In uscita il 31/1/2019 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine gennaio e inizio febbraio 2019 ( ,99 euro)
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TITO MALINVERNO
NEMMENO UN ISTANTE, X
ZeroUnoUndici Edizioni
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NEMMENO UN ISTANTE, X Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-268-3 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Gennaio 2019 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Dedicato a te, lettore
Disordinatamente invecchio, così? come ho vissuto. A orecchio, a naso, alla inqualchemodo. Maldestramente uomo. M. Marchesi
L’assenza di disturbi psiconevrotici può essere salute, ma non è vita. D. Winnicot
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NOTA DELL’UOMODELLOSPAZIO
Accanto al manoscritto di Tito Malinverno era collocata in bella vista una busta gialla contenente un biglietto scritto di suo pugno e indirizzato a colui che lo avesse rinvenuto. Sono stato indeciso se consegnare o meno all’editore il biglietto in questione in quanto non era nelle esplicite indicazioni di Tito, ma un evento in particolare mi ha convinto a renderlo pubblico, evento di cui parlerò alla fine del romanzo e che renderà evidenti i motivi che hanno guidato la mia scelta. Ho l’ardire di affermare che Tito apprezzerebbe la mia iniziativa, non fosse altro per il rapporto che ci ha unito durante la pubblicazione delle Colazioni sul lago di X e che mi ha permesso di entrare in sintonia con l’uomo Malinverno. Io sono stato per anni l’unico a conoscere la sua vera identità e il suo rifugio. Al tempo ho fatto da tramite con l’editore per la pubblicazione delle Colazioni sul lago di X, espletando le incombenze di carattere contrattuale e burocratico. La sua sincera amicizia è stata il premio per il mio silenzio. Così confido che tu, lettore, possa condividere la mia scelta di considerare il biglietto parte integrante del romanzo e sono certo che, quando leggerai la nota che chiude il libro, anche tu troverai giustificata la sua pubblicazione. Ti auguro buona lettura e sappi che, come ho imparato da Tito, io invidio te che stai leggendo.
8 IL BIGLIETTO NELLA BUSTA GIALLA
Ciao uomo, non so come ti chiami, ma la Voce dice che ti conosce e che proprio tu devi trovare questo biglietto. La Voce dice che farai la cosa giusta e che consegnerai il mio manoscritto all’Uomodellospazio. Comunque, a scanso di equivoci, vado di dritte e raccomandazioni. Ma non temere, nessun predicozzo. Non è da me, non è da X. I documenti che rinvieni nel portafoglio appartengono a un’identità fittizia, il mio vero nome è quello della firma che trovi in calce. Più sotto ho indicato l’indirizzo dell’Uomodellospazio al quale devi portare il pacco contenente il mio scritto. Ci penserà lui a farlo pubblicare, come ha già fatto per il mio primo libro. Sono certo che il mio unico amico è intenzionato a rifonderti ogni spesa sostenuta e magari ti allunga pure un centone con annessa grassa stretta di mano, nonché un sigaro cubano preso da una scatola d’ebano sulla sontuosa mega scrivania. Il manoscritto è il seguito di un romanzo che è stato pubblicato qualche tempo fa; nulla di che, tranquillo, ma ci sono persone che aspettano di sapere come finisce quella storia. E sai che c’è? Non mi va di lasciarle a metà del guado, le voglio portare sull’altra riva con me. Per favore, non fare che il manoscritto finisca nelle mani della burocrazia, della polizia, dell’infermeria, dell’entepubblicheria, insomma che se lo porti via un soccorritore professionista. È davvero importante per me che questo libro raggiunga quelle persone, dentro c’è il finale della mia storia. Anzi, sai cosa ti dico? Che adesso ci sei dentro anche tu. Qualunque scelta farai, dal gettare il manoscritto al tenerlo per te
9 oppure al consegnarlo nelle mani giuste, questo influirà sullo sviluppo del romanzo. Può sembrare assurdo, ma il finale di partita è in mano tua. Adesso sei un personaggio del libro. Perché la Voce ha scelto te? Chi sei? Perché proprio tu? Sei vivo e lotti con noi? Io mi fido totalmente della Voce ed è unendomi a lei che ti dico guardandoti negli occhioni belli: Ciao amico, fai la cosa giusta. TITO X MALINVERNO
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MA QUANDO ARRIVI, TRENO …
…portami lontaaaaaaaaanoooo, portami lontano! Canticchio in compagnia dei miei Me questa vecchia canzone seduto su una panchina della stazione di Colico e guardo i treni fermarsi e ripartire, proprio come il mio respiro. Aspetto il Sondrio-Milano, nonché treno dei desideri nei miei pensieri. Oggi sono tutto una canzone. Si è acceso un vecchio juke-box in qualche bettola della mia mente e a suon di cento lire gli avventori ci danno dentro coi successi del passato, senti come se la spassano e vanno di cori. Vengo dal lago, vado al mare. Come un fiume. Il Malinverno sorge dal Lario, scorre attraverso la pianura padana e confluisce al suo mare, la Gnetty. I binari raccontano la nostra storia di percorsi paralleli che s’incontrano solo negli scambi ferroviari prima delle stazioni, si toccano per qualche centimetro e poi proseguono verso una diversa destinazione senza più sfiorarsi. Io vivo per quel centimetro e misuro la mia vita in millimetri, quindi ne possiedo un’infinità. Se vuoi, te ne regalo. Ho ragionato a lungo, per quanto sono in grado di farlo s’intende, se dire alla Gnetty della telefonata di Stan e poi ho concluso che era meglio lasciarla tranquilla nei suoi giorni di mare con la Wanda. Dall’assemblea dei miei Me si è però alzato in piedi un barbuto e occhialuto signore con pipa di radica in bocca che in sostanza mi ha fatto questo discorso:
11 «Non capisci niente delle donne, sei pazzo, a che conclusione pensi di arrivare? Fai l’esatto contrario, tonto». Prima un sms conciso: ti chiamo, ma saremo ascoltati, tienilo sempre presente. Nella successiva telefonata le ho raccontato di Stan, di come siamo stati controllati e dei problemi che avremo al ritorno dal mare, visto che non potremo sentirci né vederci mai più. Lei è stata perfetta. Con un tono di voce controllato, ma soffuso di calore, mi ha detto: «Ho capito. Ne parleremo di persona, Tito. Grazie per avermelo detto, per avere condiviso subito il problema. Siamo in due, sempre». Condiviso. Le donne amano tantissimo questa parola che gli uomini non hanno nemmeno nel vocabolario. Tanto per capirci, tu dici loro ‘condivisione’, questi comprendono ‘oh, no, altri problemi…’. Il tizio di prima mi ha dato di gomito: «Visto, gonzo?». Mi sa che mi verrà utile questo barbuto e occhialuto pipatore che nemmeno sapevo di avere nella mia enclave di personalità. Ma quanti siamo qui dentro? Eccolo, il mio Adriatic Express. Oggi, dopo tempo immemorabile, ho viaggiato in autostop da Dongo a Colico con la valigia che mi porto appresso, trasloco dopo trasloco, da quando sono diventato maggiorenne e l’orfanotrofio mi ha congedato con onore. Mai avuto un guardaroba che necessitasse di due valigie. L’autostop e adesso il treno. Mancano solo la chitarra, la ragazza, gli amici e lo spinello e il revival sarebbe completo. Sarà questo sole, il fatto di essere pazzo, l’intensità di sentirsi vivo o che ne so, ma sto dannatamente bene. Le porte del treno si aprono e salgo sul predellino con semi-balzo atletico e quasi m’ingrippo nel gradino. Barcollo all’indietro e una mano provvidenziale mi sorregge consentendomi di
12 aggrapparmi al corrimano. Mi volto per ringraziare e mi trovo davanti un distinto signore incravattato i cui baffetti castani sono in tinta precisa con la giacca. «Grazie mille! Ma senta, lei ha tutte le giacche intonate al baffo, oppure lo tinge quando cambia giacca?». Uno dei miei me ha preso la parola a mia insaputa, poi se l’è data a gambe e adesso me la devo vedere io col gentleman che mi fissa basito. Scuote la testa e sorride. «Malinverno… monti in vettura, il viaggio è lungo e se questo è l’inizio siamo messi bene». M’invita a salire col gesto della mano continuando a sorridere. Sono io adesso quello ingessato. Mi conosce? Chi è? Fiume, fiume del mutamento… un’altra ansa, un altro cambiamento? «Lei sa chi sono?». «Sì, certo. Accomodiamoci in un luogo tranquillo e le spiegherò tutto». Bene, almeno sembra amichevole. Per sicurezza chiedo conferma al ragazzino dentro me che indossa un costume da Spiderman, ma il suo senso di ragno non pizzica, anzi continua a leggere beato i suoi fumetti affondato nel divano. Trovo un paio di posti distanti dagli altri viaggiatori nella seconda carrozza che scandaglio, sempre col baffo alle spalle. Stipo la valigia nell’apposito scomparto e mi siedo composto. La prima parte è fatta. Il distinto signore baffuto fa lo stesso col suo bagaglio e prende posto davanti a me. Mi guarda in silenzio. Ho l’impressione che mi stia confrontando con qualcosa nella sua mente. «Tale e quale. E pure fonte di impreviste accelerazioni». «Parla di me?». Mi tende la mano. «Piacere, sono Manfredo Benvegnù, sostituisco Lo Turco, il suo ex controllore, quello che lei chiamava Virgilio».
13 Qualcosa non quadra. Baffo il gentleman non condivide alcunché con i ceffi che mi hanno controllato in questi anni. I modi, l’eloquio e i gesti rivelano origini e percorsi di crescita assai diversi da quelli che immagino Virgilio abbia seguito nei suoi trascorsi nel sottobosco criminale. «Virgilio non si era mai presentato. Né mi ha mai sorriso. Lei è già due a zero, adesso per pareggiare dovrò sudare sette camicie. Fosse almeno dicembre…». «Io la conosco, Malinverno. Ho visto i filmati dei suoi anni al lago, visionato relazioni, pareri clinici, ascoltato conversazioni, letto sms, insomma tutto quanto. Lei m’incuriosiva, devo ammetterlo. Quando mi hanno assegnato al suo controllo ho provato una certa soddisfazione. Ho la sensazione che questo incarico possa rivelarsi più interessante della media dei miei pregressi compiti di sorveglianza». È sicuro e rilassato, il Manfredo. Lo ritengo molto più pericoloso di quanto appare, del resto la risma e l’intento sono identici a quelli di Virgilio. Dopo che sono impazzito in seguito ai tre mesi vissuti da fuggiasco in autostrada, l’Agenzia mi ha esiliato a Dongo e messo sotto controllo per evitare che intrattenessi rapporti con chiunque, casomai mi fossi lasciato sfuggire con qualcuno, da ubriaco, informazioni circa il video che avevo registrato con le prodezze omoerotiche di un mistico e di un boss della mafia. Il video ce l’aveva ancora il Bellini e se mi fosse accaduto qualcosa di male l’avrebbe pubblicato sul web con gli effetti che puoi immaginare. Poi c’è stata l’epifania della Gnetty che mi ha restituito alla vita, almeno fino a domani. «Benvegnù, questo è ‘poliziotto buono-poliziotto cattivo’, ci ho giocato tante volte coi colleghi ai danni di disgraziati colpiti da criminite acuta che avevano infranto la Legge. Il cattivo fa il duro e spaventa l’implume, il buono intercede per lui e ne carpisce la
14 fiducia, quindi lo induce a confessare. Non siamo un po’ vecchi per questa sceneggiata? Piuttosto, conosco altri modi per passare il tempo. Ti va una scopetta o un pokerino? Ho il mazzo di carte in valigia». «Malinverno…» scuote la testa e sorride «chi è questo che ha parlato per ultimo? Si è accorto che ha iniziato il discorso dandomi del lei e ha terminato con il tu? Avete parlato in due». «Mi sa che ti ci dovrai abituare, se intendi giocare a ping pong con me. Siamo in tanti, procurati una cassa di racchette e una piovra come socio. Sei uno psicologo, un mentalista o un professorone?». «In effetti sono stato anche un professore. Ho insegnato qualche anno in un liceo». Ci sono andato vicino e lui pare apprezzare il fatto, come se convalidasse con soddisfazione una sua scommessa personale. Il treno si mette in marcia, unò-duè, unò-duè. Tra un attimo costeggeremo il lago e io voglio assistere ai goffi e disperati tentativi del finestrino di tenerlo incorniciato mentre lui sfugge via lontano. «Lei ha una qualche forma di intuito, Malinverno. Sono sicuro che c’è qualcosa che non si vede dai filmati, né viene evidenziato nelle relazioni. È qualcosa che ho colto nelle sue conversazioni con la Montini, con Lo Turco e il Morganti, quella specie di trans che ha cercato di ammazzarla per avere il video custodito dal Bellini». «Forse la pazzia? Hai provato con l’ipotesi più semplice, Freddie? Mica mi offendo». Mi guarda incuriosito, poi capisco «Manfredo è troppo lungo, non ce la posso fare. Freddie può andare per te?». «Può darsi che le sue condizioni mentali in effetti abbiano a che fare con questo, ma non cambierebbe nulla. Nessuno sa da dove
15 provenga l’intuizione. E Freddie mi sta bene, ho avuto molti nomi e identità, non ne rifiuto una nuova». «Sembri sincero. Ti guida una passione». «L’Agenzia mi ha assegnato a lei per un interesse reciproco. Lei sa benissimo cosa interessa a loro. A me invece lei importa per altri motivi, diciamo di studio, di conoscenza». Il fatto che qualcuno mi consideri oggetto di interesse e di studio mi sorprende alquanto. Pensavo potessi incuriosire al massimo un astemio o un appassionato di documentari sugli insetti di palude. «Significa che mi seguirai passo passo col taccuino e la penna prendendo appunti su di me?». Comincio a incupirmi. «No, in modo assoluto. Lei può frequentare liberamente la sua donna, io sarò nei paraggi, ma non interferirò in alcun modo con voi. Ho il compito di vigilare che lei non faccia colpi di testa e pensi a un’improbabile fuga, oltre che di assicurare in ogni caso la sua incolumità». Ma sai che mi fa piacere? Va che bello, mi devo godere solo il presente e guardare al futuro, il passato e le mie spalle me li guarda lui. «Se Stan, il vegliardo maledetto, ti ha assegnato a me è perché si aspetta qualcosa da te. Che ruolo interpreti nella sua commedia? Vediamo se indovino. Noi due diventiamo amici, io mi rilasso e tu mi fai qualcosa alla testa per tuo scopo personale o vostro, dell’Agenzia». Il mio sguardo è aperto, tranquillo. Freddie scompare dietro le quinte per riflettere e intanto manda la pubblicità. Quando parla lo fa col tono di uno che dice il vero con un fondo di dispiacere. «Malinverno, con lei ho deciso di giocare a carte scoperte sin dall’inizio. Ritengo inutile un approccio classico dal momento che il suo stato mentale non rientra in questa categoria. Sono sincero, come del resto le ha già comunicato quello che lei chiama Stan, entro un paio di giorni rintracceremo Onorio
16 Belloni, il Bellini, questo è certo. Lo elimineremo e prenderemo i filmati in suo possesso, dopodiché verrà il suo turno. Non le resta molto tempo, Malinverno. Dato per scontato il finale, si è ritenuto opportuno utilizzare questo tempo per finalità diverse da quelle del mero controllo. Io sono accreditato per studiare la personalità umana sul campo, deduco parametri che ci sono utili in svariate situazioni. Nulla viene lasciato al caso». «Una notte ho sognato che tutto e nulla erano la stessa persona. Temo che il caso abbia in croato qualche sorpresa per te». «In serbo, vorrai dire» mi corregge. «No, il Caso parla in croato, me lo ha detto il Destino» è vero! Sorride e scuote la testa. «Malinverno… le ho appena detto che lei ha i giorni contati e questa è la sua risposta?». «Ma non avevi studiato i miei incartamenti? Non incartarti, sono sempre io. Non conto i giorni, quando finiscono saranno loro a dirmelo. Sto andando al mare, Freddie. Da quella che tu chiami Montini. Esistono solo due cose per me: adesso e il momento in cui la bacerò. I giorni di cui tu parli manco mi ricordo dove li ho messi». Incassa da signore. «Invidiabile». «Oh, Freddie, guarda che basta una psicosi. È alla portata di tutti, costa niente, te la tirano dietro. Della vita ordinaria oramai io sono ex e X. E dammi del tu, ti prego, ho capito che sei un gran chiacchierone e a furia di sentirmi dire ‘lei’ rischio la confusione di genere». Ride. Di gusto. Mi turba perché è sincero, non sta doppiogiocando. «D’accordo, sta bene. Malinverno, osservami e dimmi qualcosa di me, fammi meraviglia, dai». Incrocia le braccia in attesa, curioso e gaudente.
17 Deve essere una specie di test, o forse davvero una sua curiosità. Ma casca male, perché in quel momento mi si attiva la Visione. Guardare non è vedere, lo sai lettore, e adesso io vedo. «Il baffo scalda un labbro freddo e ammutolito. Il baffo nasconde un dolore. A se stesso». Smette di sorridere. Da sotto l’espressione gioviale emerge per un istante un altro volto, quello di un uomo cupo, duro, incarognito per i morsi subiti dai cani mentre lui era alla catena. Resta in silenzio. Sta facendo due conti e a quanto pare non tornano. «Forse noi due non siamo qui per caso» sembra serio. La Voce se la ride. «Ancora il caso, Freddie. Lascialo in pace. Guarda il lago, piuttosto». Indico il film oltre lo schermo del finestrino. Tutto scorre. Tranne il lago. Il punto fermo e di non ritorno, denominatore comune di sponde divise, separatore di genti accomunate dal blu della topografica. Il rollio sui binari scandisce il ritmo di un viaggio a mia misura, clemente e divagante. Bip sms della Gnetty: «Par-Tito?» ha voglia di giocare oggi, la mia piccola Y. sms Tito: «In toto. Sono con Freddie, un Virgilio versione deluxe. Arrivo alle diciassette, abito la stanza e poi noi». Ho prenotato nell’unico albergo che aveva una camera libera, proprio di fronte a quello dove alloggiano la Gnetty e la Wanda, sua madre. Anzi, quando ho telefonato mi avevano risposto che era sold out, ma dopo qualche ora sono stati loro stessi a richiamarmi offrendomi una stanza che si era improvvisamente liberata per le date da me indicate. Un tipo dentro me comincia a fischiettare guardando altrove con aria fintamente ingenua, in realtà scafata. Ah, ho capito. «Freddie, sai qualcosa della mia prenotazione fortunata alla pensioncina?».
18 «Abbiamo risorse davvero importanti, Tito. Io sono nella stanza accanto alla tua». Prosit. Una bella gita. Malinverno è il ghepardo ansante che cerca meritato ristoro sotto una fresca frasca e si ritrova la telecamera dell’operatore di Animal Planet a tre centimetri dal naso gocciolante. Già so che quando inseguirò la gazzella me lo troverò a fianco su di una jeep che riprende la mia caccia con un occhio nella telecamera e con l’altro che fa il tifo per la gazzella. E bravo Freddie, il mio nuovo amichevole vicino di casa. Macinando e mescolando binari e parole sorseggiamo il viaggio fino alla grande Milano. Scendiamo dalla carrozza e siamo nel Mondo Nuovo. Il ventre della Stazione Centrale sembra gravido per un parto plurimo. Interrazziale. Affollato. Le madri si sprecano, i padri si defilano. Manco da tre anni, manco a dirlo. Manco io. Non appartengo più a te, femmina dai mille lustrini, abbagliante fiera dell’abbaglio, gratificante trofeo del cieco a sua insaputa. Adesso sento il tuo odore. Puzzi, sei miasma, mia asma. Freddie mi tocca il braccio e indica il binario su cui attende il treno per Rimini. Ci incamminiamo scansando viaggiatori in senso ostinato e contrario e inventandoci modi originali per sfuggire ai falchi della questua professionale. Giunti al binario cerchiamo una carrozza e passiamo accanto a tre ragazzotti agghindati in foggia rasta e con dei dreadlocks che sembrano veri da tanto son farlocchi. Stanno attorno a un aggeggio che diffonde finta musica reggae annacquata e fatta con i lieviti chimici. La scena merita un’occhiata e io gliela concedo mentre passiamo oltre. «Cosa guardi, vecchia scoreggia, cazzo capisci di musica?» mi apostrofa senza motivo il più annodato nei capelli dei tre. Io andrei avanti a camminare verso le porte aperte, che tra l’altro m’invitano a salire promettendomi un posto al finestrino, ma sento le gambe bloccarsi di colpo. Dal gruppo dei me si fa largo
19 un tizio colorato e fumatissimo che indossa un copricapo giamaicano. Si esprime in modo calmo, vagamente annoiato e indolente. «Nel giugno del 1978 ero a S.Siro per Bob Marley. Vuoi favorire?» poi si gratta la pancia e scompare da dove era venuto. Le gambe tornano in mio possesso e riprendono il percorso verso la destinazione prevista. I tre topoloni rasta vanno in tilt leggero, quanto basta per tenerli impegnati per qualche secondo di improduttiva ricerca di insulti da offrirmi in replica. «Malinverno…» Freddie sorride e scuote la testa «ma è vero?». «Adesso che l’ho detto qualcosa ricordo… mi sa che uno dei miei me era lì dal Bob» ne prendo atto e mi sento bene. In carrozza! Cerchiamo uno scompartimento deserto e lo popoliamo da veri tuareg insediando un accampamento temporaneo che fa da campo base per le nostre scorribande verbali. Dal finestrino un enorme cartellone pubblicitario impone la sua vista. Propone con grafica sobria e colori pastello, come ti apparirebbero se avessi assunto un acido, l’acquisto di un fantascientifico lettore mp3 che tra le sue funzioni pare far intendere di avere quella di parcheggiarti l’automobile e di implorare la clemenza del vigile nel caso di multa. L’assurdo slogan che accompagna l’immagine di una faccia da pirla che si gigidalessizza mediante il suddetto accrocchio, e recita: «Ki sei? Ke vuoi? Xké parli? Ascolta!». Benvegnù lo osserva con un sottile disdegno che gli fa vibrare il baffo. «Malinverno, fammi meraviglia, come intitoleresti questo quadro di arte contemporanea?». Facile. «I predatori dell’acca perduta».
20 Da come ride capisco che non gli succede da tempo, anche perché si procura una distorsione al labbro inferiore che lo terrà lontano dai campi di gioco due o tre giornate e avrà di che rammaricarsi del tempo libero, in quanto dovrà confrontarsi col dolore celato dal baffo che farà capolino dalle pieghe degli attimi vuoti. Il treno prende a muoversi e noi con lui, perché il viaggio accomuna viaggiatori e tracciatori di binari. Seguiamo i nostri percorsi su tracciati disegnati da altri, e pensiamo di essere liberi solo perché arriviamo alla stazione che abbiamo scelto come destinazione. Ma sì, concediamocelo, siamo per una volta magnanimi con le nostre stesse personcine, facciamo gli splendidi tra di noi. Entrè nù, Benvegnù! Fa il suo bravo ingresso nel nostro accampamento un tipo che fa l’effetto di una nota stonata al culmine di un assolo perfetto, lo percepisco talmente intenso che devo piegare la testa, come quando quel cretino di Bosoni faceva stridere le unghie sulla lavagna durante l’intervallo. Il volto rabbuiato da una barba incolta sta facendo a cazzotti da svariate riprese con la sua mise, che pare sfilata con destrezza da una boutique del centro di quelle con la guardia giurata all’ingresso. Roba da sciuri, dice un me ragazzino seduto sul marciapiedi mentre succhia beato un chupa-chups. Ma lo sento solo io. Freddie smette di parlarmi e osserva il tipo che si accomoda accanto a lui con fare annoiato. «Buongiorno» lo accolgo con riserva. «…giorno» biascica. Freddie si limita a un cenno del capo la cui traduzione assomiglia a ‘prego, si accomodi’. Il conflitto vivente tra eleganza e trasandatezza estrae il cellulare e si tuffa nel mare social della sua esistenza. Che poi è una vasca da bagno, ma è confortevole sentirsi capitani coraggiosi della propria tinozza.
21 La presenza del tenebroso compagno di viaggio smorza il nostro dialogo e Freddie si rannicchia nei suoi pensieri intanto che controlla dal finestrino che il paesaggio scorra nel verso giusto. La Voce: «Tito…» quando fa così mi richiama all’ordine, se mi distraggo mi perdo la lezione. Osservo la scena e lascio che piano piano il guardare lasci il posto al vedere. Freddie è presente/assente, ha timbrato il cartellino e poi si è infrattato al bar coi suoi pensieri. Coatto griffato digita sui social e lo schermo del cellulare agonizza sotto i colpi del pollicione della mano sinistra. Strano che l’orologio sia al polso della stessa mano. La testa mi si piega di lato. Il jukebox nella bettola sta suonando ‘Pugni chiusi’. L’uomo tiene la destra nella tasca della giacca. Sento ancora la testa piegarsi, ma dal lato opposto. Le nocche della sua mano tendono la stoffa della tasca. Quello è un pugno e dentro al pugno non tiene certo una rosa per offrirla in omaggio alla nostra avvenenza. «Freddie!» esclamo e sorrido che sembro pazzo. Sembro solo, neh! «ti invito al ballo di fine anno!». Manfredo molla il calice sul bancone e torna operativo in un amen. Homo Electus sobbalza giusto quell’istante che mi consente di far leva sul piede sinistro per sollevarmi e partire con un calcio mirando alla sorpresa nella sua tasca. La coppia di amanti avvinghiati, mano e pistola, esce dall’alcova protestando vivacemente per l’amplesso interrotto. Freddie ruota su se stesso come fosse di gomma e sferra un calcio rotante al collo del killer che si deforma in un modo assai curioso che preferirei evitare di descriverti perché fa senso anche a me. La fornitura d’aria s’interrompe all’istante e a nulla valgono le sue proteste su carta bollata.
22 Più veloce di te quando arraffi l’ultimo dolcetto rimasto nel piatto, Freddie appoggia la punta delle dita sul petto dell’ansante che resta fulminato in un zapp! peggio che con le dita bagnate infilate nella presa di corrente. Si affloscia su se stesso con un puff! Freddie è freddissimo. Un nome, una garanzia. Mi fa segno imperativo di non toccare il corpo. Prende un micro cellulare, un modello evoluto rispetto a quello che mi ha dato Stan nell’appartamento di Lecco, compone un codice e parla chiaro e conciso. «Sgombero rifiuti solidi urbani. Attendo». Trascorrono cinque secondi. Dall’altro capo dicono qualcosa «a seguire identificazione. Chiudo». «Cosa gli hai fatto?». Freddie mi mostra da vicino la punta delle dita. Microfilamenti attraversano minacciosi le unghie e spariscono dentro la carne. «Elettricità. L’intensità varia dal numero di dita che toccano l’obiettivo e dalla pressione esercitata sullo stesso». «Lui si è preso il primo premio, vero?». «Tutta la gloria». Freddie sistema il cadavere sul sedile simulando uno che si è addormentato nella classica posizione da treno, quella benedetta dagli osteopati. Requisisce documenti, armi e cellulare, e via con la fase di studio. «Mi complimento, Bond non avrebbe saputo fare di meglio. Chi è il corvaccio?». «I dati non mi dicono nulla, li invio all’Agenzia e tra breve lo saprò». Ma io sono pazzo, non gonzo, e il Me sbirro si agita inquieto dietro le mie palpebre. Ha sentito la nota stridente, ha visto l’eclissi di luna negli occhi di Freddie.
23 Sprofondo nel sedile e nei miei pensieri, quel tanto che basta per comprendere l’ovvio. «Freddie, se in questo mondo capovolto due più due fa ancora quattro, mi sa tanto che siamo uno a zero per Malinverno, vero?». Benvegnù mi osserva serio. Significa che ho fatto centro. «Cosa intendi?». Ma lo sa benissimo. «Non mi vorrai far credere che fossi io l’obiettivo del killer, eh? A chi avrebbe giovato la mia morte quando questo avrebbe significato la divulgazione in internet dei filmati in mano al Bellini? No, Freddie. Il fritto misto che hai appena cucinato e che ora giace nel fuoco eterno era venuto per te. Ti ho salvato la vita, Benvegnù, mi devi un Negroni» tutto sommato una modesta ricompensa, non credi, lettore? Mi accontento del nettare, io. Il resto è tuo, prendilo pure. Nubi dense di pioggia riempiono lo scompartimento, promettono e mantengono tuoni e fulmini. «Stanne fuori, Malinverno» fa lui cupo e ringhiante come un lupo affamato a cui hai cercato di sottrarre la preda. «Spiegami come. Qualcuno cerca di farti fuori e tu sei incollato a me come una figurina Panini, come minimo rischio di spettinarmi se la prossima volta il killer ti fa esplodere una bomba nelle mutande. Perché ci sarà una prossima volta, vero Freddie?». Adesso lo vedo attraversato dalle frecce di tutte quelle belle emozioni che anche tu preferisci di gran lunga evitare quando ti fischiano accanto. Tensione, inquietudine, nervosismo e una spruzzata di paura lo trasformano per un attimo in un bozzetto di quelli che Picasso disegnava sui tovaglioli. Resta in silenzio e mi guarda torvo. Lo incalzo, dall’alto della mia posizione di alcolizzato a cui rimangono pochi giorni di vita. «Forse il baffo oltre al dolore nasconde una storia interessante. Quando vuoi sappi che oltre che delirare so anche ascoltare. E i
24 tuoi segreti saranno ben riposti nella mia tomba, sempre che non decidiate di farmi flambé». Nella mente di Freddie si sta svolgendo un match di pugilato tra due pesi massimi: la fredda ragione alla sinistra dei vostri schermi, campione in carica, e l’umano e disperato bisogno del cuore, il baldanzoso sfidante, alla vostra destra. I due pugili si avvinghiano e l’arbitro grida «Break!» per separarli. In quello suona il gong e i due se ne tornano all’angolo dai rispettivi allenatori per riprendersi dall’aspro combattimento. Il gong si manifesta sotto forma di squillo del cellulare e Freddie ne approfitta con tempismo perfetto. Lo sento rispondere a monosillabi e impartire quelli che sembrano ordini sotto forma di codici numerici. Il treno rallenta e in un attimo siamo fermi alla stazione di Reggio Emilia. C’è un’ambulanza che attende sulla banchina dalla quale scendono due infermieri che reggono una barella e si apprestano a salire a bordo. Benvegnù si sporge dal finestrino e rivolge loro un cenno di invito. «Non è il personale del locale nosocomio, vero Freddie?» nessuna risposta, ma il silenzio parla eccome. I due finti infermieri prelevano il corpo dopo avergli attaccato inutili flebo e averlo coccolosamente avvolto in una coperta, tutto a beneficio dello sguardo dei viaggiatori che penseranno a un malore del tizio e alla solerzia dei soccorsi. Benvegnù e i due biancospini si scambiano occhiate traslucide e rapidi cenni d’intesa. Tempo due minuti e il cadavere viene caricato sull’ambulanza che parte a razzo fendendo la folla di curiosi che brandisce i cellulari per filmare la scena manco fossero i registi. Riprendiamo il viaggio mentre altri passeggeri riempiono il nostro scompartimento. Fine dei discorsi, io e Freddie restiamo precauzionalmente muti, ma io, sadicamente per modo di dire,
25 ogni tanto lo fisso facendogli il segno di “Uno a Zero” con le mani. Giusto per ricordargli che mi deve una storia, la sua. Lui mi risponde con smorfie che vanno dalla commiserazione al «roba da matti», ma non ha scampo e poco prima della stazione di arrivo finalmente spunta un sorriso. “Gatteo Mare” c’è scritto sul cartello, ma io leggo “Gnetty Montini”, davvero! Ci incamminiamo verso l’hotel e Freddie fa da guida, tanto ho capito che già conosce luoghi e itinerari. Quando arriviamo Benvegnù mi dà di gomito. «Guarda i balconi, Malinverno. Non è così che ti chiama la tua donna?». So bene che l’incredibile esiste e non mi sconvolge più di tanto scoprire che i balconi in pietra sono modellati a forma di X. Però mi fa scioccamente e inutilmente piacere, e io ho sempre adorato le cose sciocche e inutili. In fondo lo sono anch’io, e manco tanto in fondo… Facciamo un ingresso paradossale perché io appaio sperduto persino a me stesso, mentre Freddie si milanesizza all’istante e assume un tono baldanzoso e deciso che spande sicumera ollaraund. Alla Reception ci notano subito e la hostellessa ci viene incontro con affabilità tutta romagnola. «Benvenuti, signori. Siamo lieti di avervi nostri ospiti, vi auguriamo un magnifico soggiorno!». È vivace, professionale e un po’ sopra le righe. Mi piace. Sulla targhetta plastificata c’è scritto “Rossana - Direttore” e sulla spalla scoperta lampeggia un enorme tatuaggio del volto di Vasco Rossi. «Le chiavi delle nostre stanze, per favore» dice Freddie con tono asettico e sbrigativo mentre estrae dal portafogli i documenti. Negli occhi della hostellessa vedo passare un lampo di disprezzo che illumina a giorno la notte più buia che tu ricordi. Indico il tatuaggio sulla sua spalla e sorrido.
26 «Ho organizzato il servizio d’ordine al suo concerto allo stadio di S.Siro, quello della tournée di Fronte del Palco. L’ho conosciuto e l’ho toccato con questa mano. Vuoi stringerla, Roxy?». Lei s’illumina d’immenso e mi prende la mano come una reliquia. È felice come una bambina e non c’è cosa più bella. Mi sorride e mi chiede com’è Vasco di persona, come mi sono trovato in sua compagnia e al culmine del delirio mi dice che ho qualcosa di lui nello sguardo. Benvegnù frigge e recide l’idillio con cesoie affilate. «Basta adesso, espletiamo le procedure e saliamo al piano. Le chiavi prego» la Roxy lo odia, neanche tanto cordialmente. Eseguiamo lo scambio dei prigionieri, chiavi contro documenti, e ci dirigiamo verso l’ascensore accompagnati dallo sguardo schizofrenico della Roxy: con un occhio scaglia fulmini a Freddie, con l’altro mi sorride. Siamo all’ultimo piano e abbiamo camere contigue e comunicanti. «Lascia aperta la porta dal tuo lato, devo poter accedere in ogni istante» dice, tra l’affabile e il professionale. «Privacy a go-go, vedo. Seconda solo al Grande Fratello. Mi puoi fare un’improvvisata in qualsiasi momento, pensa che bello. E che succede se entri proprio quando sto facendo poesia di ardenti sensi con la mia signora?». «Mi spiace, Malinverno. Alla Reception hanno l’ordine di non far salire nessuno in camera. E nessuno salirà. Ti resta la pineta…» dice facendo l’occhiolino. Speravo che l’ultimo desiderio del condannato a morte fosse più magnanimo. Poi lo sbirro in me mi tocca una spalla per richiamare la mia attenzione e mi sussurra qualcosa all’orecchio, ma da dentro la testa! «Freddie, questa cosa mi fa davvero girare i maroni. Tu non vuoi che salga nessuno per proteggere la tua incolumità non la mia.
27 Perché ti aspetti altri killer pronti a terminare il lavoretto che quel fesso sul treno non ha nemmeno cominciato. E per parare il tuo culetto impedisci a me di avere una notte come si deve con la donna che amo nell’ultimo dei miei giorni. Una bella gita, grazie». Effettivamente mi sale una rabbia sorda che però a quanto pare ci sente benissimo. Manfredo Benvegnù mantiene una parte umana nei suoi recessi di labirintici tormenti segnati da durezze varie acquisite sul campo. «Sorry, Malinverno. Una sfortunata coincidenza per entrambi, non lo nego. Ma il nostro peso sulla bilancia della vita è piuttosto squilibrato in questo momento, lo sai bene anche tu, ed è a mio favore». «D’accordo, Freddie. Solo ricordami di farmi i cazzi miei la prossima volta che mi viene la malaugurata idea di salvarti la vita». Gli chiudo la porta in faccia e mi appresto a prendere possesso dell’ultima stanza che abiterò in vita mia. Per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia, stanzetta mia. Testo subito il letto e ignoro armadi e cassetti per gli abiti, non devo certo avere chissà quale cura degli indumenti dal momento che massimo un paio di giorni non indosserò più niente e sarò un cliente in meno per tutti i bar del pianeta. Esco sul balcone dal quale si gode un’ottima vista dell’hotel di fronte dove sta la Gnetty con sua madre, la Wanda, che nulla sospetta della relazione intensamente maledetta della figlia con questo morto che cammina lungo il miglio verde, e che risponde al nome di me medesimo. Chiamo sul cellulare l’unico numero che ho tra i contatti. La Gnetty è euforica ed emozionata in modo elettrico. Mi dice il nome del Bagno dove ha l’ombrellone e ci diamo appuntamento sulla spiaggia tra una mezzoretta. Indosso un costume da bagno sotto i pantaloni, prendo un salviettone gentilmente offerto a pagamento dall’hotel e mi
28 accingo a uscire quando si spalanca la porta comunicante e Benvegnù entra con fare deciso e mi preme una mano sul petto. «Siediti sul letto». Nell’altra mano tiene una specie di siringone il cui ago enorme terrorizzerebbe quasi tutti i miei cinque lettori. «Posto che non sei il mio tipo e che quell’arnese non mi sembra un sex toy, che intenzioni hai?» dico senza distogliere lo sguardo dal siringone. «Togliti la camicia e porgimi la spalla destra» risponde con calma determinazione «ti devo installare un localizzatore sottocutaneo, nel caso improbabile che tu pensassi di prendere il volo. Non andresti comunque da nessuna parte, ti troveremmo ovunque, ma questo è un bel deterrente di suo». Et voilà! Eseguo e Freddie si siede al mio fianco sul letto brandendo lo spadone. «La punta dell’ago si apre a contatto della pelle e forma dei piccoli bracci di ancoraggio, dentro c’è un ago più piccolo che deposita il microchip. Sentirai poco più di una normale iniezione, ma stai rigorosamente fermo». Ecco, chippato come un cane. Peccato che le crocchette che mi serviranno tra breve saranno amare e soprattutto le ultime. Avverto la puntura e qualcosa farsi largo nella carne scavandosi un tunnel. Decisamente ho provato di peggio, ma tra questa e una normale iniezione c’è la differenza che passa tra tua zia e una pornostar, sempre che l’affine non sia del mestiere. «Fatto. Adesso ti ho fisso sul radar, Malinverno» e batte affettuosamente la mano sulla tasca della giacca dove tiene il cellulare. «Posso andare adesso o devi installare anche l’aggiornamento?». Ride, il Benvegnù «Ti auguro buon soggiorno, Malinverno» e indica la porta con gesto ossequioso. Non me lo faccio ripetere.
29 Mi fiondo nella hall e in un attimo sono in strada. Nel sole che sa di sale. È una strana sensazione, è tutto nuovo. Cammino verso il lungomare felice in modo ebete e ubriaco di sensazioni. Il me sommelier del sentimento assapora ognuna di loro e ne vanta la qualità e i sentori del retrogusto. Il mare d’inverno è solo un film in bianco e nero visto alla tv, il Malinverno del mare è un kolossal hollywoodiano in 3D proiettato nel cielo. Spettacolo, categoria. Mi faccio strada tra i vacanzieri seguendo l’odore della salsedine come un cane da tartufo fino al lungomare, sul quale si affacciano i bagni di questo lembo di Romagna. Quello che cerco è il terzo che incontro. Pago il mio ingresso a un tizio gioviale e grassoccio che non fa nulla per nascondere l’impressione di trovarsi di fronte a uno fuori posto e fuori tempo massimo. Ed eccomi sulla passerella di piotte levigate che portano al mare. La dritta via separa file e file di ombrelloni sotto i quali staziona una fauna variopinta e arrembante di tutto quello che può offrire la varia umanità di cui volenti o nolenti facciamo tutti parte. La percorro come un equilibrista sul filo e non sono pochi gli sguardi perplessi che mi sento addosso. Del resto, sono vestito come un cittadino totale e sembro reduce da un colloquio di assunzione in una banca. ),1( $17(35,0$ &217,18$
INDICE
NOTA DELL’UOMODELLOSPAZIO......................................... 7 IL BIGLIETTO NELLA BUSTA GIALLA.................................. 8 MA QUANDO ARRIVI, TRENO … ......................................... 10 VAI TITO!................................................................................... 55 CANZONI PER IL TUO PROSSIMO PASSATO...................... 85 TUTTA LA VERITÀ, NIENT’ALTRO CHE LA VERITÀ. LO GIURO................................................................................ 116 L’ULTIMA PAGINA ................................................................ 137 NOTA FINALE DELL’UOMODELLOSPAZIO...................... 140 TITOLI DI CODA .................................................................... 142