In uscita il 31/10/2018 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine ottobre e inizio novembre 2018 ( ,99 euro)
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DAVIDE VISENTIN
PENSIERI PAROLE E OMISSIONI
ZeroUnoUndici Edizioni
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PENSIERI PAROLE E OMISSIONI
Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-241-6 Copertina: immagine di Denis Bettio
Prima edizione Ottobre 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
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Dedicato agli Amici
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La gente scrive un sacco di parole. Troppe, decisamente. Sia chiaro, argomenta, dispone di un bel vocabolario forbito, ma son davvero tante parole. Io scrivo male. Ma scrivo le parole giuste.
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DIVAGO
Divago. Eccomi qua. Davanti a me lo schermo bianco del mio Macbook. Uno di quei software fanatici del less is more e mi è pure costato 10,99 €. Nessuna icona, zero colori. Nessun rumore. In lontananza sento arrivare qualche sirena, che poi si allontana come un’onda nel mare. Trascina con sé il rumore e lo riporta al largo. Il bianco da riempire di caratteri mi osserva, così ipnotico da sentirmi quasi smarrito. Una leggera ansia mi assale. Il monitor è piuttosto piccolo. Caccio l’angoscia e inizio a sporcare questo lenzuolo, a scrivere tutto quello che mi passa per la testa. “Scrivi, maledetto. Che altro sai fare?” diceva Joyce. Ma per chi? Per me stesso o per il lettore. Io sono uscito allo scoperto. Che cosa volete? Che storia state cercando? Del resto per fare lo scrittore qualche copia dovrò pur venderla. Il vostro compito è seguirmi fino in fondo. Il mio è fare in modo che accada, creare la tanto amata aspettativa. Farvi entrare nel mio mondo e iniziare a spargere piccole briciole di pane, per mostrarvi la strada come Pollicino. Facciamo una passeggiata assieme, corriamo anche per brevi tratti. Pioggia, grandine, sole, freddo
8 e caldo si alterneranno, ma non mollate, non demordete. Seguite il bianconiglio. Lui tiene il tempo che scorre, veloce, inesorabile. Sono nel mood giusto? Sentite il mio respiro finché scrivo? Potete percepire il rumore dei polpastrelli sulla tastiera? Shhh. Concentratevi. Io sento il vostro respiro, vi vedo. Vi sto vivendo tutti, uno a uno. Che storia cercate? Ve lo ripeto e continuerò a chiedervelo fino alla fine. Perché la svolta è sempre dietro l’angolo, non solo alti e bassi. È una storia viva, in continua evoluzione. Rapide sterzate, pagine di bla bla bla, noia e ancora bla bla bla e ovvietà e bla bla bla e cazzate e falsità e di nuovo bla bla bla, pagine dense d’inchiostro, pagine avvincenti. Un gran casino, eh. Beh parlatemi voi della vostra vita. Parlate. Siamo soltanto noi. Voi e io. Io e voi per l’esattezza. Io dirigo il gioco, io batto sulla tastiera. Potrei pure riempire un intero capitolo di lettere senza senso, tipo sdfdsfjdsf lwefewrelic xc dsfiodsfidsfdmn ,cnxfsfoisvv,nv,mvdsifdsjf lsdisfjse lk fesm fdsidvlkdv ddkfdfj dfiefiem orpowreptr fgpfvvm,cb pretrek efbvfdg oribmcvnvci oewemfw eopbvcbjjirfjlvnsvnsiof. Vi darebbe fastidio? Alla lunga in effetti potrebbe stancare, lo riconosco. Il punto è che voi avete soltanto un’opzione: chiudere e fare altro. Io ne ho infinite. O quasi. Posso decidere cosa dirvi, cosa scrivere e cosa non scrivere. Se essere sincero con voi, se sbattervi in faccia la sacrosanta realtà delle cose che mi accadono, le
9 sensazioni, le ansie e le voglie che governano il mio corpo. Oppure fingere. Anche se le cose più divertenti sono le conseguenze delle mie azioni. Siamo macchine in fondo, schiave del nostro cervello. Io non vi conosco, e voi non conoscete me. Posso raccontarvi qualsiasi cosa, anche le più raccapriccianti. E io credo che voi stiate cercando questo. Il neo, il buio, l’oscurità in cui potervi addentrare sapendo di poter far ritorno quando ve la fate sotto. Il peccato. Tutti quei pensieri che passano per la vostra mente, più o meno frequentemente. Avete mai pensato come deve essere uccidere qualcuno? Non penso a corpi squartati, teste mozzate o centinaia di coltellate e schizzi di sangue sul volto. Penso a un livello più alto, spirituale. Penso al potere di togliere la vita a un altro essere umano. Il come è una vostra scelta. Guardatevi dentro. Che vibrazioni vi provoca? Pensateci. Immaginatelo soltanto. Ora immaginate di doverlo fare. Pensate a come farla franca, al fatto che nessuno vi scoprirà mai. Il vostro è un piano perfetto. Nessuna traccia, impronte digitali o DNA. Come vi sentite ora? In colpa? Sollevati? Eccitati. Dovete mantenere un contegno tutto il giorno e questa è una prova continua. Ogni vostra azione e pensiero vengono giudicati. Dovete apparire normali. Ma a chi la raccontate? Nessuno è normale, ognuno di noi ha qualcosa di cui vergognarsi, qualche angolo del carattere che cerca di sotterrare, di tenere nascosto. Ecco perché adoro stare
10 da solo. Nessuna pressione, nessun bisogno di far vedere che in realtà siamo meglio. Meglio di chi? Meglio di tutti gli altri, più interessanti, divertenti. I geni. I veri geni sono quelli che tirano fuori tutto. E più appariranno pazzi più faranno vibrare questo mondo. Pensate a Van Gogh, a Dalì. Dobbiamo aver voglia di uscire, di andare in vacanza, dobbiamo aver voglia di fare sesso ventiquattro ore al giorno sennò siamo strani. Ma chi ha voglia di scopare a tutte le ore del giorno? Uno alla volta. Andate a messa tutte le domeniche e poi cercate il peccato. Film di possessioni demoniache, serial killer spietati. Vi sentite sicuri, quando volete potete tornare indietro in qualsiasi momento. La magia del cinema e della scrittura sono qualcosa di inarrivabile. Ci si può spingere a livelli di inconscio, si possono fare dei viaggi incredibili. Ecco perché siete qui, con me. Siamo a tu per tu, io e voi. Il mio protagonista non vuole essere noioso, vuole incarnare i vostri sogni, i vostri desideri. Lui vive appieno la vita, quella che vorreste vivere voi, non si tira mai indietro e non conosce rinunce. Si tuffa a capofitto, non guarda l’altezza, se sotto ci sono scogli, se l’acqua è bassa. Si lascia andare. Cattivo, scorretto, e paga sempre a caro prezzo le proprie scelte sbagliate. Volete dolore e sofferenza ma senza provare dolore e sofferenza. Vi rattrista il male che colpisce gli altri, ma in fondo un po’ vi fa godere. Vi fa sentire vivi, vi dà un brivido.
11 Una scossa. Ma su questo non avete il controllo. Per questo c’è il proibito. Nulla è proibito. Svegliatevi, nulla di nulla. Potete vivere come volete, fare quello che volete. Tirate fuori le palle e abbiate il coraggio di accettare e mostrare al mondo ogni vostra perversa idea. Qui siamo solo noi. Io e te lettore. Confidati con me. Io lo sto facendo. Che cosa vuoi? Quid pro quo, lettore. Qui tutto è lecito. Nessuno giudica nessuno. Benvenuto nel mio mondo. Esci quando vuoi. Torna quando puoi. Divago.
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LONDON CALLING
Scorro la lista dei pezzi sull’Iphone. La strada da percorrere è breve. Mi fermo alla “C” di Clash, ovviamente. London Calling inizia a pompare dentro le cuffie col suo inconfondibile attacco. Alzo il volume senza accorgermi di essere già al massimo e inizio a canticchiare. Esco dall’aeroporto con piglio deciso, come se conoscessi Londra da sempre. Il sorriso disegnato sul volto maschera la malinconia di uno stronzo che scappa. Sto scappando, scappo da tutto e tutti. Voglio solo stare solo. Il mio umore rispecchia esattamente il cielo grigio, gonfio di pioggia che mi sta aspettando fuori da Heathrow. Londra mi dà il suo benvenuto così. Un vento forte gela le mani. Dopo diversi tentativi riesco ad accendermi una sigaretta. Aspiro. Qualche goccia comincia a cadere. Guardo il cielo, infinita distesa grigia e piatta. Un flash dell’ultimo incontro con Adele si materializza nitido e come un pugno allo stomaco alimenta ansia e tristezze. Mi ha lasciato così. Senza motivo. Triste
13 aspiro la mia sigaretta nube bianca che si disperde nell’aria, come un’idea come pensieri notturni, sogni. Dei quali al mattino non v’è traccia Due giorni dopo salgo su un aereo. L’aereo dal quale sono appena sceso. Londra. Ottobre non tarda a mostrarsi. Qui l’inverno arriva senza chiedere permesso, senza ultimi sprazzi d’estate. Il giorno prima una leggera brezza ti scosta i capelli dal volto. Il giorno dopo ti presenti da me col tuo giubbotto in pelle e metà viso nascosto dalla tua sciarpa colorata. Solo i tuoi occhi verdi rimangono fuori. Occhi enormi, che scrutano tutto, che memorizzano i dettagli, ricolmi d’amore, di gioia e voglia di vivere. Ebbene sì. L’amo ancora. L’amo come non mai. L’amo più di prima. A passo spedito mi dirigo verso la stazione metro più vicina. Scendo a Leicester Square, cuore di Londra, e mi perdo tra le vie di Soho. Entro in uno dei tanti pub e mi accomodo a un tavolino con una vetrata che dà sulla strada. Davanti a me un locale di spogliarelli dall’aspetto piuttosto trasandato. Una piccola serpentina colorata al neon mostra la scritta “Peep
14 Show”. Le due “e” di peep vanno a intermittenza, mentre la “w” di show è spenta. Turisti curiosi si alternano a gente di tutte le etnie, ragazzini curiosi e spacciatori che sputano a terra ogni tre passi. Noto il barista che mi fissa. L’aria un po’ scocciata di chi sta pensando “o ordini o te ne vai!”. Mi affretto ad accontentarlo. «Una birra. Una pinta» gli dico alzando il braccio come uno studente in attesa di avere il permesso di rispondere. Mi ributto in strada con lo sguardo. Ho assistito solo un paio di volte a un “Peep show” in vita mia, e devo dire che mi sono bastate. Lugubre stanze con una tendina che si attiva alzandosi ogni qualvolta si infila una moneta. Lo spettacolo offerto è piuttosto prevedibile. Ogni sorsata un pensiero. Ma i miei pensieri sono davvero molti. «Posso averne un’altra?» faccio vedere al barista il mio boccale vuoto. Non mi sono nemmeno accorto di averla seccata così velocemente. Lui appena nota il mio sguardo inizia a spinare birra. I clienti come me li riconosce subito. Non li giudica, ma li conosce. Si limita a riempire i loro boccali di speranze che svaniscono in fretta, e che lui prontamente rabbocca. Poggio subito il bicchiere colmo di birra ghiacciata sulle mie labbra. Le goccioline di condensa scendono fino a incontrare la mia mano, allo stesso ritmo delle gocce di pioggia che si infrangono sulla vetrata del pub. A pochi metri da me,
15 dall’altra parte della strada, c’è una donna seduta su uno sgabello. Due gambe mozzafiato, un décolleté generoso, il tutto racchiuso da un mini abito rosso acceso. La donna, sulla quarantina, si trova all’ingresso del nightclub. Il neon della scritta la illumina definendone la silhouette, mettendo in risalto il fisico atletico, ma anche le molte rughe sul volto, accentuate dal controluce. La fisso, studio ogni particolare, sicuro di essere invisibile per lei. È davvero una bella donna. Triste e malinconica. Sembra una vecchia bambola a carica. Lo sguardo fisso, perso nel vuoto, si illumina come una lampadina quando incrocia qualcuno, come quelle fotocellule che si attivano al passaggio. Scatta come una molla appena un potenziale cliente passa lì davanti e, petto in fuori, gli vomita addosso tutta la sua manfrina fatta di prestazioni, di donne bellissime e great experience. Non ne sono certo ma credo siano proprio queste le ultime parole uscite dalle sue gommose labbra rosso fuoco. Per un attimo la immagino completamente nuda. In effetti non serve molta fantasia. Voglio proprio immaginare di scoparmela, ma nulla. Non la visualizzo. La nostra mente è qualcosa di pazzesco. Nella mia vita ho immaginato di fare sesso con una lista infinita di donne. Belle, brutte, alte o basse, persino una suora una volta. Era giovane e carina e aveva un sorriso da perderci la testa.
16 Un piccolo sorriso amaro, simile a un ghigno, appare sul mio volto. Ma questa ammiccante signora mezza nuda è triste. È vuota. Il suo sguardo è spento, anche quando si attiva alla ricerca di clienti. Prova vergogna, vuole scappare. Scappare lontano. Mi sto forse guardando allo specchio? Mi concentro sul riflesso della vetrata. Inizia lentamente a calare la notte, la mia figura si delinea sempre di più.
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IL BAR DA LUCY
Lucy è sempre una garanzia. «Ehi Lucy. Fammi il cocktail più forte che hai!» esclama Daisy saltando su uno sgabello al bancone. «Per cosa beviamo, piccola? Brutta serata?» chiede Lucy. «Per chi beviamo, vorrai dire» corregge Daisy. «Mmh, ok. Per chi beviamo, piccola?» «Il mio ex. Quel maledetto si è scopato Samanta. La mia migliore amica. Ex migliore amica.» «Oh…» «Già. Volevo fargli una sorpresa. Adoro fargli le sorprese e so che anche lui le adora. Mi aveva persino dato le chiavi di casa sua. Beh, entro e lo trovo lì con quelle grosse chiappe che ballano attorno al suo cazzo. Sembrava che mi sorridesse il cazzo, finché infilzava quel tacchino gigante di Samanta. Lui non ha mai apprezzato i culi grossi. Mi ha sempre voluta secca. Secca, capisci? E allora sai che ho fatto?» «No, Daisy.» «Ho afferrato la carabina che teneva nel portaombrelli, ho preso la mira su quella faccia di cazzo e ho premuto il grilletto. Bang. La sua testa si è spappolata sul muro. Brandelli di
18 cervello si sono attaccati fino al soffitto. E quella troia ha pensato bene di scendere dal suo toro meccanico e scappare nuda fuori dall’appartamento, urlando come una dannata pazza. Non avresti fatto lo stesso? Nessun’altra donna può farsi il mio uomo. Così mi sono avvicinata. La sua erezione era ancora viva. Ho deciso di masturbarlo. Qualche fiotto di sperma misto a sangue ha iniziato a colare. Nessun’altra può far venire il mio uomo. Ed eccomi qui. Direi che ho un buon motivo per berci su.» «Tu sei una cazzo di schizzata, piccola mia» dice Lucy, allungandole il bicchiere pieno. La mano trema leggermente. Non riesce a capire se Daisy fa sul serio o meno. La biondina afferra il bicchiere e si attacca alla cannuccia. «Ecco. Questo mi ci voleva. Lucy sei sempre una garanzia. Posso fumare una sigaretta?» «Vai pure. Accomodati» le avvicina il posacenere. In quel momento il rumore delle sirene esplode fuori in strada. Ombre di poliziotti si materializzano alle finestre. Grosse sagome armate. Un paio di agenti spalancano la porta intimando a gran voce: «Che nessuno si muova!» «Ehi, come nei film!» esclama Daisy sorseggiando il drink e tirando una boccata alla sigaretta. Si volta leggermente seguendo l’intera scena con la coda dell’occhio. Quella biondina così minuta attira l’attenzione dei poliziotti.
19 «Capo, è lei. La descrizione combacia. Sul metro e sessanta, bionda ed esile. Canotta a righe e jeans chiari.» L’agente annuisce senza proferire parola. «Ferma lì puttana. Non ti muovere o ti facciamo fuori.» «Veramente la puttana è Samanta» ribatte inacidita Daisy. In tre si avvicinano cauti con la pistola puntata. «Metti le mani in vista. Hai combinato un gran bel casino, ragazza mia.» «Ok, ok. Agli ordini.» Daisy appoggia il bicchiere al bancone, sollevando le mani senza staccare le labbra dalla cannuccia. Le incrocia lentamente dietro la testa. L’agente si avvicina a passo lento. La ammanetta. «Presa.» «Sì ok. Posso almeno finire il mio drink? Finché mi leggete i diritti o fate tutte quelle cose burocratiche.» Chi diavolo sapeva che quel coglione teneva un fucile carico nel portaombrelli. «Ciao Lucy. Grazie. È sempre un piacere.»
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SOGNO
«Ho fatto un sogno la scorsa notte. Era strano, orribile. Ero un mostro. Eppure allo stesso tempo mi sentivo così bene, vivo. Mi sono svegliato con le lacrime agli occhi. Erano lacrime di gioia. Ero stranamente in pace con me stesso e sereno.» «Veniamo al sogno.» «Sì. Ricordo molto nero. Era notte. Una casa. Il pavimento in legno era caldo, lo sentivo sotto i miei piedi nudi. Riesco a ricordare perfettamente le venature del parquet. Ero nudo. Una giovane ragazza bellissima stava sdraiata sul suo letto. Sembrava morta.» «La ricordi? Riesci a descriverla?» «Non la ricordo. Ma era bella. Molto bella. Sapevo che ne ero attratto fisicamente. Lo sentivo. Lo sentivo chiaramente. D’un tratto ho avuto come un… un flashback. Un sogno nel sogno. Ero sopra di lei, le mie mani le stringevano il collo. Stringevano sempre di più. Lei urlava, ma dalla sua bocca non uscivano suoni. Eppure ricordo benissimo il ticchettio del mio orologio da polso. Stavo violentando questa ragazza senza motivo e mi piaceva. Le lacrime tiepide le scendevano lungo le guance fino all’estremità delle labbra, terminando la breve
21 corsa sui miei pollici, fissi sul collo di lei. Sono venuto nello stesso istante in cui lei se n’è andata. Il piacere estremo e la morte, unite. Avevo fatto l’amore, non era una violenza per me. Mi sentivo bene, vivo e tutto sembrava così reale.» «Non era un sogno. Quella che hai descritto è la realtà.» La dottoressa si toglie gli occhiali. Li posa sulla scrivania e si strofina il viso con entrambe le mani. Trema. Poi scrive: Onorevole giudice, Le scrivo riguardo al condannato, o meglio dal mio punto di vista, il paziente. I risultati tardano ad arrivare, necessito di ancora un po’ di tempo con l’assistito. Per quanto mi riguarda però, dopo innumerevoli colloqui, posso confermare senza ombra di dubbio la totale infermità mentale del ragazzo e Le chiedo di poter seguire il caso partendo con una cura sperimentale. Il soggetto è molto diverso da un comune paziente. Molto raramente capitano casi con un risvolto psicologico così singolare. È un po’ la base della psicoanalisi. Io, SuperIo ed Es. L’Es, cioè la sfera delle pulsioni sessuali e la violenza, ha preso il posto dell’Io, quello che dovrebbe arginare il conflitto tra una pulsione e la censura di essa. L’Io vive in un sogno. Ne sono fermamente convinta.
22 Grazie all’ipnosi ho compiuto un viaggio col paziente che dimostra come il suo Io sia intrappolato nei suoi sogni. Come se il suo lato oscuro, dove regnano l’odio, la violenza e ogni tipo di perversione, senza freni inibitori, sia uscito e abbia preso il posto di una persona, per così dire, normale. Per farla breve, quando il ragazzo sogna si comporta esattamente come tutti, e crede che quella sia la sua vera vita. Quando è sveglio non conosce limiti. La violenza prende il sopravvento e questo lo porta a macchiarsi di ogni tipo di atrocità. Il mio obiettivo è quello di riuscire, utilizzando l’ipnosi, a sostituire questi due mondi e capire cos’ha scatenato questo scambio. Il paziente, sotto ipnosi, il più delle volte non ha alcun ricordo di quello che ha fatto. Talvolta ricorda qualcosa, talvolta ricorda tutto nei minimi dettagli. Esattamente come se la realtà fosse un sogno. Per questo è fondamentale agire il prima possibile per Un rivolo di sangue sporca il foglio di carta, espandendosi a macchia d’olio. Gli occhi della dottoressa, grandi e bruni, sono sbarrati. Le guance vanno via via perdendo il loro colore naturale. È fredda. Lui la fissa immobile. Regge il tagliacarte, strofinandolo su e giù sulla pelle chiara di quella figura ormai senza vita. È uno spettacolo fissare un cadavere, uno spettacolo che capita raramente nella vita. Le mette una mano sul collo. I muscoli si
23 rilassano lentamente. Il corpo rilascia dei piccoli spasmi, dando l’impressione di essere ancora vivo. All’improvviso tre uomini entrano nello studio della dottoressa. Il tagliacarte scivola dalla mano e finisce a terra, con un suono metallico che riecheggia nella stanza. Uno urla disperato, gli altri due lo immobilizzano. Il primo a raggiungerlo gli sferra una ginocchiata su una gamba, facendogli perdere l’equilibrio. Il secondo arriva un istante dopo, con un pugno in pieno volto.
Mi risveglio in quel preciso istante. Mio Dio. Ero veramente io. Era vero. Era tutto vero. Il dolore era vero, la sofferenza era vera. La nausea e i conati di vomito alla vista di tutto quel sangue e del corpo esanime della dottoressa erano veri. Ero guarito. Ero forse guarito? Ero io? Svengo. Mi sveglio su una sedia, ammanettato mani e piedi. «Chiedo perdono» dico «chiedo perdono!» ripeto a voce più alta «perdono!» questa volta urlo. Inizio a piangere e pregare tra me e me. Prego che nessuno mi dica mai cos’ho fatto.
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CHE SBRONZA
«Lucy! Adesso io e te andiamo da me e scopiamo» dico senza nemmeno guardarla. Poi alzo lo sguardo sul baratro che porta dritto in mezzo alle sue grosse tette, compresse da una maglietta striminzita con scollo a “V”. Dal seno passo agli occhi scuri. «Ho un po’ di erba. Dopo aver scopato riempiamo la vasca e ce la fumiamo, facendo un bel bagno. Questo è il piano.» «Sembra un bel piano» risponde distratta, armeggiando col telefono. Ho bevuto più del solito questa sera. Forse troppo per fare tutti questi progetti. I margarita vanno giù che è un piacere quando sono con Lucy. Non mi è ancora chiaro se è perché mi diverte o per evitare di ascoltare le sue stronzate. Anche perché tutte le volte che usciamo finiamo per sbronzarci e i miei ricordi il mattino dopo sono sempre offuscati. Porto il bicchiere alla bocca per recuperare le ultime gocce di drink. «Ehi bello! Due shot e il conto, grazie! Leviamo le tende!» dico al barista. Siamo rimasti solo noi dentro il locale.
25 «Questi li offre la casa» due tequila si materializzano davanti ai miei occhi. Prendo il conto e ci infilo una banconota da cinquanta, porgendola al ragazzo dietro al banco. «Lucy, brindiamo!» le porgo il bicchiere appiccicaticcio. Lei lo afferra. Un cin, batte il bicchierino sul tavolo e fa sparire la tequila dritta giù per la gola. Imito il rito e vedo tornare il barista con gli spiccioli del resto. Li afferro e li infilo in tasca. L’idea di scopare mi ha fatto diventare duro l’uccello. Lo farei qui, seduta stante. Aiuto Lucy a infilare la giacca, la abbraccio da dietro e le stampo la mia erezione sul sedere, baciandole il collo nudo. «Come fai a essere già eccitato con tutto quello che hai bevuto?» mi chiede lei. Lucy è una bella donna. Non bellissima, ma piacente. Ha qui e lì un po’ di difettucci che però le danno un tocco particolare. Ci siamo conosciuti una sera in un locale. Lei era lì con le amiche. Io ero lì a bere. Si era fatta avanti lei, un po’ alticcia, spinta dalle stronzette sposate e terribilmente noiose che si portava dietro. Si vedeva lontano un miglio che lei era diversa da tutte loro. Beh, le ho offerto da bere, mi ha raccontato le sue disavventure con gli uomini e con il lavoro e quindi mi sono dileguato dopo averle chiesto il numero. Ci sono uscito sette volte prima di concludere. Non ho mai resistito a tanti incontri senza portarmi a letto una ragazza. «Sicuro di riuscire a guidare? Prendiamo un taxi?» suggerisce Lucy.
26 «Diamine! Ho guidato in condizioni peggiori» la tranquillizzo. Non è vero. Poche volte sono stato così sbronzo. Inizia a venirmi pure l’ansia per la paura di vomitarle addosso ancora prima di spogliarla. Lucy è una ragazza che tiene molto alla forma fisica. Fa molta palestra, ma ha quella cosa delle ossa grosse. Ha un bel sedere, sodo e compatto e niente cellulite. Un bel paio di tette e un viso tondo ma armonioso. È alta, il che la fa sembrare più magra, e tirata giù da gara è una gran bella figa. Gli occhi neri e la sua bocca dicono “sono una grandissima porca”. E non mentono. A parte qualche dosso a gran velocità e un paio di precedenze saltate non mi sono comportato così male, e ho portato i nostri culi a casa sani e salvi. «Questa è l’ultima volta che salgo in macchina con te quando sei ubriaco. Ho ancora un paio di sfizi da togliermi prima di morire.» «Se. Se» rispondo distratto, mentre armeggio con la serratura di casa. Entriamo. Lascio tutto sullo svuota tasche vicino alla porta. Guardo la mia faccia allo specchio mentre Lucy si toglie il soprabito. Comincio a realizzare che scopare in questo momento è un fottuto problema. Se gliela lecco vomito di sicuro, se la sbatto violentemente, probabilmente vomito. Che fare?
27 Non capisco un cazzo, sono completamente fatto. Inizio a spogliarmi e mi presento nudo davanti a lei che è comodamente seduta sul divano in salotto. «Dov’è finito il tuo uccello? Sì, quella cosa dura che premevi sul mio culo al bar?» Abbasso la testa e guardo quell’inutile appendice raggrinzita. Inizio a menarlo, ma per tutta risposta lui si ritrae di più. Non ne vuole sapere. «Vieni qui! Provo a succhiartelo! Ti avevo detto di non bere così tanto!» Mi avvicino come farebbe un bambino che va dalla madre a farsi sistemare il colletto del grembiule. Lo prende in bocca tutto, ingoiando anche le palle. Con una mano le scopro un seno che spunta fuori dalla maglietta, appoggiandosi caldo sul palmo della mia mano. Il vortice della sua lingua crea l’effetto sperato. Ci sa davvero fare. Ora non le sta più tutto in bocca. Il ragazzo cresce e cresce, a ogni pompata prende vigore. Le afferro la maglietta con entrambe le mani e la sfilo, liberando tutto il seno che, generoso, sprofonda tra le mie dita. Lucy inizia a guardarmi il cazzo in erezione, soddisfatta. Ma non appena smette di succhiare si ammoscia inesorabilmente. È diventata una sfida ormai. Si sputa su una mano e lo afferra deciso, cominciando ad andare su e giù ritmicamente. La sua lingua avvolge di saliva la cappella, fino a farla sparire tra le sue labbra carnose. Lo mena come una forsennata. Non molla un colpo ed è piacevole. Vorrei dirle che sto per venire ma
28 appena inizio a connettere, un colpo di tosse misto a soffocamento mi fa capire che è troppo tardi. Schizzi le finiscono fin sopra i capelli, a terra, sul tappeto e dritti in gola, ovviamente. Non appena si riprende, con voce roca mi dice: «Vai a fare in culo. Vuoi soffocarmi? È la seconda volta che provi a uccidermi nel giro di due ore.» La fisso per un secondo e le dico: «Vai a riempire la vasca che intanto tiro su una canna.» )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/
Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.