In uscita il 30/4/2018 (14, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine aprile e inizio maggio 2018 (3,99 euro)
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DANIELA ZEMA
NEL POSSESSO DELLE MIE FACOLTÀ IO TI SCELGO
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni
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NEL POSSESSO DELLE MIE FACOLTÀ IO TI SCELGO Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-200-3 Copertina: immagine Shutterstock
Prima edizione Aprile 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Le donne hanno più confidenza col dolore. Del corpo, dell’anima. È un compagno di vita è un nemico tanto familiare da esser quasi amico, è una cosa che c’è e non c’è molto da discutere. Ci si vive, è normale. Strillare disperde le energie, lamentarsi non serve. Trasformandolo, invece: ecco cosa serve. Trasformare il dolore in forza. Ignorarlo, domarlo, metterlo da qualche parte perché lasci fiorire qualcosa. È una lezione antica, una sapienza muta e segreta: ciascuna lo sa. Citazione di Concita De Gregorio
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Dedico questo romanzo a Maria, Giusi e Natale costantemente a un passo da me e a Giosuè, il mio dolce nipotino
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Esistono storie che non hanno mai una fine, perché in realtà sono infinite, legate da fili lunghissimi l’uno annodato all’anima dell’altra, e potranno passare mesi, anni, decenni ma il ricordo sarà inciso per sempre all’interno del lato indelebile del cuore e, quando gli occhi dell’anima si incroceranno, tutto riprenderà da dove si era lasciato.
“La felicità è fatta di tanti silenzi attaccati ai polmoni, credo sia la sigaretta letale degli astemi, e, proprio quando ti sembra di morire, inizi a vivere. Sono stati pochi attimi di felicità terminale, nella quale il cuore non ha ammesso limiti, io sono stata tua, ma talmente tua che credo davvero che non esista niente di più forte del sentirsi di qualcuno, quando non mi sono mai sentita neppure di me stessa.”
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TRADIRE È LA SILLABA TRONCA DEL VERBO AMARE
Tradire è la sillaba tronca del verbo Amare. Chi tradisce, purtroppo, non ha la capacità di evitare l’ignoto. Siamo però così sicuri che l’ignoto, a volte, non sia inevitabile? Siamo davvero certi che il tradimento possa essere così fatale, solo perché l’ignoto è un desiderio tanto proibito? Ho solo vent’anni, ma nel pieno delle mie facoltà, io nell’ignoto mi sono buttata. A capofitto, senza pensare alle conseguenze. Io ho con l’ignoto ho dormito tantissime notti, e ricordo ogni spigolo del suo corpo. Ricordo ogni odore e sussulto e sapore agrodolce, mentre nella penombra facevamo l’amore. Mi sono avvinghiata al suo ventre e ho stretto nelle mie mani i suoi riccioli soffici e scuri, ho appoggiato il mio orecchio sul suo petto marmoreo e, in silenzio dal mondo, nelle note del suo cuore, mi sono ritrovata. Ho ritrovato la donna che ancora doveva formarsi dal germoglio del suo amore. Mi sono persa, nelle carezze ruvide e avventate che le sue mani mi regalavano, e senza quei cerchi sospesi, a volte forzati a volte dolci sulle mie cosce, mi sarei senza dubbio odiata. E forse a volte mi odio davvero. Per non essere nata prima, per non averlo conosciuto prima, amato prima e conquistato e stravolto e avuto. Perché spesso arrivare in ritardo costa troppo. Costa l’amore, costa la libertà di avere. Costa sempre tutto a prezzo pieno, senza mai uno sconto di pena. Capite cosa sto dicendo? O meglio, cosa sto urlando? Io non ho mai esitato, mai. L’ignoto per me è stato inevitabile, quasi naturale. Bere un caffè nella tazzina sporca del signore con il giaccone scuro che è appena andato via: ne senti il gusto, l’odore del tabacco svizzero e percepisci con la mente la sua barba tra le tue labbra.
10 Io dell’ignoto ho avuto bisogno, per restare intatta nel mio stesso corpo, senza perdere un’altra volta un’insulsa battaglia personale. Fatta di cibo negato, perché ingrasso sui fianchi. Fatta di vodka troppo forte, e pillole troppo leggere per farmi dormire sette ore ogni notte. Fatta di rossetto troppo rosso e smalto troppo nero, perché spesso tutto ciò che è troppo, storpia. Io non volevo più negarmi nulla, l’unica colpa forse è stata iniziare dalla parte peggiore: l’uomo. Mi sono lasciata andare nel baratro dell’ignoto e non mi pento, non mi pento dei baci sul collo che gli ho donato. Di averlo stretto ogni volta che non mi dava un abbraccio e più che mai ne avevo bisogno. Non ho mai chiesto nulla, perché chi sceglie l’ignoto come ho fatto io, non ha diritti. Quello è un limbo, dove non sei nessuno: esisti per quel lasso di tempo che serve a un uomo per soddisfare le sue voglie. Sei una bambolina multiuso a costo zero, e non hai diritto di farti illusioni. Ma a vent’anni, con quale cuore riesci a non illuderti? Ogni “ti amo”, seppur strozzato tra le curve del mio seno, mentre non sono altro che la tua escort migliore, è sempre una promessa d’amore. Anche i più vili “mi manchi”, scritti di getto nelle ore di lavoro, travestito da gendarme, ti si conficcano dentro le pareti dell’anima e tatuano nell’eterno le sillabe incantate e avvelenate del tuo nome. L’ignoto è sempre uomo, pochissime volte è donna: e quando lo è, brucia di fiamme ardenti che non hanno riparo né rifugio gioioso, perché si sa, una donna che tradisce è puttana, ma un uomo che scopa non è altro che un uomo. Vi sbagliate: una donna che tradisce il più delle volte lo fa per amore, perché se vuole fare sesso seduce il marito o il compagno o il fidanzato o chicchessia, mentre un uomo la maggior parte delle situazioni le crea, perché predatore e assassino nato. Abbiamo avuto la parità dei sessi, ma in questo caso la conformazione genetica sfianca ogni battaglia: l’uomo è malato dentro, soffre di sfumature estreme che nemmeno immaginiamo. Dentro casa, se quel domicilio d’inferno può chiamarsi tale, dove invece che ricevere baci si spacca i timpani. Tra le lenzuola, dove cerca le mani e trova solo la schiena, a barricare il frutto di promesse eterne. Nella vasca da bagno, sommerso da acqua troppo calda, perché lo specchio riflette una moglie troppo fredda.
11 A vent’anni, nel pieno delle mie facoltà, ho fatto una cosa, per pregiudizio altrui, forse sbagliata: sono stata l’amante di un uomo sposato. Ho amato le sue braccia forti e le sue mani calde. Mi sono lasciata stravolgere dai suoi quarant’anni e in questi anni mi sono flagellata, soprattutto quando in casa mia lui ha dormito. Notti intere a fissare le sue palpebre perfette, la sagoma della sua testa sul mio cuscino, l’odore del suo dopobarba nel mio bagno. Le lenzuola impregnate della sua forza. Il mio sguardo incantato, il mio volto sorridente, felice a volte di osservarlo mentre sogna e mentre dorme tra le mie braccia. Con la testa, i ricci ribelli, sparsi sul mio ventre. Ma poi all’alba, apre gli occhi azzurri. Ed è lì che scopro quanto bene ho fatto nell’essermi lanciata nell’ignoto. Io, di quegli occhi, mi sono innamorata. Perdutamente. Ed è sempre nel pieno delle mie facoltà, che mi sono anche tirata indietro: ho lanciato dal basso verso l’altro una corda, una di quelle che usano gli scalatori e, proprio quando non ce l’ho più fatta, mi sono aggrappata a qualcosa. Perché a essere scelta per metà ci vuole coraggio. E io non potevo sopportare di essere sempre la metà e mai l’intera. Quando mi sono finalmente svegliata da quel macabro incantesimo, ho affrontato di petto l’ignoto, e mi sono scontrata con i miei stessi dubbi, con le paure che ti sfregano la gola e le certezze che poi si saldano dentro di te come lastre di fuoco nel cuore ricoperto di ghiaccio. Passi una vita intera a cercare l’amore, e poi lo trovi. Sì, dorme con te. Ti porta le rose e ti sorride, e quando lo fa è come se aprisse ai tuoi occhi la sua finestra nel mondo. Peccato che quel mondo sia già abitato e, sempre nel limbo, tu di quel mondo non puoi farne parte. Eppure lo vorresti, con ogni muscolo del tuo corpo, con ogni vena, con ogni molecola del tuo amore. E saresti migliore, lo saresti davvero, perché ami tutto di lui, soprattutto i difetti. Quelli veri, quelli che chiunque odierebbe. Ma lui, sempre e comunque, preferirà il suo mondo al tuo limbo. Ed è quando ho preteso dei diritti che ho compreso. E, per sfatare il mito dell’amante sbagliata, ho scritto. Carta, penna e fogli bianchi. Per la prima volta non è la moglie che scrive alla ragazzina illusa di amare, la quale rimprovera rancorosa la superficialità, sottolineando i difetti dell’uomo che nonostante tutto la sceglierà sempre.
12 È l’amante che scrive, con il cuore in mano, alla moglie dell’uomo che ama più della sua stessa vita.
Cara Alessandra, mi sembra inutile presentarmi: so che Lei è a conoscenza di ogni nostro incontro, di tutte le volte che Suo marito scappa da Lei e si rifugia in me. Solo oggi ho avuto, lo chiami coraggio o forza o sfacciataggine, come meglio crede, di scriverle delle parole che non suoneranno mai né come un rimprovero né come un conforto, visto che, in tutta questa storia, la persona lesa sono sempre stata io. Ed è inutile proseguire, come inutile è accusare (sì, sono a conoscenza di quello che dice di me, a partire dalla bambina viziata per finire con la sporca prostituta fatta di gesso): io non accuso, forse più che altro tendo a sdrammatizzare. Le ho scritto per renderla partecipe di quanto mi sia accaduto negli ultimi mesi, ma soprattutto per farmi conoscere. Io di Lei so tutto: Suo marito non fa che parlare di Lei, soprattutto quando non parla, e quando non mi ama, in ogni momento che trascorre con me. Posso spiegarle esattamente come ripiega i vestiti dentro ai cassetti, come prepara la lavatrice o carica la lavastoviglie. Potrei raccontarle di come sa cucinare il pollo al forno o il pane fatto in casa. So che indossa spesso vestiti neri, possibilmente non troppo larghi perché Le piace mostrare le forme ancora perfette del suo corpo, che indossa raramente scarpe basse perché tende a credere che la rendano meno seducente. Sono a conoscenza del numero di tinta che usa per colorare i suoi pochissimi capelli bianchi, così come so il nome del suo parrucchiere e quello della sua estetista. Ma saprei dirle anche come muove le gambe mentre cammina, o i movimenti delle sopracciglia quando è arrabbiata, perplessa o seccata. Saprei descrivere i gesti che compie con le mani quando spiega a Suo figlio qualcosa che non è riuscito a capire a scuola. Saprei dirle, con parole certe e altrettanto amorevoli, il perché Suo marito ha deciso di sposarla e vivere con lei, e non con me, finché morte non vi separi. Capisce perché ho deciso di scriverle, mia carissima Alessandra? Se non sono stata chiara, cercherò di esserlo, da ora.
13 Sì, ha ragione a essere arrabbiata: tradire è qualcosa di infimo e schifoso, persino io non sarei capace di tradire l’uomo che amo, figuriamoci di perdonarlo. Si è però mai chiesta perché suo marito, l’uomo a cui si è concessa, nelle lenzuola fresche di confetti e fiori d’arancio, al quale ha donato l’eternità della sua esistenza, ha deciso di tradirLa? No, non credo. Lei ha solo aperto la bocca, senza nemmeno ricordarsi che la gente ha un cuore. E allora sa cosa le dico? Chi di spada ferisce di spada muore. Suo marito ha deciso di tradirla perché l’ignoto non fa poi così paura, come la serratura di casa quando Lei non lo guardava più sedersi stanco e fissarla con lo sguardo basso. Perché si ricorda le macchie vellutate di azzurro leggermente più scuro all’interno delle iridi, quanto sono belle se ti guardano di sottecchi? Suo marito ha deciso di tradirla perché l’ignoto non ti costringe a tappare le orecchie, ogni volta che accendi una sigaretta in camera da letto, perché lo ha sempre potuto fare ed è anche per questo che è lui e non un altro. Suo marito ha deciso di tradirla perché scegliere di fare del sesso con una ventenne non è doloroso, come quando la donna che ami ti rifiuta. Capisce, Alessandra? Non è colpa mia se Suo marito si rifugiava nella penombra del mio letto e mi stringeva tra le sue possenti braccia, ma è colpa Sua che quelle braccia bagnate di doccia non le voleva più sentire su di sé. E io che colpa ne ho se a quarant’anni è ancora così bello e così intenso? Che colpa ne ho io se Lei non saprà mai quanto dolore si prova nel fare l’amore per la prima volta con l’uomo che ami, pur sapendo, pur sentendo, pur piangendo perché lui con te fa solo sesso? Che colpa ne ho io se, piuttosto che non amare, ho scelto il limbo e non la morte? Capisce, Alessandra? Ogni notte, per mesi, Suo marito mi dedicava abbracci troppo forti per essere abbracci d’amore, sorrisi troppo maliziosi per essere sorrisi di tenerezza. Baci dati, ma mai sulla bocca per essere baci da storie. Mi desiderava in modo morboso, mi adorava in modo increscioso e mi prendeva in modo violento, e per lungo tempo ho fatto in modo di non
14 vedere, perché dell’amore a volte ci si lascia stregare, e io avevo bisogno dell’amore di suo marito. Quel suo modo così singolare di amare. Arrivava stanco dal lavoro, una mansione troppo egregia per non farlo sentire un vile nei Suoi confronti. Si sedeva nel divano e portava la mia mano alle sue labbra, e mi conquistava. Poteva parlare di Lei o di cosa Lei non fosse più, non facesse più oppure decidere di prendere il mio corpo lì, proprio lì sul divano o nel pavimento o in un qualunque angolo di casa mia, tanto che oggi è per così dire contaminata della presenza di Suo marito, tanto avrebbe avuto ogni cosa. In qualunque momento. E mi chiami anche illusa, che importa. Mi sono lasciata usare, a suo piacimento, perché speravo che presto, invece che di Lei avrebbero parlato di me, i suoi occhi azzurro cielo. Lui era ed è ancora il mio cielo, ma lui di cielo conosce quello che sta sopra casa vostra, perché è da Lei che torna dopo avermi detto “Vado a casa”. Nonostante il dolore, è la Sua quella che considera casa. Il mio monolocale, che riesco a pagare a stento, è solo un motel dove può sfogare le sue pene e scopare le mie. E può considerarmi matta, o fallita, e lo sono perché ancora una volta una battaglia con me stessa l’ho persa, solo che stavolta in gioco c’era un cuore e tanti amabili resti, ma io Suo marito lo amo. Amo tutto di lui. Ogni difetto, e non sbuffi: dico davvero. Amo il modo in cui lascia i vestiti sparsi sul divano, le calze arrotolate e le camicie con le maniche in dentro. Amo il rumore delle scarpe che strisciano sul pavimento, perché trascina i piedi e non li alza da terra. Amo il rumore del cucchiaino mentre mangia gli ultimi resti dello yogurt. Amo il suo accento, quando parla al telefono con gli amici e parla scherzoso delle mie cosce formose. Amo le battute squallide, quando si parla seri. Amo la sua ironia e la sua infinita drammaticità quando ha mal di testa e crede di morire. Amo i fazzolettini sporchi di sangue, perché li lascia ovunque e ogni volta si taglia proprio sotto il mento, quando sistema la barbetta. Amo il solletico della sua barba quando mi bacia il collo e mi stringe, e a volte mi illudo, ma poi passa. Amo quando mi guarda e sembra mi legga i segreti più intimi, ma poi lo noto: non mi guarda, è solo immerso nei suoi pensieri. È immerso in Lei.
15 Già, immerso in Lei, perché in ogni cosa che fa con me, è sempre a Lei che pensa. E sarà sempre così. Nonostante questo, potrei continuare a dirle quante volte lo amo durante un solo giorno e quanto invidio Lei per poterlo fare e sapere che ogni membrana del suo corpo è Sua. Sì, mia cara Alessandra, io la invidio: perché ha avuto la fortuna di conoscere i giorni migliori dei suoi anni più veri, ed è lì che ha vinto. Nascendo prima è stata artefice di farlo innamorare totalmente di Lei. La invidio perché, nonostante il tradimento, il disprezzo e la voragine che un uomo diviso a metà può comportare, Lei ogni sera è consapevole che è da Lei che torna. E torna per restare, non come da me che viene solo per scappare. Invidio i primi baci che ha dato, all’amore della mia vita. Quei baci inesperti, quelle strette di mano pure e incontaminate. Invidio il giorno in cui è nata, perché vorrei avere io quarant’anni, essere bella come lo è Lei, ma soprattutto rispecchiare la mia bellezza in lui. Ma il motivo della mia lettera non è dirle solamente che amo Suo marito, e che lo amerò sempre, nonostante il nostro non sia mai stato un rapporto di amore. A vent’anni, amare come ho amato io dovrebbe essere illegale, perché non si può capire quanto male può fare essere la seconda a una prima, e non parlo di taglie, ma nemmeno di scelte. Parlo semplicemente di priorità. La sua priorità è sempre stata Lei, e credo che questa sarà una condizione imprescindibile della sua natura. Piuttosto le scrivo per dirle che io non le devo alcuna scusa. No, non sono presuntuosa, anche se per l’età che ho sarei in ogni caso perdonata, ma non lo sono. È che di scuse, dovrei riceverne io e non Lei. Lei ha scaraventato suo marito nell’ignoto, e io ero lì, nel pieno delle mie facoltà consapevole di essere bella, perché a vent’anni chi non lo è? Lei, mia cara Alessandra, non è stata capace di amare suo marito come lui ama Lei, forse non è mai andata a letto con nessuno, ma a tradirlo è stata proprio Lei. Sì perché fingendo di non amarlo, di punirlo censurando il proprio amore, accusandolo, sgridandolo e mortificandolo, lei lo ha tradito con infinite sfumature di umiliazione. E si sa, un uomo umiliato cerca conforto nella tenerezza, nonostante questa non possa competere con la Sua bellezza.
16 Non sono accuse le mie, ma semplici osservazioni, del caso umano che mi ha mandato. Perché quando suo marito faceva l’amore con me sono arrivata alla conclusione che io sono sua, senza mezzi termini e lui è Suo senza scelte. Perché io non ho diritti su un uomo che ama sua moglie, incondizionatamente, ne avrei se lui fosse solo Suo marito, ma no, Lei per lui è come l’ossigeno in una stanza senz’aria. E può anche rifugiarsi nel mio letto quando litiga con Lei, ma il suo cuore è a Lei che lo ha donato, e così sarà per sempre. Ed è una notte, quando dopo avermi fatta sua, si è alzato e si è rivestito e mi ha lasciata lì, nuda dei miei stessi sbagli che ho deciso di restituirlo alla donna che ama, facendomi male, forse troppo, ma facendogli del bene. Addirittura Lei dovrebbe ringraziarmi, perché sarei potuta essere un’altra donna, un’altra amante, peggiore. Andare contro di Lei pur di averlo, eppure non lo sono. O forse sono stata una lettrice attenta, e guardandolo negli occhi ho letto di Lei e di quanto amare una persona non possa competere con l’essersi innamorato. Perché per parlare d’amore bisogna vivere gli anni peggiori e farli divenire momenti migliori. Bisogna sacrificarsi e sacrificare le proprie scelte e adattare la propria vita a chi si sceglie di avere accanto. E Lei lo ha fatto, perché di suo marito non è innamorata, ma lo ama. E per quanto il mio possa essere amore, e mi creda lo è, non basta a scavalcare i vostri giorni migliori dei vostri anni peggiori. Quella notte, Alessandra, io le ho ridato il suo uomo per intero, senza tenerne per me un solo pezzetto, e nella mia piccola dimora sono rimasta a osservare il mio mondo cadere a pezzi. E sono rimasta la sua metà, la sua non scelta. La sua amante sbagliata, ma quella che nel suo angolino ha saputo fargli del bene e ha salvato il suo matrimonio. È a me che oggi deve la riconciliazione e la gioia di fare l’amore con l’uomo che amo. Perché è con Lei che ha fatto l’amore, è con Lei che i “ti amo” prendono forma e i “mi manchi” sono reali frutti di infinito. Mi deve delle scuse, perché non avrò mai la fortuna di sposare la meraviglia di uomo che anni addietro le ha giurato fedeltà, scusa per non poter vedere la mia pancia crescere del frutto del suo amore, per non vivere con lui la mia vecchiaia. E poi deve dirmi grazie, infinite volte, perché non sono stata un’amante bambina, ma una donna giusta nello scegliere di salvare l’uomo che amerò sempre, anche se il suo sempre lo vivrà con lei.
17 Cerchi di trattare bene l’unico uomo che io abbia mai avuto la forza di amare, Alessandra. E lo accudisca e lo riempia di attenzioni. Cerchi di fare, nel modo migliore, il ruolo di moglie e di amante perché se lui sceglierà un giorno di tornare da me, che siano passati mesi o anni, allora lo terrò con me, egoisticamente forse, finché la morte non lo farà appassire e io, come Giulietta, conficcherò nel mio cuore un coltello pur di non vivere la mia vita senza di lui. E si reputi fortunata perché la vita non dona quasi mai persone così meravigliose come lo è invece suo marito, a donne che spesso non hanno la capacità di amare abbastanza. E lo ribadisco: suo marito è la persona più bella che io abbia mai incontrato nella mia breve e spenta vita. Ed è nel pieno delle mie facoltà che rifarei l’amante di suo marito altre mille e mille volte ancora, pur di assaporare l’illusione per pochi attimi, di essere sua e di nessun altro, mai! E mi creda quando le dico che suo marito la ama, senza inibizioni né censure né limiti. Se solo non fosse così, in casa mia avrebbe portato non solo il corpo o i vestiti, ma soprattutto il cuore. Così non è stato, ed è facile comprenderne le ragioni. Quando un giorno, ai suoi nipoti parlerà di me, dica loro che due donne hanno amato il nonno, una egoisticamente lo ha legato a lei in ogni modo possibile e immaginabile, mentre l’altra, generosamente, ha deciso di lasciarlo andare e, pur perdendolo, è stata felice di averlo avuto per pochissimi mesi. Forse mi sono dilungata, e forse non mi sono nemmeno fatta conoscere abbastanza, mia cara Alessandra, ma ormai credo sia chiaro il motivo della mia lettera. Non necessita di sapere come e chi sono, questo ormai è un capitolo della Sua vita sigillato in una cassaforte senza chiavi. L’unica cosa che di me doveva sapere è scritta e riscritta e sancita in queste mie trite parole: io amo suo marito e non credo ci sia forma di amore più pura del lasciarlo a sua moglie. È un sacrifico enorme, e forse il presupposto per smettere di essere bambina e diventare donna. E tutto il merito è dell’uomo che ama così tanto, ogni sua perfetta imperfezione. Le scriverei altre milioni di lettere per ricordarle che l’amore donato non è mai abbastanza, e se delle volte il troppo storpia, con suo marito il troppo amore non è mai in eccesso. Perché è sensibile, e profondo, e
18 bello e incredibilmente spettacolare e ogni misura del tempo con lui non è abbastanza. Quindi inizi se possibile con un sempre, e finisca ogni frase con un mai: ne sarà felice. Anzi, sarà il riflesso della Sua bellezza, mia cara moglie dell’amore della mia vita. Concludo questo dialogo sconnesso con una richiesta, e non alzi lo sguardo come se non le importasse nulla: so che può notare le gocce che colorano il foglio sbiadito, sono le stesse che per mesi ha nascosto agli altri, per non farsi notare dolente e debole. Le chiedo con il cuore in mano di farmi una promessa, una promessa soprattutto per se stessa. Mi prometta, cara Alessandra, che si impegnerà a ridare serenità al mio grande amore, e questa serenità, quando avrà ristabilito equilibrio, diverrà passione e intenso amore, molto più di quando per la prima volta si è innamorata di lui. Non si innamori più di lui, ma lo ri-ami ogni giorno della sua vita, con un’intensità maggiore. E persista, sino a quando leggerà nelle iridi azzurre, l’amore che trabocca ma non cade mai. E mi prometta che sarà capace di renderlo di nuovo felice, forse molto più di quei giorni trascorsi tra le mie lenzuola e i miei baci di bambina innamorata. E io in cambio, se vedrò che Lei mantiene la promessa, le giuro che sparirò. Suo marito non mi vedrà più, sarà come se io non fossi mai esistita. Tornerò nel mio limbo e lì radicalizzerò le mie pene e sconterò i miei martiri e sarò lieta di aver amato e perso, piuttosto che non aver amato mai. Siamo state accomunate dalla stessa persona, dalla sua influenza nei nostri cuori tanto da non avere la piena e totale facoltà di resistere all’ignoto, che lui stesso era ed è. Siamo due donne che hanno amato, e amano lo stesso uomo e lo stesso errore, la differenza è visibile, ma non voglio ribadirla ancora. Non abbia paura di altre donne: lui sceglierà sempre Lei. Nel frattempo però le giuro che farò terra bruciata attorno al suo cammino, così che Lei si concentri sul per sempre insieme a lui. Sono eternamente grata della Sua attenzione, e sono certa che in queste mie parole Lei abbia ritrovato la forza, per amare ancora suo marito. Le auguro un per sempre infinito, o forse di più. E può anche non crederci, ma per vederlo felice sono disposta a pregare ogni notte per
19 lui, affinché la sua anima si purifichi dal peccato della lussuria e del tradimento. Affinché si dimentichi i miei baci, le mie mani tra i suoi capelli e le imperfezioni che di me non ha mai amato, perché non ero Lei. E non lo sarò, mai. Con i pezzetti di un cuore in frantumi tra le mani, mi sono aperta a Lei. Spero che le serva per perdonare suo marito, per non averla tradito mai davvero. Ma solo e sempre per metà. Con infinito dolore, l’amante di suo marito.
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ASPETTARTI È UN DONO
Può essere maledetto un nome e, di conseguenza, maledetta la persona che lo porta? Una maledizione incombe su una persona, la rende vile e indemoniata, a volte prende le sembianze di un mostro. Un Minotauro greco che si lacera l’esistenza, costretto a esistere nel corpo che mai avrebbe voluto avere. Un aspetto inumano, fatto di frammenti di pelle e magia, custodisce un cuore, anche se un cuore maledetto. Nonostante le continue ricerche, le speranze e i desideri remoti di trovare un lago per purificarsi, potersi a quel punto guardare allo specchio e dire: «Sono io e non me ne vergogno!». Mi è sempre piaciuto il mio nome. Sin da bambina ho sempre pensato che fosse un dono. Ero anche convinta che il regalo che mi era stato dato non fosse altro che il risultato di opere ben fatte in Paradiso, quando ancora non ero altro che un angelo, ma non lo ero per nulla. Insomma, custodire l’essenza e le catene interiori di un nome così importante, non poteva non essere concesso a una bambina altrettanto responsabile. Ogni volta che nasce un bambino, decidere come chiamarlo è responsabilità, specie se si considera il lato interiore che ne consegue. Capite, che dono? Io porto il nome della Vergine, soprattutto in ebraico, e niente mi è concesso: non posso alzarmi la mattina e decidere di fare qualcosa, senza prima riflettere. A volte non basta neppure riflettere tutte le ore del mio tempo. Giusto per fare un esempio: non mi è permesso prendere di petto una situazione ed esprimere giudizi affrettati, spesso lo faccio, ma poi prego e mi perdono. Io mi perdono da sola, mi affliggo penitenze abbastanza rigide, e la volta dopo, prima di esprimere un pensiero, mi flagello un po’ di più il cuore. Non mi è concesso guardare e sognare, fare quei pensieri colorati che a vent’anni sono di una normalità nauseante. Io non posso pensare a colori, già il bianco e nero sono troppo.
21 Ma che brutta parola è “troppo”? Non mi è mai piaciuta, quasi come una bestemmia. Ah! Che male essere nati impossibilitati spiritualmente. Non essere abbastanza per avvicinarsi al troppo ed essere troppo per avvicinarsi al niente. Sei sempre in biblico tra il “posso” e il “magari posso evitare”, perché cercare di non sporcare l’anima viene prima di ogni cosa. Indosso un nome bianco, come la purezza, e se un giorno dovrò sporcarlo, sarà perché la felicità è vestiva a colori, e l’intenso bagliore di quella galleria multicolor mi ha fatto diventare Vergine Peccatrice. E di Miriam non resta che un ricordo, scordato da note suonate male. Di Miriam non resta che la tempera di colori spezzati e troppo deboli per resistere alla furia della passione. Perché la passione è in sé peccato, e alle bambine che portano il mio nome, peccare non è concesso. Piuttosto il limbo, piuttosto la morte. E prima di conoscerlo ci pensavo spesso. Pensavo a come sarebbe stato morire, senza nessun colore addosso. Avere le labbra bianche, le mani bianche, le guance bianche e gli occhi chiusi. Avere il cuore avvolto da un solo colore, specchio riflesso della mia anima. E le persone, nel sentire la mia purezza, probabilmente avrebbero pianto tanto, e sconvolti dalla bontà della mia vita, avrebbero cantato a voce bassa per non disturbare, silenziosamente sofferto senza urlare, perché alle anime illibate non è concesso sfibrare nemmeno i timpani. Sono perfette, esattamente come il giorno in cui sono venute al mondo.
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CON TE NON È PER SEMPRE
Mi hanno da sempre inculcato la devozione, nonché la concezione, di fare sempre qualcosa per qualcuno. Mangia: fallo per mamma. Non bere quando esci con le amiche: fallo per papà, altrimenti lo sai che poi si preoccupa. Studia, un giorno ti servirà: fallo per soddisfare noi, fallo per te, per il tuo futuro. Non leggere davanti al computer senza luce: fallo per la tua salute. Non ti innamorare di quello, che poi lo sai ti farà soffrire: fallo per nonna… sai, una delusione del genere le farebbe male al cuore. Ma al mio cuore chi ci pensa? Nessuno, ovviamente, ma la vita è mia, non faccio le cose per questo o quello, per lui o lei. Io le azioni non vorrei farle per qualcuno, bensì con qualcuno. E il significato è radicalmente diverso: è come il concetto di amore, che non ha niente a che fare con l’innamorarsi. Io, per esempio, mi innamoro tutti i santissimi giorni, anzi no, tutte le ore, tutti i minuti. Mi basta guardare il cielo, un padre che passa in bici con il figlioletto, una donna con il pancione. Addirittura riesco a innamorarmi del vecchietto dagli occhi azzurri che tutte le mattine entra in libreria e compra libri sull’ambiente. Mi innamoro, capite? Mi bastano delle belle mani, un bel viso, uno sguardo passionale, un fisico appetibile. Cazzo, mi innamoro così velocemente che ogni battito del mio cuore è un ti amo urlato al mondo. E la cosa più pura è che io con tutte queste persone ci faccio l’amore, non sesso, non vi confondente, ci faccio l’amore. Le spoglio dei sentimenti, spesso faccio domande tanto da far confessare loro i più tetri pensieri, le afflizioni, i dolori. Io sfioro le loro pene, bacio i loro tormenti. Facciamo l’amore a occhi chiusi, a mani strette, a sfibrare la pelle di chissà chi, a graffiare le spalle di chi vorremmo accanto e non potremo mai avere. Ma ci consoliamo, perché seppur per un solo attimo abbiamo concesso al nostro spirito una ventata di passione, di puro e incorporeo amore.
23 Ma ripeto, fare le cose per qualcuno e farle con qualcuno è differente, una sfumatura talmente evidente da sembrare un arcobaleno di colori nel mezzo di un tornado di carbone, e alla stessa forma si colloca la tremenda venatura che si cela tra innamorarsi e amare qualcuno. Quando arriva il momento, quel fatidico attimo nel quale, mentre stai asciugando i piatti, o stendendo i panni, oppure semplicemente stai per girare la chiave nella toppa di casa, e pensi “Ho poco tempo, devo sbrigarmi, tra nemmeno un’ora è qui. Devo rendermi presentabile, vestirmi bene, indossare una lingerie di pizzo, riempire la casa di candele e impregnare ogni angolo del mio copro di quel profumo che lo fa impazzire!”, be’, se arriva questo momento, è il caso di dire, tra un po’ d’incertezza e un’interminabile frazione di tachicardia, che forse, anzi quasi certamente, lo amo. E lo amo davvero. Capite? A me sale l’ansia, ma non quella nervosa, bensì l’ansia di vederlo, di sapere che sfiorerà le mie mani, che dovrò attenermi a un modello dignitoso mentre ceniamo, e i suoi occhi non fanno altro che incendiarmi dentro. E poi, pensare che le sue labbra sfioreranno il mio collo, e i polpastrelli delle sue dita si insinueranno tra le cuciture del mio intimo, e fremere, senza far capire a quello sguardo da lettore di pensieri, che sì, è tardi e ogni terminazione del mio essere lo ama, e sarà così per un tempo talmente lungo e intenso da avvicinarsi se non addirittura conformarsi all’eterno. E c’è chi dice che tutto è eterno finché dura. No, vi sbagliate, l’amore mio per lui è eterno, perché io non amo per fargli del bene o farmi del bene, ma amo perché lo faccio con lui. È la sottile differenza che esiste tra la mia vita e la mia vita con lui. Perdo cocci di tempo, stralci di ore e decoloro attimi di trepidazione, se la mia vita non trascorre giornate agganciate, incollate, quasi calamitanti con il ritmo dei suoi respiri, pochi centimetri prima di stampare la morte sulle mie labbra. È tutto strettamente incatenato, ed evidenzio il significato di incatenare che è diverso da legare. Le redini delle catene non sono fibre di corda che si spezzano al primo nodo. No, le catene sono fatte di ferro e il ferro può essere distrutto solo dal fuoco. Ma noi siamo il fuoco, perciò demolire le catene che ci legano cuore a cuore sarebbe da autolesionisti, perché dovremmo porre fine alle nostre vane esistenze, senza mai più sfiorarci, senza mai più accenderci, impregnare i nostri sensi in delle
24 percezioni che sforano il limite del tollerante. Del giusto, addirittura potremmo incorrere nell’essere giudicati per aver infranto le regole del buon costume, ma a me non importa, perché se tu baci la mia mano, io mi spoglio di tutto, anche di quelle dignità che si portano dietro gli esseri umani. Io, quando tu mi stringi, smetto di essere una donna, una bambina, una femmina. Divento riflesso della tua anima, maledetta forse, ma riflesso di scelte che sono oramai fonte di vita. E se allora io dico che da quando l’ho conosciuto ho permesso alle sue labbra di censurare ogni mio primo e ultimo bacio, di tutte quelle nefaste volte che avrei voluto che anche lui sentisse sulla pelle il tocco sfregiante della differenza tra amare per lui e amare con lui, se ribadisco che io il limbo l’ho scelto nel pieno delle mie facoltà, ho ragione, e non presuntuosa ma premurosa verso me stessa, verso lui, verso il nostro eccentrico modo di amare. Perché noi abbiamo un singolare impulso che si impossessa della nostra mente, spesso ci annienta una notte d’amore, ma raramente ci allontana. Sì, forse lo amo solo io con una forza nove, ma credetemi se vi dico che quando mi bacia io perdo la cognizione del tempo, del mondo. Mi sento quasi di non esistere, di non avere capacità di reazione, di perdere il senso dei sensi… ed è solo un bacio. Pensate a quando facciamo l’amore, sotto il cielo stellato, o dentro le sue braccia quando trovo la calma nel centro esatto dell’Inferno. Lui è la morte che poco a poco si porta via qualcosa di me: oggi ti spoglio, domani mi vesto delle tue vergogne, dopodomani urlo al mondo quanto sei stata stupida ad amare un uomo con l’eternità al dito, e il giorno dopo ancora scrivo, tra le pagine dei tuoi libri, stralci di parole che mi hai sussurrato la prima volta che hai fatto l’amore. La settimana dopo stampo le foto di te che dormi e mi sogni e le attacco per strada, perché il mondo deve sapere che hai scelto me per morire dannata. Sei egocentrico, pretendi che il mio mondo ruoti attorno a te, come se non bastassero i capogiri dei giorni in cui tu non ci sei, e ho l’esigenza nascosta di regalarti le mie angosce, i miei tomenti, ma soprattutto i miei abbracci. Tu lo dici sempre, in quei pochi momenti nei quali lo sento che qualcosa ti ho dato: «bambina mia, quando mi abbracci, sento che perdi dei pezzi, non sono certo siano frammenti di cuore o granelli di anima,
25 ma sento che ti lasci andare a me. Ti allacci al mio collo e speri che io ti salvi. Ma come faccio a salvarti, se il tuo male peggiore sono io?». Sorrido e ti bacio: venderei la mia anima al diavolo per continuare a baciare quelle labbra che sembrano fatte di energia, che ripetutamente mi riempiono di una magica forza che supera la gravità dei nostri peccati. «Mi abbandono a te, è diverso. Credo che non ci sia niente di più intimo di un abbraccio. Senti, senti ti prego quanto forte batte questo mio intollerabile cuore non appena sfiori la mia carne! Si infuoca in me la fine, ma tu per me sei solo l’inizio. Nel momento in cui mi lascio abbracciare, ti ho appena dato tutto, tutto il mio mondo in una sola presa. E prendimi, ti supplico. Non lasciarmi cadere, nel burrone nero del tuo passato. Io sono il presente che non pretende futuro, se non quello che ti senti di darmi. Ma se non ti senti, cercherò di provare ad ascoltare io per te, e mi prenderò tutto. Perché con te, io vorrei essere tutto». La sottile differenza tra vivere per te e vivere con te è proprio quello che sto affrontando, che mi fa perdere respiri nelle notti più fredde e spegnere candele nei giorni in cui fuori c’è il sole, ma dentro di me è mezzanotte. Che poi così sottile non è, piuttosto assomiglia a un macigno che si blocca nel centro esatto del mio petto e offusca la mia lucidità, il mio sopravvivere serenamente ai giorni noiosi che mi separano da te, tra un libro romantico di Shakespeare e la rabbia effimera della Fallaci. Sottile, è forse una differenza, ma spessa è la lama che mi accoltella dannatamente ogni notte, quando la paura di chiudere gli occhi e sognare mi rende vile, umiliata e sconfortata davanti alla meravigliosa distesa di stelle, accanto alla mia finestra. Una distesa talmente intensa da apparire abnorme, come il dolore che si cela nei tuoi ritmi lenti mentre mi lasci tra le lenzuola sporche di peccato, ti rivesti e te ne vai, lasciando sospese le note di “se solo potessi scegliere tra vivere o morire, io sceglierei di vivere o morire con te.” ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD
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