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In uscita il /2022 (15, 0 euro)
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ZeroUnoUndici Edizioni
IMMA DI NARDO MATER
MATER
Copyright © 2022 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-540-0
ZeroUnoUndici www.facebook.com/grouWWW.0111edizioni.comEdizioniwww.quellidized.itps/quellidized/
Copertina: immagine proposta dall’Autore Prima edizione Settembre 2022
“C’è una crepa in ogni cosa. È così che entra la luce”. Leonard Cohen (dall’album “Anthem”)
“Che mai farebbe il tuo bene, se non esistesse il male, e come apparirebbe la terra se vi scomparissero le ombre?”. Michail Bulgakov
Ma anche tu, Alessia, ne vedrai di cose che non ti aspetti… a cominciare da domani.
Ti sento spesso ciabattare di notte. Socchiudere adagio la porta della tua camera, quella che per anni hai diviso con papà, emettere il trattenuto sospiro, rassegnato, che segnala che ormai hai accettato un’altra interminabile notte insonne. Poi ti sposti e, sempre strascicando quelle tue pantofole azzurre, raggiungi la cucina. Preparerai uno dei tuoi intrugli disgustosi, a base di erbe soporifere, che a te regalerà al massimo un paio d’ore di tregua. Anche questo ho ereditato da te, Mater. Insieme all’ossatura massiccia, l’alta statura e una buona salute a prova di Mitutto.rigiro
Andrea
CAPITOLO 1
nel letto senza tregua, con un corpo grande e goffo, che oltre a innervosirmi rende inutile questo lettino, ormai inadeguato a sostenerne la Quandomole. mi va bene, ma proprio bene, Alessia mi punta in faccia quei suoi occhi che mi fanno dannare e, abbracciandomi alla vita, mi chiama “Il suo meraviglioso Orso Buono”. Potesse leggere i miei pensieri in questo momento, credo che mai più mi chiamerebbe così! Che ne dici, Mater? Se mi mettessi a spifferare qualcuno dei nostri segreti, dei tuoi segreti, come pensi che reagirebbe la mia adorata Coscialunga, eh?
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«Andrea, ma dai, mica ti metterai a fare il duro con me? Il mio Orso Pelliccione a volte se lo scorda che, anche se è grande e grosso, ha solo sedici Questoanni!»mirisponde, ridendo, ogni volta che cerco di resistere a qualche sua richiesta.
Mentre6
sghignazzo, pensando all’assurdità del piano di Coscialunga, e all’assurdità del mondo, mi do forti pacche sulle cosce a malapena contenute dal pigiama a scacchi. Alla fine, un sorriso che somiglia a una smorfia mi si disegna sul viso, e mi accompagna verso l’oblio del sonno. Domani, domani, domani…
Alessia
Immagina l’espandersi della sua felicità, quel dilatarsi lento, gonfio d’attesa quando i suoi torneranno dal loro lungo viaggio. Quando vedrà suo padre aggirarsi incredulo per le stanze devastate, quell’espressione da idolo remoto infine cancellata. Quando seguirà le “mani da pianista” di sua madre tentare invano di ricomporre frammenti di opulenza Iloltraggiata.frastuono nella camera accanto aumenta d’intensità. Le arrivano le grida di giubilo di Mirko e Andrea, alle prese con la loro opera di metodica distruzione.
Ecco, è del salone che si stanno occupando adesso, quell’odioso museo, gelido e perfetto come loro. Questo pensiero le strappa un sorriso, tra Monna Lisa e una sfinge, un sorriso che non sa di giovinezza. Non è stato per niente difficile – cosce tornite esibite al momento giusto, sguardo strappacuore fisso nel loro – tirar dentro, in questa Missione di Giustizia, i suoi due compagni di scuola. Quelli che, in preda a impetuose tempeste ormonali, da mesi la seguivano con sguardo «Lasciandosiadorante.dietro una scia di bava» aveva detto, ridacchiando, la supplente d’inglese, una brunetta giovane e sempre allegra,
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CAPITOLO 2
Una faccia giovane e pallida è ferma alla finestra, il naso incollato ai vetri in un mattino d’inverno; lo sguardo indugia sul giardino ormai sommerso dalla neve.
Alessia pensa che i larghi fiocchi, che tra poco rallenteranno il ritmo della città, stiano concedendo anche a lei un’insolita pace. Dalla stanza accanto arriva forte un rumore. Lei sembra non curarsene e solleva agile, come a saggiarne l’elasticità, una gamba flessuosa fasciata dai leggings. Poi, con un dito ancora infantile, scrive sul vetro appannato: “Sono felice”.
gli sguardi dei ragazzi. Poi si era girata verso di lei e le aveva fatto l’occhiolino.
“Sono passati solo due anni”, pensava sempre più spesso negli ultimi tempi, “eppure quante cose sono cambiate. In me, dentro di me. In me, fuori di me”.
“Questa sono io” provava a convincersi, come se quell’inedita recentissima se stessa, benedetta dal dono di un inconsapevole splendore, non le appartenesse per davvero. Non ancora, almeno.
Ripete le parole del padre, che perplesso aveva guardato la sua Eleonora. L’ingegner Corneliani, fino all’estate prima, si fermava a
“Fuori di me”, si fermava e cominciava a carezzare, in una sorta di trasognato stupore, il seno che andava colmandosi, le lunghe gambe affusolate, il ventre piatto.
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Come si era sentita adulta, Alessia, in quella complicità tra donne, fondata sul potere sessuale.
“Io! Ma se fino a pochi mesi fa non ero che uno sgraziato fenicottero, tutta spigoli e gambe”.
“La promettente attrice di teatro che aveva abbandonato tutto per lui” come lei non mancava di rammentargli. Alessia, ogni giorno un po’ di più, andava scoprendo il suo potere, la sua sensualità, seppure ancora in evoluzione.
La ragazza si stava avvicinando al mondo segreto degli adulti anche attraverso la scoperta, per lei fonte di continue sorprese, del suo corpo in divenire. Fino ai quattordici anni l’unico irraggiungibile riferimento al corpo, inteso come tempio da onorare con assoluta dedizione, le era arrivato da sua madre, Eleonora. Quella donna bellissima e distante, glaciale e determinata. L’arroganza, che traspariva dal più insignificante dei suoi gesti, non derivava solo dal suo collocarsi ai vertici di una piramide fatta di soldi e influenza, ma dal potere che le proveniva da quella stessa bellezza. L’uso strumentale e sapiente della seduzione ne costituiva parte integrante, e suo padre ne era il miglior Diciottoesempio.anni in più della moglie, e generazioni di consolidata ricchezza alle spalle, non erano riuscite a compiere il miracolo di fornirlo di un parere tutto suo, autonomo da quello di Eleonora. La sua giovane, amatissima moglie.
Ripeteva queste parole a fior di labbra, rimirandosi nello specchio a figura intera, incollato nell’anta del suo armadio bianco.
Con grande sorpresa di Alessia, Andrea aveva preso un’iniziativa autonoma, portando a inizio lavori, per lui e Mirko, due mazze da «Megliobaseball.
Così, roteando la mazza, la determinazione di Mirko viene rafforzata, e lui sferra ancora un colpo. Preciso. Pulito. Inesorabile. Alessia scruta il ragazzo con uno sguardo nuovo. L’attraggono le braccia magre che s’inturgidiscono nel gesto, mostrando masse muscolari prima insospettate. I capelli, scuri e lunghi a sfiorargli il collo, nascondono le cicatrici dell’acne lasciando in evidenza un profilo definito, e le lunghe ciglia che ombreggiano gli occhi.
soppesare due degli esemplari femminili che aveva in casa. La moglie, al culmine di una sfolgorante maturità, e quella figlia adolescente che non si decideva a seguirne le orme; poi chiedeva a Eleonora, con un filo di timore nella voce: «Dici che migliorerà crescendo, vero?» Ora, lo “sgraziato fenicottero”, approvando grata l’immagine che le rimanda lo specchio, sa che almeno in quello non avrebbe deluso “l’ingegnere.
La ragazza indietreggia. Cerca una frase scherzosa, sdrammatizzante per quando troverà il coraggio di affrontare lo sguardo di Mirko. Le braccia di Mirko.
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“Ma nel momento meno opportuno. Prima dobbiamo finire tutto”.
In quanto ad altre cose…” e sorride. Dalla stanza accanto l’urlo di giubilo di Mirko e Andrea la fa accorrere sulla soglia del salone. La terza statuina di Sèvres, la pastorella con il largo cappello guarnito di ciliegie, ha già raggiunto le compagne sul pavimento del salone. Frammento tra i frammenti. Strano: più la loro missione così selettiva, così mirata prosegue con successo, più lei si sente tutt’altro che un frammento, un’ombra, un niente desideroso di confini. Una forza, che è insieme un canto di giovinezza feroce e un disperato SOS, le scorre dentro. Insieme a quella, una smania mai prima provata con tale intensità, che la trattiene accanto alla porta spalancata del salone, dove i due guerrieri stanno ultimando la prima fase delle devastazioni.
Sa che quella che prova, insieme alla scarica di adrenalina e al gusto acre del trionfo, non è altro che eccitazione di origine sessuale. Mai provata con tale intensità.
queste che i bastoni da golf di tuo padre» aveva detto guardandola. «Fanno più danni.»
andar via da lì senza lasciare tracce e rendere solidi i loro alibi. A questo pensa Alessia.
Guarda l’orologino digitale al polso: mancano poco più di cinquanta minuti per schizzar fuori casa e fare quello che va fatto. E tocca a lei, l’anima, l’ideatrice di tutto, far rispettare i tempi, fare tornare tutti gli incastri al posto giusto.
Riprende il controllo e diventa la stratega lungimirante e accorta che ha avuto la visione, che ha immaginato e poi cercato i complici per realizzare la punizione. Giusta. Esemplare. Prende tempo. Si sposta di nuovo in cucina e torna a bere il suo caffè, ancora tiepido. Il giornale di ieri è rimasto sul tavolo. Spiegazzato, una macchia di succo d’arancia sulla pagina degli spettacoli.
La loro sfavillante mamma, Eleonora, le membra sottili esaltate con arte, l’incedere sprezzante e quegli occhi vigili e stretti, era sempre presente agli eventi importanti, quelli da vetrina. Sì, a quelli non mancava mai.
L’abitazione dell’affermato imprenditore, l’ingegner Mauro Corneliani, è stata ieri notte devastata da ignoti vandali. Circostanza insolita: i teppisti non hanno trafugato nulla, limitandosi a una scrupolosa distruzione degli oggetti di maggior pregio”. Sì, Alessia è certa che chiuderanno proprio così, su quella nota di Portastupore.di
“Certo che ne avranno da scrivere domani”, riflette. Immagina il tenore dell’articolo in cronaca locale, e le verrebbe voglia di far finta di leggerlo ai suoi due guerrieri, impegnati nella stanza a “fianco.
nuovo i suoi sedici anni, e la bella faccia tesa percorsa da un sorriso segreto, alla finestra della sua camera. Guardando i fiocchi sempre più fitti nel giardino, prova ancora la sensazione di quel grumo duro e compatto che sta iniziando a sciogliersi. Come mai era accaduto negli anni della sua infanzia, solitaria e sfarzosa.
A scortar lei e Gaia ovunque – piscina, catechismo, gli eventi quotidiani della loro vita di bambine ricche e insieme deprivate d’affetto – erano sempre state le numerose tate che si erano succedute negli anni. Alessia aveva rinunciato da tempo a provare a legarsi a una di loro. Nel momento di maggiore vicinanza, sua madre gliele avrebbe sottratte per mille futili motivi.
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Lo aveva scoperto una sera, sostando in portineria da sola: la tata era dovuta scappare per un imprevisto di famiglia e i suoi sarebbero arrivati solo in tarda serata.
Così era stata “parcheggiata” nella portineria di un’imbarazzata Clara, ed era cominciata la sua amicizia con Giulia. Più volte, negli anni successivi, era stata sul punto di confessarle quanto ritenesse che lei, con quei genitori presenti e affettuosi, fosse stata infinitamente più baciata dalla buona sorte. Ma era ormai grande abbastanza per capire che certe affermazioni, in un mondo in cui il denaro è il metro di tutto, non si possono fare.
Quando era arrivata Gaia – Gaia l’inaspettata… l’indesiderata? – quasi otto anni dopo la nascita di Alessia, ancora bambina, lei aveva capito subito due cose: che non sarebbe mai più stata sola e che, in qualche modo, doveva preservare la sorella minore dalla desolazione che aveva vissuto Agendelei.fitte di appuntamenti da pentatleta: nuoto, tennis, ginnastica artistica. Lezioni di piano e d’inglese. Tassativa la loro partecipazione alle lussuose recite scolastiche – e quanto quegli occhi si riducevano a due fessure se alle figlie non toccava uno dei ruoli principali! –Notti avare di calore. Sua mamma non le avrebbe letto favole mimando tutte le voci, come faceva Clara, la custode del precedente appartamento a Milano, con sua figlia Giulia.
Eppure, era a Giulia e alla sua famiglia che il pensiero di Alessia correva, con gratitudine, quando la mancanza di calore dei suoi genitori le lacerava l’animo. Gaia doveva essere risparmiata. Non aveva neanche dodici anni quando l’aveva promesso a se stessa. Per ora, altro non poteva fare che stamparle su quelle guance tonde tutti i baci del mondo. Quelli che a lei erano mancati. Stringere a sé la sorellina tremante nelle notti in cui il vento non sembrava dar tregua e la grandine si accaniva sulla villa isolata.
Naturalmente, ogni figlia dei signori Corneliani aveva una stanza tutta per sé. Allora, alla più grande toccava sgusciare nel lungo corridoio buio, aprire la porta della camera della più piccola, sussurrare «Shhh!» portandosi un dito alle labbra e infilarsi nel lettino accanto a lei. Placando la paura della bambina, appagando il suo stesso bisogno di calore.
L’ideaamate. che sua madre avrebbe da domani accarezzato con quelle sue mani bianche i loro capelli con la stessa tenerezza che riservava alle statuine di Sèvres nel vasto salone – così aperto al mondo, così chiuso a loro – le procurava un turbamento che stentava a trattenere.
La bambina era rimasta in silenzio a lungo, come inseguendo un suo pensiero, infine, rivolgendo uno sguardo luminoso alla sorella, aveva esclamato: «Ma… allora è perché noi abbiamo tutte quelle cose che mamma e papà non stanno mai con noi! Perciò, se arrivano i ladri a rubare tutto, ci fanno un grande piacere, no?» aveva concluso con un sorriso che si era installato come un fotogramma nella mente di Alessia. Ma non solo quello.
Le era nata dentro la convinzione che quella riflessione infantile contenesse in sé i germi di una profonda verità. Dopo lo sfacelo in villa, e la perdita degli oggetti per i quali smaniavano tanto, i suoi avrebbero ricevuto l’illuminazione: le cose davvero preziose, le loro due figlie, erano intatte e pronte per essere
stato proprio in uno di quei giorni in cui si stava scervellando per trovare una soluzione all’assillo di costringere i suoi a dedicare, se non a lei, ormai grande e scafata, almeno alla più piccola del tempo e qualche gesto d’affetto. Meno sporadico. Meno distratto.
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“Dopo il liceo m’iscrivo a Medicina e divento pediatra, così potrò aiutare i bambini in ogni parte del mondo”. Era questo, da anni, il suo progetto, insieme ingenuo e rivendicativo.
Gaia era incollata allo schermo, con la sua stessa passione, quando avevano trasmesso l’intervista al presidente di un’Associazione di volontari: «Questi piccoli sono privi di tutto: le guerre, le carestie e la povertà hanno tolto loro ogni cosa. Però, badate bene…» l’uomo, appassionato e retorico, aveva fatto una pausa a effetto, come rivolgendosi direttamente agli spettatori «quando si trovano ad avere ancora una famiglia, spesso i genitori sono capaci di dar loro molto più affetto e sicurezza di quello che gli darebbero i nostri, così persi tra le cose, e impegnati ad accumulare.»
Paradossalmente, l’illuminazione le era venuta dalla stessa Gaia. Stavano guardando uno di quei documentari che tanto affascinavano Alessia sulle adozioni internazionali.
Fanny, la matura tata inglese di Gaia, che aveva già preso impegni dopo la scadenza concordata, era stata ben lieta che le due sorelle avessero trovato un’alternativa adeguata.
“Che importa che sia avvenuto a notte fonda o all’alba?” s’interroga intanto, per niente preoccupata, mentre il trambusto prosegue incessante. “Tanto, loro hanno voluto la villa isolata apposta per non rendere conto ai vicini impiccioni”. Sorridendo, mentre scuote con grazia i capelli e slancia ancora una volta in alto una gamba, si avvia ai fornelli per preparare una grandiosa colazione ai suoi due guerrieri, al momento alle prese con lo studio di Unapapà.cosa invece comincia a preoccuparla, e scosta di lato la testa come per allontanare il pensiero. Con Andrea non erano sorti problemi: la sua stessa stazza oversize e la timidezza patologica nei rapporti con le ragazze, lo rendevano al più un devoto vassallo, non aspirante ad altro che a L’allampanatoservirla.
«Ci stiamo davvero divertendo troppo» le avevano comunicato al telefono, in modo sbrigativo.
Mirko, eccitabile e nervoso, quasi carino una volta superate le ingiurie dell’acne, si era invece dimostrato molto meno Agestibile.ripensarci, non era stata la sola tempesta ormonale a spingerlo a dire di sì. Ne aveva avuto conferma mentre osservava dalla soglia con quanto sistematico furore roteava la mazza contro i costosi e rari oggetti disseminati un po’ ovunque nel salone di casa. Statuine, lampade Tiffany, scacchiere in onice e madreperla. «Questo è per tutti i milioni di volte che vi siete dimenticati di passare a prendermi alle elementari. E poi far arrivare Margherita, tutta affannata, a recuperarmi. Bastardi!» urlava Mirko con foga. Sbam! E decapitava, lo sguardo di un’allucinante fissità, la più preziosa delle statuine di mamma.
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Alessia, appassionata divoratrice di gialli e noir, si era procurata degli alibi a prova di bomba, spedendo Gaia, negli ultimi tre giorni scoperti, a dormire dalla sua amica di sempre, Stefania; lei invece aveva lasciato quasi all’alba, pedalando come una forsennata nei viali deserti, la casa di sua cugina Giorgia.
L’organizzazione di Alessia era stata perfetta e i suoi, posticipando il rientro, avevano agevolato il suo piano.
Sbam, sbam, sbam!
ci sto» le aveva detto, alitandole sul collo l’ultima birra della serata. «Però, il prossimo appuntamento con le demolizioni è a casa mia. Poi vediamo se anche Andrea merita lo stesso onore. Di’, Alessia, hai mai pensato che possiamo cominciare una saga, qualcosa di figo, di mitico? Tipo La stirpe dei figli vendicatori!»
Alessia era impallidita. Una saga! I figli deprivati d’attenzione di quei ricchi cittadini di serie A, impegnati in una vera e propria epopea. I membri dell’alta borghesia!
Era stato solo la sera prima, però, che Mirko si era rivelato del tutto. Alessia, nell’intento di spronarlo, gli aveva concesso qualche bacio più intimo, esplorazioni più profonde su quel suo corpo sottile. Era stato allora che lui aveva buttato lì la frase che adesso le procurava quella sottile apprensione, che più il tempo passava più ingigantiva nella sua «D’accordo,mente.
Come ha fatto finora a non accorgersi di quanto è bello? Così, grondante di rabbia e sudore, con la stessa frenesia che prova lei. È così naturale quando la prende tra le braccia e la bacia a lungo. Così naturale e… desiderato.
«Quest’altro»14
diceva accanendosi su un raro calamaio del Settecento «per avermi lasciato solo a casa con Margherita con la febbre alta, mentre voi siete partiti lo stesso per la Thailandia… avevo nove anni, pezzi di merda!»
Una rivendicazione non più solo sociale. Non solo strettamente privata. Sa che c’è stato un tempo, negli anni ’70, che tra i giustizieri del popolo si potevano trovare parecchi “poveri ragazzi ricchi” come lei. Con la stessa sensibilità affinata, la stessa vergogna di appartenere a un tale mondo, e lo spregio per le ingiustizie sociali, che li aveva portati verso terribili scelte.
Alessia ritorna in camera sua. Si sdraia sul letto, che ora le appare adatto a una bambina. Quasi non sente aprirsi la porta e Mirko scivolare dentro. Si avvicina e, adagio, si stende accanto a lei. «Una piccola pausa, socia. Mi fanno male le braccia a furia di roteare la mazza da baseball, cazzo!»
Sì, sapeva di condividerne il patrimonio genetico e la ricchezza, ma era così fiera di essere altro da loro, di saper leggere, lei sì, il dolore sulle facce degli altri.
“I tempi, non dobbiamo sforare i tempi. Bisogna uscire ora, subito”.
Respinge il pensiero, rinnega il suo stesso desiderio.
“Deve averlo notato, era con lui in quelle stanze”, ma lo sguardo che posa su quel volto appagato, e che si spinge sotto la grossa cintura di cuoio, le rivela che in questo momento l’unica cosa che sta a cuore a Mirko è di penetrarle nella carne viva, laddove è più tenera e segreta. Dove mai nessuno si è sinora spinto.
A sua madre, al suo ambiente, alle ragazze che lo evitano, ai compagni di scuola che non gli chiedono mai di unirsi a loro. Lui, spesso oggetto di derisione e sarcasmi.
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Alessia ha sempre visto l’amicizia tra i due ragazzi come un rapporto dispari, in cui è Mirko il più forte e Andrea il grato seguace. Soltanto ora si chiede cosa avvenga in quella casa, un ragazzo solo con una madre tanto angosciante.
La trasformazione del loro amico è così repentina e potente che lei deve chiudere gli occhi, come per non restarne abbagliata. Si chiede se anche Mirko, ancora con lei sulla terraferma attraversata da movimenti tellurici dell’al di qua, l’abbia notato.
Si sente divisa tra un’esaltazione selvaggia – la Sacra Distruzione degli Oggetti e quel corpo giovane e duro che preme sul suo, la mano salda sul suo seno, caldo e libero sotto il largo pullover – e un’apprensione che tarda a manifestarsi del tutto, ma pure comincia ad annunciarsi. Scosta decisa la mano di Mirko e concentra tutta la sua attenzione su Andrea, che intanto è comparso sulla soglia della porta, talmente silenzioso che nessuno dei due ne ha avvertito i passi. Andrea, il suo Orso buono, un po’ torpido e devotissimo. Mentre non ha mai avuto dubbi sulla necessità, l’inevitabilità di punire i suoi, rispetto ad Andrea la ragazza riconosce che il sentirsi in colpa – appena un po’, ma comunque in colpa – è una sensazione nota. Ricacciata indietro, ma nota. In fondo il suo povero amico si è tuffato in questa storia solo per lei. E ora eccolo lì, davanti a lei. Coinvolto, tirato dentro. È sempre lo stesso adolescente, eppure… mentre avanza, non più torpido e goffo come sempre, con un sorriso sprezzante e il passo deciso, Alessia comprende, con certezza assoluta, che tra i tre il primo a superare il suo limite è stato lui, il più in ombra. Non è certo diventato più magro, non più attraente. Ma ha rotto la scorza, il guscio invisibile che pareva eterno della sua subordinazione.
Sia Mirko che Andrea le tirano fuori, annuendo. Non disturberanno i Tuttogenitori.quell’organizzare e meditare e incastrare alibi le procura, come al solito, un senso di pacificazione, secondo solo a quello che prova nell’abbracciare il corpo, caldo e vibrante, di sua sorella.
“Gaia, tesoro mio, tu non lo sai, ma è soprattutto per te che faccio tutto questo”.
«Via,16
«Ehi, Ale, andiamo, dai! Abbiamo fatto un’opera grandiosa noi tre insieme… non ti pare che dovremmo fare ancora cose altrettanto interessanti? Sempre noi tre insieme, è chiaro. Siete d’accordo, soci? Tutto dobbiamo fare insieme d’ora in poi. Tutto.» Mirko finalmente accorre al suo fianco, ma prima che possa intervenire, Alessia si scosta e guarda ancor più allibita Andrea.
ognuno ai suoi alibi» dice Alessia ai due. «Io nella camera a fianco a quella di Giorgia, quella ronfa fino alle dieci almeno… con quello che le ho messo ieri sera nella birra» ridacchia. «Voi andate a casa vostra. Avete le chiavi?»
Poi si gira, pronta a dispensare elogi e sorrisi ai membri del commando. Incontra lo sguardo acceso di desiderio di Mirko. Subito dopo, la nuova inquietante versione di Andrea le cinge le spalle e la gira verso di sé: si ritrova davanti la larga faccia sempre un po’ lucida del ragazzo, i capelli trascurati e smorti che gli piovono appiccicaticci sulla fronte. Un sorriso, viscido e maligno, ha preso il posto di quello perennemente impacciato. Una delle sue grosse mani le stringe il seno sinistro, sempre più forte e le strappa un grido.
«Ehi, amici, ma che cazzo? Non ci si può neanche divertire un po’ tra Alessia,noi?» ammutolita, lo fissa come se volesse imprimersi dentro, a fuoco, i dettagli di quella faccia che ormai non riconosce più. «Fa male, eh?» schernisce lui. Anche la voce, canzonatoria e adulta, già non è più la sua. «Tranquilla, vedrai che a loro farà più male ancora…» Né lei né Mirko riescono a muovere un muscolo, mentre Andrea sembra aver preso il possesso del palcoscenico. Si muove e gesticola perfettamente a suo agio in quella situazione.
La ripulsa di lei e la reazione di Mirko sono immediate: Andrea toglie con provocatoria calma la mano, dalle unghie cortissime e squadrate, dal seno di Alessia. Con una faccia da supremo sfottò affronta le forze, cementate insieme, dei due ragazzi.
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Proprio Andrea si gira verso Mirko, ignorando lo sguardo della ragazza e ritrovandolo uguale nell’amico. «Be’, allora? Ci muoviamo, soci? Rischiamo di sforare i tempi della tabella di marcia» conclude con un tono che non ammette repliche, come se non fosse successo nulla. Poi, metodico e flemmatico com’è stato durante la distruzione, incomincia a dettare i tempi. I suoi.
È incredibile, ma io mi sento benissimo. Da Dio! Mai mi sono sentito così, mai. È come se ognuno di quei ridicoli oggetti, orribili e pretenziosi, che affollavano il salone di Alessia, avesse contribuito a rendermi Lainvincibile.polvere delle porcellane frantumate pompava sangue nel mio corpo; gli specchi distrutti, le cristalliere in pezzi, i tavolini ribaltati fornivano ossigeno per la nuova creatura che sentivo crescermi dentro, e che nasceva proprio lì, in quel momento. Ehi! Sto mica dando di matto?
Anche il latte si è fatta andar via pur di tenere il meno possibile la sua carne sulla mia. Quante volte ho creduto di essere infetto, un mostro, uno scherzo grottesco, tanta era la sua repulsione ad avvicinarsi a me?
Parlo come una che ha appena partorito, cazzo. Però, adesso che ci penso, in un certo senso è proprio così. Prendi quella baciapile del cazzo che mi ha messo al mondo, che ha vissuto l’incubo di trattenermi per il tempo necessario in quell’utero secco e striminzito. Che schifo.
E allora, se contiamo questo… sì, io sono nato per davvero in quel salone addobbato del cazzo. Nato da poche ore. Generato da me stesso. Dio, che sensazione di onnipotenza!
CAPITOLO 3
Andrea
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Alessia
Che meravigliosa, malefica gioia aveva provato prima e durante la devastazione. Ogni oggetto distrutto, uno schiaffo alla boria e all’arroganza dei suoi. Ogni suono che accompagnava il gesto, musica celestiale contro la loro grettezza. Allora… allora lo sgomento che l’ha assalita subito dopo cos’era?
«Ehi, Alessia, ma che hai stamattina? Ti stai agitando sulla sedia come un’invasata e fai solo finta di starmi a sentire. Mi vuoi guardare in faccia, sì o no?»
CAPITOLO 4
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La voce insistente di Ilaria riporta Alessia sul pianeta Terra, almeno per qualche minuto. Rivolge un sorriso fiacco all’amica, poi simula un’attenzione prima mai mostrata per la traduzione dal greco, fornita con il solito brio dalla EranoMancinelli.quasi le cinque quando era arrivata a casa di Giorgia; di dormire neanche a parlarne e, comunque, la sveglia era puntata alle sette. Come si era gasata, sentendosi regina di ogni intrigo, la mattina prima, quando aveva raccomandato ai due amici di essere puntuali a scuola quel «Ragazzi,giorno!è
chiaro che bisogna fare come al solito. Nessuno di noi può sapere ancora nulla del furto… Io, poi, sono a casa di Giorgia e lo scoprirò insieme ai miei, quando torneranno dalla crociera.»
Non si è neanche accorta della campanella dell’intervallo. Solo dopo qualche tempo comprende che la mano che la strattona e la spinge fuori dall’aula e la voce penetrante che continua a emettere suoni sono quelle di «CheIlaria.situazione di merda! Incinta di tre gemelli e non so neanche chi sia il padre…»
E le braccia nervose di Mirko che decapitano le statuine e la fanno fremere? E Andrea diventato un continente sconosciuto?
sa se sia stata la risata trattenuta dell’amica o l’evidente enormità della sua provocazione, ma finalmente Alessia concede a Ilaria l’interesse reclamato.
Escono nel cortile ampio e squadrato: la sua implacabile geometria è rallegrata da numerose piante grasse in vaso e alcune aiuole che, nella bella stagione, esibiscono manti multicolore. Si dirigono subito nell’angolo più nascosto, “l’angolo delle coppiette”, come lo chiamano tra risatine complici gli studenti del Virgilio, il liceo privato più prestigioso di Telate.
«Ma che stronza che sei…»
Subito dopo, un inedito silenzio corre tra lei e Mirko. Non solo per quello che hanno appena compiuto, ma per tutto quello che avrebbero voglia di fare adesso. Ma sì, proprio in quel momento. Uno con l’altra. Uno dentro l’altra!
Alessia vuole apparire seccata, ma è grata all’amica per averla distolta, anche se per poco, dai suoi rovelli.
«Andiamo in cortile, parleremo meglio.»
Rovelli che le si ripresentano, amplificati, quando vede apparire la figura dinoccolata di Mirko. Un brivido le percorre la schiena, e non solo per l’impresa appena compiuta insieme.
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“Chissà come gli sembrerò orribile”. È da solo. La grossa sagoma di Andrea, che gli è sempre accanto, stavolta non c’è.
«Come? Gemelli… tu incinta? Ma che…?»
Mirko le si avvicina, stranito quanto lei; una vena gli pulsa sulla fronte e non l’ha mai visto così pallido.
«Oh, finalmente! Benvenuta tra noi! L’ultima carta che mi volevo giocare per risvegliarti era quella di una relazione, finalizzata al matrimonio, con un alieno… meno male che non è servita!»
“Proprio oggi… perché?”. Ilaria comprende di essere di troppo e si defila in fretta. «Ok, ci vediamo in classe.»
Alessia scuote la testa per scacciare l’immagine da Harmony a luce rossa che le è venuta alla mente. Il ragazzo continua a sorriderle, senza parlare. Poi, dopo che Ilaria è sparita dalla loro vista, con uno scatto le prende la mano e l’attira a sé.
Ci sono così tante cose da dirsi che comincia una serrata partita a tennis di domande che esigono risposte, e risposte che nessuno è in grado di «Com’èfornire. andata poi ieri notte? I tuoi non hanno sentito niente?» parte LuiAlessia.scuote la testa e ribatte: «E tu, come ti senti?»
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Alessia non ha voglia di rispondere a una domanda tanto semplice quanto complessa come quella. «Tutto ok» liquida. «E Andrea? Perché non è a scuola?»
Mirko si strige nelle spalle. «Tu sai qualcosa?» «Qualcosa gli deve essere successo. Non era più lui ieri!» «Dopo, all’uscita da scuola, vieni da me» suggerisce Mirko. «I miei non tornano neanche per cena, stasera… e sai che novità. Hanno chissà quale altro affare da combinare, l’estetista e il suo ganzo.» È una delle tante cose che ha unito le tre giovani esistenze. “L’estetista e il suo ganzo” sono i genitori di Mirko, altrimenti chiamati “la racchia con i soldi e il culturista”. Mirko detesta i suoi almeno quanto Alessia suo padre e sua madre.
“La gelida arrampicatrice e l’imprenditore rimbambito” sono invece gli epiteti che Alessia riserva ai suoi. Ma nulla in confronto alle pirotecniche invenzioni di Andrea per definire sua madre, Matilde Vichi, la ricca vedova del notaio.
Il linguaggio ricercato e forbito del ragazzo, altra stranezza che lo penalizzerebbe nei rapporti con i coetanei, diviene incandescente quando si applica a Matilde. “Mater”, pronunciato con aperto sarcasmo, e “Vecchia strega”, “Biascicatrice di Avemarie”, “Farisea demente” sono gli appellativi con cui si rivolge più spesso a Matilde, nel corpo a corpo mentale che combatte contro di lei.
Gli tornano utili le forsennate e onnivore letture scolastiche e le relative acquisizioni linguistiche. D’altronde, se sei un nerd cupo, a disagio con il proprio corpo e con la propria mente, a qualcosa dovrai pure attaccarti. Però il piacere più genuino lo prova quando, nei duelli mentali con lei, la definisce con disprezzo: “Vecchia strega del cazzo.” Alessia riporta, attenta, lo sguardo sul compagno. Le sembra già di avere le mani di Mirko sul corpo, che la cercano affannose, e viceversa le sue mani su quelle braccia forti, pronte ad arruffargli i capelli scuri.
bocca a cercarlo con l’avidità e l’ebbrezza della scoperta. Certo, poi si sarebbe parlato di tutto, soprattutto di Andrea… la sua assenza da scuola non concordata, la sua repentina trasformazione in quell’alba di distruzioni di poche ore prima.
La22
Ne avrebbero parlato sicuramente. Ma c’era tempo. Dopo. Lo avrebbero fatto dopo.
Avrebbero parlato a lungo di tutto questo, stretti sul lettino di Mirko, i capelli a spioverle addosso e un’intimità nuova, ma pure inevitabile, tra loro due.
CAPITOLO 5
Due settimane prima delle “demolizioni” in Villa Corneliani, nella sala da tè del centro di Telate, Matilde Vichi compie il suo rito delle cinque con l’amica del cuore, Beatrice Radaelli. La donna, definita da Andrea “La mummia capo”, è la cinquantenne moglie di uno degli avvocati più in vista di Milano, oltre che leader indiscusso del gruppo di amiche, nella versione di Andrea “gli immondi mascheroni” o “le oscene befane”. Sorseggiano la loro tisana antistress, accompagnata da biscottini all’arancia e zenzero. La sala ampia e luminosa, boiserie in legno di rosa, stucchi e tendaggi, è gremita di rappresentanti delle classi agiate del piccolo centro. Donne sessantenni dai capelli che rimandano inquietanti riflessi azzurrognoli e volti da replicante. La Radaelli è corpulenta come l’amica, ma senza la “naturale raffinatezza” di Matilde. Un sergente di ferro, dai corti capelli azzurrati e gli occhi indagatori. Per qualche motivo ha preso molto a cuore le sorti di Matilde, dopo la morte improvvisa dell’amatissimo marito, il notaio Rodolfo. Lei non ha figli, ma è prodiga di consigli per quelli degli «Matildealtri.non stare ad affliggerti per Andrea. Sono crisi dell’età, quelle che sta attraversando. Non starei a preoccuparmi più di tanto, tesoro «Nonmio.»
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lo so, Beatrice. Vorrei tanto che avessi ragione tu… ma è diventato davvero strano da un po’ di tempo a questa parte. Mi preoccupa. Non è mai stato così. Sempre vestito di nero dalla testa ai piedi, e l’espressione di quegli occhi, ancora più nera. Sta sempre in camera sua, quando non è a scuola, a perdere la vista su quel dannato computer. Non mi guarda, e se lo fa vorrei non l’avesse mai fatto. Eppure, a scuola è sempre uno dei migliori. Vedi, con la scusa dei colloqui con i genitori, ci sono andata stamani e…»
Matilde
«Ma chi, l’estetista? Non mi dire! Quella con quel bel pezzo di marito, tanto più giovane di lei? La cosa lì, come si chiama…»
«Allora?»24
L’arrivo della terza attempata amica le distoglie da ulteriori malignità. Si rimpinzano di gossip e pasticcini finché non viene l’ora di tornare ai rispettivi, lussuosi appartamenti. Tornando verso casa, Matilde ha tempo di pensare alle confidenze fatte all’amica. Beatrice si è sempre compiaciuta della sua lungimiranza nello spedire “la sua povera amica Matilde” dal dottor Moroni, psicoterapeuta proprio da lei già testato con successo in passato. Nel suo caso personale, “niente di che”, diceva Beatrice a tutti. «Ci mancherebbe! Noi Radaelli siamo di struttura nervosa solida» teneva poi a precisare. La sua era una “stupida claustrofobia che mi limitava parecchio la vita sociale. Il Moroni è stato bravissimo. Una sessione di psicoterapia breve et voilà”. Matilde è però ben consapevole che, nonostante l’affetto sincero che la donna le dimostra, l’atteggiamento nei suoi confronti è uguale a quello di una madre equilibrata e razionale verso l’amata fragile figlia.
«Bene, un’ottima cosa, allora!» la incoraggia l’amica. «Solo che tutti mi dicono che tende a stare troppo per conto suo, non lega quasi con nessuno. Pensa che quando quella ragazzina della supplente d’Inglese mi ha detto che “meno male che ha stretto amicizia con Alessia e Mirko”, quasi sono stata contenta, anche se lui è il figlio di quella dei centri estetici, sai, quell’arricchita…»
«Marino, Laura Marino… sì, proprio lei.»
la incalza famelica Beatrice. «Allora, stando a quello che dicono tutti i suoi professori, niente da segnalare. Profitto eccellente, soprattutto nel laboratorio d’informatica e in italiano, non sai quanti paroloni ricercati è capace di usare.»
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L’odore che avvertiva in estate, nel fresco amico della sua cameretta a Felline, un angolo incontaminato del Salento, era lo stesso che aleggiava tutto l’anno nella loro casa di Milano. Lo comprese di colpo. Penetrò nel suo mistero con la verità e l’urgenza dei suoi sei anni, mentre Matilde si chinava per dargli il bacio della Talebuonanotte.ritoera stato preceduto dalla familiare esitazione fuori dalla soglia, e dal fievole rassegnato sospiro che l’accompagnava. Sua madre si era nuovamente “risvegliata”.
Il notaio Vichi, professionista cortese e assai stimato della Milano che conta, e centro esclusivo della vita di sua moglie, era esile, sparuto, con i capelli leggeri precocemente incanutiti. Seppur dimostrandoglielo nel suo modo impacciato, come se tenesse sempre a freno quella mano che voleva indugiare sulla testa del figlio, Andrea sapeva di esistere per suo padre; era consapevole di essere una presenza nella sua vita. Eppure, era proprio Rodolfo l’incolpevole causa della cecità selettiva di LaMatilde.figura fragile del notaio appariva agli occhi della moglie illuminata a giorno, centro di ogni attenzione e di sconfinata devozione. Non restava più molta luce per il mondo circostante, e nessuna per il loro bambino.
Negli anni, Andrea aveva compreso che la riluttanza – la repulsione? –ad avvicinarsi a lui, posare una mano fresca sulla sua fronte per
Rodolfo, suo padre.
Andrea
O meglio, rifletterà Andrea molti anni e molte cicatrici dopo, era stata spinta da Rodolfo a ricordarsi di lui. Forse lui stesso l’aveva accompagnata dietro la porta chiusa.
CAPITOLO 6
Dopo mesi di completa inconsapevolezza della presenza di un bambino, il loro bambino, in quell’opprimente cattedrale della loro casa – una casa di vecchi – si era ricordata di lui.
“Per fortuna si ricorda di avvicinarsi a me con molta moderazione”, si è sempre sforzato di pensare Andrea, quando gli obblighi materni di Matilde latitano.
provargli26
Andrea al ginnasio aveva divorato La Recherche e invidiato sempre al giovane Marcel i momenti, insopportabilmente intensi, in cui da bambino attendeva l’ingresso di sua madre per la buonanotte.
la febbre, anche solo scompigliargli i capelli, esisteva da un tempo lontanissimo.
Era un odore leggero ma persistente, annidato nelle sue narici, in cui si era insinuato un poco ogni giorno, alfine fermato per sempre alla base del setto nasale.
Non si era fatto più nessuna illusione quando aveva ammesso che quella stessa repulsione era nata insieme a lui, pur continuando a interrogarsi fino allo sfinimento sui motivi di quell’atteggiamento contro natura.
Mater, in verità, non era molto portata ad ampliare le conoscenze; era stata Beatrice Radaelli a imporsi insieme alle altre befane sue amiche. Fosse stato per lei, Matilde si sarebbe nutrita solo dell’adorazione per il Inoltre,marito. continua oggi a ragionare il ragazzo, la sua adorabile genitrice non ha mai amato i bambini… anzi, li ha sempre evitati il più possibile. La sua sola colpa è di essere stato un bambino. Pensa anche, però, che essendo quello uno stadio “temporaneo”, il domani sarà diverso. Prima o poi sarà costretta a vederlo.
Lui ormai da tempo non aspetta più tali sporadiche epifanie. Ma quella sera, quando le labbra secche di Matilde si erano posate a sfiorare la sua guancia, Andrea aveva infine riconosciuto l’origine dell’odore e la sua natura.
L’odore non parlava solo di lei. Si accostava al suo orecchio per suggerirgli segreti e zone d’ombra, si divertiva a rivelargli nascoste
Il bambino seppe di averlo respirato da sempre, di esserci nato insieme, filtrato dal cordone ombelicale che lo legava alla sua riluttante Nonportatrice.sipoteva definirlo un odore sgradevole né imbarazzante; anche questo lo scoprirà anni e ferite dopo. Arrivò a comprendere che era un odore “mentale”, solo a lui manifesto, solo da lui percepito. L’odore proveniva da sua madre, era indubbio. Ed era capace d’infestare tutto attorno a lei.
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intimità dell’irreprensibile coppia, urlava infine la fanatica dedizione di Matilde al marito, nonostante lui le avesse fatto crescere quell’alieno Soprattutto,dentro.
e Andrea ancora a sedici anni non se ne capacita, trasudava vecchiaia come una sugosa arancia del Sud il suo rosso umore. Non solo quella anagrafica, né quella che allignava in certe mortifere residenze che accompagnano i vecchi incontro alla loro fine, con il loro retroterra di urine stagnanti e cervelli al capolinea. No, era un altro tipo di vecchiaia che l’odore di sua mamma gli richiamava. Un rinsecchirsi di sentimenti focalizzati su un unico oggetto, uno slancio vitale, semmai posseduto, ora del tutto estinto. Un fanatismo finalizzato alla sola conservazione del decoro esteriore. Tutto sembrava corrompere quell’impalpabile polvere. Adesso Andrea si sorprende spesso nell’atto di scrollarsi di dosso qualcosa di GliInconsapevolefastidioso.evanaautodifesa.cisonovolutianniperarrivare
a ricostruire la storia dietro la tardiva unione dei suoi. Ancora di più, e con maggior fatica, nel cercare di mettere insieme le informazioni, carpire brani di confidenze tra loro o i motteggi del personale domestico, per comprendere le ragioni della sua inspiegabile, e fuori tempo massimo, venuta al mondo.
Matilde
«Che strano, eh, dottore? Io quelle pulsioni sessuali di cui tanto parlavano le amiche non le provavo allora. E anche dopo… Comunque, è stato quando non avevo saputo tenere a freno il dilagare delle emozioni alla notizia che i miei m’invitavano a vivere la mia vita, a viverla da sola, lontana da loro. Per tre anni mi hanno costretta ad andare dal dottor Ronghi, in quello studio un po’ triste, disadorno, in cui entravo con disagio e ne uscivo con confusione. Era un analista freudiano, sa, e relazionava la mamma su eventuali miei progressi, ma si era sempre lamentato del fatto che “non collaboravo”. Però alla fine gli sembrava di aver capito qualcosa, e se avessi ancora continuato la
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Tra un’ora si sdraierà sul consueto divano, nell’accogliente penombra dello studio del dottor Moroni in Corso XXII Marzo dove, due volte a settimana, cerca di dipanare l’enigma che lei rappresenta ai suoi stessi Laocchi.sua intermittente relazione con gli scrutatori di psiche è sempre stata subita e decisa da altri, tranne stavolta.
CAPITOLO 7
«Signora Vichi, può dirmi cos’è successo le precedenti volte e in quale fase della sua vita si sono collocate?»
Mentre in camera sua si dà un ultimo ritocco al rossetto, di un color mattone molto discreto, Matilde realizza, forse per la prima volta, che con quell’ultimo ciclo di sedute sono tre i momenti in cui è dovuta ricorrere alle cure di un analista.
La sua prima volta era stata a diciannove anni, quando le ragazze di buona famiglia della sua generazione vivevano la loro prima volta nella scoperta del sesso.
Nell’ultima seduta, il dottor Moroni, un uomo ancora giovane, alto, bruno e sottile, con uno sguardo di partecipe dolore che le ricorda quello di suo padre negli ultimi tempi, ha deciso di affrontare il nodo dei suoi precedenti percorsi di analisi.
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Lui avrebbe preferito specializzarsi nei comportamenti devianti adolescenziali, ma a volte pensa che le pazienti siano come le ciliegie: una tira l’altra.
terapia sarebbe riuscito ad aiutarmi. Così mi avevano detto i miei genitori… papà, imbarazzato ed esitante, mentre la mamma mi guardava e mi supplicava di andare avanti. Dio! Come sembravano vecchi in quel momento! Per quando tempo ancora avrei potuto averli con me? Per quanto ancora tutto sarebbe rimasto come prima? Come Lasempre?»donna si ferma, dentro di sé ancora l’eco dell’antica domanda. Lascia scorrere, trasognata, lo sguardo su quella stanza, che giorno dopo giorno le diviene familiare. Com’è rassicurante con la sua libreria di mogano, i grossi tomi in ordine simmetrico, la luce soffusa della lampada di ottone e vetro verde della scrivania. Lo stesso analista, che la incoraggia ad aprirsi, giovane ancora ma capace di placarla, lo è. Rassicurante, come non lo è mai la vita. «La mamma intuiva tutto anche se, allora, disse sull’argomento ben poche parole. “Tesoro, tu devi accettare la vita e viverla con gratitudine, momento per momento. Vivi bene ora, mentre stiamo tutti in salute… e comunque noi non siamo proprio decrepiti!” diceva, e cercava di sorridere, povera mamma. Mi spiegava che non era sano pensare che tutto deve restare così per sempre. La vita è movimento, diceva, non immobilità. Mi sarei innamorata, avrei avuto un lavoro e dei figli. Sosteneva che mi sarebbero stati sempre vicini, ma che ormai ero un’adulta. Dovevo accettare la vita e il finire di essa.»
Almeno è così che è capitato a lui: la donna matura e benestante che ha guarito facilmente dalla sua fobia, nel vasto giro delle sue amicizie femminili, è considerata una sorta di opinion leader. Quindi all’analista tocca confrontarsi ogni giorno con i problemi di questa precisa tipologia di pazienti; che spaziano dal superamento delle fobie alla “sindrome del nido vuoto”, quando anche l’ultimo dei figli ha lasciato la casa di famiglia.
Il dottor Moroni riesce a incarnare molto bene il prototipo dello scrutatore di psiche. Almeno, agli occhi delle sue pazienti, donne della buona borghesia e avanti con gli anni, che costituiscono il grosso della sua clientela. Come questo sia accaduto non saprebbe spiegarlo. Certo non ha brigato lui affinché ciò accadesse. Anzi.
Quando Giuliano Moroni ha scoperto che, almeno dalla prima elementare, Matilde era vissuta con il terrore costante di perdere quei genitori tanto amati.
tranne la donna che ha davanti, e che in quel momento gli rivolge un sorriso, che nelle sue intenzioni vuol essere coraggioso. «Visto, dottor Moroni? Mi ricordo bene tutto, parola per parola. Dio, se avevano concordato bene insieme, quei tre! Mamma, papà e il dottor Ronghi. Tutte le belle frasi a effetto da propinarmi, le perle di saggezza. Io non mi sentivo strana, né diversa… volevo solo che tutto continuasse come sempre. Quando m’iscrissi alla scuola per infermiere professionali, tutti tirarono un sospiro di sollievo. Primo passo verso la guarigione e l’accettazione della realtà, pensavano.» Matilde si ferma ancora dopo aver pronunciato quell’ultima parola. Emette una breve e secca risata, che è quasi un singulto. Ricorda benissimo anche l’altra circostanza, quella che le è costata tanto dolore sviscerare con il suo analista.
Fino a sei anni, a ogni modo, che i suoi fossero “diversi” non le aveva procurato nessuna apprensione, se non la sotterranea esaltazione che loro erano diversi perché “speciali”.
Con soave perfidia l’aveva avvertita che i suoi genitori erano diversi dagli altri non in quanto speciali o migliori, ma in quanto vecchi. Vecchissimi. Decrepiti. Passibili di morte da un momento all’altro. Un dispetto da bambini… con conseguenze fatali per lo sviluppo psichico di Matilde. Il dottor Moroni si avvicina alla sua paziente e le porge, sollecito, un fazzoletto di carta.
Tutte…30
Come nascono e mettono radici nel cuore di un bambino terrori così Èancestrali?veroche c’era stato un episodio in particolare a far da detonatore. La bambina aveva però già in precedenza intuito che Ada e Armando, tanto meravigliosi e insostituibili, non erano come gli altri genitori. Non sapeva ancora bene in cosa consistesse la loro diversità. Erano diversi? Certo! Perché erano molto meglio degli altri genitori.
Era stata Anita, la sua compagna di banco, rosa dall’invidia per le tante attenzioni di cui godeva Matilde, a disintegrarle il castello.
«Signora Vichi, si prenda il tempo necessario. Possiamo anche riprendere alla prossima seduta.»
La donna annuisce con un debole cenno.
«Loro, i bambini» dice, reprimendo a stento un gesto di ripulsa «mi spaventavano. Mi spaventavano moltissimo. Come cambiano in fretta! Un giorno gattonano e ti tirano per la gonna e il mese dopo – un solo mese, dottor Moroni – già camminano. Li rivedi dopo due anni… e non hanno più bisogno di te! Tutta quella vita… no! Non ce l’avrei mai fatta a lavorare con loro. Ma…»
«Certo» conferma lui «e questo lo sa anche lei, signora Vichi» risponde, sorridendo.
In quel momento, dalle tapparelle semichiuse, filtra un raggio di sole che si posa sui capelli precocemente brizzolati dell’analista e, alle sue spalle, si riflette contro il vetro che incornicia la pergamena del diploma di laurea che attesta la legittimità dell’uomo a svolgere il suo compito. La vedova del notaio scuote con decisione la testa, mentre continua a tergersi gli occhi. «Nessuno ha mai capito che il motivo principale che mi ha spinto a iscrivermi a quel corso di studi, oltre quello di liberarmi di Ronghi, era conquistare tutte le conoscenze che mi avrebbero permesso di accudire i miei e ritardare il più possibile “l’inevitabile”. In quei tre anni di terapia mi sentivo sotto osservazione, scrutata anche nella quiete della mia camera. Le distanze dal nostro appartamento ad altri luoghi mi sembravano sempre enormi… Dopo commissioni di un’ora tornavo trafelata a casa per sorvegliare che ai miei non fosse accaduto nulla. Tre anni di giovinezza vissuti in un limbo ovattato, con i miei che insistevano che uscissi, scegliessi una facoltà all’università, insomma entrassi anch’io nella vita vera. Così, quando a ventidue anni ritornai a studiare e a uscire con amiche e sì, anche qualche corteggiatore, per i miei fu festa grande. Dopo tre anni, la prima del mio corso, ottenni il diploma e iniziai a lavorare. Una cosa l’avevo capita bene nel mio tirocinio in pediatria dell’ultimo anno: non volevo avere niente a che fare con i bambini. Non che li odiassi, chiaro, ma mi erano del tutto estranei, un universo distante e lontano…»
Matilde si ferma un attimo e guarda il dottor Moroni. «Dice che è importante ricordare quei tempi e legarli alle terapie?»
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Si fissa stranita le mani, come se faticasse a riconoscerle come sue. Fuori un tram frena di botto con un lunghissimo stridio: clacson suonano impazziti, voci di alterco giungono fino al primo piano, nello studio in cui esercita l’analista.
allora. Otto anni dopo, il giorno prima del mio trentesimo compleanno, che i miei speravano allietato da tanti bambini, il mio papà…» Matilde sospira «ebbe un aneurisma. Un aneurisma è qualcosa che non si controlla, si sa, una piccola vena con cui si nasce, che può restare silente o decidere di scoppiare quando fa comodo a lei, almeno quelle cerebrali. Nel caso di mio padre si è trattato di “un difetto congenito, non c’è niente da fare”. Così mi rincuorò il primario dell’ospedale presso cui lavoravo. Sottoponevo i miei a periodici checkup ed ero sempre pronta a intervenire alle prime, piccole difficoltà. D’altronde, non avevo scelto a caso di lavorare nel reparto geriatrico. Papà non era neanche iperteso, era magro, camminava e faceva ginnastica dolce per anziani, insieme alla mamma. Il mio amatissimo padre non ne morì, ma restò gravemente compromesso, nella parola e in parte anche nel movimento.»
D’improvviso si accorge del ticchettio del grosso orologio antico, abito di noce e anima di complicati ingranaggi, sulla parete accanto agli attestati dello psicologo. Sa che non deve guardarlo, non sollecitare la sua corsa, né chiedergli di affrettarsi.
«Bene,32
Matilde chiude gli occhi, li serra quasi, per lungo momento. Il dottor Moroni può osservare il volto della donna che, in un tempo brevissimo, si è imposta come uno dei casi di maggior spessore in cui si sia mai imbattuto.
«Rimasi stranamente calma sa, dottore? Quando infine le tue peggiori paure si verificano è come se fossi già pronta. Papà aveva settantasette anni e mamma tre in meno. Impensabile che potesse occuparsene lei da sola o che lo affidassimo a un aiuto prezzolato, così chiesi e ottenni, anche se a fatica, il part time in ospedale. Ma continuarono a essere anni felici. In fondo eravamo ancora noi tre! Adattammo tutto a misura di papà, lui non aveva affatto perso le capacità cognitive, così continuammo i nostri bei discorsi a tre… finché il tempo ce lo «Fuconcesse.quando sei anni dopo toccò alla mamma che davvero tutto crollò. Dovetti lasciare il lavoro in ospedale e accettare, quando potevo, incarichi come infermiera a domicilio. Ci riuscivo, organizzandomi con mia cugina, che abitava poco distante ed era l’unica persona di cui mi fidassi. Questa saltuaria attività serviva per tenermi aggiornata, ma anche per necessità, con due pensioni e i problemi di salute dei miei non si andava molto lontano.»
Rivelazione dopo rivelazione, ha potuto correggere questa iniziale affermazione: Matilde Vichi non è “uno dei casi più stimolanti”, è “Il Caso” per eccellenza, quello oscuro, ramificato e complesso che avrebbe fatto la gioia di appassionati analisti che, come lui, intendessero mettersi alla prova. Ignara dei pensieri che occupano la mente dello specialista, Matilde riprende a parlare: «Me lo aveva anche chiesto mio padre, che ormai era riuscito a recuperare molto del linguaggio perduto, grazie a un’abile logopedista e a una ferrea volontà. Me lo aveva chiesto mentre mamma, colpita da ictus, ancora lottava in ospedale tra la vita e la morte. Nessuno sapeva dirci se, e come, ne sarebbe uscita. Questa volta non riuscii a restare calma, dottore… ne fui travolta. Papà era diventato una creatura più fragile da sostenere, ma era rimasto lo stesso e le nostre chiacchierate davano un senso alla mia vita. Ma la mamma…» È impressionante, osserva Moroni, come sia dentro la storia, come la donna stia rivivendo le reazioni estreme provate nella rievocazione di quei «L’ictusmomenti.siera portato via tutto. La sua memoria, gli affetti, la possibilità di ricordarsi di noi. Andai ancora dal primario che aveva seguito papà, che mi fece capire che di tempo non le restava molto. Poi, prendendomi una mano tra le sue, mi sussurrò: “Capirai che è meglio così, Matilde. Due croci insieme non si possono portare. Tutto il tempo che tua madre potrà ancora vivere, a partire dall’anno o due che la scienza crede possibile, lo dovrà a te, alle tue cure”.»
Matilde si ferma, persa in quei ricordi. Poi, con gli occhi brillanti e le guance rosee, volgendo il viso verso l’analista, conclude: «È rimasta tra noi ancora sette anni. Sette. E se papà non fosse mancato sei mesi prima, sono certa che avrebbe resistito ancora…»
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Mirko
“Che ostentazione cafona… proprio da arricchiti”, riflette. Si rende subito conto, con uno spasimo di sgomento, che non solo ha avuto un pensiero schifosamente di classe, ma anche e soprattutto proveniente dalla voce cristallina di sua madre.
CAPITOLO 8
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Alessia indugia sul senso di artefatto lusso ed esibita opulenza.
Qualche anno dopo, supportata da altre conoscenze, Alessia avrebbe ammesso che, tu lo voglia o meno, l’imprinting familiare, capriccioso e maligno, ogni tanto si diverte a fare capolino.
Alessia riposa con la bionda cortina di capelli sul torace di Mirko, proprio come l’aveva immaginato nel cortile della scuola. Non guarda il soffitto né si guarda dentro. Si limita ad assaporare il momento. Mirko la tiene stretta a sé, ancora incredulo. Solo un’ora prima lui la guardava aggirarsi per l’appartamento, toccando un oggetto, commentando un quadro o una delle tante foto in cornici d’argento disseminate per il salone. Mirko smania dalla voglia di portarla in camera sua e non solo per fare Questal’amore.roba non mi somiglia per niente, vorrebbe dirle, vieni nell’unico posto in cui ho lasciato una traccia in questa maledetta casa di Leiarricchiti.sisofferma a lungo sulla grande foto ovale dei genitori di Mirko: erano in giro per «Non so quale delle loro stronzate», dice innervosito. La ragazza non sta meglio di lui. Osserva la foto: lei con un abito sgargiante, costoso ma dozzinale, il biondo platino d’ordinanza; lui, palestrato, bello e consapevole della cosa, con gli avambracci strozzati nelle maniche dello smoking.
Scuote la testa – gesto che Mirko trova adorabile al pari di mille altri gesti di lei – e, mentre la stringe più forte a sé, il suo pensiero corre a quello che poi è successo. Nel modo più naturale possibile.
Lui, Mirko, additato come prole di arricchiti, “il figlio dell’estetista”, e Andrea, tutto ciccia e sfiga, anche se figlio del fu ricchissimo notaio Vichi. Prima non si capacitava, invece, della scelta di Alessia.
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In due giorni la sua vita si è ribaltata: all’alba invasato demolitore di bene preziosi, con il miraggio di fare di quel primo episodio una vera e propria epopea; la sera stessa la cosa che ha più desiderato, con furia ma anche con tenerezza, è accaduta.
Comprende le ragioni di Andrea. Una coalizione tra esclusi, sia pure per motivi diversi.
Alessia ha un animo gentile e un cuore generoso. È una delle poche a ringraziare i bidelli per delle commissioni, interviene quando lo sfigato di turno viene messo in mezzo e il suo indignato stupore magicamente conduce alla resa anche i più esaltati. Le piacciono i bambini piccoli, la vedeva in azione con Gaia e con i fratelli minori degli altri compagni. È stato quando ha visto la ragazza insieme a sua madre, l’attrice di cui tanto si parlava, che si è accorto che alla donna, pur bellissima, manca
Entrambi si sono riconosciuti nel desiderio che anima l’altro e da compagni di avventura sono diventati una coppia.
Saranno state più di un milione le volte che Mirko si è scervellato sulle ragioni che hanno portato Alessia ad avvicinarsi così tanto a lui e, per suo tramite, ad Andrea.
Primo: gli piace perché di quella sua nascente bellezza è ancora quasi inconsapevole. Secondo: perché non è una figa di plastica come la maggioranza delle giovani e danarose snob che pullulano a scuola. Con una di loro, Valeria, avrebbe potuto mettersi insieme, anche se aveva colto il gesto dell’amica di lei, che l’aveva tirata per un braccio quando si era accorta che lei stava guardando “il figlio dell’estetista”. Ma, anche se Valeria può definirsi più sexy, con le forme già piene, non è bella dentro neanche un decimo di Alessia. Lui questo lo sapeva, l’aveva capito subito.
Ma non è solo perché è così bella che gli piace tanto, anche se non osa dire che l’ama, se non con un fil di voce a se stesso, poco prima di prender sonno, come un viatico per una notte serena.
Era inconcepibile che lei lasciasse cadere con noncuranza gli inviti dei ragazzi più in vista del liceo, che rifiutasse di entrare in quegli stupidi club di ragazze, che pure facevano innalzare il prestigio delle socie, e poi accettasse di uscire con loro due insieme. Da soli, in verità, era successo appena due volte e per Mirko era stato il Paradiso in terra.
“Non ho mai dormito tanto bene come adesso, che faccio fatica a muovermi… ma chi si vuole muovere. Sto troppo bene…”. Questi i primi, sonnacchiosi e sazi pensieri di Mirko, che precedono di qualche minuto il risveglio di Alessia. Dall’occhiata che lei gli rimanda appena sveglia, languida e appagata, Mirko sa che anche quelli sono pensieri condivisi.
Mirko si aspettava di vedere anche lei entusiasta per quella figata della sua idea della stirpe dei figli vendicatori, e invece… D’accordo, lui è carico di adrenalina ed eccitazione sessuale ma… ma lei è sembrata addirittura sbigottita. Perché mai? Capisce invece benissimo perché si sia tanto impaurita quando ha visto Andrea cambiare sotto i loro occhi, nelle poche ore di quell’alba di NegliLodevastazioni.sabenissimo.occhilesi
qualcosa d’importante, di cui invece sua figlia abbonda. E questo qualcosa, pur arrossendo Mirko sente di doverlo affermare, si chiama anima, e fa sì che Eleonora, la donna tanto acclamata per il suo fascino, agli occhi del ragazzo appaia un essere monco e per nulla Lainvitante.prima volta di lei. La prima volta di lui. Il loro impaccio, l’inesperienza, i dubbi spazzati via da un desiderio di condivisione così potente che faticano a placare. Condividere le attese del prima, le ansie, i dubbi, l’appagamento e la Sipacificazione.cercanoancora.
***
leggeva lo stesso spavento che aveva provato lui.
Con gli occhi, con le mani, ma sanno che adesso è venuto il momento di condividere i ricordi dell’alba prima, e i passi da fare. E, soprattutto, parlare di Andrea.
Alessia e Mirko dormono stretti l’uno all’altra; lo scarso spazio concesso dal lettino del ragazzo è più che sufficiente per loro.
Per la prima volta nei suoi sedici anni di vita, sente di non essere solo. Gli sembra di essere abitato da una folla di persone, tutte egualmente ben disposte verso di lui, accolto e accudito con tenerezza. Alessia, distesa accanto a lui, un occhio coperto dalla fitta cortina di capelli e un seno appena fuori dalle lenzuola, ormai è del tutto sveglia.
qualcosa,36
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Alessia attira a sé il ragazzo con la stessa tenerezza con cui abbraccia Gaia. «Mirko, io prima di te ho provato queste sensazioni solo con Gaia, abbracciandola stretta quando era triste e seguendola nelle sue prime scoperte. Come fosse una parte di me. Adesso forse anche tu stai capendo cosa significa condividere una cosa del genere così forte. Riesci a immaginarti le sensazioni di Andrea quella notte?» Alla smorfia seccata di lui, Alessia gli pone una mano sul braccio. «Solo l’esultanza folle che avevamo noi? Oppure… qualcosa di ancora più forte? Io l’ho visto, l’ho visto! Si è trasformato davanti a noi. Il modo in cui mi guardava…» Alessia rabbrividisce. «Mai, mai mi ha guardata così! È arrivato a tirarmi a sé con violenza, l’hai visto anche tu… mi ha toccata come se non avesse bisogno di chiedere, come se gli fosse dovuto!» Mirko la lascia parlare, con un’espressione mista di rabbia e disappunto al ricordo. «Volevo spaccargli la faccia. Cambiamo argomento, che è Accendemeglio…»lo smartphone che aveva lasciato sul comodino. Fuori, intanto, il pomeriggio trascorre lento nelle prime avvisaglie della sera. Sospira, cerca tra i WhatsApp ricevuti e poi attira Alessia verso il messaggio da leggere.
Sa che questo significa che dovranno parlare, anche a lungo, e non della gioia che li attende ora che stanno insieme. Va fatto e non solo perché è questo che lei vuole, ma anche per districare quel groviglio, ribollente e vivo, che si muove dentro di loro e che li ha portati a fare quello che hanno fatto nella villa di Alessia, e spinto lui a volerne di più, ancora di più, fino ad arrivare a proporle la nascita di un’epopea. Le prende una mano e l’attira a sé; Alessia si mostra arrendevole, calda. «È stato tutto così strano, l’altra notte, che io… io non lo so neanche cosa provo, adesso. Mi ricordo bene, invece, come mi sentivo mentre mi divertivo a sfasciarti la casa. Mi sentivo invincibile. Un giustiziere. Un supereroe. Questa cosa mi esaltava e dopo mi ha fatto paura. Una fottuta paura.»
Lei gli stringe la mano. «Anch’io mi sono sentita così… sì, anch’io. Un’eroina invincibile e cazzuta. E subito dopo una paura più fottuta della Mirkotua.»laguarda a lungo, poi le sussurra tra i capelli. «Ma riproverei tutto, l’esaltazione, il terrore, l’angoscia… se sapessi che alla fine di tutto questo ci sei tu.»
«Allora non è sparito! Da’ qua!» intima lei, togliendogli dalle mani lo «No,smartphone.nonèsparito proprio per niente» risponde cupo il ragazzo.
“Andrea: Splendido mattino di una nuova alba, soci cari, di una nuova stagione. Don’t worry se non mi farò vivo per un po’ di giorni, c’è ancora qualche cosetta che devo perfezionare e qualche altra che ha bisogno di tempo per manifestarsi. Ma ci rivedremo presto. Credete mica che ci fermiamo qui? Proprio adesso! Niente paura. Sto tornando!”.
questo l’ho ricevuto poco prima di entrare in classe, proprio mentre mi guardavo in giro per cercare Andrea. Non volevo creare angosce anche a te. Ma è giusto che lo legga anche tu.» Mirko s’interrompe per stringere forte la mano sottile della ragazza. «Perché quello che è certo è che, qualunque cosa bisognerà fare, la decideremo insieme e insieme la faremo.»
«Non so cosa cazzo volesse dire con queste parole» commenta Mirko. «Ma mi hanno messo addosso un’ansia esagerata e… mi sembrano Alessiaminacciose.»èsbiancata. Prova a rileggere il messaggio, senza arrivare a capirne bene il significato, ma avvertendo anche lei il senso incombente di una minaccia. «Sì, è inquietante» sussurra, condividendo le sensazioni del ragazzo. «E poi, quelle frasi incomprensibili sul “qualcosa che ha bisogno di tempo per manifestarsi” … Ma l’hai capito bene questo, Mirko? Una cosa l’ha detta chiaramente: non ci dobbiamo illudere. Per lui questo non è che l’inizio.»
Alessia si porta le mani al viso, poi si rizza a sedere sul letto. «E questo mi fa un’enorme paura, perché qualunque cosa voglia fare… Andrea ci vuole dentro con lui.»
«Io…38
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INDICE
2 ...................................................................................................... 7 Capitolo 3 .................................................................................................... 18
Capitolo
16 .................................................................................................. 64
19 .................................................................................................. 75 Capitolo 20 .................................................................................................. 79
7 .................................................................................................... 28 Capitolo 8 .................................................................................................... 34 Capitolo 9 .................................................................................................... 39
Capitolo
18 .................................................................................................. 73
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4 .................................................................................................... 19
1 ...................................................................................................... 5
10 .................................................................................................. 42 Capitolo 11 .................................................................................................. 44 Capitolo 12 .................................................................................................. 49 Capitolo 13 .................................................................................................. 51
21 .................................................................................................. 81
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