Quei piccoli fraintendimenti della vita

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In uscita il 31/3/2016 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine aprile e inizio maggio 2016 (4,99 euro)

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ANTONIO DE GIOVANNI

QUEI PICCOLI FRAINTENDIMENTI DELLA VITA

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QUEI PICCOLI FRAINTENDIMENTI DELLA VITA Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-972-2 Copertina: immagine di Simona Todescato

Prima edizione Marzo 2016 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


“Una buona parte di quel che crediamo, ed è così anche nel trarre le conclusioni ultime, con un’ostinazione pari alla buona fede, proviene da un primo equivoco sulle premesse.” Marcel Proust



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CAPITOLO I

In mutande, appoggiato al balcone, cercava di godere di una brezza mattutina che un luglio caldo e afoso si rifiutava però di regalargli. Si accese una sigaretta e la prima boccata gli diede come sempre una piacevole sensazione di stordimento. Si mise a fissare distrattamente le finestre della casa di fronte. Lo fece con lo sguardo fisso nel vuoto, seguendo solo le volute di fumo che si alzavano dalla sigaretta, cercando di non pensare a nulla, Guardava senza vedere, era come se passeggiasse senza muoversi, con gli occhi aperti ma virtualmente chiusi, come a volte gli capitava di fare nella vita. «Tesoro, ma cosa ci fai in mutande sul balcone? Perché non torni a letto?» chiese una voce femminile con tono assonnato. La domanda inaspettata lo destò improvvisamente dal suo letargo emotivo e lo riportò alla cruda realtà di quella domenica mattina. Se c’era una cosa che lo aveva sempre infastidito era sentirsi chiamare “tesoro”, come fosse un oggetto, un cane, un gatto o comunque la proprietà di qualcuno. Nella sua vita non aveva mai voluto appartenere a nessuno e non aveva mai preteso che nessuno gli appartenesse. Con riluttanza gettò la sigaretta sul pavimento del balcone e la spense con il piede in un gesto automatico. Quando si ricordò di essere scalzo era ormai troppo tardi. Il mozzicone acceso gli si era incollato sulla pianta del piede provocandogli un bruciore lancinante. Saltellando come un canguro riuscì a staccarlo e a lanciarlo in strada con un’imprecazione. L’osservò cadere leggero ma ancora acceso nel vuoto, fino a quando si depose tranquillo sul tettuccio di tela bianca della nuova decappottabile del suo vicino, provocando una piccola ma visibile bruciatura nerastra. Conoscendo il proprietario, immaginò che sarebbe diventato pazzo di rabbia, ma la cosa non lo preoccupò più di tanto. L’uomo non gli era mai stato particolarmente simpatico e lui odiava le decappottabili. Per non creare sospetti decise comunque che, dal giorno dopo, avrebbe cambiato marca di sigarette. Prima di rientrare nella stanza, diede ancora uno sguardo oltre il balcone, in un ultimo disperato tentativo di


6 trovare una scusa che gli evitasse di tornare là dove non avrebbe voluto, ma non la trovò. Nonostante i suoi quasi quarant’anni, continuava a fare cose di cui poi invariabilmente si pentiva. Come quella notte, passata con lei, una lei che, con il passare del tempo, era diventata una qualsiasi. Una lei che ora lo chiamava assonnata, reclamando una presenza che lui non voleva o non poteva più concedere. Rientrò in stanza e, seppur contro voglia, si sdraiò sul letto accanto al corpo nudo della donna. Accompagnando il movimento con una specie di gemito, lei si voltò verso di lui, gli cinse il fianco con un braccio e gli appoggiò il capo sul petto. Fino a qualche mese prima il semplice calore di quel viso sul suo petto sarebbe stato sufficiente a eccitarlo e a scatenargli fantasie erotiche. Le avrebbe appoggiato una mano tra i capelli e avrebbe cominciato a spingere verso il basso, con dolcezza ma con decisione, fino a quando le sue labbra non si fossero trovate proprio dove lui voleva che fossero. Avrebbe sconfitto la probabile resistenza di lei con gesti decisi ma non violenti e avrebbe cadenzato il movimento della sua bocca fino al momento massimo del piacere. Ma ora tutto questo era scomparso. Il tempo sembrava essere scaduto. Non avvertiva nessun desiderio, neppure quello di provare il piacere. Guardò il soffitto, si accorse della presenza di un ragno che stava tessendo la sua trappola mortale e ne osservò il lavoro preciso con la pazienza e l’interesse di un biologo poi, cercando quasi di non muovere nessun muscolo, si volse verso il comodino per guardare l’ora: erano le 6:00. Avrebbe voluto scrollarsi di dosso quel corpo ormai estraneo e che lo faceva sentire prigioniero nella sua casa, gridarle di vestirsi e andarsene, fumarsi un’altra sigaretta, andare in bagno, farsi una doccia e poi finalmente uscire a passeggiare lungo il Ticino. Ma non ci riuscì. Tutto ciò che riuscì a fare fu guardarsi il torace e scoprire che cominciavano a comparire dei peli bianchi. La rivelazione lo sorprese in modo spiacevole e lo infastidì quasi fisicamente. Si rese conto che il tempo cominciava a dare segni del suo inesorabile passaggio, non solo nella sua anima ma anche nel suo corpo. La vista di quei piccoli e insignificanti peli bianchi smosse qualcosa dentro di lui, gli portò alla ribalta una situazione che fino a quel momento aveva trascurato o, peggio, negato: il tempo, senza che lui se ne accorgesse, stava passando. Si stava consumando senza lasciare nessun ricordo del suo passaggio e senza creare nessun sogno per il futuro. Nessuna traccia del passato e nessuna illusione per il futuro. A


7 parte quei piccoli e insignificanti peli bianchi che non sarebbero mai più tornati neri. Chiuse gli occhi e si sforzò di ripensare agli anni addietro, a quando era bambino, a quando ancora riusciva a sognare e a giocare con un nonnulla, a quando passato e futuro non esistevano e ciò che contava era il presente. Si divertiva a camminare a occhi chiusi tra i suoi genitori, cercando di immaginare dove si trovasse o verso quale ignota destinazione si stesse dirigendo. La mente e l’immaginazione vagavano senza limiti sapendo che la stretta sicura della madre o del padre non gli avrebbe mai fatto correre nessun rischio. Ogni passo nel buio di quella finta cecità era un misto di eccitazione, curiosità e felicità. Si chiese dove fossero finite tutte quelle piacevoli sensazioni, dove fosse finita quella innocente gioia. Si domandò che cosa fosse per lui ora la felicità. Realizzare i propri sogni? Lui non ne aveva. Avere accanto una persona che lo facesse sentire finalmente completo? Si sarebbe sentito prigioniero. Non aveva mai desiderato che la sua felicità dipendesse da un’altra persona e non aveva mai voluto che quella di qualcun altro dipendesse da lui, dalla sua presenza o dai suoi sentimenti. Non aveva mai voluto, soprattutto, sentire la responsabilità di rendere felice qualcuno. Sapeva quanto fosse difficile, a volte impossibile, farsi carico già della propria vita e delle proprie illusioni. Si mise a fissare ancora una volta il ragno nell’angolo del soffitto. Aveva terminato il suo lavoro e sembrava lo stesse ammirando con orgoglio. Anche il ragno in fondo continuava a fare le stesse cose, ma almeno sembrava trarne piacere o, se non altro, soddisfazione. Per lui invece era diverso. Continuava a ripetere cose che lo infastidivano. Come in quel momento, sdraiato su quel letto accanto a una donna che gli impediva di fare ciò che avrebbe voluto: restarsene solo. Volse ancora lo sguardo verso la sveglia, ma questa volta lo fece in modo volutamente esagerato, sollevando il torace e tossendo con forza fino a far sobbalzare il capo di lei: erano ormai le 9:00. Sembrava che lei fosse passata direttamente dal sonno alla morte. Il corpo immobile, il braccio rigido e freddo intorno al fianco di lui, il respiro quasi assente, i capelli che le nascondevano il viso ormai struccato. Maledisse il momento in cui aveva deciso di portarla a casa sua. Non portare le donne a casa era sempre stata una delle regole più importanti della sua vita. Se in quel momento gli avessero domandato che cosa fosse per lui l’eternità, avrebbe risposto che era il tempo infinito che separava il momento in cui terminava di fare sesso con una donna da quello in cui


8 lei se ne andava. L’aveva fatta urlare di piacere tutta la notte, come sempre d’altronde, e forse era stato anche questo il suo errore. Era troppo bravo a letto e le donne, ormai lo aveva capito, spesso confondono l’arte di saper amare con l’amore. Diede un altro colpo di tosse nella speranza che il rumore la svegliasse ma si rivelò una mossa inutile. Decise che era il momento di agire. Con gesto brusco si liberò del braccio della donna e scivolò fuori dal letto con un balzo. Lei si svegliò di soprassalto e lo guardò con espressione interrogativa. «Mi sono ricordato adesso che alle nove e mezza ho un appuntamento con il mio avvocato». «Di domenica?» domandò lei con un sorriso di scherno. «Sì, di domenica» rispose lui senza aggiungere altre menzogne. «Quindi?» chiese lei in modo provocatorio. «Quindi cosa?» replicò lui sbuffando e fingendo di non capire. «Quindi... è meglio che io me ne vada». Era più una domanda che un’affermazione. «Ho giusto il tempo di farmi una doccia» affermò lui senza rispondere. «Capisco» disse lei alzandosi dal letto con un sospiro. Senza aggiungere una parola, lui si diresse verso il bagno, si tolse le mutande e si infilò sotto il getto gelido della doccia, cercando un po’ di refrigerio, ma soprattutto solitudine e protezione. Dalla porta socchiusa la vide raccattare in silenzio i suoi indumenti sparsi per la stanza, indossarli lentamente, raccogliere i lunghi capelli castani in una coda e guardarsi allo specchio. Il trucco era quasi definitivamente scomparso, gli occhi avevano perso la lucidità della sera prima, un filo di mascara aveva lasciato le ciglia e si era depositato sulle palpebre leggermente gonfie, le labbra, prive della magia ingannatrice del rossetto, erano tornate a essere quelle di sempre, sottili e meno appetibili. La osservò guardarsi per istanti che gli parvero un'eternità. Si chiese come fosse possibile per un uomo come lui scambiare attimi di passione intensa, sentirsi nel corpo dell'altra, entrare nella parte più intima delle sue emozioni e poi comportarsi da perfetto bastardo sperando di liberarsi al più presto della sua scomoda presenza. Pensò che forse era proprio lì la differenza tra fare sesso e fare l'amore, nella voglia di scappare che si provava dopo il sesso e in quella di rimanere dopo aver fatto l'amore. Lei sarebbe rimasta, lui era già scappato. Nonostante lui fosse a pochi metri da lei era come se fosse su un altro pianeta. Ci sono comportamenti che separano più delle distanze. La vide rimettersi con


9 cura il rossetto, cancellare con delicatezza la linea nera che le deturpava la palpebra, ridisegnare con perizia il contorno degli occhi e, dopo aver dato un ultimo sguardo al letto sfatto e alla stanza, dirigersi verso il soggiorno. Lui uscì dal bagno avvolto da un accappatoio bianco e la trovò accanto alla porta. «Ci sentiamo?» chiese lei pur sapendo che non sarebbe mai successo. «Certo!» promise lui rispondendo velocemente al suo bacio e aprendole la porta. «Mi chiami tu?» insistette lei offrendogli e offrendosi un'ultima opportunità. «Appena posso ti chiamo» disse lui ancora più a disagio. «No, non chiamarmi appena puoi... chiamami quando avrai piacere di farlo» replicò lei guardandolo negli occhi. «Intendevo questo» affermò lui impacciato. «No, non intendevi questo. Quando qualcuno prova il desiderio di sentire o vedere un'altra persona il tempo lo trova sempre... comunque non importa» replicò lei con un sorriso prima di uscire per sempre dalla sua vita. Rimase in piedi a fissare la porta per alcuni istanti. Nonostante momenti come quello si fossero ripetuti innumerevoli volte nel corso della sua vita e il suo cinismo lo avesse ormai abituato a non provare nessun senso di colpa, sentì una leggera nausea salirgli fino alla bocca dello stomaco. Se non fosse stato per la sua incurabile paura di rinunciare alla propria libertà, quella sarebbe potuta essere forse la donna con cui tentare di condividere un cammino. “È molto meglio così” pensò con una smorfia. “Meglio che pensi che sono un bastardo, meglio che lo pensi adesso piuttosto che tra qualche mese. Dietro a ogni bastardo c’è comunque sempre un codardo che gli permette di esserlo” si disse per alleviare la nausea e diminuire i sensi di colpa. Il suo cinismo aveva ancora una volta preso il sopravvento sul cuore. Non era stato sempre così. C'era stato un momento della sua vita in cui i sentimenti avevano prevalso. Un periodo lontano ma ancora così presente nella sua mente in cui aveva consegnato la sua felicità e il suo sentirsi vivo nelle mani di una donna, la donna di cui si era innamorato. Lo aveva fatto senza paure né rimpianti, convinto che l'amore e la felicità che stava provando sarebbero durate per sempre. Così non era stato. Dopo innumerevoli segnali che lui non aveva voluto o potuto raccogliere lei se ne era andata portandosi via una valigia e un pezzo


10 del suo cuore e della sua vita. A poco più di trent’anni, piangendo di rabbia e di dolore in un piccolo appartamento di Londra, aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai più ripetuto lo stesso errore. Quell'amore tradito lo aveva portato a essere ciò che era. Un quarantenne freddo ed egoista. Si diresse verso la cucina e si preparò un caffè. La casa era tornata a essere sua, il luogo in cui poteva fare tutto ciò che voleva, il suo rifugio. Dopo aver riposto la tazzina nel lavandino si diresse verso la camera, si tolse l’accappatoio, si sdraiò sul letto e si accese una sigaretta. Lanciò un’occhiata distratta al torace: i peli bianchi erano sempre lì. Tra una boccata e l’altra cercò con lo sguardo il ragno sul soffitto ma non lo vide. Immaginò che, terminato il suo lavoro e nell’attesa che la sua tela svolgesse il compito per cui era stata pazientemente tessuta, si stesse regalando un meritato riposo. Sarebbe piaciuto anche a lui poter tessere una tela in grado di catturare il senso della sua vita e aspettare il risultato. Spense la sigaretta e, a poco a poco, scivolò dalla noia al sonno. Quando riaprì gli occhi, un ultimo raggio di sole gli stava illuminando i genitali. Osservò con attenzione il suo membro. Sembrava dormisse sorridendo. L'immagine fece sorridere anche Tommaso. Pareva il riposo soddisfatto di chi sapeva di aver fatto ancora una volta un buon lavoro. Nonostante non avesse nessuna voglia di uscire, decise di farlo. Si fece una doccia rapida, si vestì e si incamminò a piedi verso il centro del paese. Una leggera brezza rendeva la temperatura piacevole e, almeno quella sera, sembrava aver convinto le zanzare a non lasciare i loro rifugi notturni alla ricerca del sangue dei passanti. Cenò all’aperto in uno dei ristoranti che si affacciavano sul lungolago. Cenare da solo non solo non lo aveva mai disturbato ma, al contrario, lo aveva sempre fatto sentire un privilegiato. Non doveva fingere interesse nell’ascoltare i banali discorsi di altri, di dover sorridere a sciocche battute, di sforzarsi di essere empatico o divertente o interessante o, peggio ancora, tollerante. Cenare da solo lo faceva sentire libero. Cenare da solo gli dava inoltre la possibilità di osservare senza essere osservato, di criticare senza temere di essere a sua volta giudicato, di immaginare cosa si celasse dietro a una coppia che mangiava senza parlare o che cosa nascondessero degli sguardi rubati tra persone di tavoli diversi. Gli era diventato facile individuare coppie al loro primo incontro. Lei perfettamente truccata, lui perfettamente rasato e profumato. Lei vestita


11 in modo femminile ma non eccessivamente provocante e lui elegante ma non troppo formale. La scelta oculata del tavolo, lo studio attento del menù, come se la scelta della pietanza fosse la cosa più importante della serata, la postura misurata e la conversazione centrata su temi generali cercando di essere al tempo stesso seri e divertenti. Quanto sarebbe stato molto più semplice e quanto tempo avrebbero risparmiato se uno dei due avesse semplicemente detto: “Sono qui perché mi piaci, parlami di te e chiedimi ciò che vuoi sapere di me”. E poi c’erano le coppie sposate da alcuni anni. Si riconoscevano senza difficoltà. Lei vestita in modo ordinario e lui in abbigliamento sportivo, quasi trasandato. Ordinavano i loro piatti in pochi secondi e poi, in attesa che il cameriere arrivasse con le portate, passavano il tempo mangiando i grissini e guardandosi in giro senza scambiare una parola. Sembrava non avessero più nulla da dirsi, nulla da condividere e nulla da scoprire l’uno dell’altro. Infine c’erano le coppie con figli che uscivano a cena con altre coppie con figli. Discorsi incentrati sulla comparsa del primo dentino, sulle vaccinazioni ancora da effettuare, sulla regolarità dell’alvo e su quanto dormisse o non dormisse il piccolo. E poi c’erano quelli come lui, quelli che la domenica sera cenavano da soli convinti che fosse una fortuna ma che venivano giudicati dagli altri commensali degli sfigati. Pensò per un attimo che gli altri avessero ragione, ma la cosa non lo ferì più di tanto. Quando le voci degli altri a poco a poco si affievolirono, le loro risate forzate si persero in lontananza e la sua voglia di osservare chi ormai non c’era più si esaurirono, uscì dal ristorante e si incamminò verso il porticciolo. Camminando sulla passeggiata del lungolago decise di ripetere per un attimo ciò che amava fare da bambino. Dopo aver dato un’occhiata a ciò che gli stava davanti, chiuse gli occhi e incominciò a passeggiare. Furono sufficienti due o tre passi al buio per fargli capire che il tempo era passato, che lui era cambiato e con lui erano cambiati la sua capacità di sognare e di sentirsi eccitato. Senza la protezione di quelle mani che stringevano le sue, non sarebbe mai stato capace di passeggiare a occhi chiusi e soprattutto di non calpestare ciò che la sua scarpa destra aveva appena calpestato. Dalla quantità e dalle dimensioni sembravano feci appena emesse da un alano affetto da gastroenterite acuta. Maledicendo il momento in cui aveva deciso di passeggiare a occhi chiusi, cominciò a passare e ripassare la suola e il bordo della


12 scarpa nell’erba del giardinetto che si affacciava sul lungolago. L’odore che proveniva dalla scarpa era intenso e acre e gli ci volle un po’ di tempo per ripulirla in modo accettabile. Riprese a camminare strisciando il piede destro per alcune decine di metri al fine di togliere le ultime tracce rimaste. L’andatura strisciante lo faceva sembrare più una vittima di un’emiparesi che un allegro turista estivo, ma la cosa non lo preoccupò. Quando ritenne che anche gli ultimi residui canini si fossero dissolti, si fermò ad accendersi una sigaretta. Lo fece proprio davanti alla discoteca sul battello. Diede un’occhiata alla ripida scalinata in metallo che collegava il marciapiede all’entrata poi, non avendo niente di meglio o di peggio da fare, decise di entrare a bere qualcosa. Fu una questione di secondi. Al terzo scalino il suo piede sinistro scivolò in modo maldestro e lui cominciò a cadere lungo la scala come un sacco di patate. Senza avere né il tempo né la possibilità di aggrapparsi al corrimano per arrestare o almeno attutire la caduta, dopo essere rotolato per tutta la scalinata, colpì con violenza la tempia contro lo spigolo dell’ultimo gradino. L’urto fu tremendo e lo lasciò per un attimo senza fiato. Rimase alcuni secondi a terra senza avere la forza e il coraggio di rialzarsi. Il dolore alla tempia era insopportabile e gli impediva di ragionare. Da terra diede uno sguardo all’inizio della scalinata e all’interno della discoteca. Dietro di lui non si trovava nessuno e nessuno, all’interno, sembrava essersi accorto dell’incidente e questo, se non altro, attutì il suo narcisismo ferito. Quando il dolore si fu attenuato cominciò a muovere i piedi per verificare che non avesse nulla di rotto. A parte una leggera nausea, tutto il suo corpo sembrava rispondere in modo normale. Con movimenti lenti passò dalla posizione sdraiata a quella seduta e poi, a fatica, si rialzò e rimase un paio di minuti immobile aggrappato al corrimano respirando in modo profondo. A poco a poco, con suo grande sollievo, anche la nausea e la sensazione di stordimento cessarono di infastidirlo. Rimase ancora alcuni secondi in attesa che tutto ritornasse normale e poi, come niente fosse successo, entrò sorridente ma dolorante nella discoteca. Erano anni che non metteva piede in quel locale, o in locali come quello, e appena entrato ne capì la ragione. Vide uomini e donne ormai più vicini ai cinquanta che ai quaranta lottare con il tempo, cercare di apparire, a se stessi e agli altri, ancora giovani e spensierati, fingendo di divertirsi, cercando di mostrare ciò che non erano e non sarebbero mai


13 più stati. Tutto ciò era patetico e lo era anche lui per aver immaginato che una serata in un locale del genere lo avrebbe potuto far sentire meglio. Dopo aver lottato con l’istinto di andarsene, si diresse lentamente verso il bancone del bar. Si sedette su uno degli sgabelli di alluminio e ordinò un rum. Accanto a lui sedeva una donna alla quale il barman aveva appena servito un Martini bianco. La luce fin troppo soffusa del locale non gli impedì comunque di apprezzarne la bellezza. Le gambe erano snelle e abbronzate, il volto regolare era arricchito da due grandi occhi scuri e da due labbra carnose. I capelli, lunghi e biondi, arrivavano fino a quasi coprirle la generosa scollatura, dalla quale facevano capolino due seni che, seppur senza nessun sostegno, erano ancora in grado di sfidare con successo la forza di gravità. Quello che il suo pene, negli ultimi tempi, non sempre riusciva a fare. «Strano, pensavo che il Martini con l’oliva lo bevessero solo nei film americani» sussurrò inclinandosi leggermente verso la donna. Lei fece roteare con le dita un paio di volte l’oliva sul fondo del bicchiere poi, senza farsi molti problemi, la estrasse dal calice ancora gocciolante e se la infilò in bocca. La succhiò delicatamente e poi, a occhi chiusi, cominciò a rosicchiarne la polpa. Dopo aver deposto con cura il nocciolo nel piattino si voltò verso di lui. Lo guardò alcuni secondi con la curiosità di un’antropologa. «Ed io pensavo che certi abbordaggi li facessero solo nei musical di Broadway». «Ma il mio non era un abbordaggio... era una riflessione a voce alta». «Anche la mia» rispose lei ordinando un altro Martini Bianco con oliva. «Allora abbiamo qualcosa in comune». «Sì, il dono della parola» replicò lei con tono beffardo. «Beh, mi sembra già molto importante». «Lo è, infatti... quindi non lo sprechi dicendo sciocchezze» concluse lei in modo ironico prima di andarsene confondendosi tra la folla e sorseggiando il suo Martini. La seguì con lo sguardo fino a quando scomparve tra corpi e braccia che cercavano inutilmente di muoversi in sincrono con una musica che non gli apparteneva. Il suo vestito di lino bianco, corto e aderente, fasciava un corpo dalle curve che urlavano senza vergogna: “Sono una femmina”. Doveva avere più o meno quarant’anni, gli ultimi dieci dei quali, pensò lui, passati sicuramente due volte alla settimana in palestra, tra pilates e massaggi drenanti. Dovette ammettere che il risultato di


14 tanta abnegazione era stato comunque eccellente. Con suo grande disappunto il posto della donna fu occupato da una coppia che ordinò due Gin Tonic. Lui spavaldo ed elegante cinquantenne e lei con evidenti segni di intervento botulinico alle labbra che avrebbe meritato una citazione per danni al chirurgo che glielo aveva praticato. L’uomo si sedette proprio accanto a lui voltandogli le spalle. Tra un sorso e l’altro del suo Gin Tonic sparava una serie di idiozie alle quali la donna, forse per educazione o per l’alcol già abbondantemente ingurgitato, rispondeva cercando di allargare le labbra in una specie di risata divertita. A un tratto l’uomo diede un’occhiata intorno a sé, fece un respiro profondo e, rivolgendosi alla sua compagna, disse: «Questo locale comincia ad avere bisogno di una bella rinfrescata. Non senti anche tu questo odore nauseante?». «È vero, sembra quasi un odore... di...». «Merda di cane» concluse l’altro ridendo. La donna rise fino a quasi strapparsi le labbra e, visti i risultati dell’intervento, forse sarebbe stata la sua fortuna. «Vieni, usciamo sul ponte a respirare un po’ d’aria fresca» la invitò il partner prendendola per un braccio. Rimasto solo, diede uno sguardo noncurante alla sua scarpa destra. Sulla punta faceva ancora la sua orgogliosa e tenace presenza una traccia di quello che aveva pestato. Con gesto elegante la passò sul predellino dello sgabello in una sorta di passaggio di consegne. Considerato che se ne era andata l’unica ragione per cui valesse la pena restare, terminò il suo rum e uscì dal locale. Il suo rifugio e la sua libertà lo aspettavano Aprendo la porta di una casa vuota si rese però conto che, a volte, il sottile confine che separa il sentirsi liberi dal sentirsi soli è solo una patetica menzogna che diciamo a noi stessi. Un confine che lui, quella sera, aveva superato.


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CAPITOLO II

Dopo aver acquistato i soliti cinque quotidiani all’edicola della stazione, si diresse come sempre nel vagone centrale del treno e si sedette al suo posto abituale accanto al finestrino. A differenza di tutti quelli che lo circondavano, almeno da quello che trapelava dalle espressioni disegnate sui loro volti, era l’unico a cui il lunedì sembrava dare energia. Ogni giorno della settimana, tranne il weekend, saliva sullo stesso vagone alla stessa ora per dirigersi al suo ufficio di Milano. Avrebbe potuto recarsi al lavoro in macchina e questo gli avrebbe permesso di dormire un’ora in più, evitare le attese dovute ai frequenti ritardi, scansare il caldo o il freddo che si impadronivano del vagone nei periodi estivi e invernali, arrivare direttamente in ufficio senza la necessità di prendere la metropolitana, ma non lo aveva mai fatto. Non aveva mai sentito neppure la necessità di chiedersi perché. Era sempre stato convinto che tutte le volte che ci si ferma per chiedersi: “Perché lo sto facendo?” significa che si tratta di qualcosa che, dentro di noi, sappiamo essere sbagliata. Al contrario, fin dall’inizio, aveva sentito che il viaggio in treno era qualcosa che gli apparteneva, che lo faceva sentire vivo. Ogni volta che saliva su quel treno provava una piacevole sensazione di vitalità pervadergli tutto il corpo. Il lunedì poi aveva un sapore particolare. Non era mai riuscito a capire se il motivo fosse l’eccitazione di riprendere un lavoro che lo stimolava o l’allontanarsi da due giorni che era costretto a dedicare a se stesso. Molto probabilmente entrambe le cose. Il viaggio in treno lo affascinava. Lo portava a immergersi in una dimensione spazio temporale parallela, a tuffarsi e a nuotare tra le onde di un mare a volte calmo a volte agitato. Profumi che si mischiavano producendo improbabili fragranze, libri che si aprivano su emozioni e paesaggi lontani, suonerie che si intrecciavano formando assurde melodie e decine di piccoli computer che si accendevano per iniziare o terminare relazioni. Il viaggio in treno sembrava essere fatto per regalare un po’ di tempo a chi il tempo pareva avesse paura di perderlo o lo avesse esaurito.


16 Dopo anni di costante frequentazione, era arrivato alla conclusione che quello dei pendolari fosse un mondo a parte, per certi versi poteva essere considerato un universo parallelo. Stesse facce, stessi posti, stessi orari, stessi atteggiamenti o espressioni che si ripetevano, stessi discorsi interrotti che poi riprendevano. Migliaia di storie fatte di emozioni, di illusioni, di timori, di attese, di delusioni che potevano rivelarsi o svelarsi con una frase o con una postura diversa dal solito. Con il passare del tempo diventava una specie di famiglia allargata in cui ci si poteva accorgere facilmente del cambio di umore del vicino, delle sue preoccupazioni o della sua assenza. Guardò la studentessa di medicina seduta in fondo al vagone. Dalla concentrazione disegnata sul suo volto e dal nervosismo con cui le sue mani sfogliavano il quaderno degli appunti, immaginò che quel giorno avrebbe dovuto sostenere un esame. Ripensò a quando tra quelle facce nervose c’era anche la sua, con i suoi sogni e le sue speranze. Una volta terminati gli studi tutto si era infranto nel giro di pochi mesi. Dopo essersi laureato con il massimo dei voti alla Accademia delle Belle Arti, aveva subito capito che l’Italia, nonostante il suo immenso patrimonio artistico e culturale, non era uno di quei paesi in cui le arti, almeno quelle belle, gli avrebbero offerto molte opportunità di sopravvivenza. Aveva lavorato un paio di anni accettando tutte le offerte che gli venivano fatte e poi, rischiando tutti i suoi risparmi, era andato in Inghilterra a frequentare un master di pubblicità creativa all’Università di Southampton. Poi, al suo rientro in Italia, l’incontro casuale con Arturo, famiglia benestante, laurea in Economia e Commercio alla Bocconi e master in Marketing a Londra. Fin dall’inizio l’idea di aprire uno studio pubblicitario era apparsa a entrambi una sfida eccitante. Serate passate insieme a pianificare un sogno, la condivisione di una stessa filosofia di marketing e lo stesso folle entusiasmo. E così che era nato Creativa-Mente. I primi passi all’interno di una vecchia tipografia in disuso alla periferia di Milano, che era stata trasformata in un unico ampio locale, e poi, dopo i primi tiepidi successi e un paio di premi, il grande salto in un palazzo del centro. Nel corso di dieci anni era diventata un’agenzia che cominciava, seppur timidamente, a competere con gli studi pubblicitari più prestigiosi e ora vi lavoravano una decina di giovani professionisti della grafica, del web, della fotografia e del marketing. Dieci lunghi anni


17 passati su un treno regionale che dalla sua piccola e tranquilla cittadina lacustre lo portava fino alla metropoli. In tutto quel tempo, nonostante le insistenze di Arturo, non gli era mai passata per la testa l’idea di trasferirsi a Milano. Il lago lo aveva sempre affascinato e viaggiare ogni giorno in treno gli regalava momenti di riflessione, che molte volte si traducevano in ottimi spunti per la sua attività professionale. Con il sopraggiungere dei primi guadagni, l’unico lusso che si era concesso era stato quello di trasferirsi dal piccolo appartamento in affitto in cui abitava a uno più ampio vista lago. Lo stesso lago di cui stava osservando un ultimo splendido colorato scorcio attraverso il finestrino. Giunto alla stazione centrale si tuffò tra la moltitudine di uomini e donne in attesa di salire sul metro. Al terzo tentativo, dopo essere riuscito a vincere con educazione la resistenza di chi cercava di impedirglielo, riuscì a inscatolarsi nella carrozza e a uscirne ancora vivo alla fermata che distava poche centinaia di metri dal suo ufficio. Salutò i suoi collaboratori con un “salve ragazzi” e le sue collaboratrici con il solito bacio sulla guancia. Monica, Laura, Angela e Gaia erano entrate a far parte della squadra poco più che ventenni e, in dieci anni, si erano ormai trasformate in collaboratrici efficienti e dinamiche e, cosa che ovviamente non guastava, in donne con un certo fascino. Nonostante ci fossero state alcune occasioni in cui qualcosa sarebbe potuta succedere, non aveva mai voluto mischiare il piacere e il lavoro. Non lo aveva mai fatto e non certo per motivi etici. Lasciare un letto e una donna, dopo aver magari mostrato il peggio di sé, per poi incontrarla in ufficio e comportarsi come se nulla fosse accaduto, non sarebbe stato facile. Soprattutto se la donna avesse cominciato a dare un significato a ciò che significato non poteva avere. «Ciao Tommaso» lo salutò allegramente Lorenza appena varcata la soglia del suo ufficio. Era la segretaria dello studio e, con i suoi cinquant’anni, la meno giovane ma la più affidabile. Piccola di statura, un corpo snello da sembrare quasi gracile, un caschetto di capelli castani che incorniciava un volto tondo in cui spiccavano due occhi dello stesso colore lievemente a mandorla. Gli occhialini rotondi le davano un aspetto vagamente orientale. Lavorava con lui fin dal momento dell’apertura e, dopo quasi dieci anni di collaborazione, sapeva decifrarne l’umore solo con un’occhiata.


18 «Ciao cara». «Fine settimana... impegnativo?» domandò lei strizzando simpaticamente l’occhio. «Più o meno...» rispose lui strappandole il bicchiere di caffè dalle mani. «Altra storia conclusa?». «Non si può concludere ciò che non è mai iniziato» rispose lui con un grugnito. «Già e tu sei un campione nel non voler mai iniziare nulla». «Non credo sia quello il problema, o almeno non credo sia solo quello. Il fatto è che tengo troppo alla mia libertà». «Quando ti innamorerai veramente di una donna capirai che la vera libertà la raggiungi ogni volta che le stai accanto». «Così mattiniera e già così maliziosamente romantica?». «Sempre, a ogni ora del giorno e della notte. Comunque, lasciamo perdere la malizia e il romanticismo... C’è il tuo socio che vuole parlarti» replicò lei riprendendosi il bicchiere. «A quest’ora? Problemi?» chiese lui con un sospiro appoggiando la borsa sul suo tavolo. «Non che io sappia» rispose lei allargando le braccia. «Non fare la finta modesta, tu sai sempre tutto». «Esagerato! Comunque credo che voglia solo rammentarti l’incontro con la Seflon... la cosa lo agita un pochino... e agita un poco anche tutti noi... se posso essere sincera». «È un normale incontro di lavoro per presentare alcune idee... ne abbiamo fatti mille» rispose tranquillo. «Beh, proprio “normale” non direi. Stiamo parlando della Seflon». «Il fatto che sia la Seflon non deve in nessun modo condizionarci. Se dovessimo farci intimidire dal nome del committente sarebbe la fine per noi. È proprio il modo in cui abbiamo lavorato finora che ci ha permesso di giocarci questa opportunità. Quindi... tranquilli!» replicò lui con sicurezza dirigendosi verso l’ufficio del socio. «Ciao Arturo. Dovevi parlarmi?» chiese affacciandosi alla porta. «Ah, sei qui... volevo solo ricordarti della riunione che avremo la settimana prossima» rispose l’altro alzandosi dalla sedia. «Non preoccuparti, non lo dimentico... come si potrebbe dimenticare un incontro di quel tipo?». «Appunto! Volevo solo assicurarmi che tutto fosse pronto» sottolineò l’altro guardandolo negli occhi.


19 «Hai chiesto un campione del profumo?» domandò lui. «L’ho chiesto ma non me lo hanno ancora spedito. Mi hanno anche domandato a che cosa ci servisse un campione e per me è stato difficile spiegare il motivo». «Arturo, lo sai come la penso» disse lui accendendosi calmo una sigaretta. «Cazzo Tommaso, lo so come la pensi, sono dieci anni che me lo ripeti: “per poter creare una buona campagna devo essere sicuro che il prodotto mi piaccia o che piaccia a chi dovrebbe poi comprarlo” e bla bla bla. Ma sai di chi stiamo parlando? Questa è una delle firme più importanti al mondo, se dovessimo ottenere questo lavoro faremmo un salto incredibile... e non parlo solo di soldi!» affermò l’altro esasperato. «So benissimo di chi stiamo parlando, ma non cambio il mio modo di lavorare». «D’accordo, sei tu il creativo dello studio... ti chiedo solo di cominciare a buttare giù qualcosa, anche se non hai ancora quello stramaledetto campione di profumo!» supplicò l’altro ancora più esasperato. «Non preoccuparti, ho già preparato una bozza di presentazione con alcune idee» disse lui ridendo. «Non potevi dirmelo subito? Ti diverti a far peggiorare la mia ulcera?» domandò l’altro posandosi una mano sul petto. «Mi diverte vederti sulle spine». «Allora ho ragione, sei un maledetto sadico» commentò lui fingendo di dargli un calcio. «Un sadico che si concentrerà tutta la settimana sulla campagna del nuovo profumo della Seflon... Donna. Vedrai, li stupiremo con le nostre proposte fuori dal comune» cercò di tranquillizzarlo l’amico. «Mmh, a questo proposito, hai letto la relazione che ci hanno inviato?». «No e non intendo leggerla». «Lo immaginavo ed è per questo motivo che te l’ho chiesto. In quella relazione ci sono alcuni loro, diciamo, come potrei definirli? Ecco, diciamo... suggerimenti per l’impostazione della campagna». «Suggerimenti o condizioni?» chiese lui con una smorfia. «Beh, io li definirei suggerimenti... tu invece, per quello che ti conosco, li definiresti di sicuro delle condizioni. Quello che volevo pregarti di fare era... dagli almeno un’occhiata, magari potrebbero aiutarti o darti qualche spunto!».


20 «Io e i ragazzi abbiamo studiato le loro precedenti campagne, non credo proprio che i loro “suggerimenti” ci possano essere utili in qualcosa, anzi!». «Tommaso, la Seflon ci ha chiesto di fare una proposta per un’eventuale campagna, ma lo ha chiesto anche ad altre tre agenzie. E tu sai di che agenzie stiamo parlando! Sono convinto, e credo che anche tu lo sia, che le altre agenzie accetteranno di buon grado i loro “suggerimenti”». «Che lo facciano, la cosa non deve né interessarci né preoccuparci. La Seflon ci ha dato questa opportunità perché ha visto come lavoriamo». «Vorrei tanto avere la tua stessa fiducia, Tommaso, in ogni caso sapevo già che non sarei riuscito a smuoverti di un millimetro. L’ho detto solo per farmi peggiorare la gastrite» replicò l’altro cominciando a masticare una pastiglia. «È appena arrivato il corriere con un pacco, è della Seflon» esclamò eccitata Lorenza entrando nell’ufficio. «Dio ti ringrazio, allora esisti!» esclamò Arturo alzando le braccia al cielo. Tommaso prese la scatola dalle mani di Lorenza e l’aprì con delicatezza. All’interno, avvolti con cura, c’erano due piccoli dispenser contenenti un liquido color ambra. «Bene, siamo pronti per il nostro primo test. Lorenza, voglio tutti in sala riunioni» esclamò Tommaso eccitato.


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CAPITOLO III

Aveva lavorato con impegno tutta la settimana alla presentazione e decise di regalarsi un fine settimana di assoluto riposo. Trascorse il sabato in piscina e il giorno seguente sulle sponde del lago ascoltando musica e leggendo un libro. Si era poi concesso una cena deliziosa in un ristorante sulle colline del Vergante. La conversazione allegra con i gestori e le pietanze cucinate con semplicità lo avevano messo di buon umore e non aveva voglia di tornarsene subito a casa. La serata era fresca ed era domenica. Posteggiò l’auto sul lungolago e passeggiò in direzione del molo ammirando le luci dei lampioni che si riflettevano nell’acqua. In lontananza, nell’oscurità dell’acqua, si scorgevano alcuni bagliori. Si fermò ad accendersi una sigaretta cercando di capire che cosa fossero. Pur sapendo che era una menzogna, gli piacque immaginare che fossero le barche dei pescatori. Li immaginava intenti a lanciare le loro lunghe reti nei fondali scuri del lago che, nella sua immaginazione, non era più un lago ma un mare che diventava ogni giorno più avaro e cattivo. Fantasticando si vedeva insieme a loro. Li sentiva imprecare e pregare, li vedeva lottare con energia contro onde gigantesche che sembravano dover travolgere e inghiottire la barca a ogni momento. Le risate sguaiate di alcuni giovani lo riportarono immediatamente alla realtà. Non c’erano pescatori che lottavano contro la furia del mare, non c’erano onde gigantesche da sfidare con l’audacia della disperazione. C’era solo un uomo annoiato che passeggiava senza sapere dove andare. Senza rendersene conto, giunse là dove il suo inconscio voleva che arrivasse. Il battello era lì davanti a lui. Dagli oblò fuoriuscivano musica e voci. Decise di entrare per sorseggiare un ultimo rum prima di dirigersi finalmente verso casa. Nonostante le luci eccessivamente soffuse, gli ci volle solo un attimo per individuarla. Era seduta su uno dei divanetti del piano bar. Nella mano reggeva il solito Martini Bianco. Non era sola e la cosa, seppur non lo volesse ammettere a se stesso, lo infastidì. Accanto alla donna


22 c’era un uomo che, a prima vista, doveva avere una decina di anni meno di lei. Non poté negare che il giovane era piuttosto belloccio. Alto, fisico atletico, capelli neri e folti, abbronzato ed elegante. Non c’era nulla da eccepire, facevano una bella coppia. Lui le sussurrava qualcosa all’orecchio mentre le sue dita le sfioravano delicatamente un braccio. Dall’espressione di lei, distante e annoiata, sembrava che le parole e i gesti del giovane non le provocassero una particolare eccitazione. Questo almeno era quello che lui voleva credere. Dopo aver appoggiato il bicchiere sul tavolo, la donna gli si avvicinò e gli disse qualcosa all’orecchio. Lui sorrise, le mise una mano tra i capelli e le diede un bacio. Fu a quel punto che lei si accorse della sua presenza. Per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Tommaso provò un senso di disagio. Finse di dare uno sguardo veloce al piano bar e poi si diresse verso il bancone. Prima di accomodarsi su uno degli sgabelli, diede una fugace occhiata ai predellini per assicurarsi che non ci fosse nessuna traccia di feci canine. Quando ebbe la sicurezza che tutto fosse pulito e in ordine si sedette e ordinò un rum. Ne bevve un piccolo sorso apprezzandone il gusto forte e aromatico, appoggiò il bicchiere sul bancone e lasciò che i suoi pensieri si dissolvessero alla vista di quel liquido color ambra. «Come lo vede? Mezzo pieno o mezzo vuoto?» domandò poco dopo una voce femminile al suo fianco. La riconobbe immediatamente. Era la voce della donna per la quale aveva deciso di varcare ancora una volta quella soglia. Fece finta di niente e continuò a guardare il bicchiere facendolo roteare tra le palme. Poi, dopo un silenzio studiato, si voltò nella sua direzione. «L’importante non è che io lo veda mezzo pieno o mezzo vuoto... l’importante è che contenga qualcosa che mi piace». «La penso allo stesso modo» rispose lei. «Continuiamo ad avere cose in comune» replicò lui guardandola negli occhi. «Così sembra» confermò lei. «Dovremmo sfruttarlo» propose lui con un sorriso malizioso. «Ha una bella voce, una voce dal suono caldo e profondo» replicò lei come se non avesse capito la proposta. «Grazie, visto che non è la prima persona che me lo dice... comincio a credere che sia vero». «Già, dovrebbe. Le piace leggere?».


23 «Solo cose che mi danno emozioni forti, e a lei piace?» rispose lui incuriosito dalla domanda. «Molto, ma dipende dal libro. Ci sono libri che non riesco a leggere, altri che non vedo l’ora di finire e poi ci sono quelli che mi rapiscono e mi portano lontano... quelli che vorrei non finissero mai». «Ha spiegato in modo molto più poetico ciò che intendevo per “emozioni forti”». «Quindi se un libro non le dà emozioni intense cosa fa?». «Smetto di leggerlo». «Ed è così anche con tutte le altre cose che fa nella vita? Se non le provocano un’emozione intensa smette di farle?». «Purtroppo no» rispose lui con un sospiro. «Magari continua a fare cose che non le piacciono perché così ha una scusa per potersi lamentare della vita...». «O magari perché ho paura di fare delle cose che potrebbero piacermi...». «Le fa paura provare piacere?». Lui non ebbe il tempo di replicare. Il giovane che aveva visto parlare con lei al piano bar si materializzò come d’incanto e le cinse in modo lascivo un fianco per poi stringerle un seno in modo spudorato. «Sei qui, ti stavo cercando... allora andiamo?» le domandò. Lei sembrò non accorgersi né della domanda né della mano sul suo seno e, continuando a guardarlo negli occhi, disse: «Noi stavamo andando in un motel... vuole unirsi a noi?». Glielo chiese come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Ma che cazz…» imprecò il ragazzo ritraendo di scatto il braccio dal seno della donna. «Cos’è questa storia? Non mi avevi detto che sarebbe stato un triangolo! E lui chi è?» chiese in tono quasi aggressivo. «Senti caro, tu sei giovane e hai un gran bel fisico ed è per questo che ti ho scelto... ma sei così noioso quando parli. Lui non è granché fisicamente, ma almeno ha una bella voce. Sono curiosa di vedere se in due riuscite a darmi piacere per il corpo e per la mente». «E se ti dicessi che la cosa non mi interessa?» domandò spavaldo il giovane. «Potresti... ma sono sicura che non lo farai... se non altro per dimostrare quanto sei bravo a letto» replicò lei sicura. Lui li ascoltò senza dire nulla. Non gli era mai capitato di vivere una situazione come quella. Non riusciva a capire se dovesse considerarsi la


24 preda o il predatore o nessuno dei due. In passato il suo ruolo era sempre stato chiaro: lui era sempre stato lo stronzo della situazione. Era lui che aveva sempre deciso con chi, il come, il quando, il dove e il quanto. Questa volta era diverso, diverso ma intrigante. La sola cosa che aveva capito era che sarebbe stato proprio il giovane, e non lui, che avrebbe dovuto dato piacere al corpo della donna. A lui sembrava essere stato riservato quello dell’anima. Da una parte la cosa ferì il suo orgoglio di maschio ma dall’altra lo tranquillizzò. Non aveva nessuna intenzione di competere con un giovane stallone rischiando una pessima figura agli occhi della donna e soprattutto ai suoi. Si chiese in che modo avrebbe potuto soddisfare la sua anima. «Mi faccia capire... io dovrei tentare di darle il piacere... dell’anima?» chiese per avere conferma della sua supposizione. «Questo almeno è quello che mi aspetto... o spero» rispose lei sfiorandogli la mano. «E in che modo dovrei riuscire a provocarle ciò che si aspetta o... spera?» chiese con curiosità. «Non si preoccupi, le dirò io come, se la cosa ovviamente le interessa». «Beh, se posso essere sincero, nonostante la sua sia una proposta intrigante, mi lascia alquanto perplesso». Si pentì immediatamente di averlo detto. «Sono perplesso anche io» affermò poco convinto il giovane. Lei sembrò non essere minimamente turbata o delusa dalle affermazioni dei due uomini. Con eleganza scese dallo sgabello, aprì la sua borsa ed estrasse le chiavi della macchina. «Io adesso uscirò, salirò in macchina, aspetterò trenta secondi, accenderò il motore e mi avvierò. Se vedrò almeno una macchina dietro di me mi dirigerò al motel, se non vedrò nessuna macchina me ne andrò a casa a leggere un libro». Lo disse in modo tranquillo, nel suo tono non c’erano né minaccia né ultimatum. Si voltò e si diresse verso l’uscita del locale senza aspettare nessuna replica. Lui la guardò perplesso, poi diede una rapida occhiata al giovane che a sua volta lo scrutò indeciso. Poi uscirono. Erano passati meno di dieci secondi da quando lei se ne era andata. «Voglio che lei si sieda qui» disse la donna indicandogli la poltrona nell’angolo, appena entrati nella stanza del motel.


25 La guardò con un’espressione tra l’interrogativo e il sorpreso. Non capiva dove volesse arrivare e che cosa si aspettasse che lui facesse o non facesse. Decise comunque di assecondarla e di accettare la sfida. Mentre obbediva in modo docile al suo ordine, lei aprì la sua borsa e ne estrasse un libro consumato. Lo aprì nel punto in cui aveva infilato un segnalibro e glielo diede. «Quando le farò un cenno, voglio che lei cominci a leggere senza mai fermarsi». Continuava a rivolgersi a lui dandogli del lei e la cosa gli rendeva il tutto ancora più surreale di quanto già non fosse. Erano anni che fantasticava sulla possibilità di avere un’esperienza erotica a tre, ma non avrebbe mai immaginato che il suo ruolo sarebbe stato quello del lettore o comunque del testimone. Qualche mese prima aveva letto che testimoniare e testimone derivano dal termine latino testiculos, che vuol dire “assistere a un’azione senza prendervi parte”. Pensò a quanto la definizione calzasse a pennello. Si sentì a tutti gli effetti un testiculos, anzi un vero e proprio coglione, e la cosa lo fece sorridere. Quando lei scomparve oltre la porta del bagno, lui diede un’occhiata al titolo del libro. Era L’amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence. Conosceva il romanzo, era stato costretto a leggerne alcuni brani quando studiava letteratura inglese al liceo. Era un libro scritto verso la fine degli anni venti ma che, a causa degli espliciti riferimenti di carattere sessuale e scuotendo i pregiudizi dell’epoca circa il piacere femminile e la virilità, era stato tacciato di oscenità e bandito in tutta Europa. Si ricordava vagamente anche la trama. Parlava della relazione amorosa tra una nobildonna inglese, sposata con un nobile tornato dalla guerra ammalato e impotente, e il suo focoso fattore. Leggendo le prime frasi si rese conto che il capitolo scelto dalla donna era quello in cui la nobildonna si presentava a casa del suo fattore vestita solo di un impermeabile. Pensò che la scelta non fosse casuale. Alzò la testa e diede un’occhiata al suo giovane compagno di avventura. Era in piedi davanti al letto e lo guardava con espressione beffarda. La cosa stranamente non lo infastidì. Per un attimo ebbe quasi la sensazione che quello più a disagio fosse proprio il giovane e la cosa gli fece provare addirittura un poco di simpatia nei suoi confronti. La porta del bagno si aprì. La donna indossava una corta sottoveste di seta nera che sembrava essere stata disegnata per esaltarne le forme. Gli uomini la osservarono in un silenzio religioso e carico di eccitazione. Il sentimento di empatia


26 che aveva nutrito fino a un minuto prima nei confronti del giovane si tramutò improvvisamente in invidia. Guardandola notò che si era completamente struccata. Si domandò curioso che cosa spingesse una donna, in un momento del genere, a rinunciare a ciò che era stato creato per farla apparire più affascinante, ma non seppe dare una risposta. Dovette ammettere però che, senza un filo di trucco, gli appariva ancora più bella. Non appena si distese sul letto, il giovane si lanciò sopra di lei come se fosse stato spinto da mille mani invisibili. «Aspetta, non avere fretta. Voglio vedere mentre ti spogli... fallo lentamente» disse lei allontanandolo in modo delicato ma deciso. «Davanti a lui?» domandò l’altro a disagio. «Lui non c’è, siamo solo io e te. E tu lo fai per me» lo tranquillizzò lei con voce suadente. Il giovane rimase in silenzio per un attimo poi si voltò verso di lui con un’espressione di scherno. «Beh, magari farò eccitare anche te». Glielo disse mordendosi il labbro inferiore in modo ironicamente provocatorio. «Difficile» replicò Tommaso. «Mi piacciono gli uomini con un seno prosperoso, però non è detto». Il ragazzo cominciò a spogliarsi fino a rimanere completamente nudo. Seduto sulla poltrona Tommaso lo guardava divertito e incuriosito. Nonostante i suoi movimenti fossero particolarmente sensuali e il corpo nudo obbiettivamente attraente, fortunatamente, si accorse di non provare nessuna particolare eccitazione. La cosa lo fece sorridere e tranquillizzò quella parte virile che ancora gli restava. Non appena il giovane ebbe terminato il suo provocante siparietto, lei gli fece cenno di avvicinarsi al letto. «Adesso mostrami quanto sei bravo... nel dare piacere». Lui le pose i palmi delle mani sulle cosce e lentamente fece scivolare la sua sottoveste verso l’alto scoprendone il corpo. Cominciò ad accarezzarla e a baciarle il ventre. Con un gesto lieve ma deciso lei lo convinse a spostarsi su di un lato e si alzò. Si diresse verso il tavolino dove aveva appoggiato la sua borsetta e ne estrasse una sciarpa di seta. Tornò a distendersi sul letto e si legò la sciarpa intorno agli occhi. «Adesso può cominciare a leggere... e lo faccia entrando nel racconto, dimenticandosi tutto il resto». Lui cominciò a leggere, dapprima in modo distaccato, lanciando ogni tanto uno sguardo verso il letto. Il corpo della donna cominciava a


27 muoversi seguendo le carezze e i baci del giovane e il suo respiro iniziava a cambiare per farsi via via più profondo. Poi, man mano che entrava nel vivo della storia, gli sguardi si fecero più rari fino a quando, senza che se ne accorgesse, terminarono del tutto e furono sostituiti dalle immagini e dalle emozioni che il libro suscitava. Erano il fattore e la nobildonna che sentiva gemere di passione, era lei che vedeva arrossire di vergogna e di piacere pensando al marito che l’aspettava nella sua stanza. Lo svegliò il calore di un corpo nudo accanto al suo e il rumore lieve di un respiro accanto alla sua bocca. Non si era neppure reso conto di essersi addormentato ma non aveva ancora voglia di svegliarsi del tutto. Si stirò con un sospiro ma decise di rimanere ancora un attimo ad occhi chiusi godendo del calore di quel corpo e ascoltandone il respiro regolare. Il suo braccio si trovava sulla schiena di quella nudità e ne apprezzava la superficie liscia e vellutata. Mantenendo gli occhi chiusi cominciò ad accarezzarla delicatamente. Fu un improvviso russare che lo costrinse ad aprire gli occhi. Accanto a lui giaceva il corpo nudo del giovane stallone che stava dormendo profondamente. Con un urlo strozzato ritrasse il suo braccio dalla schiena dell’altro e si alzò dal letto disgustato. Diede uno sguardo intorno alla stanza. Della donna non c’era nessuna traccia. Il libro era scivolato ai piedi del letto e un raggio di sole filtrava dalla spessa tenda che copriva la porta finestra. Con una sorta di mascherato piacere si rese conto che, almeno lui, indossava ancora tutti gli indumenti. Controllò che ore fossero: le sei del mattino. Aveva giusto il tempo di arrivare a casa per una doccia. Senza dire una parola si diresse verso la porta e uscì ma, prima di richiuderla dietro di sé, tornò nella stanza e raccolse il libro da terra. Giunto alla reception si accorse che il portiere era cambiato. «Buongiorno, dovrei ritirare...» stava per dire “il mio documento” ma poi si ricordò che era stata lei a organizzare la serata e lui, come il bell’addormentato, non aveva consegnato i documenti. Il portiere lo fissò in silenzio aspettando che terminasse la frase poi, dopo aver atteso in modo educato per alcuni secondi, gli rivolse un cortese: «Sì?». «Niente, mi scusi. Pensavo di dover ritirare la mia carta d’identità ma mi sono ricordato che la registrazione è stata fatta dalla mia... amica». «Vuole che le faccia servire la colazione?» chiese inaspettatamente il portiere.


28 «Ehm, no grazie... Devo andare. A proposito c’è ancora una persona in camera». «Sì, lo so» rispose il portiere con un sorriso. Tommaso fece per girarsi ma lo assalì il rimorso di lasciare il conto del motel al giovane stallone. «A proposito, quanto le devo?» chiese estraendo il portafoglio. «Nulla, ha già pagato tutto la sua... amica... includendo tra l’altro anche la colazione». Lui lo guardò a bocca aperta. «Ha pagato tutto la mia amica?». «Sì e mi ha anche pregato di non disturbarvi fino a quando lei e il suo... amico non vi foste risvegliati» terminò la frase in un modo velatamente allusivo. Un’allusione che, seppur velata, a Tommaso non piacque per nulla. «No, guardi, non è come pensa». «Ma io non penso niente» si schermì l’altro con un sorriso. «Ecco bravo, non pensi niente... quindi... buongiorno». «Buongiorno a lei, signore».


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CAPITOLO IV

Sembrava che tutto l’ufficio fosse in preda a un’eccitazione incontrollata e incontenibile. Lorenza e Monica lo aspettavano accanto alla macchina del caffè con un’espressione tesa, e gli altri, non appena lo videro entrare, uscirono con un balzo dai loro box per andargli incontro. «Che cosa è successo? È morto qualcuno?» chiese lui entrando calmo nel suo ufficio seguito da tutti gli altri «Sono già qui!» rispose Lorenza con un filo di voce. «Chi?» domandò lui confuso. «Come chi? Tommaso non fare lo scemo! Sono già arrivati quelli della Seflon... la responsabile marketing della Seflon Italia in persona e il suo assistente. Sono in sala riunioni con Arturo» rispose lei con un sospiro. «Ma l’appuntamento non era alle undici? Non sono neanche le nove!» esclamò lui di malumore. «Hanno telefonato stamattina alle otto chiedendo di anticipare la presentazione perché uno degli altri studi pubblicitari aveva posticipato la sua». «Complimenti, uno dei grandi e prestigiosi studi può permettersi di posticipare il suo appuntamento e noi siamo costretti ad anticipare il nostro!». «Che cosa vuoi che ti dica? Così è la vita. Tutto ciò che accade fa parte di un disegno divino» replicò lei con un sospiro rivolgendo gli occhi al cielo. «Se tutto ciò che accade facesse parte di un disegno divino sarebbe meglio che Dio smettesse di fare degli schizzi incomprensibili e si iscrivesse a qualche corso di disegno o si dedicasse un po’ di più alla lettura». «Ma Tommaso... non pensavo fossi così miscredente» replicò lei. «Tesoro, ho cominciato ad avere qualche dubbio sull’onnipotenza e onniscienza di Dio quando ho letto che aveva creato gli uomini a sua immagine e somiglianza».


30 «Beh, in effetti con te e con Arturo... qualcosa gli deve essere andato storto» rise lei di gusto. «Comunque, ho bisogno di un caffè e di una sigaretta». «Il caffè te lo porto subito, ma ti sei dimenticato di indossare la cosa più importante» replicò Lorenza con calma. «Cosa?». «Il sorriso... quando ci si alza non si deve mai dimenticare di indossare un sorriso». «Stai seguendo un corso serale di filosofia zen o cosa?». «O cosa» rispose lei senza scomporsi mentre gli porgeva il caffè. Lui prese il bicchierino, ingoiò il contenuto in un’unica sorsata e si accese una sigaretta aspirando un paio di boccate. «Bene, che te ne pare di questo sorriso? Come mi sta?». «Potresti fare di più, ma è meglio di niente. Adesso però sbrigati, se no ad Arturo comincia a sanguinare l’ulcera». Quando giunse alla sala riunioni la donna era di spalle, in piedi davanti alla finestra. I capelli lunghi e biondi le arrivavano sulle spalle e il completo di lino le fasciava il corpo accarezzandone le perfette curve. «Buongiorno a tutti e scusate il ritardo, ma è lunedì» disse Tommaso in modo allegro dirigendosi ad ampie falcate verso il tavolo che lo separava dalla donna. «Dottoressa Gabrielli, le presento Tommaso De Bellis, mio socio nonché creativo dello studio» esordì Arturo in modo esageratamente cerimonioso. Lei si voltò proprio mentre Tommaso si era lanciato per appoggiare entrambe le mani sul bordo del tavolo per allungarsi in un saluto. Quando la vide, per un attimo, il suo cuore smise di battere. Nonostante fosse vestita e non nuda, come l’ultima volta che l’aveva vista, la riconobbe immediatamente. La sorpresa fu così grande e l’impeto con il quale si era gettato verso il tavolo così brusco che non poté effettuare un corretto movimento. I palmi delle mani che, secondo quanto previsto, avrebbero dovuto appoggiarsi sul piano per sostenere il peso di tutto il suo corpo, in realtà caddero nel vuoto dieci centimetri prima del dovuto, non prima però che il suo mento picchiasse violentemente sulla superficie del tavolo. Il colpo fu così violento che fece rimbalzare Tommaso all’indietro e lo fece terminare seduto sul pavimento a gambe larghe. Arturo lanciò un urlo portandosi una mano sul petto e l’altra sulla bocca. Monica rimase ferma e impassibile accanto al proiettore


31 come se nulla fosse successo. Per alcuni secondi Tommaso rimase a terra stordito e confuso, come un vecchio pugile che aveva appena subìto il colpo del K.O. Poi, a poco a poco, massaggiandosi il mento indolenzito, si sollevò e si mise davanti alla donna. Il sorriso formale che aveva visto disegnato sul volto di lei prima di cadere, era scomparso e al suo posto c’era un’espressione di divertito imbarazzo. I loro sguardi si incrociarono in modo bizzarro e, per alcuni istanti, nessuno dei due osò dire una parola o fare un gesto. Poi, riprendendo il controllo e ridisegnando un sorriso di circostanza, fu lei a rompere gli indugi. «Buongiorno dottor De Bellis, piacere di conoscerla. Non c’è che dire... un’entrata in scena davvero scoppiettante». «Beh, lo ammetto, l’ho provata molte volte in privato senza aver avuto mai il coraggio di replicarla in pubblico. Per essere la prima volta, direi che non è venuta male... ma si può sempre migliorare» replicò lui massaggiandosi il mento. «A parte queste sue entrate in scena con effetti speciali, ho sentito parlare molto bene di lei nel mondo della pubblicità... spero non mi deluda». «Nel nostro mondo, a volte, si parla molto bene dei colleghi per creare grandi aspettative nella segreta speranza che poi vengano deluse». «Ha ragione, però non capita solo nel mondo della pubblicità purtroppo. Comunque sarà lei a dimostrarmi il contrario... spero». «Bene, a questo punto possiamo sederci e vedere che cosa ci ha preparato Tommaso» disse con entusiasmo Arturo dopo essersi ripreso dallo spavento. Accogliendo l’invito del socio, Tommaso fece un cenno a Monica che, immediatamente, oscurò le due finestre della stanza e accese il proiettore. Nella penombra della stanza, con voce profonda e calda, Tommaso cominciò la sua presentazione. Erano i momenti che lo facevano sentire un dio, onnipotente e onnisciente. «A cosa serve un messaggio pubblicitario? Un messaggio pubblicitario ha due funzioni costitutive: è un mezzo per dare informazione, attraverso un linguaggio razionale, ma è anche, o soprattutto, uno strumento di persuasione attraverso un linguaggio emozionale. È un’unione di elementi già fissati e conosciuti e di elementi del tutto nuovi. Come ricordava Umberto Eco il “discorso pubblicitario riesce convincente solo là dove gioca su sistemi di attese già assestati. In altri


32 termini, il discorso pubblicitario riesce a convincere il suo destinatario solo di ciò che conosce, o crede, o desidera già”. Visto che questa è la prima volta che abbiamo l’occasione di occuparci del lancio di un profumo, ho voluto analizzare tutte le campagne pubblicitarie proposte finora per cercare di capire se questi elementi ci sono e in che cosa si differenziano. Ho rivisto non solo le vostre campagne precedenti, ma anche tutte quelle dei vostri concorrenti. Il risultato è stato per certi versi sorprendente. Sono tutte uguali! Cambia solo il testimonial: uno splendido ragazzo dal corpo perfettamente modellato, se il profumo è maschile, una splendida ragazza o attrice di successo nel caso di un profumo femminile. Il tutto viene proposto in ambientazioni lussuose o surreali fino a quando una voce con accento francese esclama nell’ultima scena il nome del prodotto. Tutte campagne rigorosamente uguali che tendono ad associare il testimonial e l’ambiente in cui si muove al profumo proposto. Noi abbiamo pensato a qualcosa di totalmente innovativo, quasi rivoluzionario, se consideriamo i precedenti. La crisi economica degli ultimi anni ha cambiato il modo di vivere di molte persone, ne ha trasformato o rivoluzionato le priorità, ha mostrato alla gente quanto sia difficile vivere nel mondo reale, un mondo fatto di persone che lottano quotidianamente con problemi autentici. La nostra proposta è mettere al centro della campagna la vita vera delle donne, quelle che portano a scuola i bambini e che poi corrono al lavoro, quelle che con una mano cucinano e con l’altra telefonano, studentesse sull’autobus che studiano prima di recarsi a scuola, quelle che dopo una giornata di lavoro in fabbrica o in ufficio devono fare i lavori domestici. Donne che molte volte non si piacciono o che pensano di non piacere, circondate da mariti, da fidanzati, da colleghi o da amici che sembrano non accorgersi di loro, del loro ruolo, della loro bellezza... fino a quando, regalandosi un attimo, si mettono una goccia di profumo... e la fanno sentire. Non a caso propongo come frase finale: tu sei bella... fallo sentire. «Mi faccia capire, la vostra proposta prevedrebbe delle donne... normali?» chiese lei a presentazione conclusa. «Non donne normali... vere» rispose lui con voce suadente accendendo le luci della stanza. «E prevederebbe anche degli uomini...veri?». «La presenza degli uomini... di uomini veri... è molto importante».


33 «Ma stiamo parlando di un profumo da donna» replicò lei poco convinta. «Lo so, ed è proprio per questo che dobbiamo inserire anche degli uomini» replicò lui sorridendo. «Non capisco». «La donna non sceglie un profumo solo perché le piace, lo sceglie con la segreta speranza che piaccia all’uomo. Il profumo deve piacere alla donna, ma deve colpire l’uomo, in un seducente gioco nel quale preda e predatore si confondono, o si fondono» la rimbeccò lui entrando con forza negli occhi di lei. Lei lo fissò per un attimo senza parlare. In quell’attimo a lui sembrò di vedere le sue pupille dilatarsi per un sottile piacere. Ma l’attimo scomparve e lei tornò immediatamente a ricoprire il ruolo per il quale veniva profumatamente pagata. «Donne vere, uomini veri, vita di tutti i giorni... Si rende conto che in questo modo cambierebbe completamente il nostro target?» chiese con un sospiro di riprovazione. «Pensavo che il vostro obiettivo fosse vendere» rispose lui deciso. Lei aprì la bocca per ribattere, ma poi la richiuse senza dire nulla. «Il target di un profumo da donna non è un tipo particolare di donna... è la donna» aggiunse lui in modo complice. «Devo essere sincera... non è proprio ciò che noi avevamo pensato. Quando ho proposto al vostro studio e agli altri studi di progettare una campagna per il lancio del profumo, avevo spiegato chiaramente quali dovessero essere le caratteristiche della pubblicità in termini di location e di protagoniste. Abbiamo predisposto un budget cospicuo per l’affitto della villa e per il cachet della modella... che tra l’altro è la più famosa del momento». «Sì lo so, ma sono proprio la location e la modella che renderebbero la campagna troppo irreale». «Irreale? Quello che noi vogliamo vendere alle donne è un sogno» affermò lei con un sorriso. «È vero, ed è quello che voglio anche io, ma se vogliamo che succeda non possiamo illuderle. Devono potersi riconoscere nei sogni che le suscitiamo... devono poter pensare che potrebbe succedere anche a loro, nella vita di tutti i giorni, senza essere quello che non sono... una splendida top model con accanto un giaguaro che le fa le fusa in una casa da sogno che non potranno mai avere. Dobbiamo convincerle che


34 quel sogno, potrebbe anche diventare una splendida realtà» terminò lui in modo volutamente suadente. «Strano... gli altri studi pubblicitari hanno accolto con entusiasmo le nostre proposte e ne sono stati contenti». «Questo è proprio ciò che non vogliamo» sottolineò lui accendendosi una sigaretta e dirigendosi verso la finestra aperta. «Che cosa?» chiese lei incuriosita. «Accontentare il committente». «Ah no? E che cosa volete?» chiese in modo sarcastico. «Noi vogliamo accontentare e convincere il cliente del committente». «Questo vuol dire che non seguireste i nostri suggerimenti?». «No, questa è la filosofia del nostro studio». «Anche se questa... filosofia, come la definisce lei, vi portasse a perdere un potenziale cliente come noi?» chiese lei in modo provocatorio. «Sì» rispose lui in tono di sfida. «Beh, credo che il mio socio non volesse dire proprio ciò che ha detto. Magari potremmo riflettere con più calma sui vostri suggerimenti e trovare un compromesso interessante» disse Arturo guardando il suo amico con un misto di rimprovero e di supplica. «Io invece credo che il suo socio creativo volesse dire proprio ciò che ha detto. Vero?» domandò lei alzandosi. «Esattamente ciò che ho detto». «Bene, è stata una discussione molto franca, per alcuni versi interessante ma, ahimè, dal punto di vista professionale, alquanto deludente. Credo che tutti abbiano perso inutilmente tempo e soldi. Due beni preziosi in questo periodo» disse lei con un sorriso allungando la mano verso di lui. «Può darsi che abbia perso un poco del suo tempo prezioso, ma non soldi. Non le fattureremo il tempo e le energie impiegate per la proposta. Anche questo fa parte della nostra filosofia» replicò lui rispondendo alla stretta di mano. «Temo che seguendo la vostra filosofia non diventerete mai ricchi». «Può darsi, ma saremo sempre liberi... anche questa è una forma di ricchezza». «Può essere... ma è una forma di ricchezza che non ti permette di acquistare ciò che desideri». «Né di vendere ciò che non desideri» ribatté lui calmo.


35 «Parla della propria... anima?» domandò la donna fermandosi sulla porta. «Parlo del mio spirito libero». «Stia attento, a volte la ricerca della libertà a tutti i costi può farci perdere delle opportunità... piacevoli o irripetibili». Lo disse dopo un attimo di pausa, guardando verso la finestra e a lui sembrò che lo dicesse più a se stessa. «Non ci posso credere» disse Arturo non appena la donna se ne fu andata. «Abbiamo appena gettato dalla finestra la possibilità di fare il guadagno più grande degli ultimi dieci anni». «A me l’idea di Tommaso è piaciuta molto» disse Monica sbucando da dietro il proiettore. «Ti prego Monica, non ti ci mettere anche tu. La penserai diversamente tra qualche mese, quando avremo problemi a pagarti lo stipendio» replicò lui accasciandosi sulla sedia. «Sono convinta che ci arriveranno altre proposte» rispose lei scostando le tende. «Sì certo, qualche piccolo supermercato di quartiere o qualche parrucchiere per soli uomini» sbuffò lui. «Non preoccuparti, ha ragione Monica, troveremo qualcosa, anche se quel qualcosa fosse la pizzeria dell’angolo...ovviamente se la pizza che fanno mi piace» disse ridendo lui. «Prima o poi la mia ulcera gastrica mi ucciderà» disse l’altro passandosi una mano sul ventre. «E sarà solo colpa tua... tua e di questa maledetta filosofia che ti ostini a voler seguire». «Questa filosofia è quella che ci ha portato a vincere due premi e a venire interpellati da una delle più grandi firme del mondo» rispose lui passandogli una mano sulla testa. «Interpellati ma rifiutati» replicò lui con una smorfia. «Non sono d’accordo, siamo stati noi a rifiutare di sottostare alle loro condizioni e poi non siamo stati ancora rifiutati... almeno non ufficialmente». «Pensala come vuoi, il risultato non cambia» rispose l’altro con un lamento. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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