In uscita il 30/11/2018 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine novembre e inizio dicembre 2018 (3,99 euro)
AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.
RUBINA E. ROSSI
LA PRIGIONE DEGLI AMANTI MORTE AL CASTELLO
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/
LA PRIGIONE DEGLI AMANTI. MORTE AL CASTELLO Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-249-2 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Novembre 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
A L., ovunque egli sia, per aver permesso un incontro senza il quale questo romanzo non avrebbe mai visto la luce.
PARTE PRIMA
7
α
Complete with moat and drawbridge, Ferrara's towering castle was commissioned by Nicolò II d'Este in 1385. Initially it was intended to protect him and his family from the town's irate citizenry, who were up in arms over tax increases, but in the late 15th century it became the family's permanent residence. Although sections are now used as government offices, a few rooms, including the royal suites, are open for viewing. Highlights are the Sala dei Giganti (Giants' Room) and Salone dei Giochi (Games Salon), the Cappella di Renée de France and the claustrophobic dungeon . It was here in 1425 that Duke Nicolò III d'Este had his young second wife, Parisina Malatesta, and his son, Ugo...1 Un tuono interruppe bruscamente la mia lettura, sollevai lo sguardo dallo schermo dello smartphone e affrettai il passo verso l’interno. Il cielo era plumbeo e minaccioso e respiravo a fatica l’aria umida e densa di pioggia. Appena il tempo di varcare la soglia del ponte levatoio ed ecco venire giù il diluvio. Mi rannicchiai nella giacca ed entrai correndo nella biglietteria. «Buonasera signora, potrei avere un biglietto?» chiesi alla cassiera che senza sollevare lo sguardo dai suoi conti mi rispose bruscamente: «La biglietteria è chiusa, mi dispiace, dovrà tornare...». Solo allora alzò lo sguardo su di me e così riconobbi due occhi curiosi e ammiccanti. 1
http://www.lonelyplanet.com/italy/emilia-romagna-and-sanmarino/ferrara/sights/castles-palaces-mansions/castello-estense
8 «Signorina Teresa! Ma che bello, non ricordavo che lavorasse qui!». «Oh ma... si ricorda di me?» rispose abbassando lo sguardo e sistemandosi gli occhiali. Era proprio una signora timida e riservata. «Ma certamente, la mia cara vicina con la Graziella rossa! La sto ancora aspettando per il caffè... alla fine sono dovuto venire io a trovarla!». «Ma com’è galante lei... è qui per una visita al castello?». «Sì, in effetti». «Be’, in realtà a quest’ora non dovrei farla entrare, come le dicevo prima stiamo per chiudere, ma se mi promette di fare presto e di tornare a trovarmi farò un’eccezione!». «Com’è cortese, deve assolutamente permettermi di ricambiare venendomi a trovare nella mia casa: l’ho risistemata del tutto ormai! Anzi, proprio domani organizzo una piccola inaugurazione in giardino. Capisco il poco preavviso, ma sarei davvero felice se volesse venire!». «Oh, ma che bello! Certo, verrò senz’altro! Tenga il suo biglietto e si goda la visita... rapidamente!». «Senta, ho letto sulla guida che ci sono delle prigioni, mi piacerebbe vedere intanto quelle, mi può dire dove andare?». «Sì, le nostre prigioni sono uno dei punti d’attrazione del castello! Però purtroppo sono inagibili. C’è stata una perdita e stanno facendo dei piccoli interventi di restauro e non si può accedere... però se vuole passarci davanti ecco qui la mappa, gliele segno in rosso». «Ah che peccato, mi sarebbe piaciuto visitarle! Va be’, la ringrazio molto, magari ci ritornerò! A domani, allora... siamo d’accordo!». Presi la mappa e mi allontanai facendole l’occhiolino mentre lei arrossiva e mi seguiva con lo sguardo. Dimentico sempre che l’occhiolino in Italia viene interpretato in modo bizzarro.
9 Seguii la pianta del palazzo e attraversai frettolosamente alcuni ambienti per dirigermi comunque alla prigione di cui avevo chiesto alla signorina Teresa. Certo sarebbe stato il caso di tornare per una visita più accurata, ma... «Le ricordo che stiamo per chiudere». Trasalii alla frase perentoria biascicata dal vecchio custode e affrettai ancora di più il passo lungo corridoi e scalinate, finché non vidi una serie di impalcature che coprivano parzialmente l’ingresso della prigione. Pensai che a dare comunque un’occhiatina non avrei fatto male a nessuno. Mi guardai intorno con fare circospetto: il custode era sparito, si sentiva la sua voce biascicante provenire da qualche stanza attigua e allora pensai che potevo intrufolarmi e raggiungere la porticina che, ovviamente, era serrata. Feci scorrere il pesante chiavistello di metallo e aprii. Mi piegai per attraversare lo stretto e basso corridoio che conduceva alla cella e rimasi pietrificato all’interno del cunicolo. Non riuscivo a fare un passo avanti né indietro, riuscivo solo a trattenere a stento il senso di nausea e lo sconvolgimento. Riverso a terra, in un lago di sangue, si stagliava candido il corpo nudo di una donna decapitata. Iniziai a indietreggiare lentamente, senza poter staccare gli occhi da quell’immagine raccapricciante. «Lei che cosa ci fa qui dentro? Non vede il cartello?! Mica può entrare! E poi stiamo anche per chiudere!». Lo sguardo del vecchio custode si accese di fastidio per la mia presenza inopportuna, ma io ero allibito e sconvolto e riuscii solo a urlargli contro. «Qui è stato commesso un delitto e lei pensa a chiudere?!». Il custode sgranò gli occhi e mi afferrò per un braccio quasi ad accompagnarmi verso l’uscita. «Un delitto?! Ma di che cosa sta parlando? Mi faccia il piacere ed esca di lì! È anche pericoloso! E poi dobbiamo chiudere!». Evidentemente non riuscivo a esprimere a parole lo spettacolo che mi si era appena parato dinnanzi e non potei fare altro che
10 afferrare il vecchio per il colletto e costringerlo a infilare la testa nel cunicolo, affinché vedesse la scena con i suoi occhi: la voce gli si strozzò in gola e mi svenne tra le braccia. «Ma lei chi è?». Una voce imperiosa mi raggiunse alle spalle. «Cos'ha fatto a Marcello? E perché è in un’area interdetta all’utenza?!». Mi voltai e vidi una giovane custode che mi guardava con diffidenza e rimprovero. Sembrava veramente preoccupata per il vecchio collega e, nonostante tutto, mi venne naturale tranquillizzarla. «Ma no signorina, non si preoccupi per Marcello, si riprenderà presto. Non c’è tempo da perdere adesso, bisogna chiamare subito la polizia!». «Polizia? Ma che sta dicendo? Lei è pazzo! Mi dica cosa ha fatto a Marcello! E non creda di sfuggire alla multa per essersi introdotto in un’area transennata!». Un urlo alle nostre spalle distolse entrambi da quella conversazione che sembrava senza uscita: altri due custodi erano arrivati e, ignari di tutto, si erano chinati su Marcello, svenuto nel cunicolo, e il loro sguardo era caduto sul cadavere. Improvvisamente tutti gli occhi erano puntati su di me. I due custodi appena arrivati si scambiarono uno sguardo che sembrava d’intesa e uno di loro afferrò la ragazza per un braccio intimandole di andare insieme a chiamare la polizia. Io rimasi con l’altro custode con l’idea di aiutarlo a soccorrere Marcello. Invece, quando mi chinai verso di lui, con mia grande sorpresa quello sollevò un braccio quasi a tenermi lontano. «No, stia indietro, lei!». Rimasi raggelato. Stavano forse pensando che l’assassino fossi io? Non era possibile, doveva essere solo un’impressione... del resto Marcello stava iniziando a riprendersi, forse il suo collega voleva solo che gli lasciassi spazio. Speravo comunque che la polizia arrivasse il prima possibile.
11 «Allora,» disse un agente con spiccato accento siciliano «voi, tutti fuori di qui, che questa è la scena del delitto e sta arrivando la scientifica. Togli quei piedi da là, che si inquinano le prove! Minchia, che incompetenti! Voi tre siete i testimoni? Andate di sopra, alla biglietteria, che vi aspettano gli altri per le prime deposizioni! Potete camminare voi, nonnino? Vi siete ripreso?». Marcello annuì. «E allora su, in piedi! Non ostacoliamo la giustizia, signori!». Una volta radunati tutti in biglietteria, lo stesso agente che ci aveva condotti lì si presentò e cominciò a interrogarci. Io fui tra i primi. «Allora, voi, generalità?». «Mi chiamo Tony Della Rocca.» Feci una pausa e quello incalzò: «Va bene, va bene, andate avanti!». «Nato a Trieste il 17 dicembre 1979, residente a Trieste». «E come mai siete a Ferrara?». «Sono qui in vacanza: mio padre è morto qualche tempo fa e qui ho dei parenti e mi sto occupando di ristrutturare una casa di famiglia». «Ah, mi dispiace. E invece questo strano accento?». «Mia madre era italo-americana e ho vissuto con lei in California per circa vent’anni.» «Minchia...». Pausa. «E dalla California dovevate venire qui a trovare un cadavere?! Eh andiamo avanti, va... che lavoro fate?». «Dirigo un’agenzia di investigazioni private a Trieste». «Ah! Allora l’americano non è venuto solo a trovare un cadavere, vuole anche insegnarci il lavoro! E bravo! Allora aiutaci va’, racconta cosa hai visto!». Raccontai per filo e per segno come avevo ritrovato il cadavere e di tutte le persone che erano arrivate dopo di me. Quando finì il mio turno, fu la volta di Teresa e degli altri due custodi; fu proprio mentre si sedevano che entrò il commissario e, rivolgendosi alla persona che era con lui, con acuto sarcasmo
12 disse: «Ecco, che ti avevo detto? Non avevo dubbi che lo avremmo trovato qui: chi altri poteva essere il testimone di un efferato delitto se non mio cugino?!». «Tu’ cugino è com’ i’ prezzemolo!» aggiunse con accento toscano quello, che non sapevo chi fosse ma che, quanto a sarcasmo, non sembrava da meno. «Oh Franco, speravo proprio che arrivassi tu!» mi alzai per andare incontro a mio cugino. «Pare che il commissario di zona sia io anche quando non sono di turno! Ti presento Charlie, il nostro PM». Ci stringemmo la mano. «Allora, Tony, raccontami tutto: dove sta il cadavere, come l’hai trovato, chi sono queste persone... insomma, tutto quello che hai visto e tutto quello che sai». «In realtà ho già spiegato tutto al tuo collaboratore, l’agente Macaluso». «A chi? A Etna? Capirai... ci siamo messi in banca! Va be’, mi affaccio a vedere cosa combinano i ragazzi della scientifica; accompagnami così mi dici un po’ cos’è successo». Mi allontanai al fianco di Franco, mentre tutti i presenti ci osservavano perplessi. «Allora ragazzi, come procedono i rilievi?» chiese Franco piegandosi verso la cella in cui non entrò per non contaminare le prove; dall’interno della cella avanzò il medico legale. «Commissario, la situazione è piuttosto terrifica: i colleghi stanno fotografando e raccogliendo i campioni necessari, ma il luogo non aiuta, perché, con tanti visitatori qui ogni giorno dell’anno, isolare delle impronte digitali, se anche ci fossero, è praticamente impossibile. Tra l’altro identificare un corpo senza testa sarà molto complicato: a prima vista è una ragazza giovane, direi attorno ai venticinque anni, presumibilmente europea, piuttosto alta e longilinea. Caratteristiche tutto sommato piuttosto comuni». «Un bel pasticcio, in effetti... ci sono segni di violenza?». «Apparentemente no, anche se non ha i vestiti. Non sembrano
13 esserci segni di colluttazione ma, ovviamente, potrò essere più preciso solo dopo l’autopsia». «Certo, certo. E da quanto è morta più o meno?». «Direi non più di un paio d’ore; ma anche in questo caso...». «Certo, è chiaro: aspettiamo i risultati dell’autopsia. Dottore, ti ringrazio». Fece per andarsene. «Ah, un’ultima cosa... hai già un’idea dell’arma del delitto?». «La ferita è netta, sicuramente è stata inferta da una lama robusta, con un colpo secco e deciso: potrebbe essere anche una sciabola. Speriamo che non sia un attentato e di non vedere il video su YouTube fra qualche giorno!». «Ci manca solo questo! Ferrara è una città così tranquilla! Già sono preoccupato così, non scherziamo troppo! Va bene, dai, buon lavoro, ci aggiorniamo domani». Mio cugino tentava di dissimulare ma era davvero teso; certo, un omicidio del genere avrebbe gettato la città nel panico e le autorità avrebbero preteso il colpevole al più presto possibile: era una responsabilità davvero grande anche per uno in gamba come Franco. «Che ne dici di tornare a casa a riposare? Dai, era anche il tuo giorno libero». «Ma che riposo, Tony, stanotte non torno mica a casa! E se fosse un serial killer? Se fosse ancora qui nel castello?». Mentre tornavamo speditamente alla biglietteria, Franco afferrò la ricetrasmittente e invitò i suoi a battere il castello palmo a palmo per trovare eventuali tracce. Si rivolse poi ai testimoni con cortesia e comprensione, invitandoli a rincasare e a tenersi disponibili nei giorni successivi per firmare le deposizioni ed eventualmente integrarle con particolari che al momento potevano sembrare ininfluenti. Li pregò perciò di non abbandonare la città nei giorni a seguire. «Franco, dai, non posso lasciarti qui! Capisco che tu debba lavorare ma almeno un’oretta conceditela! Andiamo da Martina, vive proprio qui vicino... giusto il tempo di un boccone!».
14 «Va bene, Tony, hai ragione, do le direttive ai miei e dico loro di aspettarmi in centrale fra un’ora, chiami tu Martina intanto? Blocchiamola prima che s’impegni... sai com’è mia sorella!». Martina ci aprì la porta illuminando col suo sorriso radioso i nostri animi preoccupati. «Certo, avete delle facce!» esclamò Martina aprendo la porta. «Dai che un bel piatto di anguille è quello che ci vuole!». «Ma nooo, lo sai che a me piacciono le rane fritte!». «Franco, invece di ringraziarmi! Sei il solito viziato!». Era bello vedere i miei cugini schernirsi tra loro, sembrava quasi di tornare bambini. «Comunque le rane non c’erano, la proprietaria della pescheria pare sia in vacanza e lì, quando lei non c’è, non funziona niente! Dai che è pronto, mettiamoci a tavola!». Franco, tracannando un abbondante sorso di vino per buttar giù il boccone, si abbandonò ai ricordi d’infanzia. «Certo le anguille che comprava nonna erano insuperabili! Martina, ti ricordi quando ci portava al negozio di Rosina?». «Ma certo, che vecchietta adorabile! Ora è la figlia ad aver rilevato l’attività, è lei che è andata in vacanza! Io vado sempre lì a prendere il pesce!». Franco la guardò sornione. «Eh già, ma del resto la signora Adele Badanti in Rossetti non ha certo più bisogno di vendere anguille per vivere! Sai, Tony, la ragazza lavorava a mezzo servizio dai Rossetti... ti ricordi i notai da cui ci ha portato Martina per la casa dove vivi adesso? I parenti del suo ‘amico’, diciamo così, eh, Martina?!». Martina distolse lo sguardo arrossendo imbarazzata. «E insomma, ti dicevo, alla fine il notaio, fra una pratica e l’altra, ha deciso di far fare a questa Adele il servizio ‘completo’, per così dire!». Martina lo riprese, fintamente indignata per il maschilismo del fratello e in realtà colpita dall’allusione diretta al suo debole per il giovane Rossetti.
15 «Ma Franco, sei il solito maschilista becero: fra i due sarà scoppiato un vero amore o lui non avrebbe mai lasciato la sua ex moglie, una donna di un’eleganza e di un savoir faire travolgente!». Franco quasi si strozzò col boccone per ridere. «Be’, certo, quella si chiama Marfisa! Come puoi lasciare una che si chiama Marfisa?! Io avrei paura! Piuttosto: io vado, altrimenti devo essere io ad aver paura, ma di perdere il posto! Ma grazie a entrambi per avermi regalato un po’ di relax». Ero veramente molto legato a Franco, anche se per molti anni non ci eravamo visti né sentiti; avevo sempre ammirato la sua integrità e la coerenza nel perseguire i suoi obiettivi nonostante le difficoltà. «Ti ricordi quando tuo fratello voleva iscriversi a Lettere? Quanto si era infuriato zio Biagio! Chissà se ancora rimpiange la sua scelta di assecondare il volere del padre. Ora mi sembra soddisfatto, no?». «Ma sì, certamente, lavorare in polizia gli piace. E poi, dove altro avrebbe potuto esprimere a pieno il suo senso della giustizia? Semmai rimpiange di più il fatto di non aver superato il concorso in magistratura, ma anche in quel caso credo sia andata meglio così: Franco è un uomo concreto e l’azione gli si addice. Certo, la passione per i classici gli è rimasta: ai suoi poveri figli è toccato di chiamarsi Giulio e Ascanio!». Sorrisi al ricordo di me e Franco che giocavamo ai poliziotti durante quel Natale del ’92, quando ricevemmo in dono da mia madre dei walkie talkie. Il fuoco scoppiettante del camino illuminava i nostri volti raggianti di felicità mentre scartavamo i doni sotto l’albero. Era un bellissimo pino dell’Oregon che mia madre aveva regalato alla bisnonna Giovanna. Fu l’ultimo Natale che passammo con lei, mia madre le era molto legata e avrebbe fatto qualsiasi cosa per renderla felice. Mi ricordo l’aria profumata di zenzero e cannella... non l’avrei più sentita, non lì: quando la mia bisnonna morì non tornammo più a Ferrara.
16
«Tony, che succede? Ti vedo strano: pensi ancora a oggi pomeriggio?». «No, no, in realtà ero assorto nei miei pensieri, preferisco lasciare a Franco l’onere delle indagini, io qui mi dedico solo alla casa della bisnonna: nessun brutto pensiero!». «Eh, quella casa! Solo tu potevi farla rivivere! Già sono emozionata al pensiero di domani, hai preparato tutto per la grande inaugurazione? Io pensavo di portare le rane fritte, sempre se riesco a trovarle, mentre Manuela voleva portare la sua famosa torta di mele: te ne innamorerai!». «A proposito di amore, tu porti qualcuno? Ho visto che prima sei arrossita quando Franco ha nominato il giovane notaio Rossetti. Mi ricordo il nostro incontro con lui al bar dopo che la sua segretaria ci aveva liquidato dicendo che il passaggio di proprietà della casa di Traghetto non era pratica per il loro livello... mi sembravi così felice di rincontrarlo!». «Chi, Lorenzo?». Sembrava quasi che non lo ricordasse. «Sì, ci siamo sentiti, ci siamo anche visti in realtà... però no, se posso portare qualcuno magari lo direi a Gianluca». Martina aveva sempre un sacco di ragazzi che le giravano intorno ma, per quanto ne sapevo, non era mai stata davvero fidanzata. «E tu, Tony? Non hai un’invitata speciale?». Le parole di Martina mi colpirono come la lama di un coltello. Da quando ero arrivato a Ferrara un mese e mezzo prima, forse per l’atmosfera familiare finalmente ritrovata, forse per la serenità della campagna, forse per l’affetto dei miei cugini e dei miei nuovi vicini, stavo riuscendo a entrare di nuovo in contatto con i miei sentimenti più profondi. I miei pensieri correvano al mio passato, a Jennifer, il mio amore perduto. Il suo volto mi tornava alla mente più vivido che mai. Era lei l’unica persona speciale della mia vita. Ma non potevo dire a Martina tutto questo, non ancora. Tentai dunque di dissimulare. «Ma per me tutti voi siete speciali...».
17 «Tony, sei sempre gentile, peccato che i tuoi occhi mi dicano altro». Rimanemmo a guardarci in silenzio per un secondo che sembrò eterno. «Ma non preoccuparti, non voglio insistere, non sei un mio paziente. Se vorrai parlarne, io sarò qui per ascoltarti. Come cugina, naturalmente, non come psicologa». Anche Martina era sempre gentile, una professionista affermata che non aveva perso mai la sua umanità. Una donna davvero straordinaria. Tuttavia non era il momento per me di accettare il suo invito e mi affrettai a congedarmi. «Be’, grazie per l’anguilla, era deliziosa! Ora però devo proprio andare, si è fatto tardi, Lucifero mi aspetta per la sua pappa e in più domani mattina presto devo andare in commissariato a firmare la mia deposizione». Ci salutammo con un lungo abbraccio e io ripresi la strada per Traghetto in sella alla mia moto.
18
β
«Buongiorno, sono Tony Della Rocca, sono venuto per firmare la deposizione sul delitto di ieri pomeriggio al castello». L’appuntato mi guardò con occhi assonnati e mi chiese di mostrargli un documento. «Grazie, signor Della Rocca. Sa, con tutti questi giornalisti... è da stamattina all’alba che tentano di infilarsi con le scuse più improbabili! Salga al piano di sopra, io avverto il collega che sta arrivando. Comunque lei è molto mattiniero, nessuno degli altri testimoni è ancora arrivato». Al piano di sopra incrociai Franco nel corridoio, aveva veramente una pessima cera. «Cugino, che fai qui a quest’ora?!». «Ma perché siete tutti così sorpresi, io mi sveglio tutte le mattine alle sei e faccio un’ora di jogging dopo cinque serie di flessioni! Una doccia, colazione ed eccomi qui! D’altronde sono già le otto e un quarto. Tu piuttosto, sei riuscito a dormire almeno qualche ora?». «Come no, seduto alla scrivania si dorme che è un piacere, soprattutto con il telefono che squilla di continuo per intimarti di catturare l’assassino entro ventiquattr’ore. Non ti dico che nottata riposante!». Colsi la palla al balzo per tentare di convincerlo a prendersi almeno qualche ora di svago: era il primo maggio e io avevo organizzato un pranzo per inaugurare la casa di famiglia che avevo appena finito di rimettere a nuovo. Purtroppo sembrava irremovibile. Andammo a prendere un caffè nell’attesa degli altri testimoni e mi raccontò che la stampa stava insinuando
19 l’esistenza di un fantomatico serial killer che colpiva nei monumenti di Ferrara e che bisognava tenere a bada i giornalisti o avrebbero gettato la cittadinanza nel panico, motivo per cui anche le autorità insistevano a chiudere il caso nel più breve tempo possibile. D’altra parte un delitto così efferato colpiva tutti nel profondo, risvegliando ataviche paure, e Franco più di tutti avrebbe voluto rendere giustizia a quella ragazza, senza correre il rischio di prendere per la fretta la persona sbagliata. L’autopsia aveva dei tempi tecnici e senza campioni di confronto era comunque estremamente difficile, se non impossibile, risalire all’identità della vittima, a meno che non si fosse trovata in breve tempo anche la testa. Finito il caffè, Franco mi accompagnò dall’agente Macaluso, a me già noto, per firmare la mia deposizione del giorno prima. La rilessi con attenzione ma non mi sembrò di aver altro da aggiungere, dunque firmai e uscii dalla stanza, rinnovando a Franco il mio invito a raggiungerci, anche per poco tempo. Questa volta il suo sorriso mi lasciò ben sperare. Percorrendo il corridoio verso l’uscita incontrai la giovane custode del Castello che aveva assistito con me al ritrovamento del giorno prima. «Buongiorno signorina!». «Ah buongiorno, anche lei è venuto per firmare la deposizione? Ma di che si tratta esattamente?». «Una semplice formalità: deve solo rileggere, aggiungere qualcosa se le viene in mente qualche particolare che ha trascurato, e firmare. Serviranno solo pochi minuti!». «Ah meno male, grazie! Ero preoccupata. Ah, comunque mi scusi per ieri, sono davvero mortificata, l’ho aggredita senza motivo». «No, ma ci mancherebbe, chiunque al suo posto avrebbe potuto fraintendere! Comunque tanto piacere, io mi chiamo Tony!». «Beatrice! Sono sollevata che non se la sia presa, Tony. Be’, ora che sono più tranquilla vado!». Ci stringemmo la mano. Avrei voluto continuare a parlare con quella ragazza così graziosa, conoscevo così poche persone a
20 Ferrara che ogni incontro era per me estremamente interessante e stimolante, ma lei non sembrava volersi fermare ancora, così a malincuore la lasciai andare. Uscendo dal commissariato sentii una voce che mi chiamava, mi girai e comparve davanti ai miei occhi una sagoma familiare che mi salutava allegramente in sella a una bicicletta. «Salve Tony! Ci incontriamo sempre più spesso!». «Salve signorina Teresa, anche lei qui per la deposizione?». «Sì! Come è andata a lei? Sono così in ansia!». «In ansia? E perché mai? È solo una formalità». «No, ma non è per la deposizione... è che mi sento responsabile! Se penso che l’ho fatto entrare io quell’assassino! Ma ieri sono stata così distratta, tra gli operai e le scolaresche che andavano e venivano, è stato un pasticcio colossale! Davvero non riesco a ricordare neanche una faccia». «Oh ma suvvia signorina Teresa, non è certo colpa sua!». «Ma i poliziotti lo capiranno? Non mi accuseranno mica d’intralcio alle indagini?!». «Ma no, ma le pare! Lei è collaborativa, non può certo dire quello che non ricorda! Le indagini s’intralciano quando non si vuole dire quello che si ricorda!». Teresa rimase per un attimo in silenzio a pensare, non del tutto convinta dalle mie parole. Ecco, lei sì che sarebbe rimasta volentieri a parlare con me, ma io avevo molte cose da fare e d’altra parte l’avrei rivista poco dopo al barbecue. Era quasi l’una e tutto ormai era pronto in casa per accogliere i miei ospiti. Aver fatto finalmente rivivere la casa dei bisnonni era per me una grandissima soddisfazione. Ricordo ancora perfettamente quando l’avevo rivista per la prima volta, il giorno dopo il mio arrivo a Ferrara. Era mattina presto. Franco guidava mentre Martina non la smetteva di parlare, ma io non riuscivo a sentire nulla di quello che diceva, tanto ero emozionato all’idea di rivedere quella casa.
21 La nebbia si era dissolta e gli alberi da frutto in fiore brillavano con i loro colori vivaci nei campi attorno alla strada. Usciti dalla via maestra, avevamo svoltato per un sentiero sconnesso che portava direttamente alla nostra proprietà. Nonostante la luce del giorno, la casa aveva un aspetto spettrale. Vista da vicino era davvero imponente e incuteva timore, sembrava un gigante sopito e sofferente, sembrava aver bisogno di calore e io sentii immediatamente di dover fare qualcosa perché rinascesse. Quando aprimmo la porta, con non poche difficoltà vista la ruggine che aveva preso possesso dei cardini, ci trovammo nel grande salone in cui avevamo trascorso quell’ultimo Natale insieme. «Voglio venire a vivere qui!». Non ero riuscito a trattenere l’emozione, dovevo comunicare immediatamente ai miei cugini quella decisione estemporanea e apparentemente insensata. Franco e Martina sgranarono gli occhi, si girarono a guardarmi e dallo sguardo di Martina seppi che aveva capito che l’avrei fatto davvero. Guardandomi intorno riuscivo a vedere già la casa come sarebbe diventata: là dove c’erano solo ragnatele, muffa e travi sconnesse vidi lampadari accesi, finestre ricolme di luce e muri intonacati di fresco. Potevo già sentire l’odore della vernice, il profumo del bucato appena ritirato e la soddisfazione della riuscita. Ora mi guardavo intorno e vedevo tutto esattamente come l’avevo immaginato. Ma ecco il piccolo Lucifero che veniva ad avvisarmi che i primi ospiti stavano arrivando. Riconobbi subito il pick-up del dottor Rossi che portava con sé Evaristo il ferramenta, che mi aveva aiutato a sistemare i cardini delle porte, e Gigino il panettiere, che aveva preparato il rinfresco di quel pomeriggio. Nel frattempo stavano arrivando anche altri vicini. «Benvenuti nella mia casa! Sono proprio contento che siate qui!».
22 «Buongiorno Tony!». Il dottore parlò per tutti. «Siamo curiosissimi di vedere la casa! Tutti questi anni ridotta a un rudere... è una gioia anche per noi del paese, sai, vederla rivivere!». Mentre mostravo il giardino e il fienile, dove avevo trovato Lucifero che piangeva, ecco una strombazzata annunciare l’arrivo di Franco e della sua famiglia: la moglie Manuela e i figli Giulio, di sei anni, e Ascanio, di appena otto mesi. Franco con loro si trasformava e diventava un padre premuroso e un marito innamorato. «Come promesso ho portato la torta di mele! E, pensa un po’, ho portato anche mio marito!» esclamò Manuela venendomi incontro con il pupo tra le braccia e baciandomi su entrambe le guance, mentre Franco scaricava dalla macchina la carrozzina e Giulio si avventava all’inseguimento di Lucifero. Mi rivolsi a Franco, ero davvero felice di vederlo, aveva proprio bisogno di un po’ di relax. «Oh Franco, sono così felice che alla fine tu ti sia convinto a venire! E Martina? Non è venuta con voi?». «Martina con noi?!». Manuela sgranò gli occhi, ridacchiando con fare beffardo. «No, ma ti pare?! Lei vuole essere autonoma! A quanto ne so doveva venire con un tal Gianluca, sempre che sia ancora in vita!». «No, ti prego, tesoro, basta coi morti!». I due ridacchiarono complici. Manuela aveva una simpatica e tagliente verve romana che colpiva sempre nel segno e che era stata una delle cose che avevano fatto innamorare Franco. In questo erano proprio in sintonia. Mentre stavo conducendo i miei ospiti verso il tavolo approntato fra la casa e il fienile, udii il rumore di un’auto. Era un rombo profondo e fragoroso che si avvicinava sempre più; ci guardammo perplessi e incuriositi chiedendoci chi fosse e, dopo pochi istanti, la risposta era davanti ai nostri occhi: una
23 Lamborghini gialla aveva parcheggiato all’interno del mio giardino sollevando una nube di terriccio. Martina scese frettolosamente dall’auto, tossiva allontanandosi a grandi passi. Il suo accompagnatore, con calma serafica, sfilò le chiavi dal quadrante e scese, fermandosi a ripulire lo sportello della sua amata vettura dalla polvere appena sollevata, indifferente a tutto il resto, Martina compresa. «Non sarebbe stato più appropriato un trattore?». Manuela trovava sempre il modo di sdrammatizzare, ma certo alle mie povere aiuole sarebbe servita più di una battuta per riprendersi. «Martina, benvenuta! E... lui è Gianluca?». «Sssssst! Noooo! Zitto!» Martina parlava a voce bassissima, cautela inutile visto che il suo accompagnatore stava ancora ripulendo lo specchietto laterale. «No, sai, Gianluca non poteva... non si mostra volentieri in pubblico, con me... e poi... be’... le feste le passa con la famiglia...». Manuela non si lasciò sfuggire l’occasione per bacchettarla. «Moglie e figli, abbiamo capito!». Martina arrossì e guardando in basso disse solo: «Sì, infatti». Rimasi esterrefatto. «Martina! Un uomo sposato! Una ragazza per bene come te!». Martina sembrò ancora più imbarazzata, fermò le mie obiezioni e disse: «Sì, sì, va bene, ne parliamo poi. Lui è Luciano». «Tanto piacere Luciano, sono contento di averti a casa mia ma purtroppo il mio giardino non è un parcheggio: dovresti spostare l’auto fuori dal cancello, se non ti dispiace». Luciano ridacchiò senza stringere la mano che gli stavo porgendo. «Che bella battuta!». «Nessuna battuta, ci sono delle aiuole sotto quelle ruote; ci ho messo un mese a piantarle, ci tengo molto».
24 Franco e Manuela si avvicinarono a noi, incuriositi dalla scena, mentre il dottor Rossi continuava a giocare con Giulio, descrivendogli l’anatomia di Lucifero. Luciano sorrideva con aria di sufficienza. «Be’, se è così io posso anche andare: domani devo essere a Milano per una riunione, tanto vale che mi avvii subito. Passate un buon primo maggio!». Vidi Martina che tentava invano di dissuaderlo, ma lui rimontò in macchina e se ne andò sgommando, liberando finalmente le mie aiuole. «Certo Tony, potevi essere anche un po’ più ospitale!» disse lei bruscamente. «Io?! Piuttosto lui poteva essere un po’ più educato!». «Davvero Martina, ma dove l’hai trovato quell’attrezzo?» s’intromise Manuela. «Va bene, entriamo in casa ora?» rispose Martina per trarsi d’impaccio. «Ehilà, salve! Come state?». Il saluto festoso di Teresa e l’inconfondibile trillo della sua Graziella rossa ci tolsero da quel momento di imbarazzo; la mia vicina appoggiò la bicicletta al muretto a secco che delimitava la mia proprietà e ci raggiunse percorrendo il vialetto con passo veloce. «Oh Teresa, che piacere averla con noi! È arrivata proprio al momento giusto: stavamo per entrare in casa! Oh, ma che sbadato, prima le presento tutti gli altri: conosce già mio cugino, il commissario Franco Ferrara». «Oh, ma certo! Commissario, che piacere rivederla in un’occasione finalmente piacevole. Sa, quell’affare del delitto mi ha davvero scossa. Ferrara è una città così tranquilla! È una cosa così terribile, al castello poi... ma come sarà potuto accadere? Avete già qualche idea?». Vidi il volto di mio cugino tendersi e tentai di cavarlo d’impaccio.
25 «Suvvia Teresa, oggi è un giorno di festa! Le indagini sono in buone mani! Mio cugino oggi si rilasserà insieme a noi e ai suoi cari; vede, questa è sua moglie Manuela e lei invece sua sorella gemella Martina, mia cugina». «Ma che bella famiglia!». «E quelli laggiù sono il piccolo Giulio e il dottor Rossi, il mio amico veterinario... Gli altri vicini già li conosce! Venite, vi faccio vedere come ho sistemato la casa!». Entrammo e con piacere notai che tutti apprezzavano i risultati del mio lavoro. Iniziammo a trasportare in giardino le vettovaglie e le bevande, nonché i piatti già pronti per l’antipasto e quelli con la carne e il pane da grigliare. «Ma dai! C’è anche la madia della bisnonna Giovanna! Ma come hai fatto a restaurarla?! È bellissima, quanti ricordi! E quanto erano buoni i suoi strichetti». Martina si guardò intorno, i suoi occhi brillavano come se fosse tornata indietro nel tempo. «Ecco, io ero seduta lì, sulla sedia a dondolo, e lei era lì alla madia che impastava e raccontava favole, mentre il camino scoppiettava allegramente e fuori sentivamo intonare i canti di Natale...». «Certo Tony» s’inserì Evaristo estasiato, «hai fatto veramente un lavoro straordinario! Non solo hai ridato la vita a questa casa, ma sei riuscito a far rivivere tutti i ricordi che stavano morendo con lei. È come se la vostra famiglia fosse ora di nuovo qui, riunita attorno al camino!». In quel momento squillò il cellulare di Franco, lui si allontanò per rispondere e quando tornò mi prese da parte. «Sono pronti i risultati dell’autopsia, devo correre all’istituto di medicina legale. Mi dispiace molto dover lasciare questa bella festa». «Oh ma Franco, ci mancherebbe, è il tuo lavoro! Anzi, mi piacerebbe accompagnarti, se possibile». «Ma certo, mi farebbe piacere! Ma come fai con gli invitati?». «Chiederò a Manuela e Martina di occuparsi della cucina, noi torneremo appena possibile. Dammi solo qualche minuto».
26 Feci accomodare gli ospiti e poi dissi loro che io e Franco dovevamo andare in città per un’emergenza, senza specificare quale fosse; invitai tutti a sentirsi a proprio agio e a godersi il pranzo anche in nostra assenza. Tentarono tutti di trattenermi ma li rassicurai che saremmo entrambi tornati a breve. Prendemmo la macchina di Franco e ci avviammo a Ferrara.
27
γ
«Allora dottore, cosa mi dici?». Franco spalancò la porta dell’ufficio del medico legale senza troppi preamboli. «Commissario, grazie per essere venuto subito, non vedo l’ora di riferirti tutto e di passarti la palla! Un bel pasticcio questo omicidio, davvero... andiamo pure di là, vi mostro il cadavere e vi spiego un po’ quello che ho scoperto. Il signore qui è preparato a quello che vedrà?» disse il medico indicandomi. «Sì, è stato proprio lui a trovare il cadavere, si conoscono già!». In realtà c’era ben poco su cui scherzare, ma Franco era un simpaticone. Arrivammo davanti al tavolo autoptico: il corpo senza testa giaceva supino, lavato e coperto per metà da un lenzuolo. «Innanzitutto confermo quanto ti ho detto l’altro ieri: la ragazza è sui venticinque anni, europea e non ha subìto violenza. E ti confermo anche che la morte è avvenuta a seguito del taglio della testa». «Quindi la ragazza era cosciente quando è stata decapitata?». «Spero che l’abbiano almeno tramortita, ma comunque l’assassino ha agito con crudeltà; in ogni caso la vittima non ha tentato di difendersi a quanto pare, non ci sono segni di colluttazione». «Ok, qualcosa di più preciso sulla dinamica dell’omicidio?». «Be’, guarda...» scostò il lenzuolo per mostrarci le gambe, «ci sono segni solo sulle ginocchia... presumibilmente era inginocchiata poco prima o durante l’esecuzione. Il corpo poi è ricaduto in avanti».
28 «Hai un’idea più precisa dell’arma del delitto, rispetto a quello che mi hai detto l’altro giorno?». «Sicuramente era una lama affilata su entrambi i lati e di forma arrotondata; ti ripeto, potrebbe essere una sciabola, un’ascia, una falce... qualunque tipo di arma con lama lunata». «Ma un’idea su come è stato inferto il colpo e quindi magari anche sul possibile assassino?». «Il colpo è stato inferto perpendicolarmente alla nuca. L’assassino era al lato destro della vittima, come in un’esecuzione pre-ghigliottina». «Ah, quindi l’assassino è mancino!». «Probabilmente sì. In più i bordi del taglio paiono piuttosto slabbrati, quindi o non è una persona abituata a tenere armi di quel genere in mano oppure ha poca forza». «Quindi nessun serial killer?». «Direi proprio di no. A meno che non sia un serial killer al suo primo omicidio: tutto può essere». Franco sorrise a mezza bocca. «Secondo te è stata spogliata prima o dopo l’esecuzione?». «Be’, anche se il rigor mortis non si verifica immediatamente dopo la morte, spogliare un cadavere in breve tempo è piuttosto difficoltoso. Poi i segni di cui ti dicevo sulle ginocchia e le macchie di sangue sul corpo e sul pavimento non lasciano dubbi sul fatto che sia stata spogliata prima». «Mi sembra già abbastanza. Sull’identità non abbiamo elementi in più, vero?». «Be’, io ho rilevato le impronte digitali e il gruppo sanguigno e li ho passati alla scientifica, ora sta a loro fare i confronti coi database. Ah, un’ultima cosa: la ragazza era incinta, alla decima settimana». «Fantastico!» rispose Franco sarcastico. «Ti ringrazio, dottore. Passo quest’ultima informazione ai miei per circoscrivere le indagini sulle denunce di scomparsa, anche se a me dà tanto l’idea di una resa dei conti. D’altra parte una che muore così, da
29 sola, senza nessuno che venga a cercarla... è difficile che sia una ragazza di buona famiglia o comunque una di città. Speriamo di trovare presto la testa!». Le parole di Franco non mi convincevano affatto: una resa dei conti nel Castello Estense? Mi sembrava quanto meno improbabile. «Ho già sguinzagliato i miei informatori nei bassifondi per capire se c’è qualche prostituta che manca all’appello... Sai, queste poveracce vengono qui con la promessa di far successo e poi si ritrovano sulla strada, vivono anonimamente e anonimamente muoiono. Almeno questa sui giornali ci è finita, anche se da morta!». Non riuscii a convincere Franco a rientrare con me al barbecue, aveva troppe incombenze da sbrigare, così lo lasciai in commissariato mentre parlava al telefono con Charlie, il PM, e ritornai con la sua macchina a casa mia a Traghetto. Quando arrivai il pranzo stava volgendo al termine, spiluccai qualcosa mentre gli altri stavano già pensando al dolce. Rimasti in famiglia, i bimbi dormivano sul lettone dei bisnonni, e noi ci buttammo sul divano per gustare l’ultimo sorso di vino e l’ultimo scampolo di quel giorno di festa. Il telefono di Martina continuava a squillare senza sosta. «Ti sei riappacificata con il distruttore di giardini?». «Ah ah! Tony ma che dici?! È una mia collega, da qualche tempo ha problemi con una paziente, una ragazza strana, pare che abbia dato un nome falso... mi sta scrivendo ora che ieri addirittura non si è presentata alla seduta e il numero che ha lasciato risulta inesistente. L’unica cosa che sa è che il fidanzato gioca nelle Aquile, ma visto che ha detto solo bugie finora, chi può dire cosa è vero e cosa no? E poi soprattutto è preoccupata perché non ha ancora pagato neanche una seduta!». «Le Aquile, ma davvero?! Pensa che conosco l’allenatore! Era venuto anni fa a fare uno stage a Berkeley, quando ero
30 quarterback della squadra del college. L’ho rincontrato proprio qualche giorno fa, durante uno di quei giri che mi avevi consigliato di fare sulle tracce della storia d’amore tra i miei genitori, ti ricordi?». «Ah sì, certo! Durante un altro di quei giri hai trovato un cadavere!». «No, vi prego!» Manuela sprofondò nei cuscini del divano. «Non mi fate pensare al cadavere! Continuano a chiamare tutti Franco, e con tutti intendo proprio TUTTI! E poi quei maledetti giornalisti che hanno inventato la storia del serial killer dei monumenti lo stanno mandando ai matti! Che cosa si aspettano che faccia, che metta un piantone a ogni sala di ogni museo della città?! E poi, figurati, che teoria insensata!». Martina intervenne: «Ma avranno qualche idea, no? Qualcuno è andato a reclamare il corpo? Sai qualcosa? Forse un profilo psicologico dell’assassino li aiuterebbe». «Sicuramente ci staranno già lavorando, anche se non credo abbiano tanto materiale su cui basarsi, al momento». Manuela bevve l’ultimo sorso di vino e fece per alzarsi. «Va be’ ragazzi, il vino è finito e devo portare a casa i bambini. Vado a svegliarli e li porto a dormire a casa. Martina, vieni con noi o aspetti il taxi in Lamborghini di mezzanotte?». «Ah ah! Vengo con voi! Vai, ti aspetto qui». Non appena rimanemmo da soli Martina mi guardò con apprensione. «Tony va tutto bene? Ti vedo un po’ strano». Sospirai. «Niente, pensavo a Jennifer. Sai, da quando sono qui a Ferrara sto rientrando in contatto con le mie emozioni; sarà la vecchia casa, sarà l’avervi rincontrato dopo tanti anni, sarà che dopo la morte di mio padre sto diventando più fragile. E poi adesso, con l’omicidio... da quando ho visto quella ragazza morta non riesco a smettere di rivedere nella mia mente l’immagine del cadavere di Jennifer». «Certo, immagino che per te non sia facile».
31 «Assolutamente no, sta riemergendo tutto quello che ho per anni cercato di dimenticare o che ho volontariamente trascurato per evitare che mi ferisse, che mi facesse star male e che mi bloccasse nel perseguimento dei miei obiettivi». «Capisco che in questo momento non vuoi sentirlo, ma lascia che te lo dica: non mi sembra un male». «Non lo so, sono solo molto confuso». «Magari ti stai solo riappropriando di alcune parti di te...». La voce di Manuela dall’ingresso ci riportò alla realtà: era ora di andare a dormire. Era stata una giornata davvero intensa, sotto ogni punto di vista. Quella notte il mio sonno fu agitato da frequenti risvegli. Appena chiudevo gli occhi mi si parava dinnanzi il volto della mia Jennifer. Noi due felici. Poi il suo funerale... accanto a me, mia madre. L’avevo sempre ritenuta una donna e una madre straordinaria, ma ritrovare il suo diario nel baule della casa di famiglia e leggerlo era stato per me un grande trauma: avevo capito che la realtà su mio padre e il loro rapporto era ben diversa da quello che lei mi aveva fatto credere. A causa sua non ero mai riuscito a capire e ad amare mio padre. Nei dieci anni che avevo trascorso con lui a Trieste avevo cercato di dimenticare quello che credevo avesse fatto e mi ero sforzato di provare compassione per lui, un uomo distrutto dall’epatite, dall’alcol e completamente solo. Ma non ero mai riuscito a perdonarlo del tutto e a provare per lui un affetto sincero. Scesi dal letto di scatto e come per scacciar via tutti quei fantasmi del mio passato iniziai ad allenarmi. Ma dopo oltre un’ora di esercizi e una doccia tonificante, mi resi conto che la mia mente era ancora là. «Pronto?» La voce di Martina era ancora impastata dal sonno. «Ciao Martina! Scusa se ti chiamo a quest’ora, ma ho veramente bisogno di parlare con te». «Ah... be’, va bene... io mi sono appena svegliata e sono solo le sette e mezzo... facciamo così: tu vieni qui a farmi un caffè e mi
32 porti dei cornetti caldi, e io prometto di risolvere tutti i tuoi problemi!». Dopo meno di un’ora stavo già suonando al citofono. Raccontai a mia cugina dei miei sogni agitati e della mia preoccupazione in proposito. Avevo paura di entrare in contatto con me stesso, da tempo non ero più abituato a guardarmi dentro e trovare dentro di me le risposte alle mie domande. Non ero abituato, mi doleva ammetterlo, a tirar fuori i miei sentimenti. «Tony, tu devi affrontare i tuoi mostri e imparare ad accettare le tue debolezze: è un cammino graduale, non puoi pensare di risolvere tutto in una volta! Hai già fatto grandi passi da quando sei qui!». «Sì, ho persino trovato un cadavere!» risposi ironico, ma Martina incalzò, sempre più presa dal suo ragionamento. «Ecco, bravo, anche questo! Tu sei un investigatore! E anche molto in gamba a quanto ne so! Seguendo Franco nelle indagini ti stai riappropriando di un’altra delle tue passioni». «Sì, certo, mi fa piacere aiutarlo! Stimo molto Franco, anche se la sua teoria sull’omicidio del castello non mi convince per niente». Gli occhi di Martina si accesero in un lampo di curiosità. «E tu hai qualche ipotesi alternativa?». «Be’ proprio un’ipotesi no, ma sono convinto che per capire veramente l’omicidio, occorra collegarlo al luogo in cui è avvenuto: non è certo un palcoscenico anonimo, la scelta non può essere casuale. Tu non l’hai visto, ma sembrava veramente una scena da esecuzione medievale! Anche il medico legale ha detto che il colpo ricorda quello di una decapitazione pre-ghigliottina... ce li vedi tu, dei malavitosi qualsiasi a ricostruire una scena del genere in un posto del genere? L’hai vista quella cella, immagino». «Certo. Sì, forse hai ragione. Penso che dovresti approfondire. Senti, a proposito di indagini, posso chiederti un favore? Ricordi la mia amica di cui ti parlavo ieri? Quella a cui è scomparsa una paziente?». Annuii. «Ecco, sai, le ho parlato di te, le ho detto che
33 sei un investigatore privato... lei sarebbe così felice se tu riuscissi ad aiutarla! Non è solo per i soldi che le deve, ovviamente, è soprattutto perché è molto preoccupata per la ragazza... poi ti dirà lei meglio». Fece una pausa, forse la mia espressione l’aveva lasciata interdetta. «È sottinteso che ti pagherebbe!». «Oh ma certo, sarei contento di aiutarla e magari mi distrarrebbe un po’». «Sì, è proprio quello che pensavo anch’io! E potresti sentirla anche adesso? Magari potremmo andare da lei oggi stesso!». «Sì certo!». «Anche se è a Bologna?». «Ah... » Ormai non potevo più tirarmi indietro. «Ehm... ma certo, una gita ci farà bene». )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/
Al vincitore verrĂ assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.