediamo dopo. Non ho insistito poco fa davanti a Pepito perché non mi fido più di tanto di lui. Ci stai o no?» «E come?» «Possiamo aiutare Torchianni a sperimentare quanto ha teorizzato e poi prenderci ciò che avrà codificato, ciò che ci farà diventare ricchi e potenti. Serve solo un ultimo sforzo.» «Se è per fottere quello stronzo di Pepito ci sto di sicuro!» «Bene! Beviamoci su e poi ti spiegherò cosa dovremo fare.» *** Rimasti soli, Pepito non aveva esitato a provare a soddisfare la sua donna. Ben presto, però, era stato vinto dalla spossatezza e, di comune accordo, avevano risolto la questione andando a dormire. Il mattino dopo un raggio di sole trafisse l’occhio destro di Angelica attraverso una fessura tra lo scuro e il finestrino posto sopra il letto che aveva diviso con il suo uomo. Intontita dal sonno, lo vide accanto a sé ancora addormentato. Si alzò con cautela per non svegliarlo, andò in bagno e controllò l’orologio: erano già le 8:50. Pensò con rabbia all’eventualità che Torchianni avesse applicato un’altra pesante penale perché erano già in ritardo di venti minuti. Poi fece attenzione ai suoni


13 che giungevano dal “circo”. Sentì il rullare delle percussioni di Pascual crescere di intensità. Le parve un modo di suonare più cattivo del solito. Non che si sentisse in colpa per averlo illuso e poi mollato non appena aveva rivisto Pepito. Per lei Pascual era stato solo una parentesi, una fugace consolazione di una notte e non aveva rinunciato affatto all’uomo che amava e che stimava di più. Non temeva neanche una sua reazione dettata dalla gelosia, perché tutti quelli che la conoscevano erano al corrente del suo carattere volubile e lei non ne faceva mai un mistero. Anzi, la sua inaffidabilità era la prima cosa di sé che presentava a un uomo non appena ne faceva la conoscenza. Però, quel suono di percussioni che saliva sempre più d’intensità stava cominciando a inquietarla. «Cosa succede? Cosa stanno combinando?» urlò Pepito, che si era svegliato di soprassalto. «Hanno cominciato. Siamo in ritardo» rispose inutilmente. Nessuno avrebbe più potuto sentirla, perché l’intensità dell’assolo di Pascual era diventato assordante persino all’interno del camper. Angelica si vide costretta a tapparsi le orecchie, così come aveva già fatto Pepito. Cominciarono a tremare in accordo con tutto quello che c’era a bordo. Poi cominciò a oscillare l’intero camper. Lei prese a urlare in preda al panico, mentre lui si era raggomitolato sul letto cercando di nascondere il più possibile la testa sotto il cuscino. Passarono ancora alcuni istanti e poi avvenne. Un boato ancora più forte accompagnò un’onda d’urto poderosa che sollevò il camper da terra e lo schiantò alcuni metri più in là facendolo ribaltare un paio di volte finché non continuò la sua corsa sfregando sul terreno per un’altra decina di metri tra innumerevoli scintille e infine si fermò. Intanto il “circo” era sparito. Al suo posto era rimasta una voragine da cui saliva un’altissima colonna di fumo. L’accampamento era stato travolto da un’onda d’urto terrificante che aveva spazzato via tutte le tende e tutti i furgoni ormai ridotti in rottami in fiamme e disseminati a centinaia di metri di distanza dal punto dell’esplosione.


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Biella, Italia, nove ottobre 2018 La pioggia scendeva incessante senza tuttavia diradare la nebbiolina che sembrava avvolgere la città. Nonostante il fenomeno non fosse particolarmente intenso, la sua durata gli aveva tuttavia permesso di trascinare sulla strada terra e foglie che mescolandosi e macerandosi avevano formato una spregevole poltiglia che aveva reso il fondo stradale piuttosto insidioso. Tommaso si trovò a guidare la sua utilitaria nel bel mezzo del traffico dell’ora di punta. Rimase incolonnato per quasi dieci minuti procedendo a passo d’uomo. Inaudito per una cittadina come Biella diventata da qualche decennio capoluogo di provincia, ma certamente non cresciuta nelle dimensioni grazie a quella promozione burocratica né tanto meno, per così poco, diventata caotica come una grande città. Ma la pioggia faceva sempre uno strano effetto sull’inconscio collettivo degli automobilisti di tutte le latitudini rendendo la guida generalmente più nervosa e indisciplinata del solito. Alcuni suoi amici attribuivano sarcasticamente la responsabilità di quegli ingorghi ai terroni provenienti da Gaglianico in giù. Tommaso, nonostante fosse originario di una città posizionata geograficamente molto più a sud della confinante cittadina incriminata, o forse proprio perché conosceva personalmente come si comportavano gli automobilisti suoi conterranei, non osava mai contestare quella perla di saggezza. La sua destinazione era ormai a pochi passi, ma per posteggiare avrebbe dovuto proseguire ancora per qualche centinaio di metri per accedere al parcheggio coperto. Mentre ascoltava l’ennesimo notiziario alla radio, un battito ritmico a lui familiare cominciò a diffondersi nell’abitacolo. Dopo un paio di secondi realizzò di aver cambiato la suoneria proprio la sera prima e rispose. «Ciao Giné, che mi dici?» «Ciao, scusami, stai ancora guidando?» «Sì, come al solito quando piove le auto spuntano come funghi!» «Ti ricordi di comprare anche la farina? Non l’ho scritta nella lista, ma è


15 indispensabile per rinfrescare il lievito madre.» «Già, ci stavo pensando. Mandami un messaggino così non lo dimentico.» «Non scherzare, dai. A dopo.» «Ok, ciao.» In effetti Tommaso non stava affatto pensando alla panificazione, anche se ultimamente ci si era dedicato con entusiasmo. Era stata sua moglie a insistere sull’argomento. Ginevra dapprima lo aveva un po’ incuriosito elogiando con qualche battutina innocente le persone che, come i loro amici Andrea e Lory, avevano avuto il piacere di riscoprire le preparazioni tradizionali, ma lui non si era comunque entusiasmato. Poi, però, dopo aver assaporato la focaccia preparata da Lory, si era fatto coinvolgere anima e corpo e negli ultimi giorni aveva pressoché soppiantato la moglie nello stesso passatempo. Ginevra gliel’aveva fatto fare senza alcuna remora. Sapeva benissimo che quella sua nuova fissazione era un modo come un altro per non pensare troppo alla sua situazione lavorativa. Tommaso aveva aperto un’agenzia di investigazioni e non sapeva come sarebbero andati gli affari. Da mesi ormai aveva intrapreso quella nuova avventura e non era ancora riuscito a crearsi un giro di clientela sufficiente. Mettersi in proprio era stato un suo pallino sin da quando era ragazzo. Esserci riuscito era stato un successo, ma doverla chiudere per mancanza di clienti sarebbe stato un disastro. Eppure, spesso e volentieri disperava di poter fare il salto di qualità e di far decollare gli affari. E in giornate uggiose come quella, essendo meteoropatico, non vedeva nessuna soluzione. Pensava al fatto di aver rinunciato al posto fisso e di aver investito quasi tutti i suoi risparmi nello start-up. Poi partiva con una serie di rimuginamenti. Si rimproverava di aver permesso al suo ego di gonfiarsi a tal punto da considerare cosa fatta guadagnarsi da vivere facendo l’investigatore privato. Alle volte pensava di dover attribuire la colpa a Ginevra perché gli aveva fatto vedere troppi film americani, altre volte se la prendeva con se stesso solo perché aveva l’hobby della lettura di gialli. Aveva persino l’abbonamento ai Gialli Mondadori. Ma inconsciamente sapeva che la responsabilità maggiore dell’insuccesso della sua agenzia era quasi certamente da attribuire alla pessima gestione dell’ultimo caso che aveva avuto per le mani. Infatti sognava ormai con una discreta frequenza il signor Cischetti penzoloni da un ramo di un castagno. Sognava spesso un’enorme quantità di ricci e di castagne, un albero


16 altissimo e un ramo in cima al quale vedeva quell’imbecille morto impiccato che lo fissava scompisciandosi comunque dalle risate. Poi si svegliava in preda al panico, specie le prime volte. Ultimamente lo sognava anche da sveglio, a occhi aperti. La cosa che lo faceva spaventare di più era proprio il suono sinistro di quella risata, ovvero qualcosa che proveniva dal profondo delle sue paure. Giunto al culmine della crisi cercava sempre di scrollarsi di dosso l’imponderabile e ricominciava a razionalizzare i suoi errori. Anche quella volta si trovava in quella fase. Pensava al fatto che era stato tanto stronzo da aver inanellato un’incredibile serie di disattenzioni e di errati ragionamenti che l’avevano condotto dritto dritto al disastro. Non si rassegnava al fatto che quella sera, proprio la sera prima del macabro ritrovamento, si fosse rovinato con le sue stesse mani. Gli erano uscite di bocca certe parole senza alcuna spiegazione logica. Il suo stato d’animo, alterato dalla notizia della gravidanza di Ginevra e da qualche aperitivo di troppo, non poteva certo giustificare il fatto di aver detto alla sua cliente: «Signora Cischetti, suo marito se ne sarà andato via. Credo proprio che stia bene e che probabilmente si trovi nelle Antille olandesi, dove risulta avere un conto. Presumo si tratti di un allontanamento volontario.» Aveva persino rimarcato le parole allontanamento volontario non curandosi della più probabile conclusione che quella povera donna fosse in procinto di diventare vedova. Come volevasi dimostrare, il giorno dopo, un cercatore di funghi scoprì la verità al posto suo. La città è piccola e le voci corrono molto velocemente quando si tratta di far sapere al prossimo di un vero e proprio fiasco di un automobilista che è originario di una città situata a sud di Gaglianico. I pochi mezzi di informazione biellesi diedero infatti ampio spazio all’incredibile errore della sua agenzia di investigazioni. Essendo il primo caso di persone scomparse che avesse preso in carico fece proprio una pessima figura. Infatti non ci sarebbe voluto molto a capire come stavano realmente le cose se solo avesse usato un po’ di prudenza nel vagliare tutte le ipotesi e le avesse prima verificate attentamente anziché sputtanarsi esternando le sue affrettate supposizioni. La polizia, una volta scoperto il cadavere, ci mise poco a ricostruire l’accaduto. Il signor Cischetti, che aveva dovuto affrontare l’ennesima crisi della sua piccola azienda tessile, per la sopravvivenza della quale, tra l’altro, si era battuto come un leone per parecchi anni, alla fine aveva anche fatto carte false, come anche


17 Tommaso aveva prontamente scoperto, ma non aveva rubato per andarsene nelle Antille fregando tutti, compresa la moglie. No, Cischetti aveva semplicemente mollato e, visto che ormai era diventato complicato gettarsi giù dal ponte di Chiavazza, che era stato dotato di reti di protezione più alte e di telecamere di sicurezza per dissuadere gli aspiranti suicidi, si era inoltrato nel bosco e si era impiccato al ramo di un castagno. Tommaso pensava che per ogni uomo suicidarsi fosse sempre un grosso errore, ma avrebbe anche dovuto considerare che per ogni investigatore fosse un errore molto stupido non supporre che qualcuno possa giungere a ritenere sensata quella ipotesi, a maggior ragione a Biella che è da tempo ai primi posti in Italia nella triste classifica dei suicidi. E pensava anche che, per quanto cercare di impedire agli sventurati di gettarsi giù dai ponti possa oggettivamente ridurre il numero delle possibili soluzioni a loro disposizione per farla finita, tale prevenzione non potrà certo dissuaderli del tutto da quel terribile proposito. Purtroppo il disgraziato in questione non aveva lasciato alcuna lettera di commiato e non aveva mai lasciato intendere né che si stesse scoraggiando né tanto meno che si stesse preparando all’addio. «Sarà anche colpa di questo clima di merda!» gli scappò detto ad alta voce a conclusione di quei pensieri. Parcheggiò ordinatamente, aprì la portiera e si accinse a fare la spesa nel grande centro commerciale. Consultò più volte la lista preparata da sua moglie. Si sentiva quasi come un pensionato alle prese con un’attività ormai impegnativa a causa dell’età e della demenza senile, ma aveva appena trentacinque anni, un fisico forte e un aspetto ancora giovanile, anche se un po’ minato da un principio di calvizie che, però, - credeva lui - metteva in risalto una fronte alta, spesso indice di una mente vivace. Si mise a scuotere il capo seguendo ancora il flusso dei suoi tormentati pensieri. «Ehi, Tommy, che ci fai qui?» si sentì dire. Si voltò disperando di essersi fatto beccare con quel terribile umore che lo accompagnava. Avrebbe rischiato di mostrare l’ennesimo volto negativo di sé e della sua agenzia. «Ciao Sergio, faccio la spesa e tu?» «Be', sì, anch’io. Pensavo lasciassi questa incombenza alla tua mogliettina.» «Oggi avevo un po’ di tempo libero e me ne sono voluto occupare


18 personalmente. Scusa se mi impiccio, ma tu fai la spesa in divisa?» «Ero venuto qui per servizio. Sai, il solito taccheggiatore anonimo. Ho già acquisito le immagini da portare in centrale per il riconoscimento e, già che ci sono, sto prendendo due cose al volo. Ma dimmi, come vanno gli affari?» Ma guarda che stronzo! Si vendica subito! Perché non mi faccio mai i cazzi miei? «Una meraviglia! Tanti piccoli casi ben remunerati. Non potevo sperare di meglio» s’inventò su due piedi. «Ma non ti manca la squadra? Sei proprio un orso!» Ma vaffanculo! «Sì, un po’ mi manca, ma sono davvero un po’ orso e lo sono sempre stato. Mi piace lavorare da solo.» E togliti dai coglioni! «Ok Tommy, ora devo scappare, mi ha fatto piacere vederti. Fatti sentire, magari organizziamo una pizza con le signore, eh?» Ma figurati! «Certo, come no?» «Ci conto, eh?» Conosceva Sergio sin dai tempi della scuola. Era sempre stato un tipo sveglio, più spigliato di lui, perfettino nel look, più atletico di lui e con un gran cespuglio fitto fitto al posto dei capelli, ma forse proprio per questo non gli stava particolarmente simpatico. Sergio era sempre stato presente nella sua vita sociale. Era un amico non particolarmente intimo, ma sicuramente fedele. Per alcuni anni era stato anche il suo vice ispettore e, quando aveva lasciato la polizia, aveva praticamente preso il suo posto facendo tesoro di quanto aveva imparato da lui e da quel momento gli era rimasto ancora più riconoscente. In quel frangente sentì ancora quell’inconfondibile battito ritmico. Era quello dei Queen, quello di We will rock you, la nuova suoneria che Ginevra gli aveva quasi intimato di impostare sul suo smartphone la sera prima, sostenendo che gli avrebbe rammentato di doversi scuotere di dosso la paura dell’insuccesso. Osservò il display. Numero sconosciuto. «Pronto?» «Buongiorno, sto cercando di contattare l’agenzia investigativa Maffone.» «Sono Tommaso Maffone, con chi parlo?» «Mi scusi, ha ragione. Mi chiamo Agata Audemori.»


19 «Audemori? Parente del dottor Audemori?» «Sì, a chi si riferisce? A mio padre o a mio fratello?» «Be', in effetti, a tutt’e due. In cosa posso esserle utile?» «Si tratta di una faccenda delicata. Riguarda mio marito.» «Se si tratta di indagini per sospetta infedeltà, mi rincresce dirle che non è il mio campo, signora Audemori» gli scappò detto, anche se quello era forse l’unico campo di cui avrebbe dovuto occuparsi per risollevare le sorti della sua agenzia. «No, non si tratta di infedeltà. Ho il sospetto che mio marito sia stato ucciso.»


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3

Tornando lentamente verso casa Tommaso ebbe modo di considerare che probabilmente avrebbe dovuto accettare la proposta di ingaggio che aveva appena ricevuto, ma sapeva anche che avrebbe potuto rischiare un altro fallimento. Si ripromise di non essere avventato, non era proprio il momento di rischiare. D’altronde in un caso di omicidio, sempre che di omicidio si trattasse, era impensabile accettare un incarico senza prima informarsi un po’ su quanto era avvenuto secondo gli organi di stampa se non proprio secondo gli organi competenti. Riteneva quindi che fosse imprescindibile farsi più o meno un’idea di cosa si trattasse prima di accettare, anche perché avrebbe potuto condurre privatamente indagini sull’accaduto solo in forza di un eventuale incarico ufficiale. Aveva già in mente cosa fare, ma se ne sarebbe occupato in tarda serata. Entrò nel cortile di casa quando stava ancora piovendo, ma la luce era decisamente aumentata d’intensità, forse preludendo a un prossimo miglioramento del tempo. Posteggiò l’auto e si accinse a salire a casa con le borse della spesa con le quali impegnava entrambe le mani. Si sarebbe bagnato un po’ e stava per sbottare, ma, per così pochi metri, decise di lasciare l’ombrello in macchina e si avviò verso il portoncino d’ingresso. Suonò il campanello con un gomito per non poggiare le borse per terra per cercare le chiavi che aveva messo in una tasca dei pantaloni. Attese invano qualche istante, ma non riprovò. Si sarà addormentata. Da quando ha scoperto di essere incinta non è più la stessa. Riluttante poggiò comunque per terra la borsa che teneva con la mano destra, frugò nella tasca, afferrò le chiavi e aprì la porta d’ingresso. Avanzò verso la cucina, raggiunse il frigorifero e lasciò le borse della spesa ai suoi piedi. Andò in salotto, da dove sentiva giungere i suoni della televisione in sottofondo, ma Ginevra non era sul divano. Provò in camera da letto e non la trovò neanche lì. Si avvicinò alla porta del bagno e la chiamò: «Giné, sono tornato.» Nessuno rispose.


21 «Giné, sono tornato» disse un po’ più forte. Ancora niente. Bussò, ma nessuno rispose. Ruotò la maniglia, ma la porta non si aprì. Cominciò seriamente a preoccuparsi. Bussò ancora più forte chiamandola a gran voce. Ripeté il tentativo per un altro paio di volte sempre senza risultato, poi decise di forzare la serratura. Andò a cercare un grosso cacciavite nel cassetto dove teneva alcuni attrezzi per le piccole riparazioni fai da te. Lo trovò al suo posto e tornò deciso ad aprirsi un varco. Armeggiò per pochi minuti e infine ne venne a capo. Quel che vide non gli piacque affatto. Ginevra era riversa sul pavimento tra il wc e il bidet e il puzzo acre e nauseabondo del vomito contornava la visione da incubo che aveva davanti. Tommaso gridò il suo nome e le cercò subito il battito e il respiro. Era sporca di sangue e di vomito, ma viva. Provò a bagnarle il viso e lei mosse leggermente il capo. Gli sembrò un buon segno. Prese una spugnetta e cominciò a pulirle il naso e la bocca, poi continuò a detergerle il collo. Non aveva speranze di poterle pulire la maglia che indossava così si accinse a togliergliela. Proprio mentre era alle prese con queste manovre Ginevra gli svegliò del tutto. Lo vide, ma si coprì parzialmente il volto con una mano e prese a piangere e a singhiozzare. «Giné, che ti è successo?» chiese Tommaso. Ma la sua era una domanda retorica. Lo sapeva benissimo cos’era successo. Quel vomito e quello stato catatonico erano dovuti a una violenta crisi scatenata da una grande bevuta di vodka alla pesca, a uno svenimento e alla conseguente caduta. Ginevra non era certo alla sua prima ubriacatura, ma erano passati anni dall’ultima volta, ai tempi della scuola. E quando era capitato a lei era capitato anche a lui, che già all’epoca era il suo fidanzato. A quei tempi frequentavano un pub con una certa regolarità e bevevano entrambi senza tante remore. In più di un’occasione avevano evitato il peggio solo grazie al fatto di essersi portati dietro pochi soldi. Solo alle feste si lasciavano andare e si riempivano fino allo sfinimento. Ginevra alle volte vomitava, alle volte sveniva, alle volte si addormentava, mentre Tommaso quasi sempre attaccava briga e causava qualche rissa. Dell’ultima bravata ricordavano davvero poco. Erano andati a una delle solite feste delle matricole alle quali partecipavano sempre. Tommaso era “una matricola con esperienza”, come andava dicendo quando era in vena di ironizzare sulla dura realtà di non essere riuscito a superare


22 alcuni degli esami del primo anno di università e di essersi ritrovato a seguire un paio di corsi per il secondo anno consecutivo. Quella sera un nuovo collega non aveva valutato bene il suo stato alterato dall’alcol e lo aveva sfottuto pesantemente suscitando in lui una reazione manesca e scomposta. Nella concitazione i due ragazzi, che come pugili sarebbero stati collocati nella categoria dei pesi massimi, urtarono e travolsero altri presenti, alticci anche loro. In breve l’alterco si trasformò in una rissa più ampia e nel parapiglia nessuno si accorse dello svenimento di Ginevra. Qualcuno chiamò la polizia. Tommaso ebbe la sfortuna di trovarsi ancora alle prese con quella scazzottata quando giunsero i primi agenti che li fermarono in massa. Ginevra invece ebbe bisogno dell’ambulanza. Se la cavarono tutt’e due, ma promisero solennemente che avrebbero smesso di bere in maniera sconsiderata. Tommaso avrebbe dovuto controllare che Ginevra mantenesse la promessa e viceversa. Non rinunciarono mai del tutto all’alcol, ma avevano mantenuto la promessa per quindici anni. «Giné, me lo avevi promesso.» «Mi dispiace, non succederà più.» «In così poco tempo, poi...» «Perdonami, ti prego» farfugliò Ginevra tra un singhiozzo e l’altro. «E il bambino? Non ci pensi al bambino?» «Sì che ci penso! Anche troppo ci penso!» «Che vuoi dire?» Anziché rispondere riprese a piangere in maniera ancora più convulsa e a coprirsi il volto con entrambe le mani. Cosa diavolo le sarà preso? Tommaso rimase ancora più interdetto. Non trovando altre risposte alle sue domande pensò di doverla almeno confortare. La tenne teneramente tra le braccia, mentre lanciava nel suo cervello il programma di ricerca della soluzione dell’enigma. La discreta potenza di elaborazione gli permise di giungere in pochi secondi alla probabile verità. «Non è che sono arrivati i risultati del tri-test?» La risposta fu un'ulteriore raffica di singhiozzi. Tommaso la strinse ancora un po’, poi, vinto dalla curiosità di scoprire quale fosse il responso, si alzò lasciandola lì dove l’aveva trovata e andò alla ricerca del referto. Frugò dappertutto, ma non trovò nulla. Poi, ormai convinto di doverle chiedere ulteriori spiegazioni, tornò sui suoi passi. Nel frattempo Ginevra si era alzata e lo aveva quasi raggiunto, anche se, invece di


23 cercare lui, sembrava interessata a qualcos'altro. Tommaso se la vide passare accanto e la seguì con lo sguardo senza dirle niente. Poi capì. Il referto era visionabile con il computer. Si fece passare il portatile e digitò le password per accedere al documento. Quando lesse trisomia 18 capì qualcosa in più. Poi cercò una spiegazione meno arida e tradusse con sindrome di Edwards, con anomalie cardiache, con malformazioni renali e, soprattutto, con tasso di sopravvivenza molto basso. Pianse anche lui.


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Saltarono la cena senza remore. Avevano trascorso almeno un’altra ora a piangersi addosso, poi cominciarono a riprendersi con dei flebili segnali di qualche funzione vitale più costruttiva, quindi si destarono e si fecero forza. Iniziarono con il pulire il bagno dalle tracce della sbornia di Ginevra, poi si fecero una doccia calda per togliersi di dosso la puzza e lo stress e infine, dopo aver ritenuto ancora una volta che la caduta non avesse causato altri danni oltre agli ematomi e al taglietto alla lingua da cui era uscito il sangue che aveva visto Tommaso entrando in bagno, si stesero sul letto. Sonnecchiarono, ma non dormirono, anche se si astennero dal parlare del futuro del loro bambino. Erano quasi le due quando Tommaso le parlò della telefonata che aveva ricevuto dalla vedova del professor Torchianni. Ginevra non sembrò particolarmente interessata, ma, forse per distrarsi o più semplicemente per far piacere al marito, lo incoraggiò a raccontarle tutto. «La signora fa parte di una famiglia ricchissima. Avrai sicuramente sentito parlare degli Audemori, no?» cominciò Tommaso. «Come il mio ginecologo?» «Esattamente. Anzi, penso proprio che sia suo fratello. La signora ha anche il padre che è un medico di un certo prestigio, anche se ormai sarà in pensione.» «Un cliente notevole, direi.» «Sì, anche perché Agata, la vedova si chiama così, non è tanto da meno dei suoi parenti. Dopo la telefonata ho letto subito qualcosa su di lei cercando notizie sullo smartphone e ho appreso che, anche se non ha mai lavorato, si è laureata in Lettere e si è poi dedicata agli studi teologici e alla beneficenza.» «Per hobby?» «Forse. Non credo possa essere rilevante per le indagini, ma quel che è certo è che non è una stupida. Ha sposato il professor Adalberto Torchianni, appunto l’uomo che è scomparso qualche giorno fa in Spagna in quell’incendio del quale hanno parlato anche in televisione. Mi ha chiesto di scoprire come è morto e chi l’ha ammazzato.»


25 «Ma non hai appena detto che è stato un incendio? E tu cosa le hai detto?» «Che ho bisogno di saperne di più per poter decidere se accettare l’incarico o meno.» «Perché? Ti pagherebbe bene comunque vadano le tue indagini, o no?» «Probabilmente sì, ma non ho intenzione di fare un altro buco nell’acqua. Se non dovessi fiutare una buona pista, rinuncerò e non rischierò di fare un’altra figuraccia.» «Perché dovrebbe essere così complicato?» «Non lo so, ma penso che sarà meglio studiarci su un paio di giorni prima di accettare l’incarico. Innanzitutto devo capire perché la vedova è convinta che non si sia trattato di un incidente, ma di un attentato. Quindi devo cercare di scoprire cosa stava architettando suo marito in mezzo al deserto di Tabernas con una band heavy metal al seguito.» «Quindi non sai di cosa si occupava il professor Torchianni?» «Non ancora. Finora ho trovato solo un articolo di un giornale di Biella che accennava a qualcosa che potrebbe avere qualche attinenza con la fisica del suono. Il professore era ordinario di fisica all’università e ambiva a sperimentare le sue teorie sugli effetti del suono sulla struttura della materia, o qualcosa del genere. Sto semplificando, anche perché non ricordo le parole esatte usate dal giornalista e non ho ancora avuto modo di approfondire.» «E ora cosa intendi fare?» «Niente, ormai è notte fonda. Domani, però, chiamerò Sergio e gli chiederò di farmi avere una copia dei verbali della polizia spagnola tramite l’interpol. Non sarà facile convincerlo a collaborare perché è complicato ottenere certe informazioni in maniera informale, ma me lo intorterò per bene. E per farlo mi servirà il tuo aiuto, Giné.» «Cioè?» «Invitiamo lui e la sua consorte a cena, così non si azzarderà a negarmi questo favore.» «Tommy, per questo non c’è problema, ma ascoltami. Credi che potremo superare questa cosa? Dimmelo, sinceramente.» «Certamente, anche se non sarà facile, non possiamo certo sapere cos’altro ci riserverà il futuro. Ti prometto che chiederemo tutto l’aiuto necessario. E poi, già con questa cena capiremo se saremo in grado di continuare a vivere senza condizionamenti.» Rimasero in silenzio per po’, quasi a cercare di immaginare quel futuro


26 imprevedibile. «Il ginecologo cosa ti ha detto?» «Quando ho letto il referto non ho pensato a niente. Era come se mi si fosse seccata la lingua. Sono andata direttamente al frigo e ho preso la vodka ghiacciata. Non so perché l’ho fatto, ma in quel momento mi era parso la cosa più logica da fare. Quindi non l’ho ancora chiamato e comunque non credo di essere ancora pronta per sentir parlare di aborto.» «Certo, va bene, ma nei prossimi giorni dovremo andarci comunque.» «Sì, ma adesso pensiamo al tuo nuovo caso e alla cena da organizzare con quel piedipiatti e la sua signora.» Tommaso l’abbracciò teneramente e si scambiarono baci e carezze finché non si addormentarono.


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Nella tarda mattinata Tommaso fu svegliato dal battito ritmico creato da Brian May. Era la vedova Torchianni che gli chiedeva già cosa avesse deciso. Preso un po’ alla sprovvista, l’investigatore cercò di scusarsi per non essere ancora in grado di darle una risposta farfugliando di vaghe ragioni legate al tempo inclemente di quegli ultimi giorni, ma, vista la caparbia determinazione della cliente, per non apparire troppo scortese, si sentì obbligato a concederle un appuntamento per parlarne di persona in maniera più approfondita. Quel che sorprese maggiormente Ginevra fu la tempestività con la quale suo marito prese tale appuntamento. Tommaso avrebbe ricevuto la signora Audemori quello stesso pomeriggio e, dato che la sede dell’agenzia di cui era titolare si trovava provvisoriamente nello studiolo ricavato nella stanza che avrebbe dovuto diventare la cameretta del bambino, Ginevra si affrettò a rassettare alla svelta tutto quello che poté. La signora Audemori non doveva assolutamente notare alcuna traccia di sporco o di disordine. Per lei era una questione di vitale importanza. Mai nessuno avrebbe dovuto entrare in casa sua e vedere qualcosa che non fosse indice di ordine e pulizia. Furono quindi ore febbrili per entrambi. Nel poco tempo che ebbe a disposizione prima dell’arrivo della signora Audemori, Tommaso fece quel che poté. Lesse le edizioni digitali dei quotidiani che avevano riportato la notizia della morte del professore, ma scoprì ben poco di nuovo rispetto a quanto aveva appreso il giorno precedente durante la ricerca effettuata subito dopo la sua prima conversazione telefonica con la vedova. Tutti i giornalisti riportavano più o meno la stessa versione che sostenevano fosse quella ufficialmente diramata dalle autorità spagnole. Elencò frettolosamente alcuni punti chiave: 1) Un’esplosione e il conseguente incendio avevano devastato la sede di un esperimento scientifico condotto dal professor Adalberto Torchianni. 2) Le cause dell’incidente erano ancora ignote. 3) Le operazioni di recupero dei corpi hanno reso difficile il riconoscimento delle vittime.


28 4) Oltre a Torchianni, ci sarebbero altre tre vittime, mentre i feriti sono un italiano e una donna spagnola, l’unica della spedizione. 5) I resti ritrovati sarebbero da attribuire a tre componenti della rock band Over the sound e al professore. 6) I due superstiti risulterebbero in condizioni critiche. 7) Torchianni era considerato un illustre professore che aveva dedicato la sua vita allo studio della Fisica, alla ricerca scientifica e all’insegnamento. 8) Gli Over the sound erano una band che prediligeva l’heavy metal. 9) Il loro cantante e leader Giuseppe Verdi, anch’esso biellese come il professore, detto Pepito proprio per il suo amore per la Spagna, in effetti non era l’unico rappresentante italiano della band. C’era anche Alvaro Ramires, di padre spagnolo e madre veneta. 10) I sopravvissuti erano Pepito e Angelica, l’altra voce solista del gruppo. Erano stati estratti ancora vivi dai rottami del camper che aveva noleggiato Verdi. Tommaso non aveva trovato altre notizie rilevanti e certamente non avrebbe avuto il tempo per chiedere a Sergio il favore di fornirgli una copia dei verbali delle autorità spagnole prima dell’incontro con la vedova Torchianni. Per decidere se accettare o meno l’incarico ormai poteva solo fidarsi del suo istinto, cercando di far tesoro delle risposte che avrebbe potuto ottenere da lì a qualche minuto. La signora Audemori arrivò poco prima delle 17, apparve elegantissima con un vestito firmato color pastello, chioma bionda boccolosa, trucco leggero, tacchi alti. L’accolse Ginevra che si era auto-incaricata di accompagnarla nello studiolo dove Tommaso sedeva alla sua scrivania ancora intento nelle letture introduttive al caso su cui avrebbe dovuto indagare. La signora Maffone cercò di non mostrare alcuna reazione alla vista di una ricca vedova dall’aspetto così fresco e attraente, ma chissà perché era piuttosto sorpresa. Probabilmente perché mentalmente legata a un vecchio e tranquillizzante cliché Ginevra si aspettava invece di vedere una vecchietta decrepita, afflitta dal dolore e inviperita dal desiderio di vendetta. Anche Tommaso l’accolse con una vistosa smorfia di sorpresa. Agata Audemori sovrastava sua moglie in bellezza ed eleganza nonostante avesse almeno dieci anni in più. Una sensazione di disagio lo scombussolò dentro. Ginevra se ne accorse con la coda dell’occhio, mentre stava entrando e glielo avrebbe rinfacciato sicuramente. Era stato proprio uno sciocco a non preparare un


29 atteggiamento più freddo, eppure aveva trovato sul web alcune foto recenti dei coniugi Torchianni e mentalmente aveva anche commentato sarcasticamente sull'evidente differenza di età tra l’anziano professore e l’avvenente signora. «Tommy, c’è la signora Audemori» annunciò Ginevra guardandolo un po’ di sbieco. «Falla accomodare, grazie» rispose il detective sorridendo. La cliente entrò nello studiolo e disse: «Piacere di conoscerla signor Maffone.» «Piacere mio. Innanzitutto mi preme rinnovarle le mie sentite condoglianze» le disse Tommaso stringendole la mano. «Grazie. Sto cercando di farmi forza per continuare a vivere anche senza di lui, ma non mi darò pace finché il colpevole non sarà arrestato e condannato.» «Come le ho anticipato e premesso ho bisogno di alcuni chiarimenti e di alcune informazioni per poter stabilire se sarà possibile aiutarla e quindi per decidere se accettare l’incarico. Coraggio, mi dica perché secondo lei non si è trattato di un incidente.» «Ma è ovvio, no? Che razza di incidente avrebbe potuto provocare tanta distruzione? E poi Adalberto era famoso per la sua pignoleria. Non lasciava mai niente al caso. Impossibile che sia potuto capitare un incidente così grave.» «E i suoi collaboratori? Erano pignoli anche loro?» «Per poter lavorare con Adalberto dovevano necessariamente essere seri, precisi e puntuali. Sì, credo di poter affermare che la fatalità sia da escludere. Qualcuno ha deciso di porre fine alla sua esistenza e vorrei proprio che lei scoprisse chi è stato.» «E il perché» aggiunse Tommaso. «Certo. Il perché mi interessa saperlo anche se non mi restituirà mio marito.» «E lei non ne ha idea? Il professor Torchianni aveva dei nemici?» «Non mi sembrava, altrimenti avrei insistito perché assoldasse qualche guardia del corpo, ma a quanto pare qualcuno doveva esserci.» «Se fosse come dice lei, signora, suo marito doveva avere un esercito di nemici per arrivare a fare una strage così cruenta. A meno che almeno uno dei suoi collaboratori non l’abbia tradito, o perché con la sua negligenza abbia causato l’incendio, o perché si sia trattato di un omicidio-suicidio.»


30 «Mi sembra improbabile. Comunque, se ne sono salvati due. Secondo me dovrebbe interrogarli. Potrebbe essere stato uno di loro. Che ne pensa?» «Non lo so ancora cosa pensare. Tra l’altro le ricordo che non ho ancora accettato l’incarico. La polizia locale li avrà già interrogati, non crede? Si è già rivolta a loro per avere notizie sulle indagini?» «Quali indagini? Sta scherzando? Sono sicura che per quei bifolchi il caso sia da archiviare come calamità naturale, come un fortuito incendio alimentato dal vento. Ma è falso. Mio marito è stato ucciso» concluse la vedova Torchianni facendosi sfuggire una lacrimuccia. Questa donna nasconde qualcosa. Adesso sta piangendo davvero o sta recitando alla grande? Tommaso tacque per qualche istante, poi, per togliersi dall’imbarazzo di dover consolare la bella vedova, si alzò fingendo di avere una telefonata urgente in linea. «Mi scusi, torno subito» bisbigliò. Uscì dallo studiolo e si diresse rapido in cucina, aprì il frigo e si versò dell’acqua frizzante fresca in un bicchiere. Bevve avidamente facendosi il solletico al naso e trattenendo un rutto a fatica. Tornò allo studiolo timoroso di avere di fronte una putrida palude in cui infognarsi, ma la necessità di farsi pagare cominciava a essere molto stringente e con il passare dei giorni poteva diventare quasi indispensabile per salvare l’agenzia. Pensò che una donna come la signora Audemori fosse abbastanza vaccinata da non scandalizzarsi troppo per un suo eventuale insuccesso e che comunque avrebbe dovuto correre il rischio. «Mi scusi ancora, non potevo non ascoltare cosa avesse da dirmi il ginecologo di mia moglie. Sa, aspettiamo un bambino e non è comunque un momento particolarmente felice per noi» le disse rientrando nello studiolo. «Mi dispiace» rispose gelidamente la vedova. «Avrei ancora una cosa da chiederle.» «Mi dica.» «Suo marito conosceva già gli Over the sound?» «Sì, Pepito è stato uno dei pochissimi studenti con cui era rimasto in contatto. Dico così, forse esagerando un po’. Si saranno scambiati gli auguri un paio di volte in dieci anni forse solo perché sono nati nello stesso giorno e nello stesso mese e risiedono nella stessa città. In fondo,


31 Biella è piccolina. Ogni tanto mi mostrava qualche articolo della stampa locale che elogiava il nostro concittadino in occasione di un’esibizione degli Over the sound o per l’uscita di uno dei loro pochissimi dischi.» «Perché suo marito ha scelto di fare quell’esperimento nel deserto di Tabernas?» «Glielo chiesi e gli dissi anche di volerlo accompagnare, ma lui non mi volle rivelare il fine ultimo delle sue ricerche e non volle essere accompagnato. Mi disse che l’oggetto dei suoi studi era troppo specifico per potermelo spiegare in parole povere e che non aveva tempo per tentare di farmi comprendere. Lui era fatto così. Non riusciva a sminuire in nessun modo il valore delle sue conoscenze, come se fosse un sacrilegio esporre una tesi senza usare la corretta terminologia e senza utilizzare almeno una penna e un quaderno sul quale sviluppare formule complicatissime. La mia formazione è molto diversa dalla sua. Io ho sempre amato e studiato le lettere e la poesia e lui le formule e i postulati. Ammetto che ci rimasi molto male. Con il senno di poi avrei dovuto imporre la mia presenza ed evitare quella separazione. Invece lo lasciai andare e non lo vidi più. Non lo vedrò mai più il mio povero Adalberto.» La vedova riprese a piangere alla sua maniera. Una lacrimuccia striminzita fece faticosamente capolino dal suo occhio sinistro. «Mi scusi, quando ci penso mi vengono giù le lacrime.» Tommaso le allungò un fazzoletto di carta. «Capisco. Mi dica cosa sa dell’esperimento. Anche se può sembrarle irrilevante, mi racconti tutto. Se la sente?» «Sì, ma non ho granché da dirle. Sin da quando l’ho conosciuto si è sempre occupato di fisica del suono. So che ultimamente aveva ordinato alcuni manufatti a un’officina meccanica di Almería, in Spagna. Lo so perché il preventivo era veramente esorbitante e lui mi chiese il permesso di utilizzare una parte dei fondi che avevo ricevuto dai miei genitori. Mi disse che era necessario anticipare la spesa, ma che mi avrebbe poi rimborsato non appena avesse ricevuto i finanziamenti per la sua ricerca dall’università. Sapevo che quella domanda l’aveva fatta molti anni prima, ma che non aveva mai avuto risposta. Visto che l’entità dei fondi era molto cospicua non me la sentii di negargli quella speranza, che era diventata ormai la sua ragione di vita. È molto probabile che abbia utilizzato quei macchinari per l’esperimento nel deserto, ma non so esattamente di cosa si tratti.»


32 «Quando lo ha sentito l’ultima volta?» «Cinque giorni prima della sua morte. Credo che nel deserto non ci sia copertura perché quando la sera provavo a telefonare risultava sempre attiva la segreteria.» A quel punto rimase in silenzio e sembrò aver terminato il suo resoconto. Anche Tommaso rimase in silenzio ancora qualche istante, poi, dando per scontato di non poter ottenere altre informazioni utili, le disse crudamente: «Signora Audemori...» «Agata, mi chiami pure Agata» lo interruppe la vedova. «Ok, Agata, io non ho abbastanza elementi per poterle promettere di risolvere l’enigma che mi sta proponendo. Capisco anche che rinunciare all’incarico potrebbe darle un altro brutto dispiacere, quindi, se per lei va bene, procederei in una maniera inusuale.» «Cioè?» «Comincerei a indagare per un paio di giorni addebitandole le spese, ma mi riservo di rinunciare.» «E perché dovrebbe rinunciare?» «Perché non ho ancora annusato neanche una possibile pista e mi darebbe fastidio fare fiasco» le rispose schiettamente. «Non si deve preoccupare. Faccia quello che ritiene opportuno. Io sono convinta che lei abbia le capacità per trovare il responsabile.» «E cosa glielo fa supporre?» «Mi ha fatto il suo nome un mio caro amico. Questa persona mi ha detto che lei era uno dei migliori investigatori della polizia, prima di decidere di congedarsi e mettersi in proprio.» «Posso sapere chi mi ha raccomandato?» «No, mi dispiace. Si dice il peccato, ma non il peccatore» rispose Agata sorridendo. «E questo suo amico le ha anche suggerito chi potrebbe essere l’indiziato per l’omicidio di suo marito? O per caso le ha anche suggerito di farmelo capire con qualche accenno apparentemente casuale che magari mi è sfuggito?» «Non capisco, cosa vuole insinuare?» «Sa se Giuseppe Verdi avesse avuto dei problemi con la giustizia?» «Vuole sapere se mio marito frequentava pregiudicati o magari se avesse egli stesso un’indole criminale?» «Da qualche parte devo pur cominciare. Sir Conan Doyle faceva dire al


33 suo Sherlock Holmes che una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità.» «Allora credo possa già scartare quest’ipotesi, sir Thomas» rispose Agata ridacchiando. Sorrise anche lui, anche se arrossì un po’ per l’inattesa presa in giro. «Va bene, a questo punto, se non le viene in mente nient’altro che ritenga possa essermi utile per le indagini, io non la tratterrei oltre. La contatterò tra qualche giorno per informarla sull’andamento delle indagini e sulle mie decisioni riguardo l’opportunità di proseguirle o meno.» «D’accordo.» Si strinsero la mano incrociando gli sguardi. Tommaso non vide solo degli occhi lucenti, ma qualcos’altro che lì per lì non riuscì a decifrare e che lo lasciò un po’ smarrito. Agata pensò di aver fatto colpo su un altro uomo e si compiacque di credere di essere ancora una donna affascinante. *** Non era passato neanche un quarto d’ora da quando la vedova se n’era andata che Ginevra aveva già cominciato a punzecchiare il marito. Dapprima gli aveva chiesto genericamente cosa ne pensasse della signora Audemori, poi, però, aveva svelato del tutto la sua gelosia sostenendo che lui avesse accettato l’incarico perché era rimasto ammaliato da lei. A quel punto Tommaso cercò di difendersi: «La verità è che mi servono soldi per non far fallire miseramente l’agenzia. La signora Audemori sarà anche una bella donna, ma io sono un professionista e ti sono sempre stato fedele. O vorresti negarlo?» «Allora perché dovresti sentirla o addirittura vederla tra un paio di giorni?» «Ne avevamo già parlato, ricordi?» «Mah! Sarà come dici tu.» «Se non la smetti potrei anche offendermi.» «Certo! Così avresti subito una scusa per piantarmi!» «Come te lo devo spiegare che Agata non mi fa né caldo né freddo?» «Agata, eh? Ormai siete passati al tu? Non mi sembrava affatto che non ti facesse nessun effetto, poco fa. Ti ho visto sai? Ho visto qual è stata la tua reazione quando è entrata nello studiolo.»


34 «Me l’aspettavo più incartapecorita, è vero. Per un momento ho creduto che fosse la figlia di Torchianni.» «Impossibile, non hanno figli.» «No? Bene, cos’altro hai saputo? Dimmelo, così mi risparmio un po’ di lavoro.» «Spiritoso!» «Basta adesso! Telefoniamo al ginecologo che abbiamo altro da fare che litigare per niente. Lo chiamo io o lo chiami tu?» «Ci penso io, anche perché io ci devo andare per forza, mentre tu potresti avere qualche imprevisto.» «Che vuoi dire? Io voglio esserci.» «Lo so, ma se dovrai andare in Andalusia a indagare sulla morte di Torchianni, come farai?» «No, figurati! Intanto devo parlare con Sergio e poi ho altre risorse da sfruttare prima di ipotizzare un’azione del genere.» «Speriamo, vorrei crederti, ma ho come un presentimento.» «Sei solo condizionata dal tuo pessimo stato d’animo.» Ginevra si fece scappare un’altra crisi di pianto e finalmente accettò di farsi consolare tra le sue braccia.


35

6

Due giorni dopo, mentre si trovavano alle prese con la preparazione della cena che avrebbe avuto come piatto forte la favolosa focaccia di Lory, i coniugi Maffone conversarono del caso che avrebbe potuto risollevare le sorti dell’agenzia di Tommaso. La questione principale verteva sull’ipotesi di indagare sui due superstiti. Secondo Ginevra non era affatto probabile che uno di loro fosse responsabile dell’accaduto. Sosteneva che non è umanamente concepibile rischiare la vita in una maniera così scriteriata. Tommaso invece era convinto che quell’ipotesi potesse essere valida e per irrobustire la sua opinione le chiese: «Sai per quali motivi i kamikaze fanno quello per cui sono famosi?» «Sì, più o meno. Le motivazioni che li portano a immolarsi potrebbero riferirsi al patriottismo, alla ricerca di gloria per la propria famiglia, al mettersi alla prova in maniera estrema, ma anche al fanatismo religioso, all’estremizzazione del concetto di vendetta. Ma in un caso come questo vai a scoprire il perché!» «È impossibile andare a scoprire una cosa del genere non avendo ancora nemmeno cominciato a indagare, ma effettivamente questa potrebbe essere un’ipotesi, no? Oppure potrebbe essere stato un attentatore che ha sottovaluto l’effetto dell’onda d’urto provocata dall’esplosione. Quindi, secondo me, non è da escludere questa eventualità. Vale certamente la pena indagare sui due superstiti, ma non adesso. Prima vorrei sperare di poter spulciare a dovere il materiale che mi farà avere Sergio.» «Pensi che ti porterà qualcosa già stasera?» «Se vuol mangiarsi la focaccia alla Lory sarà meglio che lo faccia.» «Ma allora te lo ha già confermato, vero?» «Sì, me lo ha fatto capire. Pare che la polizia di Biella avesse già chiesto ufficialmente alla polizia di Almería di avere accesso agli atti per via della residenza di Torchianni nel nostro comune. Non dovrebbe essere quindi un grande sforzo per Sergio. Vedrai che questo favore non me lo negherà di sicuro.» «Mancano sei giorni all’ecografia, riuscirai a restare con me?» «Certamente. Cascasse il mondo verrò anch’io.»


36 Si scambiarono un abbraccio affettuoso interrompendo la preparazione della focaccia. Avevano poi condito il tutto con un buon numero di baci al sapore salato delle lacrime di Ginevra. Tra l’altro si erano abbracciati noncuranti del fatto di essere sporchi di farina. Stavano stendendo la focaccia sulla spianatoia quando si erano lasciati travolgere dalle emozioni, ma avevano ancora solo una manciata di minuti prima dell’arrivo degli ospiti e non potevano indugiare troppo nelle loro romanticherie. Quando si ricomposero, ripresero lentamente a usare il mattarello e piano piano ritornarono a occuparsi dei passi necessari per seguire la ricetta alla lettera per ottenere un risultato che somigliasse il più possibile alla favolosa focaccia di Lory. Non avevano ancora infornato che il campanello suonò. Ginevra si lavò velocemente le mani, si scosse la farina dai suoi abiti alla bell’e meglio e andò ad aprire la porta. «Ciao, accomodatevi» li accolse sorridente. «Ciao carissima, ogni volta che ci vediamo ti trovo sempre più bella. Ma cosa ti fa il tuo maritino?» esclamò Carla, che appariva già su di giri e un po’ sudaticcia, vuoi per il suo carattere esplosivo, vuoi per il suo essere un po’ tracagnotta non solo nel fisico, ma anche nei modi. «Ciao» rispose arrossendo un po’ Sergio, che aveva sempre avuto un debole per Ginevra, forse proprio perché incuriosito dal fatto che era praticamente agli antipodi rispetto a sua moglie. Ginevra ignorò la battutina maligna di Carla, finse di non essersi accorta della leggera gomitata che Sergio aveva dato al fianco della moglie e continuò a recitare la sua parte dell’impeccabile padrona di casa che accoglie benevolmente i suoi ospiti: «Stavamo quasi per infornare. Accomodatevi in soggiorno, mentre vado in cucina ad aiutare Tommy ancora un momento.» «Digli di fare con calma, ma mentre vai in cucina porta in frigo il vino e le paste, per favore» disse Sergio quasi incantato, mentre Carla lo fissava incarognita. «Certo, grazie, ma non dovevate disturbarvi.» Intanto Tommaso aveva appena completato la preparazione di due teglie di focaccia e aveva atteso il momento giusto per infornarle. Prima di verificare che il forno avesse raggiunto la temperatura ottimale, aveva dovuto controllare che l’impasto avesse raggiunto una sufficiente lievitazione e quindi aveva messo tutti i condimenti previsti in quella fase, mentre una parte specifica andava aggiunta al momento di servirla


37 in tavola. Una volta infornato avrebbe avuto qualche minuto di tempo per andare a salutare gli ospiti in soggiorno. Incrociò Ginevra mentre stava giungendo proprio in cucina per le consegne appena ricevute e le parve un po’ contrariata. «Che faccia! Che cosa è successo di là?» le bisbigliò. «Niente di nuovo. La solita cafonaggine di Carla. Ormai lo so che non lo fa per cattiveria, ma mi dà fastidio lo stesso.» «Ti prego, Giné, stasera lascia correre.» «Certo, stai tranquillo.» Tommaso proseguì verso il soggiorno e salutò la coppia di amici con tutta la gentilezza di cui fu capace. Carla gli stampò due sonori baci sulle guance e Sergio gli diede una vigorosa stretta di mano. Si accomodarono, mentre Ginevra si occupava della focaccia. Carla ne approfittò per chiedere notizie sulla gravidanza, sperando così di non urtare la sensibilità della padrona di casa. Tommaso rimase sul vago, non avendo ancora deciso di divulgare la notizia della loro recente scoperta che il feto era affetto dalla sindrome di Edwards. Poi, proprio mentre Sergio sembrava voler dire qualcosa, Ginevra fece capolino comunicando che potevano andare a sedersi ai loro posti e che la focaccia sarebbe stata pronta in tavola entro pochi secondi. Poi aggiunse: «Scusate se vi ho interrotto, ma Lory mi ha detto che questa specialità va gustata caldissima, appena sfornata. E visto che la ricetta è la sua e che noi l’abbiamo effettivamente apprezzata moltissimo, non rischierei di fare l’errore di ignorare i suoi consigli.» «Quand’è così considerami già seduto e con le posate in mano» esclamò Sergio alzandosi di scatto. Mangiarono le loro porzioni, fecero il bis, innaffiarono con il vino che avevano portato gli ospiti e parlarono per lo più di cucina e ricette regionali. Di tanto in tanto Carla partiva per la tangente con qualche uscita delle sue che riusciva a imbarazzare Sergio e, soprattutto, riusciva a infastidire Ginevra. In particolare, la signora Coda aveva fatto delle riflessioni cervellotiche sul fascino maschile. «Quindi, secondo te, un uomo va guardato non per come appare, ma per quello che è, giusto?» le chiese Tommaso, con la speranza di non aver capito bene. «Non esattamente, a me piace avere una visione d’insieme. Se avessi davanti a me la possibilità di scegliere tra un uomo bello, aitante, simpatico, intelligente, ma poco affascinante, e un altro uomo misterioso,


38 affascinante, tenebroso, ma meno bello, meno aitante e poco simpatico, be', io sarei attratta comunque di più dal secondo.» «Allora perché hai sposato Sergio?» rispose Tommaso scoppiando a ridere. «Ho come l’impressione che tu mi stia un po’ sfottendo, caro amico mio» intervenne Sergio per niente offeso. Il vino aveva sicuramente fatto la sua parte per formare l’atmosfera allegra e disinibita di quella sera. Avevano preso a ridere tutt’e quattro, ma Ginevra recitava solo la sua parte così come aveva promesso al marito, nonostante lo vedesse chiaramente nel mirino di Carla. Anche la signora Maffone, però, trovò il modo di far ingelosire il marito. «E tu, Sergio, come la sceglieresti una donna?» gli chiese ammiccando un po’. L’ispettore Coda arrossì ancora una volta, anche se il rossore provocato dall’alcol era già predominante e non si poté apprezzare molto la differenza di tonalità. Visto che tutti attendevano una sua risposta, cercò di organizzare mentalmente qualche frase di senso compiuto, prima di dire: «Io non faccio ragionamenti su un’ipotetica donna ideale da amare, non mi interessa l’amore platonico. La donna io la scelgo con il cuore. Qui sono presenti due donne: di queste e solo di queste il mio cuore può parlare in questo momento. Una l’ho sposata e per quanto riguarda l’altra la sposerei volentieri... magari in un’altra vita!» Ripresero a ridere tutt’e quattro. Sergio e Carla sguaiatamente, mentre Tommaso rideva in maniera più contenuta rosicando un po’. Ginevra invece aveva finalmente preso a ridere di gusto e gongolava per la dichiarazione sconcertante che aveva appena sentito rivolgersi. Ora poteva considerarsi in pareggio con Tommaso, anzi, soppesando le situazioni, le pareva di essere passata addirittura in vantaggio. Giunti al dolce gli animi si calmarono un po’. Tra un torcetto e un bacio di dama Tommaso cercò finalmente di scoprire se Sergio gli aveva portato ciò che gli aveva chiesto. Bastò atteggiare uno sguardo un po’ più serioso che Sergio comprese che era giunto il momento di vuotare il sacco. L’ispettore non si fece fare nemmeno la domanda di rito che rispose: «Certo che te l’ho portato. Mi devi solo scusare per non avertelo stampato. Non mi sembrava il caso di farlo in ufficio, ma poi non ho avuto modo di farlo neanche a casa. Ho esaurito la cartuccia della


39 stampante e non ho avuto il tempo di acquistarne un’altra. Essendo invitato a cena qui da voi, dovevo scegliere se portare dolci e vino o stampare quel materiale. Comunque, ecco qua!» Con un colpo di scena da illusionista fece apparire una chiavetta USB sulla sua mano aperta. «Vuoi dire che mi hai portato il tutto in digitale? Ma è fantastico!» «Non c’è bisogno di ringraziarmi, ci mancherebbe! Credo sia inutile dirti che non potrai divulgare il contenuto. Rischieresti una denuncia e forse anche la revoca della licenza.» «E tu rischieresti il posto oltre che una denuncia.» «E già, lo so, perciò mi raccomando, fallo anche per me.» «Certamente, Sergio, stai tranquillo. Non so come ringraziarti. Ancora una volta ti stai dimostrando un vero amico. Scusami se alle volte ti sarò sembrato un po’ freddo se non addirittura scontroso. Sono un orso e non so apprezzare abbastanza neanche le persone che mi stanno vicino.» «Ginevra, ti prego, fammi un’iniezione di insulina!» scoppiò a ridere Carla, seguita a ruota da Sergio che, però, gongolava per quella sviolinata neanche avesse incassato il primo premio della Lotteria Italia. La cena si concluse con un paio di giri di caffè espresso. Poi i Coda se ne andarono quando erano ancora un po’ brilli, ma non erano affatto preoccupati perché non avevano molta strada da fare per arrivare a casa e Sergio sapeva come evitare i controlli della stradale e dei carabinieri.


40

7

La sera stessa, prima ancora di sbarazzare la tavola, Tommaso accese il computer e inserì la chiavetta. C’erano sei documenti di testo e centoventidue immagini. Iniziò a scorrere queste ultime, mentre Ginevra rimaneva al suo fianco in attesa di rendersi utile con il suo discreto spagnolo. Le prime immagini erano una scarna sequenza di macerie nerastre avvolte da una specie di nebbiolina grigiastra che ricordava vagamente una sorta di effetto seppia. Le immagini riprendevano il luogo del disastro da varie prospettive e anche dall’alto. Poi poterono riconoscere le lamiere contorte di quello che doveva essere stato un camper. Infine videro le foto di Torchianni e degli Over the sound prima dell’incidente, mentre non c’erano le foto dei cadaveri né dei feriti. A quel punto Tommaso aprì il primo file di testo e fece ancora più spazio alla moglie. «Cosa speri di trovare in questi documenti?» «Non lo so, ma qualcosa potrebbe attirare la mia attenzione. D’altronde, la signora Audemori avrà avuto le sue buone ragioni per ingaggiarmi.» «Ma questo documento è in italiano!» esclamò Ginevra. «Ecco! Che ti dicevo? Secondo me questo e anche gli altri cinque saranno concordi con quanto è stato scritto sui giornali.» «Aprili tutti e vediamo se sono tutti in spagnolo o in italiano.» Così fece e l’esito fu che tutti i documenti erano redatti in italiano. «Vado a sbarazzare la tavola. Buona lettura, Tommy!» «Comincia pure, ma vedrai che farò presto e verrò ad aiutarti.» Scorse rapidamente il primo file senza prendere appunti in quanto si riferiva al trattamento delle informazioni in funzione delle leggi sulla privacy in Spagna, in Italia e nell’Unione Europea. Passò al secondo, che riguardava il rapporto del comandante dei bomberos di Almería, un tal Leonardo Jimenes. Lesse che l’ipotesi più probabile era che le cause dell’esplosione fossero imputabili al possibile difetto di fabbricazione di quella che presumibilmente doveva essere un’enorme batteria che probabilmente serviva per immagazzinare l’energia prodotta da un gruppo di continuità alimentato con il gasolio contenuto in una grande


41 tanica. Quindi le fiamme si sarebbero propagate rapidamente a causa del vento teso e avrebbero raggiunto e fatto esplodere anche i vari serbatoi degli altri mezzi di trasporto presenti in una sorta di accampamento. E poi sarà stata la volta dell’incendio delle attrezzature da campeggio, quindi dell’esplosione delle bombole di gas propano e butano che avranno ulteriormente aggravato l’entità dell’incendio successivo. Nel terzo file c’era il rapporto di Romero Sanchez, un ispettore della polizia di Almería, che aveva annotato freddamente le cause accidentali della morte di Adalberto Torchianni, Pedro Solinas, Alvaro Ramires e Pascual Barrios, anche se il riconoscimento era stato demandato ufficialmente al medico legale. Nel quarto file c’era per l’appunto il rapporto del medico legale, il dottor Saul Castillo. Quello che Tommaso comprese dalla terminologia tecnica fu semplicemente che i corpi erano stati smembrati e carbonizzati e che la causa della loro morte era la medesima e non discutibile, ovvero, i corpi erano stati smembrati da una forte deflagrazione e poi carbonizzati dalle fiamme di un incendio. Nel quinto file c’era un altro rapporto dell’ispettore Sanchez che riguardava l’incidente correlato che aveva ferito gravemente Giuseppe Verdi e Angelica Zubizarreta e che liquidava in poche righe sostenendo fosse dipeso dall'esplosione e dalla conseguente onda d’urto. L’ultimo file riguardava il rapporto del medico di pronto soccorso dell’ospedale Torrecárdenas di Almería. Tommaso apprese che i due superstiti erano stati ricoverati in stato d’incoscienza, con trauma cranico e con varie fratture e che la loro prognosi era riservata. I documenti più recenti risalivano ormai a una settimana prima. «Sergio dovrà darmi delle spiegazioni. Stavolta m’incazzo davvero!» esclamò contrariato. «Come dici?» chiese Ginevra sopraggiungendo dalla cucina. «Dico che i conti non tornano. O Sergio vuota il sacco o lo prendo a cazzotti!» «Cos’hai scoperto?» «Niente!» ringhiò inviperito. Ginevra rimase un po’ interdetta. Attese a braccia incrociate che Tommaso si decidesse a spiegarle cosa fosse accaduto, ma, a quanto pareva, l’investigatore era riluttante all’idea di esternare a parole la sua contrarietà. Vinta dalla curiosità, girò intorno alla scrivania e si piazzò davanti al monitor. Quello che lesse non le diede alcun aiuto. Rivolse nuovamente uno sguardo interrogativo al marito, il quale mimò un gesto


42 che le fece intuire di dover aprire gli altri documenti. Infine li scorse rapidamente e capì. Tutto quel materiale non solo era compatibile con quanto avevano già potuto scoprire leggendo i giornali, ma non era per nulla più approfondito. Probabilmente era stato manipolato piuttosto malamente, quindi, presumibilmente, anche la traduzione poteva essere stata volutamente travisata e corretta per non dare adito a sospetti di cause diverse da quelle accidentali di cui parlavano giornali e televisioni di mezza Europa. A quel punto veniva da pensare che Sergio fosse a conoscenza o, peggio ancora, che fosse complice di un maldestro tentativo di occultamento di fatti e di prove. Ormai era notte fonda, ma il giorno dopo Tommaso avrebbe probabilmente dovuto cercare di chiarire la faccenda con il suo ex vice ispettore. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD


INDICE

1. Deserto di Tabernas, Spagna, primo ottobre 2018 ...................... 3 2. Biella, Italia, nove ottobre 2018 ................................................ 14 3 .................................................................................................... 20 4 .................................................................................................... 24 5 .................................................................................................... 27 6 .................................................................................................... 35 7 .................................................................................................... 40 8 .................................................................................................... 43 9 .................................................................................................... 46 10. Primo Intermezzo .................................................................... 53 11. Secondo Intermezzo ................................................................ 58 12 .................................................................................................. 63 13 .................................................................................................. 66 14 .................................................................................................. 70 15 .................................................................................................. 77 16 .................................................................................................. 82 17. Terzo Intermezzo .................................................................... 92 18 .................................................................................................. 96 19 .................................................................................................. 99 20 ................................................................................................ 103 21 ................................................................................................ 109 22. Quarto Intermezzo................................................................. 114 23 ................................................................................................ 118 24 ................................................................................................ 121 25 ................................................................................................ 128 26 ................................................................................................ 132 27. Quinto Intermezzo................................................................. 134 28 ................................................................................................ 137 29 ................................................................................................ 140


30 ................................................................................................ 146 31 ................................................................................................ 150 32 ................................................................................................ 155 33 ................................................................................................ 160 34 ................................................................................................ 162 35 ................................................................................................ 169 36 ................................................................................................ 172 37 ................................................................................................ 175 38 ................................................................................................ 179 39 ................................................................................................ 181 40 ................................................................................................ 187 41 ................................................................................................ 193 42 ................................................................................................ 196 43 ................................................................................................ 200 44 ................................................................................................ 204 PRECISAZIONI E RINGRAZIAMENTI ............................................... 207


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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