Le donne Becker, Giovanna Ciarloni

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In uscita il 24/12/2021 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine dicembre 2021 e inizio gennaio 2022 (5,99 euro)

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GIOVANNA CIARLONI

LE DONNE BECKER

ZeroUnoUndici Edizioni


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LE DONNE BECKER Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-516-5 Prima edizione Dicembre 2021


Ringrazio gli amici Alberto, Daniela e Rita



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PROLOGO

Nei caldi pomeriggi estivi di Woodstock, nella sala di casa, la radio suonava “The Loco-Motion” di Little Eva e lei, Daisy Becker, osservava con tenerezza la nipote Sindy di tre anni, mentre fingeva di leggere, fantasticando e parlottando da sola nel cortiletto sul retro. Era una bambina sveglia e intelligente, orgoglio della nonna che mostrava per il paese con fierezza. Woodstock è un comune nella parte settentrionale della contea di Ulster, confinante a nord-ovest con la città di Kingston ai margini del Catskill Park. Fu qui che il 29 agosto 1952, nella Maverick Concert Hall, una specie di grande fienile a sud della città, Daisy assistette con la figlia adolescente tra le braccia, alla prima esecuzione dello storico “pezzo silenzioso” di John Cage. Tre momenti della durata totale di circa quattro minuti, dove il direttore d’orchestra fermava tutti gli strumenti e lasciava al pubblico l’ascolto dei rumori presenti ostinatamente nel nostro quotidiano, dimostrando che il vero silenzio non esiste. Uno di quei rumori per Daisy era la propria voce interiore. Quel giorno sentì dentro tanta rabbia che gridava: “Io ce la farò lo stesso”. Chiuse gli occhi per ascoltarla meglio, immersa nei suoi pensieri, determinata a trovare la forza di andare avanti, dopo che era stata lasciata dal marito e anche dall’amante. E ce l’aveva fatta, aveva allevato sola e con dignità una figlia e poi anche una nipote. Quella era la sua vera famiglia, tre donne che convivevano insieme con alti e bassi, come tutte le famiglie. La piccola Sindy crebbe accanto a un’acerba e ingenua madre e, per fortuna, a una saggia nonna che faceva da padre di famiglia, da governatrice, da risolutrice di problemi e da dispensatrice di regole e consigli. Amava oltre ogni cosa l’inattesa nipotina e adorava osservarla quando, dopo la scuola, in giardino si dondolava sull’altalena sorretta dalle braccia solide e sicure di due vecchi meli, mentre leggeva i libri presi in prestito dalla biblioteca della scuola. La guardava di nascosto, felice e piena d’amore da dietro le tende della sala, poi usciva noncurante e come sempre le chiedeva: «Sei ancora con quel libro in mano?» oppure «Ti piace proprio leggere, vero?» La piccola alzava le spalle sorridendo, sapeva che quelle erano domande che non necessitavano di risposte: leggere era il suo passatempo preferito, la lettura era il suo piccolo aeroplano che la trasportava in mondi lontani dal suo e la sua estasi era quella di sentirsi in una dimensione simile ai sogni,


6 dove la coscienza resta vigile e attenta e, nello stesso tempo, proiettata in mille situazioni diverse. “Sognare è l’unica libertà che nessuno potrà togliere”, era scritto sul suo libro preferito e lei utilizzava quella risposta ogni volta che la madre la vedeva con la testa tra le nuvole e la richiamava a restare con i piedi per terra. Sindy era capace di inventare storie incredibili, perché non dava limite alla sua fantasia. La nonna l’appoggiava e poi aggiungeva: «Ricordati, che l’immaginazione è l’unica arma valida che abbiamo a disposizione nella guerra contro questo schifo di vita.» Sì, perché per nonna Daisy la realtà era stata una continua battaglia, una vita difficile ma affrontata con dignità e fantasia. La piccola Sindy l’amava molto, e trascorreva più tempo con lei che con la madre. Nonna Becker, così si faceva chiamare, era una che aveva sempre la risposta per ogni domanda. Era alta, asciutta, all’apparenza gracile ma energica e instancabile, con una voce da baritono che incuteva una giusta soggezione; tutto ciò che aveva passato nella vita avrebbe dovuto renderla diffidente e acida, invece era disponibile e dolce. Fu ideatrice di una serie di buone regole da seguire per una vita giusta che aveva intitolato: «Il protocollo Becker» e che così spiegava: enunciazioni elementari riferite a percezioni immediate che costituiscono il punto di partenza per una teoria scientifica. La casa di nonna Becker, modesta ma graziosa, si ergeva in una via secondaria del paese, su due piani. Aveva un terreno nella parte posteriore che ospitava un orto, curato da lei stessa, un ampio recinto per le galline e vi prosperavano alcune piante da frutto e un sicomoro, che Daisy aveva soprannominato Frank, in onore di suo padre che, apparentemente forte come una quercia, si era fatto fregare dalla sua debolezza per le donne e, proprio come lui, il forte sicomoro ogni tanto cedeva all’attacco di un fungo parassita che ne scalfiva la dura corteccia, allargando un incavo a metà del fusto. «Ecco, vedi Sindy» diceva alla nipote «Frank si è fatto di nuovo fregare» e intanto vaporizzava con un attrezzo a pompa un anticrittogamico. C’era poi, in fondo al terreno, una piccola costruzione dove all’interno si trovavano attrezzi ben accatastati, un lavatoio ed esternamente una legnaia. Il giardinetto davanti alla casa era più raffinato, c’erano aiuole fiorite a ogni stagione, delimitate da sassi tondi del fiume che la nonna aveva raccolto. Vicino al cancelletto di entrata era piantato un maggiociondolo che in primavera sfoggiava i suoi grappoli fioriti, gialli come il sole. Dalla strada la facciata della casa mostrava un piano terra, con a sinistra due finestre del soggiorno, al centro una porta d’ingresso di legno verde con un gancio per la ghirlanda di Natale, e a destra una vetrata dava luce all’ampia cucina, al cui interno c’era un caminetto, sotto una volta di legno chiaro, che nonna e


7 nipote accendevano nelle sere d’autunno, e con un rito magico cercavano di alimentarne la fiamma. Era un momento divertente che Sindy, quando l’autunno iniziava a far sentire i primi freddi, attendeva con gioia. “Fuoco, fiamme e vampate al mio cospetto tremate, la Regina del tepore dalla legna uscirà, ci donerà calore e il freddo sparirà”. Al piano superiore c’erano due stanze da letto, una con un letto a due piazze e la più piccola, con un letto alla francese, di fronte al bagno. Era la stanza di Sindy, posizionata proprio sopra l’ingresso e quindi, dalla sua finestra, poteva vedere bene la strada e chi arrivava. Raramente ci dormiva anche Sally, poiché di solito condivideva la stanza con la madre. Non c’erano persone che visitavano la casa di nonna Becker, e per fortuna, aggiungeva lei. La vicina di casa era l’unica che raramente varcava la soglia, magari per portare la posta che per sbaglio le veniva consegnata. In casa Becker apparentemente non mancava nulla, materialmente c’era l’essenziale e la bambina, pur essendo cresciuta senza un padre, si sentiva amata e appagata. Nel cuore della nonna, la piccola Sindy sarebbe stata necessariamente la prima e fortunata donna Becker a laurearsi, a realizzare i propri sogni e a vivere una vita soddisfacente. Aveva riposto in lei tutta la sua speranza, convinta che un giorno sarebbe diventata qualcuno e, tra le tante cose che avrebbe fatto, seguendo il famoso protocollo Becker, avrebbe portato via da quello stupido paese la madre Sally. Della fragile Sally, la sua seconda figlia, ogni tanto diceva che non era riuscita bene, o meglio che sembrava uscita da una cornice di un’altra epoca. Altre volte diceva che le era stata cambiata alla nascita con la bambina di una donna Amish, tanto era distaccata dal tempo e dallo spazio e contemporaneamente asservita al mondo reale. Sally adorava gli animali con i quali riusciva ad avere un rapporto migliore che con gli umani. Daisy non capì mai perché non avesse avuto, in nessun momento, la curiosità di sapere chi fosse il padre. La piccola Sindy, invece, condivideva al cento percento con la nonna la passione per la letteratura, e un pochino con la mamma la passione per gli animali. Fu proprio a causa di questa passione sfrenata che Sally conobbe un balordo, tanto odiato dalla nonna. «Non vede l’ora che io muoia, quel verme, per entrare a casa mia.» «Con chi ce l’hai, nonna Becker?» «E con chi, se non con quell’avanzo di galera di Pete O’Shanny.»


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CAPITOLO 1

Sally aveva conosciuto Pete O’Shanny a una fiera di animali che si teneva nel New England una volta ogni due anni. Ci era andata con il titolare delle stalle dove lei lavorava. Anche Pete era attratto dalle bestie, ma non per la stessa passione di Sally. Le allevava per poi ammazzarle come niente fosse e venderne la carne ai macellai. Nessuno capì cosa Sally ci avesse mai trovato in lui, lei che adorava ogni tipo di animale, e quindi molti si domandavano come poteva essersi innamorata di uno che, invece, li teneva per ammazzarli. Eppure, nonostante le discussioni quasi giornaliere, che sfociavano in feroci liti tra la nonna e la madre, non si era mai voluta staccare da quell’uomo, arrivando a minacciare di andare via da casa e portare via la bambina, che la nonna adorava. Per questo nonna Becker aveva sopportato che Pete O’Shanny entrasse nella vita di Sally, stando molto accorta a tenerlo però fuori dalla sua casa. «Vuoi dire il tipo che esce con mamma?» La vecchia, inspirando la sigaretta e facendo uscire una densa nuvola di fumo, guardandola con la testa bassa aveva annuito e poi non ne aveva più voluto parlare. La nonna era spesso nell’orto o in cucina a riassettare. La casa era pulita e non mancava nulla nella dispensa, grazie a un’accurata gestione economica familiare. Daisy Becker da giovane aveva lavorato come guardarobiera e trovarobe in un vecchio teatro ma, dopo l’incendio, aveva perso il lavoro. Si vantava spesso con Sindy di conoscere a memoria le opere liriche più famose, e nei momenti felici le cantava con enfasi mentre la nipote la stava a sentire, estasiata. Aveva maturato pochissima pensione, ma essendo brava a suonare il pianoforte, arrotondava dando ripetizioni nelle case delle persone perbene. Così chiamava lei: avvocati, farmacisti, giovani imprenditori, professori di scuole superiori, insomma gente non ricchissima ma che si poteva permettere un maestro a casa per insegnare ai propri rampolli a strimpellare un pianoforte, perché era una cosa che, come diceva lei, nobilitava. Quando doveva andare a casa di questi signori si vestiva bene, la sua era un’eleganza un po’ stravagante, ma mai ridicola. Aveva sempre al collo una collanina con una esse d’oro che pendeva sul seno, se l’era regalata quando era nata Sally, e non l’aveva mai più tolta. Si tirava su i capelli grigio naturali in una crocchia che solo lei sapeva intrecciare, per occasioni speciali indossava i


9 suoi strampalati abiti colorati, risultando sempre molto eccentrica, ma pulita e ordinata. Nel suo protocollo si dava molta importanza all’aspetto esteriore. «La pulizia è tutto, Sindy. Puoi avere le pezze cucite sul culo, ma se sei pulita ti rispettano sempre.» Glielo diceva soprattutto quando Sally, rientrata dopo una giornata alle stalle, si sciacquava velocemente il volto e le ascelle e poi stava ore ad agghindarsi con sciarpette in finta seta attorno al collo, capelli legati a destra e a sinistra che cadevano in una treccia sulla spalla, una fascia sulla fronte con il simbolo della pace, catenine da quattro soldi, bracciali di argento annerito e scarpe usate, rigorosamente con tacco e zeppa. Si preparava così quando usciva con Pete il sabato sera. Durante la settimana lavorava nell’allevamento di cavalli di un vecchio amico di Daisy, poco distante da casa, Eddie Carraro. Vestiva da vaccara e puzzava di stalla. Lei adorava quegli imponenti animali, anche se non aveva mai voluto montarne uno. «Non potrei mai pensare di dare un calcio a un cavallo per farlo andare dove voglio io» diceva sempre. Quindi il suo compito era strigliarli, dargli da mangiare e pulire i box. Le piaceva farlo e non la pagavano neanche male. Usciva di casa al mattino presto e tornava dopo il tramonto, sudata e che puzzava di selvatico e raramente si lavava a fondo come avrebbe dovuto fare. Ormai le sue narici erano talmente intrise di quell’odore che non lo sentiva più. Aveva iniziato a lavorare in quelle stalle subito dopo la nascita di Sindy. Quando rimase incinta aveva solo diciotto anni, la sua adolescenza era stata complicata. Era già nata da una relazione clandestina della madre, che a quel tempo era sposata a un impiegato delle poste, di origine polacca Filip Levoskyi. Si erano conosciuti al ristorante del padre, e a Daisy era sembrato un ragazzo interessante e colto, e fantasticava con lui un futuro avventuroso. Aveva avuto anche un figlio maschio che però fu cresciuto con la rigida e ottusa educazione paterna e non con il sano protocollo Becker. Quando lei restò incinta una seconda volta e lui scoprì il tradimento, glielo portò via, chiese il trasferimento che gli fu concesso facilmente dal direttore delle poste, proprio per la situazione che si era venuta a creare nell’ambiente dell’ufficio. Chi lo derideva per il tradimento della moglie, chi invece lo compativa, situazioni diventate insostenibili. Lui scelse di allontanarsi con il figlio, maledicendo Daisy ed esortandola a non cercarli mai più. Le lasciò la casa che avevano da poco finito di pagare, per non sentirsi troppo egoista. Daisy non lo odiò e non soffrì neanche per l’allontanamento del figlio, molto simile al padre; in quel momento aveva da pensare alla creatura che aveva in grembo. Riuscì da sola a crescere la figlia con la vana speranza che il suo amante – di cui nessuno seppe mai il nome, forse un attore di teatro – un giorno, tornando su quel palco, la portasse via da lì.


10 Invece non vide mai nessuno bussare alla sua porta per offrirle una vita migliore. Nel retro della casa, che prima era un delizioso giardinetto con dei giochi per bambini, si era messa a coltivare un orto e a tenere delle galline e delle oche per le uova e un paio di pecore per il formaggio. Sally, cresciuta in mezzo agli animali, maturò questa passione sfrenata per loro. Non amava molto la scuola, e la povera Daisy veniva spesso chiamata dal preside per sentirsi parlare della condotta indecente della figlia. Non aveva amici, e il paese l’aveva additata come la figlia di nessuno, e lei spesso saltava la scuola per girovagare nei dintorni, dove trovava persone, purtroppo più grandi, con cui trascorrere in ozio il tempo, svendendo la sua adolescenza. Daisy si manteneva dignitosamente con il lavoro al teatro, ma una notte il locale prese fuoco. Ad appiccare l’incendio fu proprio il proprietario che, sommerso dai debiti di gioco, sperò di farla franca e incassare l’assicurazione. Purtroppo qualcosa andò storto e lo stupido, così lo chiamava nonna Becker quando lo descriveva alla nipote, si fece pure cinque anni di galera, oltre a perdere tutto. Lei perse il lavoro e si dovette inventare qualcosa per andare avanti insieme alla piccola e ribelle Sally. Daisy era figlia di un ristoratore, un altro stupido anche lui, poiché, vedovo prematuramente a causa del suo vizio per le donnine di balera, si era indebitato ed era stato costretto a vendere il ristorante ben avviato, finendo a lavorare come aiuto cuoco nel suo stesso locale. «Si mangiava bene nel ristorante di tuo papà?» chiedeva Sindy quando la sera nonna Becker, mettendola a letto, le raccontava con la sigaretta in bocca la storia della sua vita. «Ti piace come cucino io?» «Sì, certo nonna Becker.» «Ecco, io ho imparato da lui.» E poi troncava lì il discorso, perché Sally detestava quando la nipote fermava le sue storie di fantasia, le faceva perdere il filo e non sopportava quando la interrompeva con domande, che a parer suo, non c’entravano niente con le cose interessanti che stava raccontando. Magari riprendeva la sera dopo, ricominciando a fantasticare per fare effetto sulla nipote. Fin quando il padre, vedovo, riuscì a portare avanti il locale già ben avviato, stavano bene e in quel periodo Daisy imparò da un maestro a pagamento, giovanissima, a suonare il piano che stava proprio all’interno del ristorante che il padre aveva acquistato anni prima. Spesso ricordava che una volta nel locale, guardandosi intorno in mezzo ai tavoli ricoperti dalle sedie rovesciate, vedeva lo strumento addossato a una parete quasi abbandonato e in punizione, e fu quasi quello che lo convinse all’affare. «Guarda Daisy, c’è un pianoforte! A tua madre piaceva tanto sentirlo


11 suonare, ti piacerebbe imparare?» Lei aveva risposto sì, ma solo per rispetto alla madre che neanche ricordava bene; in realtà non gliene importava molto. Però fu grazie a quel pianoforte che quando perse il lavoro da guardarobiera nel teatro riuscì a mantenersi e andare avanti dignitosamente, senza chiedere aiuti a nessuno. Lei non era riuscita a terminare gli studi, per vari motivi indipendenti dalla sua volontà, e aveva tristemente abbandonato la speranza che potesse farlo la figlia, visti il rendimento nei primi anni di scuola e infine l’indesiderata gravidanza. Quindi la nipote, tanto somigliante a lei, doveva a tutti i costi riuscirci per riprendere il buon nome dei Becker. Quando Sally rimase incinta, nonna Becker andò su tutte le furie. Non era riuscita a capire nemmeno chi potesse essere il padre. «Ho a mala pena il pane per te ma non per quel bastardo che porti in grembo, ma lo partorirai lo stesso, perché io sono contro l’aborto. Trovati subito un lavoro, devi portare a casa dei soldi, un figlio non si tira su a uova e brodo di gallina» Questo era il suo protocollo. «Come farò a lavorare quando avrò la pancia…» «Ce la farai, sei giovane!» E chiuse per sempre il discorso. Lei ce l’aveva fatta, e allora non era così giovane. Così Sally trovò lavoro da una famiglia dove Daisy insegnava pianoforte, fuori paese, come giardiniera. Conosceva bene i fiori, le piante e sapeva curare il giardino. Daisy Becker, mentendo, l’aveva presentata come una sua conoscente, e arrivavano tutti i giorni insieme con la scusa che lei le dava un passaggio. L’auto era vecchia ma robusta. L’aveva acquistata quando, morto il padre, aveva ereditato una preziosa moto da collezione che lui teneva come una reliquia, la sola cosa che si era salvata dalla distruzione finanziaria del locale. Aveva così ricavato quanto bastava per comprarsi un’auto quasi nuova. «L’auto è importante, ti rende libera» diceva alla nipote. «Puoi avere le pezze cucite sul culo, ma se possiedi un’auto funzionante, anche vecchia, sei libera di andare dove vuoi.» Sindy prendeva come sacro il protocollo di nonna Becker, anche perché la madre le raccomandava sempre di dare retta alla nonna. «Sai figlia mia, io e lei litighiamo spesso ma io sono stata fortunata ad avere una madre così, è una tosta, non ha mai avuto bisogno di nessuno, non ha mai dovuto abbassare la testa davanti a nessuno. Ricordati, perché è lei l’esempio a cui ti devi ispirare. Non sono io.» Sindy si dispiaceva quando la madre le parlava così, in fondo lei l’amava con tutti i suoi difetti ed era sempre stata una madre dolce e affettuosa. Quando la pancia di Sally aumentò al punto da non riuscire più a chinarsi per strappare l’erba, fu licenziata e Daisy se la prese così tanto che piantò a metà le lezioni di piano, lasciando il ragazzino con la frase: «Sembri un


12 picchio quando maneggi il pianoforte, puoi suonare solo il campanello di casa.» Lui, per tutta risposta, le fece una linguaccia e non si videro mai più. In uno splendido pomeriggio di primavera nacque Sindy. Quando qualcuno chiedeva a Sally quale fosse il nome scelto per la neonata, lei pensava alla bambola con cui giocava da bambina, Cindy blonde-hair, così – sopraffatta dal dolore e con un filo di voce – sussurrò: «Cindy.» Ma chi stava al suo capezzale non riusciva a decifrare le sue parole biascicate. Daisy dalla felicità per la nascita di una femmina, era dovuta subito uscire a fumarsi una sigaretta e l’aveva lasciata sola, allora a Sally fu chiesto di scrivere su un foglio il nome, e lei iniziò a scriverlo confondendo la C con la S. Ecco perché la bambina si trovò quel nome con l’iniziale errata per tutta la sua esistenza. La piccola Sindy era una bambina felice e con una nonna così positivamente ingombrante non sentì certo la mancanza di un padre. La nonna la faceva divertire e le impartiva insegnamenti preziosi. Come quando da piccola la fece salire su un albero e poi le disse di gettarsi tra le sue braccia. Poco dopo che Sindy si era lasciata, sicura di essere presa, Daisy si spostò lasciandola cadere ai suoi piedi. La bimba si tirò su più spaventata che acciaccata e guardandola negli occhi con odio le chiese perché. «Ricordati, cara nipotina, che nella vita sarai invitata a gettarti molto spesso con la convinzione di essere presa. Tu non fidarti mai.» Allora non capì bene cosa intendesse e si amareggiò di essere stata tradita. Il suo percorso sereno ebbe però un arresto a sedici anni, quando la nonna morì e Pete, il balordo, si trasferì nella casa, entrando prepotentemente nella vita sua e di sua madre. I primi tempi non furono poi così male, lui lavorava tutto il giorno e rientrando la sera stanco, cenava e si chiudeva in camera con Sally. Pete era sudicio, maschilista, ma rendeva felice Sally e questo bastava a Sindy per mandare giù la stretta convivenza con quell’uomo. Quando però Sally iniziò a bere smisuratamente, Sindy capì che non era più felice. Pete era cambiato, lavoricchiava qua e là, a volte s’infilava in losche tresche e ne usciva sempre malconcio. Tornava arrabbiato, sporco e con i vestiti strappati e macchiati di sangue, spesso ubriaco, se la prendeva con loro. Sindy si chiudeva in camera a chiave e si sentiva in colpa perché lasciava sua madre sola con lui, senza nessuno a difenderla. Ma lei cosa avrebbe potuto fare? Quanto aveva visto lungo la nonna! Qualche volta, egoisticamente, pensò che sua madre se lo meritava, lo aveva difeso sempre e ora, che lo aveva conosciuto veramente per quello che era, chissà se almeno una volta si fosse pentita di non aver dato retta a nonna Becker e ai suoi dannati protocolli. Quei due si erano subito visti e piaciuti, e nei due giorni di fiera avevano


13 dato sfogo a una passione repressa che in vita loro non erano mai riusciti a soddisfare; lei perché lavorava dalla mattina alla sera nelle stalle, usciva poco e non aveva grosse soddisfazioni in campo sentimentale, lui perché nessuna donna al mondo lo aveva mai amato, neanche sua madre. Dopo due notti di sesso senza sosta, Sally gli chiese, poco prima di partire con il suo titolare per tornare a casa, chi fosse in realtà e cosa facesse per vivere, poiché, durante le notti infuocate, a mala pena si erano presentati per nome. Lui le raccontò il suo lavoro e Sally rabbrividì. Se glielo avesse detto subito forse non avrebbe ceduto così, ma ormai era invischiata, le piaceva molto, era rude e tenero allo stesso tempo. Girava con una salopette di jeans e una camicia a quadri rossa. Ne aveva una dozzina tutte uguali, quindi era vestito sempre allo stesso modo. Una sera, andando al luna park, Pete la portò a fare un giro sulla ruota panoramica, lei ne fu molto colpita, non era mai stata su una giostra così grande, così quel gesto di Pete, di portarla dove non era mai stata e di pagarle anche il costoso biglietto, fu determinante per farla innamorare. Rimase offuscata dall’apparenza di quell’uomo dalla figura paterna e contemporaneamente sexy. Ma la stessa ruota panoramica fu una premonizione, se fosse stata in grado di leggere tra le righe, avrebbe compreso che la sua vita con lui sarebbe stata una salita verso il cielo azzurro ma anche una discesa verso la scura terra. Quando Sally salì sul camioncino di Eddie Carraro, il suo titolare un po’ preoccupato di averla vista con quel ceffo, chiese schifato con una smorfia chi fosse quel tipo; lei fu evasiva nella risposta e lui commentò: «Non ti fare fregare ragazza mia, in giro è pieno di maiali e quello ne ha tutta l’aria, tu meriti di meglio.» Ma lei non lo stette neanche ad ascoltare, aveva ancora nella mente gli abbracci e gli affanni delle notti trascorse con lui nel letto della locanda dove avevano alloggiato casualmente insieme, e poi ricordava il roteare magico della ruota nella romantica notte stellata. «Cosa ci trovi?» aveva chiesto nonna Becker più volte, e lei non aveva mai saputo dare una spiegazione del perché veniva attratta da quell’omone di un metro e novanta, con spalle larghe e addome prominente. Scuro in volto ma con due occhi chiarissimi, pronti ad accendere il sorriso di Sally quando lo incontrava. «Ma poi, ami uno che ammazza le tue care amate bestiole?» questa frase la feriva in particolare, ma nonostante tutto riusciva ancora a difenderlo. «Lo fa perché è il suo lavoro, ma a lui piacciono gli animali, come a me.» Nonna Becker finiva con il riderle in faccia, e poi lì partiva la lite e si dicevano tutte le cattiverie possibili. Daisy era la figlia di un coglione che non era stato capace di mantenere e portare avanti un ristorante ben avviato,


14 Sally diventava invece la figlia di un bastardo che l’aveva illusa e che se solo avesse immaginato quanto lurido fosse, gli avrebbe tagliato la gola con le sue stesse mani, e lei era un bluff tale e quale a lui. Allora Sally la incitava a tagliarle la gola per farla finita e Daisy urlava di non tentarla. Dopo grida inumane, le due donne affrante finivano per abbracciarsi e chiedersi scusa a vicenda, annegando insieme i loro fallimenti in una bottiglia di gin da quattro soldi. Sally, che aveva sognato il momento in cui lei e Pete avrebbero vissuto sotto lo stesso tetto, dopo due mesi non era più della stessa opinione. Si vedevano la sera, quando tornavano tutti e due stanchi dal lavoro e lui, anche se arrivava prima, pretendeva che lei gli preparasse un pranzetto con i fiocchi, magari solo perché aveva portato dal macello il coniglio, o il pezzo d’arrosto che era riuscito a fregare senza essere visto. «Insomma, donna, io ti porto il cibo rischiando il posto di lavoro, almeno tu cucinalo, o devo fare anche questo io?» le gridava nelle orecchie mentre lei, visibilmente stanca, se le tappava e ubbidiva. La cucina di quella casetta era sempre stato il regno di nonna Becker, la quale aveva imparato molte cose dal padre nel ristorante, invece Sally non ci era molto portata. Non riusciva a smaltire la faticosa giornata alle stalle che doveva subito cucinare, rassettare, pulire, raccogliere gli ortaggi che durante la domenica, suo giorno libero, curava come solo lei sapeva fare. Non sapeva per quanto avrebbe retto ancora questa fatica fisica e mentale. Sally trattava Sindy come una bomboniera da matrimonio, diceva Pete, era la principessina che non doveva mai sporcarsi le mani, le gridava il buzzurro durante alcune scenate di gelosia. E lei sempre pronta a giustificarla: «Mia figlia studia, fa il suo dovere e deve pensare al suo futuro.» «Quale futuro, una bastarda come lei deve lavorare, io non spreco i miei soldi per la principessina che deve studiare.» «Non ti permetto di parlare così, Pete, io voglio un futuro migliore per lei!» «Io voglio un futuro migliore per lei» scimmiottava «ma non con i miei soldi.» Sindy ascoltava quelle discussioni che le ricordavano le vecchie liti tra la madre e la nonna. Come allora aveva paura e andava a nascondersi nel pollaio del giardinetto dietro la casa. Adesso, invece, ormai grande, il suo nascondiglio era diventato la sua stanza. A un certo punto Sally scoppiava a piangere e, se nei primi tempi Pete la consolava e facevano pace, dopo non fu più così. Lui sbatteva la porta e usciva per andare in un pub a ubriacarsi e poi, se andava bene e se le sue tasche glielo permettevano, andava a cercare qualche puttana a buon prezzo, oppure nel peggiore dei modi, rientrando, svegliava la poveretta per calmare la sua rabbia e soddisfare le sue voglie.


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CAPITOLO 2

Un episodio successo a inizio estate, prima del penultimo anno di superiori, scosse la vita della povera Sindy. Pete aveva portato a casa una prostituta caricata chissà dove, e sua madre lo aveva saputo dalla vicina. Sentì Pete e la madre gridare già dall’angolo della strada, mentre rientrava dall’ultimo giorno di scuola, lui uscì facendo poi rientro la mattina seguente. Sindy aveva dormito tranquilla e svegliandosi le era venuta voglia di lavare tutte le sue tute e rispolverare le magliette estive che tanto amava indossare, perché mettevano in risalto la sua vita stretta e i suoi seni sodi. Uscì in cortile a stendere, l’aria era già calda e un lieve venticello le faceva agitare il vestito leggero, scoprendole le lunghe gambe. Mentre tirava fuori dal cesto la sua roba per metterla sul filo tirato tra due pali, alle sue spalle arrivò Pete, appena rientrato dalla notte brava. «Buongiorno principessina, ti sono cadute queste!» e le mostrò, facendole roteare sul dito indice, un paio di slip col pizzo. «Dammele, Pete» fece lei scocciata, si allungò per riprendersi le sue mutandine. Lui, più svelto, ritirò la mano e con l’altra le afferrò il polso, stringendo esageratamente. «Mi fai male» gridò la ragazza. Lui non fiatava e i suoi occhi, stremati per la notte in bianco, sembravano iniettati di sangue. La tirò a sé, guardandola con un ghigno per niente rassicurante. Sindy capì che forse la sera prima non era riuscito, dopo la lite con la madre, a sfogarsi con la puttana di turno e probabilmente aveva girovagato ubriaco. «Mi fai male» ripeteva, e nel frattempo cercava un modo per calmarlo. «Dammela Pete» fece lui, imitando la voce stridente della ragazzina. «Non sei per niente educata principessina, dovevi dirmi, buongiorno Pete, grazie Pete, sei stato gentile Pete a portarmi le mie mutandine che ho lasciato per terra.» Sindy iniziò a piangere, sperava di smuovere la sua coscienza e ricordargli che lei era solo poco più che una diciassettenne. «Basta frignare» lasciò il polso di Sindy con uno strattone, facendola cadere all’indietro, poi portò le mutandine al viso, aspirandone il profumo. Intanto Sindy si trascinò con i gomiti verso la porta, sperava di alzarsi e riuscire a chiudersi in camera sua. Per un attimo credette di avercela fatta, senza guardare si voltò di scatto quando ancora era in ginocchio e aiutandosi


16 con le mani a terra raggiunse le scale, entrò nella sua camera e chiuse dietro di sé la porta. Questa però trovò il piede enorme di Pete prima dello stipite, e si aprì di nuovo. Sindy diede un forte colpo alla porta, che ritornò indietro, colpendolo sulla faccia. Sindy si era seduta a terra, davanti al letto, abbracciandosi le gambe strette al petto e continuando a piangere e a chiedere scusa. Lui la guardava e non rideva più, le si avvicinava lento come un automa, agitando davanti a sé l’indumento. Sindy pensò che non avrebbe avuto scampo, e in lacrime supplicò di lasciarla in pace, continuando a dire che era solo una ragazzina. Pete le gettò le mutandine di pizzo ancora umide sulla faccia e le disse: «E queste sarebbero le mutande di una ragazzina?» Sindy continuava a rannicchiarsi e farsi più piccola che mai. Pete la prese per i capelli e l’adagiò sul letto, lei pregò di non farle male, ora tutto poteva succedere, le sollevò il vestito leggero e lei si copri il volto con le mani. Le infilò una mano nelle mutandine, strisciando le enormi dita ruvide su e giù, e poi s’infilò una mano nei suoi pantaloni. «Ti prego lasciami» continuò a implorare lei, ormai convinta che non avrebbe avuto scampo. Invece, il lurido idiota, tolse deluso la mano dai suoi pantaloni e poi anche quella da Sindy. La guardò minaccioso e disse: «Se racconti qualcosa a tua madre, stanne certa che la prossima volta non la passerai liscia.» Sindy tremava come una foglia, e lo ringraziò come se le avesse fatto un regalo. Poi, quando lui uscì dalla stanza, si chiuse a chiave e restò lì dentro per tutto il giorno, fino a che non arrivò la madre, alla quale, con una scusa, spiegò che si era sentita poco bene e aveva dormito tutto il giorno. «Ti prometto che ora vado a stendere la roba che ho lasciato nel cesto, mamma.» «È già stesa, l’avrà fatto Pete per farsi perdonare. Bravo, eh? A proposito, sai dove è adesso?» Sindy restò ammutolita.


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CAPITOLO 3

Solo all’inizio dell’ultimo anno delle superiori, Sindy incontrò l’altra persona che scosse ancora una volta la sua vita. Tom Archie, figlio del negoziante di calzature, uno che se la passava bene. Aveva adocchiato Sindy da un po’, e se l’era fatta presentare da Beth Smith, che usciva a sua volta con l’amico di Tom. Combinarono di uscire in quattro quando ancora a settembre le giornate erano lunghe, e la scuola non aveva iniziato a pieno regime gli impegni di studio. La prima sera andarono tutti al drive in di Kingston con l’auto di Tom. Quell’auto la colpì molto, anche perché le risuonavano sempre nella testa le parole della nonna che dava esagerata importanza al possesso delle quattro ruote. «Ti piace, eh?» chiese retoricamente Tom, una volta saliti. Aveva notato come Sindy guardava l’interno della sua macchina. «Ma è proprio tua?» Intanto, sui sedili posteriori, Beth e l’amico si baciavano con ardore. Sindy lanciò un’occhiata furtiva, e un po’ le diedero fastidio quei due che, senza pudore, gemevano avvinghiati sul sedile. Era irritata, come se Beth l’avesse usata per incontrare il suo tipo e fare i porci comodi lasciandola sola, in balìa di Tom che conosceva appena. «Non proprio mia, è di mio padre ma, se quest’anno sono promosso, me ne comprerà una tutta per me.» Arrivati al drive in, si sistemarono in un luogo appartato e mentre gli altri riprendevano a baciarsi, Tom si avvicinò con noncuranza a Sindy, che lesta si ritrasse. «Usciamo fuori, non vedi che loro si stanno…» disse lei, indicando i ragazzi dietro di loro. «Sì, lo vedo, e allora? È proprio per quello che si viene al drive in.» Quella sera, pur piacendole, si propose di non lasciarsi baciare e fu questo che diede una sferzata all’ego di Tom Archie; questa ragazza, che gli si era negata, non era come Beth o come tutte quelle che aveva finora frequentato, e questo fatto lo intrigava; si sentiva come chiamato a una sfida che, da sbruffone qual era, sapeva non avrebbe perso. Sindy poi era molto più carina di Beth, che aveva già i capelli rovinati da una tinta biondo paglia, vestiva succinta e masticava gomma dalla mattina alla sera con volgarità e puerilità.


18 «Tu vivi con tua madre, vero?» le chiese Tom. Sindy rispose con un cenno della testa. Non amava parlare della sua bislacca famiglia, ma lui continuò: «E tua nonna è morta da poco, vero?» Sindy fece un altro cenno d’assenso. «Veniva speso a casa di mio zio per insegnare pianoforte a quella stordita di mia cugina. So che era un tipo strano, ma mio zio ha sempre detto che sotto quei vestiti da bambola dell’Ottocento si nascondeva una donna molto colta e in gamba, pur essendo solo una guardarobiera di teatro.» «Mia nonna era una donna straordinaria. Se avesse potuto, sarebbe anche andata al college» rispose risentita. «E chi ha detto niente! Calmati e basta parlare di tua nonna, tu sei molto più interessante.» Si spostò verso di lei, il sedile anteriore era tutt’uno e presto se lo ritrovò quasi sopra, ma Sindy riuscì a resistere a ogni tentativo d’assedio. *** «Sei stata sciocca a non stare con Tom. Se lo avesse chiesto a me, io non me lo sarei fatto scappare» le disse Beth, continuando a rinfacciarle di averle rovinato la serata. All’ennesimo rifiuto, Sindy lo aveva spinto con forza lontano da lei, facendogli sbattere la testa sulla portiera. Lui scocciato aveva acceso la macchina dicendo: «Ok ragazzi, fine della serata, io mi sono rotto. Si torna a casa.» I due ragazzi dietro avevano iniziato a lamentarsi e a ribadire che erano appena arrivati, ma lui non sentì storie. «Per te è diverso Beth, con Dick ci esci da almeno un mese.» «Be’? Credi che abbia fatto come te? La prima sera lo avevo già baciato.» Sindy la detestava quando faceva così. Si chiedeva come fosse possibile che una ragazza con un briciolo di dignità, si concedesse al primo incontro. Come poteva Beth svendersi così? Anche se Tom le piaceva, non avrebbe mai voluto cedere le prime volte. Non lo avrebbe mai fatto. Quello le aveva insegnato il protocollo di nonna Becker. Tuttavia, al secondo appuntamento – stavolta da soli al parco – Sindy baciò per la prima volta un uomo e se ne innamorò. Anche Tom si sentiva preso, ma al contrario di lei che aveva delle priorità per la sua vita, lui, molto coinvolto, richiese con insistenza continue attenzioni che Sindy però non poteva dargli: l’impegno per la scuola era più forte di qualsiasi fidanzato. Non fu facile tenerlo lontano, quindi, pur di essere lasciata in pace quando doveva studiare, Sindy accettò di vederlo almeno tutti sabati sera. Quando aveva iniziato le scuole superiori, la piccola Becker era la migliore


19 del corso di letteratura e da subito un giovane professore di letteratura inglese, Paul Gray, s’interessò a lei. Elegante, carino e soprattutto gentile e premuroso, con un atteggiamento protettivo, seguì la ragazzina nei suoi studi, elogiandola ogni volta davanti alla madre quando si presentava al colloquio semestrale. Dopo essere stato vicino alla famiglia Becker nel momento più triste della loro vita, si sentì ancora più responsabile della ragazza, anche perché vedeva in lei – data la sua bravura nello scrivere – una solida carriera nel campo giornalistico. Infatti, come gli aveva ribadito molte volte, quello era il suo sogno, diventare una giornalista di una famosa testata di New York. «Sua figlia ha delle doti davvero eccezionali, signora Becker.» «Signorina, prego! Eh sì, me ne sono accorta professor Gray.» Sally lo sapeva perché sua madre glielo aveva sempre ripetuto, e Daisy Becker sapeva sempre tutto. Anche alla sua morte improvvisa, si avverò ciò che lei aveva predetto alla nipote: «Non vede l’ora che io muoia, quel verme, per entrare a casa mia» chiaramente riferito a Pete O’Shanny, lo zoticone che Sally aveva sventuratamente incontrato alla fiera degli animali. Accadde così, era stata una notte agitata in casa Becker. Daisy aveva vomitato già dalla sera e non riusciva ad addormentarsi. La tosse la soffocava e lei continuava ad accendersi una sigaretta dopo l’altra, quasi come se quel veleno potesse guarirla. «Cos’ha la nonna?» chiese Sindy, mentre era nel letto con la madre stremata. «Niente Sindy, stai tranquilla. Avrà esagerato con il bere ieri sera.» «Ma non la senti che rantola e ha una tosse fortissima, non sarà il caso di andare da lei?» aveva chiesto preoccupata. «Ok Sindy, dormi, adesso vado a vedere io.» Sally sbuffò, alzarsi poco dopo aver preso sonno la innervosiva, ma Sindy era davvero preoccupata e questo vinse sulla stanchezza. Si alzò e si mise addosso uno scialle di lana perché aveva freddo. Sindy rimase con le orecchie tese per percepire ogni sussurro, la sentì entrare nella stanza, chiamare la madre e poi scendere le scale nel soggiorno sempre chiamandola con un filo di voce. Iniziava ad aver paura e si nascose sotto le coperte, in attesa di sentire qualcosa di confortante. Non sentì nulla ma quando dopo un po’ uscì da sotto le coperte, vide la luce accesa del lampione davanti la porta di casa filtrare attraverso la sua finestra. Corse ad affacciarsi e vide che la madre caricava in auto Nonna Becker che a mala pena si reggeva in piedi. Poi la sentì salire le scale di corsa, entrare nella stanza affianco e aprire con foga i cassetti. Fu allora che Sindy si avvicinò alla stanza della nonna chiedendo cosa stesse succedendo. «Stai tranquilla Sindy, porto la nonna all’ospedale, le faranno una flebo e poi veniamo a casa. Dormi, domattina devi andare a scuola, l’anno è appena iniziato e non devi perdere lezioni, questo è l’ultimo, devi diplomarti così la


20 nonna sarà felice.» Vedendo che lei rimaneva impalata sulla porta si fece perentoria: «Dai, a dormire!» Sindy indietreggiò fino all’uscio della sua stanza, impietrita, fino a che non sentì il rumore dell’auto svanire. La nonna era già stata male in passato, a causa della tosse persistente e soffocante, ma mai da finire in ospedale. Non era tranquilla, tornò a letto ma non chiuse occhio. Al mattino, sola, ubbidendo alla madre, si alzò, si preparò e tristemente si recò a scuola. Mentre si allontanava a passo lento sulla strada, si girò diverse volte verso casa per vedere se l’auto della madre rientrasse. Ma lo sfondo restò uguale, con il vialetto vuoto, senza che nessun’auto vi fosse giunta. Durante la lezione di scienze, Sindy fu mandata a chiamare e in un batter d’occhio si trovò nello studio del direttore. In piedi, di fianco alla cattedra di legno massello, c’era il professor Paul Gray, che aveva uno sguardo mesto. Quando le dissero che la madre la passava a prendere a casa per mezzogiorno perché la nonna era in ospedale, Gray si offrì di accompagnarla. «Lei sa qualcosa delle condizioni di mia nonna?» chiese Sindy all’uomo, dopo essere saliti in auto. Gray sapeva quanto la ragazza fosse attaccata alla nonna e cercò di parlarle con delicatezza, come se nulla fosse. «So quello che mi ha detto il direttore poco fa, che tua nonna è ricoverata e che stanotte l’hanno operata.» «E come sta ora?» «Eh…» prese tempo ingoiando la saliva. «Non si sa» concluse. Sindy si tranquillizzò, perché aveva preferito quel «Non si sa» al pensiero che la nonna non fosse più viva. Purtroppo Gray aveva mentito e Sindy, convinta della forte fibra della nonna, sdrammatizzò dicendo: «Speriamo che quando si sveglierà dall’anestesia non faccia la birbante, lei odia stare a letto. Forse dovrà restare in ospedale per un po’, vero?» Gray non se la sentì di mentire ancora, e appoggiandole una mano sulla spalla iniziò a preparala alla tremenda notizia: «Vedi Sindy, devi essere forte…» «È morta!» disse lei, urlando. «No, è viva, stai calma…» ma non lo fece finire che lei, rincuorata, ricominciò a parlare nervosamente a raffica: «Sì, perché nonna è una roccia, lo so. Ne ha passate tante ma è forte, magari dovrà riguardarsi, deve smettere con le sigarette e col bere…» Gray, travolto dalle parole della ragazza, non se la sentì di interromperla e intanto arrivarono nei pressi della sua casa. «Ecco, giri a destra, due isolati e ci siamo.» Quando svoltò, Sindy vide l’auto della madre messa di traverso davanti al vialetto, e lei che fumava nervosa fuori dalla macchina. La stava aspettando. Appena Gray accostò, Sindy si catapultò fuori dall’auto, lasciando il portello


21 aperto. Corse a rintanarsi tra le braccia della madre. A quel punto Sally scoppiò in lacrime, e Sindy si staccò da lei per osservarla bene in faccia e cogliere delle emozioni sul suo viso, le chiese cosa fosse successo. Intanto Gray era sceso dall’auto, aveva richiuso gli sportelli e si era lentamente avvicinato alle due donne, chinando il capo. «Grazie professore, è stato molto gentile a portare qui mia figlia» fece Sally, asciugandosi le lacrime. «Di nulla signora… signorina Becker» si scusò e poi chiese delle condizioni della madre, e insieme a Sindy attese che Sally, dopo aver tirato una boccata di fumo, rispondesse: «È molto grave. Ha avuto una crisi respiratoria e poi anche i reni hanno smesso di funzionare.» «Ma si salverà, vero?» chiese Sindy, certa di una risposta positiva. «No, Sindy, i medici dicono che non passerà la notte.» Sindy scoppiò a piangere e contemporaneamente spinse la madre in auto e le chiese di portarla da lei, voleva vederla, non perdere altro tempo e starle vicino. Sally guardò il professore per salutarlo e ringraziarlo, e mentre Sindy saliva dall’altra parte, Gray andò verso l’auto per tenerle il portellone e salutare ancora la donna nel modo più confortante che poteva ma in quel momento, invece di salire sul sedile, si accasciò al suolo stremata. Sindy non fece in tempo a chiamarla e a scendere per soccorrerla, che Sally si era già ripresa. «Vi accompagno io» fece Gray, trascinando la donna sulla sua auto. Sindy si fiondò sull’auto del professore, pregandolo di fare presto. Giunsero all’ospedale senza parlare, se non per chiedere a Sally come si sentisse, lei li rassicurò dicendo che si era ripresa e che quel malore era dovuto al fatto che non aveva chiuso occhio e che aveva bevuto troppi nauseanti caffè ai distributori automatici. Quando arrivarono presso la stanza, le due donne entrarono mentre il professor Gray restò educatamente fuori. Nonna Becker era attaccata a un respiratore, sotto una tenda trasparente, e aveva tanti fili che le uscivano da sotto il letto. «Nonna!» Sindy voleva precipitarsi da lei, ma un infermiere la blocco e chiese loro di uscire. «Mi dispiace, ma la signora è entrata in coma. Non vi sente e sarebbe meglio se rimaneste fuori.» Sindy piangeva mentre Sally cercava di rimanere calma. «Ma la situazione è migliorata?» «Se vuole c’è il medico di guardia, chieda a lui.» Sindy si avvicinò ancora al letto della nonna. Il suo volto era diverso, sembrava che dietro quella tenda ci fosse uno scarno e pallido corpo sofferente, e che la sua anima fosse già fuggita per chissà quale luogo. «Su ragazzina, esci per favore, non puoi stare qui.» Sally trascinò la figlia piangente fuori dalla stanza, e l’infermiere chiuse


22 freddamente la porta dietro le sue spalle. «E la lasciate da sola? Se si sveglia?» «Stai tranquilla ragazzina, se succede qualsiasi cosa le macchine ci avvertono. Andate a sedervi lì» indicò una sala in fondo al corridoio «quando passerà il medico parlerete con lui.» Si allontanò dalla parte opposta con una camminata lenta, trascinando un po’ a destra e un po’ a sinistra le sue consunte scarpe bianche. Paul Gray fu molto di conforto in quei tristi momenti, e sia Sindy che Sally gli furono grate. Anzi, diventò anche motivo di lite tra Sally e Pete, in quella manciata di ore che erano rimaste della vita di nonna Becker. Nella notte di quel giorno, come previsto dal medico, la donna fu dichiarata morta. Non riprese mai conoscenza e Sindy non riuscì a salutarla come avrebbe voluto. Paul Gray era stato con loro fino a metà di quel maledetto pomeriggio, per poi tornare la sera e restare vicino alle due donne in balìa della disperazione. All’inizio Sindy non riusciva a capacitarsi di non poter più parlare e vedere la sua amata nonna, poi si radicò in lei la convinzione che i morti restassero vicini ai vivi per un po’, per accompagnarli nell’accettazione della loro assenza. Questo la confortò e fece sì che, dopo il funerale, tornò quasi subito alla normale routine. Tornando da scuola, passava tutti i giorni dal cimitero per parlarle. Invece Sally faticò a tornare al suo lavoro alle stalle, e non andò più al cimitero. Si alzava tardi e, anche se Eddie Carraro, in nome dell’affetto per Sally, la giustificava, dopo una settimana passò a vedere come mai non si presentava ancora al lavoro. Quella mattina Sally era a casa, Eddie bussò senza ottenere risposta, allora provò a spingere la porta che si aprì, lei era sul divano rannicchiata ed emanava una tale puzza d’alcol che non fu difficile capire cosa le stesse accadendo. «Sally non puoi ridurti così, sei sola in casa?» Lei lo guardò assente e scosse la testa. L’uomo l’afferrò per un braccio e la sollevò. In quell’istante entrò Pete e i due si scambiarono un’occhiata poco amichevole, ma fu Eddie a parlare per primo: «Salve, meno male che c’è qualcuno. L’ho trovata in questo stato, dovete fare qualcosa…» Pete si avvicinò a Sally, che gli sorrise. Scostò in malo modo l’altro, e con un’aria falsamente preoccupata rassicurò la donna: «Sally cara, ci sono io con te. Da stasera mi trasferirò in questa casa, dammi ancora una giornata per mettere le cose a posto e non ti lascerò più sola» si girò verso la cucina ancora apparecchiata dalla sera prima, come se avesse intenzione di iniziare a rimettere le cose a posto, cominciando proprio da lì. Eddie, più confortato, si avvicinò alla porta per andare via non prima di essersi raccomandato della presenza di Sally al lavoro. «Bene, perché ho bisogno che lei torni alle stalle a lavorare, o sarò costretto


23 a chiamare qualcun altro. Facciamo così, la lasci ancora tranquilla questa settimana, poi mi faccia chiamare e lei deciderà e mi dirà cosa vuol fare.» Salutò e uscì un po’ più tranquillo, ora quel Pete, che comunque lui non approvava, si sarebbe almeno preso cura di lei, o forse no. Fu duro andare avanti per Sally, era sola a badare a una figlia adolescente della quale si era sempre occupata nonna Becker; in alcuni momenti le prendeva lo sconforto e aveva paura di non riuscire a mantenere la promessa fatta alla madre di farla studiare fino all’università. Anche quando Pete si trasferì da loro la situazione non migliorò, anzi, diventò quasi subito un peso economico ulteriore, perché non guadagnava sempre e inoltre le svuotava il portafoglio quando lei non se ne accorgeva. Così fu costretta a nascondere almeno quello che ricavava in più dagli straordinari e dalla generosità del suo titolare.


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CAPITOLO 4

Dopo la storia degli slip – che non confessò mai alla madre – Sindy passò molto più tempo fuori casa, e spesso in compagnia di Tom Archie. Un giorno di ottobre, lui le propose di andare a casa sua quando i suoi genitori erano via. «Allora ci vieni? Hai detto che tua madre non è a casa e tu non vuoi stare con quel lurido di Pete.» «Sì, verrò.» Accettando quell’invito sapeva che avrebbe dovuto anche lasciarsi andare, come diceva Beth, e cadere tra le braccia del suo fidanzato. Quando fu nella casa di Tom, si lasciò inebriare dai bei mobili, le tende a balze di tessuto pregiato, i tappeti colorati, la televisione nuova e un profumo di pulito proveniente da tutti gli angoli della casa. Il giardino era bellissimo, c’erano cespugli potati ad arte, e aiuole ormai sfiorite ma senza erbacce. Tutto quel lusso la catapultò in un sogno principesco, e si svegliò a tarda sera nel letto di Tom, nuda e felice, avvolta solo dalle lenzuola di fresco cotone. «Tom, staremo sempre insieme, vero?» «E chi ti lascia, ormai sei mia e io sono tuo.» Sindy era di nuovo tornata a sorridere spensierata, dopo più di un mese dalla morte dell’amata nonna. Nei giorni seguenti, Tom e Sindy non si frequentarono. Era un anno duro sotto molti aspetti. Sua madre aveva preso a bere a causa del comportamento del lurido idiota. Gli studi erano molto impegnativi, e la casa restava trascurata. Sindy doveva spesso farsi carico di pulirla e lavare anche la biancheria della madre e di Pete. Quella era la cosa che odiava di più. Quando aveva finito di strofinare l’intimo di Pete, alla fontanella del cortile, andava a vomitare sotto una pianta, quasi sempre. Un giorno però, anche senza aver dovuto strofinare il putridume dell’uomo, Sindy iniziò a rimettere senza riuscire a fermarsi. «Mamma, è da oggi che vomito e non riesco a smettere, avrò la malattia della nonna?» aveva chiesto alla madre al suo ritorno da una ennesima dura giornata di lavoro nelle stalle. «Ma smettila, piuttosto, le hai sempre le tue cose, no?» chiese. «Ah, è vero, sono due mesi che…» «Cosa?» a Sally si gelò il sangue, fu per lei come rivivere il suo passato.


25 Sindy aveva poco più della sua età quando lei si ficcò in quel guaio. Il giorno dopo andarono in ospedale, Sally conosceva un’infermiera che le garantì molta discrezione. Purtroppo la gravidanza di Sindy fu confermata, e madre e figlia si ritrovarono nei giardini dell’ospedale a piangere l’una sulla spalla dell’altra. Forse Sindy doveva rinunciare ai suoi progetti, cercare un lavoro, ma Sally si oppose, non doveva fare la sua fine, e poi aveva fatto quella promessa a nonna Becker, non voleva deluderla ancora una volta. Decisero di andare a parlare con l’unica persona sulla quale potevano fare affidamento: il professor Paul Gray. Lui fu sorpreso di vederle insieme e quando, entrate nel suo ufficio, gli raccontarono il loro problema, fece accomodare Sally mentre Sindy rimase in piedi, poi andò a sedersi dall’altra parte della sua scrivania, tirò un sospiro, pensò qualcosa e chiese: «Perché credete che io vi possa aiutare?» «Lei sa cosa è meglio per la mia piccola, professor Gray» balbettò Sally «So che con un figlio sarà difficile iscriversi all’università.» «Ecco, lo spieghi lei a Sindy, lei non vuole… sì insomma, non se la sente di…» «Abortire?» «Sì… sa, noi siamo cattolici, mia madre lo era molto, e anche…» «Insomma professore, mia madre vuole dire che non ho molta scelta e che, nonostante lei si sia offerto di aiutarmi nel mio trasferimento a New York, io non potrò venire… Ho sbagliato, lo so, adesso pagherò le conseguenze» disse Sindy, scoppiando subito dopo in un pianto a dirotto. Paul si alzò e andò verso la ragazza che era rimasta in piedi, e la abbracciò amorevolmente. «No, Sindy, non sei stata solo tu a sbagliare, chi è lui… Archie?» Sindy fece cenno di sì col capo, e passò dalle braccia di Paul a quelle della madre, in lacrime anche lei. «Devi parlare con lui, deve assumersi le sue responsabilità, e poi vedremo cosa possiamo fare.» Sindy la sera stessa si presentò sotto casa di Tom Archie. Lui era felice di vederla, la invitò a entrare ma lei chiese di rimanere nel giardino. Anche se faceva freddo, voleva rimanere in un ambiente neutro, fuori dall’infida casa. Quando gliene parlò, lui rimase in silenzio. Infilò le mani in tasca, fece due passi e tirò un calcio a una pietra, facendola finire contro la cancellata. «Non so cosa fare, Tom.» «Se non lo sai tu, vuoi che lo sappia io? Siamo due ragazzini Sindy, tu vuoi andare all’università, io non… non me la sento. E poi tu, sei stata solo con me? Me lo puoi giurare?» A quelle parole, Sindy si chiuse dentro il suo cappotto sdrucito, quasi a proteggere se stessa e la creatura che aveva in grembo da un essere così


26 gretto, e sussurrò: «Mi fai schifo» gli voltò le spalle e andò via. Lui la seguì con lo sguardo, prese a calci un’altra pietra e rientrò in casa. La cosa non lo angustiò granché. *** Paul Gray fu come sempre la sua guida. La accompagnò in un centro diretto da suore carmelitane, che si sarebbero occupate di trovare una famiglia per il suo bambino. Avevano viaggiato sulla corriera tenendosi sempre per mano, ancora una volta Paul aveva preso a cuore la sua allieva, e si spendeva per aiutarla a risolvere i suoi problemi. «Secondo me questa è la scelta giusta» le disse mentre stavano rientrando. «Non puoi occuparti di un bambino, lo renderesti un infelice e saresti infelice anche tu.» «Lo sono già» gli rispose lei. Rimasero in silenzio fino a quando gli strinse forte la mano e gli chiese un ulteriore aiuto. «Professore, vorrei che nessuno venisse a saperlo. La prego mi aiuti, cercherò di stare per conto mio e mi dedicherò allo studio con tutto il mio impegno.» Lui la rassicurò. Il parto era per luglio, giusto in tempo per poi partire alla volta della New York University. Paul si sarebbe trasferito anche lui a New York, a casa di un amico. Aveva fatto domanda per lavorare in una scuola del New England ed era stato accettato, avrebbe aiutato Sindy con la retta del campus e le avrebbe trovato, grazie all’amico e coinquilino Bill, un lavoretto part time al Sid Lunch, un locale che forniva aperitivi in una zona in del New Jersey; il lavoro l’avrebbe impegnata solo dalle 18:00 alle 22:00, permettendole di avere tempo per studiare e racimolare un po’ di soldi per le sue necessità. In questo modo la madre avrebbe pagato solo metà retta, e il resto lo avrebbe messo Paul, e poi si sperava che potesse avere accesso alla borsa di studio. Paul era convinto che ci sarebbe riuscita, tanto da scommetterci parte del suo stipendio. Sindy si era molto preparata per sostenere l’esame per entrare al college. Era molto grata a Paul, non poteva deluderlo, doveva passare quel test per sua nonna, per lui e anche per lei stessa. Sembrava che la vita tornasse a sorriderle dopo i momenti cupi senza la nonna, la fastidiosa presenza di Pete e l’incidente di percorso con Tom Archie. Senza accorgersene, cominciò a gustare il momento in cui sarebbe nata la sua nuova vita, lontana da Pete, lontana da Tom, per il quale tra l’altro, non provava più niente; si sentiva già proiettata a New York, pronta a costruire il suo futuro con coraggio e convinzione. Sapeva che ce l’avrebbe fatta, perché sua nonna, i suoi protocolli e le sue previsioni, non si erano mai smentiti. I mesi di scuola volarono, Paul Gray l’aiutò a stare un po’ nell’ombra, era


27 stata esonerata dalle ore di educazione fisica, negli ultimi tempi era anche stata giustificata a saltare qualche lezione con la scusa di aiutare il professor Gray a preparare delle ricerche. La sua salute era ottima, la gravidanza era andata avanti senza intoppi, le nausee erano finite al terzo mese, la pancia aveva iniziato a crescere smodatamente ma per fortuna solo nell’ultimo mese. Aveva passato molti momenti con Paul, nel suo studio a correggere gli elaborati dei suoi studenti del primo anno, in archivio a mettere in ordine, in biblioteca a fare ricerche e la loro amicizia si era consolidata, Sembrava nascere qualcosa tra loro, c’erano tutti i presupposti. Sindy fantasticava ogni sera sul suo futuro, chiusa nella sua stanza. Dopo la laurea si sarebbe sistemata, avrebbe trovato lavoro come giornalista, avrebbe sposato Paul, che intanto sarebbe diventato professore universitario e ultimo, ma più importante, sarebbe tornata al paese solo per recuperare sua madre e toglierla dalle grinfie di Pete, come aveva promesso alla nonna davanti alla sua lapide, al cimitero. Il giorno in cui arrivò la lettera di ammissione, era la fine di luglio, mancava poco al parto, la prima persona che corse ad avvisare fu il professore. Salì, nonostante il pancione, i quarantaquattro scalini dell’istituto in cinque secondi, e si catapultò nel suo studio al primo piano. «Professore, professore!» Gray dava le spalle alla porta, davanti alla libreria da cui sfilava dei libri per metterli in una scatola di cartone. Senza voltarsi rispose anche un po’ seccato: «Non si bussa più?» Sindy si arrestò poco prima di varcare la soglia, pentita di essersi lasciata trascinare dalla foga. In fondo la vittoria era sua e forse a Paul non importava così tanto. «Mi scusi Paul» disse, restando un passo fuori dalla porta. Invece a lui importava eccome, si voltò, le sorrise e vedendola trafelata e con una lettera in mano, capì che c’erano grandi novità. «Sono stata ammessa all’Università di New York, non è una cosa straordinaria?» Paul emise un gridolino di gioia. «No, cara Sindy, io ero certo che ce l’avresti fatta. Bene, allora adesso non resta che formalizzare la nostra partenza, chiaramente dopo che avrai partorito.» «Già» fece Sindy e quelle ultime parole bastarono a far spegnere il suo entusiasmo e il suo sorriso. Non vedeva l’ora di levarsi quel fardello. Era stata dura finire la scuola in quelle condizioni, e nessuno si era accorto del suo stato. Lo aveva tenuto nascosto a tutti. Neanche Pete lo aveva saputo. Dopo tutto era molto magra, e con dei vestiti a campana sembrava solo un po’ ingrassata. Tom aveva cercato di indagare ma lei lo aveva sempre evitato, e lui pensò a un fortunato falso allarme e non si fece problemi a correre dietro ad altre


28 ragazze e dimenticarsi di lei. Tutto era pronto, doveva solo sistemare quella faccenda, in tutti i nove mesi non aveva mai realizzato che dentro di sé stava crescendo una creatura. L’emozione dell’ammissione al college accelerò le doglie, e la sera stessa Sally, di nascosto a Pete, accompagnò la figlia in ospedale. La scusa gliel’aveva data proprio la lettera dall’università e il viaggio a New York. Gli dissero che dovevano andare a scegliere il campus e sarebbero tornati dopo tre giorni. Al reparto dell’ospedale già sapevano che non avrebbe tenuto il bambino e dopo un travaglio di tre ore, a mezzogiorno in punto, mise al mondo una femminuccia di tre chili e mezzo. «Una bambina?» «Sì» disse la madre che le aveva tenuto per tutto il tempo la mano. «Preferivi un maschietto?» «No mamma, è che…» «Che?» irruppe una prorompente suora. «Abbiamo ripensamenti?» Sally si allontanò dal letto per fare posto al donnone che, con la sua veste bianca e ingombrante, assettò le lenzuola. «Allora, la bambina è pulita, la vuoi vedere?» nello stesso momento le due donne risposero una sì e l’altro no, poi si guardarono negli occhi e Sindy scosse la testa: non la voleva vedere, i suoi pensieri erano altrove, era già in viaggio per la sua nuova vita con l’uomo che ora silenziosamente amava. «Ci può lasciare sole, sorella?» chiese Sally alla suora. Quella uscì senza rispondere. «Mamma perché, se devo lasciarla? Preferisco di no, io non voglio vederla.» «E se un domani ti pentissi? Cosa ti costa, non dovrai tenerla in braccio o allattarla, solo vederla per un minuto.» Sindy non riusciva a contraddire la madre nelle rare volte che la vedeva così determinata, e acconsentì. Sally uscì di corsa e rientrò poco dopo, tenendo tra le braccia un fagottino avvolto in un telo bianco. Non si muoveva ma emetteva dei sottili lamenti. «È bella?» chiese Sindy con un filo di voce, guardando con tenerezza la madre molto emozionata. «Lo è… Ascolta, l’assistente sociale ha detto che se vogliamo possiamo scegliere il nome di battesimo. Fuori ci sono già i genitori che aspettano e sono d’accordo, dai Sindy, dalle tu il nome!» Sally incalzò, sorrideva mentre le lacrime le cadevano sul viso come bambini su uno scivolo, finendo poi sul fagottino lagnante. Sindy si voltò dall’altra parte per non guardarla, sussurrò un nome che però Sally non capì. «Su, Sindy, ti prego fallo per me.» «Ho detto Alice, Alice per il libro preferito da me e dalla nonna: Alice nel paese delle meraviglie.»


29 «Ma non vorresti scegliere Daisy?» Sindy la interruppe, pregandola di smettere di tormentarla. Sally si arrese, la strinse tra le braccia e disse: «E Alice sia… buona vita, piccola mia.» «Portala via, mi fai sentire una merda!» le gridò Sindy che, pur non volendo, stava singhiozzando. Si strinse il ventre ancora molto dolorante e continuò a piangere in silenzio. Sally rientrò dopo un bel po’ e la figlia si chiese perché ci aveva messo tanto. Fuori, ad aspettare la piccola, c’erano i genitori, due persone per bene, avrebbe detto la nonna. Quando Sally rientrò, Sindy non piangeva già più, le si avvicinò al letto e le sussurrò: «Hai fatto la cosa giusta, piccola mia, almeno abbiamo accontentato la nonna, non hai abortito, lei non ce l’avrebbe perdonato. Avrà una famiglia come si deve e per bene, e tu potrai realizzare il tuo sogno.» Restarono vicine e ancora un po’ abbracciate, ma quando Sally si alzò dal letto, Sindy notò in lei una cosa strana, ma prima di farle domande, decise che doveva dormire per riprendersi il più velocemente possibile.


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CAPITOLO 5

Sindy rientrò a casa dopo due giorni, e non perse tempo a preparare le valigie. Sally entrò in camera sua, seguita a ruota da Pete. Gli occhi della madre erano gonfi, come se avesse pianto tutta la notte. «Allora siamo sicuri che la scuola te la paga tutta quel tuo professorino del cazzo?» chiese Pete, indicando i libri ancora sparsi sul letto. Sindy corrucciò la fronte e vide che la madre le faceva degli strani movimenti con gli occhi, poi si girò verso l’omaccione e lo spinse fuori dalla stanza. «Esci Pete, vorrei stare ancora un po’ sola con mia figlia.» Pete per tutta risposta ruttò e fece marcia indietro, scendendo le scale e borbottando qualcosa d’incomprensibile. «Lascialo perdere» fece Sally, aiutandola a finire la valigia. «Mamma, cosa intendeva con quella domanda? Chiaro che Paul non mi pagherà tutta la retta. Tu mi aiuterai, vero?» «Certo cara, lui non lo sa. Sai com’è, lui pensa che noi poveri dobbiamo andare a lavorare e basta, che ne sa della cultura quello.» «Non gli hai detto che dividerai la quota con Paul?» chiese sorpresa. Sally scosse la testa. «Stai tranquilla, lui non sa che riesco a mettere dei soldi da parte, non ti preoccupare» mentre la rassicurava e la aiutava a riporre i vestiti nella valigia, Sindy le osservò ancora una volta il collo incuriosita. Non aveva più la catenina della nonna con la lettera S d’oro pendente. Le chiese se l’avesse persa dato che, dalla morte di Daisy, non se l’era mai tolta. Sally, toccandosi il collo, sorrise continuando a piegarle i vestiti. «Non l’avrai mica venduta per ricavare dei soldi? La nonna ci teneva, lo sai.» Sally si sedette sul letto, e battendo la mano sul materasso le fece cenno di fare lo stesso, poi tirò sul col naso e la tranquillizzò raccontandole, con un filo di voce, la fine che aveva fatto quella catenina. «Ho fatto promettere la signora che l’avrebbe data alla bambina, ad Alice.» «Mamma…» «Lasciami finire, ha giurato che gliela farà portare e se un giorno le dirà la verità…» Sindy si alzò di scatto dal letto, interrompendola. «Basta, non voglio più saperne di questa storia. È tardi, Paul sarà già giù che mi aspetta dopo l’incrocio, non vuole venire qui e incontrare Pete.» «Peccato, avrei voluto salutare anche lui» disse quasi tra sé la donna,


31 pensando ancora una volta al suo Pete che le aveva demolito la vita e la sua libertà. *** Dopo un viaggio di quattro ore con la corriera, arrivarono nei pressi della casa di Bill Turner, l’amico di Paul, a Dumbo, nel primo pomeriggio di giovedì. Dumbo, Down Under the Manhattan Bridge Overpass, era un quartiere industriale in espansione, molti giovani si trasferivano trovando ambienti ampi a prezzi ridicoli a poche fermate di metro da Manhattan. Presto divenne un quartiere alla moda, e i vecchi magazzini trasformati in loft furono venduti a prezzi astronomici. Le strade acciottolate erano la caratteristica del posto, insieme alla famosa veduta dello skyline della metropoli. La fermata della corriera era proprio lì vicina. Accanto, un parco offriva delle panchine per ammirare il panorama. Paul guardava estasiato il sorriso di Sindy, che continuava a ripetere a denti stretti: «Incredibile.» Passarono davanti alla giostra con i cavalli Jane’s Carousel, e Paul le propose un giro per vederla ancora una volta stupita ma, senza saperlo, la stava illudendo sempre di più. Bill Turner era un piacevole uomo di mezza età, più alto di Paul, atletico, brizzolato con una frangia morbida nella quale spesso affondava le dita, spostando i capelli da un lato. Era un architetto con un buon giro di lavoro anche a Manhattan. La casa era su due piani, molto curata e accogliente, con la vista sul ponte di Brooklyn. Quando varcarono la soglia, Paul presentò la ragazza all’amico mentre appoggiava le sue valigie sulla moquette verde muschio. «Questa è la ragazza di cui ti parlavo.» «Piacere, Sindy Becker» si fece avanti e gli porse la mano. L’uomo gliela strinse, sorridendo. «Piacere, puoi chiamarmi Bill. Benvenuta nella grande mela. Ti piace New York? Sei felice?» Sindy diventò rossa e guardò Paul negli occhi, lui fece un cenno di rassicurazione, Bill la metteva un po’ a disagio. «Grazie signor Bill. Sì, sono molto felice!» I due uomini risero e Bill disse: «Nessun signore, siamo amici no? Paul mi ha parlato tutti i giorni di te. Se vuoi rinfrescarti fa’ pure, di là c’è il bagno» indicò il corridoio fuori dalla sala in cui si trovavano. Sindy ringraziò, ma il disagio non si era placato nonostante la cordialità di Bill. Poi aveva ancora molte perdite post parto, e non vedeva l’ora di andare al campus nella sua stanza. Avrebbe anche preso la pillola per asciugare il latte; il seno, ancora turgido, iniziava a espellere un fastidioso liquido che le bagnava il reggiseno. Paul lo percepì e accostandosi all’amico gli parlò


32 sottovoce, Sindy riuscì a captare qualche parola comprendendo che, utilizzando la sua auto, l’avrebbe accompagnata alla segreteria dell’università per le procedure d’iscrizione e che sarebbe tornato in serata. Sindy e Paul riuscirono velocemente a fare tutto in un’ora, essendo l’inizio di agosto non c’era molta gente. Arrivarono poi al campus, e Paul la accompagnò fino alla sua stanza. «Grazie Paul, sei troppo gentile. Come avrei fatto senza di te?» «Non so! Dai, voglio vedere dove sei sistemata.» Tutte quelle attenzioni offuscavano i pensieri di Sindy, sempre più affascinata e decisa a uscire al più presto allo scoperto e fargli capire che lo amava. Lui era un tipo timido, lo aveva detto una volta anche sua nonna, quando lo aveva incontrato alla festa d’inaugurazione del primo anno delle superiori. Per l’iscrizione, Paul aveva chiesto agli studenti con il punteggio della preiscrizione più alto, un aiuto nella preparazione della festa e proprio in quell’occasione Sindy conobbe il professor Gray. Era simpatico, giovane, ma per lei era semplicemente un professore. La nonna lo aveva invece studiato bene e si era accorta subito che la sensibilità di quell’uomo era particolare e lo aveva detto anche alla nipote: «Vedrai che con quel professore andrai d’accordo.» “Eccome nonna se andrò d’accordo. Come sempre ci hai preso. Io lo amo!”. Pensava a questo Sindy, mentre apriva la porta della sua camera. «Allora? Che ne dici della tua stanza?» Non era il massimo, tra tutti i campus era il più economico, l’arredamento era essenziale, l’armadietto destinato alle sue cose era proprio piccolo, il resto avrebbe dovuto lasciarlo nella valigia e ficcarlo sotto il letto. In un angolo faceva capolino un piccolo lavandino in porcellana, che implorava una pulita. La stanza, arieggiata da una finestra a due ante che dava su una pianta di tiglio togliendo la luce, avrebbe poi dovuto condividerla con una compagna, che per ora era ancora sconosciuta. Visto che Sindy non rispondeva, intenta a tastare il materasso basso e scucito in un angolo, si rispose da solo: «Non è un granché, ma tu devi pensare a studiare, vedrai che questi tre anni voleranno.» Sindy si voltò e lo ringraziò con le lacrime agli occhi. Lui le andò incontro, con le braccia aperte e la cinse in un abbraccio fraterno, ma molto stretto. Rimasero così per un po’, e Sindy si sentì protetta e rassicurata, appoggiando il suo viso sulla sua spalla. Dopo un po’ Paul si scostò da lei. «Ora vado, tanto abbiamo fatto tutto. Hai visto le attività che puoi fare in agosto? Visite in città, teatro, appuntamenti vari… insomma non ti annoierai» le lasciò il dépliant sul letto e si apprestò a uscire.


33 «Domani ci vediamo?» chiese Sindy, speranzosa. «Non so, domani devo prendere servizio alla nuova scuola, credo che sarò impegnato tutto il giorno. Tanto sabato o domenica ci vedremo per quel lavoro al locale, no? Ha detto Bill che ha già parlato con il tipo del Sid Lunch, e puoi cominciare quando vuoi. Se non riesci a usare la metropolitana, il numero della casa di Bill lo hai, ti veniamo a prendere, ma ti consiglio di iniziare a muoverti da sola, così sarai più indipendente.» Indipendente, come diceva sua nonna. «Appena puoi comprati un’auto per andare dove vuoi e sarai veramente libera.» «Allora ciao» la salutò velocemente e uscì senza voltarsi, quasi avesse qualcosa da fare di più importante che lo stava aspettando. Sindy rimase un po’ delusa, ma era consapevole che anche per lui era un momento complicato. Cambiava il lavoro e avrebbe condiviso l’appartamento con un amico. Ora la priorità era sistemarsi per tutti e due. La prima notte la passò quasi insonne. Forse era il letto, forse era l’emozione di tutta la giornata, forse era quel dolore al ventre che ogni tanto si faceva sentire. Si alzò quattro volte per andare in bagno. Ma il suo pensiero era sempre per Paul. Contava le ore che la separavano da quel sabato. Quando uscì la mattina tutto era deserto, incontrò solo personale delle pulizie. Qualcuno la salutò con gentilezza, altri la ignorarono. Arrivò davanti allo sportello di un gabbiotto con su scritto “Informazioni e prima accoglienza” dove c’era un signore di colore, molto grasso che si era appisolato sulla poltrona girevole, dietro una sorta di scrivania. Portava una giacca nera con il logo dell’università sul taschino a sinistra. Non aveva capelli ma se li avesse avuti sarebbero stati brizzolati, confermando un’età indefinita ma sicuramente sopra i cinquanta. Sindy bussò due volte. Lui aprì prima gli occhi, la scrutò arricciando il naso e stropicciandoselo con le sue mani grandi, poi con calma si tirò un po’ su e con gentilezza le chiese cosa volesse. «Sono nuova qui, mi può aiutare?» Lui fece un cenno roteando il dito indice, perché la ragazza continuasse a spiegare cosa volesse in concreto. «Vorrei sapere dov’è possibile telefonare e dove si può pranzare o fare colazione.» «Lo sa che siamo in agosto?» Sindy mosse il capo, era ovvio per lei. «Qui è aperto ma è come se fosse chiuso. Che ci fa già qui, non vede l’ora di iniziare, bella signorina?» «Be’, sì. La situazione a casa mia non è delle più rosee, preferisco stare qui visto che pagando posso stare anche ad agosto.»


34 L’uomo sbuffò ma più per il caldo che per le risposte della ragazza per la quale provava un po’ di pena mista a simpatia. «Lo vede quel corridoio? Lì trova le cabine telefoniche, si armi di molte monetine, perché quegli affari fregano i soldi. Se non li ha, può chiedere alla segreteria, oppure dica che deve fare una telefonata urgente. Se trova miss Jenny, stia alla larga, tutti gli altri sono brave persone, non faranno storie a una sbarbatella come lei.» «Grazie…» «Frank Buster, per tutti qui Busty.» «Grazie Busty, e per colazione?» «La mensa è chiusa fino al 15 agosto. Ma per quanto mi riguarda, potrebbe anche non aprire più, non si mangia un granché. Mi dia retta, fuori è pieno di locali a buon prezzo e molto più salutari della cucina di FUE4U.» «Scusi?» «Food U Enterprise for University.» Risero e Sindy si presentò, allungando la sua mano fino al vetro. «Io sono Sindy Becker» Busty si alzò molto più agilmente di quanto si poteva pensare vista la sua stazza. Fece il giro del gabbiotto e stese la mano per salutarla. «Molto piacere, Sindy sbarbatella. Ti troverai bene qui. Diamoci del tu e per qualsiasi cosa ti do il mio numero del cerca persone, sotto c’è anche quello di casa mia, ma mi troverai sempre qui dentro. A casa non mi aspetta nessuno» e mentre ficcava una mano nella tasca interna della giacca, riprese: «Mi sembra di capire che tu non te la passi come più della metà dei mocciosi che girano in questa università, quindi mi sei particolarmente simpatica, sbarbatella. Non esitare a chiamarmi.» Sindy prese il biglietto, ringraziandolo più volte mentre si allontanava verso i telefoni. Doveva chiamare la madre tra dieci minuti alle stalle, non a casa, lei stava aspettando la chiamata proprio lì. Non avevano tante cose da dirsi e, rassicurata la madre, Sindy decise di godersi la giornata alla conquista di New York.


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CAPITOLO 6

Finalmente arrivò sabato, e Sindy si pettinò con cura e si vestì bene, tanto che passando davanti al gabbiotto delle informazioni, sentì alle sue spalle il fischio di ammirazione di Busty, in piedi a un lato della parete, intento a mangiare una ciambella. Lei lo salutò con grazia, era la prima persona che aveva conosciuto e che si era offerta di aiutarla, ma presto si accorse amaramente che sarebbe stata anche l’unica. Busty le fece venire in mente che avrebbe potuto presentarsi a casa di Bill con un bel sacchetto di ciambelle per la colazione. Non ebbe difficoltà a raggiungere con i mezzi l’appartamento a Dumbo. Paul le aveva raccomandato d’imparare a muoversi in città, e lei lo aveva preso in parola. Poco prima che salisse le scalette davanti al portoncino socchiuso, Bill era sceso a buttare la spazzatura, ma non s’incrociarono. Erano solo le nove, stava per suonare quando si accorse che la porta era accostata. Invece di chiedere permesso, pensò di fischiettare ed entrare quasi furtivamente. Con il sacchetto delle ciambelle in mano entrò nel soggiorno, sentì la porta del bagno sbattere e Paul che diceva: «Ti ho mai detto che ti amo?» Poi i passi sulle scale, lei si voltò sorridente più che mai, e si trovò davanti il professore con un piccolo asciugamano avvolto attorno alla vita. «Sindy? Che ci fai?» Sindy era imbarazzata, capì che quelle parole non erano state indirizzate a lei. Chi c’era allora nella casa? «Scusa, non ti ricordi? Mi avevi dato appuntamento qui per oggi» intanto si guardava intorno per cercare la figura femminile alla quale poteva aver rivolto quella frase. «Certo che me lo ricordo, ma non sono neanche le nove…» Paul era imbarazzato e si guardava nervoso in giro. «È vero che non ti avevo dato un orario… nessun problema, resta qui un momento» la fece sedere intorno al tavolo della cucina e salì a vestirsi. Intanto Sindy aveva chiuso la porta e quando rientrò Bill dovette bussare, e dall’esterno sentì: «Ehi cucciolo, non sono scappato, sono solo andato a buttare la spazzatura. Mi hai chiuso fuori!» Sindy era sempre più confusa, cucciolo? Nel frattempo scese Paul, si era messo una maglietta dei Giants su dei jeans


36 ancora slacciati. Vestito così sportivo non lo aveva mai visto e le sembrò un’altra persona, aveva perso l’aria da professore ed era più affascinante che mai. Aprì la porta e Bill gli si gettò tra le braccia, ignaro della presenza di Sindy. Paul si ritirò ma era troppo tardi, la situazione era già molto chiara e a quel punto decise di uscire allo scoperto. «Ok, ok. Quello che vedi è la realtà. Siamo due gay e siamo molto innamorati. Spero di non averti deluso, te l’avrei detto un giorno, ti giuro. Tu sei una ragazza molto intelligente e comprensiva…» Dal viso di Sindy iniziarono a scendere delle lacrime, provò una forte vergogna e si sentì a disagio per aver scoperto in quel modo che Paul non era mai stato interessato a lei come avrebbe voluto, il fatto poi che fosse un gay la spaventò ancora di più. Iniziò a balbettare che doveva andare via, a niente valsero le suppliche di Paul a rimanere per andare insieme a vedere il posto di lavoro. Nella sua testa in quel momento c’era solo una voglia matta di trovarsi lontano da lì e piangere disperata. Paul la inseguì anche per strada, ma quando si accorse di non avere le scarpe rientrò a casa e Bill lo convinse a non correrle dietro e a lasciarle il tempo per capire. «Non vedi che è innamorata di te? Non te ne sei mai accorto in tutti questi anni?» «Ti ricordo che ha appena partorito e io non sono il padre.» «Non ho detto questo… perché avrei dovuto dubitare?» Stavano litigando per niente, e per la prima volta da quando si conoscevano. «Ma cosa dici! Credo che si sia legata a me solo da poco, ma credimi, io non le ho mai dato speranze…» «Sì, sì» fece annoiato Bill, che prese le sue chiavi sul mobile e usci sbattendo la porta, lasciando da solo Paul con le scarpe in mano. Sindy tornò velocemente al campus, e Busty era ancora fuori dal gabbiotto che passeggiava su e giù per l’androne del palazzo. Quando la vide in lacrime la chiamò e la esortò a parlargli. Non avrebbe voluto sentire nessuno, ma era troppo sola e Busty in quel momento era l’unico punto fermo nella sua tormentata esperienza newyorkese. Si rintanarono nel gabbiotto e lei gli raccontò tutto: la morte della nonna, la presenza di Pete, la gravidanza, la dedizione che Paul aveva avuto sempre nei suoi riguardi. Non poteva immaginare che lui avesse solo un interesse paterno nei suoi confronti. «Povera piccola paesana, qui siamo a New York, non è una stranezza trovare due ragazzi che… vivono insieme, diciamo. È quasi normale.» Ormai aveva smesso di piangere, anche se il naso le colava più di quando avesse l’influenza. Lui le porse un fazzoletto, la consolò e da quel momento la loro conoscenza diventò vera amicizia e Busty, per tutto il suo percorso universitario, fu veramente il suo punto fermo.


37 Restò tutto il giorno fuori dalla stanza, passeggiò nel giardino, si aspettava da un momento all’altro di vedere arrivare Paul. Invece per tutto quel maledetto sabato non si era fatto vivo. «Qualcuno mi ha cercato?» chiese passando davanti alla segreteria. «Chi sei? Nome, cognome e matricola.» «Sindy Becker, Sindy con la esse, la matricola è…» cercò nella borsetta il numero che ancora non aveva memorizzato. «Con la esse? No, nessuno ha cercato Sindy con la esse.» «Mi scusi signora.» «signorina Jenny, ragazza, io sono signorina Jenny.» Fu così che conobbe l’acida signorina Jenny. Nel tardo pomeriggio della domenica si presentò, al gabbiotto di Busty, Paul che chiese con gentilezza di chiamare la studentessa Becker. Lui immaginò subito che fosse il gay che aveva straziato il cuore della sua sbarbatella, e fece una risatina tra sé e sé. La chiamò con il citofono e lei scese di corsa, non perché smaniasse per vederlo ma aveva importanti cose da dirgli. «Hai fatto bene a venire tu da me. Devo parlarti.» Lui la seguì silenzioso fuori, e Busty li controllò curioso da lontano. Girarono per il parco, cercando una panchina all’ombra. Il sole era infuocato e insopportabile. «Volevo dirti che non voglio più che tu ti occupi di me. Troverò un lavoro e mi pagherò da sola la retta. È solo questo che dovevo dirti.» Lui la guardò con tristezza e fece un cenno d’assenso. Restarono in silenzio per qualche interminabile secondo, fino a quando lei non si alzò per tornare dentro. «Aspetta Sindy. Lo so di averti deluso, ma non credo di meritare questo tuo disprezzo. Sei ingiusta.» «Chi ha parlato di disprezzo? Ho solo detto che voglio uscire dalla tua vita. Per rispetto a te e a Bill, e soprattutto a me. È il momento di voltare pagina. La mia vita inizia ora, ed è anche grazie a te. Ma ora vorrei andare avanti con le mie forze» aveva preso in prestito alcune delle parole che aveva detto Busty per consolarla. «Sono d’accordo, però… voglio dire che tu, devi sapere che… che tu puoi sempre contare su di me» balbettò. «Grazie. Ne terrò conto. Ora però vorrei restare sola.» «Un’ultima cosa, eravamo d’accordo che ti avrei accompagnato al locale per il lavoro.» «No, non è più necessario. In questi giorni, girando per la città, ho trovato molti posti in cui poter lavorare. Me la caverò da sola anche per questo.» «Non sono d’accordo, Bill conosce bene il proprietario di quel locale e ti potrebbe…»


38 Lei lo interruppe, alzando un po’ il tono di voce: «Ho detto che voglio stare sola.» Paul capì che non era il momento d’insistere. La salutò, lei rispose con un cenno e corse fino alle gradinate del palazzo del campus. Si girò e vide che Paul era ancora seduto sulla panchina. Si voltò solo per un istante, salì i gradini senza piangere e si sentì orgogliosa di se stessa. Era vero che in molti posti della città cercavano personale. Cercò un locale di fronte a una piccola testata giornalistica, il Penny Press, un quotidiano dedicato agli immigrati newyorkesi fondato nella prima metà dell’Ottocento, il cui prezzo di un penny spiegava l’origine del nome. In questa redazione nacque la figura del giornalista professionista e il termine scoop. Il locale era aperto ventiquattr’ore su ventiquattro, e cercava camerieri, cassieri e personale per le pulizie. Sindy era arrivata in un momento favorevole. L’assunsero per lavorare nei giorni festivi alla cassa, ma con la clausola che si sarebbe adattata anche alle pulizie. Iniziò subito e assistette spesso a interessanti conversazioni tra clienti che lavoravano al giornale.


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CAPITOLO 7

Quando iniziò l’università fu felice. Sentiva la madre una volta a settimana e lei, conoscendo la nuova situazione, le mandava tutti i soldi per la retta del campus e dell’università, evidentemente riusciva a metterli da parte, pensò Sindy. In realtà Paul inviava ogni mese all’indirizzo di Eddie Carraro, la sua parte concordata in precedenza. Sindy non spiegò per quale ragione con Paul non si vedevano più, e Sally non chiese mai di lui. Sindy frequentò tutti gli anni del college con profitto, ma non ottenne mai le borse di studio, per cui continuò a pagare la retta. Oltre le ore di lavoro, trascorreva il suo tempo tra lezioni in aula e studio in biblioteca. Arrivò l’ultimo anno del college, rimaneva un esame e la discussione della tesi. Era tornata a Woodstock solo una volta in tutti quegli anni, e si era promessa di non rifarlo più. Le telefonate con la madre non erano più molto frequenti, a volte passavano anche settimane senza sentirla. Ed era proprio uno di quei periodi in cui era tanto che non si sentivano, Sindy non aveva chiamato più la madre da Natale, quando una mattina trovò un biglietto nella sua casella di posta. Era firmato “signorina Jenny”. Mentre scorreva velocemente gli occhi sul foglio, la sua compagna le chiese cosa avesse letto per farla sbiancare in quel modo. Nella sua stanza si alternarono molte compagne. Nessuno ambiva a dividere la camera con lei. Era troppo silenziosa, studiava e scriveva in continuazione. Non aveva molta vita sociale all’interno del Campus. Quando voleva scambiare quattro chiacchiere, preferiva trovarsi con Busty quando lui cambiava il turno o era in pausa, e spesso trascorrevano insieme il tempo libero. Non rispose alla compagna e scese subito verso la segreteria. Quando arrivò davanti allo sportello, fece un cenno. La signorina Jenny la invitò a entrare. «Salve, sono Sindy Becker.» «Lo so, ti conosco. Sindy con la esse.» «Quali problemi ci sono?» «Non lo so. Dimmi tu quali problemi ha tua madre. Sono cinque mesi che non paga la retta.» «Non paga?» chiese confusa e allarmata. Jenny tirò fuori da un archivio una cartella con il suo nome, e le mostrò un


40 bollettino. «Ecco, questo è l’ultimo pagamento. Ottobre, vedi? Se ora siamo a marzo, sono cinque mesi!» Sindy restò a bocca aperta, non si aspettava di trovarsi in quella situazione. Disse che avrebbe fatto una telefonata e avrebbe senza dubbio risolto il problema. Quando chiamò le scuderie, rispose Eddie. «Ciao Sindy, tua madre? Non lavora più da dopo Natale. Credevo lo sapessi.» «Ah, è vero mi scusi, l’abitudine.» Sindy mentì, non sapeva minimamente che lei non lavorasse più lì. Qualcosa era successo. La chiamò a casa, sperando che non rispondesse Pete. Non fu così fortunata. Sentì la cornetta alzarsi e un fiato pesante precedere la parola: «Pronto» pronunciata in modo da significare: «Chi cazzo sei e cosa vuoi?» «Pete sono Sindy, passami la mamma.» «Ciao Pete sono Sindy, come stai?» scimmiottò lui. «Non ti hanno insegnato neanche al college a essere educata, vero?» «Scusa Pete, come stai?» «Che te ne importa.» «Appunto, mi passi mamma?» Si sentì la cornetta sbattere contro il muro e la rauca voce di Pete urlare da sotto le scale: «Sally, Sally, Sally» continuava a gridare il nome della madre. Evidentemente non era in casa. Sindy restò in attesa per un periodo che le sembrò un’eternità. Stava quasi per mettere giù quando sentì un filo di voce: «Sindy… sei tu?» Aveva quella voce quando veniva svegliata con forza da qualcuno dopo aver bevuto. «Mamma che succede, stai male?» «No piccola, sto bene.» «Non mi sembra. È successo qualcosa? Qui al campus non hanno più ricevuto i soldi, e alle stalle hanno detto che ti sei licenziata.» Non arrivò nessuna risposta. «Sì, stai tranquilla. Se riesco oggi vado a fare un pagamento… quanto ti serve?» Da lontano si sentì la voce di Pete: «Dai a me» strappò la cornetta a Sally e continuò lui la conversazione: «Senti bene principessa. Gli accordi con tua madre erano che ti saresti pagata tu gli studi con l’aiuto di quel mezzo uomo del tuo professore. Soldi qui non ne abbiamo, sono stato chiaro?» Sindy era spaventata, la situazione in casa era chiaramente degenerata, così decise di partire quello stesso giorno per capire cosa stesse succedendo a sua madre. Aveva chiesto a miss Jenny una proroga, ma lei le aveva detto che almeno gli ultimi mesi dell’anno passato doveva liquidarli o avrebbe dovuto lasciare la stanza. I soldi che Sindy guadagnava al locale li spendeva solo per poche necessità personali, quindi, facendo due conti, ne aveva a


41 sufficienza per pagare almeno tre rate. Ma, come aveva chiesto la donna, gliene portò solo due. Subito dopo partì. Quando giunse al paese con la corriera, era pomeriggio. Il cielo era nuvoloso, e sembrava dovesse piovere da un momento all’altro. Arrivò presso la sua vecchia casa, e quasi non la riconobbe. O forse se la ricordava migliore di come l’aveva lasciata. La staccionata aveva una stecca sì e due no e sulla porta c’era ancora la corona natalizia impolverata e penzolante da una parte. Un prato incolto nascondeva quello che un tempo era il giardinetto davanti alla casa. Le aiuole di sassi fatte dalla nonna erano sepolte dalle erbacce. Entrò dal retro, sperando d’incontrare solo la madre. C’era uno strano silenzio, la casa era in ordine ma sembrava un luogo spettrale, sinistro, come nei film dell’orrore; si aspettava che da una porta uscisse qualcuno armato di falce per ucciderla. Appoggiò la borsa sul vecchio divano, e salì silenziosamente le scale. La luce che filtrava dalle finestre era appena sufficiente per vedere i gradini. Man mano che si avvicinava alle stanze da letto, sentiva un rantolo e un odore cattivo, tanto cattivo e acre che cercò di trattenere il respiro per non sentirlo. Quando aprì la porta della stanza di sua madre e di Pete, trovò un letto sfatto con le lenzuola grigie e i cuscini unti e traslucidi. Sua madre non era lì, e per fortuna non c’era neanche Pete. Andò nella sua vecchia stanza, che era socchiusa, e dalla quale proveniva il rantolo. Vide la madre pancia sotto, braccio abbandonato penzolante dal letto, che russava. Indossava un pigiama di almeno due taglie in più, lurido, con evidenti segni di vomito. Sindy fu presa dallo sconforto quando, chiamandola, si accorse che non riusciva a svegliarsi. Era ubriaca e la bottiglia vuota di gin sul comodino era la prova schiacciante. Si riprese da quell’attimo di scoramento e decise di scuoterla. La stanza puzzava di alcol e vomito, la sollevò dal letto e la trascinò in bagno. Le mise due dita in gola e, davanti al water fatiscente, la fece vomitare, poi la appoggiò alla vasca e vomitò anche lei. Sally pian piano si riprese e le sorrise, riconoscendola. Sindy le tolse il pigiama e andò nella stanza della madre per cercare abiti e biancheria intima puliti. Trovò solo magliette e gonne estive. Allora tornò nella sua stanza e aprendo il suo vecchio armadio le caddero addosso indumenti di ogni tipo accatastati uno sull’altro. Sindy raccolse quello che le sembrò più adatto e tornò in bagno. «Dov’è Pete, mamma?» Sally cercava a faticava di stare sulle sue gambe. «Che ci fai qui?» biascicò. «Ho chiesto dov’è Pete?» «Non lo so. Ma che ore sono?» «Sono le tre del pomeriggio. In casa non c’è nessuno.» «Sarà uscito, ormai mangia fuori anche a mezzogiorno.» «Mamma devi svegliarti. Perché non vai più a lavorare? Cosa sta


42 succedendo?» Sindy l’aiutò a lavarsi nella vasca. Le lavò anche i capelli e glieli raccolse in una coda. Le sembrarono diversi, avevano molte striature grigie, come un’anziana, e aveva appena compiuto poco più di quarant’anni. Scesero in cucina e Sally le raccontò tutto, mentre felice le accarezzava le mani. Raccontò che Pete aveva scovato il nascondiglio dei soldi che Sally aggiungeva all’assegno del professor Gray, e che poi inviava tutti i mesi con un bonifico intestato al campus. Fu allora che Sindy scoprì che Paul aveva continuato a pagare parte della sua retta. «Credevo che ce la facessi a pagare tutto, me lo avevi garantito.» «Il professore venne qualche giorno dopo la vostra partenza a trovarmi alle stalle e mi raccontò tutto, dicendo che non volevi più il suo aiuto. Io però ero sicura che non sarei riuscita a pagare quella retta. Allora mi fece giurare di non dirti nulla e da allora ogni mese m’invia, puntuale, la sua parte, che ora invece è nelle mani di quel verme bastardo.» Era Pete, che a causa dei suoi soliti debiti aveva deciso che Sindy doveva cavarsela da sola e che i soldi del professore, che lui chiamava l’elemosina, servivano di più a loro. Da molto tempo subiva anche la presenza di altre donne, che Pete si portava a casa, e questo spiegava il perché lei ora dormisse nell’altra stanza. Aveva poi iniziato a bere, e non era più riuscita ad andare alle stalle. Così aveva perso il lavoro e le continue sbronze non le avevano neanche permesso di chiamare la figlia per comunicarle la nuova situazione. Pregò ogni sera che Sindy riuscisse a cavarsela in qualche modo, anche senza i suoi soldi. Sindy prese una decisione drastica: raccattò i pochi stracci un po’ decenti della madre e li mise in una borsa. Poi le annunciò che sarebbe venuta via con lei e che avrebbe lasciato quel porcile per sempre. Una volta a bordo della corriera, Sally dormì per tutto il viaggio. Giunsero a New York in tarda serata, mentre pioveva a dirotto, presero un taxi per raggiungere al più presto la casa di Bill. Erano quasi tre anni che non lo vedeva né sentiva, ma era decisa a ottenere quello che voleva. Salirono gli scalini e Sindy suonò insistentemente il campanello. La pioggia continuava a scrosciare su di loro. «Andiamo via» diceva Sally. Aprì la porta proprio Paul, stupito di vedere le due donne completamente bagnate che chiedevano di entrare. Quando furono in casa, Bill preparò un tè caldo e Paul prese degli asciugamani puliti da un armadio. Sindy prese coraggio e gli disse: «Se è vero quello che mi dicesti anni fa, che ci saresti stato sempre per me, ora è arrivato quel momento, ho bisogno di te.» «Cosa posso fare?» chiese dopo un attimo di perplessità. «Aiutami con mia madre, oggi ho dovuto portarla via da Pete. Ti prego, troviamole un posto provvisorio.»


43 «Come fai a mantenerla, ti manca ancora un esame e la tesi, vuoi rinunciare a tutti i tuoi sforzi?» Sindy fu sorpresa di sentire che Paul, anche se da lontano e di nascosto, aveva seguito la sua carriera universitaria e fosse al corrente del punto in cui era arrivata. Si sentì grata e in debito per l’aiuto morale ed economico che lui le aveva sempre riservato. Bill, che era stato fino allora in silenzio, intervenne proponendo una perfetta soluzione. Dormirono lì, sul divano letto e la mattina dopo Bill accompagnò Sally in un centro sociale nel New Jersey, dove aveva lavorato, a titolo benefico, al rifacimento di un locale in disuso, donato da un comitato di signore benestanti. Il centro aiutava donne sole o maltrattate. Era immerso in un parco bellissimo e Sally, ben accolta grazie alla raccomandazione di Bill, si sistemò per un po’. A Sindy restava il problema della sua retta al campus. Lavorando più ore sarebbe riuscita a pagare le mensilità, ma questo avrebbe comportato l’allontanamento dal traguardo della sua laurea. «So che non potrò aiutarti, perché non me lo permetterai» disse Paul, e infatti Sindy non volle accettare altri aiuti, era sicura di potercela fare con le sue forze. Fine anteprima. Continua...


INDICE

Prologo............................................................................................ 5 Capitolo 1........................................................................................ 8 Capitolo 2...................................................................................... 15 Capitolo 3...................................................................................... 17 Capitolo 4...................................................................................... 24 Capitolo 5...................................................................................... 30 Capitolo 6...................................................................................... 35 Capitolo 7...................................................................................... 39 Capitolo 8...................................................................................... 44 Capitolo 9...................................................................................... 48 Capitolo 10.................................................................................... 54 Capitolo 11.................................................................................... 59 Capitolo 12.................................................................................... 64 Capitolo 13.................................................................................... 71 Capitolo 14.................................................................................... 76 Capitolo 15.................................................................................... 82 Capitolo 16.................................................................................... 86 Capitolo 17.................................................................................... 92 Capitolo 18.................................................................................. 102 Capitolo 19.................................................................................. 106 Capitolo 20.................................................................................. 110 Capitolo 21.................................................................................. 114 Capitolo 22.................................................................................. 119 Capitolo 23.................................................................................. 124 Capitolo 24.................................................................................. 127 Capitolo 25.................................................................................. 139 Capitolo 26.................................................................................. 145 Capitolo 27.................................................................................. 150 Capitolo 28.................................................................................. 157


Capitolo 29.................................................................................. 160 Capitolo 30.................................................................................. 168 Capitolo 31.................................................................................. 173 Capitolo 32.................................................................................. 179 Capitolo 33.................................................................................. 184 Capitolo 34.................................................................................. 193 Capitolo 35.................................................................................. 197 Epilogo........................................................................................ 206


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Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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