DAVIDE DE PALO
LA STELLA E IL CERCHIO Basato su fatti realmente accaduti Â
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LA STELLA E IL CERCHIO Copyright © 2013 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-657-8 Copertina: Immagine Shutterstock.com
Prima edizione Gennaio 2014 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Questo romanzo è opera di fantasia, ogni riferimento a fatti o personaggi viventi o realmente esistiti è da ritenersi puramente casuale.
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PROLOGO L’innovazione è divenuta per la prima volta non l’eccezione ma la “regola”, e si è talmente accelerata, talmente universalmente diffusa da autoalimentarsi al di là da ogni possibile controllo, producendo simulacri sempre più potenti e sempre meno governabili. Il rischio, ma anche il fascino dell’enorme accelerazione evolutiva delle macchine di calcolo sta superando di colpo, senza soluzioni di continuità e senza possibilità di ritorno, il confine della realtà stessa, entrando nel cuore della matrice. Rene Berger, filosofo e storico dell’arte svizzero
Questo libro s’ispira a fatti realmente accaduti nel tempo odierno, quel tempo in cui l’innovazione tecnologica è un imperativo e la comunicazione viaggia senza limiti grazie alla mediazione di potenti macchine virtuali. La storia descrive la vita di Luca, un ragazzo benestante, da poco laureato, che ha la passione per Internet, il computer e ogni altra tecnologia digitale. Uno di noi, simile a noi. Chi di voi non usa il computer, naviga in rete o utilizza uno smartphone per essere sempre aggiornato e presente? Ma il ragazzo, progressivamente e senza scampo, si perderà nei meandri del cyberspazio e dell’inganno virtuale. La sua vita sarà travolta, fino ad arrivare a sostituire se stesso con una simulazione virtuale. Nel suo Éloge de la simulation Philip Quéau affermava che “il progresso della tecnica passa attraverso la progressiva derealizzazione dell’uomo e l’incessante simulazione del reale. La simulazione non è affatto il simulacro della realtà, poiché è essa stessa a crearla.”
4 Analoga è stata la derealizzazione di Luca. In poco tempo, la sua esperienza reale, fatta di fisicità, si scioglie, fino a liquefarsi completamente in una nuova personalità immateriale, disseminata nel mondo del web e dei videogiochi. Nasce così una nuova persona che cerca di colmare il vuoto di un’esistenza, sperando di riscoprirsi appagato e felice. Ma il mondo virtuale, dopo avergli offerto un assaggio di felicità - surrogata e artefatta - lo inghiottirà imprigionandolo drammaticamente nella sua rete, sino a portarlo alla follia e al delirio. Se c’è una rete o per meglio dire una ragnatela (web, appunto, significa ragnatela), deve esserci per forza anche un ragno. Che, se non si è attenti, divora. I rischi del web sono costantemente sotto i nostri occhi: dalla sottrazione dei dati sensibili, al venire a contatto con persone che non esistono realmente. E quotidianamente miriadi di truffe vengono perpetrate a discapito di avventati in cerca del prezzo migliore o di arricchimenti facili. Gli antichi alchimisti medievali utilizzavano la formula “Solve et coagula” per sciogliere il metallo in oro e credo che in qualche modo sia collegata al mito della fenice che rinasce dalle sue ceneri: lo stesso accade a Luca che, dopo essersi liquefatto e disperso nel mondo cyberspaziale, si ricompone miracolosamente, diventando una persona migliore. Questa che vi racconto è la sua storia. Buona lettura e buon viaggio. Davide De Palo
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1. LA FESTA DI LAUREA Il reame dell’iperreale è più reale del reale e attraverso di esso i modelli, le immagini e i codici dell’iperreale controllano il pensiero e il comportamento. Jean Baudrillard, filosofo francese
Stavano ormai giungendo al termine i preparativi per il festeggiamento della laurea in Economia Navale, conseguita da Luca il 4 novembre del 2009. Il ragazzo era visto da molti suoi amici e da alcuni parenti come un incapace, tanto che molti di loro stentavano a credere alla notizia. Da sempre considerato uno stupido, un figlio di famiglia come si dice a Napoli, e cioè un giovane che, non avendo problemi economici, pensava solo a divertirsi senza dedicare il giusto tempo allo studio, né tantomeno al lavoro. Ma gli anni passavano e ormai del ragazzino, come amava definirlo ancora la madre, non era rimasto più nulla. La sua vita era caratterizzata da una frenetica e compulsiva ricerca di potenza tecnologica: ogni giorno sfogliava avidamente riviste specializzate, sia scaricandole da internet, sia comprandone in edicola, per cercare connessioni super veloci, smartphone a otto processori, console1 di ultima generazione e computer fissi da far invidia alla NASA. E ogni nuovo gadget tecnologico era subito tra le sue mani, per essere puntualmente sostituito qualche settimana dopo. Era il prototipo di ragazzo 1
Una console è un dispositivo elettronico di elaborazione concepito esclusivamente o primariamente per giocare con videogiochi. (N.d.A.)
6 della nuovissima generazione, quella hi-tech, come qualche sociologo paventava di tanto in tanto in qualche trasmissione televisiva: da quando aveva sedici anni, era vissuto e cresciuto parallelamente alla tecnologia d’avanguardia del mondo digitale, sviluppando e consolidando negli anni una conoscenza e una passione per tutto ciò che fosse elettronico e informatico. Agli albori della digitalizzazione della nostra società, il papà gli regalò, ancora adolescente, il mitico Commodore 64, esteticamente grossolano e di un bruttissimo colore grigio, ma che all’epoca era considerato il non plus ultra della tecnologia. Non tutti potevano permetterselo, visto il costo elevato e l’assenza quasi totale di benefici per chi lo utilizzava. In seguito, abbandonò il vecchio “64” per comprare l’Amiga 500, fino a utilizzare i primi IBM, più professionali, meno indicati per i videogiochi ma utili per studiare, fino a giungere ai giorni nostri, con i potenti processori Intel i7. Il giovane laureato viveva costantemente in quella che viene definita realtà aumentata2. Infatti, non c’era cosa che facesse nella quotidianità senza l’ausilio di una tecnologia. Si parlava di come preparare un tiramisù in famiglia? E subito il ragazzo, attraverso una veloce ricerca su Google, trovava decine di ricette e copiose varianti. Bisognava raggiungere una località? E lui con sicurezza indicava la strada grazie al navigatore incorporato nel suo smartphone di ultima generazione. Se è vero che siamo nell’era dell’informazione in tempo reale, il laureato ne era la prova vivente. La mamma di Luca era una donna sulla cinquantina, leggermente in sovrappeso, ma molto curata. I capelli dorati, costantemente legati, incor 2
Dall’ inglese augmented reality, abbreviato “AR” o realtà mediata dall'elaboratore, s’intende l'arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi. (N.d.A.)
7 niciavano un viso dalla pelle ancora fresca. Gli occhi chiari, grandi ed espressivi, erano lievemente a mandorla. Una donna bella e interessante, anche se non più giovane, con un look da far invidia anche alle signore più chic dell’alta borghesia della collina di Posillipo. Di nome Elena, proveniva dal nord, precisamente da Reggio Emilia, anche se da tantissimi anni viveva a Napoli, dove il marito lavorava e viveva da sempre. Era felicissima per il titolo conseguito dal suo unico figlio e aveva organizzato la cena/evento in suo onore con orgoglio e meticolosità. E adorava il ragazzino, viziandolo oltremodo. Ma dopotutto “che problemi ha mai dato alla famiglia?”, aveva sempre pensato la donna con convinzione e sicurezza. Sicuramente passava molte ore di fronte al computer e su quei telefoni di nuova generazione, chiamati smartphone, dove si è sempre connessi con qualcosa o qualcuno, ma questo lo fanno moltissimi giovani. In fondo il figlio era un bravissimo ragazzo, ancora di più ora che si è laureato. “Adesso inizierà anche a lavorare”, pensava la donna dai capelli biondi e “magari farà lo stesso mestiere del padre”. Trepidante e con le lacrime agli occhi, che puntualmente scioglievano il rimmel nero, era una donna che non si truccava molto, nonostante curasse il suo corpo e il suo aspetto in maniera morbosa. Indossava guanti dalla doppia protezione sia per non rovinare le unghie perfette, smaltate a opera d’arte, sia per proteggere le mani da dama dell’ottocento; mani di chi non aveva mai lavorato, ma che per l’occasione erano intente a preparare, con cura maniacale, il rinfresco e la cena, non lasciando nulla al caso. Il menù della serata era diviso in due parti: un ricco buffet composto da salatini, salsicce su stuzzicadenti, formaggi vari e olive, ali di pollo fritte, involtini primavera, patate fritte, vol au vent, arancini di riso, crocchè, insomma, tutto cibo da mangiare in piedi e con le mani, seguito poi da un’abbondante cena calda, rigorosamente a base di ottimo pesce e freschissimi frutti di mare. Tutto cibo squisito e prelibato, composto da un’infinità di portate, così come vuole la miglior tradizione culinaria napoletana. Insalata di pesce e frutti di mare, sauté di vongole e cozze, gamberetti in salse varie per passare, sorseggiando dell’ottima Falanghina di annata, ai classici spa-
8 ghetti con vongole, astici e gamberoni ai ferri, senza dimenticare l’immancabile aragosta farcita in tanti modi. Perché, anche se reggiana di nascita, Elena aveva coltivato la passione per i piatti a base di pesce grazie a sua madre, una donna romagnola che, proprietaria ai tempi di un piccolo ristorante a Milano Marittima, le aveva tramandato molti dei segreti della cucina di mare. L’appartamento del festeggiato era in via Scarlatti al Vomero, storica strada dell’attraente quartiere napoletano, costellata da tanti edifici colorati e lussuosi in stile umbertino, al settimo piano di un bellissimo edificio di colore giallo ocra. Un condominio molto confortevole, dotato di custode in divisa, come nei grandi alberghi di lusso, di video citofono di ultima generazione e di un enorme ascensore con grandi specchi al suo interno. Un bel quartiere di Napoli, una zona residenziale che sembrava Milano, dove vivono i nuovi ricchi, la borghesia emergente e qualche milionario caduto in disgrazia. Ed era una zona in collina, dove si respirava un’aria diversa rispetto a quella del centro della città. Al Vomero, la vita era migliore, si sentiva, si viveva: sembrava che, tutto sommato, la contraddittoria e complessa Napoli, patria della cultura, dell’arte e della camorra, fosse un bel posto in cui vivere. Gli invitati erano all’incirca una quarantina, tra amici di Luca e parenti. Stranamente non era presente nessun consanguineo di suo padre. C’erano, però, gli zii Giacomo e Luigi, fratelli della madre e affermati titolari di un’azienda parafarmaceutica della bassa modenese. Due gemelli monozigoti, uguali e identici in tutto, che spesso anche la sorella faticava a riconoscere. Non a caso la donna, quando li aveva sentiti telefonicamente, gli aveva proposto scherzosamente di vestirsi in modo diverso e loro, ridendo, avevano affermato che, per assistere al miracolo della laurea del nipote sarebbero venuti anche senza vestiti, se fosse stato necessario. Elena, che teneva molto alla forma e all’apparire, poteva annunciare – e con ancora più orgoglio agli scettici – la lieta notizia della laurea del figlio. In fondo l’unica cosa che davvero le interessava era quella di mostrare di avere una relazione perfetta e la migliore famiglia al mondo.
9 La cameriera filippina, nata e cresciuta nella stupenda isola di Luzon, una donna sulla cinquantina, bassa e tarchiata, poco femminile, servile e lavoratrice, roteava intorno ai tavoli in maniera goffa e allo stesso tempo funzionale al totale comando di Elena: il suo compito era semplicemente eseguire tutto ciò che le veniva chiesto e ordinato (non sempre in maniera comprensibile, data l’agitazione della madre di Luca per i preparativi). Sistematicamente e con una frequenza preoccupante, la filippina subiva i rimproveri di Elena, chinando il capo con cieca obbedienza, indipendentemente dal fatto di capire o meno, sorridendo e scusandosi in continuazione, per riprendere in maniera grossolana dal punto in cui si era fermata. La fretta e la ricercata perfezione dell’evento portavano le due donne ad avere numerosi problemi di coordinamento, trovandosi spesso, comicamente, a scontrarsi. Ed effettivamente il tempo era poco: erano quasi le diciotto e alle venti e trenta sarebbero arrivati tutti gli invitati. Il papà di Luca, di nome Alessandro, lavorava come export manager per una grossa azienda del napoletano di cui ormai era anche socio, con una quota di partecipazione di tutto rispetto. Da un po’ di tempo nei vertici aziendali si ventilava l’idea che presto sarebbe stato lui il futuro amministratore delegato della società. L’importante incarico lo portava a viaggiare moltissimo e in tutto il mondo. Una laurea, anche lui in economia, e una carriera rapida e vincente. Conosceva e parlava in maniera fluente ben quattro lingue. Era nato in una famiglia di umili origini, vissuto nella Napoli povera – quella delle grandi zone popolari – non in collina, ma verso il centro della città. Il quartiere Sanità, portato alla ribalta al grande pubblico grazie alla commedia dell’immortale Eduardo De Filippo e spesso citato dalla cronaca locale per gli omicidi della criminalità organizzata. L’uomo occupava una posizione economica e sociale di assoluto prestigio e negli ambienti era molto rispettato (e anche invidiato) per il successo, la sua professionalità e l’impeccabile stile nel modo di vestire. Un uomo sulla sessantina, capelli brizzolati corti, vestito sempre in maniera classica: cravatte sgargianti e coloratissime, impeccabilmente ab-
10 binate, quasi tutte della sartoria Marinella, sita nella lussuosa Via dei Mille. La sua cura nell’apparire e la mania dei dettagli erano a dir poco certosine. Alessandro, attraverso il suo inconfondibile look, lasciava intravedere di essere un uomo realizzato sia sul lavoro che nella vita. Costantemente lontano dalla famiglia e soprattutto dalla moglie, ormai solo Luca e pochissimi altri interessi lo legavano ancora a Elena. L’amore, quello vero, era finito da tempo, perso tra i viaggi a Manila e a Rio de Janeiro; proprio nelle Filippine, il manager aveva conosciuto una giovane donna che, dopo una notte di amore “fugace”, gli aveva chiesto la cortesia di trovare un lavoro in Italia alla sorella maggiore, quella che poi sarebbe diventata la domestica di fiducia in servizio presso casa sua. Comunque la giornata odierna era una di quelle speciali, dove regnava un’atmosfera di gran festa: almeno per quella sera i due genitori avrebbero pensato unicamente a festeggiare, sperando in un futuro migliore, fatto di grandi cose e aspettative per il loro unico figlio. Erano quasi le venti, quando Alessandro varcò la porta dell’ingresso, con passo sicuro e regolare; senza salutare, posò il soprabito grigio sull’appendiabiti antico di mogano, a destra dell’entrata; nemmeno il tempo che le donne sentissero i tacchi delle sue scarpe lucide e firmate, che furtivamente entrò nel suo studio, rivolgendo uno sguardo sprezzante alla moglie e alla donna di fiducia da lui raccomandata. Al capo famiglia era concessa ogni cosa, o meglio non contestata. Ma anche la donna dai capelli biondi non era priva di responsabilità: la mancanza di carattere e un’eccessiva passività nella gestione dei rapporti familiari avevano decretato la fine del rapporto sentimentale con il marito; una donna debole, imprigionata nella sua torre d’avorio, la quale si era cucita addosso un ruolo che non le apparteneva, ma che ormai non avrebbe messo più in discussione. Del resto Elena non era innamorata del marito e per la verità non lo era mai stata, nemmeno in gioventù, quando lo conobbe per la prima volta a Bologna per caso, durante un viaggio in treno. Rimase affascinata e colpita dalla forte personalità dell’uomo e dalla sua ricchezza, e si legò unicamente per la sicurezza che l’uomo proveniente dal Rione Sanità riusciva a darle.
11 Nessuno aveva notato l’entrata di Alessandro perché le due donne erano troppo indaffarate e in ritardo rispetto “alla tabella di marcia”: se qualcosa fosse andato storto, Elena sarebbe impazzita, più di quanto già non fosse, secondo i pareri concordi di padre e figlio, quindi avevano continuato a imbandire la tavola e a sistemare le sedie per celebrare l’ennesima conquista del re. Il giovane Luca aveva una passione sfrenata per i videogiochi di strategia, soprattutto quelli ambientati in mondi fantasy. Passava tantissime ore nella sua stanza, davanti al computer, a guidare eserciti per difendere il suo Regno da orchi e maligni folletti. Per questo motivo, la donna aveva iniziato a pensare “sul serio” che il figlio, in qualche vita passata, fosse stato realmente un “re” e che oggi qualche ricordo inconscio gli avesse amplificato questa passione. Non a caso Elena parlava spesso di nuova era, della profezia dei Maya e di alcuni autori del movimento definito new age3. Anni prima aveva iniziato un percorso con un’esperta d’ipnosi regressiva, una di quelle psicologhe che, usando tecniche non riconosciute dalla comunità scientifica, prometteva di far ricordare e di far rivivere le proprie vite passate. Da allora, puntualmente, un paio di volte l’anno, si sottoponeva a questo tipo di trattamento molto costoso ma gratificante. Una volta la madre di Luca aveva pianto per ore, dopo aver visto suo padre che le sorrideva, e per questa esperienza “non ordinaria” si era convinta della validità della terapia. Sotto ipnosi, guidata dall’esperta, 3
“New Age" (letteralmente: Nuova Era) è un'espressione generale per indicare un vasto movimento subculturale che comprende numerose correnti psicologiche, sociali e spirituali alternative sorte nel tardo XX secolo nel mondo occidentale. Le numerose e diverse concezioni riconducibili a questa denominazione sono accomunate dall'ideale dell'avvento di un "mondo nuovo" o di una "nuova era", spesso indicata astrologicamente come età dell'Acquario. (N.d.A.)
12 mentre musiche suggestive riempivano l’atmosfera, era regredita sino al suo primo giorno di vita, vedendo la sua uscita dal grembo materno e suo padre, presente al momento del parto, gioire dalla felicità. Da quel giorno aveva iniziato a credere, con sicura convinzione, che tutto ciò era possibile e che nel mondo c’erano tanti misteri inspiegabili per la scienza ufficiale. Tanta era l’opulenza in quella casa: l’arredo classico con qualche scelta cautamente moderna, le pareti spazzolate ad arte con colori ora tenui ora profondi, come il rosa antico e il rosso purpureo, i cibi scelti, l’arredo di ottocentesca fattura, tutto in legno massello intarsiato a mano. Stupendi erano i numerosi quadri – di Ulisse Caputo, Giuseppe Casciaro, De Nittis – appesi sulle grandi pareti della casa: un vero e proprio patrimonio di opere originali di grandi artisti dell’Ottocento napoletano, tale da far rimanere a bocca aperta chiunque entrasse in quella casa. L’enorme tavolo nel soggiorno era coperto da una splendida tovaglia di raso rosso rifinita abilmente con dei merletti fatti a mano; sopra di essa, erano appoggiati con maestria enormi calici di cristallo, un centrotavola a forma di rosa di puro vetro di Murano blu screziato in oro zecchino e piatti in ceramica bianca con disegni azzurri. Tutti insieme questi elementi, abilmente disposti con stile impeccabile e certosina precisione, garantivano ed esaltavano la magnificenza dell’evento, secondo il miglior galateo, tanto da tenere testa a qualsiasi serata di gala nella Napoli borghese. Le posate erano tutte in argento, sicuramente antiche e di valore, mentre la cucina, in contrasto con il resto della casa, era arredata in stile moderno: enorme e angolare, con la cappa esterna in acciaio inox e le ante laccate di colore nero. Un odore di cose squisite permeava tutto l’ambiente. Per la donna dai capelli biondi poteva essere una buona occasione per riavvicinarsi al figlio, attraverso il sentimento della gratitudine, poiché Luca, in maniera simile al marito, si era allontanato da lei, e la donna si trovava così relegata in quel mondo borghese, fatto di agi e comodità,
13 ma tremendamente sola, disperata e depressa. Non a caso, si era avvicinata al mondo della new age, come aiuto e promessa di una ritrovata felicità che però, a oggi, non aveva ancora “fatto capolino” nella sua ovattata esistenza. Le venti e trenta scoccarono e le prime persone suonarono alla casa della famiglia del festeggiato. I primi ad arrivare furono alcuni amici dell’Università, dei ragazzi fuori sede, originari della Basilicata, di quelli che vestono strano, che qualcuno avrebbe etichettato come “alternativi” o “tossici”. Condividevano le stesse passioni di Luca, “molto computer e poche donne”, ma anche loro si stavano per laureare e per forza di cose si sarebbero dovuti muovere a trovare al più presto un lavoro, mollando computer e videogiochi: non tutti avevano la fortuna di avere un papà di nome Alessandro. Avevano fatto la colletta, usanza storica degli studenti fuori sede, per comprare del pessimo vino economico al negozio pakistano di turno. Elena, vestita per l’occasione con uno stupendo abito da cerimonia di colore nero lucido, li aveva accolti prontamente ringraziandoli per il vino e facendoli accomodare in casa; immediatamente gli smartphone dei ragazzi avevano iniziato a squillare in maniera ritmica, risultando non poco fastidiosi alla donna, non ancora abituata alla tecnologia, seppure così tanto presente nella sua casa. Si sedettero sul grande divano del soggiorno, enorme, angolare e di colore verde pastello; sulla parete di fronte c’era un grandissimo televisore a schermo piatto ultrasottile che nessuno, nemmeno nei grandi centri commerciali, aveva mai visto; una volta accomodati, incollarono gli occhi sui loro aggeggi tecnologici, aspettando l’arrivo di Luca. Elena offrì loro degli stuzzichini e del buon vino, non quello portato dai ragazzi, tanto per intenderci (che, infatti, più tardi avrebbe regalato alla filippina); i ragazzi gradirono la bevanda e il cibo e, dopo averla ringraziata, abbassarono nuovamente la testa senza comunicare tra di loro: in pochi minuti si erano già rifugiati, con le loro menti, negli spazi privati del proprio mondo virtuale, racchiuso in alcuni centimetri di raffinata tecnologia.
14 Sistematicamente e in maniera prevedibilmente regolare, arrivarono altri amici di Luca, alcuni parenti della madre compresi i fratelli gemelli (per fortuna vestiti in maniera diversa). Con il solito rituale di benvenuto, Elena li accolse nella sua umile dimora. Come legati da un invisibile filo telepatico, nonostante fossero alle prese ognuno col proprio mostro tecnologico, a un certo punto gli amici di Luca domandarono all’unisono dove fosse il festeggiato. Dopo alcuni secondi, la madre rispose in maniera tranquilla, sussurrando con tono pacato e flebile: «Ѐ in camera sua, sta controllando su Facebook che tutti gli invitati siano arrivati.» Nessun credette, nemmeno per un attimo, che Luca controllasse la lista degli invitati, ma erano sicuri che fosse chiuso lì dentro, perso tra chat a luci rosse, giochi di ultima generazione e pessimi video musicali. Matteo era uno dei colleghi universitari “alternativi”, probabilmente il suo migliore amico, il più sveglio della compagnia. Un ragazzo dalla corporatura esile, nato in una famiglia operaia, dai lunghi capelli rossi delicatamente ramati e molto folti. Aveva lo sguardo fisso e sicuro, quello di uno che sa il fatto suo, ed era un ragazzo che parlava poco. Da sempre aveva avuto un atteggiamento protettivo nei confronti del festeggiato e tra i due era nato un rapporto di sincera amicizia. Dopo essersi legati i lunghi capelli con un laccetto viola, si era alzato dal divano proponendosi “di andare a chiamare Luca nella sua stanzetta”, dietro ovviamente autorizzazione della madre. Anche perché in quella casa museo, sia per la grandezza che per la maestosità – degna di una vera e propria reggia – era davvero faticoso muoversi con disinvoltura. In quel preciso momento, con una sfolgorante tuta della Nike di colore blu con righe gialle fluorescenti sui lati, totalmente in contrasto con la classicità dell’abbigliamento degli invitati e degli interni della casa, sbucò Luca con il suo auricolare bluetooth (senza filo) all’orecchio. In mano teneva uno smartphone di ultima generazione, così tecnologico da far sembrare pezzi di antiquariato quelli che avevano i suoi amici. Matteo, vestito per l’occasione con jeans skinny e giacca di velluto blu sportiva, stentava a credere che Luca possedesse davvero quel modello.
15 “Ѐ incredibile! Nemmeno in America si può trovare quel modello, ma lui è il numero uno quando si tratta di nuove tecnologie, veramente, non ce n’è per nessuno!” pensava il suo amico con una risata sotto i baffi, la quale lasciava intendere tantissime cose e soprattutto una conoscenza intima del festeggiato. Non era un caso che i due giovani avessero condiviso tante esperienze sia belle che brutte nel loro percorso di vita. Luca era un ragazzo biondo, dallo sguardo lucido ma allo stesso tempo distaccato, così magro da sembrare addirittura più alto del suo metro e ottanta. Era contento di vedere tante persone lì per lui. Una bella rivincita e soddisfazione per tutti quelli che l’avevano denigrato, definendolo spesso un incapace, un bamboccione buono solo a perdere ore e ore della sua vita davanti a un computer. Nessuno aveva mai capito cosa facesse realmente. Del resto, perdere ore sul web, su un social network o all’interno di un mondo virtuale – come quello di un videogioco – aveva a che fare poco o nulla con il termine reale. Ma ora di reale c’era almeno la tesi discussa all’Università, dal titolo “Il potere marittimo dal Medioevo a oggi”. Una tesi, certo, molto storica, per alcuni poco tecnica, ma alla Commissione e al suo relatore il Prof. Chinetti – una persona importante del mondo accademico napoletano – era molto piaciuta per la puntigliosità e i numerosi approfondimenti delle battaglie navali più celebri sostenute da alcune nazioni europee e in particolare quelle dell’Inghilterra, disputate nel corso dei secoli per l’egemonia e il controllo dei mari sia economici che militari. Qualsiasi considerazione si potesse fare un dato era certo come la stringa di un codice binario: Luca ce l’aveva fatta e ne era uscito a testa alta. Altroché videogiochi e Facebook: il ragazzo, quando si trattava di darci dentro, rispondeva prontamente e i suoi studi, seppur partiti in sordina, avevano dato buoni risultati. Alle ore ventuno, dopo aver divorato le delizie del ricco buffet, erano tutti intorno alla grande tavola colorata: Luca era seduto a capotavola sul lato destro, vicino alla grande finestra con le tapparelle di colore marrone e le enormi tende di seta in tinta vinaccio. Il suo computer por-
16 tatile, immancabile, un’estensione della sua persona – un vero e proprio arto digitale – era appoggiato sulla sedia di legno massello, alla sua destra, e veniva costantemente monitorato. Dall’altra parte della tavola, sedeva il papà, vestito con un abito grigio dalle righe bianche, molto lucido, cravatta nera con bordo giallo, tenuta, a circa metà altezza, da uno stupendo fermacravatta placcato in oro zecchino che aveva incastonato al centro un grosso brillante. Parlava in maniera molto amichevole con alcuni dei parenti della moglie e in particolare con uno dei due fratelli gemelli: si discuteva di lavoro, del difficile periodo dell’economia italiana e mondiale, ma il manager napoletano sottolineava, con smodata sicurezza, che “se si è bravi si riesce a saltare fuori lo stesso”. Al riguardo, uno dei due gemelli, sarcasticamente rispose: «Certo Alessandro, è facile fare business in tempo di crisi, basta non essere in crisi, non trovi?» E Alessandro, mentre sorseggiava del buon vino bianco, si era fermato un secondo, esclamando prontamente: «Giustissimo, cognato, il trucco è proprio quello, dirigere e stare dalla parte giusta!» Il gemello annuì deciso, dicendo: «Proprio così, brindiamo, alla salute del grande Luca!» Tutti si alzarono in piedi e brindarono alla salute del festeggiato, ma Luca, assorto dal suo continuo chattare anche a tavola, solo all’ultimo momento aveva capito che il brindisi era per lui. Era come se il ragazzo stesse vivendo in due dimensioni diverse, ma in qualche modo parallele: una parte di sé, quella fisica, concreta, era presente al tavolo degli invitati, mentre quella mentale era disseminata e dissolta nell’immateriale cyberspazio, l’oscura e fantastica dimensione mediata dal computer che permette di interagire con persone di tutto il mondo. Ma rimanere vigili e attivi in entrambe le realtà iniziava a diventare sempre più difficile e il giovane Luca non nascondeva di essere molto più interessato alla dimensione virtuale. Elena si alzava spesso per aiutare la cameriera filippina a servire le portate e in qualche modo sembrava interessata solo a fare quello. Gli invi-
17 tati rimasero sconvolti dal numero infinito di piatti che, senza sosta, venivano appoggiati sul tavolo; nonostante fossero già sazi, tutti continuavano a mangiare per golosità. La donna scambiò pochissime parole con il marito e con Luca, intenta unicamente alla corretta esecuzione dell’evento. Il cibo era “innaffiato” con un’abbondante quantità di vino e spumante, tant’è che alcuni dei presenti erano già palesemente ubriachi; ma in fondo era una serata di festa e tutti avevano il diritto di divertirsi. Matteo, nel pieno del vociferare degli ospiti, chiese al festeggiato come mai avesse scelto proprio quel particolare argomento per la sua tesi di laurea, poiché una vera risposta a questa curiosità non l’aveva ancora ricevuta. All’ennesima richiesta, il laureato, staccandosi per qualche secondo dal suo portatile, seccamente esclamò: «Ma mi dici che te ne frega? Ormai mi sono laureato, basta parlarne ancora!» Il ragazzo dai capelli rossi rispose sorridendo: «Ѐ solo per sapere perché hai scelto l’Inghilterra e le sue battaglie navali, sai che io a Trafalgar ho sempre tifato per il grande Napoleone!» E Luca, con un’inspiegabile rabbia negli occhi e la bocca contorta dal nervosismo, rispose agitatissimo, con il tono della voce basso per non farsi sentire dagli altri invitati: «Me l’ha passata un tipo conosciuto in chat dall’Australia! Sei contento, ma non dire niente, sai che pensano di me, molti dei presenti!» «Tranquillo fratello, guarda che la mia era solo curiosità! Sai che di me ti puoi fidare!» «Ok» rispose Luca telegraficamente ritornando a digitare freneticamente sulla tastiera del suo computer portatile. La tesi, scritta da un ragazzo australiano che aveva conosciuto in chat, era stata barattata in cambio di un’onesta transazione con paypal4. Tut 4
PayPal è una società che offre servizi di pagamento online e di trasferimento di denaro tramite internet. (N.d.A.)
18 to quello che il giovane Luca aveva fatto in seguito, era stato farsela tradurre, pagando in contanti questa volta, e studiarsela: questo era uno dei vantaggi di chi frequentava i mondi del virtuale. Ma questo mondo, da alcuni giorni, lo stava rendendo nervoso e troppo distratto: da alcuni minuti aveva lo sguardo assente, come se aspettasse qualcuno o dovesse fare qualcosa, ovviamente non qui, nel mondo reale. Sfregava continuamente le sue mani sulla bella e nuova tuta della Nike, comprata qualche giorno prima in un centro commerciale nella periferia di Napoli; inoltre continuava a sudare, nonostante non fosse particolarmente caldo all’interno della casa. Questa reazione non passò inosservata a Matteo, che aveva già capito cosa stesse accadendo. La cena ormai volgeva alla conclusione, i complimenti per la meravigliosa serata giunsero a Elena abbondanti; si era fatta quasi l’una e trenta quando Martina, amica di Università di Luca, vista la “scarsa” considerazione avuta durante la serata, decise di andarsene. La bella ragazza chiamò col suo smartphone, non di ultimissima generazione, un taxi, che sarebbe arrivato in via Scarlatti in meno di dieci minuti. Cupido otto era il nome del taxi in arrivo, forse perché, ironicamente, l’altro angioletto, quello che scocca le frecce per far innamorare gli uomini e le donne, non era mai arrivato nella sua vita. A lei Luca piaceva, forse era innamorata del ragazzo, ma il festeggiato non si era mai proposto. Grazie alla protezione offerta dal nickname o dall’avatar, nel virtuale la storica timidezza di Luca scompariva, lasciando il posto alla sicurezza e a volte anche alla spavalderia. Ma stranamente, nemmeno attraverso Facebook o le varie chat, dove spendeva tre quarti del suo infinito tempo, aveva mai provato a “sbilanciarsi” con la bella Martina. Lei lo aveva “stuzzicato” spesso, con gentili provocazioni, ma non c’era mai stata una vera risposta, se non quella di una bella amicizia, tutto sommato fine a sé stessa e ormai sterile, considerando che era passato ormai un anno tra conoscenza e frequentazione. Una volta, ricordava la ragazza, erano rimasti “soli” tutto il giorno a casa sua per studiare e nonostante le battutine a doppio senso che lei aveva fatto per tutto il pomeriggio – insinuando più volte che fosse omosessuale e non
19 volesse ammetterlo per vergogna – il ragazzo, facendo finta di niente, era stato tutto il tempo incollato al computer a giocare a uno di quei videogiochi strategici, dove si comandano eserciti e si conquistano nazioni. Martina gli era stata vicino, lo aveva aiutato a redigere la tesi, ma non sapeva nulla del ragazzo australiano. Sempre pronta a dargli una mano, non aveva mai ricevuto in cambio un gesto affettuoso, che fosse un abbraccio o una pacca sulle spalle. La ragazza guardò nella direzione di Luca, nella remota speranza che il laureato la degnasse almeno di un ultimo sguardo per salutarla, ma il giovane sembrava troppo indaffarato a digitare nervosamente i tasti del suo computer portatile, letteralmente isolato dal mondo intorno a sé. Cupido giunse, peccato che fosse il taxi. Martina salutò i presenti e in particolare Alessandro, che da sempre ammirava la serietà e la bellezza della ragazza. Lei provò comunque a salutarlo: «Ciao Luca, ci vediamo.» Ma non ricevette alcuna attenzione dal festeggiato. Alessandro, con il volto dispiaciuto, fece un cenno gentile alla ragazza, comunicandole che glielo avrebbe detto lui; uscita dalla porta, si avviò verso l’ascensore vetrato del bel condominio. La sua camminata lenta era scandita da passi irregolari. Forte era in lei la delusione: gonna corta, calze sexy e scarpe lucide con il tacco, tutto inutile; certo l’aveva già intuito da qualche tempo, ma stasera il messaggio era stato chiaro, come un fulmine in una notte d’estate. Ogni dubbio e ogni speranza di avere Luca vicino a sé erano svaniti. Giunta nell’ascensore, si guardò nel grande specchio presente su lato sinistro, quasi come se fosse alla ricerca di qualcosa che non andasse nel suo aspetto: magra, ma con un bel seno e belle gambe, viso molto carino e capelli rossi, lunghi e lisci; una lacrima scese dai grandi occhi azzurri, mentre la voce robotica dell’ascensore comunicava l’arrivo al piano terra. Martina uscì dal palazzo e uscì per sempre dalla vita di Luca, entrando nel grande taxi bianco, pieno di spazi pubblicitari impressi sulla lucida carrozzeria.
20 Gli ultimi invitati, sistematicamente, un po’ come clienti in fila presso uno sportello bancario, uscirono progressivamente dalla casa, passando per lo stretto ingresso dell’appartamento. Tra saluti e sorrisi, terminò la serata speciale dedicata al festeggiato. La cameriera mise a posto le ultime cose prima di andare a casa sua, per poi tornare il pomeriggio del giorno successivo. Il padre di Luca si era “imboscato” nuovamente nel suo studio, dove nessuno poteva entrare: non era la prima volta che si tratteneva lì per lavoro, parlando tramite skype con i suoi clienti dall’altra parte del mondo o con amanti di varie nazionalità sparse qua e là per il globo. Anche Luca, dopo l’uscita degli ultimi invitati, si era chiuso a chiave nella sua stanza. Analogamente al padre, anche lui fuggiva da qualcosa o forse da qualcuno. Sulla porta di colore marrone scuro della sua stanza, ad altezza d’uomo, campeggiava una stampa in formato A4 a colori, dove era impressa la citazione: Lasciate ogni speranza voi che entrate.
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2. L’INCONTRO CON ALESSIA La simulazione si avvale di simulacri non per ripetere il reale, ma per configurarne uno nuovo, nel quale noi mutanti, resi noi stessi simulativi, ci si possa trovare a nostro agio. Jean Braudrillard, filosofo francese
Luca era davanti al suo computer di ultima generazione, seduto sulla soffice sedia direzionale di pelle nera, certo più piccola e meno costosa di quella che papà aveva nel suo studio. Ma l’importante era che fosse comoda e spaziosa: le rotelle gli permettevano di girarsi a trecentosessanta gradi e di muoversi con naturalezza nello spazio virtuale. Stava chattando su Facebook con Alessia Tx, questo era il suo nickname. Le foto del profilo ritraevano una mora stupenda, dagli occhi chiari e dal gran seno, una vera bomba sexy. La ragazza, che dalle foto sembrava una star del cinema pornografico, dichiarava di essere di Milano, dove lavorava come modella per un paio d’importanti agenzie internazionali. L’aveva conosciuta in una delle tante chat che frequentava ed era riuscito a ottenerne l’amicizia su Facebook. Timidamente aveva provato a chiederle il numero di cellulare, ma Alessia Tx gli aveva sempre risposto negativamente, argomentando che sarebbe dovuto “passare un po’ tempo” perché “si doveva fidare di lui”. Da circa quattro mesi Luca chattava alcune ore al giorno con lei, e non si erano ancora sentiti telefonicamente. Parlavano di tutto, delle loro giornate, di quello che facevano, ma tutto in chat, solamente in chat. Il laureato aveva provato a chiederle se avesse una webcam, per “vederla meglio”, ma anche in questo caso la “modella milanese” aveva trovato mille scuse. Luca era innamorato di “Alessia”. Certo era un amore virtuale, ma il ragazzo le aveva già proposto il matrimonio ed era pronto a volare a
22 Milano. Bastava un cenno da parte sua e il prete di famiglia avrebbe organizzato il matrimonio. Ma lei era sfuggente, molto impegnata, forse un giorno, forse una notte, vedremo, faremo; al momento, tutto quello che veniva concesso al giovane laureato, era solamente uno schermo lcd, ultrapiatto, dove sognare e sperare. Quella sera avrebbe insistito più del solito. Si sentiva coraggioso e sicuro di sé. Voleva uscire dal virtuale e vivere una storia d’amore normale. Era sicuro che questa volta ci sarebbe riuscito; l’alcol bevuto durante la cena lo avrebbe aiutato a essere più incisivo e concreto. Iniziò freneticamente la chat. Luca aveva fisso nella mente l’ambizioso “obiettivo”: Connesso con Alessia Tx – In linea «Ciao Amore mio dolcissimo.» «Ciao Tesoro bello .» «Che stai facendo?» «Finito adesso di mangiare.» «Che cosa hai mangiato?» «Insalata e bastoncini di pesce .» «Buoni, ma io stasera ho mangiato tanto sai, abbiamo festeggiato insieme ad amici e parenti la mia laurea… peccato che non c’eri, avrei voluto che tu fossi stata qui con me .» «Ma io sono sempre con te amore mio, sempre.» «Sì. Ma voglio vederti!» «Adesso?» «No, dico che voglio vederti… vederti in carne o ossa! Capisci QUELLO CHE DICO?!» «Ma tu puoi vedermi e stare insieme a me tutte le volte che vuoi. Solo questo è importante. Sono tua, tutta tua lo sai...» «Lo so, ma così mi rattristo, ho capito che non t’incontrerò mai, sei solo una da chat, ecco cosa sei, e ti prendi gioco di me… l’ho detto, ecco .»
23 «Non dire così, io voglio te e sono qui per te. Dimmi cosa vuoi da me e io te la darò.» Per incontrarla realmente avrebbe dovuto insistere, costringerla a una scelta, ma Luca aveva troppa paura di perderla. Lui non voleva questo. “Se questa (virtuale) è l’unica strada per vivere la mia storia d’amore, che sia questa, non insisterò più”, pensò il ragazzo terrorizzato e allo stesso tempo eccitato. «Accendi la cam, voglio vedere il tuo seno.» «Non mi funziona. Non so installare i driver5 e poi la connessione è lenta .» «Mandami una foto e scrivimi qualcosa.» «Vorrei che fossi tra le mie gambe, dai vieni lì, è accogliente, voglio sentirti…» Foto inviata – Download Riuscito. Il ragazzo, guardando la foto sexy, iniziò a fantasticare. «Sì, anch’io voglio essere lì…» La notte arrivò presto e la chat divenne sempre più piccante, finché la sedia comoda e larga servì come ogni volta per l’amore virtuale della serata. Alle ore undici della mattina successiva alla cena, Elena uscì per fare il suo solito shopping, girando per i negozi e le boutique di via Scarlatti e via Luca Giordano. Adorava spendere per comprare tante cose inutili, strisciando almeno due o tre volte la carta di credito Oro collegata al conto del marito, mentre la filippina puliva i vetri del soggiorno. 5
In informatica, è detto driver l'insieme di procedure che permette al sistema operativo di un computer di pilotare un dispositivo hardware come a esempio una webcam, in modo che funzioni e sia utilizzabile. (N.d.A.)
24 Luca era ancora nel letto. Subito dopo aver aperto gli occhi, corse verso il computer, come un tossicodipendente in fase di astinenza. Presa posizione sulla sedia comoda, che recava ancora tracce organiche di colore bianco ormai seccate, controllò le email velocemente, ma senza trovare quello che si aspettava. Aprì il suo account Facebook e fece una triste scoperta: il profilo della sua amata Alessia Tx non esisteva più. – Alessia Tx – – Profilo cancellato dall’utente – In pochi secondi il panico inondò il suo corpo e la sua anima, gli venne meno il respiro, in quell’attimo stesso gli sembrò di morire, la sua stessa esistenza non aveva più ragione di essere. “Com’è possibile” si chiese, “non può essere!”, eppure il freddo display, composto da miriadi di pixel6 colorati, confermava la triste verità. Volatilizzata, come la natura volatile del suo amore “irreale”. Proprio in quel momento, ricevette un’email nella sua casella di posta elettronica. Era Martina che gli scriveva: Ciao Luca, volevo solo sapere come stai? Spero bene . Ti vedo strano ultimamente e mi spiace molto non poterti aiutare, ma tu non parli con me, non più, se vuoi io ci sono. Un bacio. Martina Il tempo di leggerla veloce, nemmeno completamente, che la mail si ritrovò nel cestino del sistema operativo. 6
Il termine indica ciascuno degli elementi puntiformi che compongono la rappresentazione di un’immagine raster digitale, ad esempio su un dispositivo di visualizzazione o nella memoria di un computer. (N.D.A.)
25 Restò per ore pietrificato davanti al monitor, senza muoversi e con lo sguardo perso nel vuoto. Era la sua prima delusione d’amore. Il dolore per la perdita subita era cosi forte che il suo cervello per ore smise di pensare, come se fosse staccato. Passarono alcuni giorni e, senza che nessuno se ne accorgesse, Luca non uscì dalla sua stanza: il pigiama grigio con le righe bianche prese il posto della tuta della Nike. Costantemente attaccato al computer, usciva velocemente dalla sua camera solo per mangiare qualcosa in fretta, o per andare in bagno, anche se ne aveva uno nella sua camera. Dove stava andando, o meglio, cosa voleva trovare? Al momento, era sicuro che avesse perduto la donna dei suoi sogni, Alessia Tx. Sedotto, eccitato e abbandonato. Perché, per quale oscuro motivo? I dubbi e la delusione alimentavano rabbia nel laureato. Allora, il giovane iniziò un’intensa ricerca della verità e – avendo familiarità con l’informatica – in poco tempo riuscì ad avere le risposte che cercava. Ma queste risposte si rivelarono ancora più scioccanti, tanto da portarlo lentamente, ma inesorabilmente, alle porte di quel limbo infernale chiamato “Mondo Virtuale”. Alessia Tx era un profilo falso, quello che in gergo viene definito fake, traducibile dall’inglese come falso, fasullo, fittizio, tutti termini che stanno a indicare qualcosa di non veritiero, di artefatto. È un fenomeno diffuso su tutti i social network che spopolano in rete. Secondo Zuckerberg, il giovane creatore di Facebook, ci sono più di ottantatré milioni di profili falsi. Una cifra tutt'altro che trascurabile se si pensa che il social network dichiara un totale di 955 milioni d’iscritti in tutto il mondo. In pratica poco più del dieci per cento dei suoi utenti. Ognuno può essere quello che vuole in questo fantastico mondo. Crearsi un’identità fittizia è facile e alla portata di tutti. Poco tempo fa, a Firenze, un uomo aveva utilizzato una finta casella di posta elettronica spacciandosi per una donna che realmente esisteva. Il suo scopo era in sostanza quello di metterla in cattiva luce: la Corte di Cassazione si espresse, affermando che non si poteva più utilizzare una falsa identità per inviare i propri messaggi di posta elettronica.
26 L’uomo fu accusato di reato di sostituzione di persona, sia in Appello che nel grado successivo. L’indagato, secondo il giudice, “al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno a una donna, creava un account di posta elettronica apparentemente intestato a costei e, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete Internet e induceva in errore sia il gestore del sito sia gli utenti”. La Suprema Corte fu chiara: “Non è affatto indifferente, per l’interlocutore, che il rapporto descritto nel messaggio sia offerto da un soggetto diverso da quello che appare offrirlo, per di più di genere diverso”. L’uomo fu condannato, rischiando un anno di carcere. L’aveva abilmente scoperto incrociando le sue amicizie con quelle di Alessia Tx. Troppe coincidenze e feedback anomali avevano portato l’astuto ragazzo in una precisa direzione. Del resto, lei era anche amica su Facebook di Giuseppe Condor, un tipo strano, di quelli che creano “panico” sui social network. Quelli che in gergo vengono chiamati “troll”. Questi personaggi entrano in pacifici gruppi di discussione e dopo un po’ iniziano a “molestare” verbalmente i presenti fino a costringerli a “cancellarsi” dal gruppo, distruggendo così l’oggetto e la discussione creata. Aggressivi troll, tempo fa, avevano distrutto importanti gruppi di discussione composti da numerose persone, come quello sulla morte di Pietro Taricone, di Sandra Mondaini, di Sarah Scazzi, tanto per citarne alcuni. E spesso troll e falsi profili frequentano gli stessi circuiti. La differenza tra le due categorie di disturbatori consiste nel fatto che mentre i troll sono individuabili (usano il loro vero profilo), i secondi, com’era capitato a Luca, creano profili immaginari e fittizi. Molti giovani e anche adulti conoscono questo rischio presente sul web e, per questo motivo, sono molto diffidenti sia quando conoscono qualcuno sia quando devono comprare qualcosa. Non è un caso che la paro-
27 la web significhi sostanzialmente “ragnatela” e non “rete” come viene comunemente tradotta. Come se agli albori del progetto ARPANET7, il padre del moderno Internet – oscuro progetto militare post apocalittico – gli ideatori conoscessero già le insidie intrinseche che il mezzo di comunicazione avrebbe in futuro rivelato ai suoi utilizzatori. Luca era la prova vivente di questa metafora del cyberspazio: dalla rete si può uscire, si può rimbalzare, mentre nella ragnatela non si ha scampo, si è come imprigionati e paralizzati. Nella sua spasmodica ricerca della verità, il giovane laureato s’imbatté per caso in un forum di persone che avevano lo stesso problema. Il forum, una vera delizia per gli utenti dei mondi cyberspaziali, è in sostanza uno spazio virtuale d’interazione asincrona (a differenza della chat, dove l'interazione avviene in tempo reale) nel quale più soggetti scrivono messaggi sui temi proposti. Al contrario della chat, i messaggi restano visibili a tutti nel tempo, quindi il mezzo si presta a un approfondimento dei temi, oltre che a uno scambio d’idee e opinioni. Il gruppo di discussione – che aveva assunto come slogan il motto “La verità vi renderà liberi” – ruotava attorno al tema dell’inganno e della simulazione in rete. Tantissime erano le persone che raccontavano le proprie esperienze, talvolta bizzarre. Alcune storie suonavano così irreali da sembrare delle leggende metropolitane, altre, invece, com’era successo al povero Luca, avevano spesso degli sviluppi drammatici. 7
Acronimo di "Advanced Research Projects Agency NETwork", in italiano "rete dell'agenzia dei progetti di ricerca avanzata", anche scritto ARPAnet o Arpanet, fu una rete di computer studiata e realizzata nel 1969 dal DARPA, l'agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti responsabile per lo sviluppo di nuove tecnologie a uso militare. Si tratta della forma per così dire embrionale dalla quale poi nel 1983 nacque Internet. Arpanet fu pensata per scopi militari statunitensi durante la guerra fredda, ma paradossalmente ne nacque uno dei più grandi progetti civili: una rete globale che collega tutta la Terra: l’attuale internet. (N.d.A.)
28 Luca si era imbattuto nell’avventura di un uomo di circa sessant’anni, residente a Padova, che, girovagando per una chat di incontri, aveva ricevuto un’email con allegata la foto di una bellissima ventenne alla ricerca di un uomo maturo. Ciao! Sono contento che tu mi scrivi. Non ho la possibilità di essere un lungo periodo di tempo su questo sito. Sarà meglio per comunicare con l'aiuto di e-mail. Voglio sapere di più vicino. Cosa ti interessa su? Hai un hobby? Cosa stai cercando in questo sito? Dimmi qualcosa di te. Voglio vedere le vostre foto. Un po 'di me: Il mio nome è Vicky. Ho 22 anni. Sono nato e vivo a Kazan, in Russia. Avete sentito parlare con la città? Sei mai stato in Russia? Ho un sacco di emozioni, perché non ho mai prima di conoscere e parlare con gli uomini grandi e maturi provenienti da altri paesi. E 'molto interessante e affascinante. Avete familiari dalla Russia? Non vedo l'ora la tua risposta! Il tuo nuovo amico, Vicky. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD