Scherzi da giullare

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FABIO G. TURATA

SCHERZI DA GIULLARE Un racconto fantadelirico in tre parti

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SCHERZI DA GIULLARE Copyright Š 2012 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-471-0 In copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Dicembre 2012 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova


A Elisa, per avermi insegnato a lottare Per aspera ad astra



Parte prima - Le patate ci guardano -



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Capitolo 1

Attivazione. Dal reperto cartaceo cr131 dell’Accademia Universale Titillian, detto “il terzo diario di Paco”. Autore: Testimone Etnomnemonico IT3.M del pianeta Srrzzrr, campione terminale. Avevo circa sedici anni, la prima volta che vidi un ufo. Percorrevo la strada statale per Paullo a bassa velocità, seduto al posto del morto, perso tra le luci e lucine della metropolitana di S. Donato. La sua struttura neo industriale faceva volare la fantasia verso un futuro cyberpunk, un mondo che bussava alla nostra porta con il timore del venditore ambulante al primo giorno di lavoro. Un futuro che nessuno cercava, ma che tutti sentivano incombente e inevitabile. La notte era un acquario di pesci psichedelici, di lumi danzanti e intermittenti che sulla retina di un ragazzo sempre strafatto, come ero io all’epoca, non potevano che trasformarsi in strisce luminescenti e stelle filanti ectoplasmatiche. Dumbo guidava distrattamente, avendo di certo inserito il pilota automatico neurale che ogni fattone aziona lungo strade percorse non meno di cento volte. I suoi occhi azzurri, sfigurati da infinite venuzze rosse, erano sbarrati, vacui, annoiati da un paesaggio a lui fin troppo familiare. «Sono impastatissimo» mi disse roco «ho la saliva al Vinavil.» «Troppi ciloom, Dumbo» risposi senza neanche guardarlo «prima o poi passerai anche tu alla carta, vedrai…» «Neanche se fossi senza cintura!»


8 Quella della cintura era la tecnica del fumatore all’ultimo stadio, il tossico con tutto il materiale per la mista, ma neanche un Tuttocittà con cui tirarla su. Gli anfibi mi stringevano ai lati le piante dei piedi, prudendo e torturandomi come solo Torquemada avrebbe saputo fare. Non ho mai rimpianto nulla amaramente quanto le mie Nike del periodo pre-metallo. «Se andiamo così piano, al foro ci arriviamo per natale… poi Tesct lo senti tu.» «Saremo a Pantigliate in meno di dieci minuti» mi tranquillizzò lui «vedi di rilassarti e tappare quella boccaccia.» Come se ci fosse realmente fretta. Come se i nostri amici potessero spostarsi da quella gradinata che, con una certa ironia, chiamavamo “foro”; sentivo gli antichi romani rigirarsi nelle tombe ogni qual volta veniva pronunciato quel nome altisonante. Guardai il cielo di maggio, scevro di nubi e spillonato di stelle, striato dagli onnipresenti cavi dell’alta tensione. Poi accadde. Una luce giallastra, prima lontana e fioca, poi sempre più vicina e sfolgorante, accese d’improvviso la nostra attenzione. In pochi secondi, una struttura metallica passò a velocità innaturale rasente alle nostre teste, lasciandoci basiti e interdetti. Solo pochi attimi, una manciata di istanti trascendenti e ci guardammo sconvolti. «Lo hai visto?» balbettai io. «Certo… non posso crederci» rispose Dumbo «cazzo! …mi sa che era un UFO. Un aereo non poteva essere… ma che cazzo ci siamo fumati?» «Non dire cagate, Dumbo» replicai convinto «non esistono allucinazioni da Ciocco-paraffone.» «No, lo so. Era vero, cioè, era un cosa… reale… che facciamo?» «In che senso?» dissi lasciandomi morire sul sedile della Golf. «Nel senso se dobbiamo dirlo a qualcuno» suggerì il mio amico al volante, serio come le conseguenze dell’effetto serra. «E chi pensi che ci crederebbe? Tu ti crederesti?»


9 «No» rispose secco Dumbo. «Teniamocelo per noi» sentenziai «io ho scritto un articolo sul giornalino della scuola proprio sugli UFO mesi fa e da allora sono universalmente considerato un pazzoide. Era una bella intervista para-scientifica a un ufologo, figurati se mi metto a dire in giro che me ne è passato uno a meno di dieci metri!» Dumbo mi guardò diritto negli occhi, con uno sguardo stereoscopicamente strabuzzato, ma freddo e impassibile. «Zitti. Giuriamo di non dirlo mai a nessuno, teniamoci per noi questa follia. Secondo me è la cosa giusta da fare. Che ne dici?» mi chiese con malcelato timore. «Sì» annuii io «giuriamo. Solo noi sapremo la verità.» Non avrei mai pensato di infrangere questo patto più di dieci anni dopo, ma a volte i nostri segreti diventano inutili come un congelatore al circolo polare artico. Scusa lo stesso, fratello. All’attenzione dell’Alto consiglio interno dell’Accademia Universale Titillian, relazione multisensoriale di carattere strategico-informativo Considerando le infinite combinazioni possibili di eventi e accadimenti, risulta quasi impensabile il fatto che l’universo abbia assunto una forma unica e così sconvolgente. Molte specie senzienti e non, sono nate, si sono evolute e sono scomparse in remoti anfratti cosmici, il più delle volte senza venire a conoscenza l’una dell’altra, in molti casi senza sospettare minimamente l’esistenza di qualcuno o qualcosa al di sopra del proprio cielo. Una delle ventiquattro costanti universali, come è noto, consiste nella tendenza delle specie senzienti a formulare bizzarre teorie sul perché di concatenazioni d’eventi apparentemente inspiegabili, rese pressoché inintelligibili dalla scarsità di


10 strumenti d’osservazione e dall’inadeguatezza di chi si incarica di formulare ipotesi a riguardo. Ogni studente dell’Accademia conosce la storia di Fisilii della galassia di Barzòt, nato, cresciuto e morto sul pianeta di N’golax 3, nella zona di isolamento I2. Fisilii era sicuramente la mente più brillante che quell’ignobile pianeta avesse mai partorito, un autentico genio sotto ogni punto di vista. Sul suo disprezzabile pianeta, era presto diventato un idolo delle folle, sempre ingorde di nuovi pettegolezzi sulla vita privata del più bizzarro scienziato mai apparso sulla putrida superficie di N’golax 3, una vera icona di cosa volesse dire il “successo”. Inventore eccelso, creò, a dire il vero senza troppo successo commerciale, gli occhiali anti-disgusto e le zollette solubili al rabarbarox. I primi erano essenzialmente due pezzi di vetro grezzo sorretti da cannucce per succhi di frutta, mentre le seconde erano semi triturati di rabarbarox impastati con sale e cipolle del deserto di Mesicot. Gli occhiali avevano la stupefacente capacita di oscurarsi ogni qual volta le cannucce, appositamente trattate con le viscere di uno Sglax anziano, trasmettevano e amplificavano le vibrazioni di evidente disgusto provenienti dal cervello del loro proprietario, mentre le zollette avevano il compito di risolvere una volta per tutte l’annoso problema dell’acqua sulfurea di N’golax 3. Entrambe le invenzioni ebbero una vita breve e ingloriosa, in quanto gli occhiali prodotti rimasero semplici fondi di bottiglia neri per quasi la totalità del tempo, mentre le zollette causarono allucinazioni e deliri che furono ben accolti solo nelle comunità dei monaci delle montagne Urgusballo, noti fricchettoni e consumatori di droghe psichedeliche di ogni tipo. In effetti i successi professionali di Fisilii furono miseri, almeno sino al momento in cui tutto il pianeta decise di adottare ufficialmente l’unità di misura da lui elaborata, l’unghia, o fino a quando non convinse l’intera popolazione planetaria a sostituire


11 l’antiquato sistema di locomozione, basato sul cubo, con quello più efficiente e affidabile della ruota. Nonostante tutto, non furono le sue geniali scoperte a renderlo un personaggio pubblico, ma i pettegolezzi sulle sue abitudini maniacali e il suo stile di vita a dir poco insostenibile. Fisilii non sarebbe mai uscito dal suo bunker-laboratorio senza un elmetto a punta di color verde militare che, a suo dire, l’avrebbe protetto dall’improbabile, ma statisticamente possibile, caduta improvvisa di meteoriti, veri e propri “flagelli” di N’golax 3. Come se questo non fosse bastato ad attirare l’attenzione degli N’golaxiani, Fisilii era sempre palesemente ubriaco fradicio e in vena di cantare a squarciagola canzonacce da osteria, spesso inerenti alle mastodontiche dimensioni sessuali degli scienziati o alla loro predisposizione al divertimento a ogni costo. Quando il Supremo Consiglio di N’golax 3 decise di mettere all’ordine del giorno la necessità di meglio comprendere e numerare quella pletora di stelle che ogni notte maculava il cielo, la rosa dei candidati al titolo di ricercatore ufficiale si restrinse ben presto al solo nome di Fisilii. L’errore storico e imperdonabile, attribuito dagli studiosi dell’Accademia Universale Titillian al locale Supremo Consiglio, consiste nell’aver dato l’incarico a Fisilii nel giorno del suo centesimo compleanno, occasione in cui nessuno sano di mente si sarebbe mai neanche avvicinato a un avvinazzato con il suo tasso alcolico e la sua inclinazione al vaniloquio. Lo scienziato si riprese circa due settimane dopo, con la bocca al sapor di posacenere e un'emicrania epica, di quelle che a un N’golaxiano non passano in meno di un mese, sempre che non abbia mischiato il liquore di Tiqua alle zollette al Rabarbarox. Ufficialmente, il primo progetto astronomico del Supremo Consiglio di N’golax 3 durò circa un anno, durante il quale trapelarono sporadiche e inaffidabili voci sullo stato di salute di Fisilii, per tutti recluso in un eremitaggio forzato ai fini della ricerca scientifica.


12 Secondo gli storici, le insensate baggianate che Fisilii propinò al Supremo Consiglio per giustificare un anno di ricerche bruciate a causa di un dopo sbornia colossale, si possono riassumere nei seguenti gruppi tematici: - Le stelle sono meteoriti, probabilmente prossime alla collisione con il pianeta. - Essendo praticamente infinitesimale la possibilità che tanti oggetti celesti si dirigano per caso verso un unico punto, è evidente che qualcuno li ha lanciati, con intenti ostili, verso N’golax 3. - Chiunque si nasconda nel cielo sopra il pianeta, quasi sicuramente, mira alla distruzione del pianeta. - Le stelle sono ventottomilasettecentotré. - Occuparsi a lungo di indagini astronomiche provoca forti emicranie. Nonostante l’ovvia insensatezza delle teorie proposte da Fisilii, il Supremo Consiglio e tutta la popolazione di N’golax 3 si fidarono ciecamente delle ricerche del loro scienziato prediletto, anche perché i pochi scettici dovettero infine ammettere che contare le stelle per periodi prolungati provoca forti mal di testa. Il numero indicato, poi, sembrava del tutto ragionevole, e nessuno si sarebbe mai sognati di fare una cosa così futile come catalogare migliaia di puntini luminosi in un cielo buio e vuoto con l’unico scopo di contestare una teoria scientifica. Ci vollero circa tre secoli prima che gli N’golaxiani del terzo pianeta, vedendo che la millantata pioggia di meteoriti non accennava ad arrivare, si rendessero conto di essere stati buggerati. Oltre a mostrare l’indiscusso genio di Fisilii, questo aneddoto vuole evidenziare l’influenza delle ventiquattro costanti nello sviluppo delle civiltà, indipendentemente dalla loro collocazione all’interno del continuum spazio-temporale. L’Accademia Universale Titillian deve poter continuare la sua missione indisturbata, libera dall’influenza dei retrogradi


13 conservatori che ci vorrebbero muti, cementificati in un blocco unico con la nostra scribostazione. Lo studio comparatistico tra civiltà risulta, alle nostre attuali conoscenze, l’unico modo per permettere al nostro popolo di apprendere le dinamiche universali e verificarne la prevedibilità. Gentili colleghi riuniti in consiglio, desidero presentarvi le mie ultime scoperte attraverso i diversi documenti da me rinvenuti nell’archivio dell’accademia universale, a partire da documentazioni più o meno inedite riguardanti il testimone etnomnemonico IT3.M e la sua esperienza sul pianeta Srrzzrr, di recente estinzione; è appunto dall’incipit di uno dei suoi diari cartacei, scritti prima e dopo il nostro prelievo, che proviene l’introduzione a questa mia relazione multisensoriale. Da principio risulterà complesso e ambiguo il collegamento con i nostri studi più avanzati, ma vi prego di aver pazienza e concludere la lettura organica della mia relazione, prima di formulare giudizi inappellabili. Titillian stesso invoca aiuto, illustri colleghi, è tempo di trovare una soluzione all’annoso problema della prossima distruzione della nostra Casa. Sappiamo tutti che la Bolla sta per disciogliersi, inesorabilmente verremo trascinati verso uno dei tremendi buchi neri che ci circondano, presto la nostra civiltà resistita per migliaia di volte alla nascita e alla morte dell’universo stesso, diventerà meno di un ricordo. Forse stiamo sbagliando prospettiva. Forse, come ai tempi del grande Tury, l’errore risiede nell’impalcatura stessa del nostro sapere. Immagino che a questo punto metà del consiglio sia immerso in vapori bianchi e gialli, pronti quanto un Gattogà affamato a saltare al collo della vittima boccheggiante; cari colleghi, è questo il motivo per cui ho preferito farvi pervenire la mia relazione durante la seduta straordinaria a me preclusa. Da troppe rivoluzioni l’accademia è un covo di dogmi religiosi, la vera


14 scienza è tornata ancella e nessuno è più in grado di rielaborare le costanti senza rischiare di friggersi vivo per la disperazione. Illustri membri del Consiglio Interno dell’Accademia Universale, vi chiedo di dare ascolto a chi non intende per nulla accantonare l’apparato delle Costanti, ma evidenziarne alcune incongruenze con i dati raccolti sperimentalmente: non dobbiamo dimenticare che lo scopo di raccogliere testimonianze per tutto l’universo è appunto ampliare la nostra conoscenza, avere nuovi metri di paragone, nuove prospettive che non dovrebbero mai essere travisate al solo fine di confermare la credibilità dei nostri dogmi. L’archivio storico mi ha fornito una serie di dati e campioni precedentemente classificati come “inutilizzabili”. Il motivo di tale errata dicitura è per me ovvio: non abbiamo voluto dare reale ascolto al testimone etnomnemonico qui studiato, abbiamo dubitato dei nostri strumenti e delle nostre supposizioni piuttosto che rimettere in discussione ciò che il “Dogma” prescrive. Alcuni dati raccolti dai nostri “difettosi” apparecchi di rilevazione possono essere ancora molto utili alla nostra causa e sono tutti qui raccolti in appendice. Vi prego, illustri colleghi, datemi ascolto e insieme salveremo la civiltà titillian dall’estinzione. Che il vostro giudizio sia limpido e coraggioso. Dal reperto cartaceo cr132 dell’Accademia Universale Titillian, detto “il terzo diario di Paco”. Autore: Testimone Etnomnemonico IT3.M del pianeta Srrzzrr, campione terminale. I giorni e gli anni scivolarono leggeri. Quando si è testimoni di qualcosa che trascende la nostra supponente idea di realtà, la coscienza si rifugia negli anfratti più oscuri della mente, sfruttando le ombre per distorcere gli eventi, cercando di indorarci la pillola.


15 Più passava il tempo e più mi convincevo di essermi sognato tutto, di aver confuso qualcosa per qualcos’altro. Era notte, la zona ha un tetto di cavi ad alta tensione e un aeroporto nelle vicinanze; inoltre, non ero proprio sanissimo… non ero neanche spezzato in due, d’altronde… Le poche volte in cui rividi Dumbo, capitava sempre un momento in cui riuscivo a prenderlo da parte per chiedergli cosa ricordasse. Stessa storia, si rendeva conto che il suo cervello stava lentamente cambiando qualcosa nella memoria, rendendo le figure incerte e i loro confini sbiaditi. Poi venne il convincimento: sì, è andata senz’altro così, non c’è alcun dubbio. Quella sera abbiamo visto qualcos’altro, non certo un UFO, questo è assolutamente fuori discussione. Ho notato che faccio molto spesso questo giochetto con la mente. Anche adesso, messa alla prova più che mai e abituata alle stranezze, non c’è verso di farla essere un minimo disciplinata e sicura delle sue percezioni e congetture. Niente. Continuo a rendermi conto di aver sempre saputo come stavano le cose. Non che cambi molto nell’ordine universale delle cose, non avrei potuto fare niente di diverso anche se fossi stato pienamente cosciente delle conseguenze delle mie azioni. Chi diavolo si sarebbe mai aspettato una cosa del genere? Dieci anni di esistenza fantasticamente banale, felice di essere ancorato alle certezze della vita. Piccole cose intendo, cose come “devo fare il pieno all’auto se non voglio che mi lasci per strada” o “gli alieni, se ci sono, non ci cagano di striscio”. Dopo quella notte con Dumbo, il nulla per dieci anni, non ho visto né un UFO, né babbo natale e neanche il fantasma formaggino, nulla di nulla. Poi, in un pazzesco giorno d’agosto, ho visto un disco volante scintillante per ben ventinove volte. Sempre lo stesso. Ventinove. Una media superiore a un avvistamento ogni ora. Mi stava facendo impazzire, sono arrivato al punto di prendere in prestito un fucile per tentare di abbatterlo. Non ho sparato ovviamente,


16 anche perché mi sono reso conto molto presto della follia insita in quel gesto, ma non sapevo cosa pensare. Nei miei sogni fantascientifici di gioventù, mai avrei pensato di interpretare il ruolo dell’indigeno xenofobo, pronto a imbracciare un forcone spuntato contro i pacifici visitatori di altri mondi, ma quando è troppo è troppo! Inoltre non si trattava di foto agli infrarossi di oggetti sigariformi sospesi tra le nubi, o di misteriose palle di fuoco che attraversano il cielo per qualche fulgido istante. L’oggetto luminescente planava a meno di venti metri dalla mia testa a folle velocità, si fermava titubante per qualche minuto, dopodiché iniziava uno strano balletto in cui sembrava sparire dietro alle montagne per poi ricomparire poco dopo nella stessa identica posizione. Dopo i miei primi tre incontri ravvicinati di classe “Spielberg”, ho iniziato a scappare come un folle tra le montagne sarde come se fossi inseguito da un’orda Unna o da qualche entità lovecraftiana. In quattro giorni di campeggio abusivo, solitario tra i monti dell’Ogliastra, avevo memorizzato i sentieri principali di quella zona, compresi i sentieri battuti la notte dai cacciatori di frodo. Gente simpatica i cacciatori abusivi di mufloni; tre ore dopo il mio arrivo, ero già con la testa ficcata sotto un tronco morto, cercando un riparo dalla pioggia di pallettoni che proveniva dal torrente in secca. Naturalmente si è trattato solo di un errore e quei cacciatori, tre miei coetanei delle dimensioni di un’Apecar e armati come guerriglieri ceceni, decisero di sdebitarsi offrendomi un lauto pasto a base di muflone e dandomi alcune preziose informazioni su come sopravvivere in quelle regioni inospitali. Se non volevo finire impagliato nel salotto di qualche masseria, dovevo stare lontano da tutto ciò che assomigliasse anche vagamente a un muflone e seguire il letto del torrente in secca per aggirare la montagna e dirigermi verso le mete turistiche sulla costa. Quei tre simpaticoni mi concedevano un giorno di tempo.


17 Ho preso sul serio quel consiglio e mi sono spostato in direzione della costa, ma continuando lo stesso il mio eremitaggio tra i monti, cercando delle macchie di verde in cui piazzare la tenda. Il mio quarto incontro con l’UFO è stato qualcosa di molto simile alle comiche di Benny Hill viste al rallenty, con un oggetto giallo grosso come un campo da calcio che mi tallonava a distanza ravvicinata, a una velocità molto inferiore a quella che potrebbe raggiungere un bambino in triciclo. Mi ha inseguito più o meno per cinque minuti ogni ora, costringendomi a fughe disperate e continui ruzzoloni, cosa che iniziava francamente a stancarmi. A dire il vero un po’ di moto mi stava facendo bene, ma ero troppo impegnato a fuggire per rendermi conto degli effetti benefici di tutta quell’attività fisica. Dopo quasi un giorno per i monti a giocare a nascondino con un alieno veramente ossessivo, mi sono deciso a tornare sulla pista dei bracconieri per chiedere aiuto, pur conscio del fatto che non avrei mai potuto dir loro che, oltre a essere un fricchettone e attivista del WWF, ero in fuga da un UFO con l’idea fissa di rovinarmi le vacanze. Neanche a dirlo, ho capito di averli trovati quando il cespuglio alla mia destra è esploso, sicuramente colpito da una fucilata. «Aspettate! Fermi!» ho gridato disperato «sono Paco, il turista dell’altro giorno, non sparate!» «Lo sappiamo, èeia!» hanno risposto loro, sparando un’altra salva a pochi metri da me «detto di andare t’abbiamo!» Hanno poi aggiunto numerosi improperi, alcuni suonavano tipo “bairindi” e altri mi sono rimasti del tutto incomprensibili. Stavo maledicendo la mia stupida idea di lasciare lo stupido camping sulla stupida costa, quando si è rifatto vivo il mio tenace inseguitore, scuotendo le fronde degli alberi e accecandomi come una talpa al sole. La luce abbagliante è vorticata per qualche secondo sugli sconcertati cacciatori, gettandoli con tutti gli anfibi nel terrore puro, tanto da indurli ad abbandonare i fucili e fuggire


18 in una frazione di secondo a bordo di un pick-up giallo con aerografato sul cofano un groviglio di fiamme. È in quell’occasione che ho impugnato la mia prima arma da fuoco, e mai avrei pensato di utilizzarla per intimidire un disco volante. «Basta, figlio di puttana! Lasciami in pace!» ho strillato agitando il fucile come una lancia dell’età della pietra «cosa vuoi? Vuoi farmi impazzire? O la smetti o ti sparo, hai capito? Strooonzo!» Nessuna risposta. Venti secondi dopo, ero solo nell’oscurità della notte sarda. Alla faccia della prima direttiva di Star Trek! Altro che non interferire con le civiltà tecnologicamente arretrate, questo alieno mi stava ossessionando peggio di un maniaco nel parco. Ho lasciato l’arma e ho recuperato quello che potevo dagli oggetti abbandonati dai bracconieri. Assurdo! Quegli psicopatici andavano a caccia di mufloni con un kit da guerra atomica, comprensivo, fra l’altro, di un visore notturno, una bussola virtualmente indistruttibile, un coltellaccio da Rambo, un set di pastiglie per purificare l’acqua, un kit per la chirurgia sul campo e altre cianfrusaglie che avrebbero fatto la loro porca figura nel bunker di Hitler. Fortunatamente l’UFO non si è fatto vedere per il resto della nottata, dandomi il tempo per tornare alla tenda e schiacciare un pisolino. Mi ricordo quel mattino di essermi svegliato rigenerato e con un piano ben preciso che mi frullava nella testa: dovevo tornare verso la costa e mischiarmi con i turisti. Forse il disco volante stava pattugliando solo una piccola zona di montagne e mi avrebbe lasciato in pace una volta che fossi tornato alla normale villeggiatura di un milanese in Sardegna. Continuavo a rimuginare sul senso della mia fuga dai dischi volanti, pensando a una punizione divina per aver aspirato a un angolino di mondo in cui riflettere in pace sul mio schifo di vita. Il periodo non era affatto dei migliori e sentivo di aver bisogno di prendermi una pausa da tutto e tutti, sedermi in mezzo alla natura


19 selvaggia e cercare il mio centro, il punto di un equilibrio spezzato. (Parte mancante, all’incirca duecento linee di caratteri, causa ignota) Ho sempre pensato che fosse una possibilità da escludere, ma è ormai ovvio che si trattava della vera ragione della mia inquietudine. Cause molto più concrete ed evidenti sembravano essere le migliori candidate, come l’incidente ai miei genitori. Non ho mai parlato con nessuno di come mi sentissi dopo la tragedia, anche perché pensavo fosse evidente; un mese a fissare un muro bianco, giorno e notte, per venti ore al giorno. Non ho potuto dire addio, chiedere scusa, dir loro quanto li amassi. Non ho potuto fare niente per salvarli. Ero dall’altra parte del mondo quando quel TIR li scaraventò fuori dall’autostrada; stavo girando il Messico in pullman con un amico ed ebbi la notizia tre giorni dopo, quando chiamai casa da una posada sulla spiaggia di Zipolite. Avevo ventitré anni ed ero orfano. Conoscevo orfani molto più giovani, ma questo pensiero mi era indifferente. Ero orfano e mi sentii solo e disperato come mai. Non riuscivo a dire una parola. Rimasi muto per alcuni giorni e il mio socio Cecco dovette telefonare in Italia per capire per quale motivo mi fossi di colpo trasformato in una statua di sale. Tornai a casa a funerali compiuti e non volli vedere nessun parente; nessuno di loro mi ha più cercato e ormai non ricordo più nemmeno i loro volti. Forse è stato meglio così. Passarono giorni prima di avere una qualche reazione umana. Piansi. Non ricordo per quanto, ma so che la mia barba crebbe di parecchio, diventando un cespuglio spinoso in stile Messner. Quando mi ripresi dallo shock, la vita mi si presentava come una lastra di ghiaccio; avevo il terrore di scivolare a ogni passo e già potevo sentire lo scricchiolio da sotto i piedi. Arrancavo, sentivo l’infinita tristezza dell’universo e l’ineluttabilità della morte, l’impotenza dell’uomo di fronte al destino e la sua totale ignoranza metafisica, sentivo il vento


20 attraversarmi come se non esistessi. La forza di gravità mi schiacciava a terra con ferocia e la luce del sole stava iniziando a infastidirmi. La notte restavo sveglio cercando di immaginarmi la scena dell’incidente, concentrandomi sul terrore che dovevano aver provato i miei genitori vedendo un bestione a dodici ruote cozzargli contro. Cercavo di ricordare, senza successo, quale fosse l’ultima discorso fatto all’aeroporto, l’ultima parola dettami dai miei genitori. Forse mi sono indorato la pillola, ma nel mio ultimo ricordo ci sono loro, sorridenti, in piedi di fronte a me, che mi dicono: “Ti vogliamo bene. Divertiti.” C’ho messo venti minuti a riprendermi dopo aver scritto l’ultima frase. Questo lavoro è troppo importante, devo continuare a scrivere, non so quanto tempo mi rimane. Non so chi entrerà da quella porta metallica e non voglio sparire senza lasciare traccia. So che nessuno riuscirà mai a leggere questi taccuini scarabocchiati, ma devo tentare, devo scrivere per non impazzire. Prima o poi qualcuno aprirà quella porta e non so che fine farò. Sicuramente non potrà essere peggio di rimanere per una settimana in questo cubo di metallo senza mangiare, né bere… che strano, dovrei essere morto, invece continuo a scrivere… forse sono già morto. Non può essere! Oppure, quando sono morto, mi sono portato dietro lo zaino e la tenda, sacchetto della biancheria sporca incluso. Stai a vedere che gli antichi egizi avevano ragione a riempirsi le tombe di paccottiglia… altamente improbabile; la mia ipotesi principale rimane quella di essere segregato nella pancia del disco volante. Questa volta mi sa che non la scampo tanto facilmente, meglio continuare a scrivere…


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Capitolo 2

Lo studio delle ventiquattro costanti universali ha condotto Titillian a un epoca di infinita saggezza e conoscenza. L’accademia è riuscita a calcolare l’esatto manifestarsi di eventi che, a chiunque non fosse in possesso delle nostre stesse nozioni, sembrerebbero unicamente frutto di qualche assurda coincidenza: il grande intasamento dei servizi igienici di Golgota 7, la stagione dello sdrucciolamento acrobatico nelle vasche da bagno, l’apertura della prima crepa sub-settoriale da noi osservata e sfruttata per i viaggi d’esplorazione interplanetaria, l’esplosione del monte Santa Paletta al termine della più grande esposizione di quadrupedi da compagnia a memoria di titillian. Questi e altre centinaia di fenomeni sono stati predetti e compresi con ineffabile precisione grazie alla rinnovata scienza titillian. Quando l’illustre Tury scoprì che le pseudo-leggi fisiche erano inconcludenti, prive di un effettivo intreccio col reale, incapaci di regolare la totalità delle nostre osservazioni, il nostro mondo era ormai alle soglie della nostra seconda rivoluzione scientifica. Ricordiamo tutti i tumulti e il disordine che ne conseguì, il senso di insicurezza che la nostra popolazione tentò di colmare con un ritorno alle origini, alle nostre credenze primitive. Quattromila rivoluzioni planetarie sprecate in assurdi riti propiziatori, tentativi infantili di controllare l’universo con la forza di volontà e con rituali antichi quanto il tempo in cui i titillian trovavano rifugio sotto la crosta terrestre. Secondo uno studio del reparto statistico dell’accademia universale, l’incremento della creazione di pietre votive fu del quattromila per cento, quello della sbucciatura rituale del trecento per cento, mentre le tumulazioni germinali raddoppiarono per numero e diffusione. Lo stesso Tury finì la sua esistenza fritto vivo in un calderone d’olio sacro, convinto che la


22 sua anima sarebbe stata maggiormente gradita agli Dei sotterranei di Titillian. Fortunatamente “Gofferith il bislacco” era già al lavoro con il suo amico-nemico “Yaden il nullafacente” per divulgare la loro brillante teoria sulla “costanza delle costanti”, cardine dei più moderni protocolli di ricerca. Com’è noto agli addetti ai lavori, i fenomeni tendono alla costanza, ovvero si manifestano in modo continuativo, con persistenza e altalenanza. Le leggi fisiche inadeguate hanno da tempo lasciato campo libero alle più plastiche costanti, capaci di prevedere con maggiore precisione l’apparire e il mutare dei fenomeni. Si narra che Tury sia giunto alle sue speculazioni dopo aver insegnato per diverse rivoluzioni planetarie quella che oggi chiameremmo “storia della scienza pre-turgida”. Conscio del fatto che ogni legge scientifica formulata aveva una longevità poco più che ventennale, capì che era il concetto stesso di legge a essere in crisi; man mano che le conoscenze progredivano e i metodi d’osservazione si affinavano, venivano scoperti quantità consistenti di anomalie, casi che trasgredivano le rigide leggi dell’antica scienza titillian, costringendo gli studiosi a riformulare costantemente le loro pseudo-verità universali. Durante la rivoluzione del settemila, Tury ordinò ai sui allievi di non portarsi più appresso i libri di testo, poiché il loro volume era tale da essere divenuti praticamente illeggibili, oltre a essere così ingombranti da occupare metà dello spazio calpestabile nell’aula. Alle perplessità degli studenti, rispose con una zaffata purpurea dall’odore inequivocabile. Quelle studiate fino ad allora erano emerite sciocchezze, assurdità consolidate con il passare delle generazioni. Tury condusse trenta dei sui allievi a vivere nelle grotte degli antenati, dove cercarono di creare comunità capaci di esistere senza l’ausilio della tecnologia. Poiché la scienza aveva fallito nel suo intento di darci sicurezze, di spiegare gli oscuri balletti cosmici e di dissipare l’incertezza esistenziale, egli arrivò a


23 convincere migliaia di titillian a una vita di stenti, sostenuti solo dalla fede in oscure divinità dimenticate. In realtà, dai suoi scritti risulta chiaro che Tury considerava questo “regresso” solo una fase momentanea, visto che prima o poi la sua sospensione di giudizio nei confronti della scienza lo avrebbe condotto a comprendere un nuovo principio, un’idea con cui rifondare la conoscenza stessa. Purtroppo la sua cruenta fine dimostra come non sia riuscito in definitiva nel suo intento, ma le sue idee ebbero comunque un effetto dirompente, capace di smuovere il nostro sapere imperfetto. Yaden e Gofferith avevano assistito impotenti allo stupido suicidio rituale del venerando Tury. Scioccati da tutto quello sfrigolare d’olio e dal colore dorato di un titillian fritto, si resero conto che quell’atto sanciva il punto più basso della loro civiltà. Le alternative erano risolvere il dubbio di Tury o estinguersi come razza. I due ricercatori affittarono un loft vicino al bosco di Groath, posizionato nel sottotetto di un immensa struttura logistica abbandonata. Il nuovo laboratorio di studio per la risoluzione del dubbio di Tury venne diviso in due da un sottile muro insonorizzante in fibre di Pino Groath, così da ricavarne due spazi distinti gestiti ognuno da un ricercatore diverso. L’immenso spazio vuoto al piano inferiore fu presto occupato dalle titaniche lavagne di Gofferith, da lui affrescate con centinaia di sinuosi simboli ermetici della nuova logica titillian, per lo più inventati da Yaden durante le sue lunghissime e intelligibili ore di reclusione solitaria in laboratorio. Il reparto statistico dell’accademia universale ha evidenziato come, durante il periodo di Groath, Gofferith consumò una media di un chilo di gessetti al giorno e trenta pacchetti di gomme antistress alla vaniglia. L’annoso dubbio fu risolto grazie alla logica di Gofferith, ma è a Yaden che dobbiamo l’elaborazione in forma divulgativa della sua soluzione: l’universo è regolato da ventiquattro costanti


24 universali, ovvero orientamenti secondo i quali i fenomeni si manifestano e interagiscono. Le costanti, che nell’antica scienza titillian avrebbero potuto essere per lo più dei corollari ingiustificabili, divennero l’ispirazione e la solida guida con cui riformulare tutte le anguste e monolitiche leggi. La “costante delle costanti” scosse le fondamenta del sapere; su insistenza di influenti ex discepoli di Tury, il Sindaco in persona incaricò i due ricercatori di rifondare il nostro sistema di istruzione, dando loro carta bianca per la creazione di una nuova accademia il cui scopo dichiarato sarebbe stato lo studio dell’universo alla luce delle ventiquattro costanti. Oggi, a distanza di oltre diecimila rivoluzioni, possiamo affermare di conoscere la maggior parte dei popoli del nostro universo e possiamo affermare la validità universale delle ventiquattro costanti. Molti nobili scienziati e ricercatori dell’accademia hanno speso la loro vita per identificare e verificare l’inconfutabilità dei ventiquattro pilastri della conoscenza, ma nonostante gli sforzi titanici per l’esplorazione, allo stato attuale della ricerca non ci è nota altra civiltà che sia giunta alle nostre conclusioni logiche, anche se alcuni popoli si sono molto avvicinati a qualcosa di simile alla nostra soluzione del dubbio di Tury. Dopo attente ricerche negli archivi dell’accademia, sono giunto alla conclusione che due principi regolatori su ventiquattro sono di nostra esclusiva comprensione, mentre più della metà delle altre civiltà è arrivata, al termine del proprio ciclo evolutivo, a comprenderne almeno una dozzina. Porto all’attenzione del Consiglio Interno un fatto che, se confermato, ci costringerebbe, per la prima volta dopo innumerevoli rivoluzioni, a riformulare una, o forse più d’una, delle nostre infallibili costanti. Questa anomalia strutturale nascondeva le sue più palesi manifestazioni nella zona di isolamento I3, per l’esattezza sul


25 pianeta Srrzzrr, patria della civiltà precoloniale che si auto definisce “Umanità”. Dal reperto cartaceo cr137 dell’Accademia Universale Titillian, detto “il terzo diario di Paco”. Autore: Testimone Etnomnemonico IT3.M del pianeta Srrzzrr, campione terminale. Se mi concentro, posso ancora vedermi in piedi di fronte all’ingresso del camping. Ero seriamente mortificato, forse avrei preferito essere disintegrato dal disco volante o crivellato dai cacciatori, piuttosto che ritrovarmi di nuovo in quel camping per masochisti. Fissavo inebetito le lettere cubitali appese ad arco sopra l’ingresso; la parola “Benvenuti” in Technicolor, scritta in cinque lingue differenti, assumeva per me dei risvolti inquietanti, da far rabbrividire. Rieccomi al camping “Paradiso e dintorni”, proprio il posto da cui stavo fuggendo, a costo di sfidare la natura selvaggia. Probabilmente Wilma, proprietari nonché parrucchiera ufficiale del campeggio, aveva chiesto consulenza a qualche ufficiale nazista, magari uno in fuga verso l’argentina ritrovatosi per caso in Sardegna, per decidere norme e misure di sicurezza del suo infernale camping. Tutte quelle recinzioni con filo spinato erano a malapena camuffate da qualche cespuglio striminzito. Non era una donna cattiva, la Wilma, per carità, solo mostruosamente pazza. Il giorno in cui arrivai in Ogliastra, ero solo, madido e disidratato, con zainone e due borse abnormi a tracolla, causa di due evidenti ematomi con abrasioni all’altezza del collo. Sembravo uscito da un contest di succhiotti, magari svoltosi all’associazione “amici del bondage estremo”. Quando chiesi a un edicolante quali fossero gli Hotel in città, quello si fece un grassa risata e mi disse che nel raggio di cinque


26 chilometri l’unico possibilità di trovare un posto per dormire e farsi una doccia calda era il camping in questione. Non potendo più proseguire a piedi, chiesi un telefono per chiamare un taxi, anche se la cosa cozzava un po’ con il mio orgoglio di avventuriero. Ovviamente niente taxi, a meno di non chiamare Arbatax per farmi mandare qualcuno e costringerlo a fare un’ora e mezza di montagne e tornanti. Ok, pensai, il mio orgoglio è salvo, si riprende la marcia, non ho ancora esaurito del tutto le energie. Mi insulto ancora oggi per aver portato in viaggio così tanti bagagli inutili, ma alla partenza da Milano non pensavo che mi sarei sparato delle distanze così consistenti a piedi. Inoltre c’è da dire che non sapevo se sarei tornato in pianura Padana, avevo una mezza idea di stabilirmi in pianta stabile su un’isola così aspra e stupenda come la Sardegna, piena di bellezza selvaggia e con un clima ideale in qualsiasi stagione. Chi perde le sue radici, ha il grosso vantaggio di poter scegliere dove ripiantarle, quasi guardasse il mondo come un brochure colma di offerte create su misura. Queste scarpe sono ridotte uno schifo! La suola di gomma sta per staccarsi e la mia ultima caduta giù dal pendio le ha tutte lacerate e impolverate… spero che l’alieno abbia qualcosa di simile a un traduttore universale, così potrò insultarlo per quello che ha fatto alle mie fedeli scarpe da ginnastica. Otto anni di onorato servizio giungono al termine, care mie. Anche la mia camicia in stile Acapulco è ridotta uno straccio… l’avevo su anche la sera in cui arrivai al campeggio di Wilma… in effetti l’ho su quasi sempre… «O mio Dio, come sei conciato, tesoro! Ti hanno tirato un secchio d’acqua? Ma sei ferito? È sangue quello? …ah no, scusa una povera miope, è solo la tua camicia. Benvenuto al mio camping… sei di Milano scommetto.» «Sì signora. Mi scusi, ma dove trovo il bagno?» risposi, controllando il mio simpatometro tascabile pronto a esplodere.


27 Aveva davvero detto tutta quella sfilza di cazzate in meno di sei secondi? «Ohé, anch’io sono di Milano, l’avresti mai detto?» Effettivamente, guardando la massa di capelli cotonati tendenti all’azzurrino, avrei scommesso più su qualche cittadina nel sud degli USA, non troppo lontano dal santuario di Elvis. «Mio marito, il Generale, continua a dirmi che ormai assomiglio più a un’africana. Hai visto che abbronzatura? Ohé, ma tu tesoro hai freddo? Mio dio, ma quella è la tua pelle normale? Sai che sono estetista diplomata? Potrei aiutarti, ma non ora. Devo lucidare il Generale, pianta la tenda dove ti pare.» Ero basito. Quell’uragano in infradito mi aveva tempestato con raffiche ad alta intensità di idiozia, per poi girare i tacchi e tornarsene da dove era sbucata, senza più considerarmi un essere vivente e, cosa ben più importante, senza dirmi dove si trovassero i cessi. Mollati i bagagli vicino a un albero, volai alla ricerca del bagnodocce-lavanderie di cui ogni camping che si rispetti è provvisto. Nulla, qualche accenno di doccia a gettoni e nulla più. Poi vidi un foglio con scritto a penna “WC” appeso a un albero. Dopo i primi dieci minuti di corsa in pineta, iniziai a sospettare di essere vittima di un infamissimo scherzo, uno di quelli che vorresti aver ideato tu, quando finalmente vidi i bagni; una latrina a cielo aperto, con un pavimento di sabbia bagnata, di cosa lo potevo immaginare, e mattonelle bianche risalenti almeno ai ruggenti anni ‘50. Poi vidi la cosa più disgustosa della mia vita; una palla di ciccia e pelo di circa sessant’anni, con un costume incredibilmente simile a un paio di mutande e un paio di ciabattine infradito con una suola dello spessore di un foglio A4, intento a spingere fuori quella melma disgustosa con uno scopettone senza setole. Quella sera cagai in mare.


28 A missione compiuta, tornai ai bagagli. Simpatia delle simpatie, qualcuno mi aveva sfilato dal borsone con la cerniera rotta il mio fantastico cuscino anallergico sottovuoto. Non seppi mai a chi attribuire quel misfatto, ma prima della partenza dal camping notai come il custode avesse un volto stranamente riposato, quel genere di manifesta pace interiore che solo un cuscino anallergico in cotone e gomma piuma, trasportato in comode confezione sottovuoto, un metro per sessanta centimetri, può dare. Naturalmente l’unica piazzola disponibile era quella a ridosso dell’enorme depuratore d’acqua. Quel bestione si attivava ogni cinquanta minuti, spurgava e ribolliva e infine intensificava l’aroma dell’aria, coprendo quello sgradevole odore di iodio ed estate che veniva su dalla spiaggia. Una cosa positiva, senz’altro c’era; quella spiaggia giallo accecante, quel mar Caraibico trasparente come il pensiero. Lontano dal depuratore maleodorante, l’aria profumava di farina e mirto e ti riempiva il petto di calore e fantasia. Il sole, poi, in Sardegna picchia sempre come un pugile messicano alla terza ripresa. Durante la mia prima mattinata balneare, penso di aver visto l’unico cielo nuvoloso mai apparso sull’isola. Naturalmente non avevo la minima idea che i raggi di sole passassero tra le nubi come un proiettile nella marmellata… risultato: ustioni di secondo grado sul sessanta per cento del corpo. Fortunatamente Wilma aveva anche nozioni di dermatologia, un corso base nella sua scuola per estetisti. In fin dei conti devo la vita a quel tormentone di donna, senza di lei una manciata di giorni non sarebbe certo bastata a rimettermi in condizione di reggere tutti quei bagagli e sarei dovuto rimanere in quel buco di culo di campeggio per chissà quanto. Le mistiche creme reidratanti della Wilma erano stratosferiche per efficacia e prezzo, nonostante fossero probabilmente prodotte nello scantinato della bicocca di legno in cui viveva con il “generale”.


29 «Tirati su la maglietta tesoro, forza, fammi vedere… oddio benedetto, non ho mai visto nulla del genere! Come hai fatto a conciarti così in un giorno? E poi guarda che pancia, fai veramente schifo! Dovresti fare un po’ di addominali in inverno! Così sembri un’aragosta di novanta chili; hai pure il terzo anello! Copriti adesso… aspetta, quella striscia nera? Abbassa un attimo… oddio, ti hanno marchiato?» «Non sono mica un bove, questo si chiama tatuaggio ed è un Tao.» «Non assomiglia a una ti, comunque di certo non ti ha rovinato.» Simpatica come la merda nel ventilatore, la Wilma, ma il suo lavoro lo sapeva fare davvero bene, compreso lucidare “il generale”. Lo incontrai solo una volta, verso la fine del mio periodo da lebbroso, in cui perdevo un’imbarazzante quantità di brandelli di pelle morta, nonostante il colore continuasse a mantenersi decisamente vivo. Stavo rientrando dalla spiaggia dove avevo passato la mattinata a leggere sotto un improvvisato gazebo, tirato su come poteva dal bagnino sfruttando un enorme telo verde donatogli dal camping, quando vidi qualcosa rifulgere sul vialetto ciottolato, poco distante dalla doccia all’aperto. Avvicinandomi, notai parcheggiata una sedia a rotelle con un vecchio dagli abiti bianchi. Con mio sommo stupore, constatai che la causa di quella luce accecante era il suo cranio perfettamente liscio. Dovevo assolutamente farmi una doccia per abbassare la mia temperatura esagerata e scrollarmi di dosso un po’ di pelle, ma volevo rimanere impassibile con il generale, salutarlo senza immaginarmi Wilma passare chissà quale grasso su quella coccia pelata, impresa non troppo difficile. Dissi solo un timido “salve”, ma la ruga a rotelle mi ricambiò con uno sguardo in cagnesco. Finita la doccia, lui stava ancora fissando lo stesso punto con la medesima espressione in volto.


30 «Frocio! Tu sei frocio, puzzi di frocio. Mi fai schifo!» sentenziò fissandomi nuovamente negli occhi. Sindrome di Tourette galoppante? Scoprii in seguito che lo stronzo stava morendo per complicazioni da diabete e ormai la sua testa faceva spesso cilecca, anche se qualcuno mi ha riferito che prima di diventare invalido aveva un carattere anche peggiore. Ammetto che mi ha fatto una gran pena; non deve essere per niente incoraggiante trovarsi tanto vicino alla morte da fissarla negli occhi, tanto vicino da capire che il mondo sta per fare a meno di noi, e senza grossi problemi o rimorsi. Non tutti reagiscono bene a un tram nella schiena. In ogni caso il bastardo vivrà altri dieci anni, è scontato, rovesciando per “errore” bicchieri di vino su abiti nuovi e schiacciando con la sedia a rotelle centinaia di piedi, sempre per errore, ovviamente… Ero immobile. Quanto sarà passato? Un quarto d’ora di sicuro, fermo, impassibile come un fossile ricostruito di dinosauro, con le braccine rannicchiate per la repulsione verso il secondo round con quell’infame campeggio. Continuavo a pensare alla mia prima terribile esperienza al “Paradiso e dintorni” e ritenevo che nulla avrebbe potuto renderla peggiore, forse solo il pressante pedinamento di un alieno con l’hobby di terrorizzare i vagabondi. Tutto stava assumendo un aspetto grottesco, la mia vita si stava trasformando in un cocktail di sfighe sotto il mio naso, senza pietà. Dovevo stare in mezzo alla folla, possibilmente in un luogo che consentisse una rapida fuga, in caso tornasse quel maledetto disco volante. La mancanza di Wilma era sicuramente un buon segno, ma quella di ogni altro essere vivente a raggio di vista non mi incoraggiava molto.


31 Chiunque avrebbe potuto riconoscere, chiaro e distinto nell’aria, il sinistro ronzio di un’inculata col botto, ma io no. Io mi sono addentrato sempre più in quelle parodie di pinete che, teoricamente, avrebbero dovuto riparare i maso-campeggiatori dal temibile sole sardo, ma in pratica servivano solo a deprimere i picchi e tutti gli altri volatili del creato. Ho visto personalmente una rondine africana lasciarsi cadere morta dal ramo di un pino marittimo, ormai svuotata di ogni entusiasmo per la vita libera, spensierata e in piena armonia naturale di un volatile migratore. Forse le rondini africane non migrano. Che diavolo ci faceva in Ogliastra una rondine africana? Mah… terra davvero strana, la Sardegna. A uno verrebbe da pensare che il passare del tempo renda più esperti, più capaci e pronti nell’affrontare le situazioni della vita, ma la realtà è che queste situazioni non sono poi tanto impreviste e ciò che ci sciocca di più è l’attimo in cui effettivamente qualcosa avviene, più che la cosa in sé. Qualcosa nella vita si ripete sempre simile a sé stesso, sempre nel momento sbagliato. Questa mutevole ripetitività ci dà l’illusione che la nostra esperienza serva in definitiva a qualcosa, magari a scopi anche superiori dal saper costruire una capanna sugli alberi o imparare che il fuoco scotta, qualcosa in grado di migliorare il nostro modo di agire ed essere. Invece no. Di fronte a cose simili reagiamo sempre nello stesso modo, ogni variazione al nostro stupido modus operandi è una scalata del K2, il deviare il corso di un fiume. Quando ci troviamo di fronte a qualcosa di assurdo e imprevisto le opzioni sono solo due: paralisi o delirio. Quindi, di fronte all’ignoto e all’ovviamente sospetto ho reagito andando avanti senza pensare troppo alle conseguenze, per mera curiosità, e di fronte a una spiaggia dai bagnanti pietrificati come bibliche statue di sale, quasi stessero indicando l’enorme oggetto luminescente a pochi metri dalle le loro teste, ho reagito urlando e imprecando come un turco ubriaco.


32 Prima di svenire, ricordo di aver urlato un altro catartico “STRONZOOO” e aver lanciato inutilmente la borsa a tracolla, larga come un canotto e pesante come un Menhir. Poi mi sono svegliato in questa stanzetta bruna. Il metallo delle pareti è freddo e bruno. Il pavimento, invece, è morbido, tiepido e bruno. Il soffitto non lo vedo, ma ci deve essere sicuramente qualche cosa di bruno vicino a una sorta di luce, lassù, perché la stanza è immersa perennemente in una luce tiepida e opaca, biancastra, simile alla panna. Il pavimento è così morbido che ho potuto piantare i picchetti della tenda con facilità e ho notato che assorbe facilmente il liquidi… adesso che ci penso, saranno giorni che non ho esigenze fisiologiche di alcun genere… è fichissimo, ma sento come se al mio corpo mancasse qualcosa, forse uno scopo. Effettivamente sto perdendo moltissimi stimoli, solo scrivere rimane nei miei interessi. Non avevo mai notato quanto il soddisfacimento fosse al centro dei miei pensieri e delle mie azioni, quanto fosse dominante… mi sento libero, ma nostalgico. Da quando ho accettato che la mia permanenza a oltranza in questa cella uscita dalla testa di un acidomane, ho cominciato a rimpicciolire progressivamente la mia cacografia, così da far durare questo ultimo taccuino il più a lungo possibile. Sembra lo scritto di un pazzo. Forse lo è, forse non sono in un UFO, sono semplicemente in qualche clinica psichiatrica e questa folle prigione è solo il mio modo allucinato di percepire la mia scialba stanza d’ospedale. Forse sono morto. È strano, se fossi morto dovrei essere circondato da nanetti asessuati, nudi, con ali e lira di serie, oppure dovrei sentire odore di zolfo e vedere cose da copertina di disco Metal. Forse dovrei smettere di dire cazzate, neanch’io ho mai creduto a quelle baggianate medioevali, anzi, nessuno dovrebbe crederci, nessuno dovrebbe credere, dovremmo accettare il dubbio e


33 l’incertezza come parte fondamentale di noi e basta… comunque questo aldilà è davvero palloso, sempre che sia l’aldilà, la mistica vita oltre la vita, il luogo dell’eterno riposo… buuu-huuu… Però almeno una morte alla Bergman, un po’ me l’aspettavo. Magari entrerà da quel taglio sulla parete; sono sicuro che è una porta e le porte esistono per essere aperte. Già me la vedo, bianca in volto, con il saio nero sbrindellato e la falce stretta al corpo, avanzare a passo lento e cadenzato. «Sei tu Pancio?» «No, a dire il vero mi chiamo Paco, Pi, a, ci, o.» «Sicuro? Guarda che non sbaglio mai.» «Be’, su questo avrei qualcosa da ridire… e tutti gli ex democristiani ultra ottantenni che scorrazzano per il parlamento? Come la mettiamo?» «Hanno tutti patteggiato… basta, andiamo Pancio.» «Paco.» «Come?» «No, dicevo, sono sempre Paco, non Pancio. Magari stai sbagliando…» «Te l’hanno mai detto che far notare a qualcuno che sbaglia, non è affatto carino?» «Scusami, ma la carineria è una di quelle cose che non mi viene bene da terrorizzato, anche se sono sicuro che sia uno di quei valori per cui è giusto sacrificare la propria vita… com’era la storia che non dovevo esserci quando c’eri tu? Che cazzo ci faccio qui? Anzi, che cazzo ci fai TU qui? Non dovrei essere in un UFO. La morte è forse in realtà un sadico alieno?! Quante domande superflue posso formulare in un unico pensiero?» «Basta, ora ce ne andiamo. Sei veramente molto irritante, Pancio, te ne rendi conto?» «Paco.» «Come?»


34 «Eccheccazzo, ci rinuncio, la morte di Bergman arteriosclerotica è troppo anche per me. Andiamo, facciamo la finita. Sono Pancio, pronti via!» «Bravo Pancio, andiamo… e adesso, chissà dove ho parcheggiato…» No, sono vivo. Penso, quindi esisto, anche se penso solo cazzate. Quella porta si aprirà e vedrò gli alieni, ne sono certo. È il mio destino, è inevitabile. Speriamo che non usino quelle odiose sonde anali, e che non mi vivisezionino come qualsiasi umano farebbe al loro posto. Ho veramente paura. Ho paura e sono un po’ come l’uomo ragno, che fa battute sotto tensione. Il giorno in cui andai a visitare per la prima volta la tomba dei miei genitori, dissi qualcosa tipo “chi non muore si rivede” o una cazzata di altrettanto pessimo gusto. È odioso, ma è il mio modo di reagire al peggio, provo a scherzare per prendere le distanze, è una fuga… ma la strada è quella, anche se incespico. Ridere, ridere sempre, anche se fosse un riso amaro, bisogna ridere; l’uomo è troppo poco per prendersi sul serio, qualsiasi uomo. Francamente, c’è sempre una scusa per cui una persona onesta possa farsi una grassa risata. Sento qualcosa, là fuori c’è del movimento. Sento dei piccoli tonfi sordi, sento la paura avvicinarsi. Scriverò fino all’ultimo, fino a quando il terrore non mi avrà fatto impazzire. La luce biancastra e corpuscolare sembra sparire con l’aprirsi della porta. Ora l’illuminazione proviene direttamente dal varco in espansione. La porta è lentissima… è veramente lenta… stride… si blocca! «Ti spiacerebbe passare nell’apertura? Si è bloccata un’altra volta… cazzo di porte.» Non ci credo. La voce ovattata parla ancora. «A Proposito… stronzo sarai tu… schizzato…» …Bzzzzzzzzz…


35

Attivazione allegato audio D23 It3, per concessione dell’Archivio Titillian. Registrazione vocale rilevatore 453 barra 2, testimone etnomnemonico it3 punto m, primo contatto. Il soggetto sembra attualmente privo di sensi, probabilmente a causa di una reazione ai miei gas simpatici, un fenomeno già osservato con i testimoni etnomnemonici delle zone d’isolamento T7 e T5. Dyana, annotazione 2, procurarsi una porzione di zuppa di Sgasso di N’Golax dal cambusiere, non posso lavorare con un testimone che sviene ogni istante! Il soggetto è stato invitato educatamente a uscire dalla camera di adattamento, ma dubito che fosse sufficientemente lucido da comprendere che non c’è alcun pericolo. L’ho osservato con discrezione per diversi giorni terrestri e continuo a ribadire che si tratta di un soggetto violento, potenzialmente pericoloso e privo di qualsivoglia interesse scientifico. Mi ha chiamato stronzo, ‘sto barbone del cazzo… Dyana, annotazione 3, chiedere a quell’incapace del tecnico di bordo di revisionare il radicomputatore. Non sono sicuro che i dati dell’ormometro radiante e dell’Antiriv siano attendibili. In anni di infiltrazione su Srrzzrr, non ho mai conosciuto nessuno che mi ispirasse una istintiva repulsione minimamente paragonabile a quella del testimone etnomnemonico in questione. Ritengo che non attenersi alle osservazioni del rilevatore designato sia una palese contraddizione alla costante universale numero otto, elaborata dal sommo Yaden, ovvero “qualsiasi macchina sbarellerà almeno una volta, indipendentemente dall’incapacità di chi ne fa la manutenzione”, ma la capitana N’Goio continua a ripetermi che io sono soggetto alla costante sull’imbecillità e inadeguatezza dei ricercatori.


36 Dyana, annotazione… annotazione 4, ricordarsi di dare un calcio nel culo alla capitana. Possibilmente nel sonno, un bel calcio nel culo, laterale volante, poi lasciare prove evidenti della colpevolezza del tecnico, quel bastardo… …il soggetto sembra iniziare a riprendere i sensi, preparo il travestimento Srrzzrr barra due… «EHI tu, stai bene? Ehi, ti vuoi alzare?! Alzati, dobbiamo andare, forza.» «Aaah, la testa… la smetti con questi cazzo di calcetti nei fianchi?» «Alzati!» «Ma siediti tu. Senti un po’, rastaman, chi cazzo sei? Sei giamaicano?» «Prima di tutto non sono giamaicano. Seconda cosa, alzati alla svelta.» «Non vado da nessuna parte se non mi dici chi sei, pertica.» «Mi chiamo Jammy. Non mi hai mai visto a Milano? In genere suonavo prima di Cleo, ma ho fatto un numero di serate considerevole anche da solo, per esempio all’Acqua Potabile…» «…sei tu? Sei davvero TU? Sei Jammy?! …e chi cazzo ti conosce?!» «Sono un DJ Famoso! Te lo ha mai detto nessuno che sei un essere davvero irritante, Paco?» «Effettivamente non mi dicono altro. Adesso però mi spieghi perché su un UFO c’è’ un DJ rastafariano di due metri, che oltretutto conosce il mio nome?! E ti prego, parla piano che mi rimbomba tutta la testa.» «Secondo me è tutto quello spazio vuoto fra le orecchie, che ti fa l’effetto eco.» «Sto aspettando…» «Gnegnè gnegnè, “cosa ci fa il rastafariano cattivo sull’astronave cattiva”…“O mio dio, cosa ne sarà di me”. Che palle, Paco. Alzati e andiamo, ti spiego tutto strada facendo.»


37 «Sai che anche tu sei abbastanza irritante, Zio? Mi alzo, stai trà.» «Ci voleva tanto? Bravo, così, andiamo.» «Hanno rapito anche te? Sei riuscito a fuggire? Eri in una grotta psichedelica anche tu?» «Per il Giullare, sei irritante come un bambino di nove anni infilato su per il culo. “Quando esco?”…“Dov’è l’uscita?”…“Anche i miei amichetti sono infilati in qualche culo?”. VUOI LASCIARMI IN PACE?! HO LA FACCIA DI UNA CAZZO DI GUIDA TURISTICA?» «Aaah… la testa, bastardo, non urlare! Per favore! …Zio, ti conviene rilassarti, stai letteralmente fumando.» «Cosa?» «Stai fumando, Giamaica.» «Oh, sì… è borotalco… sudo molto… ne metto tanto, mi rimane sui vestiti, poi mi agito, mi muovo… sembra fumo, vero?» «Zio, guarda che me ne intendo, quello è fumo… e poi, usi il borotalco alla frittura? Senti che odore, è disgustoso!» «È borotalco, vedi? Ho smesso… te l’ho detto che era borotalco.» «Peccato, pensavo di avere l’occasione unica di vedere dal vivo un raro fenomeno di autocombustione.» «Ma a te non gira la testa?» «No, mi fa solo male.» «Vertigini?» «No.» «Senso di nausea?» «No.» «Mancanza di forze?» «No, cazzo, sei sordo? Mi fa solo male la testa.» «Strano, molto strano… comunque NON MI PIACE IL TUO ATTEGGIAMENTO.» «Sei… aaah… un infame, sadico bastardo.» «Oh, come la fai lunga, Paco. Giriamo a destra là in fondo.» «Comunque non mi hai ancora detto nulla di come sei scappato.»


38 «Dyana, annotazione numero stikazzi, ricordarsi di inoltrare richiesta per tornare a fare il pilota a tempo pieno. Odio tutto questo.» «Sì Dyana, ricordagli pure di fare un salto dall’analista. Sai che non è sano avere amichetti immaginari alla tua età?» «Imbecille, è una roba tipo agente Cooper, a Milano mi sono guardato tutto Twin Peaks due volte, mi sono scaricato la serie completa.» «Complimenti. Per la resistenza e per la fantasia nello scegliere il nome dell’assistente immaginaria. Davvero. Comunque un salto dallo strizzacervelli lo farei lo stesso, mi sembri un po’ irrequieto… ma ce l’hai almeno, un registratore?» «No, non mi serve.» «Ah, ecco tutta la sanità mentale che emerge. Ti spiace se ci separiamo qua? Tu stai andando verso quella porta, giusto? Ecco, mi sa che io proseguo per il corridoio, ok?» «No.» «Amico, il borotalco…» «Tu vieni con me, punto e basta.» «Sei sicuro di stare bene, Jammy? Mi sembra che ti stia scivolando verso il basso un orecchio. Sei lebbroso, per caso?» «No, sono solo irritato da uno stupido, saccente e arrogante che mi devo trascinare dietro come UNA PALLA AL CULO!» «…aaah. Ancora! Ma ti diverti?» «Sì, molto. Adesso entra, torno a prenderti più tardi.» BZZZZzzzzzzzzzzzzzz Bzzz FINE ANTEPRIMA Continua...


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