Legami eterni

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In uscita il 25/6/2014 (15,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine luglio e inizio agosto 2014 (5,99 euro)

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ROSA PEZZUTO

LEGAMI ETERNI

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LEGAMI ETERNI Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-733-9 In copertina: Immagine di www.stranamentedesign.it Foto: Foto Invidia Squinzano

Prima edizione Giugno 2014 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


Alle mie lettrici e ai miei lettori



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Prologo

501 anni prima La falce di Luna ghignava luminosa nel cielo, oscurata a tratti dal denso fumo che s’innalzava dal falò acceso al centro della piazza del villaggio. Le urla di trionfo degli uomini si univano alla musica, ai canti e al crepitare del fuoco che divorava implacabile le carcasse dei mostri uccisi durante il giorno. Il capo villaggio e i suoi fidati giravano tronfi tra i compaesani, vantandosi con le donne della loro impresa, agitando tra le mani i bastoni alle cui estremità erano state infilzate le teste delle creature. In tutto quel frastuono, nessuno udì il feroce ruggito che riecheggiò come un presagio di morte dal vecchio castello in cima alla collina. Il cucciolo li osservava furente dalla finestra della torre, lasciando che la rabbia alimentasse la sete di vendetta. Piccoli insulsi bifolchi! Come avevano osato? Si lanciò nel vuoto, atterrando agilmente con un leggero tonfo sull’erba morbida, per poi darsi lo slancio in una folle corsa attraverso la foresta. Gli animali notturni fuggivano terrorizzati, persino gli alberi sembravano spostarsi per lasciarlo passare e non incappare nella sua furia. L’odio dentro di lui era come una tempesta che si addensava minacciosa all’orizzonte e che presto avrebbe travolto quella marmaglia di umani, costringendoli a strisciare al suolo come i vermi che erano, chiedendo pietà. Continuando a correre, riducendosi a una folata di vento tra i rami e le foglie, giunse al limitare della foresta, attraversò in meno di un battito di ciglia lo spiazzo erboso che lo divideva dalle misere case e attaccò l’umano che ridicolizzava e umiliava ciò che rimaneva di sua madre. Non appena il corpo di quell’uomo cadde al suolo senza testa, le urla di giubilo si tramutarono in grida d’orrore, in una cacofonia di suoni che raggiunse le orecchie del cucciolo, provocandogli una forte scarica di piacere.


6 Non importava quanto corressero. Non importava quanto urlassero. Non importava quanto pregassero. Non importava dove si nascondessero. Uno dopo l’altro donne, uomini, vecchi e bambini pagarono per lo sterminio della sua famiglia. Quando si rese conto di averli uccisi tutti, si fermò. Osservò il tappeto di cadaveri con un senso di vuoto, cercando con lo sguardo fino a trovare le teste dei suoi genitori e del resto del suo clan. Non aveva scelta, le avrebbe bruciate, ma non lì, non insieme a quei miserabili ottusi e ignoranti. Rase al suolo il villaggio con il fuoco, cancellandolo dalla faccia della terra come se non fosse mai esistito, e tornò al castello con i resti dei suoi simili.

501 anni dopo, oggi Raul si pulì la bocca con il dorso della mano, raccogliendo il rivolo di sangue sfuggito alle sue labbra. Lasciò cadere per terra il corpo senza vita dell’umana da cui si era appena nutrito e si allontanò, turbato. Da molto tempo non rammentava con tanta dovizia di particolari il giorno della sua iniziazione alla caccia. Aveva solo vent’anni, i suoi genitori non gli avevano ancora concesso il permesso di procacciarsi il cibo da solo e lo proteggevano dal giorno e dallo sguardo degli umani con ossessione maniacale. Era stata proprio quell’ossessione a salvarlo dall’attacco al castello quel maledetto giorno. Quando si era svegliato al calar delle tenebre, aveva avvertito un insolito silenzio; il suo olfatto, seppur non ancora perfettamente sviluppato, aveva percepito con chiarezza l’odore del sangue e della morte. Dei sui genitori e degli altri pochi membri del suo clan non c’era altra traccia se non delle macchie di sangue su pavimento e pareti. Riuscì a immaginare la scena: quei bifolchi che entravano in massa e uccidevano. Qualcuno di loro doveva essere morto durante il tentativo dei suoi simili di difendersi, come dimostrava la forte presenza di sangue umano. Le finestre erano state spalancate, le spranghe distrutte e rimosse di certo prima dell’attacco vero e proprio, segno che gli umani erano riusciti a sopraffare il suo clan grazie al sole. Nonostante l’inesperienza e la giovane età, si era dimostrato all’altezza del purosangue che era. Li aveva massacrati tutti.


7 Ricordò come avesse osservato a lungo il volto di sua madre, prima di bruciarne la testa insieme a quella di suo padre e degli altri. Era splendida persino nella morte… Perché aveva rivangato quei ricordi? Perché proprio in quel momento? Forse la risposta stava nel fatto di essere andato di persona a caccia per le strade, dopo tanto tempo. Da quando era entrato a far parte del seguito di Ares, divenendo suo comandante in seconda, c’era sempre stato qualcuno a servirlo e a portargli le prede nel covo. Ora che il clan si era sfaldato e c’erano state parecchie perdite a causa dei cacciatori che lui aveva condotto nel nascondiglio con il suo tradimento, i pochi vampiri rimasti gli servivano per rimpolpare le sue fila, andando in giro a cercare qualche solitario o qualche altro clan valido che volesse unirsi a lui. Doveva instaurare un nuovo comando: il suo. Aveva imparato molto vivendo con Ares. In pratica aveva mandato avanti la baracca in sua vece già da prima che lui morisse, dato che il master se ne stava sempre nascosto tra i suoi libri in eterna contemplazione dei misteri del mondo. Rammentò come avesse vagato di città in città, di paese in paese, dopo essere rimasto solo, e di come si era unito ad Ares per via delle sue idee contrarie a un’alleanza con gli umani. Credeva che sarebbero rimasti fianco a fianco per l’eternità. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe cambiato tutto? In quel momento il volto di una ragazza umana invase la sua mente. No, non più umana ormai, e neanche vampiro, ma qualcosa che nemmeno lui comprendeva del tutto. Alisia Archer, la cacciatrice, la ragione per cui aveva tradito Ares, la ragione per cui si sentiva costantemente pieno di rabbia e frustrazione. Si immise silenzioso nel flusso di gente nella strada principale, una macchia nera tra i colori e le luci dei negozi, una nota stonata tra la marmaglia di umani che passeggiavano nelle vie dello shopping. Raggiunse la sua Lamborghini nera e vi salì, estraniandosi da quel mondo a cui non apparteneva. Prima di avviare il motore, si concesse il piccolo piacere d’inspirare a fondo l’odore di cui l’abitacolo era ancora impregnato. Non era che una flebile traccia ormai, ma si poteva ancora percepire. Ecco perché si ostinava a uscire con quell’auto, nonostante potesse farne benissimo a meno. La fragranza straordinaria di Alisia era ancora lì.



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Il vento portava l’odore della morte. Alisia si fermò un momento e annusò l’aria. Le bastarono pochi secondi per individuare la scia e seguirla. I sensi la portarono in un vicolo alle spalle di uno dei locali notturni più popolari dell’ultimo periodo. Una giovane donna, no, una ragazzina di non più di sedici anni, agghindata e truccata per apparire più grande, giaceva prona dietro al cassonetto per l’immondizia con il collo posizionato in un’angolazione innaturale. Il trucco era sbavato per le lacrime versate e i vestiti erano ricoperti di sangue. Nascondendosi tra le ombre per celarsi allo sguardo di eventuali occhi indiscreti, Alisia studiò l’intera scena con attenzione, raccogliendo ogni indizio, ogni particolare. Oltre all’odore della vittima, dell’asfalto umido e del fetore proveniente dal cassonetto, non c’era altra traccia olfattiva. Quello era un particolare importante. Se fosse stato un omicidio perpetrato da un umano, ci sarebbero state delle tracce. Se fosse stato un vampiro qualunque, Alisia lo avrebbe sentito, percepito con ogni senso. Riprese a studiare il cadavere. C’era qualcosa che non quadrava. Si piegò e spostò il corpo supino con delicatezza. «Ma che?» si domandò, vedendo che la vittima era stata sventrata. Dai segni visibili era evidente che qualcosa si era cibato di lei. Sconcertata, annusò ancora in giro. Nulla. Stava per contattare il capogruppo quando la sua vista periferica l’avvisò di un pericolo imminente. Scartò all’indietro evitando che un enorme pugno la colpisse alla tempia. Cercò di identificare l’aggressore, ma quello stava già fuggendo. Senza esitare Alisia si lanciò all’inseguimento. Non lo percepiva; la sua unica possibilità era non perderlo di vista neanche un secondo, ma era straordinariamente veloce e si muoveva in modo strano. «Avanti, amico» sussurrò Aitan osservando il giovane vampiro che si nutriva «hai già bevuto a sufficienza.»


10 Lo aveva seguito dopo averlo visto uscire da un locale con la biondina da cui ora beveva avido. Si era comportato bene, fino a quel momento. Gli avrebbe concesso altri cinque secondi, poi sarebbe intervenuto. Proprio quando stava per entrare in azione, il pivellino lasciò andare la preda, la guardò dritto negli occhi, modificandole la memoria, e riprese a passeggiare con lei, gestendo bene la confusione post-eliminazione ricordi della sua occasionale compagna umana. Un lieve fruscio nell’auricolare lo avvertì di una comunicazione imminente. «Aitan!» l’urgenza nella voce di Alisia mise in allerta tutti i suoi sensi «abbiamo un codice 3, raggiungimi subito.» Si mosse veloce per raggiungere la sua compagna. Codice 3, alias: inseguimento in corso. Mentre correva a tutta velocità, qualcosa di enorme gli tagliò la strada, sorprendendolo. Non aveva percepito nulla. La figura esile e agile di Alisia lo raggiunse e lui l’affiancò nella caccia. Si lanciarono un’occhiata e lui capì, annuì e cambiò direzione. Doveva riuscire a raggiungerlo e bloccarlo usufruendo di una scorciatoia che, a quanto pareva, il fuggiasco non conosceva. Riuscì nell’intento. Lo sconosciuto si bloccò di colpo alla vista di Aitan e si guardò alle spalle, dove Alisia ormai li aveva raggiunti. Era enorme e coperto di nero dalla testa ai piedi. Lei cercò di guardarlo negli occhi, ma il cappuccio della felpa che indossava glielo impediva. Aitan era riuscito a bloccare quello che di sicuro doveva essere l’assassino della ragazza nel vicolo. Non percepiva nulla provenire da lui. Se non fosse stato per il fatto che era lì, davanti ai suoi occhi, Alisia avrebbe potuto dire che tra lei e Aitan non c’era nessuno. Lo sconosciuto emise uno strano verso soffocato, spostando frenetico l’attenzione da uno all’altra. Alisia attaccò, ma quello fu più veloce; schivò il suo colpo e la scaraventò con violenza inaudita contro il muro scrostato di uno dei palazzi vicini per poi fuggire via. Aitan esitò, ma poi riprese l’inseguimento dopo averla vista rimettersi in piedi. Quel tizio, chiunque o qualunque cosa fosse, era molto forte e veloce. Da quel poco che aveva visto, non sembrava essere a conoscenza di nessun metodo di combattimento. Colpiva e basta, come un dilettante in una rissa. Eppure ciò non sembrava essere un handicap per lui.


11 Alisia tornò ad affiancare Aitan. Il problema era che non riuscivano a raggiungere quell’energumeno gigantesco. Aitan si rese conto che l’inseguimento li stava portando dritti verso le strade affollate di gente che passeggiava. Si volse a guardare Alisia e si rese conto che anche lei stava pensando la stessa cosa. In quel momento, dall’altra parte del vicolo comparvero altri due cacciatori. Erano Fuyumi e Yato. «Fermalo, Yato!» esclamò Alisia. Il vampiro si mosse fulmineo, il fuggiasco si bloccò, in apparenza incerto sul da farsi. Aitan pensò che fosse la volta buona, quando quello spiccò un balzo impressionante, raggiungendo uno dei tetti vicini. Senza indugiare Alisia lo imitò e Aitan la seguì, mentre Fuyumi urlava loro di aspettare. All’improvviso, però, lo persero di vista. Era sparito. «Dove diavolo si è cacciato?» ringhiò Aitan. «Perlustriamo la zona» disse Alisia con calma, per poi indicare all’amica rimasta in strada di setacciare per bene i vicoli limitrofi. Quando interruppe la comunicazione, si rivolse di nuovo ad Aitan: «Hai idea di cosa fosse quella cosa?» Aitan la guardò per un momento. «No» rispose. In silenzio, ripresero la ronda. «L’alba sta per arrivare» disse il giovane comandante Jess Wilkins passandosi una mano tra i capelli biondi con aria distratta, apprestandosi ad ascoltare il resoconto della nottata di caccia dei componenti del suo gruppo. Quando tutti ebbero terminato, li lasciò andare. «Non credo che troveremo altri vampiri in giro, possiamo tornare a casa.» I cacciatori si liberarono dei comunicatori wireless e cominciarono ad allontanarsi. Prima di andare via, però, Alisia affiancò Jess e gli chiese: «E con questo nuovo problema? Cosa facciamo?» «Contatterò il capo» rispose lui «ne riparleremo alla prossima riunione.» La giovane annuì, poi lo osservò mentre saliva sulla camionetta insieme agli altri.


12 Aitan guardò la sua piccola Alis mentre gli si avvicinava, i lunghi e mossi capelli castano-ramati legati a coda e gli occhi di un chiarissimo, glaciale color ametista che lo guardavano sorridenti. Nonostante avesse provveduto di persona a trasformarla, facendole bere il suo sangue per salvarle la vita dopo che un master anarchico l’aveva ferita a morte, Alisia Archer non era diventata un vampiro. Nata in una famiglia di cacciatori, la ragazzina portava dentro di sé anche il DNA di un purosangue della razza vampirica, fratello di quello stesso bastardo che aveva rischiato di mandarla all’altro mondo e padre di sua madre, morta dopo averla data alla luce. Quella madre per metà umana, che di sicuro non aveva la più pallida idea di essere mezzosangue e che era stata la causa principale della reclusione di Aitan nella cella scarlatta nelle viscere del castello degli Archer, finché Alis non lo aveva liberato. Il fatto che il DNA delle due razze, cacciatore e vampiro, si fosse unito in un unico essere, aveva dato origine a una creatura insolita, non del tutto umana e non del tutto vampiro, mai esistita prima, straordinaria, che si nutriva come un comune mortale ma integrava la dieta con il sangue di vampiro, che la rendeva sempre più forte. Si avvicinò a loro anche Fuyumi che, cosa davvero inspiegabile, era la migliore amica di Alisia. L’insopportabile, arrogante piccoletta dagli occhi a mandorla gli lanciò una strana occhiata, ma Aitan la ignorò. Osservò le due ragazze parlare mentre Yato, il vampiro guardiano di Fuyumi, attendeva la sua padrona a distanza di pochi passi. Lo aveva sempre compatito; sopportare un tipetto come lei richiedeva una massiccia dose di pazienza e autocontrollo. Aveva l’impressione che quel poveraccio rischiasse l’attivazione del sigillo ogni giorno. Un vento leggero prese a spirare sulla città, mentre il cielo cominciava a liberarsi dall’oscura coltre della notte. Aitan e Alisia si avviarono verso casa, correndo insieme per le vie deserte. Gli piacevano quei momenti con lei, quegli stralci di vita da passare come due anime libere e selvagge, fregandosene del fatto che il mondo, per quanto tentasse, non poteva stare al loro passo. Poco gli importava che i vampiri dell’Alleanza, ancora sotto sigillo, lo guardassero male, sparlando di lui senza preoccuparsi che potesse sentirli; anche Aitan era stato sigillato, e forse anche lui avrebbe reagito allo stesso modo, un tempo. Ora, però, l’unica cosa che contava era Alisia. Il castello degli Archer si stagliò imponente davanti a loro. Dopo essere entrati, il vampiro l’abbracciò alle spalle, cingendole la vita, e lei si abbandonò contro di lui.


13 Aitan affondò il volto nell’incavo tra il collo e la spalla della ragazza, assaporandone l’odore, per poi darle un lieve bacio. «Vieni giù?» le domandò parlandole nell’orecchio. «Sì» gli rispose senza esitare «lascio le armi e arrivo.» Il cielo si tinse di viola, ricordando al vampiro che il sole stava per aprire il sipario su un nuovo giorno. «Ti aspetto.» Si allontanò, raggiungendo la sua camera nei sotterranei.


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Alisia si destò circondata dalle braccia di Aitan. Lanciò un’occhiata all’orologio da comodino lì a fianco e capì che doveva sbrigarsi. Non appena accennò a muoversi il vampiro la strinse con più forza, affondando il volto tra i suoi capelli mentre continuava a sonnecchiare. Un lieve sorriso le stirò le labbra, prima di riprovare ad alzarsi. Il grugnito di disapprovazione di Aitan le strappò una risata: «Ho un pranzo di lavoro tra meno di un’ora» sussurrò. Sapeva che poteva sentirla, anche se stava dormendo. Attese qualche secondo, poi finalmente il compagno la lasciò andare. Neanche lei gradiva quelle separazioni forzate, ma doveva lavorare. Stampò un bacio sulle labbra di Aitan prima di risalire ai piani superiori e dirigersi verso il proprio bagno personale e fare una doccia veloce. Indossò un tailleur con pantalone e scarpe con il tacco, tutto di un rigoroso nero. Raccolse i capelli a coda di cavallo e aprì uno degli scomparti blindati a combinazione all’interno della sua cabina armadio, dove conservava i preziosi. Scelse delle semplici ed eleganti perle, che applicò ai lobi delle orecchie, e lo splendido anello con rubino e diamanti, dono di Aitan per il suo diciottesimo compleanno. Il suo fedele maggiordomo, Charles, l’attendeva in soggiorno; tra le mani aveva un vassoio d’argento su cui erano posati un bicchiere con del succo d’arancia e tre quotidiani diversi, come sempre. «Buongiorno, signorina. L’auto è già pronta, possiamo andare quando vuole.» «Buongiorno, Charles. Temo di aver fatto tardi questa mattina, meglio sbrigarsi.» «Come desidera.» Raul si era sentito inquieto per tutta la notte. Aveva stipulato un accordo con un piccolo clan locale, e per suggellare la nuova collaborazione era andato a caccia con il loro capo, fingendo di abbassarsi al suo livello. Si era sentito osservato per tutto il tempo.


15 Era come se qualcuno lo stesse pedinando, come se ci fossero due occhi puntati sulla sua nuca, ma non vedeva né sentiva nessuno. Il che lo rese nervoso e guardingo. Verso l’alba quella strana sensazione sembrò dileguarsi e la tensione dentro di lui si allentò. Non del tutto però. Mentre ritornava al covo provvisorio, fece particolare attenzione affinché nessuno lo seguisse, scoprendo dove si nascondeva. Dopo l’assalto dell’Alleanza in cui Ares, il precedente master, era morto, aveva scoperto che i cacciatori erano riusciti a riprodurre gli artefatti magici di Lucilla, la stupida strega al servizio di Ares, che si era lasciata fregare dalla sua stessa creatura, Aitan. Sapeva per certo, però, che solo Alisia Archer possedeva un artefatto originale, gli altri avevano una riproduzione incompleta che, di sicuro, non avrebbe permesso a nessuno di loro di avvicinarsi troppo a lui senza che se ne accorgesse. Gli artefatti celavano la presenza di qualcuno, vampiro o umano che fosse, ma quelli incompleti funzionavano solo a lungo raggio e una volta che si era troppo vicini l’effetto svaniva. Non sapeva se nel frattempo l’Alleanza li avesse perfezionati. Era probabile. Magari avevano costretto la stessa Lucilla a rivelare loro il segreto di quegli oggetti, dato che ne aveva perso le tracce dopo l’attacco e che poteva benissimo essere sotto la custodia dei cacciatori. Oppure… quel pensiero lo stuzzicò; e se fosse stata Alisia a seguirlo? Quante probabilità c’erano che fosse lei, che fosse così vicina? No, non doveva farsi illusioni; lei non sarebbe mai andata a cercarlo. Era di nuovo nervoso. Entrò nella vecchia fabbrica di scarpe abbandonata e osservò la marmaglia inutile che era il suo seguito. Ci avrebbe messo un po’ a ripristinare i fasti di un tempo, in cui arruolava solo i migliori. Per il momento gli serviva aumentare il numero dei suoi sottoposti. Si muoveva fra loro ignorando i saluti rispettosi, diretto verso uno dei vecchi uffici che aveva allestito come camera da letto. Un gruppo di pivellini neo trasformati si stava dirigendo verso di lui, senza però notarlo. Stavano discutendo e ridendo forte. Li ignorò finché non udì uno di loro dire: «Abbiamo lasciato un bel segno, non è vero? Ora tutti sapranno a quale clan appartiamo!» Risate sguaiate seguirono quel commento. Senza fretta, Raul si diresse verso di loro e afferrò in una morsa d’acciaio la gola dell’idiota che aveva parlato, sopprimendo in un ranto-


16 lo soffocato la sua ilarità. Calò il silenzio, gli occhi di tutti puntati su di loro. «Cos’è questa storia?» domandò mostrando le letali zanne. Il giovane vampiro esitò, ma poi rispose cercando di far uscire la voce nonostante la salda presa del purosangue: «Abbiamo fatto buona caccia.» La mancanza di rispetto di quella nullità gli fece saltare i nervi ancora di più. «Dove?» chiese con un tono che fece tremare di terrore il malcapitato. A stento udì la risposta. Il terrore nel vampiro afferrato per la gola era aumentato e riusciva appena a parlare con voce esile e tremolante. Avevano assaltato un locale facendo strage di umani. Non che la cosa lo toccasse particolarmente, ma lo irritava la modalità con cui era avvenuta, e soprattutto la “R” lasciata come marchio ammonitore su uno dei muri usando il sangue delle vittime. Chiunque avrebbe capito che si trattava di lui e non poteva permettersi di attirare l’attenzione in quel modo, non prima di aver consolidato le alleanze per rafforzare il suo clan ed evitare di essere schiacciato da gruppi rivali o dai cacciatori. No, non andava per niente bene. Con un movimento fulmineo, affondò gli artigli nella carne del neovampiro e la strappò via con forza, schizzandosi di sangue. Mentre si allontanava, si accostò a uno dei suoi fedeli tirapiedi e ordinò: «Fai a pezzi quell’idiota e dagli fuoco. Fallo davanti ai suoi compagni, in modo che capiscano, poi mandali a ripulire il casino che hanno combinato. Se qualcuno viene a darci rogne, avvisali che saranno usati come scudo. Lavoreranno meglio.» Ancora irritato, raggiunse la sua camera e chiuse la porta con un comando mentale. Mentre si toglieva la giacca chiazzata di rosso, avvertì qualcosa alle sue spalle e si voltò con un gesto rapido, furioso. Come avevano fatto a entrare? Si immobilizzò all’istante. Lo fissava con occhi freddi e inespressivi, le iridi bianche, le pupille come due spilli, i capelli platinati da bambola, un leggero abito candido e i piedi nudi. Raul cercò di darsi un contegno, ma quella presenza inaspettata lo inquietava. La strana donna cominciò a parlare con una cadenza monotona e innaturale. Poi, davanti a lui, prese fuoco. Il vampiro la guardò bruciare come carta, finché di lei non rimase che un misero brandello dell’abito che indossava.


17 Continuò a fissare lì dove un attimo prima c’era la messaggera. Non aveva lasciato nessuna traccia della sua visita se non quel pezzo di vestito bruciacchiato. Con cautela, si avvicinò e lo afferrò. Era freddo e lui era nei guai. Grossi guai.


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Aitan era sorpreso di come la famiglia Wilkins continuasse a trattarlo in modo amichevole, anche se non aveva più il sigillo. Gli avevano accordato senza esitare il permesso di entrare in casa loro per assistere alle riunioni dell’Alleanza, rivolgendosi a lui come fosse uno di loro. Si erano sempre comportati in modo corretto anche prima, ma ora sembravano del tutto intenzionati a ignorare che fosse un vampiro libero in un covo di cacciatori. Non contemplavano l’ipotesi di un suo eventuale tradimento. E facevano bene a fidarsi. Lui non avrebbe mai tradito Alisia e, finché fosse stata una cacciatrice sotto gli ordini dell’Alleanza, neanche loro avrebbero mai avuto nulla da temere. Gli altri, però, non la pensavano come i Wilkins. Lo guardavano con sospetto, e a volte aveva notato una certa diffidenza persino nei confronti di Alisia, che non era più umana come loro. Forse anche lei si rendeva conto di quel cambiamento, ma non dava a vederlo. In quel momento stava esponendo il rapporto dell’ultima caccia, quella in cui avevano fatto quel bizzarro quanto inquietante incontro. Mentre Alisia parlava, Aitan osservava le espressioni dei membri anziani seduti al tavolo. Non sembravano poi tanto sorpresi di sentire quelle notizie. «Qualche mese fa c’è stato un caso analogo» spiegò il dottor Wilkins «ma non avevamo mai avuto un avvistamento. Data la modalità con cui le vittime sono state attaccate, abbiamo pensato che potesse trattarsi di qualche demone minore e abbiamo allertato la squadra anti demone.» «Non credo fosse un demone» intervenne Aitan. «Forse. Parlerò al più presto con il capo, così sapremo come comportarci. Intanto, tenete gli occhi bene aperti e cercate di evitare lo scontro diretto con questa creatura.» La riunione si sciolse e chi era di turno si recò alle ronde notturne dopo la consueta Cerimonia dei Coltelli, in cui i cacciatori davano da bere poche gocce del loro sangue ai rispettivi guardiani vampiri per affinare


19 il loro legame mentale, che permetteva di comunicare con i pensieri in caso di pericolo. Da quando Aitan non aveva più il sigillo, il legame mentale con Alisia si era sciolto; da quando Alisia non era più umana, avevano smesso di scambiarsi il sangue in pubblico. Ormai quella era una pratica che i due eseguivano solo in privato. Due esseri che si nutrivano l’uno dell’altro per affinare un legame che andava ben oltre la mera sudditanza e la possibilità di unire le loro menti. Quando due vampiri si scambiavano la linfa vitale con consapevolezza e costanza, suggellavano un patto di unione eterna e di continua percezione dell’altro. Mentre gli altri si attardavano con la Cerimonia, Alisia e Aitan andarono via. Ricevere un messaggio da Jenna era già abbastanza inusuale; se a questo si aggiungeva un invito a pranzo, be’, la cosa diventava alquanto bizzarra. Strega e cacciatrice di vampiri e demoni per conto dell’Alleanza, Jenna era una persona che definire strana era un eufemismo. Era una donna molto riservata e si faceva vedere solo in caso di necessità. Persino alle riunioni dell’Alleanza partecipava per telefono. Per questo Alisia si sorprese non poco nel leggere le poche righe sul display del suo cellulare. Accettò l’invito di buon grado e la raggiunse in un piccolo e delizioso caffè, in cui l’attendeva sorseggiando del vino rosso. Alisia si sistemò davanti a lei. «Sono in ritardo?» le chiese, lanciando un’occhiata al vino. Eppure pensava di essere arrivata in perfetto orario. «No, tranquilla, sono arrivata io in anticipo» rispose «e ho ordinato del vino per tenermi compagnia, ti dispiace?» «Certo che no.» Con un gesto rapido della mano, Jenna scostò il ciuffo di capelli rosso fuoco che copriva l’occhio destro, quello magico, con la sclera nera e l’iride d’ambra. La minuscola pupilla si dilatò e la osservò con attenzione per alcuni secondi, prima di tornare normale. La strega si sistemò i capelli con aria soddisfatta: «Sembri essere in perfetta forma» sentenziò. «Grazie, anche tu.» Le due si scambiarono un’occhiata penetrante. Jenna sapeva bene che Alisia era a conoscenza del fatto che la teneva d’occhio per conto dei vertici dell’Alleanza. Ma sapeva anche che si poteva fidare di lei, nonostante non fosse più umana. Quei controlli servivano solo a tenere buo-


20 no chi aveva delle riserve sulla sua fedeltà, data la sua nuova condizione e quella di Aitan. Come nulla fosse, ordinarono da mangiare e ripresero a chiacchierare del più e del meno. Solo dopo pranzo, finalmente, Jenna rivelò il vero motivo di quell’invito. «Ho ricevuto un messaggio urgente da parte di Zakiya.» Zakiya era il capo dell’Alleanza. «Cosa voleva?» «Il Consiglio dei vampiri ha richiesto un incontro con l’Alleanza. In quanto ambasciatori, tu e Aitan dovrete recarvi presso il luogo che vi verrà indicato.» «Per quale motivo vogliono un incontro?» indagò, anche se poteva immaginare quale fosse la risposta. «A quanto pare, anche tra i vampiri ci sono stati attacchi analoghi a quelli avuti tra gli umani, e vogliono unirsi a noi nella ricerca di questa strana creatura che è stata avvistata. Vogliono le informazioni di chi ha effettuato l’avvistamento.» Non era quello che si aspettava, ma immaginava che ci volesse una scusa plausibile per richiedere un incontro con lei, per osservare da vicino ciò che era diventata. «Non gli avete inviato il rapporto che ho stilato? Mi sembrava fosse sufficientemente dettagliato e comprensibile.» «Sì, ma hanno insistito per avere un incontro.» «Ovvio» disse asciutta «immagino che vogliano raccogliere informazioni anche su di me.» «Molto probabile.» «Devo preoccuparmi?» Jenna la fissò per un momento, prima di rispondere. «Quando si ha a che fare con i vampiri c’è sempre di che preoccuparsi, Alisia. Ma non credo che vogliano un incidente diplomatico che potrebbe portare a destabilizzare il già precario equilibrio che si è instaurato tra le nostre fazioni. Conosco il capo del Consiglio, è stato lui a richiedere la tregua e a porre fine alle sanguinose battaglie tra le due razze. Ciò che vedi adesso, non è nulla paragonato alle stragi senza controllo di secoli fa.» «Quindi vogliono solo dare un’occhiata dal vivo alla bizzarria appena nata.» «Devi solo comportarti secondo giudizio. Il capo del Consiglio è antico e potente, ma anche molto saggio; è solo curioso di vederti, tutto qui.»


21 «D’accordo, cercherò di non mangiare nessuno di loro» disse con un sorriso. Jenna sorrise a sua volta: «Ecco, questo è già un buon inizio!» Subito dopo aver pagato il conto, Jenna si scusò e andò via. A quella donna risultava piuttosto difficile restare tra la gente più del necessario. Le faceva venire l’orticaria. Però era una buona amica e un’ottima cacciatrice. Aitan odiava l’estate. Troppe ore di luce. Aprì gli occhi che il sole non era ancora del tutto scomparso, ma poteva sopportare quei flebili raggi morenti. Quando raggiunse Charles in cucina per la razione di sangue, lo vide affaccendato nella preparazione della cena per Alis. L’uomo non lo degnò di un solo sguardo, continuando a dargli le spalle, e il vampiro si servì da solo. Mentre beveva lanciò un’occhiata al vecchio. Sembrava irritato. Ultimamente era sempre lì a rimuginare qualcosa. Decise di ignorarlo, ma poi lo sentì dire: «Ho notato che tra te e la signorina il rapporto si è fatto più, come dire, intimo.» Scandì per bene quell’ultima parola, cosa che sottolineò tutta la sua disapprovazione. Lo sapeva, da sempre. Charles poteva anche essergli grato di non averla lasciata morire, quella notte; poteva anche sopportare l’idea che non fosse del tutto umana e poteva accettare il fatto che, ormai, era diventata una donna. Ma non avrebbe mai approvato la scelta della ragazza di stare con lui, Aitan, un vampiro. Mandò giù l’ultimo sorso di sangue e, posando il calice di cristallo sul ripiano accanto al lavello, concesse al maggiordomo di casa Archer tutta la sua attenzione. «La signorina sembra molto presa da te» continuò «non me ne spiego ancora la ragione, ma è innegabile ciò che prova nei tuoi confronti. In fondo è ancora molto giovane.» Stava per dire le paroline magiche. Infatti giunsero proprio mentre si girava verso di lui con il vassoio tra le mani: «Se solo con il signorino Mark…» Eccolo lì, ci era arrivato. Il solo sentir nominare l’ex compagno di liceo di Alisia, lo mandò in bestia. Con un movimento fulmineo gli si avvicinò e l’uomo sussultò. La cena di Alis rischiò di cadere sul pavimento ma Aitan afferrò il portavivande. Piantò gli occhi rossi in quelli del maggiordomo, inchiodandolo. Sentiva l’odore della sua paura.


22 «Bada a quello che dici, vecchio. Devo forse ricordarti che non sono più schiavo degli umani?» sibilò minaccioso «l’unico motivo per cui sei ancora tutto intero è che, se ti accadesse qualcosa, Alisia ne soffrirebbe.» Continuò a osservare la sua espressione spaventata. «Porto io da mangiare ad Alis. Buona serata, Charles.» Detto questo, si allontanò. Trovò la compagna nella sua camera da letto, in piedi, intenta a coccolare Neve, la bianca gattina che con beata soddisfazione riceveva le carezze accoccolata tra le braccia della padrona. Non appena lo udì entrare, la ragazza si volse a osservarlo mentre posava la sua cena sulla scrivania. Alisia riprese a guardare Neve e con voce tenera le disse: «A quanto pare papà è nervoso, non è vero tesoruccio?» «Da quando sono diventato il padre della palla di pelo?» chiese di rimando lui, irritato. «Ma dai, ha persino i tuoi stessi occhi.» Alisia lo guardò. Le sue splendide ametiste si fissarono sulle iridi di giada del vampiro con un’intensità disarmante. Aveva ascoltato la sua conversazione con Charles. Avrebbe potuto rimproverarlo, ma non lo fece. Era una delle cose che più amava di lei: sapeva com’era fatto. Sapeva che la sua natura violenta non lo avrebbe mai abbandonato del tutto, eppure lo amava in modo incondizionato, senza cercare di forzarlo a cambiare. Ma in fondo un po’ era cambiato. Per Alisia Archer avrebbe fatto qualsiasi cosa. Le si avvicinò e le tolse la gatta di mano: «Scusa palla di pelo, mamma e papà hanno da fare» disse mentre portava Neve fuori dalla stanza per poi chiudere la porta. «Cosa c’è, Aitan? In realtà vorrei parlarti di…» Non le fece neanche terminare la frase. L’afferrò tra le braccia e catturò le sue morbide labbra in un bacio che non lasciava alcun dubbio sulle sue intenzioni. Alisia si sciolse subito al tocco del vampiro, ricambiando quelle attenzioni che la spingevano impazienti verso il letto. Alisia posò pigramente il capo sul petto di Aitan e lui la circondò con un braccio stringendola a sé, per poi disegnare ghirigori sulla sua pelle con la punta delle dita. «Allora» cominciò lui «dovevi dirmi qualcosa?» La ragazza si issò sul gomito per guardarlo. I lucenti capelli neri, di solito sciolti fin sopra le spalle, ora erano sparsi sul cuscino; la collana con la croce gotica che gli aveva regalato mesi prima era lì, non la toglieva mai. Era rimasto quello di sempre, impulsivo, scontroso, cinico,


23 a volte sadico, violento e crudele, ma con lei era diverso. A lei, solo a lei, aveva cominciato a mostrare un po’ di ciò che di buono c’era in lui. «Ho pranzato con Jenna oggi, mi ha riferito un messaggio importante da parte del capo.» «E sarebbe?» «Il Consiglio dei vampiri ha chiesto un incontro, a breve sapremo dove e quando.» Il pigro movimento delle dita di Aitan sulla sua pelle sembrò esitare per un momento. «Doveva succedere prima o poi.» «Sì.» Alisia gli riferì altri dettagli della conversazione con Jenna, cercando di ignorare la tensione comparsa nel compagno.


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4

Raul fissava pensieroso e preoccupato il pezzo d’abito che era sopravvissuto al rogo della messaggera. Per un attimo gli era balenata in mente l’idea di ignorare la comunicazione, mandare al diavolo tutto e fuggire, sparire senza lasciare alcuna traccia, ma sapeva che era una follia. Se lo avevano trovato con tanta facilità significava che lo tenevano d’occhio e che lo avrebbero rintracciato ancora. Ignorare un invito ufficiale come quello equivaleva a firmare la propria condanna a morte. Non restava altro che andare all’appuntamento, sperando che il suo essere un purosangue lo avrebbe salvato almeno dalla pena capitale, poiché probabilmente, dati i suoi trascorsi anarchici, un’indagine sul suo operato poteva essere una delle ragioni di un così improvviso interesse delle alte sfere nei suoi confronti. Percepì che uno dei suoi subordinati si stava avvicinando. Gli accordò il permesso di entrare e non nascose ciò che aveva tra le mani. Era uno dei suoi fidati. «È oggi?» gli chiese. Era l’unico a cui avesse riferito tutto. «Già» rispose. «Mio signore, ha deciso di andarci?» «Non ho altra scelta.» Detto questo, Raul si alzò e uscì senza aggiungere altro. Raggiunse il luogo indicato dalla messaggera e lo osservò da lontano. Anche se non sembrava, quel posto disponeva di tutti i più avanzati sistemi di sicurezza oltre a un’infinità di sentinelle che nascoste nell’ombra vigilavano senza sosta. Era pronto a scommettere che si fossero già accorti di lui e che lo stessero monitorando per capire se fosse o no una minaccia. Indugiare così, come uno stramaledetto guardone, li avrebbe indotti a farsi avanti; a quel punto sarebbe stato difficile che la situazione non si tramutasse in un violento scontro che sarebbe potuto risultare fatale per lui. Risoluto, avanzò con le mani bene in vista e il mento sollevato a scoprire la gola come segno di sottomissione e fiducia. La cosa non gli piaceva, ma era l’unico modo per avvicinarsi identificandosi come vampiro privo di cattive intenzioni.


25 Due vampiri in smoking nero gli furono subito davanti, bloccandogli la strada. «Ha un invito?» domandò uno di loro. Con movimenti lenti, Raul mise mano in una delle tasche della sua giacca di pelle ed estrasse il brandello d’abito bruciacchiato della messaggera, mostrandolo. La guardia che non aveva aperto bocca prese la stoffa, la osservò con attenzione e fece un cenno del capo al collega che disse: «Benvenuto Raul, la stavamo aspettando.» Alisia si trovava in quello che era stato lo studio di suo padre alla sede centrale della società, intenta a controllare alcuni documenti da firmare. Un improvviso e familiare spostamento d’aria la informò della presenza di un ospite quanto meno inaspettato. Sorpresa, sollevò lo sguardo dai fogli. In piedi accanto al divano in pelle nera e al tavolino di cristallo dall’altra parte della stanza, scorse l’ultimo essere che aveva voglia di rivedere. «Cosa ci fai qui?» chiese a bruciapelo, sulla difensiva. Il demone le sorrise in modo affabile prima di rispondere sarcastico: «Buon pomeriggio anche a te.» Lo osservò incerta mentre si liberava del lungo cappotto di cachemire nero e della sciarpa di seta rossa, per poi posarli sul divano e avvicinarsi a lei. Aveva un paio di pantaloni molto eleganti, un maglione aderente a collo alto e delle scarpe di pelle, tutto di un intenso nero, come i suoi corti capelli. Si sedette con fare naturale in una delle due poltrone davanti alla scrivania e continuò a fissarla con i suoi occhi fiammeggianti. Non aveva più l’aspetto androgino dell’ultima volta che lo aveva visto, tendeva più al genere maschile. Alisia chiuse il fascicolo con i documenti che stava leggendo e ostentando calma posò la schiena alla spalliera imbottita della sua sedia. In realtà la presenza di quel demone la inquietava. E lui lo sapeva. «Non fa un po’ troppo caldo per quell’abbigliamento?» gli domandò. «Oh, non fa mai troppo caldo per me» rispose lui con un sorriso disarmante. «Allora» continuò la ragazza «a cosa devo questa visita inaspettata?» «Avanti» cominciò lui agitando una mano con noncuranza «devo avere un motivo per far visita a un’amica?» «Noi non siamo amici.» «Quanto sei crudele» le rispose esibendo un’aria offesa «così mi ferisci.»


26 «Quando vuoi.» «Oh, avanti. Devo forse ricordarti che se non fosse stato per il mio tempestivo aiuto, tu e il tuo adorato vampiro non vi sareste mai liberati di Ares?» «Non mi sembra di aver mai chiesto il tuo aiuto.» Lui continuò a fissarla con un’espressione indecifrabile. Le sue labbra erano incurvate in un leggero sorriso, ma i suoi occhi trasmettevano qualcosa di spaventoso. «Allora, Bobby, cosa c’è?» Le narici del demone fremettero e le labbra si arricciarono leggermente. Era infastidito. «Non ti piace proprio “Bobby”, eh? Eppure sei stato tu a dirmi che potevo chiamarti come mi pareva.» «Chiamami Altair.» «Stai scherzando?» domandò lei sorpresa. «Prego?» «Un demone uscito dalle fiamme dell’Inferno vorrebbe farsi chiamare come un astro dei cieli? Oppure è una sarcastica quanto macabra allusione a un altare sacrificale?» In quel momento l’espressione del demone mutò. Era più che contrariato, adesso. «Alisia, tu mi piaci, sul serio. Ma questo non deve darti la presunzione di sentirti in diritto di parlarmi come se fossimo due pari.» «Bene» proferì lei con decisione «mi vuole riferire per favore il motivo della sua visita, signor Altair?» Dopo la comparsa di quella diabolica creatura durante lo scontro con Ares, Jenna le aveva detto che non si trattava di un demone comune ma di uno molto antico. I demoni minori erano i meno pericolosi, ma davano più rogne ai cacciatori perché amavano creare caos. Poi c’erano i demoni mangiatori di anime, che avevano un solo punto debole: il loro nome originale. I demoni non rivelavano mai il loro nome perché, se pronunciato in modo corretto durante un incantesimo apposito, poteva indebolirli e distruggerli. Il compito di trovare il vero nome di un demone spettava a streghe come Jenna, che però le aveva rivelato che Bobby/Altair non era un comune mangiatore di anime, ma un demone che viveva da tempi immemori, che forse aveva visto nascere il mondo, che possedeva un potere che trascendeva la comprensione umana e il cui nome era celato nella sua mente, tra i molteplici ricordi di ere, e nel tempo. Il che lo rendeva pericoloso e assai ostico da distruggere o imprigionare.


27 Forse non era stato saggio farlo innervosire. Lo squillo improvviso del cellulare di Alisia smorzò un po’ quel momento di tensione. «Prego, rispondi pure» concesse la creatura demoniaca tornando affabile. Senza distogliere gli occhi da lui, afferrò il telefonino e lo accostò all’orecchio. «Pronto?» «Questa notte dovrai incontrare il Consiglio.» La voce di Jenna era la solita di sempre, tranquillizzante, dal tono leggero, come se le avesse dato appuntamento per fare compere. «Come? Con così poco preavviso? Oggi siamo di turno, io e Aitan» disse un po’ sorpresa fissando contrariata il fascicolo sulla sua scrivania. «Ho già sistemato la questione» tagliò corto lei «ti ho appena inviato i dettagli via mail.» «Bene.» «Tutto ok?» le chiese ancora Jenna cambiando tono. Sembrava tesa, ora. «Certo.» «Chi c’è con te?» Che avesse percepito la presenza del demone? In un gesto istintivo, Alisia alzò gli occhi su Bobby, o Altair, e restò senza parole. Era sparito. E lei non se ne era accorta. «Alisia?» «Eccomi. No, sono sola.» «Per un attimo mi era sembrato che… oh, non importa. Buona fortuna per stasera.» «Grazie.» Alisia ripose il telefono e si guardò intorno, come se il demone dovesse di nuovo sbucare da un momento all’altro. Non lo fece. Perché diavolo era andato da lei?


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Quando gli aveva riferito dell’incontro con il Consiglio, Aitan non aveva fatto una piega, si era limitato ad annuire, continuando a bere la sua razione di sangue. Quando però gli aveva riferito dell’insolita visita da parte del demone, si era voltato a guardarla con un’espressione indecifrabile. «Speravo ci fossimo liberati di lui» disse teso e irritato al tempo stesso. «Anch’io.» «Cosa voleva?» «Non ne ho idea, Jenna ci ha interrotto prima che potesse dirmelo. Poi mi sono distratta un secondo e lui è sparito.» Il vampiro ripose il calice nel lavello e la guardò, studiando il suo volto. Non sembrava turbata, ma lei era fatta così; stava cercando di non dar peso alla cosa per non farlo preoccupare. Le sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, per poi sfiorarle il volto con il dorso della mano. «Ok, per ora limitiamoci a occuparci dell’imminente incontro con il Consiglio» asserì, ma lei non sembrava essersela bevuta. «A cosa pensi veramente?» gli domandò guardandolo dritto negli occhi. Non poté astenersi dal rivelarglielo. «Ho come la sensazione che quel demone sia interessato alla tua anima. Ora sei… non sei più umana e questo comporta che la tua anima sia diventata più forte. Ma non sei neanche un vampiro e questo potrebbe incuriosirlo.» «Forse è come dici.» «Già, e la cosa non mi piace per niente. Voglio che ne parli con Jenna e le chieda consiglio su come agire. Avresti dovuto dirle che c’era il demone con te.» Ecco che ricominciava a fare l’autoritario. Alisia sorrise di quel lato del suo carattere che sembrava accentuarsi quando era preoccupato per lei. «Glielo dirò. Ora però vado a sbrigare alcune faccende importanti, prima di andare all’incontro.» Fece per allontanarsi, ma lui le afferrò gentile una mano, trattenendola.


29 «Ultimamente hai un sacco di cose da fare, e dopo l’estate dovrai pensare anche all’università. Non ti sembra di esagerare?» «Ce l’avrei fatta da umana, figuriamoci ora che mi basta poco per recuperare le forze.» Aitan l’attirò piano verso di sé, abbracciandola. «Dovresti comunque dormire di più e nutrirti più spesso da me. Stai bevendo poco sangue anche a caccia.» «Non preoccuparti, sto bene.» Non voleva discutere con lei. Anche se avrebbe voluto continuare a parlarne, la lasciò andare dopo averle dato un tenero bacio sulle labbra. Non dovendosi preoccupare del sole, che invece indeboliva i vampiri, Alisia poteva restare in piedi a sbrigare le sue faccende personali, e la notte cacciava fino all’alba. Il che equivaleva a poche ore di sonno al mattino, una o due al massimo. Di rado si concedeva di dormire di più. A lungo andare ne avrebbe risentito. Di solito i cacciatori avevano dei turni, ma spesso Alisia veniva chiamata a cacciare anche durante i suoi giorni di riposo. Ormai sembrava che i cacciatori volessero scaricare a lei tutte le missioni più impegnative, cosa che stava cominciando a piacergli sempre meno. Lei però accettava ogni incarico senza lamentarsi mai. Aitan aveva l’impressione che quelli dell’Alleanza la stessero sfruttando. L’enorme albergo in stile coloniale, che si stagliava maestoso davanti a lei, era l’ultima cosa che si sarebbe mai potuta aspettare. Tanto più che pullulava di umani, di certo ignari che quello fosse un covo di vampiri. Anzi no, non era un semplice covo di vampiri: apparteneva al Consiglio Supremo della razza. Si accorse di numerose telecamere di controllo, ma era sicura che ce ne fossero molte altre, insieme a sofisticatissimi sistemi di sicurezza e alle sentinelle-vampiro che si aggiravano mescolandosi tra gli ospiti umani. «Un albergo di lusso?» domandò Alisia in un sussurro «immagino che per nascondersi dagli umani, non ci sia niente di meglio che farlo sotto il loro naso.» «Finora ha sempre funzionato» rispose Aitan, ostentando un sorriso che non si estendeva anche agli occhi vigili e guardinghi. Anche lei avrebbe fatto bene a seguire il suo esempio, ma la curiosità di vedere i “grandi capi” del Consiglio aveva prevalso sul suo istinto di conservazione. «Ci stanno di sicuro osservando, Alis» proseguì Aitan «credo che dovremmo avanzare lentamente.»


30 «D’accordo.» «Metti le mani in modo che loro possano vederle e mostra la gola.» «Ok, ma perché?» «In questo modo comunicheremo che non siamo ostili. Mostrare la gola a un altro vampiro è gesto di fiducia.» «D’accordo» ripeté la ragazza, questa volta con meno convinzione. Intorno a loro entravano e uscivano gli avventori dell’albergo: turisti, uomini e donne d’affari o gente che era lì perché aveva usufruito degli impeccabili servizi del ristorante di lusso all’interno della struttura. Era mezzanotte, ma c’era ancora un viavai continuo, nonostante fosse un giorno feriale. Alisia riconobbe subito i vampiri, non appena si mossero nella loro direzione. Vestivano con completi neri molto eleganti e salutavano di tanto in tanto alcuni degli ospiti come se fossero conoscenti di lunga data. Non appena furono faccia a faccia con due di loro, Alisia cominciò a sentire la tensione crescerle dentro. Uno era un gigantesco vampiro nero, alto e muscoloso; l’altro aveva più o meno la stessa stazza, ma più basso e di carnagione più chiara. Il primo sorrise e salutò educato un’elegante signora e il suo consorte che stavano andando via. Continuò a fissarli per mezzo secondo, prima di tornare serio e rivolgersi di nuovo a loro. Li squadrò con attenzione, mentre il collega si guardava intorno in modo discreto, e poi si fissò su Aitan. «Avete un invito?» Alisia si mosse per prendere quello strano brandello di tessuto che le aveva fatto avere Jenna, proprio in previsione di quella domanda. Gli occhi dei due vampiri-sentinella si puntarono repentini e all’unisono su di lei, tanto che la ragazza s’immobilizzò. Lanciò un’occhiata ad Aitan, che le fece un cenno d’assenso con la testa. Si mosse senza fretta questa volta, e mostrò loro la stoffa. Le sentinelle la presero e la esaminarono. Per un attimo Alisia pensò di aver visto un’espressione di sorpresa sui volti dei due vampiri, prima di guardarsi e restituirle il brandello. «Benvenuti Ambasciatori, vi stavamo aspettando. Potete entrare, avviseremo qualcuno di venire ad accogliervi. Aspettate nella reception.» Detto questo si allontanarono. Il più alto aveva già il cellulare all’orecchio. Alisia e Aitan li guardarono per un momento, prima di riprendere ad avanzare verso l’entrata dell’albergo. La reception era enorme ed elegante; sedettero su uno dei divani rivestiti in seta rossa stile Luigi XIV e attesero. Poco dopo entrambi avvertirono l’odore di un vampiro che si avvicinava e si volsero nella direzione da cui proveniva. Era alto, vestiva di scuro, sportivo ma elegante, con i capelli corti castano chiaro e gli occhi dello stesso colore. Come tutti i vampiri, posse-


31 deva un fascino predatorio che attirava l’attenzione. Cosa che lui, come Alisia e Aitan, sembrava ignorare. «Buonasera, ambasciatori» li salutò sorridendo non appena fu vicino. «Sono István, l’assistente del capo consigliere» proseguì tendendo loro la mano. «Alisia Archer» si presentò la ragazza ricambiando il gesto. «Aitan» la imitò subito dopo il compagno con espressione neutra. «Prego, seguitemi.» Seguirono István fino agli ascensori e vi salirono. Di certo era sottoterra che dovevano andare. «Mi scuso a nome del Consiglio per il poco preavviso con cui vi è stato recapitato l’invito, ma abbiamo avuto delle divergenze d’opinione a riguardo, che il capo consigliere avrà piacere di illustrarvi durante l’incontro.» «Capisco» rispose Alisia con un sorriso cortese. Quando la loro discesa si arrestò e le porte dell’ascensore si aprirono, si ritrovarono in una piccola anticamera; sulle due pareti laterali era stato eseguito un dipinto che raffigurava un bosco di betulle così ben fatto da sembrare reale. Il pavimento, rivestito di marmo verde smeraldo con delle splendide sfumature color ghiaccio, era lucido come uno specchio. Davanti a loro c’era un portone in legno scuro su cui era raffigurato in rilievo un grosso serpente d’argento. Aveva la testa di drago e si mordeva la coda; l’occhio era un grosso rubino. «Quello è il simbolo del Consiglio» le disse Aitan guardando come lei l’animale raffigurante un cerchio perfetto. «Esatto» confermò István «è un Uroboro, un serpente che morde e inghiotte la propria coda, realizzando così una forma circolare» spiegò. «Rappresenta l’eternità» concluse aprendo la porta e guidandoli in un altro ambiente spazioso ed elegante, illuminato da applique dorate a forma di piccoli candelabri poste sulle pareti rivestite di seta. Sembrava ci fosse un altro albergo lì sotto, di certo riservato solo ai clienti vampiri e al Consiglio. Non incontrarono nessuno mentre si addentravano nel covo. Giunsero davanti a una porta in legno bianco decorato con ghirigori d’oro, a due battenti, e si fermarono. Non ci fu alcun bisogno di annunciarsi; la porta si aprì come fosse automatizzata e István fece pochi passi all’interno di quello che sembrava un salotto ottocentesco. All’interno c’erano dei vampiri. Alisia e Aitan non si mossero finché István non li ebbe annunciati. «Consiglieri, gli ospiti sono arrivati.»


32 Nella stanza c’erano due donne e due uomini vestiti in modo impeccabile, neanche fossero a un incontro delle Nazioni Unite. Tutti portavano al collo una collana d’argento con appeso un ciondolo a forma di Uroboro, anch’esso d’argento, e avevano espressioni serie e sguardi freddi. C’era una sedia vuota però, e ciò sembrava mettere István in agitazione. «Il capo consigliere?» domandò. «Non è qui» rispose una donna dalla fluente chioma fulva e gli occhi verdi «credo si sia attardato nel suo studio, come al solito.» «Non mi sorprenderebbe scoprire che si sia dimenticato dell’incontro, dopo tutta l’insistenza nel fissarlo per oggi» continuò uno dei due uomini, che aveva cortissimi capelli biondi e due occhi trasparenti come il ghiaccio. István non sembrò per nulla contento nell’udire quelle risposte, e si rivolse mortificato ad Aitan e Alisia. «Sono davvero spiacente per l’inconveniente. Questi sono i consiglieri Massimo e Morgana» proferì riferendosi ai due che avevano parlato «e i consiglieri Ferenc e Katalin» proseguì indicando l’uomo dai capelli e gli occhi castani e la donna dai capelli neri e gli occhi blu. Ognuno di loro si esibì in un leggero cenno del capo nel sentir pronunciare il proprio nome, ma nulla di più. «Consiglieri, vi presento la signorina Alisia e il suo compagno, Aitan.» Alisia non sapeva come comportarsi. Quando vide Aitan esibirsi in un elegante e aristocratico inchino, molto all’antica, lo imitò cercando di non apparire goffa. «Credo sia meglio che tu li accompagni da lui, István» asserì quello che Alisia identificò come il consigliere Ferenc «non sia mai che se la prenda a male per non essere stato avvertito. Tanto più che a noi non importa parlare con loro.» «Senza offesa» aggiunse in tono sarcastico. Quei vampiri erano palesemente ostili, il che la mise molto a disagio. Non li volevano lì e non facevano nulla per nasconderlo. Di contro, il povero István pareva sempre più mortificato per la situazione. Per evitare ulteriori imbarazzi, fece segno ai due ospiti di seguirlo in un’altra stanza. «Non so davvero cosa dire per giustificare il comportamento dei consiglieri.» «Non si dia pena signor István, eravamo preparati a una possibile accoglienza, ehm, di questo tipo. In fondo siamo pur sempre dei cacciatori» lo tranquillizzò Alisia; sperava solo che il capo consigliere non li avesse


33 fatti arrivare fin lì solo per essere trattati con sufficienza e poi cacciati via. «I vampiri che si trovano in questo luogo seguono alla lettera i termini dell’accordo con la vostra organizzazione. Non uccidono umani e si nutrono con discrezione. Siamo tutti fermamente convinti che una convivenza pacifica tra le due razze sia di vitale importanza per entrambe le specie, ma i cacciatori non sono sempre benvisti. E, se mi permette un’osservazione personale, credo che la sua presenza li agiti in modo particolare, signorina Alisia.» Poteva immaginarlo; era diventata il loro predatore naturale. Si era accorta che sia i consiglieri sia István avevano smesso di respirare non appena erano giunti in sua presenza. Lei invece aveva mangiato molto e si era abbeverata da Aitan prima di uscire, e non faceva fatica a controllarsi avvertendo l’invitante odore dei purosangue presenti in quella struttura. Tuttavia i consiglieri non avevano tollerato la sua vicinanza. Erano stati loro a volerla lì, quindi non comprendeva quella loro palese ostilità.


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Giunsero infine davanti a un’altra porta, questa volta in legno scuro, che István aprì senza indugio facendoli entrare in quello che sembrava un laboratorio scientifico immerso nella semioscurità. Unica fonte di illuminazione erano gli schermi dei monitor di alcuni macchinari e di un PC posto su una scrivania carica di fascicoli e fogli impilati con cura. Tutto l’ambiente era pulitissimo e molto ordinato. «L’ordine è opera di István» spiegò una voce sconosciuta, come in risposta ai pensieri di Alisia. Si volsero tutti verso il nuovo arrivato, appena uscito da una specie di sgabuzzino sulla destra. Non si era accorta che ci fosse qualcun altro lì, e a giudicare dall’espressione di Aitan neanche lui aveva percepito la presenza di altri oltre a loro. Era alto quanto Aitan, più di un metro e novanta, e aveva dei capelli neri che gli arrivavano fino alla vita in lunghissime ciocche ondulate tenute ferme in una lenta e morbida coda di cavallo da un fermaglio tubolare in argento lavorato. Gli occhi erano gialli, come quelli di un rapace, impressionanti. Aveva un camice bianco addosso e sorrideva gentile, un sorriso che si estendeva anche a quegli occhi straordinari. «István ha ritenuto opportuno riordinare in previsione della vostra visita; sapeva che avrei avuto piacere a mostrarvi il mio diletto» continuò «in verità sono assai disordinato e distratto. Se non ci fosse István, sarei perso.» Il vampiro era un purosangue molto anziano, Alisia lo sentiva. Persino più anziano di Ares, nonostante apparisse poco più che ventenne. «Capo consigliere, le chiedo scusa per averli portati qui senza preavviso, ma temo che lei abbia fatto confusione con l’orario dell’incontro.» István parlò ostentando un autocontrollo notevole, ma Alisia sentiva che era agitato. Il capo consigliere lo guardò con aria confusa. «Dici davvero?» «Sì, signore. Li ho condotti nel salotto degli incontri, ma lei non c’era.» Il purosangue parve ancora più sorpreso.


35 «Per quale motivo li hai condotti qui, István? Saresti potuto venire ad avvisarmi e li avrei raggiunti.» «Era mia intenzione farlo, ma i consiglieri non sembravano entusiasti dell’incontro, signore.» A quel punto il capo consigliere parve davvero imbarazzato. «Sono davvero spiacente. Se non mi fossi lasciato prendere dai miei esperimenti alchemici, vi avrei accolto come si deve e non avrei permesso che veniste trattati in questo modo villano. Sono oltremodo costernato, István. Non avrei mai immaginato che i miei illustri colleghi potessero macchiarsi di una tale carenza di buona educazione. Eppure abbiamo sempre avuto degli ambasciatori dell’Alleanza come ospiti.» «Non si preoccupi, capo consigliere» esordì Alisia «posso capire che la mia presenza li abbia messi un po’ in agitazione.» «Oh, la prego signorina Alisia, mi chiami pure Wulfric.» Detto questo, il purosangue le si avvicinò tendendole la mano. Alisia ricambiò il gesto, e non appena le loro dita si sfiorarono Wulfric avvicinò il dorso della mano della ragazza alle labbra. Dapprima le parve il gesto galante di un uomo d’altri tempi nei confronti di una donna. Ma poi si rese conto che al suo fianco Aitan si era irrigidito, pur rimanendo immobile, e István sembrava allarmato. Era evidente che anche il capo consigliere si era accorto che c’era qualcosa che non andava. Lasciandola andare all’istante ma in modo gentile, si scusò: «Chiedo venia» disse «temo che la curiosità di sentire da vicino il suo odore, signorina Alisia, abbia avuto il sopravvento sulle buone maniere.» «Non importa.» Era la serata delle scuse, quella. Wulfric salutò Aitan, che ricambiò rimanendo rigido e freddo. Di sicuro si stava controllando dall’aggredire il purosangue solo perché era in pratica il capo della razza dei vampiri. «Credo sia meglio spostarci nel suo salotto privato, capo consigliere» suggerì István avvicinandosi a lui e aiutandolo a togliersi il camice bianco. «Sì, giusto» rispose quello, rimanendo in pantaloni e camicia neri. Come i consiglieri, anche lui portava una collana con un ciondolo a forma di Uroboro. Volgendosi ai suoi ospiti, domandò: «Gradite qualcosa da bere?» Nel pronunciare l’ultima parola soffermò lo sguardo su Alisia, che si sentì come sollecitata a rivelare il proprio regime alimentare misto. «La ringrazio, ma ho già mangiato e il mio compagno ha provveduto al mio bisogno di sangue come io ho provveduto al suo.»


36 Lo sguardo di Wulfric parve illuminarsi mentre annuiva e faceva loro segno di seguirlo. Certo, lei era lì non solo perché aveva ricevuto la nomina di ambasciatrice presso il Consiglio dei vampiri, titolo per il quale, ne era certa, quello strano vampiro dagli occhi gialli aveva insistito, ma anche perché volevano sapere quanto più possibile su di lei. La stanza in cui li condussero Wulfric e István sembrava più un museo che un salotto. Era gigantesca, piena di teche in cui erano conservati innumerevoli strumenti musicali, dai più antichi ai più moderni, di tutte le nazionalità. Era certa di aver visto uno Stradivari. Ciò che attirò maggiormente la sua attenzione fu un vecchio strumento composto da due antenne poste sopra e a lato di un contenitore al cui interno erano alloggiati dei componenti elettronici. «Quello è un theremin?» chiese curiosa. Wulfric seguì il suo sguardo e sorrise compiaciuto. «Esatto, è proprio un theremin.» «Non ne avevo mai visto uno dal vivo» disse Alisia avvicinandosi «inizialmente fu chiamato “eterfono” e fu inventato nel 1919 dal fisico sovietico Lev Sergeevič Termen, noto in Occidente come Léon Theremin. Uno strumento musicale elettronico che non prevede il contatto fisico con l’esecutore…» «Lo strumento reagisce al movimento delle mani» continuò Wulfric «mediate l’antenna superiore, quella posta in verticale, si regola l’altezza del suono; quella laterale, in orizzontale, permette di regolarne l’intensità. Questa è una spiegazione molto semplicistica del suo funzionamento.» «Davvero bello.» Aitan osservò Alisia e Wulfric parlare del theremin per poi passare con disinvoltura ad altri argomenti. Parlavano come se fossero soli, come se fossero due vecchi amici che non si incontravano da tempo, come due accademici che discutevano di argomenti di interesse culturale e scientifico. Il purosangue la ascoltava con attenzione, affascinato, incuriosito, e rispondeva alle sue argute domande. Si scoprì a pensare che la sua piccola Alis non finiva mai di stupirlo. Aveva solo diciotto anni e riusciva a sostenere una conversazione di alto livello con un purosangue che ne aveva circa tremila. Si sentì all’improvviso pieno d’orgoglio. Lei era sua. Percepì una leggera vibrazione. István rispose al suo cellulare, per poi interrompere i due che chiacchieravano.


37 «Purtroppo devo disturbarvi, capo consigliere, ma il nostro terzo ospite è arrivato.» L’espressione che si dipinse sul volto di Wulfric era paragonabile a quella di un bambino a cui era stato negato qualcosa. Alisia pareva più rilassata. Affiancò Aitan seguendo il capo consigliere e il suo assistente verso il centro della stanza, dove c’erano due divani in seta nera posti uno di fronte all’altro; a dividerli c’era un tavolino di cristallo ovale. Aitan circondò le spalle di Alis con il braccio e le baciò piano una tempia, per poi lasciarla andare non appena si furono accomodati. Erano talmente distratti dalla strana piega che aveva preso quell’incontro, che non si resero conto dell’odore dell’individuo che si stava avvicinando finché non lo ebbero proprio sotto il naso. Aitan e Alisia si guardarono un momento sconcertati, finché non lo videro entrare. Non poteva crederci. Aveva avuto il suo odore in testa come un’ossessione, tanto da percepirlo ovunque, e anche adesso aveva pensato che fosse un’altra delle sue fantasticherie su quella ragazza. Quando entrò in quella stanza, però, la vide lì. Alisia Archer era lì. Non si rese conto neanche del capo consigliere a cui era stato annunciato, o degli altri due vampiri presenti. In quel momento la sua attenzione era focalizzata esclusivamente su di lei.


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7

L’atmosfera rilassata che era venuta a crearsi mentre parlava con il capo consigliere Wulfric si dileguò non appena scoprirono l’identità del nuovo ospite. Gli occhi di Raul inchiodarono Alisia, che in quelle iridi turchesi che ben ricordava lesse un miscuglio di emozioni, tra cui riuscì a riconoscere solo sorpresa e incredulità. Anche lei le provava; non si sarebbe mai immaginata di incontrarlo così presto e in un posto come quello. Percepì Aitan alzarsi dal divano con un movimento repentino; la sua ira era palpabile, ma prima che potesse compiere gesti sconsiderati lo afferrò per un polso, fermandolo. Lo sentì trattenere un ruggito di collera che andò scemando in un basso ringhio gutturale, mentre i suoi occhi scarlatti di rabbia continuavano a fissare Raul in attesa di un solo pretesto per attaccare. Infine si rese conto che il vampiro accanto ad Alisia era Aitan. Avrebbe dovuto immaginarlo. In quel momento però non gli importava. Non dedicò che una fugace occhiata annoiata a quell’idiota, dimostrandogli che non aveva paura di lui, che non lo considerava nemmeno, prima di riprendere a guardare la ragazza dall’odore invitante che lo stava già mandando in visibilio. Lei invece aveva occhi solo per il suo… faticava anche solo ad ammettere che lei fosse la compagna di un altro. La compagna di Aitan. «Posso sapere quel è il motivo di tanto astio?» La voce del capo consigliere lo riportò alla realtà. Si volse a guardarlo, notando che era più curioso che infastidito. «Raul è una nostra vecchia conoscenza» era stata Alisia a rispondere «ho avuto modo di conoscerlo durante il mio…» sembrò esitare, prima di dire: «Soggiorno forzato nel covo di Ares.» Risentire la sua voce era qualcosa di meraviglioso. Non sembrava felice di vederlo, ma non era neanche innervosita, infastidita o altro. Sembrava che, dopo la sorpresa iniziale, il fatto che ci fosse anche lui nella stanza la lasciasse del tutto indifferente.


39 «Capo consigliere» intervenne l’assistente «non rammenta il motivo per cui la signorina…» Il vampiro non continuò, ma un lampo di consapevolezza balenò nello sguardo di Wulfric, che annuì mormorando qualcosa a proposito della sua sbadataggine prima di dire rivolto a tutti loro: «Sarebbe stato meglio avvisare la signorina Alisia e Aitan della presenza di Raul, ma il mio desiderio di avervi tutti qui per discutere di un argomento di vitale importanza mi ha fatto affrettare un po’ le cose. Ancora una volta, questa sera, devo chiedere scusa alla signorina Alisia per la mia totale mancanza di tatto.» «Non è necessario, capo consigliere. Sono qui per rendere un servizio a umani e vampiri, non ha importanza il come, il perché o con chi devo svolgere questo lavoro.» Raul osservò il profondo rispetto con cui Wulfric guardava Alisia in quel momento. A essere sincero, anche lui era rimasto colpito da quelle parole. La cosa gli stava più che bene. Non aveva la più pallida idea del perché fosse lì, del come se ne infischiava e del “con chi”… be’, era più che soddisfatto. Wulfric fece accomodare Raul di fronte a loro e si sedette in una poltrona vicina, con István in piedi al suo fianco, e cominciò a parlare, illustrando il motivo per cui erano riuniti lì. Alisia si concentrò sul capo consigliere, ignorando lo sguardo di Raul che la guardava apertamente e Aitan che fissava in cagnesco Raul. «Questa bislacca creatura che si sta aggirando nella città da qualche mese non è un pericolo solo per gli umani, ma anche per i vampiri. Ne sono stati trovati alcuni che presentavano le stesse ferite degli umani. Ora, a differenza di questi ultimi, loro stanno bene. Ma non oso pensare a quanti altri, che non abbiamo trovato, siano stati poi bruciati.» «I membri dell’Alleanza stanno effettuando delle accurate ricerche, ma finora solo io e Aitan abbiamo avuto un incontro ravvicinato, anche se infruttuoso. Sembrerebbe un maschio, di circa due metri, forse più, con forza e velocità paragonabili a quelle di un vampiro purosangue» affermò Alisia «non sembra essere dotato di una particolare intelligenza, si comporta più come un animale, ma non sono certa di questo. Dovrei poter interagire meglio con questa creatura per poterlo affermare con sicurezza. Questo è tutto quello che abbiamo.» «Di certo è molto più di quello che siamo riusciti a scoprire noi. È probabile che il nostro disinteresse iniziale abbia giocato un ruolo fondamentale» disse Wulfric.


40 «Cosa ci faccio io qui?» Raul pose quella domanda con l’aria di uno che pensa che quelli non siano affari suoi. Lo fissarono tutti, ma a lui non sembrò importare. L’aveva costretta a guardarlo, cosa che la irritò molto, specie quando si rese conto del suo sorriso compiaciuto. «Ho pensato di coinvolgerti, caro Raul, perché voglio organizzare una squadra di elementi validi che diano la caccia a questa creatura e, per quanto la cosa possa infastidirti, il problema riguarda anche te. Dovrai collaborare con i membri dell’Alleanza qui presenti, onorando la tua razza con un comportamento consono al tuo lignaggio» fu la risposta pacata ma ferma del capo consigliere. Infine Raul distolse lo sguardo da Alisia, con sommo sollievo della ragazza, e guardò Wulfric con un’espressione indecifrabile. «Mi pare di capire che non ho scelta.» «Esatto, Raul, proprio così.» La tensione divenne quasi palpabile tra i due, che sembravano lanciare scintille mentre si guardavano negli occhi. Fu Raul a stancarsi per primo, fissando torvo il pezzo di pavimento tra i suoi piedi. «Chi comanderà la spedizione?» continuò il giovane purosangue riportando lo sguardo sul capo consigliere «io sono il più anziano, e per di più di sangue puro.» «Sbagliato, non sei il più anziano.» La dichiarazione di Wulfric li lasciò sorpresi, ma non riuscirono a replicare, perché furono interrotti dal sopraggiungere di un nuovo vampiro, una donna, il cui odore di purosangue giunse alle loro narici prima ancora che bussasse alla porta. Non appena la vampira entrò, il primo pensiero che venne in mente ad Alisia fu che fosse la sorella gemella del capo consigliere. Erano identici. Solo che lei era più bassa di una manciata di centimetri rispetto a lui, alto quanto Aitan e Raul, ma sempre più alta di Alisia, che era un metro e sessantacinque e si sentiva una nana in confronto agli altissimi vampiri lì presenti. «Buonasera a tutti» esordì «scusa il ritardo, padre, ma ho avuto un affare urgente da sbrigare. Pensavo di trovarvi nel salotto degli incontri» continuò, per poi sedere accanto a Raul. «Benarrivata, cara. Ti presento gli ambasciatori Alisia e Aitan» rispose Wulfric indicando la ragazza e il suo compagno «al tuo fianco invece c’è Raul.»


41 Raul notò come quegli occhi di rapace inchiodarono i suoi non appena vi si fissarono. Quella donna era molto più anziana e più forte di lui, e occupava una posizione sociale elevata. «Immagino sarà lei a guidarci» disse, sentendosi un po’ deluso. «Esatto, mia figlia Morrigan sarà a capo del gruppo.» Morrigan, come la dea celtica della guerra e delle battaglie. Si diceva che fosse lei a decidere le sorti di qualsiasi scontro e che apparisse come un corvo svolazzando sulle teste dei guerrieri che stavano per morire. Un nome importante. Doveva ritenerlo solo tale, o un cattivo presagio? In fondo i suoi capelli ricordavano il colore lucente delle ali di quell’uccellaccio del malaugurio. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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