Lorenzo Badia
MR. WALLABY
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MR. WALLABY Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2011 Lorenzo Badia ISBN: 978-88-6307-351-x In copertina: Immagine fornita dall’Autore
Finito di stampare nel mese di Aprile 2011 da Logo srl Borgoricco - Padova
A tutti i personaggi marginali oscurati da quegli egocentrici dei protagonisti.
5
I
«È tempo di caccia, Mr. Wallaby… tempo di caccia, questa volta.» Wallaby è un tizio… anzi è il tizio: un essere privo di qualunque qualità che lo distingua dalla vita di tutti i giorni, tranne forse quella di essere il perfetto uomo da bancone, senza una particolare propensione alla loquacità, poco più che l’ombra di un bicchiere da whisky. Sguardo basso, vitreo e assorto; gomiti appisolati e divergenti; suole sposate all’appoggiapiedi dello sgabello e nessuna pretesa da saggio Aristotele da bar. Sarebbe un elemento di sfondo perfetto per un ipotetico quadro alcolico, magari raffigurato seduto a un estremo del bancone, un po’ in ombra, vicino ai cessi. Esistono soggetti decisamente più interessanti. «Denise… perché non fai compagnia al signore?» Frequentatrice assidua, cliente occasionale. Forse un po’ attempata, certo: voce sporca, trucco lurido, tette ormai passe come prugne e culo in caduta libera, ma non da buttare via se si è bevuto qualche bicchiere di troppo e non si hanno molti soldi in tasca. Personaggio pittoresco ma non essenziale per ora. «Qualche problema, amico? Confidati.» Logorroico, nostalgico barista che fa del cliché del confessore la sua primaria ragione di vita, figura spesso sopra le righe, in fin dei conti senza una vera e propria connotazione umana. D’importanza rilevante ma del quadro costituisce solo la cornice che, tra l’altro, non è ancora stata messa. «Ehi amico, perché sei così abbattuto? Puoi dirmi la tua storia, se que-
6 sto ti fa sentire meglio.» «Dammi qualcosa di forte… qualcosa di veramente forte.» L’Amico, come l’ha chiamato il barista, è uno che sembra non aver voglia di parlare, similmente al signor Wallaby, ma con quel velo di rassegnazione di chi non spera che accada nulla. E in effetti, anche dopo essersi scolato un’intera bottiglia di grappa, non accade nulla. Il tutto è un po’ statico e spoglio, così, forse per rendere le cose più interessanti, il pittore aggiunge una figura per dare più brillantezza e caratteristica, ma, per contro, il dipinto viene ingrigito dalla fumata di un sigaro, e questo vuol dire che almeno qualcuno si è avvicinato per vederlo meglio. Ma attenzione: non è la fumata di un costoso sigaro cubano, piuttosto quella di un buon vecchio toscano, marcio e mezzo spento. Il fumo filtra sotto la porta di questo vecchio bar in stile irlandese, ma nessuno dei quattro gatti che lo abitano se ne cura, credendo che si tratti del solito smog che tenta di scappare dalla strada e da sé stesso. Poi qualcuno lo aiuta aprendogli la porta e conducendolo in salvo. Ombrose nullità, divorziati ubriachi, vacche ubriache, schizofrenici intellettuali ubriachi, improvvisati commentatori di partite di calcio ubriachi, ubriaconi ubriachi, anche adolescenti, lì per caso ma perfettamente in linea con l’atmosfera generale, tutti quanti danno il benvenuto al salvatore dello smog… e il saluto consiste nel girarsi furtivamente in una fugace occhiata. L’uomo appena entrato ha un’aria sicura di sé, ma un aspetto decaduto e un po’ straccione. Attraversa il locale guardandosi intorno, osserva la gente con l’attenzione di un cane da punta, gira la testa e fa l’occhiolino a una giovane ragazza che lo snobba senza che il marpione abbia alcuna possibilità di ribattere. Ma lui non perde il suo atteggiamento, continua verso il bancone, si riaccende il sigaro ormai smorzato del tutto e siede vicino a una bottiglia di grappa vuota. «Sì», esordisce rivolto alla bottiglia, «quando vedo una bottiglia vuota sono felice, perché so che lì nei paraggi c’è anche quello che se l’è vuotata e, di solito, questo qualcuno è un nuovo amico… o uno in coma etilico.» Parla con una voce catarrosa, riferendosi implicitamente all’uomo senza speranze alla sua destra. Strano che il loquace barista non abbia ancora rivolto la parola a questo nuovo cliente, ma se anche volesse farlo in questo momento, sarebbe discorsivamente escluso da un’insperata risposta.
7 «Come già ho fatto capire a qualcuno, non ho molta voglia di parlare.» L’asociale trinca-grappa, che almeno nel lessico sembra non risentire delle decine di gradi ingurgitati, si volta, per educazione, verso la faccia del suo interlocutore. In quest’istante si rende conto di non conoscerlo. «Aspetta un secondo…», lo fissa pensieroso, «forse è la vecchiaia, ma proprio non mi ricordo di te, eppure conosco tutti qui.» «Cosa? Voglio dire», si spiega il fumatore schiarendosi la voce, «d’accordo: non è un locale grande, ci staranno dieci o quindici persone, una trentina il venerdì sera a voler esagerare… ma l’hai visto il ricambio di gente che c’è? Tu pensi di conoscere tutti?» «Ho le mie buone ragioni per pensarlo… Ora mi sembra di averti già visto, ma il tuo nome al momento mi sfugge.» «Mi chiamano in vari modi, molti neanche tanto carini, ma quello che preferisco al momento è Jaco.» «Jaco? No, non mi dice niente.» «Beh, sai: non ho una buonissima reputazione, quindi preferisco usare soprannomi. E il tuo qual è?» «Anche a me hanno dato molti nomi, ma se proprio devi, chiamami Joshua.» Jaco dà una pacca sulla spalla del suo nuovo amico (a dire il vero poco gradita) e gli si rivolge come un animatore da villaggio vacanze depresso. «Joshua eh!? Bene. Dimmi: che hai che ti butta così in basso? Non ti piace questo posto? O hai già smaltito la sbronza? No, non credo… Ma sai cosa mi rende ancora più felice di una bottiglia vuota? Una piena! Ehi, Pietro! Due whisky doppi!» Esorta ad alta voce. «Non basterebbe tutto il whisky del mondo per affogare un solo secondo dei miei guai», si affligge Joshua con gli occhi fissi sul bancone, quasi a imitare lo stile di Mr. Wallaby. «Allora devi esserti messo in grossi guai, che c’è? Tua moglie ti ha lasciato? Ti hanno licenziato? Sei in ritardo con le rate del mutuo? Qualche problema con la salute? Raccontami la tua storia, le sbronze tra amici servono a questo», incalza il fumatore, quasi a voler imitare il modo di fare di un barista da cliché. Il malconcio sigaro di Jaco sembra sempre in punto di morte; lo straccione si gratta ogni tanto la rada barba incolta e l’ispido pizzetto, sputando in terra catarro nero di quando in quando.
8 Joshua decide che sfogarsi non gli farà male. «Mi sono successe un sacco di cose», confessa, «ho anche pensato di scriverci su un libro o due un giorno.» «Dimmi pure.» «Dunque: ho fatto grandi cose nel mio lavoro, soprattutto del bene, in senso filantropico, ma tutti mi prendono per un bugiardo o non mi considerano nemmeno. La maggior parte della gente ormai si comporta come se non esistessi: i miei figli sono grandi e vaccinati, ma mi chiedono soldi e favori di continuo, e poi mai una telefonata amichevole, una visita di cortesia… niente, ignorato in tutto e per tutto.» «Allora, barista!?», interrompe Jaco gridando, «dove sono i miei due whisky? Le papille gustative stanno riprendendo sensibilità!» poi con tono improvvisamente tranquillo: «Scusa, continua pure.» «Ora soffro di depressione, insonnia, mi è venuta l’ulcera per lo stress ed è andato tutto in malora… Tutta colpa del mio lavoro.» Il vecchio Joshua, prima solo un accenno, uno schizzo immobile e stilizzato sulla tela, ora comincia ad acquisire particolari colori e bianchi ed eminenti segni vissuti. Jaco sbatte la mano sul tavolo. «Eh sì, cazzo, il lavoro!» urla grattando sulla gola, «si fa tutto per il lavoro e lui ti intrappola, ti mette una tagliola alle palle! In che campo sei tu?» E Joshua sempre pacato: «Be’, è complicato da spiegare… Principalmente nell’edilizia… nella biologia… nella… a dire il vero non so come rendere l’idea, ma credimi: è veramente frustrante.» «Ah! Non farmi incominciare a parlare del mio mestiere…» si esalta Jaco, «prima andava tutto bene, direi splendidamente. Ero giovane e ambizioso, poi, di punto in bianco, sono stato degradato al livello più basso. Giustamente arrabbiato, e tu mi darai ragione, mi sono messo in proprio ed è stato un inferno: costretto a lavorare con la gente più meschina e furba del mondo, con degli scarti per niente amichevoli, sempre pronti a cercare di fregarti, e che con l’andare del tempo sono diventati sempre più cattivi e inavvicinabili; io stesso mi sono fatto una pessima reputazione! Hai visto prima quella ragazzina come mi ha guardato? A dire il vero non so chi se la passa peggio fra me e te.» «Già, devo essere obiettivo: è tutto uno schifo e la gente, in fondo, se ne fotte…» s’inasprisce il vecchio, «scusa il termine ma è vero: se ne fotte e non fa niente per migliorare. Forse dovrei cominciare a fottermene
9 anch’io.» «Esatto!» incita l’altro, «era proprio questo che volevo dire! Pietro! Porta pure qui tutta la bottiglia, per me e per il mio nuovo amico.» I due bevono e parlano, parlano e brindano a quanto fa schifo il mondo e a quanto li stia ignorando mentre il tempo è sospeso in un spazio delimitato tra luci e ombre appena sfumate dalle setole di un pennello. «Ma di preciso…» chiede Jaco con una leggera inflessione da sbronzo, «qual è la tua reale occupazione? Cos’hai fatto di recente?» «Ho fatto questo posto.» «Davvero? E quanto ci hai messo?» «Poco… ma vedi, io non do molto significato al tempo», risponde Joshua con sufficienza. «A dire il vero, neanche il fatto che io sia qui a ubriacarmi ha poi molto senso; sta sicuro che se qualche tipo suscettibile lo venisse a sapere succederebbe un vero casino.» «Sei controllato, eh? Intercettazioni?» insinua il fumatore a bassa voce. «No, non possono controllarmi perché… non te lo posso dire.» «Eddai! Chi sei? Una celebrità? Un pezzo da novanta? A me puoi dirlo», biascica il curioso farcendo l’invito con un’altra pacca sulla spalla, e il vecchio, indugiando solo un po’: «Be’… sì, direi proprio di sì… anzi sono più celebre di chiunque altro.» «Odio tirare a indovinare.» «Praticamente te l’ho detto.» «Vediamo: sei un personaggio dello spettacolo?» «No… dubito che tu mi abbia mai visto.» «Un politico? Un ex-calciatore?» «No, ti ho detto che lavoro in un campo simile all’architettura. Costruisco, sono un creativo.» «Allora sei un artista.» «Più o meno. In realtà influisco pesantemente anche nel campo della fisica e della chimica.» «Dunque: non sei nello show business… sei famoso… uno scienziato ma anche un artista… sei avanti con l’età… sei potente… fai del bene… Non mi viene in mente niente a parte il padre eterno…» I due si fanno una gran risata, ma mentre la esauriscono, il misterioso vecchio rivela: «A dire il vero, ci sei arrivato… ma parla piano.» «Alleluia! Finalmente brindo con qualcuno di importante!» festeggia ironicamente Jaco, allargando le braccia al cielo. «Parla piano, ti ho detto… è sempre una fatica comunicare con i morta-
10 li, non riesco mai a farvi capire le cose! Devo ammettere però che con l’alcool diventa tutto un po’ più semplice», considera Joshua guardando il bicchiere. Dopo averlo fissato con un’espressione sorpresa e sarcastica, l’uomo con il sigaro gli ride in faccia. «Ma pensi davvero che possa credere che tu sia Dio?» chiede. «Va bene scherzare (e avere un po’ di autostima), ma non prendermi in giro.» L’acquaragia sbava qualche goccia che va a macchiare il piedistallo. Alcune scaglie di vernice che compongono il viso dei personaggi si decompongono, vengono offuscate, modificate, vengono rese più strane o forse più riconoscibili. «E poi», continua il miscredente, «perché saresti venuto fin qui? Problemi in paradiso?» «Problemi sulla terra, semmai!», sbotta Joshua, insofferente. «Sono stanco: ormai fate solo quello che volete voi, e questo mi starebbe bene, avrei più tempo per guardare la TV, ma proprio non riuscite a lasciarmi in pace: “Dio fammi vincere la lotteria”… “Ti prego fa che vada in paradiso”… “Fammi le tette più grandi”… “L’uccello più lungo”, e poi mi date la colpa di tutto: “Dio ci ha abbandonato”… “Dio permette che ci siano le guerre”… “Dio lascia morire di fame i bambini in Africa”… Io mi sono rotto di pararvi il culo. Fate pure quello che ne avete voglia, ma non chiedetemi più niente, sennò il libero arbitrio che ve l’ho dato a fare? Se volevo far andare tutto perfettamente neanche me lo inventavo; in verità sarebbe dovuto essere un accordo: io non rompo i coglioni a voi e voi non rompete i coglioni a me, ma non avete capito un cazzo, e allora giù a inventarsi il bene, il male, le religioni e regole su regole fondate sul timore di una punizione divina per far funzionare la vostra società, come se foste degli incapaci senza senno. Questo è sfruttamento dell’immagine… e anche diffamazione!» «E allora? Quando uno muore, che fa?» «Ecco, lo sapevo! Siete sempre alla ricerca di risposte che risolvano tutto, come quell’altra menata del senso della vita.» «Ecco, giusto: qual è il senso della vita?» «Bah… sai, ero giovane: mi svegliavo a mezzogiorno, uscivo ogni sera con una ragazza diversa, mi ammazzavo di canne con gli amici… insomma stavo, come dite voi, da dio… ma mia madre, buon anima, mi ripeteva in continuazione “Dio! Esci di casa e trovati un lavoro! Ormai hai quarantasette anni, quando ti deciderai a combinare qualcosa?! Fan-
11 nullone!” e così alla fine ho dovuto…» «Ok ok… no, però, sul serio: cosa c’è dopo la morte?» «E che cazzo ne so! Da giovane ero un tipo socievole, allegro, positivo: ho creato la vita, non ho pensato al dopo.» «Certo certo… è facile scansarla così», ridacchia Jaco. «Facile? È molto meglio di tutte quelle assurde teorie che vi inventate voi sul paradiso, l’inferno, i campi elisi, il Valhalla, l’anima immortale, la fottuta reincarnazione!» si scalda il dio battendo il pugno sul tavolo. «Quindi secondo te dopo la morte c’è il nulla.» «Ti ho detto che non lo so, non ci ho ancora pensato… Ce l’ho sulla lista delle cose da creare insieme ai marziani, alla coerenza delle donne nelle discussioni e a un modo per ingannare l’alcool test il sabato sera.» Il quadro è stato quasi completato e un gran pubblico (un gran pubblico per gli standard di un gruppo jazz) si forma attorno al pittore. Il piccolo bar è affollato e vagamente incuriosito dalla conversazione dei due, ma l’alcool ha ormai disintegrato i ricettori cognitivi dei presenti e nessuno ci capisce un granché. «E poi mi sono rotto di parlare di filosofia», smorza Joshua. «Giusto», replica Jaco, «parliamo di affari.» La trementina scolorisce il viso di questo accalappiatore di dei e uomini, bruciando la vernice che ricopre ciò che è sempre stato parte integrante della tela… e non un personaggio aggiunto in ultimo. «Affari? Tu non credi a una parola di quello che ti ho detto, vero?» «Al contrario, amico mio, al contrario… Vedi… Prego, lascia che mi presenti: io sono uomo facoltoso e di buon gusto.» «E con questo?» «Con questo ho tutte le risorse per poterti aiutare.» «Che cosa speri di fare? Tu, un misero mortale miscredente…» s’impone con enfasi la divinità. «Non preoccuparti…» rassicura Jaco, per nulla impressionato, «sono o non sono tuo amico? Ascolta: perché non mi cedi questo posto e la gente che ci sta dentro? Così potrai fare tutto quello che hai voglia: potrai fare il dio per davvero, senza nessun disperato adoratore fra le palle, senza preoccuparti dello stress, senza doverti scollare dalla playstation solo perché qualche stronzo ha deciso di crepare o di sposarsi… Nessuna preoccupazione, niente più insulti e, soprattutto, niente più tagliola attaccata ai coglioni.» Una lampadina si accende sulla testa di Joshua.
12 «Dove devo firmare?» Forse saranno gli effluvi dei solventi, forse solo un’allucinazione collettiva spontanea o uno smodato e improvviso calo di fede, ma ogni curioso componente della piccola folla attorno al pittore potrebbe giurare di aver visto i pigmenti del quadro animarsi come i cristalli di un monitor LCD. Potrebbero giurare di aver appena visto l’uomo che venderà il mondo e diventerà un dio senza più senso di esistere.
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II
Una parte della folla si separa dal pubblico del giovane artista perché attirata dal chiacchiericcio di una vicina riunione di funzionari comunali, i quali, dato il caldo e un guasto all’impianto di condizionamento, hanno scelto di riunirsi all’aperto, a lato del marciapiede, intorno a un grande tavolo rettangolare. Qualcuno perché non riusciva mai a trovare parcheggio, qualcun altro perché non sapeva neanche della loro esistenza, fatto sta che alle riunioni non partecipava mai nessun cittadino. Perciò è sempre stata una pacchia per i funzionari che volevano spartirsi tangenti, proporre nuove tasse, o semplicemente giocare a Monopoli. Ora invece, così esposti, non possono nemmeno discutere liberamente dei reali problemi politico/logistico/finanziari, perché rischierebbero di mettere in dubbio la validità dell’intera gestione. Dunque si limitano a sognare. Si ponga, per assurdo, che ci sia un orinatoio in cima a un traliccio dell’alta tensione. La gente normale si chiede: «Ma… perché si dovrebbe mettere un gabinetto pubblico in una posizione tanto pericolosa?» E ha ragione di farsi questa domanda. Prima di tutto sarebbe poco pratico da raggiungere; una volta in cima, lo spazio per muoversi sarebbe poco, a ogni passo falso si rischierebbe la vita, non si avrebbe una gran privacy, e poi, se si sbagliasse mira, si rischierebbe pure di rimanere fulminati dalla due e venti. Tutto ciò non avrebbe senso. Tuttavia gli spacciatori non ci potrebbero concludere i loro affari, gli eroinomani
14 non avrebbero la forza di arrampicarsi fin su per bucarsi, le coppiette non potrebbero chiudersi dentro per un ora bloccando la fila e, soprattutto, una tale altezza scoraggerebbe qualunque scrittore di frasi oscene, il quale certamente non rischierebbe di cadere nel vuoto in nome della sua arte. Ergo: sarebbe in teoria un luogo pulito e relativamente sicuro, o quantomeno privo di degrado. Certo, per farsi una pisciatina in tutta tranquillità basta un albero o un vicolo, ma si deve considerare che il comune ha abolito gli alberi, perché provocavano allergie, e ha fatto riempire di cemento i vicoli per ridurre il numero di accattoni e artisti da strada. A dire il vero, un parco c’è, ma gli unici alberi presenti sono abeti di plastica, reduci degli ultimi natali, e sono ancora talmente pieni di lucine che al primo cortocircuito, ad esempio causato da un getto di urina su un alimentatore, manderebbero in fumo tutto il complesso, costituito interamente da erba sintetica; cosa che d’altronde è già successo anni fa e che ha portato le fiamme a bruciare parte degli edifici residenziali dei dintorni, fra cui un grande condominio pieno di persone poco raccomandabili. Ma torniamo alla nostra riunione. Rimane un grosso problema: come raggiungere un posto tanto elevato? Si potrebbe dotare il traliccio di una scaletta o una impalcatura, ma gli anziani e i disabili non potrebbero usufruirne; essendo un unico bagno pubblico, deve essere accessibile a tutti. Si potrebbero assumere addetti che issino i bisognosi fino in cima con un’attrezzatura da arrampicata alpina, ma con tutta l’imbracatura addosso le operazioni di svuotamento della vescica sarebbero alquanto complesse. «Si potrebbero costruire degli impianti skilift o funicolari che partono da una stazione in periferia», propone un assessore spendaccione, ma la gente lo fischia sonoramente preferendo un più semplice ed economico montacarichi a carrucola, senza bisogno di operatori o addetti allo skipass. Poi bisognerebbe passare alla selezione di diversi tipi di cessi in relazione alla praticità e alla complessità dell’impianto idraulico: c’è da scegliere tra le scomode turche, i macchinosi gabinetti a tavoletta o i veri e propri orinatoi da parete. L’installazione di quest’ultimo tipo potrebbe però apparire un po’ sessista, e ci sarebbero sicuramente lamentele da parte delle femministe, con manifestazioni in piazza e cori di protesta. Tutte rogne evitabili con una turca, più politicamente corretta. La gente normale polemizza: «Eh, ma ci sono già i bagni pubblici ordi-
15 nari, che ce ne facciamo di un altro?» «No, gente normale», risponde il sindaco, «tutti i gabinetti pubblici della città sono stati convertiti in celle, per risolvere il problema del sovrappopolamento delle carceri. Non possiamo certo rimandare in strada dei criminali per avere qualche gabinetto in più!» Ma ancora la solita gente normale: «E va be’, faremo qualche chilometro: prenderemo l’autostrada e ci fermeremo nell’autogrill più vicino.» «Non ricordate? Un’ala estremista di femministe li ha bruciati tutti due anni fa: troppi orinatoi a muro.» E la gente normale, sempre più cocciuta: «Ma ci serve a tutti i costi un cesso pubblico? Non basta possedere un bagno privato, o farla direttamente nei tombini?» «No, cara gente normale: ogni città che si rispetti dovrebbe avere almeno un bagno pubblico, ne va dell’immagine del paese e dei cittadini… perdio! È una questione di civiltà!» s’inalbera scenicamente il sindaco. «Allora, piuttosto, costruiamo una toilette ordinaria a terra o, se proprio deve stare in alto, in cima a un qualsiasi edificio pubblico.» «No: ad essere coerenti, anche quella rientrerebbe nel programma delle prigioni. Per evitare di essere sottoposta a ingiunzione non deve essere posta in un luogo minimamente vivibile.» Qualcuno solleva la questione dell’impatto ambientale: in fondo un grosso traliccio industriale, poiché per ragioni estetiche dovrebbe sorgere in pieno centro, emanerebbe un campo elettromagnetico tale da minacciare la salute degli abitanti delle case vicine. Ma qui il problema non si pone, in quanto la gente è rassicurata da una frase magica proferita da un consigliere in possesso di qualche nozione di elettronica: «C’è l’effetto ombrello!» esordisce, orgoglioso della sua cultura, «chi abiterà vicino al traliccio sarà al riparo dal pericoloso campo elettromagnetico, e chi abita lontano di certo non soffrirà dell’elettrosmog.» Qualcuno potrebbe protestare: ma quelli che abitano a una distanza media da dove dovrebbe sorgere il traliccio… non sanno di abitare a una distanza media da dove dovrebbe sorgere il traliccio. Nessuno spiega quale sia la zona a rischio elettrosmog, e la gente concepisce solo “vicino” e “lontano”, “qui” e “là”. Com’è, come non è, sta di fatto che ci sarà un orinatoio in cima a un traliccio dell’alta tensione e a tutti sta bene. Inoltre, senza che i più se ne accorgano, dal condizionale si è passati a usare il futuro. Quindi, ricapitolando: turca per par condicio sessuale, enorme traliccio
16 industriale che fa più scena, montacarichi economico per agevolare i disabili e citazione dell’effetto ombrello per far sentire tutti al sicuro dai campi elettromagnetici. «Ok, abbiamo pensato al cesso, ma il traliccio? Dove sorgerà?» «Lo si potrebbe costruire in mezzo a un incrocio, così le macchine ci passeranno sotto e sembrerà suggestivo.» «Va bene, ma a chi porterà l’energia elettrica?» Cala un gelido silenzio. Il pubblico volge un’espressione turbata al sindaco, il quale posa lo sguardo interrogativo sull’assessore più vicino, il quale a sua volta fa spallucce e guarda speranzoso il consigliere che ha nominato l’effetto ombrello, il quale, così facendo, si è di fatto assunto tutte le competenze del caso. Il poveraccio sa di dover pensare in fretta: un aggeggio tanto pericoloso deve avere una qualche utilità, meglio se è uno scopo apparentemente vitale, o comunque il più demagogico possibile. In mezzo a un bagno di sudore per la tensione accumulata, butta giù due parole come se fosse uno studente con la media del tre ammesso per errore all’orale di maturità: «All’ospedale?» Fortunatamente la gente normale, con un brusio, apprezza la proposta. Ma una voce isolata esce dal coro dei complimenti: «E a quale reparto?» L’attenzione ritorna sul consigliere, il quale, nonostante l’evidente assurdità della domanda, ricomincia a sudare, appoggia la testa sul tavolo e se la copre con le mani, in una posa di riflessione. Improvvisamente risorge con la scritta “eureka” in fronte. «Oncologia pediatrica!» sbraita. La gente normale si guarda intorno interrogativa, e il consigliere deve spiegare: «È dove ci stanno i bambini malati di cancro…» E tutti si sciolgono in un’orgia di commozione seguita da un fragoroso applauso. Il genio del momento stringe la mano al sindaco entusiasta e due segretarie in minigonna gli si siedono sulle gambe come se avesse appena vinto alla roulette di Las Vegas. In realtà l’ospedale locale ha già tutta l’energia che serve per ognuno dei suoi settori, e soprattutto non ha un reparto di oncologia pediatrica; ma la gente ama sentire questo genere di cose. Ritornata la calma e preso un po’ di coraggio, la giunta comunale pensa a un modo per ampliare il progetto e ricevere più consensi. «Ci devono essere idee più ardite, così possiamo buttarla anche sul turismo.»
17 Incalza il primo cittadino. «Perché non installare un sistema di macchine fotografiche automatiche ad altezza viso? Oppure panoramiche? Così il turista con bisogni impellenti avrà un ricordo di un momento piacevole della sua visita», si spreme l’assessore al turismo. «Sì, bene», approva il sindaco, «andiamo nella direzione giusta.» «Quanto sarà alta la costruzione?» chiede un adolescente tra il pubblico, e tutti tornano a guardare il consigliere, ora molto più rilassato, con i capelli spettinati e delle macchie di rossetto sul colletto della camicia. «Be’, dovrà sicuramente essere abbastanza alta da permettere una bella visuale panoramica di tutta la città», risponde aggiustandosi la cravatta e ostentando sicurezza. Un ingegnere edile che passava di lì per caso, con tanto di casco giallo in testa e progetti sotto braccio, interviene: «Per un traliccio tanto alto sarà necessaria una base molto solida: i quattro piedi di supporto dovranno avere una distanza intermedia di almeno una sessantina di metri. Sarà una specie di mostruosa torre Eiffel.» «Perfetto: visto che sorgerà in mezzo a un incrocio, i piedi potrebbero fornire anche un supporto per i nuovi semafori… tanti semafori… più semafori… con rossi eterni, verdi inesistenti e gialli fulminei… dotati di telecamere e autovelox… e sistemi tutor da un’arcata all’altra… Aumento delle entrate… tante entrate… oh, sì…» sbava un collaboratore, dimenticandosi di essere in pubblico e venendo così lapidato da un fitto lancio di multe non pagate. Per di più, il sindaco lo caccia dalla giunta comunale rimanendo platealmente (e fintamente) disgustato dall’intervento. «Cittadini! Per favore dimentichiamo questo ignobile suggerimento… Ogni basamento poggerà in mezzo alla strada, senza semafori o rotonde che fermino il traffico. Sarà messo un cartello che obbligherà gli automobilisti a guidare sul marciapiede e uno che avvertirà i pedoni di appiattirsi contro gli edifici per non essere investiti.» La gente, per reazione al discorso “multe”, applaude l’intervento del primo cittadino, il quale sfodera un sorriso incastonato di riflettori da concerto e continua: «Vediamo se qualcuno ha altre idee.» «Perché limitarsi a un traliccio? Visto che dobbiamo pensare in grande, installiamo direttamente una centrale che produca energia. Perché non una struttura completamente ricoperta di pannelli solari?» «Sì, è una buona idea. Qualcuno però sa dove trovarli? E come montar-
18 li?» E di nuovo tutta la giunta cerca con lo sguardo il solito risolutore che purtroppo è andato ad appartarsi con le due segretarie. Allora l’attenzione si rivolge verso l’assessore all’energia, il quale però scuote la testa allargando le braccia. Glissando sull’argomento “impianto fotovoltaico”, offre però un’alternativa, mentre un misterioso sconosciuto sporco di fuliggine gli infila una mazzetta in tasca. «E se fosse una centrale a carbone?», propone, «sarebbe la prima al mondo costruita in pieno centro! Un record che attirerebbe milioni di turisti.» «Che ne dite invece di una centrale petrolchimica?» interviene un funzionario incoraggiato da alcuni uomini in abito bianco che accarezzano una valigetta nera. «No no! Una centrale nucleare!» propone un ingenuo assessore trascinato dall’enfasi, «o ancora meglio: un enorme reattore atomico completamente ricoperto di barre di plutonio! Così s’illumina di notte! Magari mischiate a barre di uranio attivo che compongono la frase “Viva l’Italia!” oppure “Viva la pace nel mondo!”. E al posto del gabinetto, terme romane che offrono ai turisti dei balsamici bagni luminescenti nelle scorie radioattive! Così non si butta via niente.» Ma dalla folla un ambientalista effeminato emette gridolini pestando i piedi: «Non pensate all’ambiente!? Perché volete avvelenare la terra, la nostra terra, quando si potrebbe costruire un pulitissimo impianto eolico autosufficiente? Perché non installare una fossa piena di humus e compost al posto di una rozzissima turca da bar? Vogliamo un posto più pulito e profumato in cui vivere! Avanti gente, cantate insieme a me: “Save-the-earth! Save-the-earth!”, avanti! Forza! Prendiamoci per mano! Dichiariamo pace alla natura! Combattiamo per i diritti dei fiorellini! Ih, ih, ih!» Qualcuno smorza la scenata ecologica con una considerazione più che sensata: «Nessun uomo sano di mente si abbasserebbe i pantaloni vicino a delle affilatissime pale girevoli… e tutto quel letame a cielo aperto puzzerebbe da far vomitare.» Ad un tratto, un funzionario addetto alla contabilità si sveglia da un pisolino e annuncia: «Signori… mi spiace interrompere la vostra scia creativa, ma mi sono appena accorto che siamo sotto di centoventimila euro e i finanziamenti statali a nostra disposizione non ci permettono
19 strutture troppo costose.» Il morale si abbassa e in poco tempo le teste dei componenti della giunta, per lo più delle piazze per parrucchini, fumano, cuocendo al sole in un soffritto di soluzioni strampalate non ancora espresse. Qualcuno pensa di costruire un palo della luce che durante la feste del santo patrono verrà convertito in un albero della cuccagna, e il gabinetto sulla cima sostituito da un prosciutto premio che porterà sicuramente un pubblico appassionato dai paesi e provincie vicine; un palo in quella posizione però comporterebbe dotare l’ennesimo incrocio di una rotonda, cosa che non verrebbe accolta altrettanto bene dai cittadini che soffrono il mal d’auto, per di più durante la festa nessuno potrebbe andare in bagno. L’assessore all’agricoltura sogna un cielo pieno di mongolfiere volanti sempre in movimento, complete di cessi ed escort parigine legate dietro la cassetta dello sciacquone, pronte all’uso; purtroppo ci sarebbero invalicabili problemi legati allo scarico e al sostentamento delle prostitute in volo, e poi, come dice il vecchissimo parroco dell’unica chiesa in città, la sola idea che l’uomo possa volare è una bestemmia contro Dio. Un altro membro della giunta immagina di risparmiare sulle dimensioni del traliccio e usare i soldi avanzati per costruire un gigantesco schermo cubico sospeso di fronte al municipio, collegato direttamente a una telecamera installata nel bagno delle signore; ma si è detto che ci dovrà essere un unico bagno misto e accantona l’idea. Un amministratore, che non è riuscito a seguire il discorso ma ha fantasticato per i fatti suoi tutto il tempo, pensa che non sarebbe male disinfestare il laghetto al centro del parco dagli anatroccoli e ripopolarlo con squali e coccodrilli… Perché? Perché attrarrebbero più scommettitori: la gente si fermerebbe sulle rive, osserverebbe i rettili e i pesci lottare fra loro e punterebbe sulla vincita dell’uno o dell’altro animale; gli anatroccoli non sono abbastanza combattivi e certamente i bambini si divertirebbero di più a lanciare bistecche di montone a sanguinari predatori che pezzetti di pane bianco a ridicoli pennuti, quindi non è un’idea del tutto priva di logica, ma è anche vero che questo non è il momento né il luogo per fare simili proposte, soprattutto se in giro ci fossero le subdole spie degli animalisti. Un contabile pensa a una ragazza di nome Denise, ma questa è un’altra storia. Qualche spettatore collassa svenuto dal caldo e dall’attesa di poter criti-
20 care le decisioni. Alcune ore dopo, finalmente il consigliere, finora la persona più applaudita dell’anno, ritorna dalla sua scampagnata con le segretarie, saluta il pubblico in festa e si aggira intorno al tavolo con l’aria di un firmatario della carta dei diritti umani, facendo pesare la sua ombra come se gli altri funzionari fossero ancora rimasti al feudalesimo. Certo che tutti pendano dalle sue labbra, si siede, prende un foglio e inizia scrivere qualcosa. I vicini di sedia, curiosi, cercano di copiarlo, ma il secchione si copre con la mano, poi piega accuratamente il bigliettino e lo passa al sindaco. Il pezzo di carta mostra il disegno stilizzato di un grande edificio quadrangolare in bilico su un palo della luce, il quale ha ai suoi piedi una specie di flipper. «E questo cosa dovrebbe essere?» domanda il primo cittadino. Lo schizzo rappresenta una banca in bilico sull’ormai celebre traliccio, e quel macchinario ai suoi piedi non è nient’altro che un bancomat disegnato malissimo. Come conseguenza alla normativa sulle carceri, tutti i bagni dei luoghi pubblici sono stati adibiti a celle, così anche quelli della banca, la quale, ovviamente, alla prima evasione è stata completamente ripulita dai detenuti, fortunosamente internati in un cesso comunicante con il caveau. Da allora molte persone tengono i soldi non sotto il materasso, che sarebbe troppo scontato, ma sotto lo zerbino davanti alla porta di casa. In questo modo si rendono inattaccabili dai ladri d’appartamento, ma altresì vulnerabili alle visite dei testimoni di Geova e di altre comunità religiose, i quali, vedendo spuntare il denaro da sotto il tappetino, prendono spesso il gesto come un’offerta per farli andare via. Alcuni cittadini troppo fiduciosi hanno preso la sparizione del denaro come un servizio di riscossione tasse ingiusto, limitandosi a borbottare contro il governo; altri, molto più svegli, hanno piazzato delle tagliole sotto gli zerbini; altri ancora, invece, prendendola molta peggio, hanno fatto aumentare l’indice degli omicidi sui pianerottoli del quattrocentosessanta percento. Tornando alla banca: l’equilibrio che potrebbe tenere l’edificio sulla punta di un traliccio sarebbe talmente precario da rendere il gabinetto all’interno dello stesso invivibile, e quindi esente dall’ingiunzione. Ma la faccenda andrebbe ben oltre: l’ingegnere adibito alla progettazione, dopo lunghi calcoli e appassionati conflitti tra il suo senso del realizzabile e la sua voglia di esagerare, è arrivato a un compromesso per il
21 quale la “torre elettrica”, com’è stata ribattezzata, dovrà essere alta almeno trecentoquaranta metri. Secondo una vecchia legge, sorta da una credenza del luogo per cui il cittadino, essendo impossibilitato per natura al volo, non sarebbe in grado di sollevarsi oltre i duecento metri sopra il livello del marciapiede, i confini della città sono limitati anche in verticale; a una tale altezza la banca sarebbe cioè fuori dalla competenza dell’ingiunzione e di tutte le leggi dello stato, trasformandosi in un paradiso fiscale. In realtà il “progetto traliccio” è sempre stato solo un astuto piano del consigliere, il quale, per nascondere i suoi sotterfugi economici, ha buttato lì un’idea paradossale e ipotetica; per non destare sospetti ha lasciato che maturasse da sola, e alla fine le ha dato una piccola spinta per avere esattamente ciò che voleva. L’idea viene presentata così: «Ridaremo a questa brava gente un luogo sicuro dove mettere il denaro, fuori dalla portata dei rapinatori e dei testimoni di Geova.» Il pubblico non si sarebbe mai aspettato che i politici potessero mettere d’accordo tutti facendo discorsi così assurdi. Ma dopo un po’ nessuno ci fa più caso, così tutti quanti gli amministratori, ormai galvanizzati dalla situazione, possono continuare a costruire costosi e imponenti castelli in aria, e realizzare tutti i loro sogni. FINE ANTEPRIMA CONTINUA...
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