Disponibile anche: Libro: 13,50 euro con audiolibro omaggio (dal 27/1/12) e-book (download): 7,99 euro e-book + audiolibro su CD in libreria: 7,99 euro
Collana SELEZIONE Serie BIG‐C con Audio Grandi Caratteri con audiolibro allegato La serie Big‐C, Grandi Caratteri, grazie all’alta leggibilità del carattere utilizzato in stampa e alle sue dimensioni (generalmente 13 o 14), propone testi di agile lettura rivolti in particolare a lettori con problemi visivi (ipovedenti). La serie Big‐C Audio, Grandi Caratteri con versione vocale allegata (audiolibro su CD), oltre ad agevolare la lettura tradizionale grazie al carattere ad alta leggibilità e grandi dimensioni, è rivolta in particolare a persone non vedenti o con problemi di dislessia, che possono quindi ascoltare il racconto anziché leggerlo. Precisiamo che per i lettori con problemi di dislessia sono in commercio pubblicazioni a stampa realizzate con caratteri e accorgimenti particolari, che i libri della nostra serie non utilizzano. Tuttavia, il carattere utilizzato nella serie Big‐C (Candara) si presta comunque molto bene allo scopo. La presente opera è stata realizzata SENZA alcun finanziamento o contributo statale, pubblico o privato, ma esclusivamente con il capitale della Casa Editrice.
Gli audiolibri allegati, offerti a scopo promozionale e realizzati in collaborazione con l’Associazione Servizi Culturali, sono narrati da non professionisti dalla voce chiara e gradevole. Grazie a una particolare e rivoluzionaria iniziativa, JukeBook, i CD allegati ai libri possono essere scambiati con altri CD presso i JukeBook Point autorizzati. All’interno del CD sono presenti tutti gli approfondimenti sull’argomento. www.jukebook.it www.0111edizioni.com
MARIANO IACCARINO
LA PIOGGIA
Serie Big‐C Audio Grandi Caratteri con audiolibro www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com LA PIOGGIA Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2012 Mariano Iaccarino ISBN: 978‐88‐6307‐410‐9 In copertina: Immagine Shutterstock.com Finito di stampare nel mese di Gennaio 2012 da Logo srl Borgoricco ‐ Padova
A Valeria
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1. Sono le cinque e trenta del mattino, sulla finestra il ticchettio della pioggia continua ininterrotto da settimane; Francesco è sdraiato sulla sua poltrona da ufficio e guarda i monitor con le mani incrociate dietro la nuca. Ha trentasei anni, un fisico scultoreo a testimonianza di un passato da decatleta. La passione per l’atletica leggera l’ha accompagnato fino ai vent'anni, quando ha dovuto abbandonare lo sport professionistico per sbarcare il lunario e aiutare la famiglia in difficoltà. Quando non è impegnato nel turno di notte, si allena nella grande sala: flessioni, addominali… nello zainetto porta sempre anche un tappetino e dei manubri, oltre al pranzo per risparmiare i soldi della mensa. Rasa a zero i pochi capelli rimasti due volte a settimana, indossa un paio di occhialini tondi alla John Lennon e porta dei baffetti appena accennati. Tra la poltrona e la parete, sulla scrivania, un piccolo televisore a led trasmette le immagini delle Olimpiadi di Machu Picchu. Cento anni dopo le Olimpiadi che dovevano
8 celebrare il trionfo della razza ariana e che avevano incoronato Jessie Owens, i XXXVI giochi moderni si svolgono in quella parte del pianeta che in tempi non lontani chiamavano Terzo Mondo. Sotto i monitor si susseguono una serie di luci di diverso colore: prima una fila di luci verdi tutte accese, sotto le gialle e poi le rosse, tutte fortunatamente spente. Sopra ogni luce c’è un indicatore di livello e tutti hanno superato la soglia di guardia. A Francesco è stato ordinato di segnalare qualsiasi anomalia. La pioggia costante di questi giorni potrebbe creare problemi, ma i sistemi sono efficienti e avanzati; non c’è situazione che non sia stata prevista e per la quale non sia stata codificata una procedura di emergenza per affrontarla. Sopra i monitor c’è una grossa mappa della città con linee colorate che disegnano le vie; le linee sono blu e rosse. Sono in partenza gli atleti dei cento metri piani, l’attenzione dell’uomo di guardia è completamente catturata dal piccolo televisore; si avvicina per aumentare il volume. Lo starter spara il colpo per il via e gli uomini‐jet schizzano in avanti come molle. Pochi metri e un altro sparo li ferma: falsa partenza alla corsia tre. Si ricomincia con la chiamata ai blocchi. Ormai per Francesco esistono solo lo stadio, la pista, gli atleti. Sembrano di nuovo pronti; un’occhiata fugace al pannello di controllo e poi di nuovo concentrato sulla gara. Sono tutti in ginocchio con le mani a terra a ridosso della linea bianca di partenza. Il tifo assordante non permette di sentire le parole dello starter. Gambe dritte e
9 busto sollevato con le sole dita che restano incollate al terreno, di nuovo il rumore sordo della pistola e… partiti! Gli otto avanzano con ampie falcate, c’è un testa a testa negli ultimi venti metri, sul filo di lana arrivano in tre. Il tempo ufficioso è di otto secondi e sessantaquattro centesimi! Nuovo record del mondo, anche se bisogna aspettare il fotofinish per capire chi ha vinto e ha stabilito il nuovo inimmaginabile record. Meno di nove secondi e… tutte le luci gialle hanno iniziato a lampeggiare. Il suono di un allarme acuto e la luce intermittente hanno invaso la sala, non c’è tempo per capire chi è il nuovo campione olimpico. La situazione sta precipitando. Tutte le luci contemporaneamente! Non c’è una procedura specifica per un allarme di questo tipo e verrebbe quasi da pensare che ci sia un guasto al pannello di controllo, se non fosse per quella maledetta pioggia che cade incessante da ventidue giorni. Il capo Alessi era stato chiaro: In caso di problemi potete anche svegliarmi. Strano da parte del direttore: le sue notti in ufficio non dovevano essere disturbate “per nessun motivo al mondo”. Questa volta però c’erano di mezzo il prestigio della società, la quantità di capitali investiti in quella struttura, la sicurezza del presidente del gruppo.
10 «Pronto dottor Alessi? Sono Parola dalla sala di controllo. Mi dispiace di aver turbato il suo sonno, ma il quadro di controllo è impazzito! Tutte le luci gialle si sono accese contemporaneamente! Gli indicatori dei livelli continuano a salire e credo che a questi ritmi in meno di tre giorni si arriverà all’accensione delle spie rosse.» «Parola? Ah, sì, la postazione in cima. Luci gialle? Tutte? Ha controllato che non si tratti di un banale guasto?» «Dottore, ho eseguito il check dell’intero pannello due volte prima di chiamarla, sembra che tutto funzioni correttamente.» «Tutto correttamente? Che dice il manuale in questi casi? Parola segua il manuale! Nel frattempo mi vesto e vengo su da lei il più in fretta possibile.» Alla televisione stanno trasmettendo la premiazione. L’inno della Namibia quasi non si riesce a sentire tanto è acuto e forte l’allarme che si diffonde nella stanza. Francesco attraversa l’intera sala. Quasi tre secondi per arrivare dall’altro lato dove si trova la cassaforte che contiene il manuale delle procedure di emergenza e le chiavi per aprire le porte blindate. Controlla nuovamente l’indice del manuale: c’è la procedura da seguire per la rottura degli indicatori di livello, quella per affrontare l’emergenza di una, due, tre luci rosse accese e quella per far fronte a temperature sotto i meno cinquanta gradi. Niente sull’accensione di tutte le luci contemporaneamente. Torna alla scrivania. Non è preoccupato per quello che potrebbe accadere alla struttura, pensa sia indistruttibile, teme solo di
11 non aver interpretato bene il manuale, di aver trascurato la procedura prevista proprio per casi come questo. Il suo contratto a tempo determinato sta per scadere: gli restano solo due giorni e se dovesse fare ora una cazzata addio rinnovo. Sono otto anni ormai che lavora al centro. Dopo i primi sei, nonostante i rinnovi di tre mesi in tre mesi, si era deciso a fare il grande passo: vincendo la sua naturale reticenza a prendere impegni economici cui non è certo di riuscire a far fronte, aveva acquistato casa con la compagna. Anche avere un figlio lo spaventava e non faceva altro che ripetere che non si può mettere al mondo una creatura senza essere sicuri di poter provvedere alla sua crescita. Con i loro lavori da precari perenni era come giocare al lotto. Lei gli ripeteva quasi ogni giorno che l’orologio biologico non poteva aspettare che stabilizzassero la loro situazione. Tic‐tac, tic‐tac. Era riuscita a convincerlo e ora erano in attesa del loro primogenito. Spegne il televisore mentre stanno trasmettendo la battaglia a colpi di record del mondo del salto con l’asta: giusto il tempo di meravigliarsi del fatto che l’asticella sia arrivata a sei metri e quarantatré centimetri! Lo mette nel cassetto sotto la scrivania e torna a guardare il pannello di controllo. Si avvicina, ticchetta su ogni luce, su ogni indicatore. Niente, tutto funziona correttamente. Va verso
12 la vetrata che si affaccia sulla montagna; dall’alto continuano a scivolare le gocce di pioggia. Guarda ammirato la struttura in basso e non si accorge nemmeno che Alessi è arrivato nella sala di controllo.
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2. Giovanni si è svegliato da poco: il suo turno ha inizio alle sette del mattino. Nonostante sia il comandante della stazione dei vigili del fuoco della città più ricca e importante del paese e abbia anni e anni di servizio alle spalle, arriva in ufficio sempre prima di tutti i ragazzi impegnati nello stesso turno. Il cellulare sempre acceso poggiato sul lavandino del bagno, il viso già imbiancato dalla schiuma da barba, va a prendere dalla cucina la pentola con la quale ha riscaldato l’acqua. Più volte nelle riunioni di condominio si è discusso per trovare una soluzione comune per il riscaldamento dell’acqua, ma i costi elevati hanno sempre frenato la maggioranza. Dopo anni erano riusciti a far costruire un piccolo serbatoio per l’acqua piovana e Giovanni, come gli altri, aveva smesso di andare sul terrazzo a recuperare uno dei secchi messi apposta per raccogliere la pioggia. Il serbatoio è troppo grande perché si riesca a riscaldare l’acqua all’interno e la quantità variabile non permette di mantenere la pressione costante nei tubi per utilizzare
14 caldaie autonome. Per il riscaldamento utilizzano i condizionatori e l’acqua di questi è convogliata nel serbatoio. Con questo silos riescono a gestire quasi tutto il periodo estivo, solo di tanto in tanto sono costretti a comprare acqua imbottigliata per cucinare, ma almeno per le pulizie personali e della casa non ne hanno più bisogno. Un rumore strano proviene dal bagno. Giovanni non abbandona la pentola e va a controllare: il cellulare sta vibrando sul lavandino, si sposta sempre più verso il bordo, è quasi caduto ormai. Un gesto rapido, versa il liquido nel lavandino e, prima che la pentola sia completamente vuota, ha già staccato la mano destra dal manico e recuperato il telefono. «Pronto?» «Comandante sono Cantalamessa. Abbiamo ricevuto una chiamata urgente dalla collina. Sembravano parecchio preoccupati. Vogliono un nostro intervento sul posto il più in fretta possibile.» «Va bene, parti subito, sarò pronto in tre minuti!» L’auto di servizio è parcheggiata proprio davanti al palazzo dove abita il comandante. Al volante un ragazzo giovane, il viso ancora segnato da acne non scomparsa del tutto. Lascia il motore acceso ed esce dall’auto per accendersi una sigaretta perché il comandante non sopporta la puzza di fumo. Giovanni entra nella camera da letto, si china verso la moglie che dorme, le dà un bacio; passa alla stanza dei ragazzi e rimbocca le coperte al più piccolo.
15 Ha quindici anni, quando smetterò di fare sta cosa? Apre la porta di casa e la richiude lentamente per non fare rumore, poi si precipita giù per le scale e dopo due minuti e cinquantotto secondi dalla telefonata è in strada. Cantalamessa butta via la cicca e si china per aprire lo sportello. Le casse diffondono Rain dei Beatles: “Can hear me that when it rains and shines. It's just a state of mind” Il comandante è già in auto. «Insomma… Tutta quest’acqua! Sembra qualcosa di più di uno stato d’animo, non credi?» Gli ordina di partire. «Allora ragazzo, cosa hanno detto precisamente quelli della collina? Perché ci dobbiamo precipitare da loro a quest’ora del mattino?» «Comandante, non sono stati molto precisi, giusto il tempo di dire di chiamarla e di far presto. Nessun dettaglio.» L’auto attraversa la città a grande velocità. L’autista è un ragazzo sveglio appassionato di motori e ha seguito vari corsi di guida: veloce, sicura sul bagnato e sportiva. La domenica affitta, insieme agli amici, l’autodromo poco fuori città e corre per l’intera mattinata. Dice sempre che se fosse stato ricco avrebbe fatto il pilota di formula uno. Nonostante la quantità di pioggia caduta le strade sono percorribili: il sistema fognario ha retto. Era stato proprio
16 Giovanni anni prima a dare le indicazioni per renderlo efficiente. Usciti dalla città, si dirigono verso la collina che dista una quarantina di chilometri di curve e saliscendi fra boschi, pascoli, capannoni abbandonati e piccole casette utilizzate come magazzini per la legna. Le strade fuori città sono in pessime condizioni. Ci sono tanti piccoli torrenti che vengono giù con veemenza. Anche Cantalamessa è costretto ad alzare un po’ il piede dall’acceleratore. Dopo un paio di curve fatte scodando con un pericolosissimo effetto planning, il comandante gli ha ricordato che la macchina sulla quale viaggiano non è una di quelle che guida la domenica. Nonostante la velocità ridotta c’è bisogno di tutta l’abilità del pilota per non finire fuori strada. Impiegano un’ora e due minuti prima di giungere davanti al cancello che regola l’accesso alla collina. Quando il Presidente aveva acquistato quel pezzo di terra, prima di tutto lo aveva fatto recintare impedendo il passaggio a curiosi, cacciatori e cercatori di tartufi. Poi, quando aveva dato il via ai lavori per l’impianto, aveva fatto elettrificare la recinzione e installare telecamere e sistemi di allarme con rilevatori di movimento. Ora è possibile accedere solo attraverso l’enorme cancello che si para davanti all’auto. Un cartello giallo con lettere nere avvisa “Sito d’interesse nazionale”. Aveva ottenuto che la sicurezza all’esterno fosse garantita dallo stato. All’ingresso due militari armati, un terzo si avvicina e chiede i documenti al conducente. Il comandante si sporge dal lato del passeggero invadendo lo spazio di Cantalamessa e spunta
17 dal finestrino stringendo in mano il tesserino. La guardia lo esamina con attenzione, torna nel gabbiotto e fa una telefonata; pochi secondi ed esce correndo verso l’auto mentre già ha azionato il comando di apertura del cancello. «Tenga, comandante, e scusi per l’attesa.» Superato il cancello, il bosco di pini s’infittisce sempre più, la strada si stringe fino a diventare percorribile in un solo senso. Cantalamessa accende gli abbaglianti. Pochi metri e trovano un semaforo con passaggio a livello e un altro uomo di guardia. La sbarra si alza ancor prima dell’arrivo dell’auto; la guardia tiene in mano un walkie talkie che ha appena finito di gracchiare annunciando il passaggio dell’uomo che Alessi ha autorizzato di persona. Ora il viale è illuminato a giorno e la luce è tanta che non si formano ombre. Dopo poco giungono in un piazzale con una fontana gigantesca al centro. Il getto d’acqua è altissimo, si perde nel buio della notte e sembra quasi che non ricada più o forse si confonde con la pioggia. L’auto si ferma proprio davanti all’ingresso dell’edificio. Una porta a vetri scorrevole si apre prima che il comandante si sia avvicinato abbastanza da toccarla. Cantalamessa resta in auto. Il comandante gli ha detto che si sbrigherà in fretta; non ha alcuna voglia di restare un minuto più del necessario.
18 La hall ha un soffitto alto più di venti metri. Giovanni alza il capo e pensa sia necessaria la scala dei pompieri per sostituire i faretti. Sulla sinistra, dietro un banchetto, un uomo della vigilanza lo invita ad avvicinarsi. «Potrebbe avvicinare l’occhio sinistro al lettore per favore?» «È proprio necessario eseguire lo scanner della mia retina? Non può semplicemente farmi accompagnare da un suo uomo?» «Mi dispiace comandante. Il dottor Alessi ha ordinato di far salire solo lei.» Pochi secondi e l’immagine della retina è memorizzata nel database dei visitatori. L’uomo della vigilanza tocca lo schermo davanti a sé, autorizzazione n. 3814751 ‐ Libertà di movimento: illimitata. Giovanni attraversa la hall con passo svelto, lasciandosi a destra l’enorme statua di bronzo del presidente. Il piedistallo è alto più di dieci metri e il capo sfiora il soffitto. Viene da ridere a pensare quanto sia alto quello originale. Sulla base le lettere in oro: “IL PRESIDENTE”. Si avvicina all’ascensore le cui porte si aprono prima che lui sia riuscito a trovare il pulsante per compiere la chiamata. All’interno non c’è alcuna pulsantiera, l’uomo al banco gli fa cenno di chiedere al mezzo di essere portato al piano desiderato. Stranito, dice: «Secondo piano… per favore.» Una voce metallica proveniente dal soffitto gli ordina: «Avvicini l’occhio sinistro al lettore per il riconoscimento della retina prego.»
19 Alza la testa in cerca della fonte, poi scuotendo il capo avvicina la faccia al lettore e con voce incerta ripete: «Secondo piano… per favore.» «Riconoscimento avvenuto. Benvenuto comandante Esposito.»
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3. Sophie attraversa il cortile dell’università di corsa come al solito. Sono le nove e ventidue e la sua lezione inizierà fra otto minuti. È arrivata come sempre con la sua bicicletta da corsa: ora deve salire nel suo ufficio al terzo piano, cambiarsi e andare nell’altro edificio dove tiene la lezione di fisica nell’aula magna che è già gremita da più di un’ora. Anche correndo non riesce a non chinare il capo e arrossire quando passa vicino alla statua di ebano che la raffigura e che il rettore ha voluto al centro del cortile. Entra nell’edificio, sale le scale, spalanca la porta dello studio e butta la borsa sul divano posto di fronte alla scrivania. Toglie via gli abiti da ciclista, entra in bagno e ne esce tre minuti dopo in tailleur color pesca. Chiude la porta a vetri e tocca per un attimo le lettere che compongono il suo nome e che il padre aveva intarsiato quando aveva ricevuto i Nobel. Sì, è stata l’unica scienziata ad avere ricevuto nello stesso anno il Nobel per la fisica, per la straordinaria invenzione, e per la pace, perché aveva donato la sua macchina all’umanità. Vola giù per le scale e attraversa a passo svelto il cortile dirigendosi verso l’aula. In testa ancora il caschetto da ciclista.
21 Sophie era diventata l’eroina della nazione e una delle donne più famose al mondo. La sua invenzione aveva salvato migliaia di persone da morte sicura. Tutto era cominciato quando aveva circa dieci anni. Come spesso capitava, nel suo paese scarseggiava l’acqua. Anche i pozzi più grandi e più lontani dal villaggio, quelli che di solito riuscivano a dissetare la popolazione, quelli che costringevano la madre a tre ore di cammino per raggiungerli con un’anfora pesantissima sul capo, erano secchi. Il padre aveva deciso di razionare l’acqua e soprattutto aveva ordinato di non dare da bere al cagnolino che le avevano regalato quando era nata. Non riusciva a pensare ad altro: un sistema che permettesse di produrre acqua e conservarla per i periodi di siccità. Aveva fatto due coni rovesciati con la plastica e li aveva uniti tra loro incollando un bastoncino di legno alla base e un altro al vertice. Con un filo di nylon, rubato alla canna da pesca del padre, infilato alla base dei coni e legato intorno alla testa, riusciva a tenerli fermi proprio sugli zigomi, sotto gli occhi. Aveva trattenuto tutte le lacrime di rabbia e di dolore fino a quando il suo marchingegno non era finito, poi finalmente si era lasciata andare a un pianto liberatorio. Le lacrime scendevano copiose lungo il viso e finivano la loro corsa nei coni di plastica. Sophie di tanto in tanto li svuotava e
22 versava il liquido in una ciotola vicina alla cuccia del cane. Raccoglieva anche la pipì, la filtrava e poi lasciava il liquido ottenuto in un recipiente di plastica coperto da una specie di cupola. La volta terminava in un secondo recipiente. Dopo un’ora nel primo recipiente erano rimasti solo granelli di sale minuscoli, che poteva osservare con il piccolo microscopio regalatole dal padre, e nel secondo c’era acqua limpida. Dopo quell’espediente era certa che non bisognasse rassegnarsi al fatto che in Somalia si morisse di sete, oltre che di fame. Era convinta che si potesse fare qualcosa anche senza avere l’aiuto dei paesi ricchi, come diceva il papà. Non si doveva aspettare che altre nazioni venissero a dissetarli. Quell’ostinazione l’avrebbe portata molti anni dopo a inventare la macchina magica, come la chiamavano gli anziani del villaggio. Anche questa volta è riuscita ad arrivare in perfetto orario. Attraversando il parco ha evitato curiosi, giornalisti, emissari di governo ed ex studenti ed è entrata nell’aula dalla porta sul retro. Camminando verso la cattedra e le lavagne dall’altro lato dell’aula si produce uno strano effetto: il brusìo che proviene dai banchi s’intensifica poco prima del suo passaggio, cessa quando è proprio in linea con la fila e riprende subito dopo. I ragazzi alzano il capo per ammirare la sua bellezza e per guardare la luce negli occhi di quella donna. Lo sguardo sempre un po’ perso nei propri pensieri, ma al quale non sfugge ogni minimo movimento, un’aria sempre a metà tra la sognatrice e la donna pragmatica che è riuscita a tradurre i suoi sogni in
23 realtà. Giunta al proprio posto, dalle prime file le fanno notare che ha ancora il caschetto in testa. Non si scompone. Sorride e se lo sfila, lasciando i capelli raccolti in un piccolo chignon, tenuto da una matita, sulla nuca. La lezione è interessante come sempre, il coinvolgimento degli studenti è totale: Sophie ama interagire con loro, soddisfa ogni più strana curiosità e non si tira indietro neanche quando le chiedono delle sue intuizioni o dei suoi metodi, piuttosto che di leggi, compendi e teoremi. Finita la lezione, è di nuovo di corsa per il parco e segue il percorso inverso, con tanto di cambio d’abito nello studio per tornare a essere la ciclista del mattino. Recupera la bicicletta e attraversa il vecchio villaggio sul mare che è cresciuto intorno all’impianto fino a diventare una cittadina. Le strade sterrate di un tempo sono state asfaltate, c’è l’illuminazione grazie al parco di pannelli solari che circonda l’impianto e all’altra diavoleria che ha inventato Sophie. Superata la parte nuova della città, giunge alle vecchie baracche sul mare oltre le quali sorge l’impianto. Sophie aveva voluto che fosse costruito senza deturpare il paesaggio: doveva essere attraente per i più piccoli e quindi aveva pensato di farlo somigliare a un castello di sabbia. FINE ANTEPRIMA CONTINUA...