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ANTONIO BARRECA
PROFUMO DI ZAGARA
ZeroUnoUndici Edizioni
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PROFUMO DI ZAGARA Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-171-6 Copertina: immagine Shutterstock
Prima edizione Gennaio 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
IL SALTO DEL CAVALLO
5
Il nobile casato dei Bavastrelli era noto e rispettato in tutta la contrada. Gli sterminati uliveti, tramandati da generazione a generazione, si estendevano su gran parte della penisola mamertina, e la fertilità delle terre baciate dal prezioso sole siculo garantiva la produzione di un olio sopraffino che, come si vociferava, aveva in passato strappato gli sperticati elogi del re durante una visita nel sud del regno. Non meno pregiati i vitigni del podere; il solerte lavoro degli esperti mezzadri veniva ogni autunno premiato con abbondanti vendemmie, e a memoria d’uomo non si rievocava stagione in cui le enormi vasche del secolare palmento baronale non si fossero riempite di corposo mosto. Il vino della baronia, ricco di nerbo e fragranza, era stimato nella regione tanto da essere esportato fino a Palermo, dove ricchi esperti di enologia lo avevano definito “il moderno nettare degli dei”. Gli umili abitanti del borgo rurale si buscavano il pane quotidiano grazie ai rigogliosi appezzamenti del barone Vincenzo e, detto ciò, non bisognava stupirsi delle numerose riverenze a lui dedicate. I paesani gli erano particolarmente devoti, e almeno apertamente nessuno si permetteva di contraddirlo o criticarlo; chi è lo stolto che sputa nel piatto in cui mangia? Il barone dal suo canto, celebre per la personale austerità, non lesinava di ricompensare i meritevoli e punire al contempo chi batteva la fiacca. La disciplina, sosteneva fino allo sfinimento, era
6 la qualità fondamentale da garantire per poter proseguire a condurre con profitto il fondo sconfinato. Il vecchio e saggio mastro Ninai, il calzolaio del paese, soleva dire che “i soldi fanno soldi e i pitocchi fanno pitocchi!”; e come dargli torto? La corposa rendita del barone, ereditata dagli avi, quotidianamente lievitava grazie all’attento sfruttamento dei terreni e mirati investimenti alle colture. Con la ricchezza crebbe inevitabilmente pure l’influenza negli ambienti che contavano, tant’è che in più di una circostanza gli fu proposto di entrare in parlamento. Ma il nobile non esitò a declinare l’invito, sostenendo che preferiva di gran lunga badare ai propri affari godendosi il fresco profumo di zagara delle sue terre, piuttosto di doversi divincolare fra mille insidie e intrighi di palazzo nelle polverose vie della capitale. Di carattere cupo e taciturno, l’anziano barone portava conficcata nel petto una dolorosa spina. L’inesorabile scorrere del tempo non era sufficiente a lenire il dolore per la prematura scomparsa dell’amata moglie Assunta, spentasi di parto mentre dava alla luce la loro unica figlia. Solo la crescita della piccola Simonetta fornì all’austero padre quel briciolo di balsamo per sanare le ferite del cuore. La fanciulla anno dopo anno divenne sempre più bella, attirando su di sé tutti gli sguardi dei ragazzini del borgo. Era una profumata rosa che sotto l’impulso della primavera sbocciava prepotentemente, mostrando l’incantevole fascino dei suoi vellutati petali. Il barone, dopo aver rispettato il periodo di lutto, convolò nuovamente a nozze con la giovane e bella Giulia, primogenita dell’avvocato Nanni Amato, uomo dal florido passato ma disastroso presente contraddistinto da celati scandali e ingenti debiti.
7 I paesani arricciavano il naso discutendo di quelle nozze: non solo Giulia era un ventennio più giovane del marito, ma aveva la fama di un’abile arrampicatrice sociale che del barone amava il conto in banca, mentre dei coetanei apprezzava la virilità. Mai fidarsi delle malelingue del volgo; tuttavia spesso è l’invidia ad alimentarle, altre volte la verità. Il barone non pretendeva in fondo l’amore della giovane coniuge, gli bastava una presenza femminile tra le mura domestiche che potesse in parte colmare la mancanza di una figura materna per la giovane figlia. Purtroppo il seme delle buone intenzioni non sempre dà i frutti sperati: la gioviale indole di Simonetta andava a cozzare contro l’astiosa intransigenza della giovane matrigna, alimentando il rancore nei suoi confronti. La graziosa baronessa non accettava la presenza di quell’antipatica donna che a suo avviso offendeva la memoria della povera madre, al contempo Giulia vedeva in Simonetta un potenziale ostacolo ai suoi calcoli; ciò rendeva palesemente ostile il rapporto fra quelle due personalità e le ripetute dispute amareggiavano Vincenzo. A tal proposito il già citato mastro Ninai, se interrogato sull’argomento, avrebbe categoricamente bocciato la scelta coniugale del barone con successivo scotto pagato, dicendo che “chi dell’asino ne fa un mulo, il primo calcio subìto è il suo”. *** Gli intensi raggi del sole di maggio, filtrando attraverso l’ampia vetrata, irradiavano nel salone una luce piacevole accompagnata dal tepore tipico della stagione.
8 Immobile sulla poltrona posta al centro dell’accogliente ambiente, Giulia rimaneva immersa nella sua lettura, quasi incurante dello splendido scorcio naturale visibile dalle grandi finestre. L’arrivo del marito la indusse a distogliere momentaneamente lo sguardo dalle pagine del libro. «Ben tornato Vincenzo.» «Buona giornata anche a te Giulia.» «Andato bene il vostro sopralluogo sui campi?» «Tutto procede senza intoppi. Tu piuttosto cosa ci fai asserragliata fra queste quattro mura? Oggi c’è una giornata splendida, ti consiglio di prendere una boccata d’aria all’aperto.» «Magari più tardi, sapete benissimo che in questi periodi l’allergia al polline mi dà noie e preferisco evitare l’eccessiva esposizione.» Dopo essersi accomodato sul divanetto e servitosi di una fresca limonata, precedentemente preparata per l’occorrenza dalla servitù, il barone riprese: «Vedrò di parlare con il medico affinché ti prescriva qualche cura. È un tipo in gamba e riuscirà a risolvere il tuo problema.» La moglie abbozzò un lieve sorriso per risposta e si rituffò nella sua lettura. «A proposito di don Nicola, non doveva esserci qui suo figlio per incontrare Simonetta?» riprese il barone. «Dovrebbe arrivare a momenti suppongo.» «Ma lei dov’è? È chiusa in camera?» Giulia tornò nuovamente a fissare il marito, celando un’impercettibile smorfia di disappunto. «È uscita per la sua cavalcata quotidiana. Ha lasciato detto che, visto la splendida giornata, faceva un giro nella zona del promontorio.»
9 «Manca da tanto?» «Da circa un’ora. Secondo il mio giudizio non dovreste permetterle di andare da sola in quelle zone, potrebbe essere pericoloso.» «Figurati! Simonetta è una cavallerizza provetta e sa quello che fa. Mi sentirei in colpa se la privassi di fare ciò che più la rende felice.» «Siete voi il padre, non posso intromettermi nelle vostre scelte. Comunque ritengo che una ragazza della sua estrazione sociale dovrebbe desistere da certe abitudini tipiche dei popolani.» «Non sei troppo severa nei suoi confronti cara?» «Sapete come la penso in proposito!» rispose con sguardo di ghiaccio la donna. «Non vedo nulla di male ad alleggerire i pensieri con una passeggiata a cavallo.» «Punti di vista! Comunque non sta bene fare aspettare il fidanzato che viene a farle visita.» «Non accadrà, son certo rientrerà in tempo.» «Basta che non faccia come ieri. Quel povero ragazzo è rimasto impalato due ore ad attendere il suo ritorno, per poi ricevere una fredda accoglienza.» Cogliendo il velenoso sarcasmo dalle parole della moglie, il barone perse parzialmente la calma. «Cosa vorresti insinuare?» «Non insinuo nulla, posso solo esprimere la mia opinione rispetto a ciò che noto.» «E quale sarebbe la tua opinione?» «Che Simonetta non accetta il suo fidanzamento e non fa nulla per non darlo a vedere.»
10 «Idiozie!» esclamò piccato il barone «non ci sono ragioni che possano giustificare una eventuale insoddisfazione da parte sua; Angelino è un bravo ragazzo e pure di buona famiglia.» «Sarà… ma io rimango convinta della mia idea!» L’anziano nobile si accese la pipa per cercare di distendere i nervi, alterati dalla piega presa dalla discussione. «Ti sbagli e i fatti mi daranno ragione. Tu piuttosto la devi piantare di schierarti sempre contro di lei.» «Mi fate torto se pensate che io abbia pregiudizi nei suoi confronti.» «Dovreste cercare di capirvi e finirla di essere come il cane col gatto.» «Non è di certo colpa mia!» «Non mi interessa di chi sia la colpa! Esigo che in questa casa torni l’armonia. In quanto al fidanzamento con Angelino, anche se dovesse nutrire dubbi, Simonetta dovrà convincersi che è l’uomo adatto per lei. Tu piuttosto tieni per te i tuoi sospetti, non vorrei che le voci arrivassero alle orecchie di don Nicola portando il disonore sulla mia famiglia. Fino a prova contraria sono io che comando e non accetto che si trasgredisca ai miei ordini!» «Non vi scaldate, terrò la bocca chiusa come un pesce.» «Bene se non c’è altro vado a darmi una rinfrescata, chiamami quando arriva Angelino. Attenderò con lui il ritorno di mia figlia.» Il barone lasciò il salotto senza proferire più parola mentre Giulia, cupa in volto, chiuse con stizza il volume che aveva soppesato in mano. *** Una lieve brezza di ponente baciava il viso di Simonetta lanciata al galoppo lungo la pista che conduceva alla baia.
11 Arrestando la corsa dell’animale, la fanciulla si smarrì nei suoi pensieri fissando lo splendido scenario che si mostrava ai suoi occhi; il mare calmo sfoggiava il suo inconfondibile color turchino, il cielo limpido e privo di nubi accoglieva il volo sconfinato di stormi di gabbiani mentre all’orizzonte si disegnavano nitide le sagome delle Eolie. Simonetta socchiuse momentaneamente gli occhi respirando a pieni polmoni la fresca aria salmastra; la campagna, sotto il magico influsso della primavera, si presentava come un variopinto mosaico dalle mille fragranze, farfalle dalle ali sgargianti sorvolavano con leggiadria i vermigli papaveri disseminati a chiazze lungo i margini della pista in terra battuta. La giovane baronessa aveva imparato ad andare a cavallo fin dalla tenera età. Nulla come una cavalcata all’aperto in mezzo alla natura riusciva a estasiare i suoi sensi. Percorrere i polverosi sentieri della baronia con il vento in faccia e le ali nei garretti, la faceva sentire libera e non avrebbe scambiato una simile libertà nemmeno con tutte le ricchezze del pianeta. Dopo aver fatto rifiatare la cavalcatura, si decise a riprendere il tragitto verso casa per non destare preoccupazioni al padre visto il parziale ritardo. Un velo di mestizia oscurò il suo sguardo; al palazzo avrebbe incontrato Angelino e ciò di certo non la riempiva di giubilo. Ma come confessare al padre i reali sentimenti e convincerlo a sciogliere l’infelice fidanzamento? Conoscendolo sarebbe andato su tutte le furie e non avrebbe sentito ragioni. D’altronde è proverbiale quanto sia inutile fischiare agli asini se non hanno intenzione di bere, in par modo ogni eventuale protesta della
12 fanciulla era destinata a infrangersi contro l’arcigna intransigenza paterna. Assorta nei suoi tristi pensieri, la fanciulla non si avvide della fuoriuscita dai rovi di una lunga e affusolata serpe nera. Il cavallo, percependo l’inattesa minaccia, s’imbizzarrì impennandosi di colpo. «Che ti prende Zenia!» urlò preoccupata Simonetta facendo notevoli sforzi per calmare l’animale ed evitare di essere disarcionata. Con molta esperienza la baronessa riuscì seppur a fatica a rimanere in sella, ma la puledra terrorizzata si lanciò in una folle corsa sfuggendo dal controllo delle redini, uscendo dalla pista battuta e puntando pericolosamente alla scoscesa scarpata. Simonetta, incapace di tener testa alla cavalcatura, fu colta dal panico all’idea di sfracellarsi fra le rocce, e ciò sarebbe di certo accaduto se nel frattempo un giovane contadino, accortosi del pericolo, non avesse spronato il suo stallone per correrle in aiuto. Con tempestività e prontezza di spirito, il soccorritore si affiancò alla giovane e prese al volo le redini del cavallo lanciato nella folle corsa. Facendo appello sui suoi sviluppati bicipiti, riuscì con una ferrea sferzata a frenare la corsa della puledra e riportarla sulla pista, dove la indusse a fermarsi. «Grazie, vi devo la vita!» esclamò accorata Simonetta, risollevata dallo scampato pericolo. Il ragazzo la fissò negli occhi, quasi incantato da tanto fascino, e in primis tardò ad articolare risposta. «Di nulla!» replicò infine, arrossendo lievemente in viso «chiunque al posto mio sarebbe accorso in soccorso di una bella ragazza in difficoltà.» La baronessa, lusingata dal complimento, abbassò timidamente lo sguardo.
13 «Chi siete?» chiese per nascondere l’imbarazzo «mi pare di non avervi mai visto da queste parti.» «Mi chiamo Rosario Picciolo, ma tutti mi chiamano Saruzzo.» «Picciolo avete detto?» «Sì, sono il figlio di Ture Picciolo il campiere.» I sguardi dei due giovani s’incrociarono a lungo, senza che l’imbarazzante silenzio creatosi venisse violato. «Non sapevo che mastro Ture avesse un figlio della vostra età!» «Son rientrato solo ieri dal servizio di leva e mancavo da tre anni. Ma dammi del tu, non sono abituato a sentirmi parlare così! Tu piuttosto come ti chiami?» «Simonetta… Simonetta Bavastrelli.» All’udire quel nome, il giovane ebbe un sussulto: «Bavastrelli la figlia del barone?» «In persona!» «Siamo pari allora!» esclamò sorridendo Saruzzo. «In che senso?» «Neanch’io ero al corrente che il barone avesse una graziosa figliola come te!» All’ennesimo complimento Simonetta sorrise arrossendo mentre il ragazzo non riusciva a distogliere il suo sguardo da lei. Man mano che l’iniziale imbarazzo andava allentandosi, Simonetta si accorse di quanto fosse simpatico, oltre che affascinante, il suo provvidenziale soccorritore. Saruzzo dal suo canto, stregato dalla bellezza della sua interlocutrice, a fatica domava l’istinto di abbracciarla e stringerla al petto. «Non dovresti condurre l’animale lungo questi tortuosi sentieri, è estremamente pericoloso!» «Non rinuncerei allo spettacolare panorama che si gode da quassù nemmeno per tutto l’oro del mondo!»
14 «Sono perfettamente d’accordo con te! C’è una vista stupenda da qui!» I due ragazzi fissarono l’orizzonte infuocato dai primi vermigli bagliori del tramonto. I cuori palpitavano violentemente dall’emozione; i minuti scorrevano lenti ed entrambi avrebbero barattato ciò che avevano di più prezioso pur di poter protrarre in eterno quegli splendidi attimi. «Adesso devo andare, non vorrei che mio padre si preoccupasse oltremodo per il mio ritardo!» «Peccato!» esclamò con sincerità Saruzzo fissando la baronessa negli occhi e avvicinandosi per baciarla. Simonetta si ritrasse imbarazzata, sebbene una forza misteriosa straripante dal suo cuore le suggerisse di non opporsi. «Mi ha fatto molto piacere conoscerti, spero di rivederti presto!» «Anche a me ha fatto piacere!» replicò sottovoce la fanciulla montando in sella. «Domani alla stessa ora sarò qui a fare la mia passeggiata, ci sarai anche tu?» «Vedremo!» rispose laconicamente la baronessa in preda alla confusione. Dopo essersi scambiati un cenno di saluto, Simonetta s’incamminò verso casa. Percorsi solo pochi metri, la fanciulla si voltò e scorse la figura immobile di Saruzzo che in piedi non la perdeva un istante di vista. L’indomani sullo stesso promontorio, il cuore del giovane contadino si colmò di gioia nel rivedere l’amata raggiungerlo all’appuntamento. Da allora non passò pomeriggio in cui i due giovani non si ritrovassero per ammirare il panorama e
15 scambiarsi effusioni, prostrandosi inconsapevolmente al cospetto del dorato altare dell’amore. *** Saruzzo non aveva ancora finito di strigliare il cavallo dopo la lunga cavalcata, quando fu raggiunto all’interno della stalla dal padre. «Dove sei stato figliolo?» «Ah siete voi padre?» rispose il giovane voltandosi «non vi avevo sentito arrivare e mi avete fatto prendere uno spavento.» Mastro Ture, accigliato, non accennò nemmeno un sorriso. «Ti ho cercato tutto il pomeriggio, si può sapere dove diavolo ti eri cacciato?» «Ho fatto un giro a cavallo al promontorio.» «Dimmi la verità figliolo, mi nascondi qualcosa?» Saruzzo fissò dritto negli occhi il padre e capì che non era il caso di farlo ulteriormente adirare. «Cosa dovrei nascondervi? Spiegatevi meglio.» «Ti incontri con qualcuna vero?» «Non vedo cosa ci sia di male! Nelle mie poche ore libere non devo dare spiegazioni sui miei movimenti.» «Non è questo il punto!» «Siate chiaro padre, dove volete arrivare?» Il campiere, masticando amaro, cercò di riprendere il controllo dei suoi nervi. «Ti hanno visto in compagnia della figlia del barone.» Saruzzo per celare l’enorme sorpresa volse le spalle al padre e riprese a strigliare il cavallo. «Sto parlando con te! Cosa c’è di vero in questa storia?»
16 «Chi ve lo ha detto?» «Non ha importanza!» «Ditemelo padre, lo voglio sapere!» «Peppino Aloi. Di ritorno dalla sua battuta di pesca, vi ha visti insieme sulla spiaggia.» «Da quando in qua credete alle parole di quell’ubriacone?» «Falla corta figliolo, non ti permetterò di prendermi per il naso!» urlò mastro Ture innervosito dall’atteggiamento elusivo del figlio «Peppino non era affatto ubriaco, visto che non tocca bottiglia da quando il medico gli ha proibito di bere per il suo fegato malconcio. Non ho motivo per non credergli!» «Figuriamoci se non beve più quell’impiastro. L’asino che mangia i fogli di fico perde il vizio solo quando muore!» sbottò sarcasticamente il giovane. «Piantala di dire fesserie figliolo, non sono affatto in vena di scherzare; è vero o no che hai una tresca con la giovane baronessa?» Vistosi ormai smascherato, Saruzzo reputò inutile tergiversare: «È vero padre! La amo più di ogni altra cosa al mondo e anche lei mi ama!» Sbiancato in viso, il campiere si lasciò scappare un’imprecazione. «Cosa hai al posto del cervello? È una follia!» «Perché dite questo padre? Visto che anche Simonetta ricambia i miei sentimenti, non ci vedo nulla di male se ci frequentiamo.» «È la figlia del padrone, per tutti i diavoli! Se il barone lo viene a scoprire, come minimo ti riempie di frustate e ti getta in pasto ai suoi cani!» Stringendo i pugni per la rabbia, Saruzzo replicò: «Che ci provi! Simonetta mi ama e non saranno i soprusi di suo padre a portarla via da me!»
17 «Cerca di ragionare figliolo! Forse in continente dove hai fatto il militare le cose vanno diversamente, ma qui un padrone non potrà mai permettere che sua figlia venga corteggiata da gente del nostro ceto sociale.» «Ma è una monumentale ingiustizia!» «Chiamala come ti pare, ma da che mondo è mondo le cose vanno così!» Consapevole che in fondo il padre aveva ragione, il giovane si lasciò cadere amareggiato sulla vicina panca. «Ormai sei grande e certe cose devi essere in grado di comprenderle Saruzzo! Cerca di fartene una ragione e fai in modo di non rivederla più. Il paese è pieno di donne disposte a correrti dietro, ma la baronessa lasciala stare. Continuare a farle il filo ti porterà solo guai, senti a me!» «Non ce la faccio padre, la amo troppo!» replicò con le lacrime agli occhi il ragazzo. «Ascoltami, che sono più grande di te! Stalle alla larga e un giorno mi ringrazierai per il mio consiglio.» Accarezzando amorevolmente la spalla del figlio, mastro Ture con tono pacato riprese: «Ora finisci di occuparti dell’animale e raggiungici in cucina, quella brava donna di tua madre ha già preparato la cena.» Senza dire altro il campiere uscì dalla stalla lasciando solo il figlio con la sua ridda di confusi pensieri. «Non posso dimenticare Simonetta! Che ci provi quella bestia arricchita a portarmela via!» pensò ad alta voce Saruzzo, gettando violentemente in terra lo spazzolone. ***
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«Cos’hai amore? Mi sembri strano!» Saruzzo interrompendo le sue riflessioni, rispose distrattamente con sguardo assente: «Nulla di cui tu ti debba preoccupare Simonetta!» «Non cercare d’ingannarmi. È successo qualcosa?» Il ragazzo, consapevole che fosse inutile nasconderle la verità, decise di confidare le sue preoccupazioni. «Mio padre ha scoperto che ci frequentiamo e mi ha esortato a non incontrarti più!» «Perché dovresti?» chiese stupita e alquanto amareggiata la fanciulla. «Teme che possa andare incontro a grandi problemi essendo tu la figlia del padrone.» «Ma è inaudito! Io ti amo veramente e non m’importa nulla delle tue origini umili!» «Il barone però la pensa allo stesso modo?» «Che c’entra mio padre?» «Ostacolerà a tutti costi il nostro rapporto.» «Ma non ci riuscirà stanne certo!» «Ne sei proprio sicura?» Simonetta inquieta non rispose, fissando dritto negli occhi l’innamorato. «Cosa mi vuoi dire Saruzzo? Mi vuoi lasciare?» «Non dirlo nemmeno per scherzo amore!» esclamò accoratamente il giovane accarezzandole le soffici chiome «pur di non perderti sarei disposto a raggiungere Lipari a nuoto!» «Ma allora perché mi fai questi discorsi? Mi metti paura.»
19 «Non aver paura, non ti lascerò mai. Scusami, è stato solo un attimo di debolezza. Qualunque cosa possa pensare tuo padre, dovrà rassegnarsi all’idea che ci amiamo.» «Stanne certo.» I due giovani innamorati si unirono in un lungo e appassionato bacio. L’infuocato sole estivo si specchiava nelle limpide acque della baia, accecando con i suoi intensi riflessi. Sporadici cirri correvano verso l’orizzonte assumendo l’aspetto di filiformi pennellate sulla tela azzurrina del cielo, mentre gli striduli garriti dei gabbiani si sovrapponevano ai fragori della sottostante risacca. Stregata dal potente sortilegio di cupido, la coppia non diede peso ai ripetuti nitriti dei cavalli, innervositi dalla presenza di qualcuno nei paraggi. In effetti proprio in quel momento, sul sentiero soprastante alla scogliera in cui i giovani si scambiavano le loro dolci effusioni, si aggirava silenzioso Liberto, lo stalliere del barone. L’uomo, trovatosi fortuitamente in quelle zone per la raccolta dei fichi d’india, alla vista della coppietta si celò dietro a un ulivo per non essere scorto. Un ghigno malvagio apparve sul suo viso. “Guarda la baronessa come si trastulla a cornificare quel minchione del figlio del medico!” pensò sorridendo. Non volendo minimamente farsi scoprire, l’infido stalliere tornò sui suoi passi senza rivelare la sua presenza. Liberto, conosciuto dalla gente del paese col nomignolo di “u fimminaru” per via della sua grande capacità di sedurre il gentil sesso, alimentava da tempo i pettegolezzi per via della sua presunta relazione con la consorte del padrone.
20 “La lingua non ha ossa ma rompe le ossa!” ripeteva spesso mastro Ninai per descrivere di quanto il peso del chiacchiericcio paesano gravasse sui diretti interessati. Tuttavia, considerata la notevole esplosività della notizia e trattandosi del barone, nessuno osava spettegolare a voce alta temendo che il nobile potesse annusare la verità. «Statemi a sentire!» non aveva timore di dire il calzolaio in mezzo al crocchio in piazza «il barone fa la parte del cornuto felice e contento! Considerata la grande differenza d’età con la moglie, non è più in grado di spegnere i naturali bollori di una così bella femmina, e per la quiete della casa accetta che quel marcantonio di Liberto occupi il suo posto nel letto.» Se il barone Vincenzo fosse realmente al corrente dell’infedeltà di Giulia, non lo sapremo mai. Non sussiste dubbio invece su ciò che fece lo stalliere una volta spiata la giovane coppia: corse senza perdere un istante al palazzo, per informare l’amante della sua inattesa scoperta. *** Un perfido sorriso apparve sul viso di Giulia all’apprendere della notizia. Con la tipica espressione del gatto che stringe con la zampa la coda del malcapitato topolino catturato, la donna rifletteva su come poter usare a proprio vantaggio il segreto della detestata figliastra. «Dove li hai visti i due piccioncini?» «Nei pressi del promontorio del Tono.» «Si sono accorti della tua presenza?» «Assolutamente no! Erano troppo presi dalle loro effusioni per accorgersi di me.»
21 Riflettendo in silenzio, Giulia per alcuni minuti non prestò la sua attenzione all’amante. «Ti vedo pensierosa cara, cosa ti preoccupa?» «Non sono affatto preoccupata Liberto, anzi la notizia che mi hai portato mi riempie di giubilo.» «È dunque così importante sapere che quella piccola smorfiosa cornifichi quell’idiota del suo fidanzato?» «Certamente! Non credi?» «Bah, non vedo cosa possa cambiarci!» Accarezzando le lunghe chiome del perplesso stalliere, Giulia riprese sorridendo: «Non ti scervellare Liberto, fidati quando ti dico che è estremamente vantaggioso che mio marito apprenda le scriteriate azioni di quella sgualdrina. Una prova tangibile che conferma le mie teorie e che spero contribuisca a mostrargliela sotto una cattiva luce.» «Hai deciso allora di dirgli tutto?» «Fossi matta! Vincenzo non mi crederebbe, conoscendo la mia avversione verso la figlia, inoltre dovrei fornirgli spiegazioni in merito al modo in cui sono venuta al corrente della faccenda e non mi sembra proprio il caso!» «Lo credo bene! Come conti di fare allora?» «Mi servirà il tuo aiuto per compiere il piano che ho in mente!» Liberto sorpreso fissò l’amante con espressione accigliata: «Vuoi che lo dica io al padrone?» «Non intendevo questo!» «Ma allora…» «Non essere precipitoso e lasciami finire di spiegare!» Lo stalliere si adagiò confuso alla parete. Fissando l’interlocutrice, sperò vivamente che gli venissero fornite
22 spiegazioni utili a diradare la fitta nebbia aleggiante nella sua mente. D’altronde in paese era diffusa la corrente di pensiero che il suo acume intellettivo fosse inversamente proporzionale all’avvenenza fisica tanto cara alla donne, e di certo in ogni situazione in cui bisognava usare il cervello non si dava tanto da fare per smentire tale fama. «Dobbiamo fare in modo che la notizia arrivi alle orecchie di mio marito, ma non tramite le nostre labbra.» «Mica facile!» «Te lo dico io come faremo.» Giulia si affacciò all’ampia finestra, intenta a rielaborare il suo piano, dando le spalle all’amante. «Porta all’osteria quello scansafatiche di Alessi Russo e offrigli da bere. Tra un bicchiere e l’altro spifferagli tutto. Vedrai che la prima cosa che farà tornando a casa, sarà quella di rendere partecipe del pettegolezzo quella lingua lunga di sua moglie.» «Dio ci liberi da quella pettegola di donna Inuzza, quando apre la bocca è più efficace di un gazzettino ufficiale!» «Appunto, nel volgere di una mezza giornata tutto il paese sarà al corrente della scappatella di Simonetta e vuoi e non vuoi, la cosa arriverà all’orecchio di Vincenzo che è sempre attento a captare gli umori dei paesani per la gestione dei suoi affari.» «Ottima idea cara!» esclamò sorridente lo stalliere, certo della riuscita del piano. «Ora vai, non vorrei che rientrasse mio marito e ti trovasse qui.» «Vado a intercettare quell’idiota di Alessi e accendere la miccia. Quando posso rivederti? Ho una gran voglia di stringerti fra le mie braccia amore!» «Abbi pazienza Liberto. Ho già avvisato Vincenzo che domani nel primo pomeriggio farò una capatina in paese con la scusa di
23 alcune compere. Ci vedremo al solito posto. Fai comunque modo di non attirarti sguardi indiscreti.» «Sarò invisibile come un fantasma! Non vedo l’ora che giunga domani!» I due amanti si congiunsero in un furtivo bacio, per poi lasciarsi alcuni minuti dopo. Al suo rientro il barone trovò la moglie intenta nella consueta lettura pomeridiana, senza lontanamente immaginare tutte le macchinazioni ordite a sua insaputa, nella medesima camera che in quel momento si presentava ai suoi occhi come un pacifico ritratto della serenità familiare. *** Il chiacchiericcio della gente è incontenibile come un tumultuoso fiume in piena. E come il corso di un fiume, via via che scorre verso il mare s’ingrossa portando con sé sterpi e detriti. Infatti passando di bocca in bocca le notizie si arricchiscono di particolari inediti che tendono a ingigantirle amplificandone la ridondanza e allontanandole sempre di più dalla verità. Come auspicato da Giulia, nell’arco di poche ore non vi era crocchio in paese in cui non si parlasse della tresca fra Saruzzo e la figlia del barone. Più la notizia creava scalpore e più si diffondeva fra i paesani caricandosi man mano di dettagli piccanti e presunti segreti scabrosi. Qualcuno dei soliti “buoni informati” arrivò persino ad affermare che la fanciulla fosse già stata ingravidata. «Così sono stati beccati in fragrante da Liberto?» chiedeva incuriosito mastro Ninai ad Alessi mentre inchiodava le suole dei suoi scarponi.
24 «Infatti, me lo ha proprio confidato pocanzi lo stesso stalliere all’osteria!» asseriva l’interlocutore, fiero di essere stato uno dei primi a conoscenza dello scandalo. «Il bue che dice cornuto all’asino!» «Cosa intendete mastro Ninai?» «Che quel marcantonio di Liberto farebbe bene a guardare le sue marachelle piuttosto che gettare fango sul prossimo. Se il barone decidesse di non sorvolare più sul tradimento della moglie, “u fimminaru” si troverebbe in mezzo alla strada dopo aver ricevuto una massiccia dose di scudisciate!» esclamò il calzolaio centrando con la saliva la vicina sputacchiera. «Quella è un’altra storia! Comunque non credo che nei riguardi di Saruzzo la lezione del padrone sarebbe più leggera!» «Lo credo anch’io.» «Non vorrei essere nei panni di mastro Ture quando il barone scoprirà il fattaccio!» «Non è detto che il campiere subisca ritorsioni. Considerata la stima nei suoi confronti, il padrone potrebbe semplicemente esortarlo a far ragionare il figlio. Sta di fatto che quei ragazzi senza rendersene conto hanno scatenato un vero vespaio.» «Immagino la reazione di don Nicola all’apprendere che suo figlio è stato fatto becco; getterà il fuoco dalle narici!» «Appianeranno tutto, vedrai. Ci andrà di mezzo qualche urlo, qualche lacrima e poi tutto tornerà al suo posto. Solo alla morte non c’è rimedio, figurati se non si aggiusta un piccolo capriccio di gioventù davanti all’occhio sociale per la gente con i denari. I signori riescono a mettere a tacere al comando pure i clamori!» Di colloqui simili se ne fecero a bizzeffe in paese nei giorni seguenti; la notizia della relazione proibita fra i due innamorati, passando di bocca in bocca, sarebbe sfuggita solo ai sordi e purtroppo il barone non annoverava fra i suoi difetti l’ipoacusia.
25 *** Appena messo piede all’interno del salone di Tindarello il barbiere, il barone si accorse subito che qualcosa bolliva in pentola. All’ingresso del nobile, Pippo il sacrestano e Alfio Cuzzupè troncarono in modo sospetto i loro discorsi. Cercando di non dar nell’occhio, si prodigarono in affettuosi saluti verso il nuovo arrivato, ma il barone conoscendo i soggetti capì subito che i pettegolezzi in corso lo riguardavano. Il sacrestano, appena servito, tolse frettolosamente il disturbo mentre Alfio, cedendo riverenzialmente il suo turno al signore, colse l’occasione di fare nell’attesa una capatina all’emporio. «Illustre barone accomodatevi!» si premurò a dire Tindarello dopo aver frettolosamente spazzolato la sedia dai residui del taglio precedente. Il nobile pensieroso si sedette, guardandosi allo specchio con occhio spento. «In cosa vi servo signore?» «Ho bisogno di una spuntata ai mustacchi!» «Sarete pronto in un baleno!» Mentre il sorridente barbiere armeggiava con le forbici, il cliente colse l’occasione per fargli sciogliere la lingua sull’argomento che gli premeva conoscere. «Cosa avevano di confabulare con tale animosità Pippo e Alfio?» «Niente di che, i soliti discorsi fra paesani.» «Tindarello, ti conosco troppo bene per crederti. Dimmi cosa avevano da dirsi con tanto interesse, e soprattutto perché hanno troncato le chiacchiere una volta vistomi.» Il barbiere perplesso interruppe momentaneamente il suo lavoro.
26 «Non temere di dirmi la verità! C’è qualcosa che devo sapere, vero?» «Non so se è il caso signore!» «Diamine Tindarello non farmi perdere la pazienza! È evidente che i pettegolezzi di quei due perdigiorno mi riguardassero e voglio assolutamente essere messo al corrente di ciò che si dice di me in paese.» «Sapete signore, spesso le cose vengono travisate e da niente il popolo costruisce una commedia!» «Finiscila con i giri di parole e vieni al sodo!» Consapevole di non poter più esimersi dal dire la verità, Tindarello riprese il suo lavoro per non incrociare nello specchio lo sguardo del nobile. «Conoscete Saruzzo, il figlio di mastro Ture?» «Certamente! Accogliendo le suppliche del padre, l’ho assoldato ai miei ordini appena tornato dal servizio di leva. Perché me lo chiedi?» «Sia ben chiaro, quello che si dice in paese non sono certo corrispondi alla verità…» «Taglia corto ti prego!» «Hanno visto Saruzzo e vostra figlia Simonetta insieme al promontorio del Tono!» Il barone ebbe un sussulto. «Cosa diavolo vai farfugliando?» «Non prendetevela con me signore! Vi sto solo informando di ciò che ho sentito dire in giro.» «Chi l’ha visti?» «Questo non so dirvelo, comunque sembra che più di una persona li abbia visti incontrare.» L’anziano nobile, scuro in volto, ammutolì in preda ai suoi turbinosi pensieri.
27 Tindarello notando la cupa espressione del barone non si permise di aggiungere altro, temendo di adirarlo oltremodo. «Eccovi servito signore!» avvisò il figaro una volta finito il lavoro, sventolando ai bordi della sedia la tovaglia. Il barone si alzò di scatto, e senza proferir parola pagò il servizio e lasciò il salone. *** “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio!” pensò il barone dopo aver appreso i pettegolezzi che si andavano facendo in paese in merito alla presunta relazione di Simonetta col figlio del campiere. La prima cosa che occorreva fare, era indagare per scoprire cosa ci fosse di vero in tutto ciò; di solito tali dicerie non si inventavano di sana pianta ma si ispiravano a una base di verità. Dopodiché bisognava comportarsi di conseguenza per evitare clamori. Al sol pensiero che un’eventuale debolezza della figlia potesse attirare il disonore sulla sua stimata famiglia, l’anziano nobile schiumava di rabbia. Un simile atteggiamento di Simonetta rischiava di alienare le simpatie di don Nicola e compromettere il fidanzamento con Angelino, e per il buon nome della fanciulla era da evitare un tale epilogo. Cercando di non farsi prendere dal panico, pianificò le mosse da mettere in atto. Diede ordine al fedele maggiordomo di seguire i movimenti della figlia, e il successivo rapporto fornitogli smontò inesorabilmente qualsiasi illusione. Simonetta continuava a incontrare in segreto il giovane innamorato senza lontanamente preoccuparsi di quanto fosse deleterio per la sua immagine quel modo di agire.
28 Ben deciso a mettere fine a tale trambusto, il nobile si accinse ad affrontare la figlia per indurla al buon senso. La cena era stata consumata in un clima di notevole tensione. Il barone accigliato non aveva aperto bocca e le commensali, consce che qualcosa lo turbava, mantennero a loro volta il totale silenzio. Finito il dolce Simonetta si apprestò a prendere commiato, quando la voce autoritaria del padre la arrestò: «Non andare via che devo parlarti.» La fanciulla preoccupata dal tono usato dal genitore, tornò a sedersi fissandolo in silenzio. «Ci potresti lasciare soli un attimo?» chiese serio il barone rivolgendosi alla moglie. «Certamente caro.» Senza aggiungere altro, Giulia accontentò il desiderio del marito, lasciando la sala da pranzo. Quella richiesta, che in altre circostanze avrebbe urtato i suoi nervi, quella volta venne accolta sotto un’altra luce. La donna, comprendendo quali fossero le ragioni che turbavano il consorte, si fregava le mani per la riuscita del suo piano. Senza destare sospetti, si richiuse nell’adiacente camera ben pronta a origliare i discorsi e ottenere le conferme che cercava. Rimasti soli, il barone vuotò di un sorso il vino residuo rimasto nel bicchiere e non perdendo nemmeno un attimo di vista la figlia, intenta a rigirare nervosamente tra le mani la coppa di cristallo, ruppe il silenzio: «Credevi di potermi ingannare in eterno?» «Cosa volete dire padre?» «Non far finta di cascare dalle nuvole, so perfettamente che te la intendi con il figlio del campiere.»
29 Simonetta, colpita nel vivo, celò a stento una smorfia di disappunto. «Dico, benedetta figliola, ti è dato di volta il cervello? In paese non si parla d’altro e non tollero che una simile onta investa il mio nobile casato.» «Vi fidate delle dicerie della gente?» «Non cercare di sviare la questione! Son certo di quello che dico e ne ho ottenuto le prove. Ma non pensi alla vergogna a cui andresti incontro se Angelino, apprendendo il tuo tradimento, sciogliesse ufficialmente il fidanzamento?» «A voi preme solo quello! Io non l’ho mai amato quel bamboccione e non lo amerò mai!» «Che diavolo vai dicendo ingrata!» urlò battendo il pugno sul tavolo l’anziano nobile «la vita non è una fiaba del vissero tutti felici e contenti, le donne del tuo ceto hanno dei doveri da rispettare!» «E quale sarebbe il mio dovere padre? Sposare un uomo che non amo?» «Voi giovani vi riempite la bocca con questo amore! Cosa credi che farà quel pezzente dopo aver appagato i suoi piaceri? Fuggirà lasciandoti sola con una pessima nomea e un velo di disonore. Una discendente dei Bavastrelli non può mischiarsi con un contadino, te ne rendi conto dell’assurdità della cosa?» Simonetta singhiozzando non rispose. «Non devi incontrarlo più e bada di non trasgredire al mio ordine! D’ora in poi inoltre dovrai ricevere come merita Angelino, diverrà tuo marito e non tollero che mia figlia possa passare per una screanzata agli occhi della gente. Ora va’ a letto e ricordati ciò che ti ho detto se non vorrai conoscere la durezza del mio castigo!»
30 La fanciulla affranta scoppiò in lacrime, lasciando di corsa la sala da pranzo. Il barone, perplesso, accese la pipa tirandone nervose boccate. Conoscendo l’indole della figlia temeva che non sarebbe bastata la sua intransigenza a convincerla. Per costringerla a rientrare nei ranghi, occorreva allontanare Saruzzo dalla sua vita e doveva muoversi di tempo per non andare incontro al peggio. Il cupo volto del nobile si contrapponeva alla raggiante espressione di Giulia, celata dietro alla porta socchiusa del salone. L’infida donna, non avendo perso nemmeno una sillaba dell’alterco, si compiaceva della favorevole piega che stava prendendo la situazione e studiava come contribuire ulteriormente a seminare la discordia fra padre e figlia. *** Il barone, turbato da oscuri pensieri, non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Da un lato si profilava la necessità d’infliggere una punizione a Saruzzo, reo di aver adescato la figlia, dall’altro bisognava non forzare troppo la mano per rispetto del fedele mastro Ture. Il campiere da tempi biblici prestava l’opera al suo servizio e si era da sempre distinto per onestà e serietà professionale, conquistandosi ampiamente una notevole dose di rispetto. Tuttavia la spinosa faccenda non poteva essere trascurata, occorreva troncare sul nascere la scellerata relazione e bisognava farlo in fretta. Ben deciso a dissuadere il giovane contadino, il barone si presentò di buon ora in casa Picciolo.
31 «Baciamo le mani a vossìa!» esordì il preoccupato mastro Ture alla vista del padrone sull’uscio di casa «a cosa debbo l’onore della vostra visita?» «Sono qui per parlare urgentemente con vostro figlio Saruzzo. È ancora in casa?» Il campiere, livido in volto, fiutò al volo l’aria di burrasca. «È nella stalla a sellare il cavallo, ora vado a chiamarlo. Voi nel frattempo se volete accomodarvi e gradire una tazza di tè…» «Vengo con voi.» Non volendo contraddire il padrone, mastro Ture fece strada a capo chino, seguito come un’ombra dal barone e il fido servo. Nel preciso istante in cui il terzetto mise piede nella umile stalla, Saruzzo aveva da poco finito di sellare l’animale e si accingeva fischiettando a uscire per raggiungere i campi. Alla vista dei nuovi arrivati, il ragazzo impallidì. «Saruzzo, c’è qui il barone che vuole parlare con te.» Padre e figlio si scambiarono una rapida quanto eloquente occhiata. «Ai vostri ordini signore, cosa desiderate?» Il nobile tolse l’elegante copricapo con espressione severa. «Sarò breve; mi è giunta all’orecchio una spiacevole faccenda che deve finire al più presto!» «Non capisco cosa intendiate.» «Suvvia ragazzo, non perdiamo tempo con inutili recite. So che da settimane ti incontri di nascosto con quella sprovveduta di mia figlia e non posso tollerare un tale oltraggio!» Un rivolo di sudore gelido apparve sulla fronte di Saruzzo. «Non vi fidate di quello che dice la gente signore, l’invidia fa parlare persino i muti.» intervenne il pallido campiere nel disperato tentativo di scagionare il figlio.
32 «Mastro Ture, non cercate di prendermi per il naso. So bene che non si tratta di una diceria! Il qui presente Attilio su mio ordine li ha seguiti ottenendo la conferma.» «Può anche darsi che sia andata così, ma cercateli di capirli sono ragazzi e…» «Non diciamo baggianate, la cosa deve finire qui! Simonetta è legata da una promessa di matrimonio e non posso tollerare che la sua rispettabilità venga infangata da un povero ragazzo con i grilli in testa.» Offeso dalle dure parole del nobile, Saruzzo trasalì pronto a ribadire, ma con tempismo il padre lo trattenne violentemente per il braccio per farlo tacere. «Avete perfettamente ragione signore, non accadrà più! Vigilerò personalmente affinché la storia non abbia seguito!» si premurò a dire mastro Ture per accontentare l’anziano nobile. «Ma è un’assurda ingiustizia padre! Noi due ci amiamo!» «Non ripetere più una simile eresia se non vuoi incorrere nel mio castigo, villano!» urlò con le fiamme agli occhi il barone. «Suvvia figliolo taci e non peggiorare la situazione!» «Ringrazia piuttosto il rispetto che nutro per quel galantuomo di tuo padre, in caso contrario avrei provveduto personalmente a frustarti a sangue e scacciarti fuori dalla mia tenuta.» Saruzzo digrignando i denti tacque, mentre il povero padre continuò a prodigarsi per far abbassare i toni dell’insidiosa disputa verbale. «Signore vi ringrazio anche a nome di mio figlio per la vostra magnanimità. Vi chiediamo perdono per l’offesa apportatevi e vi garantisco che d’ora in avanti non avrete più motivo per lagnarvi dei suoi gesti.» «Lo spero bene!» esclamò con un sospiro il barone tornando a indossare il cappello «in ogni modo, per rinfrescare la memoria al
33 giovane rubacuori, requisisco questo splendido esemplare di cavallo.» Scambiato un gesto d’intesa con Attilio, l’anziano nobile lo autorizzò a portare fuori dalla stalla l’animale. «Ma non potete farlo, è un autentico sopruso!» urlò incredulo il ragazzo mentre il servo allontanava lo stallone. «Eccome se posso! Come ti permetti di contraddirmi giovane insolente?» «Mio figlio non intendeva mancarvi di rispetto signore, è solo amareggiato per il cavallo a cui è molto legato.» «Giusta punizione per la sua deplorevole condotta!» «Sia fatta la vostra volontà padrone.» «Non c’è altro da dire, potete andare nei campi.» Con un cenno altezzoso di saluto, il barone lasciò la stalla. Dopo aver accompagnato l’onorato ospite, Mastro Ture tornò sui suoi passi trovando il figlio in preda a una isterica crisi di pianto. «Fai l’uomo figliolo e reagisci!» «Non è giusto!» «Ti avevo avvisato ma tu non mi hai voluto dare retta! D’ora in avanti cerca tuttavia di rigare dritto.» «Non ci riesco, io l’amo!» «Piantala di dire sciocchezze. Tutto sommato il barone ha chiuso un occhio, ma se gli dai adito di lamentarsi, la prossima volta sarà meno magnanimo. Non ci possiamo permettere di alienarci la sua amicizia, noi umili dobbiamo sottostare per guadagnarci la nostra razione di pane. Mi sai dire dove andiamo a sbattere la testa se ci caccia dai suoi poderi? Vuoi finire sotto a un ponte?» Saruzzo smise di singhiozzare e a capo chino non rispose. «Ora alzati e vieni con me nei campi che è tardi. Non preoccuparti per il cavallo; una volta sbollita la rabbia, farò in
34 modo di persuadere il padrone a restituirtelo. Vedrai, si convincerĂ se gli assicuro che hai capito la lezione e non incontrerai piĂš la baronessa.Âť *** ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD