Morte di un angioletto, Daniela Di Benedetto

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In uscita il / /2019 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine PDU]R e inizio DSULOH 2019 ( ,99 euro)

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DANIELA DI BENEDETTO

MORTE DI UN ANGIOLETTO


ZeroUnoUndici Edizioni

ZeroUnoUndici Edizioni www.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ MORTE DI UN ANGIOLETTO Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-295-9 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Marzo 2019 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova

Tutti i personaggi e i luoghi citati in questo romanzo sono frutto di fantasia. Ogni riferimento a situazioni reali è puramente casuale.


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CAPITOLO 1

Velletri, lunedì 16 aprile 2018. Il problema della famiglia Pelletti era che marito e moglie non facevano colazione insieme. Alessandra scaldava il latte per la bambina e poi mangiava con lei. Invece il marito, Nicola, indugiava a farsi la barba e la doccia, saltando la colazione; poi accompagnava a scuola la piccola Angela, già sazia, e si avviava verso il suo studio di commercialista, che apriva alle nove in punto, ma lui arrivava un quarto d’ora prima e aveva il tempo di prendere un caffè e un cornetto al bar più vicino all’ufficio. Pertanto, in quella luminosa giornata di aprile, ognuno dei due coniugi ignorava che cosa avesse detto l’altro alla bambina. A colazione Alessandra le aveva chiesto: «Vuoi che venga a prenderti io all’uscita della scuola?» «No mamma, il tempo è bello e voglio tornare a piedi.» A piedi sarebbero stati circa dodici minuti di strada e la madre non insistette. Del resto Angela aveva undici anni, frequentava la prima media ed era sveglia, anche troppo per la sua età. Poi il padre, una volta in auto con lei, le fece la stessa domanda: «All’uscita viene mamma a prenderti?» «No papà, le ho detto che torno da sola.» «E se il tempo cambia? Mi pare un po’ nuvoloso adesso.» «Non cambia» affermò Angela.


4 «Comunque hai il cellulare. Se vuoi un passaggio devi solo chiamarmi.» «Sì papà, grazie.» Lui la baciò sulla fronte prima di farla scendere dall’auto. Era proprio bella la sua unica figlia, con i riccioli d’oro e gli occhi azzurri. L’avevano chiamata Angela per far onore al nome della nonna, ma più cresceva più notavano che somigliava agli angioletti nei dipinti, quindi l’avevano soprannominata Angioletto, e così veniva chiamata da tutta la parentela. Alle ore quattordici in punto, Alessandra vide che cadeva qualche goccia di pioggia e si allarmò, pensando che la figlia usciva in quel momento. Lei non avrebbe più fatto in tempo a correre a scuola – ci volevano sei minuti solo per tirare fuori l’auto dal garage – ma Nicola certamente, uscendo dall’ufficio alla stessa ora, poteva fare una piccola deviazione. Era il caso di telefonargli? No. Da quando era successo il fattaccio, marito e moglie si evitavano il più possibile, e lo facevano in modo spontaneo senza che nessuno dei due si fosse pronunciato in merito. Era spontaneo non fare colazione insieme, non scambiarsi telefonate negli orari di lavoro e trascorrere separati il sabato, Nicola con i suoi amici e Alessandra con la figlia. Dopotutto Angela aveva un cellulare e non era stupida, lei stessa avrebbe chiamato il padre se avesse rischiato di inzupparsi di pioggia. Così Alessandra preparò il pranzo e restò in attesa. Alle ore quattordici e trenta sentì una chiave nella toppa della porta blindata e vide arrivare Nicola, da solo. «Angela non è con te?» domandò stupidamente.


5 «No. Diceva che sarebbe tornata a piedi.» «Ma pioviggina.» «Non è tipo da spaventarsi per due gocce.» «Ma quando torna da sola arriva sempre un quarto d’ora prima di te» obiettò Alessandra, e lui guardò l’orologio. «Eh, già» disse «io trovo un traffico infernale mentre lei ha le gambette veloci.» «E allora dove può essere?» domandò la moglie, lasciando trapelare l’angoscia dalla voce. «Che vuoi che succeda? Starà facendo una chiacchierata con Ginny. Non c’è il diluvio.» «Ma lei lo sa che non deve tardare per il pranzo!» Nicola non seppe cosa rispondere, ma non osò mettersi a tavola senza la sua bambina. Così la pasta alle vongole si raffreddò durante quell’attesa. «Sono le tre meno un quarto» disse poi Alessandra «ora la chiamo io.» Prese il cordless e compose il numero di cellulare della figlia. Libero. Squillava e continuò a squillare all’infinito. «Oh Dio, perché non risponde?» «Stai calma Ale, telefona a Ginny.» Ginevra, detta Ginny, era la compagna di banco di Angela. Rispose al telefono e disse che aveva addirittura finito di pranzare. No, all’uscita non era successo niente. «Ma hai visto Angela?» «Certo, mi ha detto che tornava a casa a piedi.» Allora i coniugi Pelletti chiamarono la polizia.


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CAPITOLO 2

Il dottor Procacci, neuropsichiatra, continuava a fissare la sua paziente cercando di leggere nel suo viso le parole che lei non riusciva a dire. Molto alta, ma non molto bella, Camilla aveva un’espressione più spenta che infelice. «Allora, lei ha quarantasei anni. Sposata da quanto?» «Venti anni.» «Figli?» «Nessuno.» «Avrebbe voluto averne?» «Non lo so…» «Nel senso che non ha mai riflettuto sulla possibilità di averne?» «Beh… se fossi rimasta incinta non avrei cercato di abortire, ma… lasciavo fare al destino.» «Quindi non si è impegnata per averne.» «No.» «Non ha mai fatto indagini sull’eventuale sterilità sua o di suo marito.» «No.» «Non le importava neanche di saperlo?» Lei alzò le spalle e non rispose. Quell’indifferenza era la forma più evoluta di depressione. «Da quanto tempo si trova in questo stato apatico?» «Non ricordo.»


7 «Più di un anno, o meno?» «Credo di più.» «Ritiene di avere un buon marito?» «Sì, ma non posso fare confronti con altri uomini.» «Nessun fidanzato prima di lui? Nessuna scappatella?» «Mai.» «Ritiene che suo marito sia altrettanto fedele?» «Non lo so, ma non è quello il problema.» «Comunque nel matrimonio qualcosa non va, vero?» «È colpa mia» affermò Camilla «non so come spiegarlo, ma sento che è colpa mia.» «Ci provi. Provi a spiegarmelo.» La donna strinse nervosamente un lembo della gonna. Poi prese fiato e cominciò: «Lui la mattina va a lavorare. Mi saluta gentilmente. Quando torna, gli faccio trovare la casa a posto e il pranzo pronto. Non brontola e non mi racconta le seccature dell’ufficio. Dopo pranzo gioca col computer e io lavo i piatti. La sera certe volte mi porta al cinema, ma sceglie film thriller che non mi appassionano. Se invece fanno un bel film in televisione si resta a casa, lui guarda la TV e io leggo una rivista. L’indomani mattina tutto da capo. Sempre uguale.» «La routine la annoia.» «Sì.» «Fate sesso?» «Ogni tanto.» «Decide lui quando?» «Certo. Non spetta a me prendere l’iniziativa.» «Questa è una concezione superata, signora. Lei gode quando fate sesso?»


8 «Godo in che senso?» «Raggiunge l’orgasmo?» «Qualche volta.» «Allora non è frigida.» «Non proprio. È mio marito quello che… insomma, si eccita per i film che vede, se il film non era eccitante, lui neanche mi tocca.» Donna-oggetto. Tipica casalinga frustrata. «Devo avvisarla che se le prescrivo antidepressivi il desiderio cala fino a diventare zero.» Lei alzò le spalle. Non le importava neanche di quello. Del resto, che avesse o no il desiderio, suo marito la scopava pensando a qualcos’altro, era evidente. «Come trascorrete le domeniche?» «Certe volte con mia madre e certe volte con mia suocera.» «Non è un gran divertimento, vero?» «No.» «Va d’accordo con sua suocera?» «Non litighiamo. Non mi critica.» «Ma non c’è un rapporto affettivo.» «Suocera e nuora, se non litigano è già molto.» «E il rapporto con sua madre, com’è?» «Normale.» «Definisca quel che lei intende per normale.» «Voleva che io mi diplomassi e l’ho fatto. Voleva che sposassi un uomo per bene, e l’ho fatto. Non le ho mai creato problemi. Da ragazza non mi drogavo e non andavo in giro a scopare.» «Una studentessa modello?» «Quasi, ma non avevo una media alta.»


9 Logico. Se fosse stata più brillante a scuola si sarebbe laureata, avrebbe avuto un lavoro soddisfacente… quella povera donna rappresentava la mediocrità assoluta. Procacci aveva curato altre casalinghe depresse, ma nessuna di loro aveva una vita più banale di Camilla. Alcune s’innervosivano per le vicende di figli e nipoti, altre avevano paura di invecchiare e di ingrassare, ma conservavano un pizzico di vitalità che a Camilla mancava del tutto. Non era facile trovare domande adatte per capirla, né era facile curarla. «Se nascesse di nuovo, farebbe le stesse scelte?» «Non saprei.» Il dottore annuì. «Ha avuto traumi infantili, per quel che ricorda?» «No.» «Non ha qualche fobia? Paura dell’ascensore o altro?» Lei parve rifletterci sopra. «No» disse poi con convinzione. «Dice di essere venuta qui per curare l’insonnia. Ha incubi?» «No, è che non riesco a prendere sonno. Per tutta la notte guardo l’orologio e penso: è l’una e ancora non dormo… sono le due e ancora non dormo… e più si va avanti più la cosa mi spaventa. Poi magari mi addormento alle cinque, ma alle sette mio marito si alza e mi sveglia.» «La sveglia volontariamente?» «No, ma sa com’è… si muove, tossisce…» «E lei si sente sempre stanca perché dorme poco.» «Sì.» «Le capita, di notte, di aver paura che l’indomani mattina le manchino le forze per affrontare la giornata?» «Ecco, sì. Ha centrato il problema.»


10 Benzodiazepine e paroxetina associate, rifletteva il dottore. «Quindi pensa: se non dormo, come farò le faccende di casa?» «Talvolta sì. Specialmente se devo stirare.» «L’insonnia è iniziata insieme all’insoddisfazione, circa un anno fa?» «Credo di sì.» «Altri sintomi? Altri disturbi?» «Certe volte mi viene da piangere senza motivo.» «Senza motivo o per motivi stupidi?» Ancora una volta Camilla rifletté. «Motivi stupidi, è possibile. Come quando mi trovo al cinema e vorrei tornare a casa.» «E allora piange o si trattiene?» «Mi trattengo. Che direbbe mio marito?» «Quindi suo marito non sa che lei è depressa.» «No.» «E non gli ha mai detto che non dorme?» «A che pro? Lui non ci può fare niente.» «Non si aspetta da lui di essere coccolata, abbracciata, o magari accompagnata qui?» «Neanche per sogno» reagì Camilla, ritrovando un briciolo di forza «gli ho detto che andavo dal dentista.» «Perché?» Lei alzò le spalle. «Non so come reagirebbe.» «Non si fida al cento per cento di suo marito, o non lo conosce abbastanza. Ritiene che ci sia amore fra voi?» «Era amore quando ci siamo sposati. Poi col tempo lui mi è sembrato… più chiuso. Ma non è mai stato cattivo con me.» «Lui mette al primo posto il lavoro?»


11 «Ecco, sì.» «Ha mai pensato che le cose sarebbero diverse se fossero nati dei figli?» «Chi lo sa? Che tipo di padre sarebbe stato? E io che madre sarei stata? Non ha senso chiederselo adesso, è tardi.» «Mia cara, nessuno lo sa prima di diventare genitore. Possiamo essere genitori bravi o imbranati o persino cattivi, ma sicuramente chi ha figli non si annoia perché non ha tempo di annoiarsi. Lei si sente tediata da tutto, pure dal cinema. Ha qualche amica con cui uscire?» «Ho le mie ex compagne di scuola, ma non usciamo più insieme.» «Perché?» «Parlano sempre dei loro figli e non me ne frega niente.» «Ecco, ci siamo. Noia o invidia?» «Non le ho mai invidiate. Deve credermi. Hanno problemi a pagare le tasse universitarie dei figli, una ha scoperto che il suo fuma spinelli… e io dovrei stare lì a sentire le loro lamentele?» Procacci annuì. «Signora, il suo problema è la totale mancanza di un legame affettivo serio.» «No dottore, il mio problema è l’insonnia.» «L’insonnia nasce dall’insicurezza. Non esiste un essere umano del quale lei si fidi al cento per cento, vero? Scommetto che non ha parlato con nessuno dei suoi disturbi, neanche con sua madre.» «Ne sto parlando con lei» rispose Camilla con un filo di voce.


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CAPITOLO 3

L’ispettore di polizia Nestore Sardo, sposato da un anno, non aveva voglia di riferire alla moglie incinta di sei mesi che era scomparsa una bambina. Marina durante la gravidanza era particolarmente sensibile a ciò che accadeva ai bambini, e per di più aspettava una femmina. Quella donna apprensiva si sarebbe offuscata il cervello con pensieri del tipo “e se un giorno accadesse a mia figlia?”. Ma bisognava inventare qualcosa da raccontarle, poiché ogni sera prima di prendere sonno lei accarezzava il bel viso del marito, incurante della barba che le pungeva le dita, e gli sussurrava: «Allora, di che cosa ti sei occupato oggi?» Lui poteva dire che un’adolescente era scappata di casa, ma prima o poi i giornali avrebbero pubblicato la verità: Angela aveva solo undici anni. Era proprio quella tenera età che gli aveva fatto sembrare strano l’atteggiamento dei coniugi Pelletti. «Non vi sembrano pochi, undici anni» aveva detto Sardo «per consentire a una bambina di tornare a casa da sola?» «No, no» singhiozzava la madre «siamo ad aprile e Angela aveva cominciato a rendersi indipendente da novembre… dodici minuti di strada, Santo Dio, solo dodici minuti! Quando il tempo era buono, le piaceva camminare. E poi era il suo unico modo per fare movimento. Non poteva fare danza o palestra, con tutti quei


13 compiti… lei ha un’idea di quanti compiti lasciano i professori in prima media?» Nestore scosse il capo. Aveva trentacinque anni e ai suoi tempi le scuole medie non erano informatizzate al punto che i genitori leggevano sui propri tablet i compiti dei figli. Osservò per qualche attimo la disperazione di quella mamma, spettinata e con gli occhi gonfi di pianto, mentre Nicola Pelletti stava lì muto e pallido col suo aristocratico profilo affilato. Sembrava che i coniugi nascondessero qualcosa, o quanto meno, che lo strazio dell’una non potesse fondersi col dolore dell’altro. Non si abbracciavano. «Anch’io le ho chiesto se voleva un passaggio al ritorno» disse Nicola «e lei mi ha detto di no. E la sua amica, Ginny, dice che l’ha vista camminare verso casa.» «Ginny?» «Ginevra Sperone, la compagna di banco» precisò Pelletti. «Sentite… è possibile che vostra figlia avesse un motivo per rifiutare il vostro passaggio in auto? Voglio dire… a parte il piacere di camminare.» Alessandra sembrò confusa, ma quando finalmente afferrò il senso della domanda spalancò gli occhi, indignata. «Cosa intende insinuare? Che mia figlia a undici anni andasse a sbaciucchiarsi con qualche ragazzo? Eh? È questo che intende?» «Alessandra, per favore» supplicò il marito, vedendo la sua aggressività nei confronti dell’ispettore. «Sono tante le cose che possono distrarre una bambina» ribatté Sardo «per esempio le slot machine. Angela aveva soldi per giocare?»


14 «Aveva la sua paghetta, ma se l’avesse sperperata così, ogni tanto mi avrebbe chiesto qualche euro in più» rispose la madre «no, Angela non aveva vizi.» «Di solito quella che conosce tutti i segreti non è la madre» disse l’ispettore «ma l’amica del cuore. Datemi l’indirizzo di Ginny.»


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CAPITOLO 4

I coniugi Sperone sembravano due gatti ai quali un cane avesse invaso il territorio: arruffavano il pelo. Non gradivano che la polizia facesse domande alla loro bambina di undici anni, eppure Ginny non era affatto intimidita. Anzi, le luccicavano gli occhi per la gioia di collaborare. Sardo volle anzitutto accertarsi che la ragazzina fosse sveglia, per cui la prima domanda fu: «Perché ti chiamano Ginny?» «Sta per Ginevra. È un nome bellissimo ma alla mia età è pretenzioso.» Pretenzioso? Usava quel vocabolo? Pensò che non ci sarebbero stati problemi a ottenere risposte da lei. «Ginny, tu sei sicura che Angela volesse tornare a casa senza passare da qualche altra parte?» «Sì. All’uscita ha preso il gelato dal solito gelataio e poi si è messa a camminare verso casa.» «Come? Prendeva il gelato all’ora di pranzo?» «Sì, molto spesso» confermò Ginny. «E poi a tavola riusciva a mangiare normalmente?» «Sì perché saltava il primo piatto. Mangiava il secondo, la verdura e la frutta.» «Strano che i suoi genitori non se ne lamentassero» commentò l’ispettore «lo sai che non si dovrebbe mangiare il gelato al posto della pasta?»


16 Ginny rispose con un’alzata di spalle. Evidentemente Angela non aveva genitori severi e poteva fare ciò che voleva. Beata lei. «Va bene. Allora tu l’hai vista incamminarsi verso casa leccando il gelato. Hai notato se qualcuno la seguiva?» «No, però ho notato un’altra cosa.» Il viso di Sardo si accese d’interesse. «Angela» proseguì Ginny «ogni tanto si girava per guardare le automobili.» «Quali automobili?» «Quelle che andavano nella sua stessa direzione.» «Vuoi dire… come se aspettasse qualcuno?» «Forse. Come se una macchina dovesse accostarsi a lei da un momento all’altro. Non so, è solo una mia impressione.» «Hai fatto bene a dirmelo, Ginny. Grazie.» Lei aveva il visetto arrossato e luminoso come se le cattive notizie la eccitassero, ma sua madre lì presente intervenne: «Questo interrogatorio è finito?» «Sì, signora. Me ne vado» disse Sardo, e la bambina con entusiasmo aggiunse: «Lo accompagno io alla porta.» Fu sulla soglia, lontano dai genitori, che l’ispettore lesse l’amichevole complicità sul viso di Ginny e le disse: «Ai tuoi genitori non piace che noi parliamo. Ti posso fare una proposta?» «Sì?» «Se io avessi bisogno di farti qualche altra domanda, posso venire a trovarti a scuola?» «Sicuro!» «E non lo dirai a nessuno?» «No, ma la preside lo deve sapere per forza.» «Certo, parlerò io con la preside, eventualmente.»


17 «Ok.» Peccato che quella preziosa alleata non potesse fornire l’informazione principale: Angela era stata presa da un pedofilo o da qualcuno che voleva un riscatto? Un riscatto? Quali erano le possibilità economiche dei Pelletti? Bisognava saperlo subito. L’ispettore entrò nella propria automobile – già troppo calda per il mese di aprile, accidenti al sole – accese l’aria condizionata e attendendo che il fresco si diffondesse nell’abitacolo, andò alla rubrica del cellulare, cercando il numero memorizzato di Nicola e lo chiamò. «Sì?» «Dottor Pelletti, sono Sardo. Ho dimenticato di chiederle una cosa importante. Pensa che qualcuno potrebbe rapire sua figlia per chiederle un riscatto?» In primo tempo il commercialista ammutolì. Capiva l’indiscrezione della domanda: avete soldi in banca? Avete quattro o cinque ville? Non erano argomenti di cui discutere al telefono, ma Angela era in pericolo e lui disse la verità: «Ispettore, mia moglie è una casalinga e io lavoro solo da tredici anni. Non è che in tredici anni si possa mettere da parte molto. Dopo che abbiamo estinto il mutuo della casa, io ho accumulato circa cinquantamila euro di risparmi, e di solito la gente alla quale rapiscono i figli è molto più ricca.» Non aveva torto. «Va bene» disse Sardo «ma se entro stasera non troveremo la bambina, chiederò al giudice di far mettere il vostro telefono sotto controllo. È giusto che lo sappia.»


18 «Se non si trova entro stasera» rispose Nicola con voce rotta «l’ultimo dei miei problemi sarà che la polizia ascolti le mie telefonate.» L’ispettore chiuse la chiamata, turbato dall’angoscia di quel padre. Cosa dico stasera a mia moglie? Le dirò che una bambina monella aspettava qualcuno all’uscita della scuola, all’insaputa dei genitori. Non è una cosa che potrebbe accadere fra undici anni a nostra figlia. Questo no.


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CAPITOLO 5

Martedì 17 aprile. Alle 15:30 i dodicenni Giovanni, Giuseppe, Tiziano, Salvatore e Federico giocavano a calcio invece di fare i compiti. Frequentavano la scuola solo per obbligo ma se ne infischiavano dello studio, né erano motivati dai loro genitori che avevano cose più gravi a cui pensare. I padri erano operai in cassa integrazione e lavoravano in nero aggiustando rubinetti rotti, rivendendo ferro vecchio o aiutando il meccanico del quartiere, mentre le madri allevavano nidiate di bambini. Quella era forse la zona più povera e più inquinata della città, tanto che i ragazzini giocavano col pallone vicino a una discarica abusiva di rifiuti ed erano convinti di respirare aria pura per il solo fatto di essere all’aperto, ma non avevano mai visto un parco pieno di alberi. Bisognava essere almeno in cinque per quel gioco: la squadra A era formata da Giovanni calciatore e Giuseppe portiere, mentre la squadra B comprendeva, nei rispettivi ruoli, Tiziano e Salvatore. Federico aveva solo il compito di andare a recuperare il pallone quando finiva lontano. Era un bambino balbuziente e veniva sempre preso in giro dai compagni per il suo difetto, ma si sottometteva volentieri pur di essere accettato dal gruppo, e l’unico modo che conosceva per farsi accettare era offrirsi di prendere il pallone in mezzo all’immondizia. Gli altri erano grati e a ogni partita gli


20 regalavano una caramella o una figurina di calciatori, un minuscolo dono simbolico per dirgli “sei dei nostri” e Federico aveva imparato ad accontentarsi di questo, anche se veniva deriso ogni volta che apriva bocca. Quando il pallone finì in mezzo a un cumulo di rifiuti particolarmente puzzolente, i piccoli calciatori si misero a ridere al solo pensiero che Federico si sarebbe insozzato tutto. «Vai» gli disse Giovanni «su, vai e torna profumato.» Il bambino, obbedendo, cominciò a scendere con cautela nella fossa fra gli sberleffi dei compagni. «Hai un buco nei pantaloni!» gridò Giuseppe «visto che ci sei apri i sacchi e cerca un pantalone più nuovo del tuo!» e tutti a ridere come matti. Federico raggiunse il pallone ed emise uno strillo, come se si fosse fatto male. «Ti ha morso un topo?» gridò Tiziano «ora il topo muore avvelenato!» Nessuna risposta, ma tutti videro che Federico stringeva a sé il pallone, continuando a guardare qualcosa per terra, e non accennava a voler risalire. «Abbraccialo bene, quel pallone, così noi lo troviamo più pulito» disse Salvatore. «E avanti, muoviti!» si spazientì Giuseppe. Ma Federico indicò qualcosa fra i rifiuti e gridò: «C’è uuuuuu…» La balbuzie peggiorava quando era nervoso, e ciò non fece che aizzare i compagni. «Uuuuuu!» ripetevano «un fantasma!» «Uuuuuuu! Un vampiro!» «Uuuuuu! Un licantropo!»


21 «Buuuu, vieni e porta quel cazzo di pallone!» Federico capì che non aveva possibilità di farsi comprendere a distanza, quindi risalì dalla fossa e posò il pallone ai piedi di Giuseppe, ma la sua espressione era terrorizzata. Gli altri intuirono che qualcosa non andava. «Che hai visto?» domandò Tiziano. Federico disperato ripeté: «C’è uuuu…» «Non sai parlare, dillo cantando. È vero che voi balbuzienti riuscite a cantare?» «Scegliamo la musica» propose Giuseppe. «Lei era un piccolo grande amore» canticchiò Giovanni, e Salvatore si unì a lui in un duetto stonato: «Solo un piccolo grande amore, niente più di questo, niente più…» Mentre si divertivano a prolungare la lettera U, Federico indicò per l’ultima volta la discarica, poi scoppiò in lacrime. Di solito non gli importava di essere deriso, ma era terribile per lui non riuscire a comunicare qualcosa d’importante. Gli amici lo guardarono sconcertati e restarono per qualche attimo in un silenzio rotto solo dai suoi singhiozzi. Poi Giuseppe disse: «Che ne pensate? Qualcuno di noi si deve sacrificare e andare a vedere laggiù?» «Aspetta» protestò Salvatore «e se Federico ci sta facendo uno scherzo per farci sporcare?» «Non mi sembra che abbia voglia di scherzare» decretò Tiziano, osservando le lacrime sul viso sporco dell’amico. «Ma neanche possiamo prenderlo sul serio, lui è scemo, è capace di piangere per un cane morto.»


22 «È balbuziente ma non è scemo. Federico, dillo: hai visto un cane morto?» «No» rispose in modo deciso l’interpellato. «Un gatto morto?» «No. Una… una…» «Una persona?» dissero gli altri quasi in coro. «Sì» affermò Federico «una ba… ba…» «Una bambina?» «Sì» ripeté lui, e col pollice della mano sinistra mimò il gesto di tagliarsi la gola. Poi smise di piangere perché si sentiva vittorioso. Adesso era degno di rispetto per aver trovato un cadavere, e gli altri erano sgomenti. «Cazzo» disse Tiziano «la voglio vedere.» «Se la vai a vedere, poi devi parlare con i poliziotti» commentò Giovanni. «E allora? È così fico parlare con la polizia! Wow!» «Pure io ci voglio parlare, non ho paura, mio padre non va mica a rubare» aggiunse Salvatore. «E va bene» concluse Giuseppe «andiamo tutti a vedere il cadavere. Giovanni, se non ci vieni sei un fifone.»


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CAPITOLO 6

Il corpo della bambina bionda non era in putrefazione e si riconosceva perfettamente. Dopo essersi assicurato che i piccoli calciatori non avessero toccato nulla, l’ispettore Sardo ordinò agli agenti di conservare in buste sterili tutti gli oggetti trovati vicino al cadavere, compreso un cellulare rotto, poi la bambina fu messa in un sacco mortuario e inviata direttamente all’obitorio. Lui si presentò lì alle ore diciannove per farsi dire dal medico legale i primi risultati di un sommario esame autoptico. Aveva incaricato una collega della polizia di telefonare ai coniugi Pelletti e di dire loro, con tatto – ma quale tatto si può mai usare in questi casi – che erano attesi intorno alle venti all’obitorio per il riconoscimento di una salma, e non c’erano ancora certezze che si trattasse di Angela… Ma Sardo sapeva che era lei. Aveva la sua foto, e la madre aveva descritto i pantaloni marroni e la felpa color crema con cui sua figlia era andata a scuola il giorno prima. Angela aveva buon gusto per i colori e non avrebbe mai indossato, per esempio, un jeans sbiadito con un maglione verde brillante. Era bella, brava a scuola, affettuosa con i genitori… povera piccola bambina perfetta. Una futura donna perfetta che era stata cancellata dal mondo. Che pena. ***


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Col cuore stretto, l’ispettore domandò al medico legale: «Allora? Cosa mi sa dire fino a questo momento?» «Solo quel che è evidente. La bambina è ancora in rigor mortis, e le condizioni del corpo sono compatibili con l’ipotesi che il suo rapitore l’abbia uccisa subito. Mi è stato detto che era uscita da scuola ieri alle quattordici, e secondo me intorno alle quindici era già morta. Ventotto ore fa.» Il dottor Carlisi era anziano e un po’ stempiato. Nella sua carriera aveva visto tanti di quei morti da non intenerirsi più neanche per i bambini. «Causa della morte?» domandò Sardo. «È stata strangolata con qualcosa che ha lasciato sul collo un’impronta di due centimetri di larghezza, probabilmente una cinghia. Non ha sanguinato perché si è spezzato l’osso ioide e la morte è stata veloce. C’è un riscontro di emorragie petecchiali nelle palpebre.» Sardo aveva paura di porre la domanda successiva. Poi osò, a bassa voce: «È stata stuprata? I pantaloni erano strappati…» «Sì, è stata stuprata, ma non in modo normale.» «Sesso anale?» Carlisi scosse il capo. «No. Stupro post mortem.» L’ispettore rabbrividì. «Abbiamo un necrofilo?» Il medico legale annuì.


25 «La vagina è stata sfondata, però non c’è perdita di sangue e neppure lividi inguinali, il che dimostra che lo stupro è avvenuto dopo la morte, anche più di mezz’ora dopo.» «Cristo!» esclamò Sardo. «Si consoli, non ha sofferto. Ma c’è altro che devo dirle: nessuna traccia di sperma.» «Il maniaco ha usato il preservativo?» «Secondo me non ha usato neppure il pene. Il tipo di lesioni mi fa pensare a un oggetto grande più o meno quanto un pene, ma di altra forma, e usato come una leva.» «Un oggetto?» L’ispettore ricordò che nella discarica era stato trovato, accanto al cellulare rotto, un martello nuovo di zecca che nessuno avrebbe mai buttato. «Potrebbe essere il manico di un martello?» «Il manico… perché no? È quel tipo di lesione. Avanti e indietro, su e giù. Se l’assassino lo avesse fatto con più forza, probabilmente le avrebbe sfondato l’utero. A quell’età è così fragile…» Sardo ribollì di rabbia. «Allora abbiamo un dannato pedofilo impotente. Non gli si drizza, quindi usa un martello! E dopo la morte! Un pazzo fottuto!» «Speriamo che non sia seriale» commentò Carlisi. Oh, già. Se si fosse scoperto che il cellulare e il martello erano stati completamente ripuliti dalle impronte digitali, ci si trovava alla presenza di un killer “organizzato”. E di solito quelli organizzati sono seriali.


26 «Senza sperma avremo un bel da fare per cercare di scoprire se c’è DNA estraneo sulla bambina.» disse il medico legale «Passerà molto tempo.» «Cavolo. Altri elementi estranei evidenti? Sporcizia? Fibre diverse da quelle della felpa?» «C’è di tutto, ispettore, ma non posso tenerne conto. Il corpo era in una discarica a contatto con ogni sorta d’immondizia. Persino qualcosa che mi sembra il pelo di un animale bianco, cane o gatto, ma si può trattare di un randagio che magari è andato in giro per la discarica e ha annusato il cadavere.» «Un cane bianco magro e sporco» borbottò Sardo «l’ho visto io stesso.» «Come pensavo. Polvere, terra, grasso… farò analizzare tutto, ma non è significativo.» «Per questo il killer ha scelto la discarica. Per confonderci» disse l’ispettore. «Può darsi, e più è intelligente, più sarà pericoloso.» Qualcuno bussò alla porta dell’obitorio e una poliziotta si affacciò sulla soglia. «Sono arrivati i signori Pelletti» disse. Sardo sospirò e si preparò ad assistere a una scena straziante. Chissà perché, gli venne in mente l’immagine di Marina che nascondeva il viso nel suo petto per non vedere. La piccola salma aveva il volto coperto da un lenzuolo, e l’ispettore odiava il colpo di scena della scopertura che avveniva dopo un attimo di suspense, come se si trattasse di un film e non di una tragedia umana. Ma nulla si poteva fare per evitarlo. I genitori videro il viso della loro bambina, per fortuna non decomposto, ma ovviamente stravolto per lo strangolamento. Alessandra emise un grido soffocato e si appoggiò con le spalle


27 alla parete come se temesse di cadere, mentre suo marito restò immobile e nei suoi occhi spuntarono lacrime silenziose. «È lei?» disse Sardo, anche se la domanda era inutile. «Sì» sussurrò Nicola Pelletti. Sua moglie non si era gettata fra le sue braccia, e non sembrava volerlo fare né quel giorno né in seguito. Ancora una volta l’ispettore ebbe la sensazione che in quel matrimonio qualcosa non funzionasse, ma non era il momento adatto per certe domande. Prima o poi ci sarebbe arrivato, poiché ormai lo attendeva una lunga indagine.


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CAPITOLO 7

Mercoledì 18 aprile. I coniugi Pelletti abitavano in una villetta molto graziosa in città, ma si trattava solo di centoventi metri quadri di casa in settecento metri quadri di terreno. La sorella di Alessandra, Matilde, viveva invece in una vera villa di lusso con parco, piscina e un ampio garage. Matilde, infatti, non si era accontentata di sposare un commercialista. Suo marito, molto più anziano di lei, era Franco Mogavero, proprietario di un’industria siderurgica. Non avevano figli perché lui era sterile. La cosa era stata appurata durante il suo primo matrimonio con una donna che poi era morta di cancro, lasciandolo vedovo a cinquantacinque anni. Due anni dopo si era risposato con Matilde, trentacinquenne divorziata e bellissima. “ Sì”, dovette ammettere Sardo quando la vide, “ E’ molto più bella di sua sorella. Alessandra è carina e ha lineamenti aggraziati, ma in Matilde c’è molto più di questo, i suoi occhi verdi e le sue labbra a cuoricino comunicano anche a prima vista i segnali di una natura passionale. Sexy, ecco l’aggettivo che la definisce. Alessandra è una bella donna ma sua sorella è sexy… la tipica moglie che viene scelta da un milionario. ” «Si accomodi» disse Matilde, facendo entrare l’ispettore in un salone talmente lussuoso da metterlo a disagio. Gli sembrava di dover sporcare con i suoi pantaloni scuri il divano color crema,


29 ma c’era poco da scegliere, erano color crema anche le poltrone. Di quel tessuto simile al camoscio di cui non conosceva il nome, così come non avrebbe saputo dire di quale legno erano i lucidi braccioli; non era certamente abituato a simili mobili in casa propria. «A che devo l’onore della sua visita?» disse Matilde ironica. Non sembrava molto sconvolta per la brutale uccisione della sua nipotina. «Vorrei lasciare in pace sua sorella per ventiquattr’ore» rispose Sardo «visto che è sotto shock. Nel frattempo c’è qualcosa che voglio sapere da lei. Affari di famiglia.» La signora annuì semplicemente e attese. «Come sono i rapporti fra lei e sua sorella?» cominciò l’ispettore. «Ottimi. Ogni tanto lasciava da me la bambina che aveva compiti da fare e non poteva seguire la madre in giro per negozi o dal parrucchiere, eccetera.» «Bene. In questo caso lei dovrebbe essere in grado di dirmi se il matrimonio di Alessandra è un’unione felice.» Matilde esitò. «Beh… Alessandra e Nicola non hanno mai pensato di divorziare, se è questo che intende.» «Non avevo in mente il divorzio, ma vedo che in certi momenti sembrano due estranei.» La donna annuì di nuovo. «Ok. Sì, è successo qualcosa un anno fa. Vuole una sigaretta?» «Grazie, non fumo» rispose l’ispettore, e attese pazientemente mentre Matilde accendeva la sigaretta per sé. Aspirò una boccata e continuò: «Una pattuglia della polizia andava in giro nel buio con le torce per beccare le coppiette che amoreggiavano in automobile, e una


30 sera trovarono mio cognato insieme a una minorenne. Successe un casino. Però venne fuori che lei aveva dei precedenti per adescamento… cioè era una puttana professionista, di quelle brave, a sedici anni. Nicola doveva soltanto dimostrare che non sapeva di aver a che fare con una minorenne… di solito non si chiede la carta d’identità a una prostituta e lei aveva dichiarato di avere diciotto anni. Lo dichiarava a tutti i clienti. Insomma, mio cognato prese un buon avvocato e ne uscì pulito, o quasi. Solo una multa per quel che aveva fatto in macchina. Se fosse stato un professore, avrebbe perso il posto, ma lui fa il commercialista e lo studio è suo e i suoi clienti se ne fregano se va a puttane. L’unica cosa che ha perso da allora è stata la stima di mia sorella.» «Molto interessante.» commentò Sardo «Sua sorella non lo ha perdonato. Si vede che sta sulle sue.» «Già. Non chiese il divorzio per amore della bambina, ma adesso che Angela non c’è più, non so… si potrebbe rompere un equilibrio che era già precario…» Sembrava che Matilde stesse pensando per la prima volta alla possibilità di una crisi coniugale, e il suo sguardo si perse nel vuoto. «Dunque, pare che a suo cognato piacciano le ragazzine» rifletté l’ispettore ad alta voce. Lei capì dove voleva andare a parare, assunse un’espressione inorridita e spense la sigaretta facendo violenza a un fragile portacenere di cristallo. «E con questo? Crede che Nicola molesterebbe la propria figlia, e che la ammazzerebbe per la sua reazione?» disse la donna. «In realtà non è andata così. La bambina è stata strangolata con una cinghia, probabilmente, e stuprata con un pezzo di legno, sempre probabilmente. Si stanno effettuando perizie per trovare sulla pelle tracce di quei materiali.»


31 «Oh Signore!» esclamò Matilde «non posso davvero credere che a lei venga in mente mio cognato di fronte a tanta perversione!» «Ho soltanto detto che gli piacciono le ragazzine, tutto qui. E poi, cara signora, quando una bambina è vittima di un maniaco, si cerca anzitutto fra gli uomini della famiglia: il padre, gli zii, i cugini, poi gli amici del padre e così via. Una ragazzina di undici anni non ha più l’età per fidarsi di uno sconosciuto.» «Indaghi quanto vuole, Nicola è pulito. Io penso che una cosa simile possa farla solo un maniaco omicida. E per quanto riguarda gli altri parenti maschi, non ce ne sono, a parte mio marito.» Improvvisamente lei rise. «Mio marito! Lo vuole conoscere adesso?» «Le pare una cosa divertente?» «Oh sì, e quando lo vedrà capirà il perché. Venga.» L’ispettore seguì la donna in un corridoio pieno di quadri: paesaggi, ritratti, niente arte astratta. Sembrava che i coniugi Mogavero avessero gusti molto tradizionali. Arrivarono in fondo al corridoio ed entrarono in una stanza senza prima bussare. All’interno Sardo vide un uomo anziano, seduto in poltrona, intento a guardare la TV. Seguiva un documentario sugli animali. «Franco» disse la signora «c’è un ispettore di polizia che vuole conoscerti.» Il marito si voltò appena: la notizia lo lasciava del tutto indifferente. «Sì? Che vuole?» «Sta indagando sulla morte di Angela.» «Ah, sì. Povera bambina» l’anziano sospirò «ogni tanto veniva qui, e piacevano anche a lei i documentari sulla natura. Voleva vederli con me, e io le dicevo: no, tesoro, devi fare i compiti, è


32 per questo che tua madre non ti ha portata al centro commerciale. Allora Angela andava in un’altra stanza. Era una bambina obbediente, sa. Ed era brava a fare i compiti senza l’aiuto di nessuno.» L’ispettore assimilò quei chiarimenti, non richiesti, ma utili. «Lei era affezionato a sua nipote?» domandò. «Oh, sì. La chiamavano tutti Angioletto e anch’io la chiamavo così. Era carina… guardi, commissario, ora quel leone salterà addosso a quella povera gazzella.» Aveva parlato per tutto il tempo in tono piatto e senza distogliere lo sguardo dal televisore. «Ispettore» corresse Sardo. «Cosa?» «Sono un ispettore, non un commissario.» «Oh. Mi piacerebbe sapere la differenza, ma ora non ho tempo per chiacchierare. Siamo sul più bello del filmato, se vuole scusarmi… cattivo leone, cattivo! La natura è una madre crudele che uccide i propri figli! Quella gazzella era solo un cucciolo…» Allibito, Sardo guardò Matilde che gli fece cenno di lasciare la stanza. Uscirono e lei richiuse la porta silenziosamente. «Allora» disse «non è divertente?» «Non capisco. Non è molto vecchio e non ha neppure l’Alzheimer. Ricorda le cose» disse Sardo «è solo… strano.» «Ha solo sessantadue anni. Siamo sposati da cinque anni e ora mi ritrovo con un marito affetto da una forma precoce di demenza senile. Non vuole uscire di casa, non esce mai. Ha lasciato tutti i suoi affari nelle mani di un amministratore che per fortuna è in gamba, e lui sta tutto il giorno davanti alla TV. Guarda anche le telenovela, poi me le racconta e io devo sopportare. Fingere che m’interessi.»


33 «Quindi se io le domandassi dove si trovava suo marito ieri e l’altro ieri…» Matilde annuì. «È uscito da quella stanza solo per mangiare e per andare in bagno. A parte la sera, che verso le dieci devo lottare per convincerlo a lasciare quel maledetto televisore e coricarsi.» «Da quanto tempo fate questa vita?» «Più o meno due anni.» «E lei come resiste?» si lasciò sfuggire l’ispettore. La donna alzò le spalle e replicò: «L’ho sposato per i soldi, e la situazione economica non è cambiata. Certamente era tutto più bello quando mi dedicava attenzioni e mi portava fuori.» «Ma come resiste?» insistette Sardo. Si guardarono negli occhi e si capirono a volo. «Torniamo in salotto e glielo dirò» rispose lei. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO 1 ................................................................................ 3 CAPITOLO 2 ................................................................................ 6 CAPITOLO 3 .............................................................................. 12 CAPITOLO 4 .............................................................................. 15 CAPITOLO 5 .............................................................................. 19 CAPITOLO 6 .............................................................................. 23 CAPITOLO 7 .............................................................................. 28 CAPITOLO 8 .............................................................................. 34 CAPITOLO 9 .............................................................................. 37 CAPITOLO 10 ............................................................................ 40 CAPITOLO 11 ............................................................................ 43 CAPITOLO 12 ............................................................................ 46 CAPITOLO 13 ............................................................................ 51 CAPITOLO 14 ............................................................................ 55 CAPITOLO 15 ............................................................................ 60 CAPITOLO 16 ............................................................................ 65 Â


CAPITOLO 17 ............................................................................ 68 CAPITOLO 18 ............................................................................ 72 CAPITOLO 19 ............................................................................ 74 CAPITOLO 20 ............................................................................ 76 CAPITOLO 21 ............................................................................ 79 CAPITOLO 22 ............................................................................ 82 CAPITOLO 23 ............................................................................ 86 CAPITOLO 24 ............................................................................ 89 CAPITOLO 25 ............................................................................ 92 CAPITOLO 26 ............................................................................ 94 CAPITOLO 27 ............................................................................ 96 CAPITOLO 28 ............................................................................ 99 CAPITOLO 29 .......................................................................... 106 CAPITOLO 30 .......................................................................... 109 CAPITOLO 31 .......................................................................... 112 CAPITOLO 32 .......................................................................... 116 CAPITOLO 33 .......................................................................... 119 CAPITOLO 34 .......................................................................... 122 CAPITOLO 35 .......................................................................... 124 CAPITOLO 36 .......................................................................... 126 Â


CAPITOLO 37 .......................................................................... 128 CAPITOLO 38 .......................................................................... 130 CAPITOLO 39 .......................................................................... 135 CAPITOLO 40 .......................................................................... 138 CAPITOLO 41 .......................................................................... 141 CAPITOLO 42 .......................................................................... 144 CAPITOLO 43 .......................................................................... 148 CAPITOLO 44 .......................................................................... 155

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