RDNP - Racconti Da Non Pubblicare

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In uscita il 29/5/2015 (15,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2015 (4,99 euro)

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IVAN NANNINI ANNALISA COPPOLARO

RDNP

RACCONTI DA NON PUBBLICARE

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RDNP – RACCONTI DA NON PUBBLICARE Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-887-9 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Maggio 2015 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


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INTRODUZIONE

Racconti da non pubblicare nasce “casualmente” (ed è probabilmente rappresentato dal racconto a quattro mani che porta questo titolo). Nella raccolta sono inseriti, oltre a questo, quattro racconti lunghi di Annalisa Coppolaro e di Ivan Nannini, che spaziano su temi diversi: il desiderio, l’amore, la solitudine, l’amicizia, l’erotismo, la violenza, la mancanza, la lucida follia. Da qui il titolo: alcuni dei racconti nascono da corde interiori intime, talvolta di natura molto autentica, narrati scavando dentro se stessi con un processo non sempre facile. Storie diverse con un unico comune denominatore: qualcosa di grande che ci accoglie, il “sistema” inteso quasi come un essere vivente che l’uomo ha in qualche modo creato e che adesso brilla di luce propria e indirizza, e spesso condiziona, tutta la nostra esistenza. “Casualmente” è ad esempio un doppio racconto, frutto dell’incontro tra due personalità agli antipodi - diversa estrazione sociale, diverse esperienze personali, diversi stili nello scrivere - che qui raccontano lo stesso evento da due diverse prospettive. Dopo una serata tra amici all’insegna degli eccessi, il “personaggio maschile” investe sulla strada di casa qualcosa o qualcuno, ma quando scende terrorizzato a controllare non trova nulla se non un po’ di peli e del sangue sul paraurti. Da qui scaturisce una serie di strane conclusioni, coincidenze e decisioni azzardate dettate dalla sua visione non proprio lucida che lo spingono in un vortice da cui non potrà più uscire, coinvolgendo anche lei, il “personaggio femminile”, nella spirale di eventi che porteranno i due a non avere più la concezione della realtà effettiva, sostituita da una più pesante e autorevole realtà oggettiva. La morte di un anziano nelle vicinanze dell’incidente, la scarsa memoria del protagonista, l’auto ammaccata e la possibilità concreta di essere “beccato” in quanto unico possibile colpevole tolgono inesorabilmente ogni possibilità di scampo. L’attrazione e la pulsione sessuale di lui e l’infatuazione tenera e a tratti materna di lei giocano un ruolo chiave nei due racconti di questa notte, spingendo i protagonisti verso un punto di non ritorno, verso ciò che è più logico, facendosi trascinare stanchi e stremati dalla corrente verso il loro destino.


4 In pratica “Casualmente”, oscillando tra toni noir ed erotismo, tenta di portare all’occhio del lettore il grande tema delle “verità” e delle “realtà” oggettive e soggettive dove la percezione del singolo si scontra con quella degli altri e ancor di più con l’idea di una “verità assoluta” che sorregge il mondo in cui viviamo e che alla fine si trasforma inesorabilmente in qualcosa di molto stabile, dove gli uomini non hanno scampo e di cui possono solo accettare le conseguenze. Volutamente scritto dagli autori in modo diretto, spontaneo e genuino, cercando di togliere però ogni traccia di quel narcisismo che impedirebbe altrimenti al lettore di immergersi nei racconti paralleli e di vivere in modo naturale l’evoluzione degli stessi, “Casualmente” rappresenta la raccolta e in qualche modo la denota. Quello che accade nel corso del libro gioca spesso sul contrasto tra cosa appare e cosa è. I temi dei racconti sono sospesi tra prevedibile e inaspettato, gioco e trasgressione. “Pensiero nudo”, ad esempio, è la storia di una ultraquarantenne che durante un soggiorno a Londra si trova quasi per caso in una classe di disegno dal vero e si confronta per la prima volta con l’intrigante idea del rapporto tra modello e artista. Nello specifico, l’uomo italiano giovane e nudo che si trova davanti apparentemente disinvolto e in qualche modo disincantato la colpisce molto, e Marta non riesce a rimanere indifferente al processo creativo che ogni settimana si ripete nel corso d’arte in un centro vicino Soho. L’idea di osservare e riprodurre ogni piccolo particolare del corpo non esattamente perfetto del modello, ma stupendo agli occhi della donna, neofita nel mondo del disegno dal vero, ha un violento effetto su di lei, tanto che poi, incontrando per caso il giovane uomo in un supermercato, inizia a provare un interesse non solo prettamente “artistico” nei suoi confronti. Viene, però, anticipata nel fare la prima mossa dalla sua compagna di stanza, donna francese dal fascino ineffabile, la quale d’altra parte, al rientro da un appuntamento che le aveva nascosto, fa alla protagonista una rivelazione sconvolgente sul ragazzo. Da qui si scatena una serie di situazioni che porteranno i protagonisti verso un gioco di essenza e apparenza, provocazioni, desideri non soddisfatti e infine verso una proposta che lascerà senza parole gli stessi protagonisti… “Io e piero” narra una situazione unica tra i due protagonisti, certamente non una storia prevedibile, ma per molti versi divertente e sbalorditiva per i temi e i dialoghi che vengono a crearsi nelle pagine tra i due personaggi, Juri e piero… I due da molti anni vivono insieme senza in realtà conoscersi fino in fondo. Ma poi qualcosa cambia a un tratto, durante una delle loro passeggiate quotidiane… Juri è un giovane uomo in crisi e


5 piero è il suo cane. I temi dell’amore tra uomo e animale-umano – il cui nome è in effetti minuscolo per scelta dell'autore – e poi dell'amicizia, del dovere, della famiglia, del senso di colpa, ma soprattutto della comprensione istintiva tra due mondi differenti e, nel finale, un tema più delicato, quello delle scelte che talvolta si è costretti a fare nostro malgrado davanti alla malattia e alla morte del nostro amico animale, fa riflettere molto su questi argomenti e sulla responsabilità davanti a certi momenti dolorosamente inevitabili. Spostando la prospettiva verso temi universali e dilemmi che di frequente coinvolgono ognuno di noi. Il gioco alternato di violenza e sottomissione che nasce spesso tra rapitore e rapito è alla base di un altro “racconto da non pubblicare”. “Racconto numero 3” all’inizio sembra una semplice storia d’amore tra una donna divorziata e un po’ ingenua e un uomo di cui lei crede di potersi fidare, ma tutto si trasforma in un incubo quando lei viene rapita. L’alternanza tra attrazione e repulsione tra i due, gli accessi d’ira e di passione incontrollata portano a una trama dove equilibrio e follia si alternano, rivelando in ultima analisi che l’animo umano è insondabile e misterioso, sospeso a meccanismi psicologici che portano amore e odio spesso a confinare, o sconfinare, nei rapporti più intensi che viviamo ogni giorno. Il finale di “Racconti da non pubblicare” è affidato a “Sette chilometri nel deserto”, una favola vibrante e surreale narrata in un modo talmente diretto da suonare disarmante, centrata sulla vita e sul tema degli errori, dei complessi rapporti d’amore, il tutto trasposto in uno scenario quasi apocalittico dove la solitudine e l’incontro con se stessi, il rimorso, il dolore e il ricordo si fanno quasi tangibili nel dialogo tra il protagonista e una figura immaginaria che poi alla fine rappresenta il costante, talvolta scomodo, dialogo tra noi e la nostra coscienza.



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CASUALMENTE

Introduzione (Annalisa) Casualmente, di sera, incontri qualcuno che ti ispira un racconto. Misteriosa cosa, l'ispirazione. Camminare sotto la pioggia in una città stranamente silenziosa e dire la propria vita a qualcuno che appena conosciamo, ma che forse abbiamo incontrato mille anni fa. Lo guardi senza farti troppo notare e ripensi alla prima sera in cui l'hai visto, in paese, una sera umida proprio come questa, affacciato al finestrino della sua auto, e al buio ti era sembrato schivo, silenzioso, e le sue labbra un po' troppo grandi, e troppo giovane, un pochino sofferente… Strano. Forse da evitare. Poi ti eri detta che magari, chissà, poteva essere uno studente stimolante per quel tuo corso che aveva deciso di seguire. Sentirlo leggere in inglese mentre muoveva le mani eleganti ti era un po' piaciuto. Non avresti mai detto, quella sera, però, che un giorno ti avrebbe acceso così, che una notte intera avresti scritto pensandoci… E altri giorni, a lungo, entusiasmandoti per quella storia pazza, trasgressiva. Forse tutto era avvenuto davvero a causa della pioggia silenziosa, di quella strada lucida, delle vostre parole in quel bar. Serata insolita, voce fatta di brividi, lui che ti cammina accanto e che ti chiede un’opinione sul racconto che ha scritto, un racconto complesso, pieno di immagini e dolore. Forse vuole solo quello da te… forse solo un consiglio professionale e basta… eppure… eppure cammini con lui e l’euforia cresce. Non è come nessun altro, ora lo sai. E a un tratto il tuo umore cambia, e insieme la tua opinione, e ti chiedi come mai quella voce scura ti entusiasmi, voce intensa che parla direttamente alla tua anima. C’è poi il filo della scrittura che vi unisce, esile e forte, e scatta la curiosità di leggere e capire altre cose di quell’uomo che ride inquieto, di cui non sai quasi niente ma al quale non esiti ad aprire il tuo cuore. Comincia così, “casualmente”, il racconto più strano che io abbia mai scritto.


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Introduzione (Ivan) E adesso tocca a me… La conosco da un mese o poco più, è la mia insegnante di inglese ma se devo dire la verità, è stato un incontro diciamo “casuale”. Ho accompagnato mio padre alla presentazione, ho iniziato per caso e francamente credevo di non presentarmi neanche in seguito, ma non è stato così, forse perché il lunedì non ho un cazzo da fare, ma anche perché Fabio, mio padre, ha insistito tanto, ma soprattutto perché c’era qualcosa in quella donna che mi incuriosiva… ma non quella curiosità di leggere una notizia sul giornale o di vedere come va a finire un film… Forse qualcosa di più simile a un’esplosione da cui non puoi voltare lo sguardo per nessuna ragione. La prima sera a casa sua per la presentazione del corso era un fiume in piena, non erano passati quaranta minuti che già conoscevo gran parte della sua vita, i problemi con il padre per la sua partenza per Londra, la sua gravidanza, la sua infanzia, i libri che ha pubblicato, il tutto concatenato alla perfezione come fosse la trama di uno spettacolo teatrale. È così diversa da me che non poteva restarmi indifferente… Devo dire che, in verità, il fatto che lei avesse già pubblicato alcuni romanzi e che fosse così intraprendente poteva comunque servirmi… La possibilità di avere un parere su quello che avevo scritto da una persona diciamo “del mestiere” non era poca cosa, ma c’era di più… Chiamiamolo feeling o qualcosa del genere, è una di quelle persone che sanno in qualche modo sorprenderti e che per qualche motivo ti affascinano… Questo chiaramente non l’ho capito subito, l’ho sentito in particolare alla presentazione del suo ultimo libro, una raccolta di storie misteriose su chiese e pievi nella zona. Alla serata, come di solito accade, c’erano un sacco di personaggi, scrittori, storici, giornalisti che lei gestiva e muoveva come pedine su una scacchiera. Ma il punto dove veramente ho capito che la signora brillava di luce propria è stato alla fine della presentazione. Un piccolo buffet, con qualche bottiglia di vino bianco ma senza cavatappi… Ho creduto che fosse l’unica persona che si poteva permettere di allestire un aperitivo a bottiglie chiuse senza alcun imbarazzo… E non solo il suo di imbarazzo, ma quello di tutti i presenti compreso me. In seguito ho letto un suo racconto, ci siamo scambiati materiale e pareri, l’ho presa in giro per il suo lato extra-romantico che cozza con la mia sensibilità velata di cinismo e lei mi ha fatto incazzare in tutti i modi possibili e immaginabili. Mi sono affezionato.


9 Ho letto il tuo racconto, le dissi, è notevole, non c’ho dormito stanotte e mi fa tornare alla memoria sensazioni lontane, sei molto brava nel descrivere la gente, i personaggi, i luoghi ma soprattutto gli stati d’animo. Nessun appunto? Mi disse con lo sguardo di chi ha fame più di critiche che di lodi… sì, uno, sei troppo trattenuta. E adesso ecco la sua sfida, un racconto a quattro mani. Ho sempre pensato di essere troppo presuntuoso per scrivere qualcosa con qualcuno, per non parlare dell’odio profondo per la parola “condividere”, ma con lei per qualche strana ragione è diverso… torno a casa e lo leggo, mi faccio una sigaretta e le invio un sms: “Ritiro ogni critica sul tuo trattenerti.”


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UNO (Annalisa)

ore 16.30 nella mia posta elettronica “Ciao, ti mando il mio racconto, poi magari te lo stampo, a presto. È un racconto vivo, il suo, e per certi versi mi lascia stupita, per altri mi fa chiedere come mai sia stato scritto. La storia di un amore finito, o che sta per finire. Il primo passaggio che mi colpisce è “… vorrei tanto darle un bacio dietro il collo, spesso glielo davo prima di dormire e lei tirava su le spalle accennando un sorriso ed era il momento più bello di qualsiasi giornata…” Parole semplici eppure intense e dolorose: c'è un dolore e un’autenticità qui dentro che non trovo casuali. Ma quello che non riesco a capire è come mai mi intrighi così tanto. Otto anni meno di me, un modo di parlare chiaro e diretto che me lo fa sentire affine. Eppure nemmeno lo conosco. L'ho incontrato al mio corso, è gentile e giovane e mi piace molto. Mi piace, mi fa ridere e mi mette di buon umore. Continuiamo a mandarci messaggi in questa notte. Voglio sapere di più di lui e della sua vita, di suo figlio, della sua ex, del fatto che un personaggio del suo racconto si chiama quasi come me, sapere dei suoi pensieri, dei suoi sogni. Dalle carte del cielo è evidente: vi sono sottili e forti legami tra di noi, la Luna congiunta in Ariete ad esempio, il suo ascendente nel mio segno, il ricorrere della Bilancia, molte cose in segni d’aria, e poi totalizziamo 9 su 10 di fattore affinità. Non è un caso. “Niente succede per caso”, gliel'ho pure scritto in un messaggio. Sono stranamente sola in casa per una notte intera, i ragazzi e mio marito sono a dormire dai nostri amici e mia mamma è a casa di zia Giulia. Leggo e rileggo il commento a un racconto che gli ho mandato, dice che lo ha tenuto sveglio perché non riusciva a smettere di leggerlo. “Sì, mi piace… Mi fa salire un sacco di sensazioni vissute…” Il suo modo di esprimersi così fisico e sintetico, così viscerale, mi sconvolge. E da quel messaggio se ne scatenano altri. Lui mi incuriosisce. Il diabolico metodo degli sms è come una valanga, una cascata di parole che si inseguono sul piccolo schermo rosa. Fino a che non mi decido a dire basta,


11 lo sto “bombardando” e glielo dico. “Ora basta, buonanotte dalla tua strana prof.” Chiudo e penso che sono felicemente sposata e che non dovrei neanche pensarlo. Ma succede qualcosa mezz’ora dopo, qualcosa di strano e inaspettato. Ricomincia a piovere, è l’una e io sono sola, scrivo al mio computer rispondendo a delle mail. Silenzio in casa. Un fulmine squarcia l’aria e sobbalzo. Illumina le sbarre di legno della mia persiana di sala. Una macchina a un tratto si ferma fuori, la sento in strada e penso che il vicino sia tornato tardi. Un altro lampo e un tuono subito dopo, ho un brivido. Poi il rumore appena percettibile di qualcuno che bussa alla mia porta. Ho paura un solo istante. Sono sola in casa. Ma chi diavolo può essere a quest’ora? Vado alla porta. «Chi è?» sussurro. La mia gatta bianca e nera ha la schiena arcuata. Non ama i temporali e nemmeno gli sconosciuti. «Scusami, sono io… Mica potrei entrare per un attimo? Sei sola?» È la voce di lui. Lo studente. Il mio cuore per un attimo salta, fa una specie di capitombolo e poi torna al suo posto poco dopo. Cosa ci fa lui qui? Apro. È completamente bagnato, i suoi capelli ricci gocciolano acqua fredda. Lo prendo per un braccio e lo tiro dentro. «Ma cosa fai? Come mai sei stato alla pioggia? Vieni dentro!» Il mio istinto di “sorella maggiore” forse… o forse solo improvvisa tenerezza. Vedo che sta male. La sua fragile forza è proprio lì, davanti a me. La riconosco. Ha un’anima tormentata, che sento da sempre in lui. E lo conosco da un mese e venti giorni. Per istinto vado a prendere degli asciugamani, vedo che ha anche abiti zuppi, è fradicio. «Vai in bagno e cambiati» gli dico passandogli una tuta felpata di mio figlio. «Che cosa ti è successo?» chiedo poi. Lui scuote la testa. «Poi ti dico.» Lascia tracce bagnate sul pavimento. «Scusa, ti sporco tutta la casa.» Lo spingo sulla schiena per fargli capire che non mi importa niente, lo mando verso il bagno e decido di accendere il camino di cucina. Sul tavolo resti di avanzi di pane e della cena che ho mangiato almeno tre ore prima. Non mi frega niente però, accendo il fuoco, la stanza è in un terribile disordine. Lo sento starnutire nel bagno. Poco dopo arriva in cucina, indossa la tuta di mio figlio, grigia e calda, ma ha i capelli un po’ lunghi ancora bagnati. Prendo un asciugamano e senza esitare mi metto ad asciugargli la testa, davanti al fuoco che sta iniziando a bruciare nel cami-


12 no. Lui rimane immobile e mi lascia fare. E si crea un brivido, una sottile confidenza silenziosa. Ho un nodo in gola e non so perché. «Che hai fatto, me lo dici?» Lui è lì a testa bassa, occhi chiusi, mentre lo asciugo piano. «Ho investito qualcuno un’ora fa, ma ho avuto paura e sono andato via… Magari l’ho ammazzato.» Semplice e angosciante. Rimango in silenzio, sono allibita, ma allo stesso tempo vedo che ora piange, silenziosamente. Ho smesso, appendo l’asciugamano al termosifone. Non dico niente. Si fa una sigaretta con le mani tremanti, non chiede nemmeno se può fumare in casa, tanto sa che lo lascerei stare. Non so se rispondere al mio istinto e abbracciarlo, ma non faccio niente. Non mi viene in mente nemmeno di chiedergli come mai ha cercato me invece di andare da sua sorella o sua madre. È come se fosse naturale averlo qui in questa sera di temporale, mentre soffre. Ora se ne sta in silenzio e guarda un punto fisso nel vuoto. «Mi è entrato davanti all’auto, al buio, a un tratto. Un tonfo forte, terribile. Io sono rimasto fermo, poi non sono neanche sceso, ho messo la retromarcia, sono entrato in piazzetta e ho girato. Sono pazzo.» «Hai chiamato qualcuno?» «No, nessuno. Sono una merda. Pensa se l’ho ammazzato! Cosa faccio ora?… Verresti con me a vedere quel punto della strada? Vedere cosa c’è… Sangue, o chissà cosa? Ti prego, vieni con me.» Mi infilo una giacca di corsa e prendo un ombrello. Trema, è sconvolto e decidiamo di prendere la mia auto. Non è certo in condizioni di guidare. Mentre fuma le dita vibrano leggermente. Non diciamo niente per tutta la strada, lui guarda davanti a sé, a volte di lato, poi mi fissa per alcuni istanti, lo vedo con la coda dell’occhio, poi tira una boccata di fumo, poi si tiene la testa tra le mani. Non so cosa dire, ho un nodo in gola che mi blocca le parole, sento questo dramma come se fosse il mio e vorrei tanto stringerlo, rassicurarlo. Come posso pensare una cosa del genere? Capisco che è proprio quello che vorrei. Il tergicristalli scorre sul vetro formando mezzelune alternate mentre la pioggia fortissima colpisce il parabrezza con un rumore costante, inquieto. A un certo punto mi dice di fermarmi. Parcheggio e tiro fuori da sotto il sedile la mia torcia. Ci incamminiamo sotto l’ombrello verso il punto che mi indica. Guardiamo bene sulla strada, dappertutto. Non c’è segno di frenata, di sangue, o niente che possa far pensare a un investimento.


13 Lui non si dà pace e gira di nuovo intorno a sé, guarda, scruta con la torcia tutto il pezzo di strada raccontandomi che gli è apparsa a un tratto una massiccia forma da dietro un cespuglio e gli si è buttata davanti. Ora non piange nemmeno, è semplicemente sconvolto. Una luce dietro una persiana si accende, qualcuno ci sta guardando lì in strada. Decidiamo di spegnere la torcia e tornare in auto. Rimaniamo entrambi immobili nella macchina ferma, lui dice il mio nome, una volta, due, mi chiede scusa di avermi coinvolta in quella storia. «Non è un problema, con me puoi farlo, lo sai… Hai fatto bene a venire da me» dico d’un fiato. «Mi abituerò al tuo lato diretto… che tra l’altro mi piace.» Ripenso a uno dei suoi tanti messaggi. Sono istintiva e vera con lui, non so nascondermi, e non voglio farlo. Fin da subito ho saputo che non ce n’è motivo. «Comunque» mi viene da dire, «magari questa persona non si è fatta niente. Calmati per favore… vedrai che è tutto a posto.» Alza le spalle, scuote la testa. Poi sento il suo sguardo che mi cerca. La sua mano destra apre il finestrino, getta via quel che resta della sigaretta, chiude, poi la vedo muoversi nel buio. Grande e bella, si avvicina a me. Un solo istante, e sento le sue dita sul mio viso. Ho il volto in fiamme, non so cosa dire. Ma ora è tutto naturale. Non mi sottraggo, il tocco della sua mano è forte e caldo, mani da musicista, mani da ragazzo. Mani un po’ bagnate dalla pioggia, umide ma delicate su di me. Ho una vertigine improvvisa, volto la testa e lo osservo, nella debole luce del lampione. Vedo un riflesso che luccica un attimo nei suoi occhi scuri, socchiude lentamente le palpebre e ingoia, noto il collo muoversi piano. Riapre gli occhi. Un uomo che sa essere debole, ecco cos’è lui e mentre vorrei aiutarlo, sollevarlo dalla sua angoscia, la sua mano se ne va. La fermo, prendo quelle dita e per un attimo le porto alle mie labbra. Le bacio una a una. Ha le ciglia abbassate, poi le rialza e mi fissa. Mi sembra così bello. «Ti accompagno a casa… vuoi?» dico io. Ho paura di quanto sto facendo. Ma ho ancora la sua mano tra le mie. «Ti riporto io la macchina domani…» Lui non parla. È di nuovo perso, lo sento. «Cosa dico a mia madre se ho davvero investito un uomo? Che dico a mio figlio?» Ed è proprio lì che mi avvicino a lui lentamente e piano le mie labbra lo cercano. Scorro la bocca sulla sua fronte che ora si lascia baciare da me,


14 poi scendo sulle guance coperte di una morbida leggera barba appena accennata. La pioggia continua a correre sul vetro, colpendo ora con meno rabbia il parabrezza. Le mie labbra fanno un giro un po’ più lungo verso il mento, poi si fermano sull’angolo della bocca di lui. Ed è qui che sento le sue dita tra i capelli. Si insinuano tra le ciocche proprio dietro alla mia testa e mi attirano verso di lui. È un bacio a labbra chiuse prima, poi piano piano riesco a rilassarmi e schiudo la bocca, sento il sapore della sua lingua morbida e gentile. Sa un po’ di fumo e un po’ di frutta fresca. Non voglio più resistere, non più. Caduta libera dentro di lui. Ha i capelli ancora bagnati contro la mia pelle, li tocco piano e mi lascio finalmente andare a quel bacio disperato in mezzo alla notte. Disperato, a occhi chiusi, un flusso impazzito di emozioni. Pochi istanti, volo via. Dita che giocano sul mio collo, brividi. Labbra morbide come veli che parlano alle mie. Recupero la ragione. Sono io a sottrarmi allontanandomi piano. Mi gira la testa. Apro il finestrino. Ho il cuore a mille e il respiro corto. «Ti porto a casa» sentenzio guardando davanti a me. Sappiamo tutti e due che è la migliore alternativa che abbiamo. Metto in moto. Casa sua è a poche centinaia di metri da lì. Sotto casa sua, al buio, mormoriamo un ciao impaurito. «Ciao, grazie» e dice il mio nome. Lo sportello sbatte, rimango immobile per un secondo con il piede sulla frizione. Cammina nel buio con quel passo un po’ scostante che adoro. Si gira, torna indietro. Ingoio, lo vedo tornare al finestrino punteggiato di pioggia. «Posso venire da te? Dormo sul divano.» Non doveva dire questo. Non so più ora come dirgli di no. Lo faccio salire. Seduto accanto a me, inizia a parlare. È un fiume in piena. «Ti rendi conto di cosa ho fatto? Non ho soccorso una persona… investita da me! Capisci? Non dovrei stupirmi se mia moglie mi ha lasciato, sono così… irresponsabile. Il mio senso di civiltà e di giustizia non esiste. Vorrei sparire, stop. Mi vergogno troppo, non posso aver fatto questo…» Io sto guidando verso casa come in trance. Non so cosa dire, e non so nemmeno perché gli ho detto di sì. Ho il cuore in tumulto, tanti sensi di colpa mi assalgono. Un mio studente, un giovane uomo… in auto… sta venendo a casa mia con me… i vicini vedranno la sua auto. Tornerà mio marito il giorno dopo e lui magari non sarà ancora andato via. Ma cosa sto facendo?


15 «Non posso portarti a casa mia…» mormoro. «Ti prego…» mi fa eco lui. «Non riesco a stare da solo, ti prego. All’alba me ne vado.» Respiro a fondo. Non posso e non voglio sottrarmi ormai. Parcheggio in giardino. Entriamo, chiudo, trovo i suoi vestiti bagnati accanto al caminetto. Li metto ad asciugare, poi dovrò nasconderli e trovare una scusa quando mio figlio cercherà la tuta grigia. Sono le due ormai. «Vuoi qualcosa da bere?» dico sottovoce. «Una birra ce l'hai?» Apro il frigo, ce n’è una. La stappo e gliela passo. Il fuoco nel camino è ancora acceso, aggiungo qualche legno, vedo che mi guarda. «Tu non sai quanto è importante quello che fai per me stasera» mormora. Mi viene quasi da ridere. Sono in casa da sola con un uomo che conosco da un mese e che forse ha ammazzato una persona solo due ore prima. Un uomo che ho baciato e che ora mi fissa con una birra in mano. «Perché ridi?» «Perché sono pazza, e anche tu.» «Questo lo sapevamo.» Mi avvicino a lui. Forse non sono nemmeno io quella che cammina verso l’uomo con la birra in mano. Parlavo di lui alla mia amica Letizia ieri. «Si vive una volta sola» ha commentato. Prendo la birra dalle sue mani e la appoggio sul tavolo. È sorpreso, ha un lievissimo sorriso sulle labbra e le sopracciglia corrugate. Faccio quello che ho voluto fare fin dal primo giorno in cui ci siamo parlati. Gli vado vicino e lo guardo, poi chino la testa verso il suo collo e lo bacio. Lo bacio a lungo, dal collo verso il mento, lungo la guancia che già conosco e mi fermo un istante. Sento le sue dita tra i capelli, di nuovo, mi toglie il fiato. Poi deliberatamente metto le mani sotto la sua felpa. La sensazione di una pelle mai toccata prima è sempre come una scossa elettrica. La sua è bella e liscia. "Dicono che non si può rinascere, facile dirlo per chi non ha incontrato la tua pelle…" Il verso di una canzone mi viene in mente, che stupida che sono. Mi lascia fare e so quello che vuole adesso. Alzo la felpa, la sfilo. Rimango davanti a lui immobile. Ha un colore oro chiaro, lo stesso che ho visto in una foto di lui al mare. Appoggio le labbra proprio sotto il collo, dove inizia il petto che si alza e si abbassa più in fretta adesso. Le dita di lui mi toccano le spalle, il collo e poi più giù, sulle punte del mio seno in attesa. Sono senza fiato ma sono di nuovo io a dirigere il gioco ora.


16 Scorro con le labbra fino alla vita, ma prima mi fermo sul lato destro del suo corpo di seta dorata. La striscia di pelle che corre dalla sua ascella fino al lieve rigonfiamento del fianco. Un luogo che adoro. Ha un leggero odore di muschio e fumo. Poi scendo piÚ in basso, percorrendo il centro del costato, quel solco bellissimo e morbido che come il letto di un torrente mi guida all’isola perfetta del suo ombelico. Niente cintura, solo l’elastico della tuta di mio figlio. Smetto di pensare mentre approdo esattamente dove vorrei. Dove le mie labbra sono richieste. Perfezione assoluta di un sogno che terminerà con la luce del mattino.


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UNO (Ivan)

Sono mezzo ubriaco e ho fatto pure due tiri di una canna d’erba. Eppure lo dico sempre, se bevo non fumo, se fumo non bevo, ma poi bevo e fumo e chi se lo ricorda dopo? Una cena con degli amici, due palle mortali, decido di tornare a casa presto quella sera, appena uscito salutando tutti scivolo per le scale, ma il fato vuole che non cada, forse per farli ridere un po’ e farmi dire frasi tipo “ma non era meglio che la smaltivi un attimo?” rispondo che sono tranquillo, che sto vicino e di non preoccuparsi. Salgo in auto e l’accendo, poco dopo sto percorrendo la strada per niente illuminata verso casa, c’è un vento della madonna e credo che quando si calmerà verrà giù il diluvio, e mi torna alla mente la mia prof. La chiamo così scherzosamente, abbiamo esagerato stasera con gli sms e mentre i miei pensieri si fanno pesantemente sessuali nei suoi confronti, mi rendo conto che a breve passerò nelle vicinanze della sua casa. Cazzo ma cosa mi viene in mente? Possibile che me la immagini mentre la scopo da dietro e lei guarda dalla finestra suo marito che taglia l’erba nel prato? Ma cosa m’hanno fatto fumare? Ma poi due tiri… Sto invecchiando, non reggo più un cazzo! Adesso invece la sto scopando in bocca, no dai, mi devo fermare un attimo, mi faccio una sigaretta. Cerco la busta del tabacco, le cartine che sono cadute nel tappetino insieme ai filtri, tutto mentre guido, alzo la testa e faccio appena in tempo a vedere una sagoma scura che si butta davanti alla macchina. Un tonfo tremendo, un mezzo testacoda, una pioggia di cd, filtrini e spiccioli ovunque… è un cinghiale, oppure un capriolo o un’altra bestia abbastanza grande… Panico, era un uomo? No, non era un uomo. È solo uno di quei pensieri che ti fanno perdere un paio di battiti cardiaci, che ti inondano d’adrenalina… E se non sei più che lucido il terrore ti paralizza, devo scendere, devo andare a vedere. Neanche ho aperto lo sportello che inizia a piovere e mi viene in mente quel vecchio film di cui non ricordo il titolo, o meglio una scena del film, quella dove i due stanno scavando una fossa per sotterrare qualcuno e uno dice all’altro “non può andare peggio di così.” E l’altro “certo che può andare peggio… potrebbe piovere”.


18 Chiudo lo sportello, la pioggia mi sveglia un po’, sono tanti spilli sul mio viso, vado verso il punto dell’incidente, ma non c’è niente, solo un po’ di sangue e qualche ciocca di peli, mi faccio luce con lo schermo del cellulare, non sono così attendibile ma al momento mi convinco che non poteva essere altro che un cinghiale, sarà andato nel bosco. Torno alla macchina e mi siedo, mi faccio 'sta sigaretta, l’accendo e tiro una boccata a pieni polmoni, guardo se ho qualche sms sul telefonino, niente, poi un pensiero, uno di quelli automatici che nessuno vuole ammettere a se stesso e che di solito occupano una frazione di secondo… Di solito, da lucidi, ma non ora. Letteralmente: “Peccato che fosse un cinghiale, mi sarei fatto consolare volentieri da lei”. Eh no, non se ne va. Sto tremando, le gocce mi passano sui bordi degli occhi e io non batto ciglio, non posso veramente pensare questo, ma più lo dico e più ci penso e nella mente si trasforma, dev’essere così che inizia un errore, uno di quei grossi errori che ti cambiano per sempre la vita, tipo “non mi ama più, io la amo, lei ama un altro, lei non può amare un altro perché io la amo, la uccido, così non ama più nessuno”. E nel mio caso invece “mi batte in testa, lei è a casa, la casa è vicina, non posso andare con una scusa qualunque, le dico che ho investito un uomo, sono credibile, sono terrorizzato dalla serata e da questo pensiero, sì, sono credibile, lei mi fa entrare e scopiamo”. “Che poeta cazzo” avrebbe detto Marco, il mio migliore amico. Guardo l’ora sul cellulare, sono le una meno venti, le scrivo un messaggio? No, non mi farebbe di certo andare a casa sua, devo andare direttamente, adesso. Cazzo! Se non parto adesso non partirò mai più, cosa faccio? Fuori impazza la bufera e il cuore mi sfonda il petto, posso tornare a casa e domani svegliandomi mi sembrerà tutto così assurdo, la serata, l’incidente, i miei pensieri perversi… Ok, parto. Accendo la macchina e ingrano la marcia, posiziono i tergicristalli alla massima velocità, ma non serve a nulla, non vedo che la sottile linea bianca che divide le due carreggiate, la condensa peggiora le cose e io cerco di crearmi uno spiraglio con la mano. Dopo appena cinque minuti sono a poche centinaia di metri dalla casa della prof. Pensavo che sarei tornato a casa ma il cuore mi scoppia, arrivo allo svincolo e giro, o meglio, non sono io che svolto ma un altro, un demone ubriaco voglioso di eccessi e di emozioni forti. Un fulmine squarcia il cielo, era per me, penso, è dio che mi vuole fermare, vuole bloccare il demone! “Sei molto sfortunato”, gli dico con la


19 voce impastata da ubriaco a fine serata, “mi hai mancato!” Rido da solo, ma che cazzo ridi idiota! Sono arrivato. Entro nel piazzale di casa sua e smetto di ridere, torna quella sensazione, un misto di ansia, magone e desiderio perverso, mi fermo e spengo la macchina. Un minuto per riprendermi, frugo nel tappetino del sedile posteriore alla ricerca di una bottiglietta d’acqua che ho lanciato dietro nel pomeriggio, vado più a fondo con la mano, la sento e la tiro su dal tappo, l’apro e ne bevo metà con una velocità che neanche fossi disperso nel deserto del Sahara, la getto sul tappetino, guardo la casa e vedo che la luce è accesa, come un automa esco dalla macchina e mi dirigo verso la porta. Faccio un respiro profondo e delicatamente busso alla sua porta. Un attimo interminabile nel buio e nel silenzio con il cuore in gola e una flebile voce dall’altro lato della porta. «Chi è?» sussurra. «Scusami, sono io… mica potrei entrare per un attimo? Sei sola?» Forse non dovevo venire, se sfango la serata è un miracolo… Mi guardo intorno, mi sembra di vedere qualcuno, ma è solo un’ombra, come mai sono qui? Non faccio in tempo a rendermene conto che ha già aperto la porta, mi prende per un braccio e mi tira dentro. «Ma cosa fai, come mai sei stato alla pioggia? Vieni dentro» dice poi… Mi guarda un attimo e se ne va, non riesco ad aprire bocca, sono come paralizzato, hai visto che ci voleva per farti passare la sbornia stronzo? Sta cercando qualcosa, torna subito dopo con passo spedito e mi mette in mano una tuta grigia. «Vai in bagno e cambiati» mi dice, mi manovra come un burattino, sto sporcando dappertutto e lei spingendomi per la schiena mi chiede cosa mi fosse successo. «Poi ti dico» sussurro scuotendo la testa. «Ti sporco tutta la casa…» Senza dirmi niente mi spinge verso il bagno. Mi guardo allo specchio, che faccia di merda che ho… Sono invecchiato di almeno due anni stanotte. Mi lavo le mani e il viso e dopo mi asciugo passando l’asciugamano distrattamente anche sui capelli, lo lascio sul lavandino e ruoto la testa per sgranchirmi un po’, poi di nuovo lo sguardo sullo specchio. “Ma ti rendi conto di cosa cazzo stai facendo?” Le parole fuoriescono dalla bocca fluide, una specie di leggero rimprovero per quella faccia di merda che ho davanti… Di sicuro domani me ne pentirò. Mi tolgo i vestiti e mi metto la tuta, guardo la finestra e penso che potrei buttarmi, scappare, ma non lo faccio, starnutisco, mi ricompongo un attimo ed esco. Mi dirigo verso la cucina dove mi aspetta lei che ha appena acceso il fuoco, prende l’asciugamano e in un attimo comincia a strofinarmi i ca-


20 pelli, dovevo dirglielo che non mi piacciono tante cure… Neanche da piccolo, neanche mia madre o la mia ex… A nessuno l’ho mai fatto fare ma adesso che le dico? Mi sento già abbastanza una merda per dirle qualcosa, la lascio fare e poi per lei è cosi spontaneo che quasi mi abituo. «Che hai fatto? Me lo dici?» mi chiede continuando ad asciugami i capelli. «Ho investito qualcuno un’ora fa, ma ho avuto paura e sono andato via. Magari l’ho ammazzato.» Mi viene da piangere… E poi dicono che non sono un granché come attore, guardatemi ora, buona la prima! Smette di asciugarmi e resta immobile in silenzio. Tiro fuori il tabacco dalla tasca dove l’avevo messo prima e mi faccio una sigaretta, l’accendo, tiro una boccata e mi metto a fissare un punto preciso della stanza. «Mi è entrato davanti all’auto, al buio, a un tratto, un tonfo forte. Terribile. Io sono rimasto fermo, poi non sono neanche sceso, ho messo la retromarcia, sono entrato in una piazzetta e ho girato. Sono pazzo» le dico mentendo, senza muovere lo sguardo, «Hai chiamato qualcuno?» mi dice fissandomi in silenzio, tolgo lo sguardo dal nulla e lo poso su di lei. «No, nessuno. Sono una merda. Pensa se l’ho ammazzato! Cosa faccio ora?… Verresti con me a vedere quel punto della strada? Vedere cosa c’è… Sangue, o chissà cosa? Ti prego, vieni con me.» Senza dire una parola si dirige verso l’attaccapanni, si infila la giacca e prende un ombrello, io la seguo, usciamo e decidiamo di prendere la sua macchina, mette in moto, stiamo in silenzio, sono a disagio, mi guardo intorno, poso lo sguardo su di lei e faccio un tiro di sigaretta. La macchina e la pioggia incessante mi cullano un po’ e dopo un paio di km arriviamo in prossimità dell’incidente. «Puoi fermarti, è li in fondo che è successo.» Mette la freccia, rallenta, accosta e prende da sotto il sedile una torcia. Usciamo riparandoci sotto l’ombrello e ci incamminiamo verso il punto esatto, non si vede niente, la pioggia ha tolto ogni traccia, ci spostiamo più in là e poi torniamo, guardo in ogni punto della strada. Non c’è niente, avrei voluto vedere meglio ora che l’ho smaltita un po’ e magari ci potevamo rendere conto entrambi che era solo un animale, potevo smetterla con questa commedia, ma soprattutto sarebbe stata una conferma anche per me. No, non se ne parla, niente conferme. Il dubbio mi assale prepotente, sensazione di ansia mista a magone e infiniti sensi di colpa. Ho investito un uomo, penso, no dai, non è possibile, ero ubriaco ma quelle tracce


21 appartenevano a un animale; eppure quella sensazione non se ne va, giro intorno a me stesso, non so che fare, non so che dire, sento il suo sguardo su di me, cosa penserà? Che sono pazzo? Pazzo, triste e rompicoglioni a quest’ora della notte… Si accende una luce nell’abitazione di fronte, la vedo attraverso la persiana, spengiamo la torcia e ci incamminiamo verso l’auto. Entriamo, seduti immobili uno accanto all’altra, le chiedo scusa per averla coinvolta in questa storia e lei mi risponde che non c’è problema e che ho fatto bene ad andare da lei. Stanotte ci tiro le cuoia, penso, il cuore impazza, troppe emozioni, dubbi, sensi di colpa, adrenalina e ormai anche i sintomi del post sbornia ma soprattutto attrazione, sì… Questa donna mi fa sangue, la guardo e il resto svanisce, il cuore aumenta il suo battito e l’uccello si drizza, non so chi ma qualcuno l’ha detto… Durante la creazione all’uomo è stato assegnato il cervello e il pene… Ma è stato fornito di una quantità di sangue sufficiente per farli funzionare solo uno alla volta… Sì, adesso funziona solo lui. A un tratto la voce di lei interrompe i miei pensieri. «Magari questa persona non si è fatta niente, calmati, per favore… Vedrai che è tutto a posto.» Scuoto la testa e la guardo di nuovo, mi volto, faccio un tiro di sigaretta ormai al filtro, apro il finestrino e la butto, lo chiudo e il mio sguardo si posa di nuovo su di lei. Gitana, piena di fronzoli e ciondolini, capelli scuri e mossi, sguardo minaccioso e attraente, sensuale ma allo stesso tempo distaccato, fuori dal tempo. Avvicino la mia mano al suo viso, la accarezzo lentamente, si lascia accarezzare ma non si lascia andare, certo, lei ha abbastanza sangue per tutti e due gli organi… Anzi, lei ha un solo grande organo. Mi dice che può accompagnarmi a casa e che magari posso riprendere la macchina l’indomani, io mormoro qualcosa e lei si avvicina lentamente, mi bacia e il fatto che non si può fare aumenta l’attrazione, un gioco che non si può fermare, due calamite che non si possono allontanare, ma poi una forza improvvisa, distacco traumatico… «Ti porto a casa» mi dice guardando avanti e accende il motore. La macchina si muove e io penso che deve essere così che si sente un bambino che viene al mondo, strappato dal suo ambiente naturale. Poco dopo siamo sotto casa mia, è tardi, ma ci sono ancora delle luci accese che si intravedono dietro alcune tende e persiane, ci salutiamo e la ringrazio uscendo dalla macchina e mi incammino verso casa, adesso me ne vado a letto penso, sì… E poi? E poi dormi stronzo! Faccio altri due passi e mi volto, sì… E chi dorme? Vado verso di lei, non posso fare


22 altro, la mia calamita è molto più potente, o forse è la forza che vorrebbe strappare 'sta cazzo di calamita, portarla in casa, metterla a letto, e farla stare zitta e ferma che è molto più debole. Mi avvicino e le dico, buttando nel cesso anche l’ultimo barlume di stima di me… «Posso venire da te? Dormo sul divano.» Non risponde ma acconsente, prendo a parlare, l’imbarazzo mi fa dire cose allucinanti… tipo: «Non ho soccorso una persona, capisci?» E ancora: «Il mio senso di civiltà e di giustizia non esiste!» e addirittura: «Non dovrei stupirmi se mia moglie mi ha lasciato, sono così… irresponsabile!» Irresponsabile… Forse la parola giusta è stronzo visto che l’hai tradita con una cameriera di ventidue anni… Sei un idiota che si scava la fossa da solo e tutto per un problema idraulico del tuo corpo. Mi sveglio dal torpore dei miei pensieri e mi volto verso di lei che con voce fredda e senza neanche voltarsi mi dice che non può portarmi da lei. «Non posso stare da solo, ti prego» le rispondo, «all’alba me ne vado.» Senza dire una parola, continua a guidare con lo sguardo fisso sulla strada e poco dopo siamo sotto casa sua. Entriamo e senza dire una parola si dirige verso il camino, prende i panni ancora zuppi che ho lasciato appoggiati lì vicino e li mette ad asciugare, poi si volta e mi chiede sottovoce se voglio qualcosa da bere. «Una birra ce l’hai?» le rispondo. Apre il frigo, dà un’occhiata, ce n’è una, la stappa e me la passa, ne bevo metà con un sorso mentre lei getta due legni nel camino, la osservo. «È importante quello che fai per me stasera» le dico. Si volta e accenna un sorriso. «Perché ridi?» Abbassa lo sguardo sorridendo: «Perché sono pazza e anche tu.» Si avvicina e mi toglie la birra dalle mani, mi bacia sul collo, mi mette le mani sotto la felpa e io le tolgo i vestiti, ci baciamo, ci lecchiamo, ci mangiamo e tutto il resto non esiste, sprofondiamo l’uno nell’altra fino alle prime luci dell’alba.


23

DUE (Annalisa)

Quando mi sveglio lui è già andato via, devo averlo sentito verso le sei e qualcosa mentre buttava il telefono a terra e lo rimetteva insieme, ma ero in una specie di dormiveglia e poi l’idea che avesse dormito nel mio letto mi sconvolgeva. Ho finto di dormire. Mi sono alzata, poi ho mangiato qualcosa di fretta e mi sono messa al volante. Ora per strada accendo la radio, perché devo assolutamente capire se il notiziario parlerà dell'incidente… Spero di no… Lo spero con tutta me stessa. “Sono le sette e zero due. Buongiorno ai radioascoltatori. Stanotte…” Trattengo il respiro. Una valanga di notizie regionali, poi la voce parla della nostra zona. “Un pirata della strada ha investito ieri notte un anziano di settantatré anni…” Mi sento quasi male. “È accaduto al chilometro 18 della strada statale…” Faccio mente locale. No. Non è quello il punto dove siamo stati insieme la notte prima. È a qualche chilometro di distanza. Possibile… che si sia sbagliato? Afferro il cellulare, gli mando un messaggio, forse sta andando a portare il figlio a scuola, ma so che sta anche ascoltando le notizie. "Ma dove ti è successo? Non mi sembra che il punto coincida". Attendo impaziente il rumore del cellulare, come accade ormai da qualche giorno. So che sarà il suo messaggio. Lo leggo. "Non capisco. Non capisco più niente. Vieni da me quando esci da lavorare". Rimango a pensare. Non dovrei andare da lui e lui non può venire da me. Non rispondo. "Vieni solo dieci minuti, per favore". Un altro. Scrivo un "ci provo", poi porto i ragazzi a scuola, vado in ufficio, lavoro fino alle 13 pensando spesso a lui. Alle mani sul mio viso, alle mie labbra che percorrono il suo corpo. Penso a lui, a come sarà sconvolto, a cosa farà in quel momento, se ci sono i suoi amici con lui come mi aveva un po’ anticipato il giorno prima, o se invece è solo e angosciato, se magari andrà a lavoro… no… non ci andrà. Forse sarà ancora paralizzato dalle domande e dai dubbi, dalla paura, o magari… magari gli è rimasto qualcos’altro in mente. Chissà se alcuni flash di quella pazza nottata gli appaiono ora in mente come un lampo mentre fa le cose più normali, come continua a capitare a me. Lavoro come un automa, rispondo alle mail, catalogo del materiale. Mi im-


24 pongo di non pensare, come se niente fosse mai accaduto, come se non fosse mai apparso sulla soglia di casa mia bagnato e tremante, come se… come se… Ho in auto il suo racconto e in pausa pranzo lo rileggo. Non so in che modo possa essermi entrato sotto la pelle e nei pensieri. Le sue parole scritte mi arrivano dirette a punti nascosti di me che nemmeno ricordavo. In quegli anni di unione felice, tanti, non rammento di aver pensato a un’altra persona come ora sto pensando a lui. E non avrei mai creduto possibile farmi prendere dalla follia momentanea di quella pelle e di quello sguardo, io con i miei principi, con il mio lavoro, con quei corsi serali per studenti adulti che ormai gestisco da anni… Perdere la testa per uno studente… Va contro ogni mio valore. "Si vive una volta sola." Letizia e la sua morale mi tornano in mente a un tratto e non riesco a trovare neppure un motivo per cui dovrei strapparmi dalla mente lui e il suo profumo di pelle che ormai non mi esce più dalle narici. Rileggere le parole del suo racconto, ancora, mi emoziona, è una specie di squarcio nella vita normale di quei giorni prevedibili, ben organizzati, dove i ritmi, gli orari, gli appuntamenti nella mia agenda e le mie aspettative si muovono su binari fissi e paralleli a quelli della famiglia, dei ragazzi, di mio marito, delle amiche di sempre. L’arrivo di lui in tutto questo è come una sorprendente pennellata di colore forte e intenso, il rosso scuro di una presenza inaspettata, una specie di esplosione che ora, apparsa casualmente, mi trascina con sé e accende la vita di questo giorno piovoso che corre oltre il vetro del mio ufficio. Scrive in un modo pazzesco, scrive nel modo in cui vorrei scrivere io, diretto e naturale e paurosamente vivo, scrive nel modo in cui bacia, nel modo in cui ora mi riempie la mente, alternando immagini tenere a parole violente e cupe, claustrofobia e sete di aria e spazio e gioco e pazzia, e quel racconto mi perseguita durante le ore che seguono in ufficio, il racconto della fine di un amore e di un’epoca, e comincio a chiedermi se è stato per caso che l’ho incontrato oppure se era proprio il destino a volerlo, a farmi desiderare così tanto di leggere ancora le sue parole e ascoltare ancora la sua voce. Lavoro nel pomeriggio sempre come in trance, arrivo alle sette e non ho ancora deciso se andare da lui oppure no. Mi telefona mio marito, poi mio figlio, cerco di dissociarmi da me stessa, provare a essere quella di sempre, per non pensare al temporale, a noi per strada, a noi in macchina. Cosa farò? Andare, non andare. Poi gli mando un sms, invento una scusa alla famiglia mentre facciamo cena, una riunione inesistente, e alle nove e quarantacinque mi metto in


25 auto e vado da lui. Corro per strada come se temessi di non trovarlo più, come se il tempo non bastasse, come se domani il mondo finisse, è un pensiero fisso e devo capire come ha risolto quei dubbi, quelle paure, quell’impossibile discrepanza di tempo e spazio tra l’incidente della notte prima e quello descritto in radio e in tv tutto quel giorno. È sul divano e fuma, accanto a sé ha il suo cane immenso con il muso a terra che mi osserva sotto lunghi peli rossicci. Sembra che anche lui mi conosca da sempre, una sensazione strana: mi guarda un attimo e poi si riaddormenta. Lo osservo senza dire niente, ha un’aria stanca, la casa intorno è un caos impressionante, piatti sporchi ovunque, bottiglie vuote e odore di fumo. Beh, sì, ci sono stati i suoi amici. Ma se lo conosco un po’ non dirà niente per scusarsi del caos, perché poi? Mi siedo accanto a lui sul divano, mi aggiusto la gonna e lo guardo negli occhi. Apre bocca, la richiude. Prende fiato e dice: «Non ci capisco più niente. La strada… che hanno detto alla TV non è quella che ho fatto ieri sera… Ma non posso aver sognato. Come faccio? Vado dai carabinieri e gli dico che ieri sera forse ero io al volante?» Scuoto la testa. Non lo so. So solo che non vorrei che lui soffrisse. Solo quello. Mi viene un’idea. «Hai controllato la macchina?» Lui rimane immobile. Quel mattino è partito alle sei da casa mia con la sua auto, ma ha lasciato i suoi abiti e il suo odore ovunque. Fa un certo effetto rivederlo ora a casa sua, nel suo mondo. «Certo che l’ho controllata… Ma un’altra occhiata non può fare male» risponde. Scendiamo, consapevoli che la forte pioggia della sera prima avrà forse lavato via ogni cosa. Ora non piove e lui si abbassa davanti all’auto, osserva, tocca. Il paraurti dipinto dello stesso colore dell’auto è ammaccato sulla destra. Una bella botta. «Questo non c’era… sono sicuro che questo non c’era…» Si raddrizza e tira una boccata dalla sigaretta ormai quasi finita. MI guarda, fermo nel buio. Percepisco la curva delle sue labbra e un brivido mi scuote. «Forse dovremmo andare dalla polizia, dirgli cosa ricordo, cosa credo sia successo… ma poi magari mi metto nei casini… o forse se chiamo il 118 potrebbero dirmi quali interventi hanno fatto ieri…» Gli chiedo una sigaretta, l’accendo, poi la spengo subito, sono diciotto anni che non fumo e forse non dovrei nemmeno averci riprovato. «Saliamo un attimo su» propone, «decidiamo cosa fare.» Iniziamo a parlare e il tempo passa mentre lui mi racconta la sua vita, il lavoro, le sue passioni, la rottura con sua moglie, i sogni non realizzati,


26 l’amore per la scrittura, per l’arte. E io parlo di me, figli, famiglia, lavoro, libri nel cassetto… «Il tuo racconto è bello… Strano, bello» gli dico. «Anche il tuo» fa eco lui. «Scriviamone uno insieme.» «L'hai già fatto?» chiede. «Solo una volta, un capitolo, con un amico, ma poi l’ho perduto… non so dove sia. Non è stato finito.» Poi la sua voce cambia ancora. «Ora aiutami a capire. Sono terrorizzato. Ho anche ricevuto strani messaggi… Qualcuno forse ha visto tutto… Portamici tu dalla polizia, a un chilometro da qui.» Mi prende per mano e mi fa alzare dal divano, il contatto del suo palmo è gentile ma fermo. Capisco che da solo non lo farà, devo farlo io. Mi tira un attimo a sé, mi stringe. Amo la follia, l’energia che sprigiona. Ripenso alla sua pelle, alla mia silenziosa promessa della notte prima. "Non deve accadere mai più". Non l’ho fatta a lui, ma a me stessa. Rimango a occhi chiusi contro la sua spalla, avvolta dal suo abbraccio. Lo annuso e ritrovo il sapore degli abiti rimasti a casa mia che ho infilato in fretta non so dove. Mi sciolgo, ferma contro di lui, avvolta dal suo maglione, volo via. Poi mi scuoto, esco dalla sua stretta, ripenso a quello che mi ha detto poco prima, che sono brava a nascondere quello che provo. Sono distaccata di nuovo ora, cerco di non guardare quel viso che ormai mi viene in mente anche quando non me lo aspetto… e mi avvio verso le scale. Fa una carezza al cane poi mi segue. Guido in silenzio. Pochi minuti e siamo davanti alla caserma.


27

DUE (Ivan)

Mi sveglio col batticuore, prendo il cellulare dal comodino, le sei e un quarto, un mal di testa martellante percorre tutto il mio lato destro del cervello, mi tiro su a sedere sul letto per qualche secondo, poi mi alzo, lei dorme e russa dolcemente, cerco i miei vestiti con l’aiuto della poca luce che entra dalla persiana, mi cade a terra il cellulare che si divide in tre parti, lo raccolgo, lo riassemblo e lo accendo, lei non si muove, credo che in questo momento non la sveglierebbe neanche un terremoto del settimo grado della scala Richter… Ce l’ho fatta, mi dirigo verso la porta ed esco per prendere la macchina, l’aria è fresca, c’è troppa luce e io la odio, sì, la odio, perché io non sono né fresco né solare in questo momento… Salgo in macchina. Cazzo! Devo passare a prendere Alessio, mio figlio, dalla mia ex suocera per portarlo a scuola… E devo anche andare in ufficio! Come faccio? Nel mentre accendo la macchina, faccio manovra e mi appoggio con il posteriore a un vaso di limoni che per fortuna non si rompe, esco dal piazzale e inizio a percorrere la strada verso casa con una botta in testa micidiale… Sei vecchio per queste cose, penso, e dopo un paio di chilometri realizzo che non posso effettivamente portare Alessio a scuola e tantomeno presentarmi in ufficio con venti minuti di sonno alle spalle, bocca impastata e post sbornia… Chiamo a lavoro e dico che ho un po’ di febbre e poi telefono alla mia ex suocera e le dico che sto male e che per oggi Alessio può stare a casa con lei, che ci penso io alla giustificazione… Lei fa un po’ di storie, come sempre, ma alla fine acconsente. Sto guidando, direzione casa dolce casa, accendo la radio, stanno passando Perfect Day di Lou Reed… Sorrido spontaneamente e poco dopo sono arrivato, sto parcheggiando quando inizia il notiziario locale, spengo la macchina. Due notizie inutili e poi lo speaker annuncia con parole fredde una notizia per me sconcertante… “Un pirata della strada ha investito ieri notte un anziano di settantatré anni…” Oh cazzo… no, no e no. Non è vero! Non può essere vero. “È accaduto al chilometro 18 della strada statale…” Il chilometro 18 non è lì… Non scherziamo, non è lì! Mi squilla il telefonino, è un sms della prof. ''Ma…dove ti è successo?'' Anche lei ha sentito la notizia… sfilo una sigaretta dal pacchetto di scorta che tengo


28 in auto e l’accendo, una lunga tirata con la mano che mi trema, poi il fumo denso che esce dalla mia bocca e dal naso, lo sguardo nel vuoto, poi sul cellulare, un’altra tirata a pieni polmoni e la risposta: ''Non capisco, non ci capisco più niente. Vieni da me quando esci da lavorare''. Ho bisogno di dormire, di spegnermi, ma non ce la posso fare, è troppo anche per me, troppi pensieri, troppi dubbi, insomma troppe cose e poi questa notizia e il fatto che i ricordi mi si sgretolano nella mente. Vado in camera e mi sdraio sul letto; piero, il mio cane mi guarda di sbieco per un attimo e poi si accascia rumorosamente, mi giro e poi mi volto dall’altra parte ma il ronzio non cessa… Che vita di merda, penso, mi alzo e vado in bagno, con la testa appoggiata alle piastrelle cerco di centrare il buco. Torno in salotto escludendo a priori il letto e comincio a frugare nei mobili, nel porta occhiali, nella scatolina dell’orologio e in qualsiasi altro posto in cui possa trovare almeno una canna. Ti prego dio, una cima d’erba, un pezzetto di fumo, giusto per rilassarmi e chiudere il sipario su questa giornata allucinante! Niente. Non c’è niente, suona il telefonino, è un sms: Marco cell. Lo apro. ''che fai rincoglionito?sei a lavoro?''. Gli rispondo con una certa difficoltà… ''no,sono a casa.non mi sentivo bene… sei in giro x lav.da queste parti?'' e lui invece in un attimo… ''mi immagino… ti sent.poco bene… le devi prendere più piccine!hai fumato e bevuto ieri sera eh? Ahahah cmq sono vicino. Faccio 2 parole con un cliente e sono da te… 20 min''. Gli rispondo un frettoloso ''ok'' e mi butto sul divano, ho ancora il suo odore addosso e non mi dispiace. Io e Marco ci conosciamo da sempre… O meglio, da quando riesco a ricordare. Passavamo le giornate insieme da piccoli, abitavamo vicini e le nostre famiglie si frequentavano per vari motivi, siamo molto diversi e forse è per questo che la nostra amicizia non è sfumata… Lui molto terreno, io sempre nel mio fluido, lui cinico, io emotivo… Ma abbiamo condiviso quasi tutto, dalle piccole marachelle ai danni insormontabili… Le ragazze, le sbornie, le serate interminabili, le droghe, i rave party… E chi più ne ha più ne metta. Devo farmi una doccia calda, ce la faccio? Sì dai, ce la posso fare, mi alzo e muovo verso il bagno togliendomi i vestiti strada facendo e gettandoli un po’ qua e un po’ là, una doccia calda… Sì, ci vuole proprio. Apro il rubinetto, aspetto che il getto sia bollente e vi entro. L’acqua mi scorre addosso e porta via le tracce di questa notte assurda e io rimango con gli occhi chiusi e le mani sulle orecchie come facevo da piccolo, rumore sordo che mi porta lontano, nel grembo materno… In


29 estasi… Poi impercettibile un suono acuto. Tolgo le mani dalle orecchie e chiudo l’acqua, silenzio per qualche secondo poi ancora più insistente, è il campanello, è già arrivato? Ma dov’era, al bar qui sotto? Mi metto l’accappatoio e scalzo, fradicio e mezzo traballante vado ad aprire. «Quanto cazzo c’hai messo?! È un’ora che ti suono!» Mi passa accanto e si siede sul divano, tira fuori dal marsupio tutto l’occorrente, cartina, cartoncino, erba. «Mi hai letto nel pensiero…» gli dico con un filo di voce. «Cosa?» «Niente, niente.» Sta fumando e a ogni boccata si volta e mi fissa con il suo sguardo perennemente teso e un po’ sofferente, mi racconta delle sue peripezie, storie di donne, sesso spinto, droghe varie e sbornie colossali. Poi si sofferma, me la passa e si giustifica dicendo, più a se stesso che a me… «Se non le faccio ora che sono separato queste cose quando le faccio?» e poi continua… l’olandese, l’operato, la commessa… È sempre stato così tra noi, lui parla, io ascolto… e poi quest’erba! Non ce la faccio a spiccicare parola tranne qualche suono di circostanza tipo… mmmh, eh? mmmh… adesso il suo monologo è svoltato sul lavoro, l’idea di aprire un’altra azienda fuori dall’Italia, i dipendenti che ha assunto e la ragazzina del reparto acquisti che c’ha un culo da paura… Lo interrompo passandogli la canna e approfitto del momento di pausa monologo dicendogli: «Marco, sono nella merda!» Si volta, mi guarda, tira fuori una grassa risata e mi risponde. «Sì… anch’io.» «No, non hai capito… sono davvero nella merda… Hai sentito di quel settantenne investito stanotte?» «Sì, l’ho visto al tg, allora?» «Stanotte in quella zona ho investito qualcosa di grosso, non era un uomo o almeno credo, ho la macchina ammaccata.» «Ho capito, hai preso qualcosa di grosso, ma che vuol dire che non era un uomo o almeno credi? Lo saprai no? Come l’avevi?» «L’avevo grossa, Marco, sono sceso e ho visto che c’era del sangue e anche dei peli, mi sono sembrate le tracce di un cinghiale o roba simile, ma poi stamani quella notizia, anche se il punto non è esatto, è solo a 2 km di distanza capisci? Come faccio a essere sicuro al cento per cento? Tornassi indietro osserverei meglio, cercherei di capire, ma ora ho una gran confusione in testa e non so cosa pensare.»


30 «Ci credo! Ma scusa, se fosse stato un uomo sarebbe rimasto lì… No? Non sarebbe andato a morire 2 km più in là…» «Va bene, ma anche se non fosse un uomo, se avessi investito un cinghiale che poi si è infilato nella vegetazione e qualcun altro avesse investito un uomo nelle vicinanze, resta il fatto che non si è fermato e io ho la macchina ammaccata e stanotte passavo di lì, come la giustifico? Se qualcuno in qualche modo arrivasse a me cosa gli dico? Che ho investito un cinghiale? Dopo una serata di baldoria? La gente mi ha visto uscire dalla casa di Franco che non mi reggevo neanche in piedi… non ho guardato bene intorno, non ho cercato nel fosso ed era buio pesto, ho fatto mezzo testa coda, ero mezzo stordito… mi capisci?» «Ti capisco. Hai guardato un po’ intorno e hai pensato che era un animale, anche perché in quella zona a quell’ora è più facile beccare un animale che una persona e poi sei andato a casa, giusto?» «No, Marco, non sono andato a casa… e questa è la parte peggiore della storia, qualcosa che solo un demente può concepire.» «Mica sarai andato dagli sbirri?» «No, figuriamoci… non sono così idiota.» «E allora che cazzo hai fatto? Hai fermato qualcuno!» «No.» «E allora? Me lo dici?» «Sì, te lo dico, anche perché sei l’unica persona che conosco a cui lo posso dire e che forse mi capisce… ti ricordi quella prof sposata del corso di inglese?» «Quella con cui ti scambiavi gli sms?» «Sì, quella… la sera alla festa da Franco ci siamo mandati un sacco di sms, mi ha fatto capire o l’ho capito da me che era sola a casa, dopo l’incidente non ho potuto fare a meno di andare da lei, ero eccitato e non riuscivo a togliermela dalla mente.» «Ho capito… ma che c’entra? L’hai scopata?» «No, cioè sì… ma non è questo il punto, le ho detto che avevo investito un uomo, per andarci a letto capisci? Per farmi consolare… pensa che faccia di merda!» Marco mi guarda con un’espressione sorpresa che non vedevo da anni nel suo viso e poi scoppia a ridere rumorosamente. «Non ci posso credere! Scusa se rido ma fammi capire… ti sei presentato da lei con questa scusa? Da un certo punto di vista è geniale, ma per come si sono evolute le cose ora sono cazzi!» «Lo puoi dire forte… il fatto è che pensavo di tornare sul posto con lei per vedere se effettivamente potessero essere le tracce di un animale,


31 tranquillizzarci e magari passare la notte insieme… non avrei certo pensato che sarebbe andata così.» «È un bel casino, hai ragione, se guardi in faccia la realtà, hai investito qualcosa di grosso ed eri mezzo ubriaco, poi sei andato a raccontarlo a una donna sposata con cui, tra le altre cose, hai fatto sesso… e un uomo è stato investito nelle vicinanze da un pirata della strada… non ti si può lasciare solo un attimo!» «E falla finita dai! La cosa è piuttosto seria, te che faresti?» «Che farei… mettiamo dei punti fermi… hai investito un animale a 2 km di distanza dal ritrovamento dell’uomo… e questo deve essere chiaro nel tuo cervello! Poi devi parlare con lei e dirle come sono andate le cose. Lo so che non sarà facile e magari ti becchi un paio di ceffoni, ma è l’unico modo, secondo me, per cavarne le gambe… e poi dormi un po’ che così il morto sembri te… Io ora devo andare, continuo il giro dei clienti, ci aggiorniamo… Poi mi racconterai com’è a letto.» Mi lascia una canna sul tavolo ed esce chiudendosi la porta alle spalle. Questa la tengo per dopo, penso, la metto sul mobile, nella parte alta sotto un vasetto e torno in bagno strofinandomi i capelli con il cappuccio dell’accappatoio, mi guardo allo specchio, mi tiro su le palpebre con le dita mostrandomi due occhi iniettati di sangue… Cazzo, fai schifo! Guarda che occhiaie che hai! Mi fa male la mascella e lo stomaco… odio quando ho la nausea… mi asciugo i capelli con il phon, mi lavo i denti e mi bagno gli occhi con dell’acqua fredda, lascio cadere l’accappatoio a terra e vado in camera per mettermi qualcosa addosso. Non penso ad altro, è mai possibile? Ho in mente solo la scopata di stanotte… Potrei aver ucciso qualcuno… potrei finire dietro le sbarre per omissione di soccorso… potrei addirittura essere pestato a sangue dal marito se tutto questo si venisse a sapere… E io che faccio? Penso al suo culo, alle sue tette, alla bocca e ai suoi gemiti soffocati… Alla sua schiena mentre la prendo da dietro… devo masturbarmi! Non potrei dormire né ragionare altrimenti… ma prima che possa iniziare sento il suono quasi impercettibile di un messaggio sul cellulare. «Ma dov’è?» mi dico frugando nelle tasche dei pantaloni e della camicia, forse è caduto sul divano… neanche, cerca di pensare, dove lo puoi aver messo? Da dove veniva quel suono? Non ne ho idea cazzo! Devo chiamarmi in qualche modo… prendo il mio vecchio cellulare, ci inserisco la sim della chiavetta internet e lo accendo… nokia tim blablabla e muoviti! Ok, Ci siamo, compongo il numero e lo sento squillare, il suono viene dalle scale… dall’attaccapanni… la giacca! Lo tiro fuori dalla tasca e guardo il display, 1 nuovi messaggi da numero sconosciuto. Lo apro e leggo.


32 “so che sei stato tu.” È uno scherzo di Marco… non sarebbe la prima volta… Cerco sulla rubrica il suo contatto, Marco cell, lo chiamo, è libero, squilla… una volta, due volte, tre volte… e dai cazzo rispondi! Quattro volte… cinque, segreteria telefonica… butto giù. Non risponde… non è possibile, non può essere così stronzo… o meglio, può esserlo, ma non in una situazione come questa… e comunque mi avrebbe risposto! Resto pietrificato, non so cosa pensare… un formicolio, una sorta di calore nello stomaco che si diffonde poi su tutto il mio corpo fino alle estremità, le mani, la testa, non ci credo, non è possibile! Chi è? Chi può sapere? Non è passato nessuno quella sera dopo l’incidente… i pensieri si accavallano, la luce dalla finestra quando siamo tornati sul posto… Ricordo ora vagamente una macchina… È passato qualcuno? Mi ha visto? E poi come può avere il mio numero di cellulare? E perché non ha chiamato la polizia?! Perché non ha denunciato l’accaduto invece di mandarmi questo sms con mittente sconosciuto? Non può essere! Non esiste cazzo! E allora chi? Qualcuno che mi ha seguito? Appoggio il cellulare sul tavolo e vi gironzolo intorno… lo prendo di nuovo in mano e rileggo il messaggio. Non è vero… non può essere vero! Che faccio adesso? L’ho detto solo a lei… All’improvviso sento che la testa mi gira e le gambe non mi reggono… un mancamento, mi aggrappo al bracciolo delle poltrona per attutire la caduta e mi ritrovo a sedere a terra completamente nudo… sono uno straccio, mezzo stordito cerco di alzarmi ma le gambe mi tremano come foglie, cerco di calmarmi un attimo e di normalizzare il battito cardiaco al limite della tachicardia… Calma… calmati… ok, così… Cerco di alzarmi di nuovo e questa volta a fatica ce la faccio, sono in piedi anche se non troppo stabile mentre Piero mi guarda stiracchiandosi come se niente fosse. Guardo dall’alto il mio cellulare a terra, ma non lo raccolgo, mi volto e mi dirigo verso la camera da letto. Non posso fare altro, ci lascio le penne altrimenti… Così magari non ci sarà più niente da capire e da risolvere… sposto le coperte e mi infilo dentro tirandole su fino alle orecchie, un attimo dopo il buio. Mi sveglio dolcemente da un sogno piacevole… Io al mare con mio figlio e la mia ex moglie… lei sul telo e noi intenti a scavare una buca sul bagnasciuga… sensazione di calore che resta per un po’… Mi giro restando sotto le coperte e osservo per qualche secondo la luce che filtra dalla finestra illuminando il pulviscolo come tante piccole stelle… resto lì con


33 lo sguardo fino a che la realtà mi piomba in testa come un macigno, inesorabile a togliere ogni poesia. Faccio per alzarmi e resto per un attimo seduto sul letto, sono ancora un po’ stordito, mi faccio coraggio e mi alzo, apro l’armadio alla ricerca di qualcosa da mettermi addosso, mutande, calzini, maglietta e la prima tuta che trovo, poi mi dirigo in salotto e mi faccio una sigaretta, l’accendo e mi abbasso per raccogliere il cellulare… Sono le sei e ventitré del pomeriggio sul display… c’è un messaggio della prof. Dove mi informa che cercherà di passare alle ventidue circa e due chiamate perse da Marco cell. Lo chiamo spostandomi in cucina per preparare un caffè, dopo un paio di squilli mi risponde. «Ma dove cazzo eri finito?! È tutto il giorno che ti cerco, stavo per venire a trovarti a casa!» «Scusa… mi ero addormentato, devo aver dormito come un sasso… sei a lavoro?» «Sì, sono ancora a lavoro… oggi è una di quelle giornate allucinanti che se non scappo via di nascosto rischio di uscire a mezzanotte… comunque finisco di inserire dei documenti sul computer e mi levo dalle palle! Che mi volevi dire?» «Che ti volevo dire… ti volevo chiedere una cosa che mi sembra sempre più improbabile… Stamattina, poco dopo che te ne sei andato ho ricevuto un sms da un numero sconosciuto con su scritto “so che sei stato tu”. Ti puoi immaginare come l’ho presa data la situazione… ho pensato, anzi… ho sperato che fossi stato tu a farmi uno scherzo.» «Che cazzo dici?! Secondo te potrei farti uno scherzo simile? Sarò pure una testa di cazzo ma lo sai che non lo farei mai!» «Sì, lo so, è che non so cosa pensare… ci mancava solo questo, la ciliegina sulla torta.» «Ascolta, ora non posso stare al telefono, comunque quando esco passo a prendere Dino e si viene da te… almeno si fanno due chiacchere per bene ok?» «Dino? L’hai detto anche a lui? Ma Dino è fuori come una campana… non puoi venire da solo?» «Che ti importa di Dino… e comunque ancora non gli ho detto niente, mi ha chiamato prima per uscire e gli ho proposto di passare da te… ma poi scusa, siamo amici d’infanzia, che vuoi che ti dica? Se deve stare zitto non dirà niente… altrimenti gli do due manate anch’io! Non farti troppe menate, non ci sono problemi.» «Va bene, a che ore pensate di arrivare?»


34 «Mah… esco da qui tra una ventina di minuti, passo da casa, aspetto lui e si viene direttamente, credo che per le otto saremo lì da te…» «Sì, per le otto… facciamo le otto e mezza va’… che Dino non è il massimo della puntualità…» «Massimo un quarto alle nove… ora ti devo lasciare, a dopo… stai tranquillo.» «A dopo.» La moka gorgoglia sul fornello, lo spengo, con tre dita tremanti l’afferro dal manico, mi verso mezzo bicchiere e vado a sedermi sul divano. Accendo il pc, voglio cercare la notizia… mi collego a internet mentre sorseggio l’amaro e scuro contenuto… Ecco, ci siamo, stesse informazioni, nessuna novità, lo stesso punto, due chilometri più in là da dove ho avuto l’incidente, un uomo anziano trovato da una macchina di passaggio a notte fonda. Cerco di tornare col pensiero al momento dell’impatto, ma non riesco a focalizzare bene, stavo raccogliendo qualcosa, ho in mente quel tonfo sordo, il testacoda… cazzo! Un bello schianto! Poteva essere un uomo? E certo che poteva esserlo… è stato come prendere un colonnino… ho fatto almeno due testacoda prima di fermarmi. I pensieri se ne vanno da soli, è probabile che sia stato io a uccidere quell’uomo anche se non mi spiego dove sia finito… Forse è sbalzato in un cespuglio e magari non è morto sul colpo, si è incamminato fino a che non è stramazzato a terra due chilometri più in là. «Che casino… che cazzo di casino!» dico con lo sguardo sulla finestra intento a guardare le fronde mosse dal vento, poi spengo il pc, guardo l’ora sul cellulare, un quarto alle otto, chissà quando arrivano sti stronzi? Non mi passa più, mi metto a guardare un po’ di tele, uno di quei programmi dove puoi permetterti di non pensare a niente… D-MAX, il banco dei pugni, perfetto. È passata un’oretta e il campanello mi distoglie da un veterano che vuole impegnare la sua protesi alla gamba. Vado ad aprire, sono loro, Marco e Dino, che si appropriano in un attimo della casa. Marco sul divano a fare zapping col telecomando e Dino in cucina a svaligiarmi la credenza. Lo sento borbottare mentre apre e chiude gli sportelli: «Non c’hai un cazzo eh? Come al solito!» Mi siedo accanto a Marco che nervosamente spenge la tv e stappa con l’accendino una delle tre bottiglie di birra che aveva appoggiato sul tavolo da fumo, ne beve un terzo e me la passa, accenna una sorta di rigurgito schiumoso e si volta a guardarmi. «Allora? Novità?» mi dice con quell’espressione tesa e piena di


35 tic… «Niente Marco, nessuna novità, è solo che più ci penso, più credo di essere stato io, non c’è altra spiegazione.» Distoglie lo sguardo e ne stappa un’altra, ne beve rumorosamente un altro sorso, l’appoggia sul tavolo e senza parafrasare mi vomita addosso la sua sentenza: «Non devi pensare… te pensi troppo, non devi trovare una soluzione, devi solo essere sicuro che non vuoi farti sommergere da un mare di merda… ci sei? Non puoi avere dei dubbi, non puoi. Perché nel caso qualcuno risalisse a te devi essere sicuro di quello che dirai… devi rispondere come se avessi chiaro, stampato nella mente, la tua versione dei fatti. Ne abbiamo parlato stamani… hai investito un cinghiale e sei tornato a casa, tutto qui. Piuttosto dimmi del messaggio e sforzati di tornare indietro con la mente, ti ha visto qualcuno? Quanto sei restato li a cercare sul luogo dell’incidente? Solo a questo devi pensare, niente di più.» Mi porge una sigaretta, se ne infila una in bocca e le accende entrambe. «Marco, lo sai come sono io vero? Lo sai che non potrò mai essere tranquillo se qualcuno mi chiedesse qualcosa, forse anche nella certezza assoluta di essere innocente sarei comunque teso e poi questo cazzo di messaggio… Non lo so se mi ha visto qualcuno e comunque perché mi dovrebbe scrivere? Se è riuscito ad avere il mio numero poteva andare direttamente alla polizia no? C’è qualcosa che non quadra, forse sarebbe meglio se mi costituissi, dicendogli sinceramente come sono andate le cose e poi quello che succede succede.» Dalla cucina ci interrompe Dino con la voce soffocata dal cibo… «Scusate signorine… Io farei una pasta al pomodoro, che è l’unica cosa che c’è in questa casa… per l’esattezza spaghetti, gradite o preferite del tè con i biscotti per conversare?» «Si vuole sì… e non lesinare che non mangio da ieri sera!» risponde Marco. Continuiamo a parlare mentre in cucina vengono aperti mille sportelli… ma è un disco rotto… lui che mi dice di essere cinico, freddo e razionale e io che gli rispondo di non potercela fare. Dino mette la pasta nei piatti e ci interrompe di nuovo appoggiandone un paio sul tavolo da fumo vicino al divano dove siamo seduti, uno se lo tiene in mano, divorandone il contenuto in piedi mentre osserva un quadro e senza voltarsi mi rivolge una domanda a bocca piena, spruzzando qua e là pezzi di pomodoro e spaghetti… «Chi l’ha fatto questo? La tua ex?» «No Dino, l’ho fatto io.» «Ah, me lo immaginavo… sembra fatto da un bambino delle medie!»


36 Mi rivolgo a Marco senza neanche rispondergli. «Allora? Cosa mi dici? Mi costituisco?» Scola l’ultima bottiglia di birra e dice a Dino di prendere qualcosa da bere in frigo, poi si rivolge a me. «Io non lo farei, poi fai come ti pare… ma secondo me è una grandissima cazzata.» Continuiamo a mangiare e a bere la mezza bordolese di vino bianco che era in frigo, proseguendo a parlare d’altro per un po’, poi se ne vanno. Dino mi saluta e Marco si congeda uscendo con un: «Non fare cazzate!» Sono solo, mi faccio una sigaretta aspettando la prof. Con un vortice di domande nella testa impressionante… guardo un po’ di tv nell’attesa. Con la sigaretta tra le dita e lo sguardo perso su di un’asta di quadri vengo interrotto dal rumore della porta che si apre, anche il mio cane alza la testa, da un paio d’ore mi ero scordato pure della sua esistenza, forse per tutti i casini che mi ronzano in testa, ma soprattutto per la sua innata pigrizia che è aumentata notevolmente con l’avanzare dell’età… Qualche passo e mi appare lei. Piero, gigante bastardone dal nome umano, la osserva per due secondi e si butta giù di nuovo. Si mette a sedere sul divano accanto a me aggiustandosi la gonna e mi guarda negli occhi… e cosa le dico? Ha la faccia di chi si aspetta dall’oracolo il senso della vita e invece accanto a lei ci sono io, che non so neanche cosa ho mangiato mezz’ora fa… Mi verrebbe quasi spontaneo farle una grassa risata in faccia da psicopatico tanto è assurda questa cosa, anzi, non assurda, tragicamente comica… Ok, abbasso un attimo lo sguardo e tento di spiccicare parola. «Non ci capisco più niente. Il luogo che hanno detto alla Tv non è quello del mio incidente, non posso aver sognato, non avevo bevuto e non avevo fumato niente… come faccio? Vado dai carabinieri e gli dico che ieri sera forse ero io al volante?» le dico seguendo per ora le indicazioni di Marco con un certo groppo in gola, lei scuote la testa e abbassa un attimo lo sguardo e finalmente mi risponde: «Hai controllato la macchina?» «La macchina? Certo che l’ho controllata…» Il mio sguardo cade per un attimo sulle sue mani mentre si massaggia le ginocchia… «Comunque un’altra occhiata non può far male.» Scendiamo e ci avviciniamo all’auto, la luce giallastra del lampione illumina dolcemente la fiancata, il paraurti è ammaccato, una bella botta non c’è che dire, ma non c’è nulla che mi possa far capire realmente con che cosa mi sono scontrato. «Forse dovresti andare alla polizia, dirgli cosa ricordi, cosa credi sia successo…» mi dice con la voce un po’ didattica…


37 La guardo negli occhi e le rispondo: «Non lo so… è come scavarsi la fossa da solo, ci devo pensare…» Rimane attonita. Mi chiede una sigaretta, l’accende e me la passa, sto fumando come una ciminiera… Ci manca solo che me le accenda lei… «Torniamo su… decidiamo cosa fare» le dico incamminandomi verso la porta di casa. Iniziamo a parlare e mano a mano la conversazione si sposta su tutt’altro… cose private e per qualche minuto il pensiero si distoglie e vaga piacevolmente sui nostri interessi, sulle nostre esperienze di vita, le nostre passioni… Poi torna inesorabile insieme a uno sprazzo di lucidità. «Va bene. Portamici te in caserma. Sono terrorizzato. Ho anche ricevuto strani messaggi… Qualcuno forse ha visto tutto… Portamici tu dalla polizia, a un chilometro da qui» le dico senza mezzi termini, sono stanco e sul momento credo sia l’unica cosa da fare. La prendo per mano e la faccio alzare con decisione, la stringo forte a me per qualche secondo, ho paura, ma non c’è altro da fare, lei si sprigiona a fatica dalla mia presa e scende le scale, faccio una carezza a piero che non si smuove neanche ed esco. Sale in macchina, la seguo, lei guida dolcemente e non diciamo una parola, pochi minuti dopo si ferma davanti alla caserma. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD


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