In uscita il 19/12/2018 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine dicembre '18 e inizio gennaio '19 ( ,99 euro)
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LINDA MACCARINI
SANDY E IL NETTARE DELLA FELICITÀ
ZeroUnoUndici Edizioni
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SANDY E IL NETTARE DELLA FELICITÀ Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-257-7 Copertina: immagine Shutterstock. com
Prima edizione Dicembre 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
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CAPITOLO I
Erano passate diciassettemilacinquecentoventi ore, settecentotrenta giorni, centoquattro settimane, ventiquattro mesi da quando Sandy era tornata al castello. Erano passati due anni da quando Sandy aveva iniziato nuovamente a scandire lo scorrere del tempo. Tutto era tornato alla normalità – più o meno. La vita aveva rincominciato a splendere, come il sole alto e forte nel cielo blu. La natura aveva ripreso a vivere, verde e fresca in un eterno mattino di inizio estate. La corte, rimasta a lungo immobile e ingessata, era tornata ad assaporare il dolce, ingenuo gusto della quotidianità. Il giardiniere aveva ripreso a tagliare e curare l’immenso e maestoso giardino, così bello e pieno di fiori quanto irriconoscibile a prima vista. La prima volta che lo aveva rivisto – dopo un lungo sonno durato dieci anni – ne era rimasto così colpito, così meravigliosamente sorpreso che, per un momento, ebbe l’impressione di essersi risvegliato in un’altra terra, in un altro pianeta lontano anni luce da quella vallata fredda, gelida e desolata. Anche lo stalliere non credeva ai suoi occhi. I suoi cavalli, dapprima immobili e privi di coscienza, adesso brillavano di luce propria sotto i caldi raggi del mattino. Sembrava che il loro manto fosse stato improvvisamente levigato e lucidato, e la loro criniera accarezzata e spazzolata più volte, per preparali a un grande giorno di festa. Il personale di servizio all’interno del castello – circa un centinaio tra cuochi, camerieri e inservienti – era sempre indaffarato e operoso. Nella grande e maestosa cucina rifinita d’oro e pietre preziose, le cuoche avevano riscoperto il piacere di cucinare manicaretti di ogni tipo. Da quando la natura e i fiori erano tornati a sbocciare e a produrre i loro succulenti frutti, la voglia di mangiare e di assaporare continuamente nuovi piatti era forte e viva. Anche le donne delle pulizie avevano il loro da fare. Ogni giorno lucidavano con vigore le grosse immense pietre dorate che ricoprivano i lunghi, smisurati corridoi del castello, addobbavano ogni angolo ancora spoglio con fiori
4 e piante di ogni genere conferendo un profumo e un’aria nuova e fresca, che inondava le stanze, i soffitti e ogni singola estremità. Tutto doveva essere perfetto. Tutto doveva essere impeccabile per il grande giorno. Anche Re Henry era tornato a gestire pienamente la vita del castello. Dall’alto del suo studio, incastonato nella parte più alta e imponente della torre centrale, supervisionava l’intero operato, assicurandosi che tutti svolgessero il loro lavoro nel miglior modo e nel minor tempo possibile. Ma la sua più grande preoccupazione, il suo più grande pensiero in quei giorni era finire di inviare le migliaia di lettere che aveva preparato personalmente e che avrebbe spedito alle numerosissime famiglie reali che sarebbero accorse al castello, tra una settimana esatta, insieme ai rampolli che le rappresentavano. Era un compito per niente facile, pensava. Erano tante le casate vicine alla vallata dove sorgeva il suo regno. Erano tante le famiglie che avrebbero aspirato e fatto di tutto pur di avvicinarsi anche minimamente al famoso castello di Re Henry, tornato dopo un periodo di sonno profondo a splendere più forte di prima. Era un incarico a cui lui teneva particolarmente, che voleva seguire da vicino, in prima persona, perché riguardava colei a cui teneva di più al mondo, la persona che gli aveva permesso di rivivere: sua figlia. A nessuno, in quei giorni, permetteva di entrare o anche solo di volgere lo sguardo verso il suo studio. A nessuno lasciava intendere anche solo vagamente quali fossero le famiglie da lui prescelte. Doveva essere una sorpresa, doveva essere un giorno inaspettato, come inaspettata sarebbe stata la bellezza candida, pulita e crescente di sua figlia. C’era solo una persona che seguiva da vicino, insieme a lui, l’invio degli inviti. Una persona a cui il Re teneva particolarmente, che consultava per qualsiasi dubbio, qualsiasi perplessità: la Regina Madre. Donna anziana, estremamente rugosa e magra ma regale, portava con dignità i suoi settecentossessanta anni. Un po’ gobba, si appoggiava per camminare a un meraviglioso bastone d’oro, lungo e massiccio, cosparso per la prima metà da topazi verdi e rubini luccicanti. Né un raffreddore, né un’influenza, né qualsiasi altra malattia di apparente gravità aveva mai scalfito il suo possente, seppur fragile corpo. Nessun acciacco, nessun oblio, nessuno scherzo alla sua salda, acuta, ingarbugliata mente. Eppure, negli ultimi tempi si era lamentata con il figlio. Si sentiva sola, diceva. Nella sua grande, imponente dimora interamente fatta di legno scolpito e intarsiato, che
5 sovrastava e guardava dall’alto con occhio un po’ austero, un po’ sofisticato, a tratti spocchioso il piccolo meraviglioso paesello di Senileville, lei si sentiva sola e abbandonata a se stessa. Nessun maggiordomo, dama di compagnia o giovane inserviente era in grado di colmare quel vuoto e, da quando era venuta a conoscenza della sciagura capitata al figlio, la sua ansia, già di per sé evidente e spessa fin da età giovanile, si era fatta ancora più grande e imponente. La sua ansia era irrefrenabile e, non appena aveva saputo che Re Henry, padrone della superba vallata, si era risvegliato ed era nuovamente capo supremo della sua corte, non aveva potuto fare altro che recarsi immediatamente dal figlio, a gran passo, per recuperare il tempo perso. E adesso era lì, di fronte a lui, indaffarata più di lui, ad aiutarlo per i preparativi del grande giorno. Tutti infatti fremevano all’idea. Tutti erano in attesa di capire cosa sarebbe successo e quali sarebbero state le sorti del regno. Tutti, tranne Sandy. La giovane fanciulla, da quando era tornata al castello, passava gran parte delle sue giornate davanti allo specchio. Lo aveva posizionato all’interno della sua grande e lucente stanza, proprio nella parte centrale, sopra un bellissimo comodino d’oro zincato. Di tanto in tanto, ci si specchiava da una certa distanza per poter ammirare il suo corpo intero, i suoi fianchi – che non erano più da tempo quelli di una bambina – i suoi seni, il suo viso. A poco a poco si avvicinava per ammirare il colore profondo dei suoi occhi, il nero corvino e splendente dei suoi setosi capelli lisci, la consistenza perfetta e leggiadra della sua pelle da ventenne. Era bello guardarsi allo specchio. Era doveroso ricordarsi quanto fosse bella e piena di vita ogni santo giorno, ogni santa volta che scattava la fatidica ora, l’ora della tanto temuta puntura. Alle nove esatte di sera, Sandy estraeva dal comodino una siringa d’oro, sottile, a forma di flauto. Quando il Dottore Sir Lucas gliel’aveva donata, poco dopo il suo ritorno, l’aveva descritta come “la puntura magica”, in grado di produrre una musica dolce ma schietta, una “musica del benessere”. E in effetti quell’oggetto strano e vitale, che Sandy custodiva con la stessa premura del Santo Graal, ogni qual volta si avvicinava alla sua pelle, ogni qual volta veniva a contatto con il liscio setoso del suo braccio sinistro vibrava di un suono armonico e dolce, proprio come quello di un flauto. Peccato che il liquido contenuto al suo interno non fosse altrettanto dolce e armonico. Quel
6 liquido inodore e trasparente, simile ad acqua, che Sir Lucas riteneva fosse prodotto dalle lacrime versate da qualche potente Dio che regnava nel più alto dei cieli, quel liquido fine ma potente, brillante ma oscuro che s’infiltrava con forza prepotente all’interno del corpo di Sandy, regalandole una seppur minima condizione di apparente stabilità e benessere, innocuo e vitale all’apparenza ma in realtà inflessibile e severo, bruciava da paura. Tutte le sere, quando Sandy prendeva in mano il piccolo flauto e se lo avvicinava al braccio, producendo quella musica tanto armonica quanto raccapricciante, uno spasmo di dolore improvviso, breve e impercettibile all’inizio, doloroso e pesante dopo qualche secondo, la faceva tremare, immobilizzando il suo corpo e togliendole il respiro. A poco a poco, dopo qualche minuto, quel dolore acuto scompariva, lievemente, lasciando spazio al sapore amaro del ricordo. A volte, Sandy si domandava a cosa servisse tutto ciò, a cosa fosse necessario quel gemito di tristezza e sofferenza. Ma il Dottore era stato categorico al suo ritorno. Doveva utilizzare la puntura magica tutti i giorni, ogni settimana, ogni mese, ogni anno della sua esistenza, senza saltare neppure una volta, senza dimenticarsi nemmeno per un minuto ciò che doveva fare. Alle nove esatte, per infiniti giorni, settimane, mesi, anni, doveva agire senza timore, senza rassegnazione, perché quella era la cosa giusta da fare, era la cosa che le avrebbe permesso di rimanere nella sua attuale condizione, che avrebbe permesso alla sua malattia né di progredire, né di tornare indietro, perché indietro, in realtà, non era possibile tornare. Erano molte le volte in cui Sandy si chiedeva se mai sarebbe cambiato qualcosa, se mai da qualche parte nel mondo esistesse un solo barlume di speranza che le avrebbe permesso di guarire, definitivamente. Quando succedeva, quando l’angoscia faceva da padrona e la imprigionava nelle sue grinfie, per brevi eterni istanti, correva davanti allo specchio e, sfregandolo lievemente con la mano destra per pochi secondi, domandava: Specchio, specchio, come posso fare? Come la Sandy di un tempo posso tornare? Lo specchio, alle parole della fanciulla, s’illuminava improvvisamente e compariva il volto di una donna. Ma non era un volto nitido, bensì leggermente offuscato, tanto da rendere impossibile capire chi vi fosse
7 al di là, chi stesse parlando. Una voce, candida e soave, proveniva da quell’oggetto magico che, da due anni a questa parte, pronunciava sempre le solite parole: La pazienza, principessa, la deve sostenere. Chi pazienza e fiducia avrà, I giusti segnali prima o poi scorgerà. Ogni sera, Sandy andava a dormire con quell’idea in testa. Pazienza e fiducia. Quanta ne aveva avuta! E quanta ne avrebbe dovuta ancora avere? Ma quella sera di inizio estate, permeata dal canto sonoro delle cicale e dalla luce di un cielo stellato, a due anni esatti dal suo ritorno al castello, subito dopo aver eseguito saldamente il suo compito, come ogni sacrosanto giorno, Sandy si posizionò di fronte allo specchio e, con voce piena di speranza, iniziò a chiedere: Specchio, specchio, come posso fare? Come la Sandy di un tempo posso tornare? Ti prego, specchio, dammi una speranza. Sebbene me stessa sia riuscita ad accettare Bellissimo sarebbe poter alla perfezione di nuovo camminare. Lo specchio s’illuminò e, avvolto da una luce ancora più intensa e turchina, prese a dire: La pazienza, principessa, la deve sostenere. Chi pazienza e fiducia avrà, I giusti segnali prima o poi scorgerà. Questa volta, a differenza delle altre, l’immagine non scomparve semplicemente rimanendo in silenzio, ma proseguì: Presto qualcosa fuori dalle mura del castello la spingerà, Perché niente è più importante della libertà. Nella ricerca della libertà l’esistenza di una cura scoprirà Ma la cura una doppia faccia avrà,
8 Perché non tutto quel che è oro luccica, questo si sa. E adesso dire di più non posso, Si sta avvicinando qualcuno, secco fino all’osso. Passi incerti e abiti pesanti indossa, Ecco che dalla porta vedo entrare una tunica rossa... Lo specchio si oscurò di nuovo in un batter di ciglia e la porta iniziò a scricchiolare all’improvviso, aprendosi con lentezza alle spalle della principessa, la quale sussultò, girandosi. Un camicione di velluto rosso lungo fino ai piedi batteva per terra producendo un fruscio simile a quello di qualche bruco che striscia. Gli occhi sgranati, il viso esile e bianco illuminato per metà da una candela flebile faceva apparire quella creatura lugubre, quasi simile a un’apparizione o a qualche fantasma ritornato precipitosamente dall’al di là. Le rughe marcate, i capelli bianchi striati di grigio e la voce bassa, leggermente rauca, erano però inconfondibili: era la Regina Madre. Sandy sapeva della sua presenza al castello, era a conoscenza del fatto che era tornata per aiutare suo padre in qualche strano impegno o faccenda particolare, ma non aveva ancora capito bene cosa facesse, o quale fosse la vera ragione del suo ritorno. Passava gran parte delle sue giornate nella sua stanza, o nel giardino. Continuava come un tempo a leggere, suonare il piano e a fare l’uncinetto, ma lo faceva da sola ormai. Amava stare con se stessa, in solitudine. Era una ragazza indipendente, adesso. Aveva pure rifiutato l’aiuto di qualcuno per farsi fare la “puntura magica”. Quella era una cosa sua, faceva parte di sé, e niente e nessuno avrebbe potuto capire o comprendere realmente, niente e nessuno poteva sostituirsi a se stessa. Cercava di limitare al minimo i contatti con la Regina Madre. La incontrava a pranzo e a cena, visto che mangiavano entrambe allo stesso tavolo al cospetto di suo padre il Re, ma non aveva ancora parlato con lei a fondo, non aveva ancora avuto occasione di confrontarsi con lei direttamente. Sebbene in realtà fosse sua nonna, essendo la madre di suo padre, non amava confidarsi con lei. Era una donna di vecchio stampo, austera e snob. Si ricordava quando tanto tempo prima criticava sua madre la Regina, si ricordava quanto odiasse e mettesse al bando il fatto che lei dipingesse. «Non è un passatempo che si addice a una Regina» diceva ripetutamente. Si ricordava, solo adesso, come se ne fosse filata a
9 gambe levate dopo quel tragico giorno. Forse per la vergogna? Forse perché non poteva sopportare che il nome di suo figlio fosse stato infangato? Ma come poteva capire, lei. Dall’alto della sua reggia fatta di legno intarsiato, dall’alto della sua presunzione, capire le rimaneva impossibile. Ma quella sera, la Regina Madre era stata presa da un’irrefrenabile voglia di parlare con sua nipote. Voleva cercare di capire, voleva captare la ragione di quella “noncuranza” con la quale Sandy viveva, con la quale Sandy faceva palesemente capire di non aver ancora afferrato appieno ciò che stava succedendo, il perché di quel tanto da farsi attorno a lei e attorno alle mura del castello. Così entrò, passo lento e voce un po’ rauca quasi impercettibile: «Sandy, nipote mia, posso entrare?». Sandy distolse immediatamente lo sguardo dallo specchio, nascondendolo sotto un manto bordeaux. Non le piaceva l’idea che quella donna lo vedesse o toccasse. Prima che potesse rispondere, la Regina Madre era già dentro la sua stanza, comodamente seduta nella poltrona di fronte alla sua scrivania. Sandy si girò e con voce un po’ stanca, un po’ assonnata, disse: «Mi dica Regina Madre, posso aiutarla?». «Ho bisogno di parlare con te nipote mia. Sono secoli che non parliamo un po’. Come stai? Come è stato il ritorno al castello? Sei riuscita a recuperare appieno i tuoi ritmi e la tua vita?». Sandy non capiva bene dove la Regina volesse arrivare, ma non poteva far altro che stare lì e rispondere. «Io sto bene. Sono tornata a poco a poco alla mia vita. Alla vita che conducevo prima che… che mio padre cadesse nell’incantesimo di Sir Lucas. Sì, ecco, sto benissimo adesso». «Bene, sono contenta nipote mia. Sono contenta di vederti serena e sempre più bella. Ti stai facendo grande, ormai sei una donna». Sandy abbozzò un leggero, finto sorriso. Cosa voleva la Regina Madre da lei? «Proprio per questo, proprio perché stai diventando grande e sempre più bella è giusto che tu adempia ai tuoi doveri, i tuoi doveri di principessa nonché erede al trono di questo bellissimo regno in questa bellissima vallata sperduta». «Certo, ne sono consapevole, Regina Madre».
10 «Vedi, Sandy, è proprio questo il punto. Io non credo che tu sia perfettamente consapevole del tuo ruolo, né dei tuoi doveri nei confronti del regno e soprattutto nei confronti di tuo padre il Re. Non credo tu abbia capito appieno cosa stia succedendo o cosa succederà da qui a una settimana». «Perché dice questo, Regina Madre? Mi sta forse dicendo che sono ancora immatura e ho in qualche modo mancato di rispetto a mio padre?». Il tono leggermente alto, quasi stizzito, di Sandy fece inarcare le labbra e gli occhi della vecchia Regina, come se non credesse alle sue orecchie. Come osava quella ragazzina rivolgersi in quel modo a una persona più anziana, per di più Regina. Chi le aveva conferito tanta sicurezza e tanta autorevolezza. “Si vede che questa ragazzina non ha avuto una figura materna sana accanto” pensò fra sé e sé con malignità. Ma di fronte alla nipote, cercò di mantenere un atteggiamento amichevole, seppur forzato. «No Sandy, non sto dicendo questo. Ma, per farti capire, ti porrò una domanda. Sai perché tra una settimana esatta le maggiori casate illustri della vallata si recheranno qui, al castello di Re Henry? Perché, secondo te, dimmi?». Sandy rimase un attimo perplessa. Non era la prima volta da quando era tornata che suo padre dava delle feste al castello. Ancora si ricordava di quella bellissima e sfarzosa che aveva organizzato proprio poco dopo il suo ritorno. Rispose, forse un po’ ingenuamente. «Be’ sì, certo che lo so. Non è la prima volta che mio padre il Re dà delle feste al castello per onorare la nostra famiglia, soprattutto da quando si è risvegliato. Proprio in questi giorni ho sentito parlare di un torneo, sarà divertente immagino». “Divertente?” pensò la Regina Madre in silenzio. Sua nipote non aveva palesemente colto l’essenza di quello che stava accadendo. Cercando di mantenere la calma provò con armonia e gentilezza a spiegarsi meglio. «Mia cara Sandy, quello che si svolgerà tra una settimana esatta al castello non sarà un semplice torneo e non sarà semplicemente divertente, come dici tu. I rampolli delle famiglie più nobili si sfideranno per chiedere la tua mano. Re Henry sta organizzando tutto questo perché vuole trovarti un marito! Hai capito adesso, nipote mia?».
11 Un marito? Suo padre stava facendo tutto questo a sua insaputa, senza averla interpellata? Ma poi, lei aveva solo vent’anni, era giovane ancora. Era di un marito che aveva bisogno, in quel momento? O di pensare a se stessa, alla sua salute? E poi come avrebbe potuto scegliere un marito? Se c’era una cosa che aveva imparato nel suo lungo viaggio è che certe cose non si scelgono, ma avvengono e basta. Non sapeva davvero cosa dire, ma cercò di mantenere la calma. Non voleva sfidare troppo quella vecchia signora dallo sguardo cupo e l’animo ansioso. «Regina Madre, non immaginavo che mio padre stesse cercando un marito per me. Non ne ero al corrente. Ma la ringrazio per avermelo detto. Cercherò di parlare con lui e sicuramente capirà. Capirà che per me non è ancora il momento, che è assolutamente innaturale, nonché ingiusto, trovarmi un marito. L’amore non può essere cercato, e nemmeno imposto, non crede?». A quelle parole, il viso smunto e rugoso della vecchia divenne da bianco cadaverico a rosso fuoco. I suoi occhi, già di per sé sgranati, si colmarono di incredulità mischiata a rabbia. Il suo viso si stava gonfiando, e probabilmente sarebbe esploso, se non avesse tirato fuori dalla sua bocca quelle parole, tutte in un fiato: «Tu proprio non capisci, tu proprio non hai idea di quello che stai dicendo. Non è una scelta che puoi contrattare, non è una cosa di cui parlare, lo devi accettare e punto. Sei una principessa, hai vent’anni – e per un’erede al trono non sono pochi – e per di più sei malata. Non hai molto da scegliere, nipote mia. L’unico modo per darti in sposa è far venire le famiglie più importanti al castello, perché solo vedendo tutta la nostra ricchezza accetteranno senza esitazione di concorrere per la tua mano, nonostante tu sia zoppa e debba iniettarti tutti i giorni il liquido di quella siringa sonora, o quel che sia, nella pelle. Non dimenticarti la tua condizione. Non dimenticarla mai». Un tempo non molto lontano quelle parole crude e così estreme l’avrebbero umiliata, ferita, angosciata, al punto di spingerla a piangere a dirotto per ore e ore. Ma adesso Sandy non era più la bambina ingenua e debole di due anni prima. Aveva conosciuto la delusione, la frustrazione più profonda. Aveva incontrato persone meschine, che l’avevano ferita amaramente nel modo più subdolo, facendole credere di essere persone buone e comprensive. E anche se al tempo aveva provato vendetta e odio, adesso guardando indietro ringraziava quella
12 gente, perché l’aveva resa più forte. È vero, a volte il ricordo faceva male, di tanto in tanto, ma lei era una combattente, aveva imparato a esserlo per non farsi sopraffare dalla disperazione. Accusò il colpo, come poté, e si limitò a dire: «Mi dispiace che possa pensare questo, Regina Madre. Se solo la Regina Mary fosse ancora viva… lei non avrebbe mai espresso parole così dure e pesanti. Lei avrebbe capito». «Lasciamo perdere tua madre» disse la vecchia con disprezzo. «Un altro buco nero di questa famiglia! Un’altra macchia che di certo non ti fa onore, nipote mia. Pensa alle mie parole, pensaci bene stanotte. Vedrai che domani mattina avrai una visione più chiara e migliore». Così dicendo, si alzò dalla sedia aiutandosi con il bellissimo bastone di topazi e rubini e, con camminata lenta ma sicura, si diresse verso la porta, strusciando in terra la sua veste di velluto rosso acceso, e la chiuse alle sue spalle. Sandy sospirò profondamente. Guardò fuori dalla finestra. La vista di quel cielo blu profondo cosparso di bellissime stelle luccicanti rasserenava il suo pensiero e il suo animo. Eppure quelle parole le risuonavano in testa con una prepotenza e una veemenza mai sentite prima. Non le parole della vecchia Regina, quelle le aveva già dimenticate, ma quelle dello specchio, che presagivano un nuovo cambiamento, che parlavano di una “cura” ma soprattutto di libertà.
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CAPITOLO II
Il giorno tanto atteso arrivò velocemente, in un batter di ciglia. Quella settimana passò così alla rinfusa tra preparativi e ritocchi che Sandy, seppur cercò più volte di parlare con suo padre, seppur tentò disperatamente di avere una conversazione con lui, non vi riuscì. Di giorno, egli se ne stava sempre chiuso all’interno del suo studio dal quale continuava a inviare inviti e inviti per il ricevimento che si sarebbe svolto a breve. Di sera, non andava più a cena insieme alla Regina Madre, essendo entrambi troppo occupati a discutere riguardo gli ultimi dettagli. Sandy avrebbe tanto voluto esprimergli tutto il suo disappunto per ciò che stava accadendo, ma era come se lui la evitasse o se le circostanze volessero che si evitassero a vicenda. La principessa aveva pure pensato che vi fosse lo zampino della vecchia Regina, che gli avesse preannunciato il suo pensiero o la discussione avuta giorni prima con lei, e che suo padre fosse stato condizionato a tal punto da decidere di cercare di non incontrarla fino al fatidico giorno, quando lei non avrebbe potuto fare altro che accettare, rassegnata. Aveva pensato a tante opzioni e possibilità ma, visto che parlare con suo padre e spiegare le sue ragioni personalmente sembrava impossibile, decise di essere cauta mostrandosi noncurante come lo era stata fino a quel momento, e di agire con discrezione, alle sue spalle. Fu quando vide dalla finestra della sua camera da letto, che dava proprio sul giardino principale, degli uomini che stavano costruendo degli spalti di pietra intorno all’immenso, intricatissimo labirinto a forma di cigno all’entrata del castello, che Sandy s’insospettì e decise di parlare con Bob, il giardiniere, che conosceva fin da quando era bambina. Il giorno prima del grande evento, la principessa scese in giardino con la sua consueta calma e grazia – non poteva camminare velocemente a causa della sua gamba destra dolorante, che la faceva zoppicare. Al suo arrivo, gli operai intenti ad allestire gli ultimi spalti per il giorno seguente s’inginocchiarono in segno di rispetto. Sandy,
14 con il suo sorriso bellissimo e smagliante, e la sua inconfondibile eleganza e delicatezza, prese a dire: «Vi prego, alzatevi tutti. Non dovete mettervi in ginocchio per me. In verità sono scesa in giardino a disturbarvi e distogliervi dal vostro egregio lavoro perché dovrei parlare con Bob». Bob era un uomo semplice e gentile. Era stato sempre al servizio di Re Henry, aveva visto il re nascere, crescere e governare. Lo aveva visto addormentarsi, e con lui aveva visto le piante e il giardino morire, a poco a poco, cadendo in una stagione indefinita. Lo aveva visto risvegliarsi, riabbracciare sua figlia, e sapeva quanto tenesse al suo regno e al futuro della principessa. Era un suo umile servitore, se così si può dire, e mai e poi mai avrebbe tradito, ingannato o anche solo mentito alla persona che lo aveva sempre rispettato, alla persona che lo aveva accolto a braccia aperte all’interno del suo maestoso regno secoli prima. Alle parole di Sandy, si alzò e si discostò dalle altre cinquanta persone presenti in giardino per inchinarsi nuovamente al cospetto della giovane fanciulla. «Mi dica Principessa, sono il suo umile servitore». «Si alzi, Bob, la prego. In verità, avrei bisogno di parlarle in privato». Bob e la principessa iniziarono a passeggiare insieme lungo l’immenso giardino. Sandy non sapeva come iniziare il discorso, ma poi si fece coraggio. Doveva capire, doveva andare a fondo, perché il suo futuro dipendeva da quello che stava accadendo proprio in quelle ore. «Vede, Bob, ho notato che state costruendo questi bellissimi spalti intorno al labirinto. Vi è una ragione particolare? Sono giorni che vedo le persone intorno a me fremere e darsi da fare, ma ancora non ho ben capito per quale ragione». «Principessa, non mi metta in questa condizione. Ho giurato al Re che non avrei parlato con nessuno di quello che succederà domani». «La prego, Bob, mi renda partecipe. Mio padre il Re non mi dice mai niente di quello che succede, la Regina Madre accondiscende e gestisce allo stesso tempo mio padre. Io, invece, vorrei capire cosa succede intorno a me». Gli occhi luminosi e sinceri della principessa mossero con grazia l’animo buono dell’uomo, il quale cedette alle richieste della giovane fanciulla.
15 «E va bene, glielo dirò, principessa. Ma la prego di non farne parola con il Re. Domani i rampolli delle casate reali più importanti della vallata si sfideranno in duello. Non sarà un duello di forza, ma di intelligenza e astuzia, infatti combatteranno idealmente all’interno del nostro intricatissimo labirinto. Chi riuscirà per primo a trovare la via di uscita, vincerà». Adesso tutto era chiaro. Re Henry l’avrebbe data in sposa a colui che avrebbe per primo capito come uscire dal labirinto, completando il percorso. Sandy pensò per un attimo all’acutezza di suo padre. Era palese come volesse per lei un marito intelligente e sveglio, e non solo forte e prestante fisicamente. Ciò era ammirevole, davvero, ma come avrebbe potuto fargli capire che non era la strada giusta? Che sua figlia voleva altro, soprattutto in quel momento, dalla sua vita? Se fosse stata sempre dentro alle mura del castello, rimanendo la ragazzina ingenua di due anni prima, forse avrebbe accettato, avrebbe ceduto a malincuore in un modo o nell’altro. Ma lei non era più quella di un tempo. Il suo viaggio in solitudine attraverso la Foresta degli Alberi dalle Lunghe Foglie le aveva fatto guardare in faccia la realtà delle cose, in tutte le sfaccettature possibili e immaginabili, cambiando le sue idee e le sue vedute. Era impossibile tornare indietro, era troppo tardi ormai. Alle parole dell’uomo lo sguardo di Sandy si fece più triste e cupo. Bob lo notò, e avvicinandosi leggermente alla ragazza, disse: «Cosa c’è, principessa? Ho detto qualcosa di sbagliato? Se questo è il caso, mi scuso umilmente». «No Bob, lei non c’entra. È solo che io so perché queste persone si sfideranno domani al castello. Si sfideranno per me, perché mio padre vuole darmi in sposa a chi per primo uscirà dal labirinto». A tali parole, gli occhi di Sandy si riempirono di lacrime, tanta era l’amarezza e la tristezza che invadevano il suo cuore ogni volta che pensava a lei e a un perfetto sconosciuto di fronte a un altare in procinto di giurare sul dio dei cieli che si sarebbero amati e rispettati a vicenda per il resto dei loro giorni. Come poteva suo padre farle questo? I suoi occhi erano cupi e grigi in quel momento, quanto gli occhi di Bob erano increduli. “Come poteva la principessa essere tanto infelice?” pensò l’uomo. Non capiva la fortuna che le si stava prospettando dinnanzi? Sposare un uomo sicuramente ricco e benestante che avrebbe assicurato al suo regno continuità e prosperità. Era questo il dovere di una
16 principessa, era questo il dovere di una donna. Possibile che quella giovane fanciulla non capisse? «Ti prego, Bob» esordì Sandy con una certa veemenza. «Aiutami a impedire che mio padre possa farmi sposare una persona che nemmeno conosco, che non ho mai visto in vita mia, che non so da dove provenga». «Principessa, non sia sciocca, la prego. Suo padre ha invitato al castello le famiglie più nobili e in vista della vallata. Saranno tutti rampolli ricchi e abbienti scelti apposta per lei. Deve essere felice di questo, ma soprattutto fiera perché così darà continuità al suo regno». Continuità al suo regno? Anche Bob la pensava come gli altri, anche lui vedeva le cose come tutto il resto della gente. Eppure, Sandy confidava sul suo animo gentile e onesto. Cercò di insistere, appellandosi alla sua bontà, così come poté: «Bob, tu hai una figlia. Ancora è piccola, ma presto anche lei sarà una donna. Se tua figlia fosse infelice e ti dicesse che non vuole ciò che tu le stai imponendo in quel momento, cosa faresti? Andresti incontro alla sua felicità, o rimarresti fermo nelle tue convinzioni?». Bob rifletté un attimo. Si trovava in una posizione difficile in quel momento. Era consapevole che non avrebbe potuto mai e poi mai andare contro al Re, ma allo stesso tempo provava tenerezza per quella ragazza, una principessa che aveva perso tragicamente la madre, doveva convivere con una malattia che non l’avrebbe mai abbandonata ed era pure costretta a sposare una persona che probabilmente non avrebbe mai amato. Senza rispondere alla domanda di Sandy, arrivò subito al dunque. «E va bene, principessa, mi dica cosa posso fare per lei». Gli occhi della fanciulla s’illuminarono di colpo. «Bob, tu conosci quel labirinto come il palmo della tua mano. Sai meglio di me che è estremamente intricato e difficile da decifrare, ma non impossibile. Se solo tu potessi rendere ancora più difficile il percorso, chiudendo gli spazi accessibili e le vie di uscita, nessuno riuscirà mai ad arrivare alla meta e probabilmente io avrò il tempo di parlare direttamente con mio padre, facendogli capire che, almeno per adesso, non è un matrimonio ciò che voglio». «Ma come faccio principessa? L’evento si svolgerà domani, gli invitati arriveranno la mattina presto. Non ho abbastanza tempo».
17 «Sì che ce l’hai Bob. Sai perfettamente che puoi piantare una siepe alta due metri in una sola ora. Ti prego, aiutami, e te ne sarò riconoscente». Gli occhi grandi e lucenti di Sandy, scuri come l’universo e luminosi come le stelle del firmamento, convinsero l’uomo il quale, con tono pacato, disse che avrebbe fatto il possibile. È proprio per questo che la mattina del grande giorno la principessa era tutto sommato tranquilla. Bob aveva piantato nei punti strategici del labirinto piante alte e vigorose che nel corso della notte si erano talmente infoltite da rendere davvero difficile il cammino. Il suo cuore colmo di speranza le diceva che avrebbe potuto guadagnare tempo, o forse prolungare il tempo all’infinito, avendo la possibilità così di parlare a cuore aperto con suo padre, da sola, senza l’interferenza della Regina Madre e di nessun’altra persona al mondo, e forse suo padre alla fine avrebbe capito, e accettato soprattutto. Quella mattina si svegliò con un’insolita calma e leggerezza. Scelse uno dei vestiti più belli del suo guardaroba, bianco di seta con rifiniture azzurre e oro, ricoperto di acquemarine. Era così bella. Lo specchio imponente, dal centro della sua stanza, sembrava sorriderle e invitarla a sperare, ad attendere, con pazienza. Prese la puntura magica dal cassetto della sua scrivania e con passo lento ma deciso si diresse nella sala principale del castello, dove avrebbe incontrato il Re e la Regina Madre con i quali si sarebbe diretta verso il giardino principale, dove si sarebbe svolta la cerimonia. Non appena suo padre la vide entrare nel salone principale, gli occhi già di per sé luminosi divennero brillanti. “La mia bambina è cresciuta” pensò tra sé e sé, “ed è sempre più bella”. Anche la Regina Madre quel giorno era particolarmente raggiante. In cuor suo, era sicura che Sandy avesse ascoltato attentamente le sue parole e i suoi consigli, convincendosi che aveva ragione e che ciò che le aveva detto era esattamente la cosa giusta da fare. La bellezza della nipote quel giorno era disarmante, e la rincuorava. “Ha capito” pensò la vecchia regina, “ha capito che questa è la sua grande occasione, che oggi si deciderà il suo futuro”. Ma ciò che Sandy stava capendo, e percependo, era solo una strana, grande voglia di evasione e libertà. Appena tutti e tre entrarono negli spalti, dirigendosi con eleganza e disinvoltura verso le poltrone principali, appositamente apposte per la famiglia reale, un suono di tromba acuto e imponente annunciò il loro arrivo.
18 «Diamo il benvenuto a Re Henry, insieme alla Regina Madre e a sua figlia, la Principessa Sandy». Applausi di gioia e di ammirazione iniziarono a pervadere l’intero parco e l’intero giardino, entrando con prepotenza all’interno del labirinto, permeando come in un abbraccio i fiori, le piante, il terreno, e ogni altro angolo, anche quello più nascosto e in disparte. Non appena Sandy si mise a sedere ammirò la vastità e l’immensità della visione che aveva dinnanzi. Delle migliaia e migliaia di persone che Re Henry aveva solennemente invitato per chiedere in sposa sua figlia, duecento erano le famiglie che alla fine erano accorse al castello. Le altre avevano rifiutato. Erano a conoscenza dell’enorme ricchezza del regno e della grande potenza di Re Henry, ma allo stesso tempo sapevano che l’erede al trono era una principessa bellissima e malata, e questo spaventava. I duecento rampolli che, o per interesse, o per comodità, o per fiducia incondizionata avevano accettato l’invito, adesso erano lì, di fronte ai loro occhi, disposti come soldati impettiti e pronti a fare del loro meglio pur di accaparrarsi il regno. Tra di loro vi erano le personalità più in vista della vallata: il Principe Dorian, erede della famiglia al trono di Prideville, noto per essere un paese ricco e prosperoso, abitato da persone particolarmente irruente e superbe. Vi era il Principe Andrew, erede al trono di Selfishville, un altro regno particolarmente noto per la sua ricchezza nonché per la sua bravura ad accaparrare beni di ogni tipo e a tenerli tutti per sé. Vi era anche il rampollo della casata che dominava il paese di Quietville. Anch’egli ricchissimo, era noto per la sua calma e lentezza. Per compiere un passo impiegava il doppio del tempo di tutte le altre persone presenti in quel luogo e, proprio come gli abitanti del suo regno, aveva il dono, o meglio il vizio, di dormire per ore e ore, senza stancarsi mai. Re Henry, leggermente deluso per il numero ristretto dei partecipanti, era comunque fiero e felice di quello che stava accadendo. Sua figlia quel giorno era stupenda, e sperava in cuor suo che la sua ricchezza e la sua bellezza potessero togliere qualsiasi minimo dubbio anche a chi, per un millesimo di secondo, potesse aver pensato che sposare una ragazza in preda a una malattia fosse qualcosa di insensato e ingiusto. Si alzò in piedi dalla poltrona ricoperta di topazi e gemme preziose posizionata al centro degli spalti, e con estrema eleganza e regalità, con tono pacato e deciso, prese a dire:
19 «Carissimi tutti, sono onorato di avervi al mio cospetto in questo giorno bellissimo e pieno di speranza. Oggi l’aria è fresca, il sole è alto e splendente e il cielo è terso. Tutto preannuncia l’arrivo di un momento di rinascita, un nuovo ciclo, una nuova vita. La ragione per cui quest’oggi siete stati convocati qui di fronte a me è proprio quella di intraprendere un nuovo lungo cammino insieme. Come voi tutti saprete, il mio regno ha vissuto un periodo molto difficile, contrassegnato da dieci lunghi anni di sonno, tristezza e carestia. Ma adesso, il regno di Re Henry è tornato a splendere in tutto il suo vigore, e se ciò è stato possibile è solo grazie a una persona, mia figlia». Gli occhi di tutta la platea, di tutti gli aspiranti al trono e di tutto il regno intero si diressero verso Sandy. Splendente, nel suo abito di seta, irradiava da lontano una luce tenue ma decisa. Se non fosse stato noto, se nessuno avesse saputo, sarebbe stato impossibile immaginare che quella creatura così elegante e perfetta, nel pieno della sua giovinezza, potesse in realtà nascondere dentro di sé una malattia tanto silenziosa quanto ingiusta. Dopo una breve pausa, il Re continuò con il suo solenne discorso. «Ed è proprio per questo che oggi voi siete qui, per confrontarvi e sfidarvi, non con la forza, e nemmeno con la violenza, visto che forza e violenza non appartengono a questo regno, ma con l’astuzia e l’intelligenza. Chi per primo riuscirà a uscire da questo labirinto, chi per primo arriverà alla meta percorrendo questo percorso tanto intricato quanto indecifrabile avrà come dono la mano di mia figlia, e diverrà così principe, nonché futuro Re, del mio regno». A quelle parole una fitta intensa strinse come in una morsa lo stomaco di Sandy. Era difficile accettare quella condizione, era impossibile pensare che le parole di suo padre potessero rappresentare la realtà in maniera inamovibile. Eppure, nonostante il tormento che anche solo il pensiero di sposare una persona che non amava o che aveva appena conosciuto le procurava, Sandy capiva che quello non era il momento di ribattere, ma di aspettare. Aspettare con silenziosa speranza che la sua conversazione con Bob il giorno prima producesse anche solo il minimo risultato per poter ritardare l’evento e darle la possibilità di parlare con suo padre il prima possibile. Non appena il Re ebbe terminato il discorso, un silenzio solenne invase l’intera arena da combattimento con un misto di patos e trepida attesa.
20 Due suoni interruppero d’improvviso quella breve eterna aspettazione: il suono delle trombe e dei tamburi. Furono tre gli squilli forti e acuti che le trombe annunciarono d’impulso, come messaggeri veloci e ansiosi di dare inizio a un’epopea. A questi, si susseguirono tre segnali sordi, definiti e decisi, provenienti dai tamburi che rombarono con forza all’interno delle orecchie di tutti i partecipanti, per addentrarsi nella testa, nel volto, per poi scendere nello stomaco e raggiungere inaspettatamente il cuore di ognuno di loro. Quello di Sandy batteva all’impazzata. Sperava, con tutta se stessa, che quello spettacolo potesse prolungarsi all’infinito, per ore, giorni, mesi, anni. Dopo quei tre suoni sordi e decisi, un altro millesimo di secondo di silenzio si propagò con forza nell’aria per precedere e lasciare poi spazio a un deciso, inaspettato, impetuoso “Via!”. Una massa ordinata ma irruenta di duecento persone iniziò a muoversi come un’onda spinta dal vento all’interno del maestoso labirinto. Sebbene i corridoi di quell’immenso agglomerato di alberi e piante di ogni tipo fossero enormi in lunghezza quanto in ampiezza, tanto da contenere egregiamente tutti i prodi e coraggiosi cavalieri pronti a battersi per conquistare il regno, dagli spalti, nel punto più alto dove si trovava Re Henry insieme a sua figlia, era difficile distinguere i loro visi, o anche solo le loro teste. Quei giovani sembravano attaccati l’uno all’altro, formando una valanga umana indistinta che cercava disperatamente di capire la strada più giusta da percorrere, il vicolo o l’angolo più consono da imboccare per poter arrivare velocemente al traguardo e uscire finalmente dall’intrigo. Ma orientarsi non era facile, tutt’altro. Da ogni parte, anche dove apparentemente era possibile trovare una scorciatoia, i giovani cavalieri si trovavano dinnanzi alberi ancora più alti della siepe stessa, che sembravano sovrastare l’intero giardino e ostruire il cammino. Erano così verdi, così autentici, così rigogliosi che sembravano essere stati appena piantati e cresciuti in soli pochi minuti nel terreno soffice ma asciutto nel giardino del castello. In effetti, lo erano. Bob aveva piantato sapientemente quelle piante durante la notte nei punti strategici, al centro del labirinto, proprio a metà cammino, nei punti in cui, se solo avessero potuto, con un po’ di astuzia e intelligenza, i prodi cavalieri avrebbero imboccato il percorso per arrivare all’uscita in maniera più veloce e semplice possibile. Ma questo, adesso, non era consentito. Dopo ben quattro ore dall’inizio del
21 torneo, i combattenti erano ancora in balìa delle onde, o del destino. L’ansia stava iniziando ad attanagliare con una certa insistenza i giovani rampolli, che sebbene stessero facendo il possibile per proseguire, trovavano in ogni possibile angolo ostacoli da superare o impedimenti da raggirare. Solo uno di loro non lasciava trasparire il minimo segno di agitazione o trepidazione, Charles, erede al trono di Quietville. Silenzioso e appena goffo nel camminare, già a metà strada iniziò a mostrare i primi, evidenti segni di cedimento. A ogni passo, infatti, sbadigliava in maniera così rumorosa e prolungata da creare un rimbombo cupo e assordante che, in pochi secondi, avvolgeva come in un cappa oscura l’intero giardino e l’intero castello. I suoi occhi erano buoni e lucenti, ma impossibile da notare visto che erano sempre semi chiusi, avvolti da una condizione di semi sonnolenza. Ciò che balzava alla vista in maniera lampante, invece, era la sua stazza, simile a quella di un orco, il suo collo taurino, grosso e rozzo, il suo viso massiccio, tondo e leggermente storto. A un certo punto, proprio quando si trovava al centro del labirinto, esattamente a metà strada dal traguardo, corrispondente all’ala del cigno, il giovane, preso da un’improvvisa voglia di sdraiarsi, si accasciò a terra appoggiando la sua schiena a uno degli alberi seminati da Bob la notte stessa. La corteccia era così morbida, nonostante la pianta fosse forte e robusta, tanto che il giovane vide improvvisamente dinnanzi un comodo cuscino sul quale poter trascorrere qualche istante prima di proseguire. D’altro canto, gli altri contendenti non si davano pace. Chi da una parte, chi dall’altra, tutti cercavano disperatamente la via d’uscita, invano. Anche se scorgevano un’insenatura aperta che lasciava intendere una possibile apertura verso l’esterno, il tutto decadeva magicamente non appena giravano l’angolo. Bob aveva seminato con una certa attenzione. La maggior parte degli alberi erano già cresciuti, altri finivano di innalzarsi non appena i pretendenti giravano le spalle, beffandosi del loro impegno e della loro buona fede. Alle sette della sera, dopo un’intera giornata dalla mattina presto trascorsa di fronte al labirinto, sperando con tutto se stesso che qualcuno potesse uscire al più presto di lì, il Re si spazientì. Aveva calcolato tutto nei minimi particolari, ma adesso i suoi piani stavano a poco a poco scemando. Aveva studiato con Sir Lucas i tempi di percorrenza del labirinto per una persona abbastanza intelligente. Chi possedesse un minimo di astuzia e intelligenza – caratteristiche basilari
22 per poter sposare sua figlia – avrebbe dovuto impiegare per uscire dal percorso un massimo di sei ore e, spinto dalla brama e dalla voglia di accaparrarsi il regno, ci avrebbe dovuto impiegare ancora meno, non più di cinque ore totali in ogni caso. Erano quasi dieci ore che quella massa umana continuava a girare e rigirare per i corridoi del folto sentiero, ma ancora erano sì e no appena a più di metà dall’arrivo e, soprattutto, erano completamente smarriti e letteralmente nel pallone, iniziando a mettere in evidenza chiari segni di nervosismo e irritabilità. Il Re, che iniziava a scricchiolarsi le nocche delle mani e ad agitare in maniera repentina e continua le dita sulla sedia di topazi e pietre preziose, preso da un’irrefrenabile irrequietezza, si alzò di colpo in piedi esclamando a gran voce: «Ma che sta succedendo! Perché nessuno trova l’uscita!». Pensò, mentre quelle parole uscirono dalla sua bocca inquietando tutti gli spettatori del regno, compreso i combattenti, che o qualcosa stava andando per il verso sbagliato – ma cosa, aveva calcolato tutto lui – o che quei giovani rampolli, ricchi e apparentemente rispettabili, erano in realtà tutti piuttosto stupidi. Sandy, soddisfatta in cuor suo, si fingeva preoccupata. Le dispiaceva per suo padre, si era così dato da fare, ma quella era l’occasione giusta per esternare il suo pensiero e dirgli apertamente cosa pensava riguardo al suo imminente futuro. Stavano quasi per suonare le nove di sera, l’ora fatidica, l’ora letale della tanto odiata quanto pensata puntura, che Re Henry, preso dallo sconforto, dopo ben dodici ore di spettacolo inutile e raccapricciante, tra gli sbadigli e la stanchezza della platea, prese a dire: «Basta, fateli uscire, inutile continuare, almeno per oggi!». Ma proprio quando il suono di tromba stava per attirare l’attenzione di tutti, proprio pochi attimi prima che i contendenti fossero richiamati per tornare al punto da dove erano entrati, una voce stanca ma squillante disse con tono deciso: «Ce l’ho fatta!». Tutti si girarono verso l’uscita del labirinto, il traguardo, illuminata da fuochi e luci di stelle e dai raggi tenui ma decisi della luna. Era lui, l’erede di Quietville, che con la sua stazza possente e i suoi occhi semichiusi stava varcando, barcollando, la soglia che divideva il labirinto dalla parte esterna del giardino, all’altezza del becco del cigno. Non appena ebbe concluso, tra gli applausi e gli incitamenti della
23 platea, si distese per terra, stremato, e prese a russare fragorosamente, perso nel sonno profondo. Re Henry, incredulo, rilassò d’improvviso la sua faccia dapprima in tensione e con occhi lucenti disse: «Abbiamo un vincitore! Un po’ abbacchiato, ma pur sempre un vincitore!». Al contrario, la faccia di Sandy, inizialmente rilassata, divenne immediatamente una fascia di nervi. Cosa era successo? Eppure Bob aveva fatto il possibile, ne era certa e ne aveva avuta evidenza. Peccato che ella non sapesse che il vecchio giardiniere, oltre a seminare alberi e folte piante negli snodi del labirinto che avrebbero portato intuitivamente all’uscita, aveva lasciato attorcigliati al tronco di tre di essi dei filamenti d’oro finissimi, quasi impercettibili dall’alto a occhio nudo, che portavano dritti fuori da quel groviglio. Era stata la luce di questi ultimi, accentuata dallo sguardo vigile della luna e delle stelle, a destare Charles il quale, colto da un improvviso slancio di intraprendenza, aveva deciso di alzarsi, prendere il gomitolo d’oro tra le mani e dirigersi silenziosamente, con quest’ultimo, verso il traguardo, alle spalle degli altri rampolli disperati. Una volta uscito i filamenti d’oro si erano magicamente dissolti nell’aria, perché Bob aveva effettivamente pensato a tutto, anche a non lasciare nessuna traccia dell’inganno. Come è vero che chi va piano va sano e lontano. Come è vero che spesso la fortuna si presenta quando meno te l’aspetti, e tarda ad arrivare se la cerchi a tutti i costi, affannosamente, e che il caso, o il destino, giocano sempre un ruolo fondamentale. Come è vero che un umile servitore non tradirà mai e poi mai il suo padrone. Sandy, con lo sguardo tetro e gli occhi increduli, seguì a capo basso il Re e la Regina Madre, i quali, sguardi al cielo stellato e visi in festa, si dirigevano a larghi passi verso il vincitore per complimentarsi con lui. Fu necessario che ben cinque servitori cercassero di destarlo, a suon di calci, perché Charles, occhi buoni ma spenti, era in preda a un sonno profondo che difficilmente lo avrebbe totalmente abbandonato nella sua vita. Una volta alzato, si ricompose, e sbadigliando farfugliò: «Sono onorato, Sire, di essere qui. Sono onorato di essere il prescelto per la Principessa Sandy». Detto ciò Re Henry si avvicinò e, tenendolo per un braccio per non farlo cadere, disse a gran voce:
24 «Avanzi, giovane, venga a stringere la mano a mia figlia, nonché sua futura sposa!». Sandy con lo sguardo basso strinse la mano a quel ragazzone imponente, dal collo grosso e grezzo e dal viso buono ma dormiente. Nessun sentimento, nessuna alchimia, niente di niente scattò nel suo animo a quel tocco. Era vuota in quel momento, come vuota era la sua mente che non voleva nemmeno pensare al futuro, non voleva nemmeno sfiorare l’idea di vivere per sempre al castello insieme a lui. «Bene, e adesso che avete fatto conoscenza vada a riposarsi, Principe Charles. Se lo merita. Avrà tutto il tempo per stare con mia figlia». Detto ciò, i cinque servitori presero Charles per le braccia e aiutandolo lo spostarono al centro del giardino, di fronte agli occhi curiosi e felici delle migliaia di spettatori. Un suono squillante di tromba preannunciò il solenne, maestoso comunicato: «Congratuliamoci tutti con il Principe Charles, erede al trono di Quietville, un paese ricco, prosperoso e tranquillo, nel quale regna tranquillità e… tranquillità. Sarà lui il nuovo prescelto, sarà lui il futuro Re che darà continuità al nostro regno, il tanto celebrato Regno di Re Henry. Sarà lui il futuro consorte della nostra cara Principessa». Quelle parole, qualche ora dopo, rimbombavano ancora con fragorosa confusione nella testa di Sandy. Non era riuscita a prendere sonno. Non poteva accettare l’accaduto, non poteva accettare che quella situazione si risolvesse in quel modo, nel totale e passivo silenzio. Doveva fare qualcosa, perché lei quell’uomo proprio non lo voleva sposare. Si decise di andare a parlare con suo padre. Salì le scale che portavano direttamente al suo studio – a quell’ora il Re era ancora alzato, a sistemare le ultime cose per poter, l’indomani, comunicare a tutti il futuro del suo regno ufficialmente. Aprì la porta. Re Henry era alla scrivania, da solo questa volta. Era confortante sapere che la Regina Madre non era con lui almeno in quel momento. Non appena vide la figlia con i bellissimi occhi neri leggermente lucidi e le occhiaie, preoccupato si alzò andandole incontro. «Figlia mia, cos'è successo? Tutto a posto?». Sandy alzò lo sguardo, fino a quel momento chino verso il pavimento. «Padre, non riesco a dormire, devo parlarle. Forse avrei dovuto farlo prima di ieri, forse avrei dovuto farlo prima del torneo». «Dimmi Sandy, ti ascolto».
25 «Non voglio sposare Charles». Quella risposta, ferma e diretta, fu come un vento gelido proveniente dalle fredde montagne nordiche che immobilizzò di colpo il volto del Re, tagliando minuziosamente la sua pelle liscia e rosea. «Non vuoi cosa, figlia mia? Non vuoi sposarti? Dopo tutto quello che ho fatto per organizzare la giornata di oggi, dopo tutti i miei sforzi mi dici questo, adesso? Sai benissimo che è un tuo dovere, che è necessario per il nostro regno». «Padre, io apprezzo la sua premura, apprezzo tutto ciò che ha fatto per me, e glielo dico con il cuore. Ma io non me la sento, io non me la sento di legarmi a una persona che non amo e che, probabilmente, non amerò mai. Non adesso, non qui, non con quest’uomo». «Quest’uomo, come lo chiami tu, è un giovane rispettabile proveniente da un regno ricco e florido. Sì, forse adesso ti sembra strano amarlo, forse adesso ti sembra addirittura impossibile. Ma vedrai che con il tempo, imparerai. Insieme, darete futuro a questo regno, nei tempi e nei secoli». Imparare ad amare? Sandy pensò se fosse qualcosa di concretamente possibile. «Padre, come posso imparare ad amare un uomo che… che non si regge nemmeno in piedi! Ma l’ha visto? Ha visto come dormiva per terra dopo essere giunto al traguardo? Ha visto come i suoi occhi appena riescono a stare aperti a causa della stanchezza? Crede che Charles possa essere davvero l’erede al trono che stavate cercando? Il futuro marito di sua figlia? Come può pensare che possa governare un regno, in quello stato? Non fa che dormire». Il Re addolcì per un momento lo sguardo. Le parole di sua figlia avrebbero avuto un senso in un’altra epoca, in un altro contesto, in un’altra vita. Ma lui era Re Henry, e aveva indetto un torneo dando la sua parola. Adesso, non poteva di certo ritrarla. «Sandy, figlia mia, io ho speso delle parole, e devo rispettarle in quanto tali. Il primo che sarebbe uscito dal labirinto sarebbe stato tuo marito. Per primo è uscito Charles, e lui sarà tuo marito. Così è e così dovrà essere». «Anche se io non voglio, padre? Per lei la felicità di sua figlia non conta? Conta solo quella del suo regno?».
26 Quelle parole mossero la parte irruenta dell’animo del Re. Sua figlia non poteva permettersi di rivolgersi a lui in quel modo. Alzò leggermente la voce, infastidito. «Sandy, la tua felicità mi sta a cuore, credimi. Proprio per questo è bene che tu sposi Charles, non possiamo perdere questa occasione». «Un’occasione? Lei pensa che se non mi sposa lui, non mi sposerà nessun altro, non è così?». «Sandy, figlia mia, tu sei malata. Zoppichi. Pensi che quei rampolli non lo sapessero quando hanno accettato il mio invito? Pensi che non gli stia a cuore il loro futuro e quello dei loro eredi? Eppure sono venuti ugualmente perché tu sei bellissima e…». «E sono ricca, soprattutto, vero?». Il Re abbassò la testa. Quelle parole entravano con prepotenza nell’animo della figlia, colpendo la parte più profonda del suo cuore. Quello che diceva la Regina Madre non le importava – come poteva essere condizionata dalle parole di una vecchia regina decaduta, che non conosceva la comprensione, la pietà, l’amore. Ma sentirlo da suo padre, per lei, significava sofferenza. «Non volevo dire questo» tagliò corto il Re, «devi solo adempiere ai tuoi doveri. Per una futura regina, i doveri sono anche questi. Adesso vai a dormire, e riflettici. Vedrai che domani starai meglio». Detto ciò, si rimise alla scrivania del suo studio e continuò il suo lavoro. Sandy tornò in camera sua. Una volta chiusa la porte alle sue spalle, si perse totalmente e inconsciamente in un pianto dirotto. Dopo molto tempo sperimentò, ancora una volta, quella intensa quanto odiosa sensazione di sconforto. Si domandò il perché di certe situazioni, il perché di determinate conversazioni. Si domandò in cosa aveva sbagliato o perché lei era così sbagliata. No, non poteva sprofondare di nuovo nella disperazione. Era riuscita a riemergere, era riuscita a venire fuori dall’abisso nel quale stava per annegare, inesorabilmente, come un galeone ferito che piano piano cade giù, nel mare più oscuro e profondo. Adesso non poteva cedere di nuovo. Le sue lacrime, luminose e limpide come gocce di rugiada che al mattino bagnano con delicata disinvoltura i petali lisci e morbidi delle rose, s’innalzarono in aria dirigendosi a piccole gocce distinte verso lo specchio. Sandy si girò di colpo. Lo specchio! Per un brevissimo istante lo aveva come
27 dimenticato. Le lacrime si posarono come farfalle sopra quella superficie luminosa che, a quel tocco, s’illuminò. Ma questa volta la luce era ancora più smagliante, ancora più forte rispetto alle altre. Attirando Sandy in lacrime al suo cospetto e, consolando d’improvviso il suo tormento, prese a dire: Le lacrime di una principessa dal cuore grande pure saranno Anche quando le paure agguantarle potranno Quel cuore grande un senso di evasione possiede nel profondo Una voglia di libertà che lo porterà in giro per il mondo Ancora è troppo presto per chiudersi in queste grandi mura La consapevolezza di non amare veramente incute grande paura Una pausa e un breve sospiro, poi lo specchio continuò: L’amore profondo è prima di tutto l’amore verso di sé Che spingerà la principessa ad andare oltre quello che c’è Un desiderio forte in fondo al tuo cuore adesso io sento È diventato così forte da essere un piccolo tormento La voglia di proseguire e migliorarsi è del tutto normale Ma per farlo di nuovo oltre le mura del castello occorre vagare Sandy ascoltò quelle parole con attenzione. Era vero, la voglia di libertà fremeva dentro di lei, così come il pensiero sempre più fisso, nel profondo, di poter trovare una cura, una vera cura che potesse farla tornare a camminare per sempre, e non solo temporaneamente. Una cura che potesse farla rinsavire nel tempo, non un minuto, non un anno, non qualche breve istante. Lo specchio le aveva insegnato tanto, le aveva mostrato tutta la sua bellezza, le aveva fatto capire quanto nonostante tutto fosse unica, ma c’era qualcosa di sbagliato a voler tornare a camminare come gli altri? Nonostante avesse accettato la sua condizione, la speranza non è forse l’ultima a morire, dopo tutto? Sandy, ascoltando quelle parole, prese a dire: E allora, specchio, specchio come posso fare Come la Sandy di un tempo posso tornare? Ti prego specchio, dammi una speranza.
28 Sebbene me stessa sia riuscita ad accettare, Bellissimo sarebbe poter alla perfezione di nuovo camminare. Lo specchio, che emanava una luce azzurro tenue, divenne ancora più luminoso e, accerchiato da un’aurea ancora più forte e intensa, dopo una breve pausa disse: Vedo, vedo che partirai Di nuovo alla ricerca di qualcosa ti spingerai Quel qualcosa prende il nome di una cura Ma trovarla sarà cosa dura Spesso ciò che sembra buono veramente buono non è Una scelta si impone fra lei e te Sandy, appena udì quelle parole, intervenne spaventata: Ma, specchio, specchio come posso fare Sai benissimo che per me è difficile camminare Sebbene la voglia di libertà dentro di me frema impetuosa Sai perfettamente che adesso partire è cosa assai faticosa Dopo aver iniziato a camminare la mia gamba destra duole Il mio corpo mi fa capire che andare avanti non vuole Sempre con me la siringa a forma di flauto devo portare Perché alle nove di sera il liquido magico mi devo iniettare Lo specchio capiva le insicurezze e la paura della principessa, capiva quanto il suo corpo soffrisse. Eppure, oltre alla sua malattia, percepiva con ancora più forza il desiderio di Sandy di cambiamento, di spingersi oltre, nonostante tutto. Non poteva restare indifferente a tutto ciò, non poteva non dare una possibilità a quella dolce, bellissima, elegante fanciulla. Lo specchio ascoltava i suoi desideri più nascosti, quelli che nemmeno lei sapeva più di custodire, in fondo. In base a tali desideri, pronunciava quelle parole con scioltezza e armonia. Con ancora più lucentezza e vigore riprese a dire: Ebbene, mia dolce principessa, là in un posto sperduto al di là dell’universo Esiste une cura chiamata il nettare della felicità
29 Che a camminare facilmente tornare ti farà Ma la felicità come ben si sa è cosa rara È come una fonte d’acqua in mezzo al Sahara Difficile a volte distinguerla sarà Ma lo specchio che adesso ti parla al tuo fianco si troverà Ascoltando il tuo cuore attraverso diversi mondi ti condurrò Finché trovare ciò che cerchi finalmente potrò E se camminando un dolore profondo alle tue gambe sentirai Con il teletrasporto spostarti tu potrai Il teletrasporto? Come funzionava un teletrasporto? Sandy, dopo molto, si fece assalire nuovamente da quell’irrefrenabile bruttissima sensazione di paura. Ma lo specchio proseguì imperterrito con energia: Una mano sopra lo specchio adesso tu poserai E la formula magica con convinzione pronuncerai “Lampi di genio, stelle infuocate e raggi di sole Portami dove tu solo saprai Portami dove con il cuore condurmi potrai” Sandy, trasportata da quel vortice di luce posò quasi d’istinto la mano destra su quella superficie luminosa, così splendida da circondarla, tanto da farle dimenticare per un istante dove si trovasse - nella sua camera, di fronte al suo letto. Con la mano sinistra si assicurò che la puntura magica fosse lì, dove l’aveva messa quella mattina al suo risveglio, nella tasca del suo bellissimo imponente vestito. Con le labbra pronunciò come in un incanto quelle parole, come se qualcosa la trascinasse a poco a poco, con grazia, verso qualcosa d’ignoto, ancora una volta, ma che lei desiderava con tutta sé stessa: “Lampi di genio, stelle infuocate e raggi di sole Portami dove tu solo saprai Portami dove con il cuore condurmi potrai” Al suono della sua voce, il vortice divenne ancora più intenso e radioso, avvolgendo completamente la fanciulla. Sandy, con lo specchio tra le mani e con una siringa a forma di flauto all’interno del suo vestito,
30 scomparve improvvisamente nel nulla. Al suo posto, frammenti di stelle e candide acquemarine si posarono a terra, continuando a illuminare perpetuamente il buio oscuro della sua camera in quella magica notte. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
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