Rino Casazza
LE REGOLE DEL GIOCO Un’avventura di Auguste Dupin
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Serie BIG‐C Grandi Caratteri, lettura facilitata
LE REGOLE DEL GIOCO Copyright © 2013 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-538-0 Copertina: Immagine Shutterstock.com
Prima edizione Maggio 2013 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova
Gli scacchi sono il gioco più violento che esista (Gerry Kasparov) Gli scacchi, come la musica e l’amore, hanno il potere di rendere gli uomini felici (SiegbertTarrash)
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ISTRUZIONI PER L’USO Quando il mio amico Andrea Carlo Cappi, valente ed eclettico scrittore, ha pubblicato il romanzo breve Il gioco della Dama, mi sono precipitato a leggerlo. Per due motivi: prima di tuttoconoscendo il talento dell’autore ero sicuroche sarebbe stato bello, e non mi sbagliavo; in secondo luogo nel romanzo compariva quale antagonista del mitico Fantasma un monumento della letteratura, non solo per me, da sempre cultore del “giallo a enigma”: il cavalier Auguste Dupin, primo investigatore logico‐deduttivo, colui che rintracciò l’introvabile lettera rubata. Il gioco della dama è scritto con maestria ma ‐ ahimè ‐ per le esigenze di una trama calibrata “a orologeria” fa morire il monumento. Inoltre riprende una tesi discutibile del creatore di Dupin, lo scrittore americano che nella sua vasta opera ha di rado fallito un bersaglio: Edgard Allan Poe.
6 Nella storia d’esordio di Dupin, I delitti della rue Morgue, le sue argomentazioni sulla superiorità della dama rispetto agli scacchi lasciano, almeno a giudizio di un appassionato scacchista come il sottoscritto, molto a desiderare. Così, per riportare in vita il monumento e ristabilire i giusti rapporti tra i due giochi, ho deciso di scrivere il seguito de Il gioco della Dama, ovvero la storia che state per leggere. Auguste Dupin, per chi ancora non lo conoscesse, è protagonista di tre racconti di Poe: I delitti della rue Morgue, Il mistero di Mary Roget e La lettera rubata, tutti straordinari per molti versi. Il primo inizia con un celeberrimo “gioco di prestigio dell’investigatore”, modello utilizzato per tutte le figure di detective successive, in primis Sherlock Holmes. Dupin sta passeggiando in silenzio con un amicoe a un certo punto dice una battuta in risposta ai pensieri dell’altro. Telepatia? No, semplice deduzione, come Dupin inequivocabilmente spiega. I delitti della rue Morgue è il primo “giallo a enigma” della storia letteraria, ma nella costruzione dell’intreccio e più ancora nello scioglimento finale uno dei più moderni. Invito chiunque non l’avesse ancora fatto a leggerlo. Contiene infatti una famosa massima di Dupin che può
7 considerarsi il manifesto della detection classica: “In un’indagine come la nostra, non bisogna tanto chiedersi che cosa è successo bensì che cosa è successo che non è mai successo prima. Infatti la facilità con cui perverrò, o sono già pervenuto, alla soluzione del mistero, è direttamente proporzionale alla sua apparente insolubilità agli occhi della polizia”. Il mistero di Mary Roget è, a tutti gli effetti, una “reality fiction” ante litteram. Poe affida a Dupin il compito di indagare su un caso di cronaca nera al tempo ancora insoluto, e la soluzione proposta si rivelerà poi incredibilmente aderente a quella reale. La vicenda si svolgeva a New York, ma Poe la traspose mutatismutandis, basandosi unicamente sulle informazioni raccolte dai giornali, nella città di Dupin, Parigi. La lettera rubata è un gioiello che va la di là della letteratura poliziesca, rappresentando un contribuito ancora attuale alla filosofia della conoscenza e alla psicologia della percezione. Dupin viene incaricato di recuperare un documento nascosto in un luogo ben circoscritto, rivelatosi
8 introvabile nonostante ripetute ricerche a tappeto. La soluzione ha incantato, e ancora incanta generazioni di lettori, critici e scrittori. Oltre a Dupin, la storia ha altri due protagonisti: il Fantasma e gli scacchi. Il Fantasma. Celebre parente del moderno Diabolik, richiede al lettore un grande sforzo di complicità: accettare le doti trasformistiche dell’anti‐eroe, così straordinarie da lambire e forse superare il confine del soprannaturale. Sotto questo profilo non mi sono risparmiato, anche se ho fatto leva in pari misura sull’astuzia machiavellica del personaggio. Penso di non sbagliare di molto a sostenere che un personaggio come il Fantasma (cattivo, invincibile e mosso dai più estremi ma invitanti vizi umani) è la versione “antropomorfa” di una figura ingombrante dell’immaginario occidentale: il Demonio. Gli scacchi. Mi sono proposto di iniziare chi ne è digiuno alla ricchezza di questa straordinaria disciplina, metà sport e metà sistema logico, con la sua lunga storia fatta di personalità eccezionali, epiche rivalità, profondi dibattiti di idee, progressi geniali.
9 Nonostante tali caratteristiche ne facciano una prolifica fonte di ispirazione letteraria, le opere narrative ispirate agli scacchii sono poche, e nessuna lega i contenuti e l’articolazione della storia ai principi e alle tecniche di gioco. É ciò che ho cercato di fare io. Spero vivamente d’esserci riuscito.
APERTURAii Quando vedi una buona mossa, aspetta! Potresti trovarne una migliore. (EmanuelLasker)
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I
L’uomo conosciuto col nome di “Assassino Fantasma” per la sorpresa si lasciò sfuggire il monocolo. In vestaglia, seduto con le gambe accavallate a un tavolino sulla terrazza della Princier Suite dell’Hotel Napoleon in Avenue De Friedland, aveva appena finito di rifocillarsi con una ricca colazione, e stava scorrendo la copia di giornata di “Le Figaro”. L’occhio era cascato su una notizia che gli aveva fatto andare di traverso i due magnifici panorami di cui s’era riempito gli occhi al risveglio: quello dell’Arc de Triomphe sullo sfondo della Torre Eiffel, e l’altro, non meno gradevole, disteso tra le coperte disfatte del letto matrimoniale. IL CAVALIER AUGUSTE DUPIN RISPONDE AL CAMPIONE DEL MONDO DI SCACCHI EMANUEL LASKER.iii Amava i giochi per gusto innato della lotta e dell’azzardo, ma non era l’argomento del titolo ad averlo attratto,
14 quanto il primo nome. Infatti il cavalier Auguste Dupin non avrebbe dovuto ingaggiare dispute con chicchessia, per il semplice motivo che era morto da quasi un anno. Aveva visto con i suoi occhi il cranio del cavaliere rompersi sotto i colpi inferti, con un piedistallo in ferro battuto, dalle manine delicate di Madame Mignaud. Gran bella donna, Helena Mignaud. Bella e perversa; il massimo per lui. Gli era persino spiaciuto farla sparire nel nulla, quando gli era venuta a noia. O meglio, quando era divenuta appiccicosa senza servirgli più, disgraziatamente per lei. Per il momento MrsBurn, il superbo esemplare di femmina che riposava dalle fatiche d’amore in quella stanza del “Napoleon”, non era né appiccicosa né inutile. Per il momento. Un morto che disserta di scacchi… un enigma fatto su misura per il padre di tutti gli investigatori, salvo il fatto che era lui stesso il resuscitato. Si rimise il monocolo per immergersi nell’articolo. Dopo il brillante elogio del gioco degli scacchi intessuto su queste colonne dal grande campione tedesco, impegnato nella rivincita del torneo dell’Expo 1900iv, non si è fatta
15 attendere la risposta del più illustre sostenitore del gioco della dama, monsieur Auguste Dupin, l’investigatore dilettante che ha risolto il mistero della Rue Morgue e quello di Marie Roget. Prima di riportare il testo della gradita lettera che Dupin ci ha fatto pervenire, premettiamo il passo dell’intervista al dr. Lasker, pubblicata nei giorni scorsi, che ha ispirato l’intervento del nostro beneamato cavaliere, da troppo tempo lontano dalle luci della ribalta. Figaro: “Nell’immaginario pubblico il gioco degli scacchi è un’occupazione noiosa, fatta per persone che amano perder tempo in riflessioni interminabili e astruse. Molti dichiarano apertamente la loro preferenza verso altri giochi più dinamici e proficui per la mente, ad esempio la dama.” Lasker: “La dama? Ho grande rispetto per questo gioco, nel quale mi cimento con piacere. Ma mi lasci dire che gli scacchi hanno una varietà e una complessità ben maggiore, e per questo rappresentano una sfida molto più eccitante per l’intelletto. Come forse lei sa, le possibilità di svolgimento di una partita a scacchi sono molto superiori a quelle di una partita a dama. La dama è dominata da un meccanicismo (basti pensare all’obbligo di presa,
16 sconosciuto al gioco degli scacchi, tranne quando si tratti di salvare il Rev) che limita fortemente le scelte, facilitando previsioni precise sullo sviluppo del gioco. Negli scacchi, invece, la capacità di calcolo di noi mortali è insufficiente a comprendere le miriadi di varianti, per cui si deve ricorrere a intuizioni e sintesi semplificative, quando non addirittura a espedienti di carattere agonistico. Io ad esempio dò grande importanza alla psicologia dell’avversario, tanto da sostenere (ma l’avverto che è una teoria rifiutata da molti) che la mossa vincente non è quella oggettivamente migliore, ma la più indigesta per la personalità dell’antagonista. Insomma, se mi è consentita una metafora, giocare a dama è come navigare lungo la costa, esperienza entusiasmante, che richiede ottime capacità marinare; ma le rotte sono in numero definito, e calcolare la migliore è alla portata di qualsiasi lupo di mare accorto e con una buona esperienza. Dirò di più: se a dama i due contendenti giocano con un alto grado di attenzione e precisione, la partita non può finir che pari. Giocare a scacchi è invece come navigare in mezzo all’oceano, un’avventura costellata di insidie, incognite e imprevisti straordinariamente numerosi. A scacchi la parità si può ottenere solo con gran sforzo, dopo aver superato mille
17 ostacoli. E ciò vale anche per la vittoria…” Adesso la parola a monsieur Dupin. L’ospite della Princer Suite, che agli occhi altrui appariva come un quarantenne prestante, con capelli curati e lustri favoriti neri, distinto e facoltoso, e si presentava come monsieur LucValencienne, commerciante di Tolosa, distolse lo sguardo dalla pagina soffermandosi a riflettere. Imperdonabile che gli fosse sfuggita l’intervista a EmanuelLasker. Dopo aver trascorso mesi ad approfondire l’ambiente dello scacchismo internazionale, visto il piano che aveva in mente, era grave perdersi le dichiarazioni alla stampa del campione del mondo in carica, personaggio per molti versi straordinario. Il fatto era che doveva dedicarsi a Mrs Mary Fontaine (quella femmina notevole aveva origini francesi) Burn, occupazione decisamente impegnativa. Se si voleva, la responsabilità era del marito, Mr Amos Burnvi, secondo i commentatori uno dei migliori giocatori di scacchi al mondo del decennio appena trascorsoe ancor oggi un validissimo maestro. Un po’ come tutti gli
18 esponenti ad alto livello di quel gioco, Burn era un disadattato con manie bizzarre. Da anni era stato colto da crisi
mistico‐superstiziose
e
doveva
passare
in
raccoglimento la notte prima di ogni partita decisiva, circostanza ricorrente al torneo in corso al GrandCercle nell’aprile di quell’anno. Così aveva preso accordi in tal senso con una “trappe” cistercense ai confini di Parigi. Tra il ricco scacchista di mezz’età e l’avvenente moglie c’erano ventitré anni di differenza, e un abisso temperamentale. MrsBurn era una donna gaudente e ambiziosa, il suo consorte un uomo tormentato e introverso. Non geloso, perchéin fin dei contil’unica sua vera passione era il gioco degli scacchi, ma fiero della moglie come di un trofeo da esibire. Non c’era verso che la lasciasse sola, e anche quando giocava voleva che lo seguisse in prima fila tra il pubblico. Con ingenuità pensava (o forse non si poneva il problema,con la mente persa dietro a torri e regine) che la donna rimanesse ad aspettare virtuosamente il suo ritorno dai ritiri propiziatori. Il sedicente monsieur LucValencienne, compagno d’albergo della coppia, diventato loro amico durante
19 quella memorabile replica del torneo dell’Expo, aveva sedotto con facilità la signora Burn, e approfittava dei periodi di “meditazione” del marito per appagare l’ingordigia sessuale della donna. Non faceva per vantarsi, il pseudo commerciante di Tolosa che tutti conoscevano sotto il nome di “Assassino Fantasma” o più semplicemente “Fantasma”, ma il fascino che esercitava sulle femmine e le sue capacità amatorie erano ineguagliabili. Dio non volesse, però, che quelle fameliche immersioni erotiche lo impigrissero mentalmente. Non poteva permetterselo. Non volevapermetterselo. Non doveva dimenticare che anche la bella Mary FontaineBurn era come tutte le altre donne incontrate nella sua vita: punti d’appoggio per ambiziosi crimini, o strumenti di piacere “usa e getta”. Riprese a leggere. Illustrissimo direttore, come lei sa, io ormai non ho altro pensiero che godermi una placida e ritirata vecchiaia. Dalla celebrità non ho tratto appagamento neppure nelle circostanze in cui, in gioventù, l’efficacia del mio metodo
20 analitico rifulse di fronte a tutta la nazione. Mi premeva non la gloria personale, ma la diffusione dell’approccio logico‐ deduttivo alle indagini criminali. Devo dire che sono stato accontentato, visti i successi dei miei seguaci, e non mi riferisco solo alle imprese di monsieur Holmes nell’amica Inghilterra. Avessi dovuto seguire la mia inclinazione, non mi sarei preoccupato di confutare le pur acute teorie di herrLasker, di cui riconosco l’eccellenza non solo in campo scacchistico, ma anche, e direi soprattutto, in quello matematico. Tuttavia se l’ambizione a veder riconosciuta la validità dei propri argomenti non è motivo sufficiente per uscire dall’oblio, lo è l’esigenza di ristabilire, come direbbe il mio preferito pensatore d’oltralpe, la “realtà effettuale” (NdR: in italiano nel testo) evitando che false credenze nuocciano all’arte investigativa. É noto a tutti che monsieur Poe ‐ Dio abbia in gloria il suo genio travagliato‐ ha in un suo scritto riferito la mia opinione circa la superiorità della dama sugli scacchi. Se fosse una questione futile, non meriterebbe d’essere ripresa; ma si dà il caso che io abbia esposto quella teoria per esprimere l’essenza del metodo d’indagine che immeritatamente ho avuto il privilegio di applicare e divulgare per primo, e che è alla base di tanti successi delle
21 forze di polizia nella lotta alla delinquenza. Ebbene, io ribadisco che mai gli incaricati di un’indagine devono ragionare come un giocatore di scacchi, inchinandosi cioè a priori all’incommensurabile gioco combinatorio delle possibilità. Essi devono, al contrario, mettersi nell’ordine di idee di un giocatore di dama, che sa di poter governare, se sarà concentrato, tutte le possibili permutazioni, individuando con esattezza la strada per raggiungere la vittoria. In questo sta la superiorità, e direi anzi, più propriamente, la superiore scientificità della dama rispetto agli scacchi: questi ultimi sono un viaggio (molto allettante, non lo nego!) nel mare magnum dell’incertezza, mentre la prima è il territorio della ferrea concatenazione tra premesse e conseguenze. Dice bene il mio discepolo d’oltremanica (discepolo che ha superato il maestro, of course): scartato l’impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità. La metodica analisi che il buon giocatore di dama effettua sullo stato della partita e sui possibili sviluppi si ispira a un criterio simile. Un giocatore di scacchi invece, per esplicita ammissione del campione del mondo, non sa a quale destino andrà incontro, per le sorprese che lo attendono
22 dietro a ogni angolo. So che molti troveranno incompleta questa mia esposizione, alla luce della parte più suggestiva del resoconto di Mr. Poe riguardante la mossa “recherchée”. A tal proposito mi corre l’obbligo di precisare che il mio ottimo biografo si è lasciato prendere la mano (sia detto con il rispetto che la sua anima immortale merita) abbellendo con fronzoli letterari quello che voleva essere un semplice caso limite. É chiaro che in posizioni di parità una partita a dama può essere risolta solo con una trovata fuori dagli schemi, la mossa “recherchée”, appunto. Mi accorgo di aver abusato della Sua pazienza, e chiudo qui questa mia. Voglia gradire i miei ossequi, ed estenderli anche al dr. Lasker: è un onore incrociare il fioretto della dialettica con un uomo d’ingegno come lui. Il Fantasma ripiegò malcontento il giornale. Quella schermaglia tra il re degli scacchisti e quello degli investigatori era assai raffinata, ma rimaneva da spiegare come il secondo avesse potuto parteciparvi dall’aldilà. Applicando il metodo analitico di Dupin, che in questo caso veniva a proposito, per contare le spiegazioni bastavano e avanzavano le dita di una mano.
23 II
Nell’ufficio dell’ispettore Leputois alla sede della Sureté, sul QuaidesOrfevres, c’era subbuglio. L’ispettore portava ancora i segni della tremenda botta in testa ricevuta in occasione dell’incontro ravvicinato col Fantasma, un anno prima. Soffriva di fortissimi attacchi d’emicrania e soprattutto, secondo il suo più dotato collaboratore, il vice‐ispettore Juve, di una patologica forma di rigidità mentale. Lo dimostrava l’ostinazione nel negare, pur di fronte a prove certe, l’esistenza del criminale chiamato il “Fantasma”. Per la verità, anche prima del tragico episodio in cui avevano perso la vita tre persone, tra cui una gloria nazionale come il cavalier Auguste Dupin, l’ispettore era restio a prendere in considerazione l’idea di un criminale dalle mille facce, crudele e inafferrabile, ma almeno si concedeva il beneficio del dubbio; paradossalmente, dopo che l’aveva visto all’opera, scampando alla morte per pura benevolenza del destino, ai suoi occhi il Fantasma aveva acquisito in via definitivai connotati della
24 leggenda buona per i giornali e il popolino, e non c’era verso di fargli cambiare idea. Secondo lui quella sera a Monmatre la polizia s’era scontrata con una banda di rapinatori che, per sviare le indagini, aveva messo in piedi la messinscena del duello tra Dupin e il Fantasma. Lo dimostrava il fatto che una sola persona non avrebbe potuto compiere quella vera e propria strage, né tantomeno sopraffare Dupin, che sarà anche stato un intellettuale maldestro con le armi, ma aveva pur sempre sotto mira della sua pistola il presunto Fantasma. Qualcuno, anzi più d’uno con tutta evidenza, avevano aiutato quest’ultimo ad avere la meglio sul cavaliere. E anche la signora Mignaud non la raccontava giusta, non a caso dopo il proscioglimento dall’accusa di complicità si era misteriosamente eclissata. Juve cominciava a credere che il Fantasma avesse messo fuori uso di proposito la parte del cervello di Leputois che governava il senso d’incredulità, così da avere in seno alla Polizia un involontario, importante alleato. Il vice‐ispettore si chiedeva come mai negli alti gradi della Sureté non si fossero ancora accorti che il suo capo era un incapace. Ma la risposta era semplice: ammettere che un criminale
25 si faceva beffe in modo spettacolare delle forze dell’ordine era troppo imbarazzante, e faceva comodo appoggiare lo scetticismo, invero assai diffuso, sulla reale esistenza del Fantasma. Nessun dubbio che Leputois fosse un esponente di punta di questo filone di pensiero… «Non diciamo stupidaggini!» stava urlando l’ispettore, dopo aver sbattuto sulla scrivania una copia di Le Figaro «Auguste Dupin è morto e sepolto!» «Sono d’accordo»replicò Juve sorridendo ironico «ma con alcuni distinguo che forse rendono al cavaliere un po’ della vita perduta.» Il giovane vice‐ispettore aveva ben preso scoperto che sciorinare beffardi paradossi all’ispettore era non solo una soddisfazione impagabile, ma anche il modo migliore per trattare con lui. Completamente privo di senso d’ironia e,soprattutto,di autoironia,Leputois scambiava le battute altrui per acute osservazioni. Spesso lo erano, almeno quelle di Juve, ma l’ispettore, se sulle prime ne rimaneva meravigliato e come ammirato, non tardava a respingerle con la solita superficiale spocchia. Nondimeno valeva la pena provarci;
26 chissà mai che qualche volta non accadesse il miracolo di riuscire a convincerlo! «Innanzitutto» iniziò Juve, di fronte alla faccia vagamente inebetita del Capo «Dupin non può essere morto per il direttore del Figaro né, in generale, per la pubblica opinione. Non tanto perché i grandi uomini sopravvivono nella considerazione dei posteri, ma perché secondo sua esplicita volontà il cavaliere è stato cremato senza dare notizia della morte. La lettera che ci ha fatto pervenire era chiara, ricorda? Posso quasi citare a memoria: “a malapena tollererei che il mondo sapesse che sono morto di vecchiaia, ma che diventi pubblica la mia morte violenta per mano della criminalità, questo no, non posso accettarlo”. Ancora una volta con questa presa di posizione Dupin difendeva non se stesso, ma il simbolo che incarnava. Sarà d’accordo, ispettore, che la macchina pensante, il deduttore infallibile non può soccombere sotto i colpi dei delinquenti su cui indaga. Altrimenti, se non riuscisse nemmeno ad anticipare le loro insidie, che macchina pensante, che deduttore infallibile sarebbe? Tra parentesi, l’invulnerabilità dei detective sta diventando uno stucchevole cliché. Mi risulta che i colpevoli accettino ormai di assistere buoni buoni allo scioglimento
27 dell’enigma da parte del detective, riconoscendone la bravura con decoubertiano fair‐play, senza tentativi di fuga o altri colpi di coda quando vengono smascherati. Bah… comunque, il direttore di Le Figaro è da assolvere per essersi prestato alla “resurrezione” di Dupin; è convinto che sia vivo e vegeto.» «Bella figura per un giornalista ignorare un dettaglio fondamentale della notizia pubblicata!» «Anche qui ha ragione, ma non del tutto, ispettore. Il direttore ha certo preso un granchio, ma non dimentichiamo che la Suretè si è prodigata per tenere segreti molti particolari sul fatto di Montmatre, che se divulgato fedelmente sarebbe apparso per quel che era: un’ingloriosa débâcle… tra questi particolari “omessi” c’era non solo la morte, ma anche la presenza di Dupin all’imboscata. Quanto alla possibilità che la notizia della scomparsa si diffondesse comunque, be’, non c’è da farci troppo conto.Il cavaliere era molto anziano e viveva come un orso solitario, sotto falso nome, senza più parenti e senza altri amici che i suoi due adorati gatti. Facile che nessuno si sia accorto della sua dipartita, come nessuno prima si rammentava praticamente più della sua
28 esistenza.» Leputois saltò su con espressione trionfante, convinto di aver trovato una falla nel ragionamento del suo collaboratore. «Ma allora il suo chiodo fisso, ispettore? Il Fantasma avrebbe avuto tutto l’interesse a strombazzare la lezione impartita alle forze dell’ordine! Non sarà che non l’ha fatto perché, appunto, non esiste?» Juve sorrise, paziente. «Si vede che lei non conosce il nostro più temibile avversario! Il Fantasma rifugge la pubblicità. Dico di più: è proprio la scarsità e la vaghezza delle notizie su di lui a procurargli la libertà d’azione necessaria per le sue imprese. Il Fantasma si realizza nei suoi crimini. La fama non gli interessa. Di Dupin gli importava solo toglierlo di mezzo, non vantarsi di averlo fatto.» Leputois s’innervosì. «Lei diventa ogni giorno più saccente, caro vice‐ispettore» calcò la voce sul “vice” «nonostantela sua giovane età e la sua scarsa esperienza. Sentiamo, che cosa propone?» «So che lei vorrebbe incriminare il direttore di Le Figaro per pubblicazione di false notizie. Se permette io invece vorrei andare a fargli qualche domanda. Monsieur
29 Dominique Flaminì è di origini italiane e con gli italiani, si sa, si chiacchiera sempre proficuamente…» Fine anteprima Continua...