La verità del medaglione, Luca Masetti, thriller

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In uscita il 30/4/2018 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine aprile e inizio maggio 2018 ( ,99 euro)

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LUCA MASETTI

LA VERITÀ DEL MEDAGLIONE


ZeroUnoUndici Edizioni ZeroUnoUndici Edizioni

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LA VERITÀ DEL MEDAGLIONE Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-201-0 Copertina: immagine proposta dall’Autore

Prima edizione Aprile 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


A mia madre (perchÊ ha insistito tanto‌)



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CAPITOLO 1

«Per la prima volta in vita mia non ho paura. Ho passato una vita intera a temere la morte e adesso che è giunta la mia ora non ho alcuna preoccupazione. Probabilmente è la decisione più consapevole della mia vita. Per il bene del mondo non ho altra scelta.» L’uomo abbassò lo sguardo per non vedere la propria immagine nel monitor. Non avrebbe mai pensato di vedere sé stesso recitare un testamento davanti allo schermo di un personal computer. Quelli erano i suoi ultimi pensieri prima di incontrare la morte, il più grande mistero per qualsiasi scienziato. Per un attimo pensò a cosa sarebbe successo dopo la sua dipartita, a cosa avrebbe pensato Alex, a come si sarebbe sentita Francine. Doveva abbandonare le persone che amava, per proteggerle, per evitare il male più grande. I suoi pensieri lo inabissavano nel passato, ma si rese conto che doveva ignorarli per concentrarsi sul presente. Si guardò intorno e ritornò con la mente a quello che stava succedendo. Steve McNeil si trovava al tredicesimo piano dell’Interfield Building, uno dei più maestosi grattacieli dello skyline di New York, di proprietà della New Health Pharmaceutics, una delle maggiori case farmaceutiche del globo. Le sue labbra ripresero a muoversi mentre la webcam davanti a lui continuava a registrare le immagini. «Questo è il mio ultimo attimo di piena libertà. Avrei molte cose da dire, ma ho poco tempo. Ho passato la mia vita sui libri e in laboratorio, studiando e lavorando intensamente per anni, per realizzare qualcosa di importante. Qualcosa che ho creato e che ho cercato di cancellare. Lascio queste parole come ultima testimonianza della mia esistenza e per mostrare la mia lucidità nel fare tutto questo. Sono riuscito a creare qualcosa di grandioso, superando i più antichi limiti dell’uomo, sfidando la natura stessa, e ora è giunto il momento di assumermi le mie responsabilità e di pagarne le conseguenze.» Lo scienziato si interruppe per qualche secondo, cercando le parole giuste da usare.


6 «Francine, ti amo oltre ogni limite. Vorrei avere avuto più tempo da dedicare a te e ai nostri progetti insieme. Spero che potrai perdonarmi e vivere felice.» Steve spostò la sedia indietro e si passò una mano sui folti capelli neri. Aggiunse poche parole alla sua testimonianza e poi finì di registrare il video. Si alzò dalla scrivania e aprì la finestra. Un flebile soffio di vento accarezzò il suo volto, muovendo la sua lunga chioma riccia. Alla base dell’edificio due uomini si stavano avviando verso l’ascensore principale. Il loro passo pesante e la mancanza di armonia nei movimenti contrastavano apertamente con l’impeccabile eleganza dei vestiti. Al tredicesimo piano, Steve si era seduto sul cornicione della finestra, contemplando l’incredibile panorama che offriva New York di notte. Lo spettacolo di luci e colori lo aveva distolto dai suoi pensieri, o forse era lui che cercava di perdersi nella bellezza della città. Da quell’altezza le persone non erano molto diverse da minuscoli insetti, un continuo movimento nel formicaio della Grande Mela. Fantasticò a lungo sui ricordi che aveva della metropoli, un lungo sorriso stampato a metà sul suo volto. A pochi metri dalla stanza dove si trovava Steve si aprirono le porte dell’ascensore e il tonfo sordo dei passi dei due uomini lo riportò al presente. Intuì subito il motivo di quella visita. Allungò le mani sul muro, pronto al grande momento. Erano i suoi ultimi attimi. Rifletté ancora per un attimo su tutta la sua vita, sulle sue decisioni e sui suoi rimpianti. Tutto questo ormai non importava più, non aveva più senso. Steve trasse un lungo respiro, si riempi i polmoni fino a scoppiare per poi rilasciare l’aria lentamente. La porta della stanza si spalancò proprio in quel momento. Un passo avanti, un semplice movimento e fu inghiottito dalla notte, prigioniero eterno di New York.


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CAPITOLO 2

«Dammi la mano per favore.» Tyler prese le dita affusolate, le porto vicino a sé e le baciò, come un padre bacia la propria figlia. Uno scambio di sguardi, intenso e misterioso. «Che significa?» chiese l’uomo con la camicia bianca. «Significa bruciatura chimica.» Nel dirlo, Tyler gettò la polvere bianca sulla mano, dando vita a un dolore atroce che avrebbe lasciato una cicatrice indelebile. «Che stai facendo?» urlò l’uomo con la camicia bianca. Improvvisamente squillò il telefono. Il lettore DVD continuava a trasmettere le immagini del film, incurante dell’interruzione. Brandy, disteso sul divano con la testa sulle gambe del padrone, drizzò le orecchie. Jack sbuffò spazientito, allungò il braccio e prese il telecomando per mettere in pausa l’apparecchio. «Maledette leggi di Murphy!» disse spazientito. «L’unica volta che squilla il telefono è esattamente mentre ti stai rilassando. Dovrei comprarmi uno di quei dannati cordless, accidenti!» Brandy adesso lo fissava negli occhi, rimanendo ancorato saldamente alla sua gamba, pregandolo di non muoversi e di lasciarlo dormire. Il giovedì era l’appuntamento settimanale con i film. L’appartamento era tranquillo e potevano godersi lo spettacolo senza interruzioni. Questa volta, però, era diverso. «Scusami vecchio mio, ma devo alzarmi.» Il pastore tedesco si spostò con molta riluttanza, mentre il telefono continuava a squillare, riempendo la stanza con il suo suono acuto. Jack alzò la cornetta e rispose: «Pronto?» Dall’altra parte del ricevitore si levò una voce chiara e profonda. «Parlo con il signor Thompson?» «Sono io, con chi parlo?» «Sono il dottor Richard Statham, la chiamo dal Kennedy Research Center di New York. Sono il direttore amministrativo della sezione


8 ricerca e sviluppo degli Stati Uniti. Immagino conosca i nostri laboratori.» «Se non sbaglio il KRC è uno dei più grandi centri di ricerca scientifica degli Stati Uniti, di proprietà della New Health Pharmaceutics, la nota azienda farmaceutica.» «Vedo che non si fa trovare impreparato, molto bene. La chiamo in quanto abbiamo bisogno di una sua consulenza per… una situazione delicata.» «Che tipo di situazione?» «Lavorare per una delle più grandi multinazionali del pianeta prevede una serie di precauzioni e di misure di sicurezza. Comprenderà ovviamente che non posso rivelarle nulla al momento. Sono informazioni riservate e sarebbe più opportuno discuterne di persona. Lei conosce la compagnia per cui lavoro e sono sicuro che il suo aiuto sarà lautamente ricompensato.» «So che rifiutare un vostro invito potrebbe essere controproducente, tuttavia dovete darmi qualche motivo in più per accettare l’offerta. Ho smesso di indagare, sa? Mi sono ritirato.» «Non è un po’ presto per la pensione? Poi non vorrà negare un favore a un vecchio amico, il dottor Alex Whitman? È stato lui a richiedere la sua presenza qui.» A quelle parole Jack ebbe un sussulto, richiamando alla mente ricordi lontani, che riaffioravano come fantasmi da un passato ormai andato. Alex e Jack erano stati compagni di college e di università, studiando insieme ad Harvard, nonostante avessero scelto facoltà diverse. Spinti dagli stessi desideri e interessi, i due avevano costruito una solida amicizia nel corso degli anni; due giovani brillanti e capaci, pieni di speranze e progetti per il futuro. Al pensiero degli anni trascorsi nel campus, Jack sentì una punta di nostalgia, ricordando quello che era stato probabilmente il periodo migliore della sua vita. «È ancora in linea?» domandò la voce dall’altra parte della cornetta. «Sì, mi chiedevo come se la passa Alex, è da molto che non ho sue notizie.» «Per questo posso risponderle io. Se la passa bene direi, al momento è il direttore scientifico del nostro centro ricerche, un ruolo di grande prestigio e di grande responsabilità. Se accetta il mio invito potrà parlare personalmente con lui di tutta la faccenda.»


9 Brandy guardava il proprio amico a due zampe con curiosità, captando l’interesse che la telefonata aveva suscitato. Jack era intrigato dalla situazione che inaspettatamente si era creata e rifletteva su come poteva gestire la questione, se accettare l’ignoto o fregarsene. Da quando aveva lasciato l’FBI si era occupato di qualche investigazione privata, ma ormai era fuori dal giro. Il suo istinto e la sua curiosità naturale ebbero la meglio sui dubbi e sulle incertezze. «D’accordo, sono a vostra disposizione. Presumo che dovrò fissare un volo aereo per New York. Spero di raggiungervi entro domani sera.» «Non ce ne sarà bisogno, le abbiamo messo a disposizione i mezzi della compagnia, ovviamente a zero spese. Le ho mandato una macchina sotto casa che la accompagnerà il prima possibile a uno dei nostri jet, che la trasporterà da noi per occuparsi della questione. In questo momento la nostra auto dovrebbe già essere sotto casa sua.» Jack sapeva già che le persone che lo volevano erano potenti e ben organizzate, ma tutta questa fretta evidenziava come la situazione che avrebbe affrontato fosse di primaria importanza per la New Health Pharmaceutics. «Controllo subito.» Fuori dalla finestra si vedeva una automobile nera parcheggiata sul lato opposto della strada. All’interno si intravedeva un uomo, al posto di guida, fermo, in attesa di qualcosa o qualcuno. «È una Cadillac nera, giusto?» «Sì, esattamente. Per evitare qualsiasi riluttanza il dottor Whitman mi ha espressamente chiesto di riferirle queste precise parole: temet nosce.» «Semper fidelis.» «Il direttore mi aveva segnalato che avrebbe risposto così.» Jack non aveva prestato ascolto a quelle ultime parole. Il suo cervello lo aveva trasportato indietro nel tempo, al periodo in cui lui e Alex frequentavano Harvard. Da buoni compagni di stanza avevano instaurato una profonda amicizia, usando la lingua latina per celebrare il loro legame e avere un codice di comunicazione riservato. L’uso di quelle parole non era casuale. Temet nosce, conosci te stesso; semper fidelis, sempre fedeli. Nonostante tutto il tempo passato, quelle parole mantenevano il loro significato originale, il senso che i due amici avevano dato alle antiche frasi latine: mantenersi fedeli a sé stessi e alla loro amicizia. Qualsiasi evento fosse capitato, i due uomini avrebbero sempre potuto contare uno sull’altro. O almeno così pensavano. Jack riuscì a chiudere quel flash del passato e tornare al presente che viveva.


10 «C’è solo una cosa da risolvere, non posso lasciare solo in casa il mio cane.» «Non è un problema, lo porti con sé e lo lasci all’autista, ce ne occuperemo noi», disse Statham. «È in buone mani», aggiunse, cercando di rassicurare il suo interlocutore. «D’accordo, mi dia il tempo di prendere il necessario e arrivo.» «La aspettiamo.» Il dottor Statham riagganciò il telefono. Il laboratorio era deserto e le apparecchiature scientifiche spente, adesso che aveva finito la conversazione telefonica regnava il silenzio in tutto l’ambiente. Si allontanò dalla sua scrivania, incamminandosi verso le postazioni dei suoi colleghi, infine gettò uno sguardo verso la numero quindici, l’unica sgombra da appunti e documenti. Statham non era sorpreso dal trovarla vuota, in pieno contrasto con tutte le altre. Proprio mentre voltava lo sguardo si accese una spia rossa intermittente dal centro di controllo principale dell’area. Con una corsa di pochi secondi, si trovò di fronte alla spia, la fronte bagnata da un sudore freddo. Non aveva niente a che vedere con lo scatto appena fatto. La lampadina rossa continuava il suo lavoro, accendendosi e spegnendosi alternativamente. Sotto di essa una semplice scritta elettronica: perdita dati settore A, postazione 15. Gli occhi dello scienziato adesso mostravano un sentimento antico quanto potente: paura. Nel frattempo a Los Angeles, una Cadillac nera sfrecciava silenziosa nella tiepida sera primaverile, una flebile e minuscola sfera luminosa che stava per essere inghiottita nel buio della notte.


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CAPITOLO 3

Stava per scendere il buio della sera mentre Sakura continuava il suo vagabondaggio per le strade di Shouchun, lasciandosi trasportare dall’istinto, senza una meta da raggiungere. La giovane donna si trovava per la prima volta in una grande città, dopo una vita passata nel piccolo paese dove abitava la sua famiglia. Aveva lasciato la vita di campagna alla ricerca di un mondo nuovo, alla ricerca di bellezza e mistero, persa in mille sogni sulla vita caotica e stimolante di una metropoli. Camminando liberamente per i vicoli di Shouchun, Sakura ben presto si smarrì mentre la notte sopraggiungeva silenziosa. La donna sentiva il freddo abbraccio del buio sul suo corpo, mentre il sole era già tramontato sull’orizzonte, quando vide in lontananza una flebile luce. Persa ormai nei vicoli oscuri della città, si sentì attratta da quella strana fonte luminosa, come se quel bagliore la stesse in qualche modo chiamando; così decise di velocizzare il passo per arrivare rapidamente alla fonte del luccichio, sperando di trovare un luogo più confortante dove chiedere aiuto oppure rifugiarsi. Quando fu più vicina riuscì a scorgere qualcosa. Si trattava di un ponte rosso, illuminato da alcune fiaccole situate sui corrimani, le quali emanavano un profumo intenso ed esotico e creavano una cortina di fumo nelle vicinanze, rendendo così difficoltosa la vista sia della struttura in legno che di qualsiasi cosa ci fosse dall’altra parte del ponte. “Un luogo così nascosto potrebbe essere pericoloso…” pensò Sakura che, nonostante fosse attratta dalla straordinarietà della struttura e del luogo, ricordava attentamente i consigli dei genitori che la mettevano in guardia dai pericoli della grande città. “Potrei tornare indietro, ma è troppo buio e anche questa strada potrebbe nascondere delle insidie.” Mentre rifletteva sul da farsi, maledicendo la propria imprudenza nel girovagare a quell’ora tarda, da sola, in una città sconosciuta, sentì in lontananza un rumore familiare, forse una voce, che sembrava mormorare il suo nome.


12 «Sakura, Sakura, Sakura…» Immediatamente si voltò all’indietro, cercando di identificare quel che pareva solo un bisbiglio, ma il suo sguardo non riusciva a cogliere nessuna persona e nessun movimento, così come le sue orecchie non percepivano più nessun altro rumore. Non vedendo niente, una terribile sensazione di angoscia si impossessò di lei, mentre i suoi sensi si acuivano per cercare di captare qualsiasi segnale di pericolo. La voce misteriosa era scomparsa e il silenzio regnava sovrano. L’unico suono era quello del cuore della giovane, allarmato dalla situazione, che continuava a battere a un ritmo forsennato. Non riuscendo a captare altro rumore, Sakura provò a muoversi nuovamente, ma prima di muovere anche un solo muscolo la donna sentì ancora una voce in lontananza bisbigliare qualcosa. «Sakura, Sakura…» Per una seconda volta la donna sentì quell’eco misterioso e adesso era quasi certa che provenisse dall’altra parte dell’esile ponte rosso, il quale nascondeva con un muro di fumo e di nebbia qualsiasi cosa ci fosse dall’altro lato del fiume. Alle sue spalle, nonostante avesse già percorso quel cammino fino al luogo dove si trovava, il buio rendeva impossibile vedere qualsiasi punto di riferimento; sembrava davvero che dietro di lei non ci fosse nulla tranne le tenebre. Le abitazioni erano serrate e le luci spente, la gente si era ormai ritirata nelle proprie camere per dormire, il necessario riposo prima di riprendere il lavoro il giorno seguente. Le strade erano deserte e, tranne qualche gatto che si aggirava qua e là, non vi era il minimo segno di vita, tanto meno di pericolo. Sakura, ormai, era convinta che avrebbe dovuto attraversare il ponte, sperando che la voce, che aveva sentito ben due volte, fosse di qualche persona venuta a cercarla. Poteva essere Changming, il suo promesso sposo, che la stava cercando senza riposo, in preda all’angoscia e alle preoccupazioni, oppure qualche altra persona che poteva aiutare il suo amato. Al pensiero la donna si sentì subito in colpa per essersi allontanata dal suo futuro marito ed essersi persa nella città. Chissà quanta preoccupazione aveva causato al suo fidanzato e chissà cosa stava facendo in quel momento. Con questo pensiero in testa, Sakura decise di incamminarsi su quella strana struttura in legno, stando bene attenta a dove mettere i piedi e pronta a scappare in caso di qualsiasi pericolo, confidando nella buon sorte e sperando di non essersi ingannata su quella voce misteriosa. A ogni suo passo le assi scricchiolavano, aumentando la sua ansia e mantenendo il ritmo cardiaco accelerato. Il ponte sembrava piuttosto


13 antico e non garantiva una grande stabilità. Se qualche asse di legno si fosse spezzato avrebbe potuto farsi male, rimanere bloccata o, peggio ancora, cascare nel fiume. Per sua fortuna, nonostante i rumori poco promettenti a ogni suo movimento, Sakura giunse infine dall’altra parte del ponte, dove il fumo si diradava nettamente, scoprendo uno strano paesaggio naturale, un’isola al centro del fiume, sulla quale era stato costruito un gazebo. La sua forma era piuttosto stravagante, la giovane donna non aveva mai visto niente di simile. All’apparenza si trattava di una costruzione simile a una pagoda, ma aperta su due lati, realizzata in legno, con uno stile mai visto prima nel paese da cui proveniva. Pur non conoscendo la storia del posto, la ragazza era convinta che si trattasse di una struttura molto antica e forse dimenticata anche dagli abitanti della città. Avvicinatasi per contemplarla meglio, vide che al suo interno si trovava una statua, grande come un bambino, che raffigurava un qualche tipo di animale, sicuramente ben diverso da quelli visti dalla ragazza in campagna. Non vedendo nessuno e incuriosita da quel luogo, Sakura lasciò da parte la paura e i timori, per entrare nella struttura e avvicinarsi alla statua per analizzarla con calma. “Che animale è mai questo?” pensò la giovane inginocchiandosi per controllare la scultura. Non aveva mai visto nulla del genere, adesso ne era certa. La bestia scolpita assomigliava a un cane, ma possedeva denti aguzzi e un grosso corno sopra la testa. Tutto il corpo sembrava ricoperto di squame, o forse da un’armatura, e dai suoi piedi sembrava nascessero delle fiamme. Sotto la statua era incisa una scritta, ma era talmente sciupata da renderla quasi illeggibile. Sakura si avvicinò ulteriormente per cercare di capire cosa ci fosse scritto. «Immagino che tu non abbia mai visto un Luduan», gracchiò una voce alle sue spalle. La donna prese un enorme spavento ed ebbe un sussulto che le fece sbattere la testa proprio contro la scultura che osservava. Quando si voltò vide un uomo molto anziano, sorretto da un bastone, che avanzava lentamente verso di lei. «Mi dispiace averti spaventato, spero non ti sia fatta male.» Sakura, sorpresa dalla presenza del vecchio, lo osservò attentamente, tuttavia non percepì un pericolo anzi, si sentì tranquillizzata dalla presenza di un’altra persona. «Non ti preoccupare straniero, ho solo preso un bello spavento. Pensavo di essere sola in questo posto così misterioso. Non avevo mai visto una statua come questa in vita mia. Cos’è un Luduan?»


14 «È un animale leggendario, sai? Viene chiamato “il custode della verità” per il suo potere divino di conoscere e scoprire ciò che è vero e ciò che è falso.» «È un grande dono», rispose Sakura, affascinata dalle parole del vecchio. «Per un essere divino è un dono, è vero, ma per noi uomini sarebbe un grande peso da sopportare.» La giovane ora non capiva le parole del vecchio, che la guardava con un sorriso misterioso ma confortante. «Perché non potrebbe essere un dono anche per un essere umano, un mortale?» chiese curiosa Sakura. «La conoscenza della verità distingue gli dèi da noi. Loro hanno la verità mentre noi la cerchiamo. È questo cercare che ci rende uomini e non dèi. Tutti gli uomini e tutte le donne, ognuno di noi combatte per le proprie verità. Non importa quali siano, se giuste o sbagliate, se vere o false. Ogni verità deve essere valida solo per chi la segue. Se davvero noi uomini avessimo una capacità del genere smetteremmo di essere umani, poiché essa ci toglierebbe i nostri dubbi. Senza dubbio non possiamo sapere chi siamo e per cosa lottiamo, una abilità del genere ci lascerebbe senza una lotta da affrontare. E senza una battaglia cosa siamo noi, cos’altro ci rimane? Non possiamo essere dèi, possiamo solo vivere da uomini.» Sakura era rimasta molto colpita dal discorso del vecchio. Sebbene non avesse capito bene il senso di quelle parole che aveva pronunciato, si sentì grata per quella conversazione con lo sconosciuto. «Come ti chiami ragazza?» «Sakura. Qual è il vostro nome?» «Il nome di un povero vecchio non ha molta importanza, mia cara giovane. Vedo che il tuo cuore è puro, quindi ti aiuterò quando ne avrai bisogno.» «In realtà ho bisogno di aiuto adesso, mi sono persa camminando per Shouchun. Io provengo dalla campagna e nel mio piccolo paese non ci sono così tante case e così tante strade. Potete aiutarmi a tornare a casa?» «Mia cara ragazza, ti aiuterò a trovare la tua strada più di quanto tu possa immaginare.»


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CAPITOLO 4

La giornata lavorativa non era ancora iniziata, ma la dottoressa Isabel Bergman era già al lavoro sulle sue ricerche, senza curarsi del fatto che tutti i suoi colleghi fossero a casa a riposare. Amava il suo lavoro e non era mai un peso arrivare in anticipo di qualche ora, anzi spesso preferiva la quiete della mattina per portare avanti le sue ricerche. Dopo anni di studi ed esercitazioni era diventata in grado di usare le sofisticate e costose apparecchiature messe a sua disposizione nel Kennedy Research Center dalla New Health Pharmaceutics. Lavorare in un laboratorio del genere rappresentava un traguardo molto ambito e un grande motivo di soddisfazione, potendo contare su risorse economiche e tecnologiche che permettevano a tutti i dipendenti di raggiungere i massimi risultati in ambito di ricerca e sviluppo. Nonostante i due anni trascorsi in quei laboratori, Isabel ancora si meravigliava delle incredibili possibilità che le venivano offerte svolgendo quell’attività. Approfittando della tranquillità delle ore mattutine, la scienziata poteva concentrarsi sul suo lavoro senza essere disturbata. “Ci vorrà un’eternità per analizzare tutti i dati salvati”, pensò mentre si scostava dalla scrivania per stirarsi. «Perlomeno posso godermi un po’ di pace. Saranno ancora tutti a casa a dormire o a fare colazione. Mi sarei potuta fermare a mangiare qualcosa prima di venire qui, invece di correre come sempre.» La donna pronunciò le parole con un tono comprensibile anziché limitarsi a pensarle nella sua mente, tuttavia il laboratorio era vuoto e nessuno ebbe modo di sentire la lamentela. Pensare a voce alta era sempre stata una sua caratteristica e a volte le aveva creato non poco imbarazzo, soprattutto quando le accadeva in luoghi pubblici o in posti dove era necessario mantenere il silenzio. “Meno male che almeno il thermos è pieno”, pensò mentre beveva un sorso di caffè, fedele compagno durante le ore di lavoro. Appoggiata la tazza in un angolo della scrivania, Isabel riprese il lavoro, controllando e ricercando qualsiasi tipo di informazione, presente sul proprio computer,


16 che potesse esserle utile. Improvvisamente bussarono alla porta e, immersa nei suoi pensieri, rischiò di rovesciare il caffè per la sorpresa. Solitamente nessuno veniva a disturbarla a quell’ora, tanto meno bussava con tale forza e insistenza. «Avanti, la porta è aperta.» L’entrata alle spalle della dottoressa si aprì ed entrò un uomo di mezza età, vestito con una divisa di sicurezza. Sulla parte destra della cintura, in bella mostra, si trovava una fondina. «Dottoressa Bergman, le chiedo scusa per l’interruzione. Il dottor Hammond mi ha chiesto se lei poteva raggiungerlo nel suo ufficio, il prima possibile. Mi ha detto che era urgente.» «Hammond? Eugene Hammond ? E vuole parlare con me?» rispose sorpresa Isabel. «In persona, dottoressa. Non faccia aspettare il direttore.» «Ti ringrazio Tim e non ti preoccupare, ci vado subito. E smetti di darmi del lei.» «D’accordo, buon lavoro dottoressa.» Subito dopo si chiuse la porta. Tim Watchowsky era uno degli agenti di sicurezza dei laboratori, estremamente rispettoso del lavoro svolto dagli scienziati, tanto da continuare a dare del lei alla dottoressa Bergman nonostante si vedessero quotidianamente da due anni. Isabel al contrario era meno formale e sperava di convincere l’agente di sicurezza a fare altrettanto. La notizia portata dall’uomo la lasciò stupefatta. «Hammond mi vuole vedere? Per quale assurdo motivo il direttore delle ricerche e delle operazioni farmaceutiche a livello mondiale, l’uomo che controlla interamente la sezione ricerca e sviluppo della società, mi vuole vedere? In due anni che lavoro non ha mai messo piede qua dentro.» Isabel si stava alzando dalla scrivania per raggiungere l’ufficio di Hammond, sorpresa dalla richiesta fatta da uno degli uomini più potenti e importanti della multinazionale. La situazione non aveva precedenti e questo la spaventava e la metteva in ansia. Cosa ci faceva il direttore a New York a quell’ora? Cosa poteva volere da una ricercatrice come lei? Isabel era confusa dalla situazione. L’urgenza e la novità dell’incontro rappresentavano una situazione del tutto inconsueta. Il direttore della New Health Pharmaceutics, nonostante i suoi impegni, amava controllare da distanza i lavori del centro ricerche, uno dei punti di forza dell’intera compagnia, tuttavia in rare occasioni aveva fatto visita al


17 Kennedy Research Center. Facendo parte del consiglio di amministrazione della multinazionale farmaceutica si relazionava con gli altri componenti del direttivo e, per la gestione del KRC, con il dottor Statham, il quale ricopriva l’incarico di direttore esecutivo del centro ricerca. La dottoressa Bergman non si era mai preoccupata della gestione e dei ruoli dirigenziali della NHP, a lei piaceva occuparsi della parte scientifica senza doversi occupare delle pratiche burocratiche, che riteneva noiose e inutili. Dopo essersi schiarita le idee si incamminò verso l’ufficio del direttore, lasciando il laboratorio vuoto. Nel giro di pochi minuti Eugene Hammond sentì bussare alla sua porta. «Entra pure Isabel. Accomodati e mettiti a tuo agio.» Isabel salutò il direttore e si sedette su una delle due poltrone a disposizione per gli ospiti. Lo studio era spazioso, di forma rettangolare, con un’ampia vetrata che metteva in evidenza uno stupendo panorama della città. L’arredamento era minimale e moderno, con un pendolo di Newton che occupava trionfalmente la scrivania, la quale era inverosimilmente sgombra da fogli. Ai lati si trovavano alcuni schedari e librerie a scaffali, mentre su un mobiletto a lato della finestra capeggiava un radiometro di Crookes. «Capisco e apprezzo le questioni di etichetta, ma vorrei che le lasciassi da parte almeno oggi, Isabel. Diamoci del tu e parliamo tranquillamente come se fossimo vecchi compagni di scuola, ti va?» «D’accordo signor Hammond.» «Suvvia chiamami pure per nome, così mi fai sentire vecchio. Signor Hammond. Sembro un vecchio borioso con la bombetta in capo. Chiamami Eugene», disse Hammond con tono scherzoso. Isabel sorrise e si sentì più a suo agio. Per essere una delle persone più importanti di una multinazionale le era piuttosto simpatico. Intuì che aveva ottenuto la sua posizione anche grazie al suo carisma. «Tim mi ha detto che vuoi parlarmi, Eugene.» «Sei sorpresa vero, mia cara?» Isabel annuì, poi continuò: « Non ho mai avuto modo di conoscerti o di parlarti, immagino ci sia un buon motivo per la tua presenza qui.» «Isabel Bergman, anche se tu non mi conosci, io so chi sei. Una delle nostri menti più brillanti, una giovane scienziata con un brillante futuro. Prima di parlare delle cose importanti però voglio condividere qualcosa con te.»


18 Hammond si spostò verso un mobiletto alla sua sinistra e prese due bicchieri e una bottiglia dal colore ambrato. «Voglio fare un brindisi a te mia cara e lo voglio fare con qualcosa di buono. Questo è il mio Glenlivet Cellar del ‘64, e speravo proprio di berne un goccio con te. È un’edizione limitata, sai, qualcosa di unico.» Eugene guardava Isabel con un sorriso affabile, uno di quelli che ti mette subito a tuo agio. «Con tutto il rispetto Eugene, sono appena le sette di mattina…» «Capisco perfettamente, non è l’ora più adatta, ma sono sicuro che quando avremo finito di parlare avrai voglia di bere qualcosa di forte, fidati di me.» Isabel restò interdetta per un attimo e si sforzò di accettare l’offerta, anche se l’idea di ingurgitare whisky dopo nemmeno un’ora dalla colazione la disgustava. «Con una bottiglia del genere sarebbe un crimine non accettare, però non esagerare, giusto due dita», rispose Isabel, che si sentiva in obbligo di assecondare il direttore. «È bello concedersi ogni tanto questi piaceri, non trovi? Sono le piccole gioie quotidiane che ci fanno godere la vita», commentò Hammond versando il liquore. Isabel non poteva essere più d’accordo anche se il whisky non rientrava certamente in quella lista secondo lei; cercando di non pensarci brindò alzando leggermente il bicchiere, esclamando: «Alla salute.» «Alla tua, mia cara.» Entrambi bevvero un sorso del liquido ambrato, cercando di assaporare il gusto prima che la sensazione di calore in gola giungesse a sublimare il sapore del whisky. «A cosa devo l’onore di essere qui direttore?» Eugene posò il bicchiere e la guardò dritta negli occhi, cercando di intercettare i suoi pensieri e le sue emozioni. «Mia cara, come ben sai il centro ricerche è la punta di diamante di questa azienda. Ogni anno vengono investiti molti soldi per garantire la massima funzionalità dell’istituto, da sempre all’avanguardia della ricerca scientifica.» Isabel ammirava la capacità di quell’uomo di conquistarsi facilmente la simpatia di chi lo circondava, un dono che avrebbe fatto di lui un ottimo politico.


19 «Tu rappresenti uno dei nostri più brillanti scienziati, pur essendo così giovane, e conosci meglio di me quanto sia importante il lavoro svolto qua per tutta l’azienda», continuò Hammond, mentre la donna di fronte a lui aspettava paziente che arrivasse al punto del discorso. «Poche ore fa è successo un fatto molto grave, una tragedia per tutti noi: il tuo illustre collega, il dottor Steve McNeil, è precipitato dal tredicesimo piano dell’Interfield Building.» La dottoressa Bergman si sentì gelare il sangue alla notizia. «Oh mio dio… com’è possibile?» Hammond vedeva lo sguardo perso nel vuoto della donna, ma non poteva permettersi troppi sentimentalismi. «Siamo tutti estremamente addolorati dalla notizia. È una grave perdita per tutti noi. Non parlo solo per l’azienda, ma anche e soprattutto a livello umano.» Hammond fece una pausa, poi riprese a parlare: «Tuttavia la cosa che più mi preoccupa è la causa dell’incidente.» Isabel lo guardava confusa. «McNeil è precipitato da un grattacielo. Mi spiace metterla in questi toni, ma non è una morte comune. Potrebbe essere un suicidio, anche se non conosciamo nessuna ragione per cui avrebbe dovuto compiere un gesto del genere. Per questo motivo pensiamo che potrebbe essere un omicidio.» Isabel aveva gli occhi spalancati e non credeva a quello che stava sentendo. Hammond si era avvicinato e le aveva messo una mano sulla spalla per infonderle forza. «Grazie ai nostri agganci con il governo, siamo riusciti a patteggiare qualche ora prima che la notizia diventi pubblica, così da poter fare luce su cosa sia successo. Ovviamente investigheremo sul caso, ma abbiamo anche bisogno del tuo aiuto.» «Ma io non so niente di indagini e omicidi. A cosa posso servire?» rispose stupefatta Isabel. «C’è dell’altro. Non abbiamo ancora informazioni sicure a riguardo, ma in concomitanza con la sua morte si è verificata una mancanza dai nostri database. Mi spiego meglio. Sono spariti tutti i file relativi agli ultimi due mesi di lavoro di McNeil. Potrebbe esserci un nesso tra le due circostanze e per il momento non possiamo escludere nessuna pista.» Isabel trasalì, palesemente preoccupata. La sua mente vagava smarrita tra mille pensieri diversi, scatenando un turbinio di emozioni


20 contrastanti e confuse. Ancora non riusciva a credere che il suo collega fosse morto in queste strane circostanze, soprattutto non riusciva a pensare che un uomo brillante come Steve avesse potuto suicidarsi, o peggio essere stato ucciso. «Capisco che sei scossa da tutto questo, è veramente orribile», disse Eugene allungandosi per prenderle la mano, cercando di infonderle un po’ di tranquillità e coraggio. «Adesso però abbiamo bisogno di te qui, per fare luce sulla questione e risolverla il prima possibile». Mentre diceva queste parole riempì nuovamente i bicchieri, confidando nell’aiuto del liquore d’annata. Isabel si affrettò a berlo, rischiando quasi di strozzarsi per la fretta e per il calore intenso, che attraversava la gola per arrivare fino allo stomaco. «Grazie, ne avevo bisogno.» «Voglio solo che tu stia bene, mia cara. Ora, per tornare alla nostra questione, è necessario che tu rimanga a nostra disposizione per le indagini. Ho anche un compito specifico da assegnarti: devi cercare di recuperare tutti i dati sul lavoro di Steve. Capisco che sia difficile per te, ma dobbiamo sapere dove sono finiti quei dati, se è possibile recuperarli o se è solo un problema tecnico. Tu hai lavorato con lui negli ultimi mesi, quindi sei la persona più adatta per questo incarico. L’azienda conta su di te.» «Sì, certo.» La dottoressa cercava di recuperare la calma e il whisky la stava aiutando. «Tuttavia saprai che il dottor McNeil lavorava quasi esclusivamente da solo e perfino io, nonostante abbia collaborato in parte alle sue ricerche, conosco in minima parte i dettagli dei suoi progetti e dei suoi risultati.» «È vero, è sempre stato un vecchio testardo. Preferiva lavorare in solitudine e non rendere conto a nessuno», ammise Hammond, che poi continuò: «A ogni modo cerca di recuperare tutto quello che puoi sulle sue ricerche.» Isabel annuì con la testa. «Nel frattempo cercheremo di rintracciare le informazioni mancanti, sperando di recuperarle. Tim è qua fuori che ti aspetta, pronto ad accompagnarti al laboratorio principale.» «Cercherò di fare il possibile.» Il dottor Hammond ringraziò Isabel mentre la accompagnava alla porta, lasciandola in compagnia dell’agente di sicurezza, infine tornò alla sua postazione. Si versò un ulteriore bicchiere di whisky, sorseggiando il


21 liquore maltato e gustando l’aroma amaro e intenso. Spostò il suo sguardo verso la finestra, contemplando la luce della mattina e perdendosi nei suoi pensieri. «Dobbiamo chiarire tutto il più velocemente possibile. Se quelle informazioni finissero nelle mani sbagliate si scatenerebbe il caos. La posta in gioco è troppo alta per permettersi errori.» Una vibrazione avvertì Hammond che stava ricevendo una chiamata sul cellulare. Fece finta di niente e si gustò l’ultimo sorso del suo drink. Sapeva che quella telefonata era pericolosa e poteva significare solo una cosa. Un motivo in più per rimettersi a lavorare.


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CAPITOLO 5

Mancava meno di un’ora all’orario di chiusura, ma il McLaren’s era ancora affollato. Decine e decine di persone, provenienti da ogni parte del mondo, si riunivano in quel pub, pronti a divertirsi, a festeggiare e a bere, cercando di dimenticare per qualche ora i propri problemi quotidiani. Appena aprirono la porta, i due uomini sentirono entrare nei polmoni l’odore stantio di birra del locale, reso ancora più pungente dal sudore dei clienti e dall’aria stagnante. Il locale era dotato solamente di due finestre ed erano sempre chiuse. Non c’era da stupirsi che preservasse intatto l’aroma e l’essenza della birreria. La musica copriva il brusio delle persone, rendendo l’intero ambiente caotico, allegro e spensierato. Dalla parte opposta all’ingresso del locale si trovavano le cucine e i due uomini puntavano esattamente in quella direzione. Procedendo a passi pesanti, oltrepassarono il bancone, dove il barman continuava a servire i clienti, riempendo i bicchieri di alcolici, ignorando l’arrivo dei due nuovi ospiti, come se stessero passando dei fantasmi invisibili. Superata la folla, la coppia arrivò nelle cucine, nel silenzio dei camerieri e dei cuochi, che si preoccupavano di preparare i pasti per gli avventori che avevano fame, sperando di non essere disturbati dai due uomini. Il rumore dei passi pesanti sul pavimento era puntuale e soffocante, tanto da rendere nervoso tutto il personale di cucina, che nel frattempo continuava la sua attività stando alla larga dai due, per evitare qualsiasi problema. Accanto a una cella frigorifera si trovavano delle scale, le quali portavano a uno stretto corridoio malamente illuminato, alla fine del quale si trovava un’ultima porta. I due uomini seguirono il percorso ed entrarono. Nonostante il passaggio precedente fosse stretto, la sala in cui fecero ingresso era piuttosto ampia e all’apparenza confortevole. Era arredata secondo la moda anni Cinquanta, in un clima nostalgico e datato che contrastava con il resto del locale. Sulla destra si trovava un tavolo da biliardo, di quelli vecchio stile, che ospitava una sfida a Shangai pool. La partita era tra due uomini, mentre un terzo osservava curioso e irriverente, prendendosi gioco degli errori dei


23 partecipanti con un ghigno sarcastico. Dall’altro lato della stanza si trovavano tavoli e divanetti che ricordavano le zone lounge degli aeroporti, con a lato un vecchio juke-box che creava un sottofondo musicale caldo e appassionante, facendo vibrare nell’aria della musica jazz. La zona era occupata da altri uomini, accompagnati da giovani donne dagli abiti succinti, che bevevano e ridevano di gusto, rendendo vivo l’intero ambiente. La zona centrale dava spazio a un tavolo da poker occupato da quattro giocatori. Qui, come in tutta la stanza, le bottiglie di alcolici e i mozziconi di sigaretta erano diventati parte integrante dell’arredamento, tanto da appesantire l’aria, satura dell’aroma di alcool e tabacco. I due uomini che erano appena entrati si diressero verso il tavolo da gioco, poi quello più basso dei due si rivolse agli uomini presenti. «DeLasco è su?» Uno dei giocatori si tolse il sigaro di bocca, lo scosse tranquillamente sul tappeto e rispose: «Sì, è su, vi sta aspettando. Muovetevi pezzenti, non si fa aspettare il capo.» Lo sguardo del fumatore di sigaro si era posato sui due in piedi, squadrandoli come le famiglie in gita allo zoo fanno con i serpenti, ma subito dopo riprese a osservare le carte in mano, mentre si levava una nuova nuvola di fumo intorno al tavolo da gioco. I due uomini si incamminarono lungo le scale dietro i giocatori, che conducevano all’ultima stanza del locale, un ufficio buio e insolitamente silenzioso. All’interno Vincent DeLasco, il capofamiglia di una delle più antiche e potenti cosche mafiose di New York, stava smontando e pulendo un fucile AK-47 mentre un giradischi suonava la serenata per archi in do maggiore di Tchaikovsky. I due uomini entrarono nell’ufficio, restando in piedi e in silenzio. DeLasco sembrò non curarsi di loro, continuando a contemplare l’oggetto che aveva in mano, fino a che decise di parlare, apparentemente rivolto più a sé stesso che ai suoi ospiti. «Che bellezza straordinaria, che meravigliosa armonia. Un oggetto speciale e con una grande storia, scritta col sangue. È un regalo del vecchio. Apparteneva a un soldato russo, che militava in Afghanistan, prima che mio padre lo uccidesse e portasse l’arma qua. E adesso voi potete ammirarla.» «È veramente un bel fucile, capo», rispose il più basso dei due.


24 «Ma cosa ne vuoi sapere tu, Frank, di cosa ho tra le mani. Impara da Tyler, da quando gli hanno tagliato la lingua a Chinatown è diventato improvvisamente una persona intelligente!» Frank si voltò verso il compare, che ricambiò lo sguardo, per poi tornare a guardare il boss. «Sì, amici miei, voi non avete il privilegio di poter ammirare la perfetta opera d’arte che ho davanti ai miei occhi e gioire della sua ineguagliabile bellezza.» DeLasco prese fiato un attimo, poi continuò pazientemente, come un maestro che spiega le cose al bambino che impara a leggere. «Per voi questo è un banalissimo fucile, solo uno stracazzo di fucile. Per me è la rappresentazione del nostro istinto più profondo, del nostro desiderio più nascosto: il totale annientamento della paura. Ogni frustrazione e sofferenza del genere umano si è riversata appieno nel male collettivo che ci circonda e ci manipola, tutto questo per partorire una macchina perfetta di morte, in grado di sovrastare queste emozioni e renderci liberi dalle nostre paure.» Frank e Tyler guardavano confusi davanti a loro, non sapendo minimamente come reagire alle sue parole, chiedendosi se dovevano dire qualcosa o no. DeLasco contemplò un’ultima volta l’arma, poi tornò in sé e si rivolse ai suoi uomini: «Ebbene, presumo, per il vostro bene, che sia andato tutto come nei piani, perché avreste molto coraggio a tornare qui, se fosse diversamente. La domanda ora è: DOVE CAZZO È QUEL CAZZO DI SCIENZIATO?» DeLasco aveva appena dato prova del suo soprannome, lo Squalo, trasformandosi in pochi istanti da calmo uomo d’affari, colto e raffinato, a bestia violenta assetata di sangue. «Capo, c’è stato un imprevisto che non avevamo calcolato», rispose Frank, in preda al terrore di fronte allo sguardo folle e assassino dello Squalo. «Quando siamo arrivati da lui… ha aperto una finestra e si è gettato fuori. Ha fatto un volo di tredici piani e si è spiaccicato come un moscerino al parabrezza di un auto. Abbiamo cercato qualsiasi cosa utile per i nostri piani, ma stava per arrivare la polizia e non potevamo rischiare di farci beccare.» DeLasco si calmò e riprese a parlare con calma. «D’accordo, il nostro scienziato ha avuto quello che si meritava. Adesso dobbiamo riprendere le informazioni che vogliamo.» «Cosa facciamo capo?»


25 «È semplice, amico mio. Rispetteremo le tradizioni, useremo le antiche e sicure strategie di mio nonno. Vedete, lui era un uomo semplice, voleva solo coltivare il suo orto in santa pace. Non era un delinquente o un criminale, voleva solo il suo orto, poter essere un normale contadino, cosa c’è di male in questo? Il guaio è che non aveva un orto. Non aveva i soldi per comprarlo e non poteva neppure fare niente per ottenerli. Allora aspettava il periodo della raccolta e rubava negli altri campi, dicendo poi che era roba sua e vendendola ai mercati. Noi seguiremo l’esempio del mio povero nonno.» «Non capisco… andremo a rubare nei campi?» Lo squalo fulminò Frank con uno sguardo, tanto da fargli raggelare il sangue, poi continuò tranquillo. «Non ti preoccupare. Faremo lavorare gli altri per poi prenderne i frutti.»


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CAPITOLO 6

La Cadillac nera spense il motore non appena arrivò davanti all’entrata del Kennedy Research Center. Situato nella periferia nord della Grande Mela, il complesso industriale era circondato da un alto muro che ne delimitava il perimetro, sorvegliato alle due entrate da due torrette con posti di blocco per controllare il traffico in entrata e in uscita. L’intera area era sottoposta alla sorveglianza del complesso sistema di telecamere, che monitoravano efficacemente il centro ricerca. L’autista del veicolo si era dovuto fermare più volte per effettuare tutti i controlli di sicurezza, che garantivano un accesso limitato all’istituto. Ogni dipendente poteva entrare solo in determinate aree dell’edificio, in base al grado e alla funzione svolta. Jack si sorprese nel capire che aveva ottenuto un accesso di livello A1, il grado massimo concesso, che permetteva piena libertà di movimento. “Credo che le sorprese siano appena iniziate”, pensò Jack. “Probabilmente è merito di Alex. Ha fatto carriera, come si meritava. Chissà in che guaio si è cacciato…” Jack, arrivato all’entrata dell’edificio, aprì lo sportello e uscì dall’auto sempre più curioso di scoprire cosa l’aspettava, preparandosi all’incontro con il suo vecchio amico. “A ogni modo, se dirige questo complesso, direi che se la cava piuttosto bene, decisamente meglio di me…” I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di una guardia armata. «Signor Thompson, sono Roy Davies, capo della sicurezza del complesso. Ho il compito di scortarvi all’interno. Il dottor Whitman e il dottor Statham vi stanno aspettando. Mi segua, prego.» La guardia lo accompagnò all’interno, guidandolo per l’imponente edificio. Dopo un lungo percorso, durante il quale aveva incrociato poche persone, perlopiù scienziati e altre guardie, Jack e il suo accompagnatore giunsero nella area dei laboratori, di fronte all’ingresso di una porta. Sulla targa in alto si leggeva: sala riunioni.


27 «La sua destinazione è oltre quella porta. Voglia scusarmi, ma ho molti incarichi da svolgere al momento, ci rivedremo più tardi, dopo il suo colloquio.» Jack annuì con la testa, poi girò la maniglia ed entrò nella stanza, dove si trovavano Richard Statham e Alex Whitman, il quale non riuscì a trattenere un sorriso emozionato alla vista dell’amico. «È bello rivederti dopo tutto questo tempo, Jack.» «Anche per me. Ti trovo bene Alex. Cosa è successo?» «Ti chiedo scusa per averti disturbato e convocato qui così di fretta e con poche spiegazioni, ma abbiamo urgente bisogno del tuo aiuto.» «Non ti giustificare, come vedi sono qui. Sono proprio curioso di sapere perché mi hai chiamato.» «Prima di spiegarti tutto ti devo dire che Francine è qui, in questo edificio.» A queste parole l’intero mondo di Jack rallentò all’inverosimile per pochi attimi, che sembrarono minuti, in una sorta di slow motion, come succede nei film, solo che tutto quello era reale. Francine Whitman era la sorella minore di Alex, una donna bella e affascinante, la quale era stata legata a Jack per quasi due anni, quando lui lavorava per l’FBI. Il caso aveva voluto fare riaffiorare il passato, rimasto sepolto come uno scheletro in un armadio; polvere e sporco sotto un tappeto che adesso veniva alzato e lasciava tutto allo scoperto. «Cosa ci fa lei qui?» chiese Jack all’amico. «Ci arriveremo. Per spiegarti tutto dobbiamo partire dall’inizio.» «Sono tutt’orecchi.» «Poche ore fa Steve McNeil, il più brillante scienziato del complesso e una delle più grandi menti scientifiche dei nostri tempi, è precipitato dall’Interfield Building. Non sappiamo con certezza se si tratta di suicidio o di omicidio, ma si tratta sicuramente di un problema e di un mistero per tutta la New Health Pharmaceutics.» «Capisco che sia una grave perdita per la società, ma la polizia può occuparsi tranquillamente del caso», commentò Jack, che poi aggiunse: «Immagino ci sia dell’altro, non è così?» «Il tuo intuito non si sbaglia. Quasi in contemporanea a questo evento, qua al centro ricerche è sparita dai nostri database una quantità non precisata di informazioni sul lavoro dello scienziato precipitato. Si tratta di analisi e ricerche frutto di mesi di lavoro e di centinaia di migliaia di dollari di investimenti. Ho voluto che fossi tu a occuparti del caso come


28 investigatore privato. Grazie ad alcuni accordi che la società ha preso, possiamo ritardare l’annuncio della morte di McNeil di qualche ora, ma quando succederà potrebbero esserci molte ricadute per l’azienda, a partire dal mercato finanziario. Non sappiamo ancora se i due eventi siano collegati, ma dobbiamo fare luce il prima possibile per capire cosa sta succedendo e come muoverci. Abbiamo delle responsabilità nei confronti degli azionisti, non possiamo far partire uno caso mediatico.» «Capisco il tuo punto di vista e la necessità di salvaguardare la NHP, però c’è un punto che non mi è chiaro. Cosa c’entra Francine in questa storia?» «Beh, vedi, McNeil e lei stanno, no, stavano insieme. Convivevano da più di un anno. È un duro colpo per lei.» Jack fissava Alex mentre parlava, ma la sua mente pensava a Francine, al loro passato, alla loro vita di adesso. «Mi dispiace. Non si merita una cosa del genere», disse Jack. «Nessuno se lo merita. Le ho dato un paio di tranquillanti, ma è meglio se torno da lei adesso. Ci penserà Richard a darti le informazioni di cui necessiti. Ci rivedremo più tardi, ok? Sono contento che sei qui Jack.» «Anche io, vecchio mio.» Alex uscì dalla stanza mentre il dottor Statham iniziava a parlare. «Whitman si fida di lei, così lo farò anche io. Spero che tutte queste rimpatriate non la distraggano dalle indagini.» «Non si preoccupi dottore. Piuttosto mi dia tutti i dettagli sul caso. Voglio sapere tutto quanto.» «Come ha detto Alex, il dottor McNeil è precipitato dal tredicesimo piano dell’Interfield Building poco dopo mezzanotte. Stranamente non ci sono stati testimoni del gesto, nessuno ha sentito l’uomo urlare mentre precipitava. La polizia è arrivata subito dopo, avvertita dai passanti che, però, non hanno notato nulla se non il cadavere in mezzo a Park Avenue. I guardiani dell’edificio giurano di avere visto due tizi aggirarsi verso quell’ora nell’area del grattacielo. Il medico legale che lo ha visitato non ha notato segni di violenza, facendo pensare a un suicidio.» «Quasi sempre chi decide di farla finita lascia qualcosa rivolto alla famiglia, agli amici. Non ha lasciato nessuna traccia, un biglietto, un messaggio?» «Sì, un video d’addio, dopo potrà visionarlo personalmente. Per il momento, però, non si dovrà preoccupare di questo, ci penserà la polizia


29 alle indagini sulla morte. Lei ci deve aiutare in una faccenda ben più grave.» «E cosa avete di più grave della morte di un vostro scienziato?» «Stanotte qualcuno è riuscito a entrare nel nostro database e ha rubato ogni singolo file riguardante gli ultimi tre mesi di lavoro del defunto dottor McNeil.» «Alex aveva detto che erano spariti, non rubati. Come fa a essere sicuro che siano stati rubati e non semplicemente distrutti? Immagino che le misure di sicurezza del centro siano molto alte per fare tutto questo senza essere scoperti. Mi dica, su cosa stava lavorando il dottor McNeil?» «Queste informazioni sono riservate e dati gli ultimi avvenimenti, direi anche pericolose. All’interno dello stesso centro ricerche sono in pochi a conoscere i progetti e gli esperimenti che effettuiamo. Lavoriamo per una delle più grandi e importanti multinazionali del mondo, la quale spende milioni di dollari in ricerca e sviluppo di nuovi farmaci. Abbiamo attrezzature e capacità che le persone comuni neanche si immaginano. Un furto di questo livello potrebbe coinvolgere le più grandi potenze mondiali.» Jack capiva la paura e l’ansia di Statham. Lavorando per l’FBI aveva avuto a che fare con casi importanti per la sicurezza dell’intera nazione. I due uomini si guardarono per qualche interminabile istante, poi Jack continuò la conversazione. «Sono abituato a tenere i segreti, dottor Statham. È il mio lavoro.» «Questa cosa va oltre ogni segreto che lei abbia mai conosciuto quando lavorava all’FBI, stiamo parlando di informazioni che se finissero nelle mani sbagliate potrebbero mettere in pericolo la nostra libertà, il nostro futuro.» Adesso Jack era veramente sorpreso e allarmato. Non si sarebbe mai aspettato che Alex potesse coinvolgerlo in una situazione così delicata e pericolosa, lui che ai tempi del college era la persona più tranquilla e pacata che conosceva. Non solo, Francine era lì in quello stesso edificio, potenzialmente anche lei poteva trovarsi nei guai fino al collo. «Deve sapere che il dottor McNeil era un uomo di straordinario valore e una delle più grandi menti scientifiche mai esistite. Al suo incredibile talento per la chimica si affiancava una prodigiosa passione per la psicologia e le neuroscienze. Quell’uomo ha passato l’intera esistenza


30 cercando di comprendere il grande mistero del funzionamento del cervello umano.» Jack, nonostante la curiosità per il caso, non riusciva a vedere McNeil come un brillante e importante scienziato, apprezzato da tutta la comunità scientifica, ma molto più semplicemente come il compagno della prima donna di cui era stato innamorato. “Cerca di rimanere lucido e pensa al caso”, si disse Jack nella sua mente. Statham continuava il suo discorso, non percependo i pensieri di Jack, almeno all’apparenza. «I suoi studi si spingevano oltre tutto ciò che sembrava possibile per le capacità umane. Negli ultimi anni i suoi progressi nelle neuroscienze erano stati strabilianti: grazie alle sue analisi e alle sue ricerche, era riuscito ad analizzare i meccanismi che regolano le funzioni dei neuroni, suddividendoli in aree specifiche in base alle loro capacità. Non solo, in alcuni casi era riuscito a replicare determinati stimoli neuronali artificialmente. Grazie al suo lavoro, un futuro basato su cervelli artificiali non sembrava più un utopia.» Jack per un attimo ebbe l’impressione di essere all’interno di un qualche romanzo di fantascienza. Era davvero possibile arrivare a tanto? Statham riprese un attimo fiato, sconvolto lui stesso nel raccontare il lavoro dello scienziato. «McNeil era veramente una mente superiore. Negli ultimi mesi, lui era riuscito a creare nuovi stimoli e captare nuovi segnali dal cervello, tramite complicate procedure chimiche che solo lui riusciva a capire. Nessuno di noi era in grado di seguirlo e aiutarlo nei suoi studi.» «Come è possibile che fosse l’unico a comprendere quello che stava facendo?» «La storia è ricca di uomini geniali che con le loro idee portavano avanti da soli il progresso dell’umanità. Basta pensare a Leonardo, Galileo, Tesla, Pitagora, Einstein solo per citarne alcuni. Sono dei precursori, persone capace di portare il futuro alla gente dei loro tempi.» Jack, nonostante la gelosia, riconosceva una certa ammirazione verso quell’uomo, considerato alla stregua dei più grandi uomini della storia umana. Statham continuò il suo discorso. «Deve sapere che durante il mio ultimo colloquio con lui, circa una settimana fa, mi aveva parlato di una scoperta incredibile, che avrebbe cambiato per sempre l’umanità. Non è stato molto dettagliato nello


31 spiegarmi come ci era riuscito, ma mi aveva detto di essere riuscito a sintetizzare i processi elettrochimici che bloccano i neuroni legati all’elaborazione delle informazioni acquisite nel cervello. Con questo processo diventa possibile inibire quella parte di materia grigia che si attiva ogni volta che formiamo informazioni diverse da quelle che conosciamo, lasciando al cervello la sola possibilità di esprimersi attraverso dati già acquisiti e consolidati, che diamo per validi e veritieri.» «Mi stai dicendo che il defunto Steve McNeil aveva inventato un sistema che funziona sul cervello per impedire di dire bugie, una macchina della verità?» «No, non una macchina della verità, quella è roba da film di spionaggio. Steve era riuscito a fare tutto questo sintetizzando l’intero processo in una pillola. Chi assume quella pillola non può fare altro che dire la verità, il suo cervello viene modificato per impedire la creazione di qualsiasi tipo di bugia.»


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CAPITOLO 7

I primi raggi di luce cominciavano a illuminare i tetti e le case della grande città, prossima a risvegliarsi dal suo sonno ristoratore. L’alba scandiva l’inizio della giornata e la ripresa dei lavori quotidiani per tutti gli abitanti, ma qualcuno era già sveglio al sorgere del sole. Dopo lo strano incontro della sera precedente, Sakura non era riuscita a dormire molto e si trovava distesa su un letto, in una stanza di una modesta locanda. Allungò il braccio destro verso Changming, che ancora dormiva sogni beati. Lei era lì, immobile, che lo guardava in silenzio riposarsi tranquillo, godendosi la pace e la felicità di quegli attimi, respirando il suo odore, sentendo il suo calore sulla pelle. Mentre contemplava il suo uomo e si godeva la pace del momento, pensava a loro due e ai loro progetti futuri. Nel giro di poche ore sarebbero diventati marito e moglie, uniti per sempre nel bene e nel male, il perfetto coronamento del loro amore. Sakura e Changming si conoscevano fin da bambini e avevano vissuto insieme nello stesso villaggio tutta l’infanzia, fino a diventare giovani e scoprirsi innamorati l’una dell’altro. Di fronte a un amore così forte avevano deciso di sposarsi, dovendo seguire le antiche tradizioni del villaggio e delle loro famiglie. Per potersi sposare sarebbero dovuti andare al tempio delle dea dell’amore Gan Mu, a chiedere la benedizione degli dèi e della grande sacerdotessa, che avrebbe benedetto i futuri sposi e interceduto con la dea per la loro felicità coniugale. Ottenuta l’approvazione degli dèi, avrebbero potuto finalmente diventare marito e moglie. I due giovani innamorati si trovavano così a Shouchun, pronti a recarsi al tempio. Quel giorno, a lungo sognato da entrambi, era finalmente arrivato. Sakura era emozionata come non era stata mai, tanto da alzarsi con un largo anticipo, eccitata e vogliosa di vivere subito quella giornata così importante. La coppia si organizzò per recarsi al tempio in mattinata, dopo avere fatto colazione, per avere tempo di pregare secondo le usanze del loro villaggio. Il tempio di Gan Mu si trovava sulla collina al centro della città, in una posizione strategica che dominava l’intera valle


33 circostante, regalando una magnifica visuale dell’intera regione. Costruito dai fondatori della città in tempi remoti, era uno degli edifici più antichi di Shouchun, dove il culto di Gan Mu veniva praticato da ogni abitante da tempo immemore nonostante la presenza di altre divinità molto amate. Sakura e Changming si incamminarono verso il tempio dopo un pasto frugale, secondo il loro programma. Durante il tragitto verso il centro della metropoli rimasero in silenzio tutto il tempo, mano nella mano; le parole in quel momento erano superflue, i loro occhi erano capaci di comunicare senza sporcare l’immaginazione con parole; le loro emozioni e i loro pensieri fluivano in piena naturalezza. Entrambi sapevano che i loro cuori erano una cosa sola e quel giorno rappresentava il trionfo del loro amore. Giunti in cima alla collina videro, infine, l’imponente facciata del tempio, maestosa e impressionante quanto antica. Molte persone, al pari loro, erano in visita al tempio, recando offerte e doni, pregando e contemplando la grande e potente dea che proteggeva la città. L’interno del santuario era tappezzato di candelabri, bracieri e statue di tutte le dimensioni, molto diverse tra loro. Una in particolare sovrastava le altre, trovandosi al centro esatto del tempio. Lì, infatti, si ergeva la statua della dea dell’amore Gan Mu, creata per onorarla dopo la grande alluvione che devastò la città tre secoli prima. La popolazione trovò rifugio sulla collina del tempio, che seppe resistere all’enorme quantità di acqua proveniente dal cielo, risparmiando la vita a molte persone, diventando il centro delle operazioni di soccorso e rendendo possibile la sopravvivenza della città. Dopo quella tragedia fu scolpita la statua, simbolo della potenza e dell’amore divino che aveva preservato l’esistenza di Shouchun. Sakura e Chingming conoscevano la storia della statua e nelle loro preghiere si concentrarono proprio su di essa, simbolo del tempio e grande testimonianza della potenza e benevolenza divina. Inginocchiati lì davanti, i due innamorati sentivano l’emozione aumentare, contagiati dal clima mistico e divino che si respirava all’interno del tempio, mentre l’odore di incenso riempiva l’aria. Dopo aver pregato più di cento volte, giunse il momento di richiedere l’incontro con la sacerdotessa. Changming parlò con alcune persone che si trovavano lì vicino a lui fino a trovare qualcuno che potesse aiutarlo. Uno dei custodi si offrì di aiutare la coppia, intercedendo presso la grande sacerdotessa, in cambio di varie offerte a favore del tempio, sia materiali che spirituali. Giunse così il grande momento. La grande sacerdotessa del tempio di Gan Mu era pronta a ricevere Sakura e


34 Changming per garantire loro un matrimonio felice, o cosĂŹ almeno pensava la giovane coppia. Il loro futuro era ancora tutto da scrivere e il dolore e i problemi del mondo ben presto sarebbero piombati addosso a loro.


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CAPITOLO 8

Isabel era appena rientrata nel laboratorio, ancora sconvolta per la morte di Steve. Una delle più brillanti menti scientifiche di sempre era scomparsa, dopo una serie di scoperte incredibili, frutto di un lavoro che valeva tutta una vita. Non sapeva che pensare, era triste, abbattuta dalla notizia. Il tempo, però, stringeva e doveva mettersi al lavoro per cercare di recuperare più informazioni possibili dai computer e da tutti gli strumenti che aveva a disposizione. Decise di partire dalla cosa più ovvia, ricercare tutto negli hard disk dei PC. Le sue ricerche tuttavia non sortirono risultati utili; come preannunciato da Hammond, le ultime informazioni sugli studi di McNeil si fermavano a diversi mesi prima, restando molto lontane non solo temporalmente, ma anche scientificamente, da tutto ciò che di veramente importante aveva fatto il suo brillante collega. Isabel, dopo i primi controlli, sentì il bisogno di fermarsi un attimo per pensare. In poche ore la sua giornata era stata sconvolta da una serie di eventi imprevedibili e allarmanti. Se fosse stato un qualsiasi altro giorno di lavoro, a quell’ora se ne starebbe tranquilla e rilassata alla sua postazione. Ma quello non era un giorno come gli altri. Aveva bisogno di processare il tutto e analizzare quanto era successo perché sentiva che qualcosa non le tornava. Era tutto troppo strano. Doveva ricapitolare la situazione. Steve McNeil era precipitato da un palazzo e le sue ricerche erano sparite dagli archivi del centro ricerca. La misteriosa scomparsa dei dati era avvenuta poco dopo la morte dello scienziato, il quale era l’unico, per quanto ne sapeva lei, ad avere libero accesso a quei dati. Chi poteva essere riuscito a infiltrarsi e fare sparire tutte quelle informazioni senza lasciare traccia? Isabel continuava a cercare una soluzione a tutte quelle domande, controllando tutti i dati a sua disposizione, esaminando qualsiasi indizio nell’enorme mole di informazioni. Analizzando le ricerche e i dati presenti nel database si accorse di un fatto piuttosto strano. Decise così di prendere il telefono e chiamare Hammond, ricordandosi come il direttore stesso avesse


36 insistito nell’essere informato personalmente di qualsiasi sviluppo o indizio. «Eugene, ho bisogno di un aiuto tecnico, un esperto di informatica, qualcuno che possa sapere come accedere ai dati e modificarli da questi terminali.» «Naturalmente mia cara, ti mando subito qualcuno dei nostri tecnici. Scoperto qualcosa?» «In realtà no, ma ho la sensazione che non abbiamo a che fare con un ladro casuale. Le informazioni mancanti non sono state rubate in blocco. Sembra che l’autore del furto abbia scelto accuratamente quali informazioni cancellare o nascondere.» «Quindi mi stai dicendo che probabilmente il ladro non è un semplice mago informatico, ma un esperto in chimica?» Isabel esitò, preoccupata. «Sì, intendevo quello.» «Hai fatto bene a informarmi, continua così. Aggiornami subito se ci sono altre novità.» «Certamente direttore.» Hammond agganciò il telefono. Non era affatto sorpreso dalla notizia ricevuta. «Una notizia molto interessante. Questo conferma tutti i miei sospetti.»


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CAPITOLO 9

Jack era ancora visibilmente sorpreso dagli eventi di quella sera. Ritrovare dopo anni Alex, vecchio compagno e amico inseparabile ai tempi del college, indagare sulla morte misteriosa di una delle più brillanti menti scientifiche dopo una delle più grandi invenzioni di sempre, infine incontrare nuovamente la sua vecchia fiamma, Francine. Era questione di pochi momenti prima che si vedessero nuovamente, a distanza di tanto tempo. Quando lei aprì la porta era visibilmente scossa, le lacrime versate avevano sciupato il trucco che adesso macchiava il suo volto. Alex la prese sottobraccio e la invitò a sedersi, continuando a tenerla stretta, per poi chiederle se aveva bisogno di qualcosa. Jack si fece coraggio e cercò di trovare le parole più adatte alla situazione che stava vivendo, sapendo già che non ci sarebbe riuscito. Cosa può fare un uomo per consolare un suo simile di fronte alla perdita di una persona cara? Qualsiasi parola, per quanto gentile e delicata, di fronte alla morte diventa solo un bisbiglio inudibile e vano. Nulla poteva cambiare la realtà dei fatti, si trattava di un cambiamento irreversibile e come tale andava solo accettato, nonostante il dolore, nonostante le abitudini, nonostante la vita passata e i progetti futuri. Jack decise di avvicinarsi a lei, cercando semplicemente di farle capire che le era vicino in quel momento così difficile. Appena si rese conto della sua presenza, Francine lo bloccò, abbracciandolo spontaneamente e lasciandolo completamente sorpreso, chiedendogli di rimanere in silenzio accanto a lei. Infine, quando ebbe ritrovato un po’ di calma, iniziarono a parlare. «Mi dispiace rivederti in questa situazione», disse Francine singhiozzando. «Dispiace molto anche a me», rispose Jack. Alex, a disagio nel vedere sua sorella in quelle condizioni, cercò di rasserenarla e di portare alla normalità il suo stato d’animo. «Fran, fatti coraggio. Sei una donna molto forte.» Jack si sentì un estraneo nel gruppo dei presenti, anche se era molto vicino a Francine e ad Alex. Erano anni che non vedeva entrambi e


38 trovarsi di fronte al loro dolore, senza sapere nulla delle loro vite, lo rese malinconico e nervoso. Cercò di concentrarsi sul caso, sapendo che poteva essere d’aiuto a tutti loro. Si rivolse così a Francine, che dopo la crisi e lo shock iniziale sembrava adesso recuperare la calma. «Alex ti ha detto perché sono qui?» «Sì, mi ha detto che indagherai sul caso.» Gli occhi verdi di Francine erano coperti dal rossore del pianto, nascondendo la loro vera bellezza. Un colpo di fortuna per Jack. «Se te la senti potresti aiutarci a capire quello che è successo, il perché di ciò che è avvenuto. Non vuoi saperlo anche tu?» «Certo che voglio. Cercherò di fare quanto posso per aiutarti a scoprire tutto.» «Sapevo che l’avresti detto. Non ti arrendi mai», rispose Jack sorridendole. Lei prese dalla borsa una salvietta struccante e cercò di pulirsi il volto, passandola sulle macchie di mascara sbavato. Appena finì, disse di essere pronta a parlare con tutti. Alex fece accomodare tutti nella sala riunioni per discutere di quanto era successo quella notte. Hammond volle iniziare l’incontro specificando l’importanza di chiarire ogni aspetto della situazione, in particolare la misteriosa scomparsa di informazioni dal loro database. Statham intervenne poi per ribadire la priorità di far luce sulla scomparsa di Steve, stando attento a non urtare la sensibilità di Francine, facendole capire che tutti le erano vicini e quanto fossero sconvolti riguardo alla tragedia avvenuta. Il gruppo non fece in tempo a riassumere quanto fosse successo in quelle ore che vennero interrotti da un addetto alla sicurezza, il quale si precipitò nella stanza in tutta fretta. «Chiedo scusa signori, devo informarvi che l’FBI sta arrivando qui.» Il presidente non poté fare a meno di lasciarsi scappare un imprecazione, chiaramente contrariato dalla presenza di federali. Jack invece non era sorpreso: c’era da aspettarselo. Se le informazioni in suo possesso erano corrette, un caso come quello avrebbe richiamato l’attenzione del governo e delle sue agenzie di sicurezza, senza contare che l’intera struttura del centro ricerca poteva essere controllata direttamente o indirettamente da qualche membro delle agenzie governative. Anche Alex non era rimasto particolarmente sorpreso; molte delle ricerche erano finanziate con fondi governativi e numerosi risultati ottenuti erano stati venduti o sviluppati proprio per il governo centrale degli Stati


39 Uniti. Pochi istanti dopo l’uscita di scena della guardia entrarono nella sala due agenti dell’FBI, un uomo e una donna, vestiti con due completi classici quanto eleganti. Fu lui il primo a parlare. «Mi dispiace interrompere questa simpatica riunione, ma da ora in avanti siete sotto la nostra tutela e dovrete darci tutte le informazioni sulla prematura dipartita del dottor McNeil e sulla fuga di informazioni dai vostri terminali.» «Le buone maniere e la simpatia non sono mai state il tuo forte, vero Rick?» «Jack Thompson, è un piacere rivederti dopo tutti questi anni. Pensavo fossi scappato in Tibet, si dice che sia veramente un bel posto per ritrovare i propri equilibri, anche se forse non ne hai bisogno, considerato che sei di nuovo in azione. Spero che questi anni di riflessione siano stati molto piacevoli e istruttivi.» Alex guardava alternativamente Francine e Jack, entrambi in bilico, ripensando alle loro vicende passate, ai fantasmi che li perseguitavano, agli errori e alle ingiustizie che risalivano a un’epoca che sembrava troppo lontana per essere presente veramente, ma troppo vicina per non avere ancora il potere di influire sulle loro vite.


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CAPITOLO 10

Jack era appoggiato al cofano della sua Dodge Viper GTS, sotto la luce della luna e delle stelle, in una piacevole sera estiva. Perfettamente curato nell’aspetto, stava fumando una Chesterfield rossa, pregustandosi la serata che da lì a poco sarebbe iniziata. Era emozionato, ma deciso a mantenere il sangue freddo, sapeva già a cosa sarebbe andato incontro. Una notte unica lo stava aspettando, una notte con Francine Whitman, una delle più affascinanti creature sulla terra. Sapeva che era questione di pochi attimi prima che uscisse e venisse da lui, in trepida attesa sotto la casa dei suoi genitori. Quando finalmente aprì la porta e si incamminò verso di lui, Jack era elettrizzato. Davanti ai suoi occhi la bellezza di Francine non aveva eguali: il suo sguardo intenso e profondo, il suo sorriso, fulgido e adorabile, il suo corpo, sogno proibito di qualsiasi uomo. Tutti questi elementi insieme rappresentavano il mix perfetto, la gioia del suo cuore. Si salutarono con un semplice bacio a stampo sulla bocca. «Sei pronta?» chiese Jack. «Sì, andiamo», rispose Francine. La coppia salì sulla Viper, in direzione sud, seguendo la New York State Route 27 (NY 27), la strada statale che si estende da Brooklyn a Long Island, verso il mare. Quella sera avrebbero percorso entrambe le sue due componenti più importanti, la Sunrise Highway e la Montauk Highway. Mentre viaggiavano, Jack sentiva il profumo di lei espandersi e riempire l’abitacolo, rendendolo ancora più felice. Il viaggio durò circa due ore e mezzo, solitamente noiose per lui, abituato a fare quel tragitto tutte le volte che voleva salutare i propri genitori che, durante le vacanze, andavano in villeggiatura a East Hampton. Era lì, infatti, che erano diretti, verso la casa dei suoi genitori, a due passi dalla spiaggia e dal mare, nella quale avrebbero passato insieme la notte. Non c’era fretta tuttavia, era presto, prima di arrivare a casa avrebbero potuto fermarsi a bere qualcosa e a godersi la notte. Decisero di fare tappa in un pub vicino alla spiaggia di Georgica, un locale famoso nella zona per


41 ospitare uno splendido giardino alberato situato in cima a un promontorio che si affaccia sul mare, regalando una vista straordinaria. Lasciarono l’automobile nel parcheggio, continuando a parlare con la naturalezza e la semplicità che solo gli innamorati hanno ed entrarono nel locale, sedendosi in un tavolo all’aperto, godendosi la brezza marina e il panorama eccezionale. «Spero che ti piaccia qui», disse Jack, accendendosi una sigaretta. «È tutto molto bello», rispose Francine sorridendo. «L’ultima volta che sono stato qui il locale era organizzato meglio, ora quasi non si riesce a vedere il mare per colpa di quella siepe. Mi domando perché non la potino più frequentemente.» «Non ti preoccupare, questo posto è stupendo», rispose Francine, ammirando l’uomo che si era impegnato così tanto per lei. Ordinarono due drink, un Long Island e una Caipiroska, godendosi il clima e l’ambiente, felici di essere lì insieme. La loro intesa era sempre più forte e le parole continuavano a scorrere con semplicità, evidenziando un legame profondo tra i due. Qualche sigaretta dopo avevano finito il drink ed erano pronti per arrivare al 7 di Edwards Avenue, alla dimora di Jack, contenti di potere finalmente rimanere soli, in intimità. Entrati in casa posarono i loro bagagli e sistemarono i loro effetti personali, poi controllando l’abitazione alla ricerca di tutto ciò che poteva essere utile per quel fine settimana di vacanza, si imbatterono in una vecchia bottiglia di liquore artigianale. «Ehi, guarda qua cosa ho trovato!» esclamò Jack, mentre Francine si avvicinava curiosa. «È un liquore artigianale al limone, o almeno così credo, non ha un’etichetta. Ti va?» «Aprilo e assaggia, dobbiamo festeggiare!» disse Francine sorridendo. Decisero di spostarsi nel giardino davanti casa, per godersi il fresco della sera e la luce delle stelle nel limpido cielo estivo. «Ci possiamo accomodare sulle sedie al tavolo, se ti va», disse Jack a Francine. «No, aspetta, mettiamoci qui sugli scalini, vediamo meglio la luna.» «Come preferisci», rispose Jack sorridendo, sorpreso dallo spirito romantico della donna che amava. Prese dei bicchierini e li riempì, poi si sedettero entrambi sui gradini davanti casa, ammirando il cielo stellato. «A cosa brindiamo?» chiese Francine. «Non saprei», rispose con onestà Jack.


42 «Dai, impegnati. Avrai qualcosa a cui brindare.» Jack pensò un attimo, poi rispose: «Alla vita. Alla sua incredibile capacità di sorprenderci quando meno ce l’aspettiamo, alle piccole e alle grandi gioie che ci regala, a noi due, che sappiamo entrambi quanto sia importante riuscire a credere in qualcosa di bello che sta per arrivare.» Francine lo guardò, felice e sorpresa da quelle parole. I loro bicchieri si sfiorarono per brindare ed entrambi bevvero in un sol fiato il liquore. Continuarono a bere e a brindare, fino a finire la bottiglia, parlando di tutto quello che avevano per la mente, liberi di esprimersi ed essere sé stessi. «Questa notte è speciale, lo so, non la dimenticherò facilmente», disse Jack, in preda all’alcool. Francine gli parlava e lui non aveva in testa che le sue parole, lo sguardo sulle sue labbra, come se avesse vissuto tutta la vita per quegli attimi di felicità. Ormai ubriachi entrarono in casa, fecero l’amore per tutta la notte per poi addormentarsi insieme una accanto all’altro, vivendo la notte tra sudore, risate ed euforia; contenti di essere giovani, di essere insieme e di sentirsi vivi come non mai. Il giorno seguente si svegliarono fianco a fianco, abbracciati uno all’altra, felici per quanto era successo e per essere consapevoli che non era stato solo un sogno. La loro tranquillità fu interrotta dallo squillo del telefono di casa. «Strano che telefonino qui, praticamente la casa è sempre deserta», disse Jack. «Non rispondere, rimani a letto con me», chiese Francine, che si stirava nel letto, trattenendo il suo uomo con movenze feline. «Meglio sentire chi è, non credo che sia una telefonata casuale.» Jack si alzò dal letto e rispose alla chiamata. Dopo pochi secondi riagganciò la cornetta. «Era l’ennesima promozione telefonica, vero?» Francine era visibilmente seccata per quell’interruzione, voleva semplicemente che il suo uomo tornasse a letto da lei. «Fran, mi dispiace ma c’è stata un’emergenza.» ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.



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