Punto a capo, Davide Gorgi

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DAVIDE GORGI

PUNTO A CAPO

ZeroUnoUndici Edizioni


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PUNTO A CAPO Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-446-5 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Febbraio 2021


A Simona, che ha dato una casa alla mia anima. E a Gaia, che la casa l’ha arredata.



“E intanto tu continui a invecchiare Lentamente Il mondo gira sempre più veloce e non si può fermare Sei tu che devi accelerare amico, lui non ti può aspettare” Ambarabaciccicoccò – Vasco Rossi

“Una cosa è conoscere la strada, altra cosa è imboccarla” Dal film: Matrix



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LA VOLTA DELLA SVOLTA

Il giorno in cui ho compiuto quarant’anni, mi ero ripromesso che avrei provato a fare qualcosa per migliorami. Così com’ero non è che non mi piacessi, è che non mi sentivo, come dire, completo, realizzato. Volevo diventare un uomo migliore, una persona migliore, non per diventare chissà chi, giusto una sistematina, un po’ come quando sei costretto ad andare dal parrucchiere perché hai dei capelli che sono diventati un groviglio inestricabile e imbizzarrito che ti fa sembrare un personaggio dei cartoni animati giapponesi, una specie di Actarus ma decisamente meno figo e soprattutto stipato a bordo di un’utilitaria malconcia, e non a sprintare tra le stelle con Goldrake. Insomma, ti rendi conto di essere acconciato in modo ridicolo ma allo stesso tempo non vuoi cambiare troppo la tua immagine, perché cambiare spaventa sempre un po’, anche se si tratta di una cosa banale e ordinaria come la pettinatura. Quando si avvicina da dietro e ti guarda negli occhi attraverso il riflesso del grande specchio davanti a te, lui, il tuo barbiere di fiducia, ti fa la domanda retorica: come li facciamo? Tu gli rispondi con quel fare tra l’annoiato e il disinvolto, che nasconde una paura infantile: «Giusto una sistemata, un’accorciatina.» Il solito. Perché in realtà non vorresti cambiare mai quello che sei, anche se non ti piaci un granché, ormai ti ci sei affezionato, ti conosci


8 per quello che sei, con i tuoi pochi pregi e i tanti difetti. Trovarti davanti a un altro te sarebbe destabilizzante e, forse, più dannoso che gratificante. Ma io ero proprio convinto: volevo cambiare. Così, per dare una svolta alla mia vita, avevo pensato di pormi degli obiettivi chiari, difficili senza dubbio, perché in fondo mi piacciono le sfide, ma non per questo impossibili da raggiungere, perché non è che sia propriamente uno stakanovista, né un eroe da romanzo epico, sono più che altro un barcaiolo che si lascia trasportare dalla placida corrente dei giorni, dei mesi, degli anni che passano pigri. Niente a che vedere con la tenacia folle del comandante Acab, la mia Moby Dick si limita a navigare dietro a una vita placida come una tartaruga centenaria delle Galapagos, insomma. Tre obiettivi, tre piccoli miseri traguardi volanti da raggiungere a braccia alzate, per dimostrare – per primo a me stesso – che con la forza di volontà si possono raggiungere vette inimmaginabili, un po’ come scalare il Mortirolo della propria anima: alla fine si arriva stremati, ma sai la soddisfazione quando ti guardi indietro. Tre, come i porcellini, come i moschettieri, come i giorni del condor, come la santissima trinità. Perché in fondo quello di cui avevo bisogno era un miracolo, e lo sapevo, lo sapevo fin troppo bene. Il primo obiettivo era mettermi in forma e in salute, in altre parole volevo cercare di mangiare cibi che andassero al di là della semplice commestibilità, che avessero cioè un giusto equilibrio di vitamine, grassi, proteine, carboidrati e tutte quelle cosine di cui ignoro l’utilità ma che fanno tanto bene agli organi interni e danno lucentezza alla mia pelle morbida e vigore ai miei capelli. Quelli impavidi che restano attaccati al cuoio capelluto, più che


9 altro per pigrizia credo, come una cozza sta attaccata al suo scoglio. Dovevo solo andare al supermercato e comprare tutto quello che si trova nelle confezioni che sfoggiano con arroganza il prestigioso prefisso BIO, a garanzia di una qualità del prodotto, che se mangi solo quella roba lì campi duecento anni. Quelle splendide bontà che, anziché avere qualcosa in più degli altri prodotti, hanno qualcosa in meno. Senza zucchero, senza glutine, senza grassi, senza lattosio, senza… Che poi a volerla dire tutta, campare fino a duecento anni per cosa? E se proprio devo morire, cosa che francamente mi piacerebbe evitare ancora per un bel po’, ha senso farlo da sano? Mah, comunque essere un uomo molliccio, con questa specie di grossa appendice sul davanti, e quando parlo di appendice parlo ovviamente della pancia e, ahimè, non di altro, non mi andava più giù. Altro impegno, sempre legato al mio benessere, era fare un po’ di moto, che so: corsa, bici, palestra. Difficoltà primo obiettivo: molto difficile, ma fattibile. Il secondo obiettivo era migliorare il mio rapporto con le donne. Volevo in qualche modo provare ad affrancarmi da quella personale visione, ancorata fieramente allo stato adolescenziale, del rapporto uomo donna, basato esclusivamente sul sesso. Non che mi fossi stancato di una tale vita, anzi, questo ci tengo a precisarlo, ma ormai ero “grande” e dovevo affrontare la triste realtà: tra uomini e donne ci sono anche altre cose oltre alla gratificante ginnastica da camera. O almeno così mi raccontavano alcuni amici, che sull’argomento dicevano di saperne più di me. E a proposito di quelli che ne sanno sempre più degli altri, è la categoria che mi sta forse più sulle palle di tutte le altre che mi stanno sulle palle. Le cinture nere di quelli che odio di più. I


10 sapientoni, anzi i saputelli. I so tutto io. Mortali come una fila al casello in pieno agosto con l’aria condizionata rotta, noiosi come un film polacco incentrato sulla preparazione del gulasch. Va da sé che cene a lume di candela in locali raffinati, regali senza un motivo particolare, fiori senza attendere una particolare ricorrenza, musei con esposizioni di quadri di persone trapassate da trecento anni, shopping per negozi improbabili emananti effluvi inquietanti a decine di metri di distanza, e poi parole, parole e parole sarebbero stati i miei nuovi punti saldi. Boh, non ero per niente convinto riguardo all’utilità di un cambio di rotta in questo senso ma, come dicevo, alcuni amici mi avevano instillato nella mente questa bizzarra leggenda che le donne vogliono ben altro oltre al sesso, e volevo sperimentarlo di persona. Euristico era la parola d’ordine di questa fase della mia vita. Difficoltà secondo obiettivo: praticamente impossibile. Il terzo obiettivo era prendere un po’ sul serio il mio lavoro. Dedicare se non l’anima almeno il tempo e una fettina di corpo a quello strano meccanismo contorto che a fine mese mi porta ad avere uno stipendio con cui pago tutte le mie piccole e grandi spese quotidiane. Difficoltà terzo obiettivo: davvero arduo. Quel giorno, quello della decisione voglio dire, ero seduto sul mio bel divano high-tech di grande impatto visivo, uno di quelli all’ultima moda, bellissimo e allo stesso tempo scomodissimo. Ero stravaccato in una posizione ad assonometria cavaliera, che mi avrebbe causato lacrime amare nel momento in cui mi sarei dovuto rimettere in piedi, nella mia grande sala arredata minimal chic, dove il bianco delle pareti si confonde col bianco del resto dei pochi mobili, vivacizzati solo da qualche minuscolo ma


11 azzeccato soprammobile colorato, appositamente studiato per essere posizionato proprio lì, in quel punto, al fine di rendere l’ambiente sapientemente elegante con la semplice aggiunta di ricercate macchie di colore. Come il totem di libri ben impilati e mai aperti, ancora perfettamente intonsi in bella mostra accanto alla porta di ingresso. Ogni cosa a posto, tutto posizionato in un ordine maniacale, asettico. Non un filo di polvere, non un oggetto fuori posto, come se l’appartamento non fosse davvero abitato da essere umano. La televisione a schermo piatto di cinquantacinque pollici era accesa su un programma musicale, stavo bevendo una Ichnusa gelata direttamente dalla bottiglia, e all’improvviso ho pensato che la persona che ero in quel momento non mi piaceva, avevo compiuto quarant’anni il giorno prima. Li avevo festeggiati, se così si può dire, facendo del buon sesso con una ragazza che avevo conosciuto la sera stessa in uno dei tanti locali della movida milanese. Anche se a dire il vero non era proprio una ragazza, era più una donna, ovvero non proprio di primo pelo, sarebbe più corretto dire piuttosto stagionata, una sorta di auto di seconda mano con un discreto numero di chilometri percorsi e le gomme lisce, ma tenuta bene, ecco. Ultimamente l’età media delle donne con le quali esco si sta alzando paurosamente, è direttamente proporzionale al mio declino fisico, credo. Mah. Mia nonna mi diceva sempre: «Chi dice mah, il cuor contento non ha.» Saggia, mia nonna. Della stagionata di ieri ricordo solo l’innata tecnica sessuale, affinata con anni e anni di esperienza. Il culo, mediamente tondo e approssimativamente sodo, grazie a estenuanti sedute di gag in


12 palestra, e quella bocca allenata e morbida che… ma non è di questo che volevo parlare. Stavo dicendo che un lampo di lucidità o di follia, perché a volte è davvero sottile la linea di demarcazione tra i due stati mentali, e spesso ha i contorni labili e imprecisati dell’orizzonte che vedi dalla spiaggia, quando non riesci più a riconoscere la differenza tra cielo e mare, mi ha scosso all’improvviso costringendomi a guardarmi dentro. Quello che ho visto non mi è piaciuto per niente, perché oltre al fegato vistosamente ingrossato e sonnecchiante con la bolla al naso, ai reni in pericoloso stato catatonico, mi sono sentito come un vuoto a perdere, un vecchio bottiglione, anzi una damigiana di vetro gonfiato di quarant’anni.

Da quel giorno sono passati sei mesi, trascorsi tra gli alti e bassi di giornate monotone, diviso tra l’affannosa e continua ricerca di un me stesso che mi faccia sentire vero, e la disperata voglia di fuga proprio da quel me stesso che non riesco a sopportare. Come se un io fosse chiuso dentro un corpo che è di un altro o viceversa, chi sono io? Quale io è quello che deve avere il sopravvento sull’altro? E se quello che ha il sopravvento fosse poi quello peggiore? Boh! Sono schiavo di una dicotomia, e non so neanche cosa voglia dire questa parola. Basta. Ora penso sia giunto il momento di fare i conti con quello che sono oggi, di tirare le somme di questa equazione zeppa d’incognite: cosa ne è stato di quanto mi ero prefissato, ho rispettato me stesso oppure ho fallito? Rifletto lanciando occhiate in giro con fare distratto, sono seduto al tavolino unto di un McDonald, sto mangiando un doppio


13 cheeseburger con patatine fritte, sulle quali ho gettato un chilo di maionese. Davanti a me un bicchierozzo di birra ormai calda e un dolcino che lascia interdetti i miei trigliceridi solo a guardarlo, completano il mio pasto. Nell’ultimo periodo ho messo su quattro chili e questa pancetta flaccida è ormai una fedele compagna di viaggio, un marsupio del quale farei volentieri a meno. Sono in pausa pranzo, anche se è una pausa che dura da due ore, direi che si tratta più di una fuga che di una pausa. Quindi, facendo i conti direi che almeno due degli obiettivi non li ho proprio rispettati: mangio ancora di merda e sul lavoro combino poco e un cazzo. Se a tutto questo ci aggiungiamo che la notte scorsa l’ho trascorsa con una di cui ricordo la provenienza estone e il nome che poteva essere qualcosa tipo Inga o Ilona o Patataalforno, siamo a cavallo. No, non ci siamo, ho sbragato su tutta la linea, allora la mia parola non vale niente? Io non valgo niente? Ok, facciamo che finora ho scherzato, facciamo che la mia nuova vita inizia oggi. Pronti? Via! Mi alzo lentamente dalla sedia, imbraccio il vassoio come fosse un cencio appestato, barcollo fino al cassonetto adibito alla raccolta degli avanzi e lo svuoto con aria di sfida, patatine mollicce e panino sbocconcellato si rincorrono verso il nero del fondo del sacco, il mio sguardo li segue per un minuto infinito, quasi vedessi anche la mia anima scivolare nel buco nero di quel sacco. Ripongo il vassoio ed esco dal locale. Sulla mia sinistra il caos sobrio ed elegante di Piazza Piemonte, a destra Piazza Wagner, nel mezzo Milano e un uomo nuovo, in piedi sul marciapiede pregno di vita vissuta.


14 E adesso? M’incammino verso lo studio presso il quale lavoro, anche se il verbo lavorare non è proprio il più adatto alla mia condizione di occupato ma lasciamo stare, quella è un’altra storia, ma forse è solo una sfaccettatura di questa storia, perché in realtà ogni nostra azione, ogni attimo, ogni più piccolo gesto o pensiero, non è altro che la tessera del puzzle che compone la storia della nostra vita. Appena girato l’angolo con Corso Vercelli, m’imbatto in una ragazza splendida, la donna della mia vita. L’ennesima. Non vita, donna, l’ennesima donna della mia unica vita. Alta, bionda con un corpo da favola, e non parlo di favole tipo “Hansel e Gretel” o “I tre porcellini”, intendo le favole che dico io, dove il finale è a base di lenzuola di seta nera e calici di champagne biondo e, perché no, anche di porcelline dalla pelle vellutata. La ragazza sembra scossa, si guarda attorno con fare smarrito, le tremano un po’ le mani, forse sta piangendo. Mi avvicino di soppiatto fingendo indifferenza, quando capisco che c’è qualcosa che non va, mi faccio avanti con fare risoluto, che alle donne piace molto. Lo so a cosa state pensando, ma non è con secondi fini che mi avvicino a questa Dea, comunque il maschio alfa non è solo una leggenda metropolitana, è la legge della giungla, funziona. «Ciao, c’è qualcosa che non va? Posso aiutarti?» Mi guarda e scopro con un brivido che ha due occhi, cioè è ovvio che abbia due occhi, il punto è che sono di un azzurro così intenso, caldo, profondo, tipo mare delle Maldive. Se li guardi bene secondo me, puoi vederci dentro pesci pagliaccio nuotare rilassati, fregandosene di Nemo e di quello psicotico di suo padre.


15 Quando parla le prime parole non le capisco, sono ancora imbambolato a osservarle le forme sinuose, poi cerco con uno sforzo sovraumano di concentrarmi sui suoni che escono da quella bocca perfetta, morbida, le labbra leggermente rosse, i denti perfettamente allineati e bianchissimi, oddio… non riesco a non pensarla a letto tra le mie braccia, deve avere un culo sodo e rotondo e marmoreo come una scultura di Michelangelo. «Sono stata scippata, mi hanno strattonata e sono caduta» si guarda preoccupata le mani, che sono un po’ sbucciate. «Però la borsa non l’ho mollata.» La voce è tremolante come il fuoco di una candela in una tempesta, non sa se piangere per lo spavento o gioire per aver sventato il furto, si capisce che non è italiana, le parole escono con un pizzico di fatica ma senza errori. Se si fosse messa a parlare in inglese sarebbe stato tutto più complicato, considerando che il mio inglese si è forgiato ascoltando le canzoni dei Beatles. Quindi so tutto di sottomarini gialli e di campi di fragole ma per il resto… «Non ti preoccupare, fammi vedere, sono un dottore.» Ok, lo so che non è vero, cioè non è del tutto vero, sono dottore in architettura e non in medicina. So anche che iniziare un rapporto basato sulla menzogna non è un buon inizio, ma non stiamo a fare tanto i sofisti, si tratta di un caso di emergenza. Continuate a leggere e lasciatemi fare. E poi del resto mica le ho detto che sono medico, no? Questa è solo una piccola bugia innocente ma, come diceva mia nonna: «Se le bugie sono dette a fin di bene, allora non c’è problema» e il bene in questa storia c’è. Il mio.


16 Lei mi guarda con sospetto, e già quello sguardo incerto m’intriga, non è una sprovveduta, io se avessi davanti uno con la mia faccia mi guarderei bene dal fidarmi. «Sono davvero un dottore, e poi ho visto tutte le puntate di ER e del Dr House, potrei farti una diagnosi in un secondo, solo guardandoti negli occhi. Ecco, vedo che sei spaventata e lievemente ammaccata, non ci sono lesioni interne né emorragie, escludo un trauma cranico, il diabete e il periglioso morbo di Daiquiri. Hai passato delle ottime vacanze al mare, il tuo colore preferito è il rosso e adori gli spaghetti allo scoglio. In definitiva stai piuttosto bene e sei prossima a gustarti un ottimo aperitivo offerto dal tuo salvatore preferito, che oggi ha le sembianze dell’uomo che hai di fronte, e scusa per le sembianze ma non ho trovato di meglio nell’armadio dove tengo le facce, e poi non sapevo che oggi avrei incontrato la musa che avrebbe reso questa giornata meravigliosa.» Sorrido mentre le prendo le mani e gliele pulisco delicatamente con un fazzoletto di carta, lei mi lascia fare, forse non ha ancora realizzato che le mani che sto tenendo sono le sue. Toccarla, anche solo così, mi ha fatto partire un brivido dalla base del collo fino a metà schiena, oltre a una spinta imbarazzante sotto l’ombelico. Sono un uomo, cribbio, mica un pezzo di marmo, e poi a Ippocrate non ho mai giurato nulla. «Non è niente, solo piccole sbucciature. Ora non ci resta che partire subito con una cura adeguata. Vieni, ti accompagno a bere qualcosa, sei molto scossa e hai bisogno di un goccio che ti dia forza.» Lei non è per niente convinta della proposta, preferirebbe andarsene da sola a casa, ma sono così insistente e non lascio


17 trasparire le mie reali intenzioni. Sono freddo come una calibro 9 tenuta in un freezer a Helsinki. Seduti a un tavolino del Pazienza, un Pub in perfetto stile irlandese in via Washington, parliamo del più e del meno, tra risatine complici e sguardi ammiccanti. In breve vengo a sapere che lei, modella di origine danese, si trova a Milano per alcuni servizi fotografici e che conosce così bene l’italiano in quanto ormai ritiene questa città un po’ come la sua seconda casa, e negli ultimi anni ci ha passato la gran parte delle sue giornate. Parliamo del passaggio dal rosso Tiziano al rosso Valentino, senza tralasciare il periodo blu di Picasso e quello nero minimal di Armani. Parliamo di vacanze oziose nei mari del sud, del significato del massaggio ai piedi di Pulp Fiction, delle canzoni ispirate di Jovanotti e della pace nel mondo, non dimenticando che la fame, la carestia e la guerra sono davvero delle brutte cose. Tutto scorre come in un film, la sagra del nulla e dell’effimero si consuma in un locale dalle luci fioche, con la musica di Brian Eno in sottofondo e il profumo di qualche incenso proveniente da terre lontane lasciato sapientemente fluttuare tra gli avventori. Ma questa volta niente lieto fine per il nostro eroe, e no, questa notte Ugo Pontini non avrà il suo premio; questa notte Ugo Pontini la passerà da solo, non è la prima volta e certamente non sarà l’ultima. Sdraiato sul suo grande letto, fisserà il soffitto con gli occhi spalancati e il cuore chiuso a riccio, con la mente arenata in un dolce oblio e lo stomaco che si rode di un’angoscia che brucia. Presto chiuderà gli occhi e si lascerà avvolgere dal silenzio che lo condurrà nel sonno, luogo di ristoro, sicuro e anelato.


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BUONI PROPOSITI CATTIVI PENSIERI «Risin’ up, back on the street Did my time, took my chances Went the distance, now I’m back on my feet Just a man and his will to survive»

Ho aperto gli occhi al nuovo giorno sentendo nella testa le parole di Survivor – Eye of the tiger, la canzone colonna sonora di Rocky terzo. Ero carico come una molla, il ritmo mi spingeva a correre, a muovermi come fossi vittima di una fretta, una furia malsana; non riuscivo a stare fermo, danzavo con le note che mi si arrampicavano addosso come ragni impazziti lasciandosi dietro litri di adrenalina allo stato puro. Mi sono vestito in fretta e ho fatto colazione con un cappuccino e due brioche alla crema prese al bar sotto casa, sentivo una determinazione in ogni azione che facevo che mi dava ulteriore impulso a continuare a credere che fossi sulla strada giusta. Stavo già diventando un altro, la via del cambiamento scorreva veloce sotto i miei piedi. A volte basta credere di essere migliore per esserlo veramente. Ora, solo poche ore dopo quel momento magnifico e totalizzante, nelle orecchie ho una confusione di suoni e di rumori isterici, percepisco distintamente la musica angosciante della marcia funebre dell’esercito prussiano dopo la sconfitta a Jena. Inoltre mi chiedo… è grave sentire tonfi sordi che ti rimbombano nelle


19 orecchie e vedere le stelle accendersi e spegnersi con quell’effetto psichedelico in perfetto stile Doors che ti trascina verso un sonno lisergico? Beh, dipende. Se fosse notte e tu fossi su una spiaggia di sabbia fine, su di un’isola lussureggiante sperduta nel Pacifico, davanti a un mare scuro come la notte e liscio come il culetto di un bambino, se avessi bevuto un paio di Mai Tai di troppo e magari di fianco a te ci fosse una ragazza dalle forme morbide, pronta ad accoglierti senza remore, beh, allora non sarebbe poi così grave. Anzi. Già… il fatto è che siamo in pieno giorno e sono al parco di Trenno, stramazzato su una panchina di cemento dopo aver corso per qualcosa tipo otto minuti di orologio. Mi sono fermato per prendere tempo, ostentando distaccata indifferenza, come se nulla fosse, come se mi fossi fermato un attimo per riflettere sulla reale possibilità che ho io di vincere un nobel per la letteratura, mentre sto pregando quello sprovveduto del mio angelo custode che mi salvi dall’imminente collasso. Ma non sono un buon attore, anche gli uccellini che mi sorvolano con aria disgustata l’hanno capito, e me lo fanno capire allontanandosi scuotendo la testa, è evidente che sono allo sfascio. Per finire, di fianco a me c’è un tizio in canottiera bianca e pantaloncini blu che si sta bevendo una birra da una lattina, dopo ogni sorsata dà un bel tiro profondo a una sigaretta che, occhio e croce potrebbe essere, dall’odore nauseante, una Nazionale senza filtro o un pezzo di catrame prelevato direttamente dalla strada. È un bruto, è completamente calvo, ha la faccia da pugile suonato e il fisico da magutt, ogni tanto mi guarda con un ghigno. Boh, forse sono il suo tipo, spero non voglia abusare di me. Non potrei resistergli, non tanto per il suo aplomb da maschio latino che non


20 deve chiedere mai, quanto perché ora come ora non ho neanche la forza per schiacciare i tasti del telecomando di una televisione. Sono andato molto vicino alla mia morte, ma non ho visto quello che vedono tutti, cioè tutti quelli che asseriscono di avere avuto esperienze extra corporali, quelli che praticamente erano morti e poi per qualche ragione sono tornati nel mondo dei vivi. Quelli che ti raccontano di una luce accecante, di un profondo senso di pace che pervade la scena, di profumo d’incenso al timo bianco e di musica degli Abba in sottofondo, insomma quelle cose lì. No, quello sarebbe stato troppo bello, e anche un po’ banale se vogliamo. Io ho solo sentito il cuore che mi pulsava fino nelle orecchie con boati spaventosi, la gola secca che non lasciava filtrare neanche quel minimo di polveri sottili e monossido di carbonio, che per me sono più preziose di tutta l’aria di montagna di questo schifo di mondo. Mi si è appannata la vista, le gambe mi hanno abbandonato all’improvviso, sono riuscito non so come a trascinarmi fino a questa panchina maleodorante, in attesa che mi passi o che passi io a miglior vita. Perché sinceramente questa sofferenza va molto al di là delle mie capacità di sopportazione del dolore. E tutto questo perché? Perché sono un coglione, ecco il perché! Ma facciamo un passo indietro, vi racconto perché sono qui. Ieri sera dopo la doccia mi sono specchiato e, guardando il mio riflesso, mi sono fatto senso. Quello che mi ha più colpito è stata l’espressione dipinta sul mio volto, perché ho iniziato a guardarmi la pancia molle, i pettorali flaccidi le spalle un po’ curve e qualche spazio di troppo tra i capelli. Mentre passavo in rassegna questo corpo che non sentivo mio, la mia faccia si


21 trasfigurava. Ecco, quando ho alzato lo sguardo e ho visto la mia faccia, allora ho capito: il tizio allo specchio si faceva schifo. Mi guardavo e non capivo. L’aspetto che faccio davvero fatica a comprendere è come riesca ad avere ancora un certo successo con le donne pur non essendo propriamente un adone. Se dovessi esprimermi in linguaggio matematico direi che fisicamente sono un tipo atletico alla meno uno, però alle donne piaccio lo stesso, non a tutte e certo non più a quelle di primissima fascia, su questo non mi sento di barare con voi, però le mie cartucce le sparo ancora. Non mi sembra neanche di essere particolarmente simpatico o di inebriarle con una suadente conversazione brillante e intellettualmente interessante, e allora cosa vedono in me le donne? Boh, sarà che risveglio in loro l’istinto materno, o che uso una tecnica vecchia e collaudata che, tornando alla matematica, si rifà alla legge dei grandi numeri. Ci provo un po’ con tutte insomma. Quindi, caro Ugo, se sistemi anche tutta questa mollezza che ti avvolge come un sarcofago di crescenza scaduta, vedrai che con le donne andrà anche meglio, e poi lo avevi giurato a te stesso di darti una sistemata. Così mi sono detto: coraggio iniziamo questo dannato fioretto. Dopo questi pensieri tanto profondi da far ribaltare Schopenhauer nella tomba, mi sono asciugato i capelli, ho frugato dentro un vecchio scatolone impolverato nascosto in fondo allo sgabuzzino, che non aprivo da quando in vacanza andavo ancora in campeggio: parlo della preistoria, del vinile, di Megaloman, dei fratelli Righeira, che poi quando ho scoperto che non erano fratelli sono stato male come quando mi hanno detto che Babbo Natale non esiste.


22 Ho scovato quello che cercavo. Ho indossato i pantaloncini e la maglietta dell’Italia di calcio, quella dei mondiali di Spagna ‘82, che mi vengono ancora i brividi ogni volta che penso alla corsa di Tardelli in Italia - Germania della finale. Mi sono rimirato ancora allo specchio, un ciccione strizzato dentro a una maglietta azzurra sul punto di esplodere. Un grande puffo, il puffo panzone. Ma non ho desistito, ho preso il coraggio tra le mani e mi sono deciso: domani vado a correre. Ed eccomi qui, dopo un risveglio baldanzoso che mi ha fatto sentire come Rocky, sul precipizio terrificante dell’infarto, combatto tra la vita e la morte in una lotta impari. Sento i miei muscoli, le ossa, ogni articolazione, ogni fibra del mio corpo che si ribella, che mi grida rabbiosa: ma che cazzo stai facendo, coglione! Mi fanno male pure il naso e le sopracciglia. Ok, Ok, ho capito, ho sbagliato, ci ho solo provato, non pensavo di essere ridotto così. Sono arrivato al parco in macchina, ho parcheggiato di fianco al cimitero di guerra inglese, sono sceso dall’auto e ho azionato l’antifurto. Mi sono guardato attorno con fare annoiato, come se fossi un habitué del luogo. Ho fatto un po’ di stretching, diciamo non più di tre minuti, perché una volta ho letto che anche il troppo riscaldamento non sempre è una cosa salutare e poi via, mi sono messo a corricchiare. Sono partito piano, non volevo mica dare tutto subito, l’avanzare dell’età è una brutta malattia irreversibile ma porta con sé anche il vantaggio dell’esperienza. Appena partito mi sono reso conto che le gambe che si muovevano sotto di me mi sembravano


23 appartenere a qualcun altro, a Robocop con l’artrite per essere precisi. In un attimo avevo la maglietta azzurra zuppa di sudore, mi sono detto: bene, sudare fa bene, dai che butti giù la pancia e ti liberi di tutte quelle tossine che ti avvelenano. Intanto però avevo anche iniziato a respirare con la bocca aperta, il che mi ha fatto ricordare che il mio professore di ginnastica delle medie ci diceva sempre: quando arrivate a respirare con la bocca aperta come degli squali affamati, allora è il caso di fermarsi, siete alla frutta. Io sono un vecchio squalo bianco, e sovrappeso per giunta. Cerco di respirare provando a dare un ritmo che i miei polmoni possano sopportare, il tizio di fianco a me sta sempre lì seduto a guardarmi, forse gli faccio pena, forse è morto con gli occhi aperti. Lentamente alzo lo sguardo verso il cielo di un azzurro pallido e malaticcio, il solito colore della coperta maleodorante che copre e avvolge Milano. Il sole non si capisce da che parte sia, nascosto dal senso lattiginoso che sovrasta tutto. Le pulsazioni stanno calando, penso che il peggio sia passato. L’hai svangata un’altra volta vecchio bastardo. Quando anche la vista riprende la sua funzione primaria, mi accorgo che intorno ci sono gruppi di ragazzi che giocano a pallone. Sono decine, centinaia di ragazzi che corrono dietro alla palla, gridano, si insultano, litigano, ma non smettono di correre. Ritorno a – cos’erano, venti, venticinque anni fa? – quando anch’io venivo qui a giocare a calcio con gli amici, correvo e imprecavo esattamente come loro. Mi sentivo invincibile e immortale, qualche volta mi capitava di vedere quei vecchi quarantenni che stramazzavano esausti sulle


24 panchine dopo aver corso per pochi minuti e li compativo. Che brutta cosa diventare vecchi pensavo, con un sorriso malefico sul volto implume. E adesso eccomi qui, dall’altra parte della barricata, a invidiare la loro giovinezza e soprattutto quel loro vivere in un presente che non finisce mai, perché a vent’anni sei sicuro che quello che sei in quel momento lo sarai per sempre, non è ammesso il dubbio di un futuro che non sia radioso e unico. «Li conosco quelli come te, a un certo punto della loro vita si guardano e si vedono dei cessi, uomini da buttare e allora si tuffano nelle attività sportive più disparate. Chi gioca a calcetto, sfoggiando senza imbarazzo magliette della salute e pancere del dottor Gibaud come fossero trofei di guerra, oppure si piazzano su biciclette da migliaia di euro per fare il giro della casa prima di morire d’infarto. Sempre pronti a gettarsi in nuove avventure, salvo poi finire all’ospedale con qualcosa di rotto, o a letto per una settimana con ogni millimetro del corpo indolenzito. Assaliti dalla follia di perseguire uno stile di vita salutare a partire dal moto e dal mangiare sano. «Anch’io sono stato colpito da quel morbo lì, il morbo del “se mi ci metto, in una settimana torno in forma come quando avevo vent’anni”, sono venuto qui, ho fatto la mia corsettina, e sono finito come te. Per un pelo ci lasciavo le penne.» Mi siedo più comodamente sulla panchina, il tizio con la birra ha una bella voce, un modo di fare dal quale traspare una sorta di eleganza rupestre, pesa le parole con attenzione prima di parlare, regala con quel suo tono pacato sensazioni di pace. La voce di questo tizio, una copertina sulle ginocchia e un caminetto acceso, lo immagino così il paradiso.


25 Ascolto e, senza rendermene conto, inizio a fare di sì con la testa, come un automa guasto. «Allora, mentre ripercorrevo tutta la mia vita in un secondo di stordimento, mi sono detto: ma chi te lo fa fare? Ma davvero vuoi stramazzare al suolo al parco di Trenno con la schiuma alla bocca come un vecchio ronzino? Per cosa poi? Per togliere un po’ di pancetta? Per piacere a chi? A quella stronza di mia moglie che me la dà una volta al mese se va bene? E ho trovato il mio karma. Per prima cosa ho mollato la stronza. Adesso vengo qui due volte la settimana, mi compro un paio di lattine di birra, il mio bel pacchetto di sigarette e mi siedo su questa panchina. Vi osservo, quelli come te intendo, e mi sento bene, in pace col mondo.» L’uomo prosegue con tono neutro guardando verso un punto imprecisato davanti a sé. «Attento però, la prossima volta potresti non fermarti in tempo e allora zac, un colpetto, uno solo e ti saluto.» Con movimento lento ma deciso mi porto una mano ai gioielli di famiglia e do una lieve scrollata, non che sia uno superstizioso ma non si sa mai, meglio non rischiare. «Viviamo in un mondo difficile, in un tempo che ha abbandonato i ritmi tranquillizzanti di Raul Casadei per i martelli techno pop acid house o diavolerie simili. Se ti fermi sei perduto, ti dicono. Ma forse, rallentare è solo l’unico modo per salvarsi davvero la vita.» Un ultimo sorso alla lattina, un sonoro rutto e l’uomo si alza. Se ne va, silenziosamente, lattina vuota in mano, senza voltarsi alza una mano in cenno di saluto, sul volto un sorriso sornione. E se avesse ragione Mastro Lindo? Chi l’ha detto che la saggezza appartiene solo a quelli alti, belli e ricchi? E poi dai, hai quarant’anni e ancora giudichi le persone da come si vestono, sei


26 veramente un piccolo uomo, un ominicchio, un quaqquaraquà, un… va beh, non esagerare, ho capito il concetto. Da domani politica dei piccoli passi, diciamo dieci flessioni, dieci addominali e venti minuti di camminata a passo da turista giapponese in visita a Venezia.

Ora che ha trovato la quadra del suo futuro prossimo Ugo può finalmente rilassarsi. Torna a osservare la vita che procede immutabile intorno, perché la vita se ne frega un po’ di tutti e una nullità come lui di certo non potrà cambiare lo stato delle cose. Il torpore del momento viene scosso dalle risate miste a paura che provengono dalla sua destra. Un papà sta correndo di fianco a un bambino che sta imparando ad andare in bici senza rotelle. Poco dietro di loro una donna e una bambina un po’ più grande del ciclista in erba fanno il tifo, gridando con urla d’incitamento. Le due donne pattinano con grazia, tenendosi per mano. Istantanea di una famiglia felice. Ugo segue con lo sguardo i quattro che dopo essergli sfrecciati davanti, si allontanano tra risate e strilli. Poi si alza con fatica dal suo scoglio di fortuna, s’incammina verso la sua auto, scricchiolante e sbandato come un vecchio galeone sotto una tempesta, sul volto un’espressione indecifrabile.


27

IL TEATRO DELLA VITA – PARTE PRIMA

È sera, il luogo è un ristorante pizzeria piuttosto elegante. La grande sala è in penombra, illuminata da applique dalle forme retrò. Tre uomini seduti a un tavolo apparecchiato chiacchierano vivacemente, un cameriere in piedi davanti alla porta della cucina li osserva annoiato. Una grande televisione è appesa alla parete in fondo alla sala, è accesa su un programma che trasmette video musicali. Gli uomini sono vestiti in modo casual. Sul tavolo svettano diverse bottiglie di birra vuote. Ugo: a volte mi piacerebbe vivere nel bosco dei Cento Acri. Sì, vorrei essere Winnie The Pooh, vorrei che il massimo dei miei problemi fosse dove andare a cercare quel barattolo di miele che ho spostato il giorno prima e che non trovo più. Vorrei avere come amici quello strampalato saltellone di Tigro, quel fifone noioso di Pimpi, il triste I-Oh, col suo vocione profondo alla Alberto Sordi, e arrivo pure a dire che anche quel rompipalle di Tappo mi andrebbe bene. Vuoi mettere, stare in un posto dove le giornate si passano immersi in un ambiente idilliaco dove si mangia, si gioca e si contempla il paesaggio? Certo, ci sono anche gli aspetti negativi, per esempio non si scopa mai, ma un mondo perfetto non esiste. Neanche nelle favole. O


28 forse la perfezione sta proprio nel ridurre al minimo le proprie necessità. Immaginatevi la scena, perdersi dietro a una foglia che vola nel vento, osservare il flusso lento del torrente colorato di mille colori dalla goffa sbadataggine di Tigro, innaffiare il grande albero che sta soffrendo per la siccità, riempire barattoli di miele. Partecipare ad allegri pic-nic tra amici. Che paradiso. Nessuna preoccupazione, nessuna rata da pagare, nessun capo rompipalle, nessuna malattia, nessuna donna o uomo che ti rendono la vita impossibile. Nessun telefonino che squilla troppo o non squilla per niente. Solo la pace e l’armonia della natura e la compagnia dei buoni amici. Che bella vita sarebbe! Luca: e da quando sei diventato un esperto di Winnie The Pooh? Ugo: non sono un esperto. Qualche giorno fa sono entrato per caso alla Feltrinelli, quella di Corso Vercelli. Cioè, per caso, in realtà ci sono entrato per seguire una sventola mulatta che pareva Naomi Campbell, in bello. Dio, che gambe aveva. Comunque, ero lì che fingevo di leggere un libro per poterla osservare bene prima di fare una mossa, quando abbiamo incrociato lo sguardo. Le ho spedito un sorriso alla Bradi Pitt. Lei mi ha risposto alla Clint Eastwood, freddandomi con quegli occhi scuri come la notte. Ho visto nel suo sguardo una 44 magnum che mi sparava a pallettoni. Ho capito che non era il caso di avvicinarmi. Giuro che ho sentito distintamente il messaggio che quello sguardo mi ha lanciato: «Coraggio, fatti ammazzare.» Allora ho abbassato lo sguardo e ho dato un’occhiata per la prima volta al libro che tenevo in mano da qualche minuto. Era una


29 raccolta di racconti di Winnie The Pooh. Cosa dovevo fare? Uscire mestamente dalla libreria così com’ero entrato? Facendo la figura di quello che ci è entrato solo per tacchinare? E il mio orgoglio di uomo? Alfonso: ma è vero che ci eri entrato solo per la ragazza, no? E poi orgoglio di che? Il tuo orgoglio lo hai esalato fino all’ultima goccia durante quella vacanza a Barcellona nel ‘92. Non ti ricordi? Ugo: ma sì insomma orgoglio, quella roba lì di cui voi veri uomini siete circonfusi. Quindi cosa ho fatto, ho comprato il libro. E vi dirò di più, la sera mi sono messo sul divano e me lo sono letto tutto d’un fiato, era dal ‘96 che non leggevo un libro che non fosse legato al mio lavoro. Devo dire che leggere non è poi così male, poi c’erano anche tanti bei disegni, ma non di quelli che si vedono al giorno d’oggi, tutti fatti col computer, quelli sembravano fatti ancora a mano. Una cosa emozionante. Storie semplici legate all’amicizia e alla natura. Luca: oddio no, ci diventerai mica uno snob intellettuale di sinistra? Un fondamentalista di Greenpeace. Adesso che sei solo a tanto così dal livello culturale di Umberto Eco, come dobbiamo comportarci con te? Ugo: potrei stupirvi. Comunque li ho invidiati, il gruppo di Winnie The Pooh dico, fanno veramente una vita della Madonna. Potessi farla io.


30 Alfonso: ma dai, Ugo The Pooh, sarebbe bellissimo. E noi chi potremmo essere? Ugo: beh, che domande, tu saresti Pimpi, solo un po’ più pazza e isterica. Poi ha quel suo bel colore rosa, ti dona molto il rosa lo sappiamo tutti. Luca: e io nel boschetto della tua fantasia chi sarei? Ugo: ovviamente tu saresti quello scassa cazzi di Tappo. Quadrato, saputello e mortalmente noioso. Alfonso: devo assolutamente comprarmi quel libro. Luca: eh già, ti manca proprio. Ma io dico, già così siamo un trio macchietta, rappresentiamo lo stereotipo classico di tre distinte tipologie di uomini, quelli da barzelletta intendo. Lo sposato e frustrato: io. Il single impenitente e vuoto: tu. E la checca isterica, che saresti tu. Alfonso: non sono una checca isterica. Io sono assolutamente equilibrato. So io quello che ho passato per quello che sono. Ho sofferto e mandato giù bocconi amari. Ora finalmente sono me stesso e non ho più paura di nasconderlo, e sto bene. Luca: forse hai ragione, cosa posso sapere io di quello che hai attraversato per essere quello che sei. Ma rimane il fatto che sei un gay con un salone di bellezza. Salone che possiedi al


31 cinquanta percento col tuo compagno. Dai, sei il tipico esempio del gay delle barzellette sceme. Alfonso: tutto vero. Ci ho messo più di vent’anni a capire chi ero e cosa volevo. Quando l’ho scoperto ho pianto, ma non per me, per i miei genitori che avrebbero voluto un vero maschio, un padre di famiglia, con la sua bella moglie e dei figli fantastici, qualcosa di simile a te per esempio. Beh, io non sono così e come sono a me va benissimo, e adesso che va bene anche a loro sono in pace col mondo. Si sono rassegnati all’idea che da me non avranno mai dei nipotini da prendere in braccio. Io comunque posso definirmi un uomo felice, molto felice. E sottolineo uomo… o forse sottolineo felice, fate voi. Ugo: e io invece sarei quello vuoto? Ma vuoto e basta o vuoto a perdere? Luca: più vuoto a perdere direi. Vediamo, giusto per riassumere brevemente quello che tutti sappiamo. Nella vita hai un lavoro solo grazie al papi che ti ha sistemato nel grande studio di architettura del suo caro amico d’infanzia. Sul lavoro non combini quasi niente e del resto non te ne frega niente, perché non hai un briciolo di amor proprio. Ma lo sappiamo tutti che hai deciso di fare architettura solo perché era la facoltà con il più alto numero di ragazze di tutte le altre. Tua mamma, quando vai a trovare i tuoi ogni tanto la domenica, è ancora lì che si ammazza dalle sei di mattina per prepararti le lasagne al forno e il purè, che piacciono tanto al suo adorato figlio unico, viziato come una top model. Non hai una storia


32 seria, con uomo o donna che sia da… da sempre. Solo storie patetiche di sesso, roba da una notte e via. Sei rimasto il ragazzino di quando avevi diciotto anni, scommetto che in macchina hai ancora le cassette di Gianni Togni e Alan Sorrenti. Legato a doppio filo con il tuo passato felice e svagato. Un ragazzino nel corpo ormai deforme di un uomo di mezza età. Ugo: a questo punto se avessi un cuore mi commuoverei per tanta amorevole trasparenza, ma sentiti pure libero di dire quello che pensi di me, senza remore eh… non vorrei ti facessi scrupoli vista l’amicizia di lunga data che ci lega, e sottolineo amicizia o lega, fai tu, come direbbe il mio amico Alfonso. Luca: ecco, svisceriamo il capitolo degli amici. Ci chiami solo quando ti senti particolarmente solo e disperato, il che avviene circa una volta al mese. Se no sparisci per tempi siderali, e chi si è visto si è visto. Alfonso: beh, a volte capita che si faccia sentire anche prima. Dipende un po’ dalle mazzate che si becca dalle sue amichette. Ma lui è così, lo sappiamo, un fottuto e adorabile egoista. Ugo: adesso vi dico una cosa cari amici. Non è facile per me dire quello che sto per dirvi. Voi siete le uniche persone che per me contano qualcosa, oltre i miei genitori ovviamente, e mi spiace che abbiate una tale infima considerazione del sottoscritto. Perché io vi stimo, e non sto scherzando. Entrambi nella vita siete riusciti molto più di me, che in effetti non ho fatto un granché. Alfonso si è liberato del peso che era mantenere segreta la sua omosessualità, ha confessato il suo status e ora è finalmente un


33 uomo in pace con il mondo, come dice lui, e soprattutto con se stesso. Sul lavoro gli va tutto a meraviglia e l’amore, beh, credo che Mario sia davvero l’uomo della sua vita. Non ti resta che adottare un figlio, come ha fatto Elton John, e sei a posto. E tu Luca, che dire. Hai la partita di calcetto settimanale. Hai una famiglia stupenda, una moglie bella e intelligente che ti ama, i motivi di tale sentimento mi sfuggono ancora ma la vita riserva delle sorprese inesplicabili, e forse è anche il suo bello. Hai due bambine che sono uno spettacolo e che ti adorano. Forse l’unica pecca nella tua vita dorata è il tuo lavoro, come impiegato di una grande azienda ti senti un prigioniero che sta scontando una pena all’ergastolo, ma non si può aver tutto nella vita, no? Comunque hai un buon stipendio e un lavoro sicuro, che non è poco, soprattutto di questi tempi. In definitiva siete due persone invidiabili, credo ci siano molte persone che farebbero a cambio con voi anche subito. Io sono uno di quelli. Alfonso: davvero faresti a cambio con me? Sei sicuro che saresti pronto a rinunciare alla tanto cara patata? Ugo: farei a cambio con te per la tua stabilità emotiva, l’ironia con cui affronti ogni situazione e per il tuo coraggio nell’affrontare la vita. Per il resto preferisco ancora la cara e vecchia patata, come dici tu. Cameriere: porto altro, signori?


34 Luca: sì, ci porti una grappa bianca morbida per il signore, un Braulio per me e un limoncello per lui. Anzi, un mirto se ce l’avete. Cameriere: perfetto. Alfonso: e se non volessi il mirto? Luca: non lo vuoi? Preferisci il limoncello? Alfonso: no, va bene il mirto, solo che mi sta sulle palle il tuo essere sempre così saputo. Sempre sul piedistallo. Luca: il mio piedistallo è di carta, basta un soffio di vento per far cadere tutto. La mia vita dorata… io mi sento soffocare. Dici bene, Antonella è una donna straordinaria, bellissima, intelligente e… rompi coglioni come poche altre. Il premio Nobel delle rompi coglioni. Farebbe diventare un serial killer anche Gandhi. Ci sono giorni che la strozzerei. Se non fosse per le bambine, di certo, me ne sarei già andato. Non mi ricordo neanche più perché ci siamo sposati, né da quanto non siamo felici. Ha sempre qualcosa da rinfacciarmi. Se faccio tardi in ufficio, è perché non ci sono mai e me ne frego della famiglia. Se invece torno presto è perché non sono legato al mio lavoro e la mia carriera è un disastro, che poi vuol dire che per lei non guadagno abbastanza. Perché niente di quello che faccio è mai abbastanza per lei. Inoltre in casa sono d’impiccio, ovunque mi metta disturbo. La roba sporca del calcetto, se la metto in lavatrice non va bene perché puzza, se la appoggio nella vasca da bagno, che non usiamo praticamente mai, non va bene perché poi


35 l’odore della mia roba impesta la vasca. Se la lascio nella borsa: «Cosa vuoi?! Che faccia i funghi e cammini da sola?» se vado a fare la spesa, sbaglio a comprare la pasta perché questa scuoce subito o il dentifricio che non ha le giuste proprietà anti age. Se non ci vado è perché me ne sbatto delle esigenze della famiglia. Lascio la tavoletta del water alzata e non mi disinfetto le mani appena entro in casa. Il mio senso dell’igiene personale è troppo approssimativo perché non mi lavo le mani dopo aver toccato che so, il telecomando della TV. Il sesso poi è una chimera, perché è stanca, perché ha mal di testa, perché non ne ha voglia, perché non è il momento adatto o perché si ricorda di quando una settimana prima le ho detto qualcosa che l’ha contrariata e me la deve far pagare, e poi fa sembrare che io abbia il chiodo fisso solo perché mi avvicino per un po’ di coccole. Poi ci sono le bambine, che non capisco quasi mai. Alice sa tutto lei, sembra un’adulta incazzata. Giulia è dolce ma parla solo di cartoni animati. Cosa vogliono da me, come parlano, cosa provano. Non so neanche se mi vogliono bene. Non ci doveva essere il periodo del complesso di Edipo durante il quale ero per loro l’unico grande amore della loro vita? Ogni femmina vive questo periodo di amore per il padre. Ecco, le mie l’hanno saltato a piè pari, sono arrivate direttamente alla fase dello scontro e mi detestano. Boh, so solo che sono pappa e ciccia con la mamma, alleate in una guerra quotidiana con il sottoscritto. Io sono un corpo estraneo che porta a casa lo stipendio e firma gli assegni. Proprio una bella vita, quella che tutti sognano fin da piccoli.


36 Alfonso: non ci posso credere, volete dire che alla fine tra noi tre, quello realizzato sono io? Quello a cui la vita ha regalato il suo sorriso? Certo che la vita è davvero bizzarra, riserva sempre delle sorprese. Ugo: tu sei qui a lamentarti ma io con la tua vita “di guerra” farei cambio anche domani. Luca: io invece anche subito. Non resisteresti mezza giornata a casa mia. Ma prego, accomodati nella mia vita e lasciami godere di un po’ di quella pace e libertà che tu stai disprezzando tanto. Le luci della sala si abbassano, l’immagine lentamente si allontana dal tavolo dei tre amici, le voci si affievoliscono fino ad ammutolirsi. Buio. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD


INDICE

La volta della svolta ...................................................................... 7 Buoni propositi cattivi pensieri ................................................... 18 Il teatro della vita – Parte prima .................................................. 27 Il risveglio ................................................................................... 37 Mortal impact .............................................................................. 48 In gita .......................................................................................... 57 Giulia e Alice hanno bisogno di aiuto......................................... 67 Hai voluto la bicicletta? .............................................................. 77 Capitolo sesso… Avete letto bene, non sesto. Sesso ................. 91 Al lavoro ................................................................................... 100 Fuori a cena ............................................................................... 109 Un’altra uscita ........................................................................... 119 Diversivi e detersivi .................................................................. 128 Dove sono? ............................................................................... 133 Il teatro della vita - Parte seconda ............................................. 140 Epilogo ...................................................................................... 148


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.



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