Spicchi di cuore

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DANIELA QUADRI

SPICCHI DI CUORE

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SPICCHI DI CUORE Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2011 Daniela Quadri

ISBN: 978-88-6307-370-6 In copertina: Immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Giugno 2011 da Logo srl Borgoricco - Padova

Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti citati sono il prodotto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in chiave fittizia per conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi rassomiglianza e analogia con fatti, luoghi reali e persone, realmente esistenti o esistite, è puramente casuale.


A tutte le Donne che nonostante le delusioni e le sofferenze non rinunciano al sogno di trovare una persona speciale con cui condividere l’immensa ricchezza che portano nel cuore



Per il mio cuore basta il tuo petto, per la tua libertà bastano le mie ali. Dalla mia bocca arriverà fino al cielo, ciò ch’era addormentato sulla tua anima. Pablo Neruda



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CAPITOLO 1 MARTEDI’ 23 MARZO

Lo stridio improvviso dei pneumatici la fece sobbalzare. Nella penombra del parcheggio sotterraneo Guenda sollevò lo sguardo dalla borsa in cui stava freneticamente frugando alla ricerca del suo inseparabile lipgloss. Intravide solo la sagoma scura di una vettura cabriolet e subito dopo udì il colpo della portiera del conducente che sbatteva contro il suo specchietto laterale destro. «Ehi, ma le sembra il modo!» gridò inviperita Guenda uscendo a sua volta dall’abitacolo «ma che razza di maleducati. Adesso vediamo un po’ il danno» proseguì con la decisione e l’autorevolezza che le erano proprie. «Mi scusi non ho fatto apposta» le rispose una voce inconfondibile dall’altro lato dell’autovettura «sono di fretta e la portiera mi è proprio sfuggita nella foga. Guardi non c’è problema, se ho rotto qualcosa glielo ripago subito» concluse la voce con fare conciliante. «Aspetti un momento» disse Guenda girando intorno all’auto per vedere in volto la voce «ma… no, non ci posso credere! Ludo ma sei proprio tu!» esclamò con gioia quando ebbe riconosciuto l’amica. «Guenda! Ma dai sono mesi che non ci vediamo e dove ti incontro? Nel parcheggio di un centro commerciale! Come è piccolo il mondo carissima» le rispose Ludo abbracciandola. «Be’, più che di un incontro si è trattato di uno scontro» rise Guenda «ma cosa potevo aspettarmi da un uragano come te! Dove stai correndo così di fretta?» le chiese infine. «Come al solito mi sono ricordata all’ultimo momento che domenica sono invitata al Battesimo della figlia di una collega e dal momento che domani non avrò modo di uscire a fare shopping, ho pensato di fare un salto qui dopo il lavoro. Sai, ho visto una bellissima lampada da notte a forma di angioletto e adesso sto correndo a comprarla prima che sparisca!» annunciò tutto d’un fiato Ludo.


8 «Se non ti dispiace ti accompagno e magari riusciamo anche a farci stare un aperitivo al volo visto che l’orario più o meno è quello» le propose Guenda. «Come no!» accettò subito Ludo «E poi devo farmi perdonare lo spavento che ti ho fatto prendere prima!» disse allegramente. Guenda e Ludovica si conoscevano dai tempi delle scuole superiori; entrambe avevano frequentato il liceo classico nella loro città di origine anche se in classi diverse. Poi Ludo, la bella brunetta dagli occhi verdi, era diventata un’abile e apprezzata assistente di direzione, mentre Guenda aveva intrapreso con successo la carriera forense. Le due amiche presero l’ascensore che le portò al piano dove si trovavano i negozi del centro commerciale e si lasciarono trasportare dalla calca dei visitatori del venerdì sera. Tra una chiacchiera e l’altra percorsero gran parte dell’ala in cui si aprivano le boutiques di grandi marche, quando a un tratto sbirciando attraverso le vetrine di una nota firma di calzature i loro sguardi vennero catturati da una scenetta che si stava svolgendo all’interno. Una biondina tutto pepe seduta su un divanetto attorniata da una decina di scatole aperte che gesticolava disperatamente per attirare l’attenzione di due commesse con le braccia stracolme di altrettante scatole. «Vedi anche tu quello che vedo io?» chiese Ludo con un sorrisetto divertito a Guenda. «Direi proprio di sì!» le rispose ammiccando l’amica «chi altri potrebbe provocare un simile putiferio in un negozio di scarpe?» e così dicendo Guenda si precipitò nel negozio tallonata da Ludo. Schivata abilmente una commessa che già si stava dirigendo verso le nuove entrate, Guenda arrivò alle spalle della cliente indaffarata a provare e riprovare calzature. «Camille! Mia cara come stai?» esclamò Guenda, al che la biondina con un piccolo sussulto di sorpresa si girò verso la voce e sbattendo gli occhioni azzurri rispose: «Ma chère! Guenda comment ça va?» «Ciao tesoro tutto bene?» intervenne Ludo facendosi avanti. «Uh ma che bella sorpresa!» cinguettò Camille con la sua erre francese che tradiva in maniera civettuola le sue lontane origini. «Ti abbiamo vista da fuori mentre stavi facendo impazzire le commesse!» rise Ludo. «Un altro paio di scarpe nuove! Ma ne avevi proprio bisogno?» la rimproverò ironicamente Guenda «se continui così dovrai uscire di casa per far posto alle tue scarpe! Ma quante paia ne hai?»


9 «Mah, non saprei» esitò un attimo Camille «comunque tante! Pensate che ormai ho riempito tutto quello che una volta era il ripostiglio dove tenevo gli attrezzi per le pulizie di casa. E ho sempre paura quando apro la porta che scatole e scatoloni mi crollino rovinosamente addosso!» concluse ridendo Camille. L’arrivo delle amiche salvò le commesse da ulteriori tormenti e Camille decise infine per un paio di decolletè di camoscio grigio antracite. «Be’, direi che adesso dobbiamo festeggiare non uno ma ben due incontri a sorpresa! Che ne dite di sederci e di brindare?» propose Guenda e girato l’angolo le amiche presero posto in un’elegante caffetteria. Dopo che un ragazzone lentigginoso ebbe prese le ordinazioni e che i drinks vennero posati davanti a loro, cominciò un frenetico giro di domande e risposte sugli ultimi avvenimenti delle loro vite lavorative e sentimentali. «Ahi ahi ahi ragazze, qui mi sembra che le cose vadano maluccio» concluse Guenda dopo aver ascoltato le vicissitudini sentimentali delle amiche «non va bene, dobbiamo assolutamente fare qualcosa! Chi dorme non piglia pesci. Non dobbiamo aspettare e stare senza far niente. L’amore non comparirà per magia un giorno solo perché lo speriamo e lo desideriamo. E soprattutto dobbiamo convincerci di meritare di meglio rispetto a quello che abbiamo. Altrimenti non lo otterremo mai!» «E cosa dovremmo fare?» chiese curiosa Camille «non vorrai mica mettere uno di quegli squallidi annunci per singles?» domandò inorridita. «No certo che no» interloquì Ludo con il suo pragmatismo «sono certa che Guenda ha in mente qualcosa. Vero?» «In effetti io qualcosa ho già fatto. Ho aperto un’agenzia di wedding planner. Almeno anche se non mi sposerò più avrò il piacere di organizzare i vostri matrimoni» annunciò Guenda. «Bella idea Guenda! Sapevo che ci avresti stupite con effetti speciali!» rise Ludo «però qui sorge il problema» concluse con una nota triste. «Eh già! Dove la troviamo la materia prima?» chiese per tutte Camille con il suo fare molto pratico. «Be’, allora devo proprio svelarvi un altro segreto ragazze mie!» continuò Guenda sempre più misteriosa «sono anche diventata moderatrice di un sito per amicizie e incontri tra singles.» «Tu? Moderatrice di cosa?» chiese Ludo con gli occhi sgranati «tutte ma non tu! Non me lo sarei mai aspettata da te.» «E perché no? Io invece credo che Guenda sia proprio la persona giusta per quel ruolo. È capace di mettere al loro posto i maleducati e gli stu-


10 pidi» replicò Camille «tu non hai idea di che genere di persone si possono incontrare nelle chat!» «Perché tu sì invece?» s’informò Ludo «ma no dai, anche tu frequenti le chat per singles!» «Sì perché che c’è di male? Le mie amiche in Francia lo fanno tutte. È una cosa normale. Un modo come un altro per conoscere gente, senza la scomodità di dover uscire e frequentare locali, se vuoi metterla così» ribatté Camille con la disinvoltura d’oltralpe. «Be’, in effetti non c’è niente di male in sé. È solo uno strumento, concordo. Poi dipende dall’uso che se ne fa» rispose conciliante Ludo «e sapete cosa vi dico? Domani sera ho un’uscita con Chicca, Anto, Linda, Alex e Frida e ne parlerò anche con loro. In un modo o nell’altro dobbiamo trovare clienti per l’agenzia di Guenda!» All’ora stabilita le amiche cominciarono ad arrivare alla spicciolata al ristorante giapponese dove avevano deciso di cenare. Alex che non amava particolarmente guidare prese un taxi. Chicca parcheggiò la moto a pochi passi dall’ingresso del locale. Ludo, Anto e Linda lasciata la cabriolet nel parcheggio custodito a poca distanza si annunciarono con il trillo delle fresche risate, mentre Frida che abitava poco distante arrivò comodamente a piedi. Quando dopo i baci e abbracci iniziali furono tutte riunite al tavolo prenotato a loro nome, Ludo accennò all’incontro del giorno prima con Guenda e Camille e portò il discorso sulle chat per singles. «Allora ragazze quale occasione migliore di una riunione di vecchie zitelle per parlare un po’ delle possibili soluzioni a questo, diciamo, problema comune?» domandò Ludo ben sapendo che così facendo avrebbe scatenato il suo auditorio. «Ehi vecchie zitelle a chi?» rispose infatti Erika, detta Chicca, scuotendo i lunghi ricci ramati «piuttosto parliamo invece di singles con esperienza che è tutta un’altra storia! E poi in amore come in guerra per vincere bisogna imparare dagli insuccessi, rafforzare i propri punti di forza e migliorare i punti deboli, essere audaci, coraggiosi e ambiziosi. Non demordere mai. E tutto questo lo si impara solo con l’esperienza» concluse poi con la sua solita carica di ottimismo. «Assolutamente d’accordo!» dichiarò Alex, la bruna femme fatale del gruppo «ma voi sapete anche che una donna single intelligente preferisce avere a disposizione un etto di salsiccia alla volta piuttosto che do-


11 ver badare a un porcellino intero» e a questa uscita tutte si piegarono in due dalle risate. «Be’, ecco io uso internet solo per svago» spiegò Frida «sapete quei giochi di strategia a cui ti appassioni e che diciamo la verità provocano anche una certa dipendenza. Insomma quando mi connetto è per giocare e per chattare un po’ con gli altri giocatori. Però in fondo anche cercare l’anima gemella può diventare uno svago da assuefazione» concluse poi ridendo. «Uhm, non saprei» si inserì Linda titubante «ma non mi ci vedo ancora costretta a cercare amicizie su un sito per singles. Ho ancora un discreto numero di pretendenti e preferisco passare il mio tempo a rispondere alle loro chiamate ed sms piuttosto che a chattare con degli sconosciuti.» «Be’, certo i tuoi ammiratori. Si vedono i risultati. Quando è stata l’ultima volta che mi hai tenuta al telefono un’ora e mezza piangendo sulla tua ultima disastrosa relazione?» replicò velenosa Antonella che proprio non poteva sopportare le arie da superdonna che Linda metteva su quasi senza rendersene conto. «Ok calma ragazze non c’è bisogno che ci azzuffiamo! Ma cosa vogliamo fare?» intervenne Ludo. «Per me va bene. Anzi potrebbe essere la soluzione ideale dal momento che non ho tempo da dedicare alla ricerca di un partner girando per discoteche e locali. Quelli li devo già frequentare per lavoro!» decise Alex. «Ci sto» si unì Antonella «perché, come dice il proverbio, “chi non risica non rosica”.» «Va be’, non voglio essere l’unica a rinunciare a fare anche questo tentativo» confermò un po’ riluttante Linda «anche se non nutro grandi speranze.» «Ok allora tutte d’accordo!» annunciò Ludo «domani dirò a Guenda di cominciare a lavorare sodo perché da qui a un anno dovrà organizzarci delle nozze da favola!» Il trillo del cellulare ruppe il tranquillo silenzio del salotto in cui sdraiata sul comodo divanetto a due posti Guenda stava sfogliando l’ultimo numero della sua rivista di moda preferita. «Pronto?» chiese quando afferrò il cellulare. «Hi Guenda! It’s me darling! How are you doing?» continuò la voce all’altro capo del telefono.


12 «Sandra! Ma sei proprio tu! Come stai tesoro? Ma allora è proprio vero che le sorprese non finiscono mai» si riprese allegramente Guenda «proprio qualche giorno fa ho incontrato Ludo e Camille e adesso la tua telefonata. Che piacere!» «Tutto bene grazie. Adesso mi trovo a Parigi in missione per un cliente. Un tipo un po’ eccentrico ma che vuoi paga molto bene! E poi lo sai che purtroppo non ho legami che mi trattengano a Milano. Per cui viaggiare ogni tanto non mi dispiace» la aggiornò Sandra. «Vedo che anche tu sei ancora parte del gruppo allora!» rispose Guenda. «Quale gruppo? Scusa, non ti seguo» chiese Sandra. «Ma sì quello delle old chicks! Insomma, anche tu senza un ometto al fianco» rise Guenda «sai, ne stavamo parlando proprio con le ragazze quando ci siamo incontrate. Ma per fortuna abbiamo trovato un rimedio.» «Ah sì non mi dire! Ma penso che in tutto questo ci sia il tuo zampino» la solleticò Sandra. «Un po’ sì lo ammetto. Comunque ho solo detto loro di aver aperto un’agenzia di wedding planner e che per darmi lavoro devono sbrigarsi a convolare a giuste nozze. Insomma dovete sbrigarvi tutte, vista anche l’età» scherzò Guenda. «Carina! Ma lo sai che sei proprio simpatica quando ti ci metti?» replicò Sandra «comunque per tua informazione io mi sto già dando da fare. Una sera a Londra mentre ero a casa di una collega mi ha fatto provare per gioco a chattare e l’ho trovato divertente. Per cui ogni tanto mi butto nella mischia. Ti ho scandalizzata tesoro?» «Per niente Sandra. Anzi sai cosa ti dico? Che se la cosa ti diverte fai benissimo e che da oggi siamo tutte con te!» concluse ridendo Guenda.


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CAPITOLO 2 TORO SCATENATO

«Ciao sono Fabrizio. Finalmente ci sentiamo. Sai che hai una bella voce?» “Come inizio non suona molto originale, ma comunque neanche troppo sopra le righe” pensò Camille. Dopo una settimana di incontri in chat e scambio finale di numeri di cellulare, il momento fatidico era arrivato: quello della prima telefonata, sempre attesa con un po’ di malcelato batticuore, dalla quale sarebbe dipeso il futuro di questa possibile coppia. «Sai a me non piace tirare le cose troppo per le lunghe. Inutile stare a chattare per mesi, tanto qui ognuno può inventarsi quello che vuole. L’importante è vedersi e poi se c’è la chimica giusta il resto viene da sé.» «Be’, la logica non fa una grinza» ammise Camille, però senza sapere il perché da qualche parte le si era accesa una piccola spia rossa. Provò allora a metterla sul ridere e gli chiese se faceva così con tutte quelle che conosceva in chat. «No, non con tutte. Solo con quelle carine. Ma io ti piaccio o no? Perché se non sei convinta allora lasciamo perdere. Se invece ti va possiamo vederci sabato sera per bere qualcosa. Sai se fosse per me avrei detto anche stasera, ma ho una riunione di condominio alla quale non posso mancare e sai come vanno queste cose, c’è sempre il rompipalle che con le sue domande fa sforare l’orario.» “A questo punto devo decidere” rifletté velocemente Camille “o butto alle ortiche svariate ore di conversazione o mi butto in quella che potrebbe anche rivelarsi l’occasione giusta. In ogni caso la scelta è tra buttare e buttarsi.” La raccolta differenziata non era mai stata il suo forte e quindi per evitare errori e danni all’ambiente Camille optò per la seconda e si buttò.


14 «Ok per sabato sera» confermò. Rimasero d’accordo comunque di risentirsi il giorno prima per riconfermare l’appuntamento. Da qui in avanti fu tutto un susseguirsi di emozioni contrastanti: un momento Camille si sentiva euforica al pensiero che “sì dai dopotutto era un tipo piacevole”, ammesso che le foto non fossero un abile lavoro con photoshop, e per certi aspetti interessante - non era lui quello a cui piaceva andare a fare la spesa ai mercati generali la mattina presto e che cucinava pranzetti per gli amici? - e il momento dopo era presa dall’angoscia; e se l’impatto fisico non si fosse rivelato dei migliori? In altre parole, se lei non gli fosse piaciuta? Ecco che a questo punto scoppiò il fatidico fulmine a ciel sereno: «Orrore! non ho niente di adatto da mettermi!» Come una furia Camille si gettò a capofitto nell’armadio cominciando a buttar fuori uno dopo l’altro tutti i suoi paludamenti: no l’abito nero non andava troppo femme fatale e non voleva partire col piede sbagliato alla prima; uhmm quello bianco faceva un po’ troppo cerimonia e non desiderava suggerire futuri legami dai quali lui sarebbe scappato a gambe levate; quello rosso era troppo corto e pailettato con chiare allusioni a una serata danzante… be’ allora era meglio tagliare la testa al solito toro sfigato e optare per qualcosa di più informale ma comunque elegante che mettesse in risalto la figura ancora in ottimo stato di conservazione. «Ecco una bella gonna a tubo con spacchetto strategico abbinata a una camicetta abbottonata al punto giusto, il tutto sfoderato con l’andatura mare forza sette su un paio di sandali tacco dodici è quello che fa al caso mio» si disse infine Camille molto soddisfatta della scelta. Sistemati i punti strategici per essere pronta a qualsiasi evenienza, Camille adorava farsi prendere dall’impulso e abbandonarsi al romanticismo del momento senza fare programmi a tavolino che azzerassero il suo livello ormonale e presa la decisione sulla lingerie da indossare come un morbido guanto di seta, preparò il borsone e se ne andò in piscina a rinfrescare un po’ le idee e a calmare i bollori. L’acqua aveva sempre avuto su di lei un potere riconciliante, con sé stessa e con il mondo, era come se immergendosi in questo liquido da cui era scaturita la vita il suo corpo per osmosi diventasse della stessa sostanza e in questa reazione chimica si dissolvessero anche tutti i suoi assilli, le angosce e i problemi. Non fece però in tempo a stendersi ad asciugare sul lettino che le squillò il cellulare.


15 «Pronto?» rispose con tono incerto e titubante. «Ciao come va gioia? Mi è venuta voglia di sentirti. Tutto bene?» “Be’, non me l’aspettavo da un tipo così e devo dire che mi fa molto piacere” pensò Camille che aggiustando di un tono la voce rispose prontamente: «Sì tutto bene grazie. Sono in piscina a rilassarmi un po’. Anche se lo ammetto, non ci sto riuscendo molto bene» «Perché cosa c’è che non va?» «Niente di particolare è solo che… be’ sai l’effetto farfalle nello stomaco.» «Sì certo ma consolati è tipico di voi donne quando dovete incontrare un uomo che non conoscete. Poi vedrai che tutto si sistema. Anzi io sono un tipo simpatico che sa mettere a suo agio le persone per cui non ci saranno problemi. Hai già pensato a dove passare la serata? A proposito dammi il tuo indirizzo così lo inserisco nel navigatore e se non ti va puoi darmi anche quello di una via nei paraggi. Sai a certe donne non piace farsi venire a prendere sotto casa o temono possa trattarsi di un matto.» “Be’, se voleva rincuorarmi ha sbagliato su tutta la linea e in un solo colpo ha già inanellato tutta una serie di così non va da record” fu il primo pensiero di Camille. Innanzitutto l’accenno a quel “…è tipico di voi donne…” la disturbava perché infrangeva il suo già gracile sogno di essere unica e senza uguali - non era forse questo il motivo per cui aveva deciso di uscire con lei? e poi si chiese: “Ma quante diavolo ne ha già incontrate questo per avere una statistica così precisa?” Numero due, perché mai doveva essere lei a organizzare la serata? Non era sempre stata prerogativa dei signori uomini preoccuparsi del dove e del come lasciando alle signore la scelta del quando e del perché? E per concludere, niente di meglio che sentirsi dire che altre avevano condiviso i suoi timori… tatto e sensibilità a livello zero. D’impulso Camille prese il coraggio a due mani. «Sai, avevo pensato a un dopo cena in un locale carino all’aperto dove c’è la possibilità di stare tranquilli a fare due chiacchiere. Se per te va bene. In quanto all’indirizzo segnatelo pure. Al massimo se dovessi rivelarti un matto insistente, vorrà dire che non ti presenterò Nightmare» « E chi sarebbe?»


16 «Il mio vicino di casa che soffre di mania di persecuzione e segnala ai carabinieri tutti quelli che non conosce e vede aggirarsi intorno al palazzo per più di due volte. Postini compresi.» «Ah ah ah meglio di una body-guard e più a buon mercato. Ti passo a prendere domani sera alle nove e mezza, allora. Ah dimenticavo… mettiti la gonna e i tacchi, mi piace vedere l’andatura di una donna. Si capiscono tante cose.» «OK a domani e niente paura ci avevo già pensato io.» Riattaccò e proprio perché quel giorno si sentiva buona Camille gli risparmiò la battuta che le era rimasta attorcigliata sulla punta della lingua: “e tu bello non stare a preoccuparti di quali pantaloni metterti. Anzi vieni senza così dai un po’ aria al cervello”. Ma sì, un po’ di femminismo a slogan gridati ci poteva stare, anche se gli slogan ormai si erano sbiaditi per i troppi candeggi sbagliati fatti da donne che avevano pensato di sbarazzarsi del meglio di sé pur di impadronirsi del peggio dell’altra metà del cielo. Trascorsa una notte praticamente insonne e una giornata in cui a Camille sembrò di accusare i sintomi di tutte le più comuni patologie stagionali, dalla febbre gialla al colera passando per la tosse asinina - ma non sarà molto più prosaicamente un serio attacco di cacarella? - l’ora della verità era scoccata. L’appuntamento era nel parcheggio vicino a una nota pizzeria del quartiere. Con lo sguardo Camille scrutava i volti degli uomini, solo quelli non accompagnati, che si aggiravano tra le auto ed ecco che una voce alle sue spalle la fece sussultare. «Ma lo sai che sei molto più carina che nelle foto? Proprio come me! Piacere Fabrizio.» La voce cadde dall’alto di un metro e ottantacinque per ottanta chili circa di maschio e sembrò metterci un’eternità a raggiungere le trombe di Eustachio di una Camille già in estasi sessuale. “Wow sogno o son desta, molto ma molto meglio del previsto. Che figo!” Ma con ritrovata saggezza rispose cautamente: «Piacere Milly. Hai fatto fatica a trovare l’indirizzo? Sai con questi sensi unici è un po’ un casino e spesso ci si trova a girare in tondo.» «Nessun problema sono abituato a usare il Tommy per lavoro.» «Tommy chi?» chiese un po’ allarmata. “Non sarà venuto con un amico a rimorchio?” si domandò. «Ma il TomTom, no?! Sai l’ho anche personalizzato con un muggito quando mi segnala gli autovelox. Un ridere!»


17 “Occhio Camille che se questo familiarizza così con il TomTom è probabile che sia anche fidanzato con l’automobile. Qui urge la prova tappetino” pensò Camille già sulla difensiva. Salita in auto e lasciatasi cadere con molle sensualità sul sedile, Camille cominciò a rovistare indaffarata nella micro-borsetta argentata come se il resto della serata dipendesse dall’esito di questa ricerca. «Perso qualcosa?» chiese il fustacchione incuriosito. «No è solo che non riesco a trovare l’accendino e mi è venuta voglia di fare due tiri» sospirò Camille. «Niente paura ecco qui» e Fabrizio le porse l’accendisigari elettrico. Accesasi una Vogue slim, Camille cominciò con noncuranza a far cadere la cenere sul tappetino poggiapiedi e arrivata all’ultima boccata emise un gridolino sbattendo le ciglia: «Ma guarda che sbadata, ti ho sporcato di cenere tutto il tappetino!» Appunto. Fortunatamente Fabrizio diede la risposta esatta e guadagnò in un colpo ben cento punti. «Niente paura bambolina. Nulla che non si possa risolvere con una passata d’aspirapolvere all’autolavaggio.» Almeno questo non aveva inchiodato nel mezzo di una rotonda per sbattere il tappetino prima che la cenere potesse lasciare segni o lo impregnasse di odore come quell’altro fanatico. Arrivati al locale Camille e Fabrizio si sedettero a un tavolino all’aperto che dava sul Corso principale anche se un po’ in disparte rispetto alla prima fila e quindi teoricamente più tranquillo e riservato. «Io prendo una coppa di gelato e tu?» chiese Fabrizio dando l’ordinazione al cameriere. «Penso che prenderò un tè freddo alla pesca» e non appena finì la frase Camille si sentì un’idiota anzi una perfetta sfigata. “Ma cosa vuoi che pensi di me adesso? Un tè freddo alla pesca può prenderlo sua nonna, certo non la donna che lo intriga. Mannaggia a me!” «Cosa c’è non ti senti bene?» indagò lui un po’ preoccupato. «Be’ sai in effetti oggi non sono al massimo della forma…» ecco il disastro adesso era completo. «Ma dai allora capiti a fagiolo, io me ne intendo di rimedi e cure diciamo alternative. Sai dal medico vado solo per farmi prescrivere esami e accertamenti ma poi cerco di evitare le medicine chimiche perché spesso curano un sintomo ma provocano un sacco di effetti collaterali anche peggiori.»


18 Fabrizio sembrava molto a suo agio e ferrato su questo argomento e come un fiume in piena cominciò a relazionare Camille sulle ultime analisi fatte e relativi risultati: colesterolo nella norma, trigliceridi stazionari, glicemia non pervenuta e urine color paglierino. Detto ciò per approfondire la conoscenza, medica più che biblica, Fabrizio presentò a Camille tutte le patologie dei parenti prossimi: madre con artrosi deformante, padre deceduto per enfisema, zio con grave disfunzione cardiaca, cugino in dialisi e meno male che era figlio unico. “Gesù, va be’ che va di moda il tipo Dr. House, ma questo supera l’enciclopedia medica Larousse!” imprecò tra sé Camille. Dopo più di un’ora Camille scalpitava, non sapeva se essere più annoiata o incazzata. Tutto il tempo perso per cercare di farsi carina e giocare bene le sue carte con lo stallone e ancora non era riuscita a capire se lui era interessato o meno. “Adesso ti sistemo io. Basta chiacchiere, si passa all’azione.” Detto fatto, Camille con noncuranza si sistemò la scollatura - ehi tutto bene là dentro? - e scavallò le gambe da una parte per poi riaccavallarle dall’altra molto lentamente gettando nel contempo un’occhiata di sottecchi al giovanotto seduto al suo fianco. «Ma dimmi un po’ hai fatto delle conoscenze interessanti via internet?» chiese all’improvviso Camille interrompendo a metà il racconto di Fabrizio sulla sua recente colonscopia. «Be’ sì direi, molte. Sai è un po’ come un catalogo, ti connetti, scegli le foto che trovi più carine, le contatti e ci esci. Ogni giorno una nuova. Addirittura una volta ho fatto due appuntamenti nella stessa sera: alle sette con una, simpatica ma non è successo niente e alle dieci con un’altra e lì è andata meglio. Di solito ho impegnate cinque sere alla settimana. D’altronde, come si dice, bisogna provare tutti i tipi di pastasciutta per decidere quale è la migliore.» Uaahhh adesso la spia rossa non solo lampeggiava ma si era innescata anche la sirena d’allarme: pronta alla fuga Camille o qui finisce a schifìo! Ma prima Camille voleva giocare ancora un po’ con questo Toro Scatenato che si pavoneggiava come un gatto del Colosseo. Forse era la sua proverbiale cocciutaggine o la curiosità di stare a vedere come sarebbero andate a finire le cose, sta di fatto che gli rispose: «Certo che per voi uomini scegliere deve essere facile: immagino che siano tutte carine quelle che si mettono in vetrina su internet. Per noi donne è molto diverso: certo anche per noi l’aspetto fisico è importante ma noi di solito guardiamo anche ad altre cose in un uomo che non si capiscono da una foto» e si interruppe pensando:


19 “Basta così Camille non approfondire il discorso tanto qui Mr. Neurone non capirebbe.” «La maggior parte sì, sono carine ma nella media. Non ti credere, niente modelle o roba del genere. Poi va a fortuna. Io sono stato abbastanza fortunato mi sono sempre capitate più che carine e anche tu lo sei. Sai, ho addirittura incontrato la mia ultima fidanzata in questo modo e siamo rimasti insieme due anni. Guarda» e così dicendo le porse il cellulare di ultima generazione con un sorriso molto orgoglioso e sicuro di sé «ho qui alcune foto di amiche. Te le faccio vedere.» Il primo impulso di Camille fu quello di mandarlo al diavolo neanche tanto elegantemente, ma poi la curiosità ebbe il sopravvento e chinò la testa sul piccolo display illuminato. «Vedi, questa è una filippina piccola ma sexy. Questa è una ragazza toscana di quarantasette anni ma con un bel fondoschiena, siamo ancora in contatto. Lei invece è di Chiavari ed è pazza di me, quando ci sentiamo mi chiama amore. Lei è russa di Mosca ed è una direttrice amministrativa, è pronta a fare tremila chilometri per venire a trovarmi. E questa è una brasiliana, hostess di volo» commentò le foto Fabrizio. “Ok bello mi hai fatto vedere i tuoi trofei. Ma quando mi chiedi di venire a vedere la tua collezione di farfalle?” si irritò dentro di sé Camille che comunque mantenne la calma e con finta ingenuità cinguettò: «Ma come fai a essere sicuro che queste ragazze di paesi così lontani siano in realtà quello che dicono di essere? Voglio dire, ci sono molte agenzie che cercano di piazzare ragazze in Italia e chi ti dice che dietro a queste non ci sia qualcosa del genere?» «No dai, me ne sarei accorto certamente, io!» ribattè Fabrizio «e poi quando chattiamo con la web lo vedo che sono a casa loro e non in un’agenzia!» «Oddio povero neurone così solo dentro a quella bella scatola cranica!» concluse tra sé Camille. Si era fatta mezzanotte e considerando che la situazione non sembrava evolvere su argomenti romantici, Camille decise che era ora di alzare le tende e propose di avviarsi verso il parcheggio. Qui arrivati Fabrizio che le aveva camminato al fianco senza neanche tentare di cingerle la vita - che sfrontato ma chi pensava di essere per non piegarsi al suo fascino! - la colse di sorpresa prendendola tra le braccia e baciandola appassionatamente. Fu un bacio lungo e profondo, che non scatenò caleidoscopi di luci e colori, ma che diede comunque un brivido a Camille. Per baciare baciava da Dio, niente da dire.


20 «Sai, è solo baciando che capisco se c’è feeling con una donna. Ho conosciuto donne bellissime, modelle che ho baciato ma non ho provato nulla. Con te invece è successo. Mi fai sesso Camille» le sussurrò a voce bassa. “Che tipo sperimentale! La conoscenza che passa attraverso i sensi direbbe un certo filosofo” sorrise tra sé Camille “però poco importa. Mi piace!” e gli disse: «Anche per me è lo stesso però per stasera direi che può bastare. Se ci va possiamo rivederci.» «Ok allora ti chiamo io» rispose soddisfatto Fabrizio e la riaccompagnò a casa. Passarono un paio di giorni in cui Fabrizio si fece sentire tramite SMS e poi la chiamò per fissare un nuovo appuntamento per il sabato successivo. Questa volta avrebbero cenato a casa di lui che le aveva proposto di cucinarle del sushi, la sua specialità a suo dire. Anche questa volta Camille scelse con gran cura l’abbigliamento adatto alla serata facendo particolare attenzione alle scarpe, il suo punto di forza considerando che in effetti aveva davvero un piedino di fata. Indossò dei sandali gioiello vertiginosi perché si era ricordata di avergli scritto in chat che il suo apprezzamento per un uomo si poteva giudicare dall’altezza dei tacchi: più alti erano questi più le piaceva il soggetto. L’appartamento di Fabrizio si rivelò il tipico appartamento da scapolo, non troppi mobili, qualche gingillo un po’ kitsch tipo il calumet finto indiano sulla parete in salotto, ma estremamente pulito. Si perché Fabrizio era un maniaco della pulizia, ogni giorno cambiava le lenzuola e gli asciugamani in bagno, lavava e spazzava tutte le stanze. Un particolare che Camille apprezzò molto così come il suo amore per l’ordine. La cena fu piacevole e il sushi si rivelò sorprendentemente gustoso. Si accomodarono sul divano e Fabrizio le parlò un po’ del suo lavoro. Si occupava di comprare e vendere azioni in borsa, ma non era un agente vero e proprio. Piuttosto operava privatamente o al massimo per qualche amico e per questo trascorreva ore e ore sempre collegato davanti al PC. Anzi davanti a due PC: uno per lavoro e l’altro per divertimento, cioè la chat. «Ecco perché hai conosciuto tante donne!» esclamò Camille «io con il mio lavoro posso passare solo poche ore in chat e comunque la sera, non certamente durante le ore di ufficio. Figurati il capo sbraita se sente suonare un cellulare, mi mangerebbe viva se mi beccasse a chattare!»


21 «Capisco. A proposito sai quella ragazza russa di cui ti avevo fatto vedere la foto? Ci siamo sentiti è mi ha detto che verrà a trovarmi tra un paio di settimane!» «Come sarebbe a dire che viene a trovarti? Viene a stare qui da te?» reagì Camille. «Be’, sì, avevo pensato di ospitarla. Dopotutto non saprebbe dove andare a stare» disse lui «non sarai mica gelosa? Comunque l’avevo conosciuta in chat prima di incontrare te e quindi non potevo dirle di no» sorrise sornione Fabrizio. “Come no, potevi benissimo scaricarla” pensò furiosa Camille “ma non mi lascerò fregare da questa slava che pensa di aver trovato quello con cui sistemarsi.” «No certo» ribattè Camille «sei troppo generoso e ospitale per fare una cosa simile. Però non so il perché ma questa mi sta già sulle palle senza conoscerla» concluse ridendo. Fabrizio si bevve quei complimenti senza comprenderne la strategia, e lei cocciutamente rincarò la dose finché lo ebbe completamente in sua balia. Dai complimenti passarono alle coccole e ai baci e qui Fabrizio cominciò a chiedere di più. «Ho voglia di te. Dai, andiamo in camera da letto così stiamo più comodi» propose lui riuscendo a malapena a controllarsi. «Aspetta un momento caro. Per stare tranquilli, guarda che io lo faccio solo con le dovute precauzioni» «Peccato io no. Un po’ perché mi piace il contatto e poi perché se me lo metto si ammoscia» si adombrò lui “Oddio e adesso che faccio?” si chiese Camille non sapendo come uscirne. «Mi spiace ma così non me la sento proprio. Scusami» gli disse. «Se ti faccio vedere le analisi del test sull’AIDS che ho fatto sei più sicura?» le chiese lui all’improvviso. «Be’, si forse» titubò Camille. «Va be’, adesso le cerco» e detto fatto, così com’era, Fabrizio cominciò a frugare nei cassetti del comodino accanto al letto. Era tutto così surreale che Camille non sapeva se ridere o prendersela con sé stessa per essersi messa in quel pasticcio e alla fine fu quasi sollevata quando Fabrizio la informò che stranamente non si trovavano più le analisi. Ormai la serata era andata storta e Camille si fece riaccompagnare a casa. Pensava che non lo avrebbe più rivisto, anche perché lei era prossi-


22 ma alla partenza per il mare e sarebbero comunque trascorse tre settimane in cui tutto sarebbe potuto succedere. Il giorno prima della partenza lui la chiamò augurandole buone vacanze e si dimostrò molto carino. Si sentirono di frequente mentre lei era via e in quelle occasioni lui le parlava della sua vita di tutti i giorni come se tra di loro ci fosse un rapporto consolidato, e la cosa le aveva fatto piacere. Solo una volta lei gli chiese ridendo se nel frattempo avesse conosciuto altre donne in chat e lui aveva risposto evasivo dicendo che ne aveva incontrata una che però non si era rivelata il suo tipo ideale. Della russa invece si erano perse le tracce. E anche questo l’aveva tranquillizzata. Al suo rientro lui le aveva detto che gli era mancata e che desiderava vederla e quella volta era successo. Perché anche lei lo voleva e perché quell’uomo apparentemente così sicuro di sé le faceva tenerezza. O forse perché desiderava essere quella che avrebbe interrotto la sua catena infinita di incontri e tentativi fallimentari. Per un paio di mesi tutto filò liscio a parte un piccolo incidente di percorso o meglio un mancato percorso da parte di Camille. Camille non poteva certo definirsi una guidatrice provetta, anzi era il tipo che riusciva a perdersi dietro casa se non era una strada nota nei suoi percorsi abituali. Men che meno quando si trattava di guidare di notte e ciò nonostante non aveva mai voluto comprarsi un Navigatore per il quale provava un’avversione viscerale: non riusciva a capire perché quella maledetta voce si ostinava a confonderla dicendole di girare a destra o a sinistra dieci minuti prima dell’esatto punto in cui avrebbe dovuto farlo. E di conseguenza si ritrovava ad aver svoltato nella strada sbagliata con quella voce irritante che le ripeteva di continuo «ricalcolo il percorso.» Quella volta Fabrizio le aveva chiesto di andare a casa sua dicendo che l’avrebbe aspettata all’uscita dello svincolo della tangenziale e lei, pur di non dirgli di no, aveva accettato con la morte nel cuore. Si era messa al volante alle sette calcolando che con i suoi tempi di percorrenza sarebbe arrivata circa tre quarti d’ora prima che facesse buio. Aveva messo sul sedile accanto al suo il TuttoCittà che aveva praticamente studiato a memoria ed era partita. Purtroppo qualcosa era andato storto e aveva mancato l’ingresso della tangenziale ritrovandosi per ben due volte al punto di partenza. Presa dal panico aveva chiamato Fabrizio al cellulare. «Ma dove sei adesso? Almeno mi sai dire dove sei?» le aveva chiesto lui.


23 «Non lo so e se lo sapessi non sarei qui a telefonarti» aveva risposto lei sull’orlo di una crisi isterica. «Avevo preso la tangenziale, o almeno lo pensavo, ma poi è finita e sono arrivata a un casello. Lì sono scesa dall’auto e ho chiesto al casellante se da là potevo arrivare a Milano Certosa e lui mi ha guardata e mi ha detto: “no di certo, qui va per Venezia” e io sono entrata in panico» disse con il pianto nella voce. «Ma come la tangenziale è finita? Cosa stai dicendo! Stai ferma lì che vengo a prenderti. Non ti muovere hai capito?» ringhiò lui. «Non posso! Mi devo muovere. C’è un tipo grande e grosso su un TIR che vuole passare a tutti i costi e io sto davanti a lui al casello» gemette Camille. «Ok allora paga ‘sto casello ed esci. Ce la fai ad arrivare fino al PastaRito che ti avevo indicato l’altra volta? È quello prima di entrare in Tangenziale» chiese lui al limite della pazienza. «Ci provo» chiuse lei. Ma anche qui qualcosa andò storto e anziché al PastaRito si ritrovò davanti a un famoso centro di vendite all’ingrosso. «Oddio Fabri. Sto finendo il credito e mi sa che mi sono persa di nuovo!» lo richiamò Camille piangendo. «Basta, spegni quella dannata auto e fermati ovunque tu sia! Tra un quarto d’ora sono lì» e sbattè giù. Quando Fabrizio arrivò Camille non aveva il coraggio di guardarlo in faccia da quanto si sentiva in imbarazzo, ma lui la calmò e passandole una mano tra i capelli le disse «Vieni qui faccia da Piripicchio. Guarda che questa ti costerà parecchio!» e quella notte infatti Camille dovette fare gli straordinari. Camille comunque era sempre dubbiosa circa le reali intenzioni di Fabrizio e se la testardaggine la spingeva ad andare avanti, dall’altra parte intuiva che la spia d’allarme era entrata momentaneamente in stand-by, ma non si era spenta del tutto. Tutto precipitò quando un giorno Fabrizio le chiese se si sarebbero visti l’indomani sera, un venerdì, ma Camille aveva già preso un impegno e dovette declinare. «Be’, allora facciamo sabato sera» disse frettolosamente Fabrizio «vorrà dire che per domani vedrò di organizzarmi diversamente.» Camille si aspettava almeno un “mi dispiace” e la cosa la lasciò indispettita. Quando si videro sabato sera andarono a cena in un ristorante cinese e già l’odore di fritto che esalava da ogni suppellettile - persino la carta


24 igienica in bagno sembrava impregnata di essenza di “pollo flitto con anacaldi” - la mise di cattivo umore. Giunti a casa di Fabrizio si misero a giocherellare un po’ con la playstation e poi finirono a fare sesso. Quella volta lui fu preso da una voglia irrefrenabile di farlo in cucina e fin qui niente di strano. Il bello fu quando lui s’infilò un grembiule da cuoco e le si avvicinò biascicando “adesso ti cucino io per bene, pollastrella” e poi inavvertitamente appoggiò la mano sul fornello ancora caldo dove si erano preparati un caffè. Fabrizio urlò di dolore premendosi la mano ustionata. «Oddio ti fa molto male?» gli chiese Camille «hai qualcosa in casa per le scottature? O vuoi che ti accompagni al pronto soccorso?» «Niente pronto soccorso. Ne ho abbastanza» bofonchiò Fabrizio tra un gemito e l’altro. «In che senso ne hai abbastanza?» s’informò Camille. «Ieri sera ci ho accompagnato un’amica che si era sentita male» tagliò corto lui. «Sentita male? Dove?» indagò Camille. «Qui da me. Sai stavamo…» e Fabrizio non finì la frase. «Stavate cosa?» incalzò Camille. «Ma sì, eravamo a letto e lei ha detto che le girava la testa. Forse ho un po’ esagerato con la prestazione» ridacchiò Fabrizio. «Cosa? Merde!» urlò lei furibonda. «Be’, dopotutto tu avevi un impegno e io non potevo mica buttare via una serata. Così ho chiamato Anna, un’amica della chat, e l’ho invitata a mangiare qualcosa insieme. Ci siamo preparati una frittata e poi una cosa tira l’altra» non cercò nemmeno di giustificarsi Fabrizio. «E così tu la sera prima vai con una donna e quella dopo con un’altra? Dimmi un po’ ma in quante siamo nel tuo harem al momento?» continuò inviperita Camille. «Oltre a te e Anna ce n’è un paio, ma queste sono in prova» annunciò con orgoglio Fabrizio. «Ma che stress che siete voi donne!» sentenziò poi «prima accettate tutto pur di avere un uomo e dopo vi affezionate e volete essere le uniche.» «Guarda che se hai deciso di darti al sesso a rotazione e senza rete sono affari tuoi. Non mi interessa giudicarti. Ma qui stai mettendo a rischio anche la vita degli altri. E questo non te lo permetto. Sei stato un vigliacco! Avresti dovuto spiegarmi la situazione e lasciare scegliere a me se fare o meno sesso con te» gli urlò in faccia Camille.


25 «Ma tu lo sapevi benissimo che io stavo cercando la mia donna ideale. E tu per un certo verso non lo sei perché ho sempre avuto fidanzate molto alte. Però è anche vero che sei molto carina e hai un fondoschiena veramente sexy» le disse girandole intorno per ammirare meglio l’oggetto del desiderio. «Come facevo a resistere? D’altronde che colpa ne ho se piaccio alle donne. Sono o non sono Toro Scatenato come mi chiami tu?» chiese serafico Fabrizio. «Mi hai usata nella maniera più vile e mi hai fatto sentire come una mucca alla fiera del bestiame. Altro che Toro Scatenato, cazzo! Tu sei solo un gran porco e un incosciente, anzi un criminale per aver messo a repentaglio la vita di altre persone. Ma tu non te ne rendi neanche conto. Se non te ne frega niente di vivere non hai però nessun diritto di rovinare la vita degli altri. Soprattutto di chi ti è stato vicino anche con il cuore» e infilandosi al volo i vestiti Camille uscì sbattendo la porta. Scese di corsa le scale e arrivata nell’atrio si fermò di colpo, diede uno sguardo ai piedi intorno ai quali erano legati un paio di sandali con fasce di vernice luccicanti e un sorriso amaro le si disegnò sulla bocca. «Radio Taxi? Si grazie Via Malerba 33. Bene l’aspetto» e chiuse la conversazione. Due mesi dopo circa Camille ricevette un SMS da Fabrizio «Fatte analisi. Tutto OK. Harem sciolto. Quando ti va c’è sempre un caffè pronto per te.» Camille scoppiò in una sonora risata liberatoria. Dopotutto non aveva mai bevuto caffè in vita sua.


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CAPITOLO 3 SPOSATISSIMO

Si erano conosciuti sei mesi prima ed era stato un colpo di fulmine. Almeno per lei lo era stato di sicuro. Quegli occhi color del cielo e quel sorriso un po’ triste avevano affascinato Erika prendendola a tal punto che non era riuscita a pensare ad altro per giorni nonostante un lavoro impegnativo come interprete che le lasciava ben pochi spazi liberi. Ma per fortuna era successo e si erano ritrovati in quel mare immenso di volti, visite e sbandate in cui era semplicissimo perdere un contatto appena stabilito. Roberto era stato chiaro fin dall’inizio: era sposato e non cercava altri legami. Erika aveva accettato la sua condizione, pur nutrendo la speranza che un giorno le cose sarebbero potute cambiare. Dopotutto era una bella donna, intelligente, senza assilli economici e sapeva come intrigare un uomo. Poteva quindi giocare la sua mano convinta di avere avuto in sorte delle ottime carte. Dopo qualche mese la loro conoscenza virtuale si era trasformata in una relazione clandestina sempre sul filo del rasoio anche per via delle rigidissime limitazioni che Roberto le aveva imposto: nessuna telefonata e nessun SMS da lei, sarebbe stato lui a contattarla. Con nessun altro uomo si era mai fatta trattare in quel modo, ma Erika non si riconosceva più. Un giorno all’improvviso Roberto la chiamò: «Buongiorno. Disturbo?» esordì come sempre lui «Volevo proporti un viaggetto a Londra. Sai devo andarci per affari e mi farebbe piacere se tu venissi con me. Dai pensaci e casomai ci risentiamo.» Erika non se lo fece ripetere due volte e alla successiva telefonata confermò la sua disponibilità.


27 L’appuntamento era per le sette davanti al banco del check-in della compagnia di bandiera con cui Erika e Roberto avevano prenotato separatamente il loro volo. «Sono già le sette e dieci e non lo vedo. Ma dove diavolo si è cacciato?» brontolò Erika che da un quarto d’ora stazionava con il suo trolley davanti al check-in. Un istante dopo le squillò il cellulare. «Ehi ma dove sei finita?» chiese Roberto. «Come dove sono finita?» Erika si stava già inalberando ma alzato lo sguardo cambiò subito tono «eccomi tra due minuti sono lì.» Si era infatti accorta di essersi fermata davanti al banco della compagnia aerea sbagliata. “Idiota” si disse; ridendo e correndo come una matta lungo l’interminabile corridoio arrivò trafelata nel punto in cui Roberto era già in coda. «Eccoti finalmente. Mi sa che qui hanno un problema con i computers. Infatti ci chiedono di spostarci a un altro sportello» le spiegò lui. “Ciao cara come stai? Ma come sei carina con quei jeans! Lo sai che vestita così sembri proprio una ragazzina” Erika stava dicendosi le cose che avrebbe voluto sentire da Robi, ma che lui non le avrebbe mai detto. Robi era fatto così, freddo e spigoloso, nessuna concessione alle carinerie, che lui definiva smancerie. Prendere o lasciare. Si misero in coda, ma i problemi tecnologici avevano rallentato le operazioni e a un certo punto sentirono i loro nomi chiamati all’altoparlante con l’invito di presentarsi al più presto al gate di imbarco. «Ecco ci mancava solo l’annuncio in mondovisione» commentò Robi inacidito. «Di cosa hai paura? Sei qui in incognito, non temere 007, nessuno riuscirà a smascherare la tua copertura!» ridacchiò Erika. Saliti sul pulmino che li avrebbe portati alla scaletta dell’aeromobile, Robi le disse: «Ah, prima della partenza volevo dirti che sulla rotta per Londra ci sono spesso dei vuoti d’aria. Quindi non spaventarti quando succederà.» «Grazie davvero, adesso sono molto più tranquilla!» ironizzò Erika dandogli un buffetto sulla guancia. Saliti a bordo andarono a occupare i loro posti; Erika si trovò tra due businessmen in completo gessato blu e Robi si sedette nella fila dietro di lei. Il volo si svolse senza nessun avvenimento degno di nota, a parte i famigerati vuoti d’aria che in un paio di occasioni costrinsero l’hostess


28 ad aggrapparsi alle tendine che separavano la classe economy dalla business per non travolgere i passeggeri. Con un atterraggio perfetto il velivolo scivolò sulla pista fermandosi accanto al terminal attraverso il quale i passeggeri entrarono ordinatamente nelle sale di arrivo dell’aeroporto di London City. Giunti alle postazioni dei metal detectors Erika venne rapidamente fatta passare da un’agente della sicurezza aeroportuale, mentre Robi fu fermato da un colosso nero che cominciò a tastarlo su e giù poiché il detector aveva lanciato un segnale d’allarme. «One moment Sir, please. Could you take your belt off?» gli domandò l’agente. «Accidenti a questi aggeggi» s’innervosì Robi togliendo la cintura. «Not enough. Could you please take your shoes off too?» proseguì come di prassi l’altro. «Sì, e adesso cosa vuoi che mi tolga?» mugugnava Robi in calzini mentre l’omone in divisa lo faceva girare su se stesso come una trottola. Erika non riusciva a trattenere il riso e per evitare di farlo arrabbiare ancora di più distolse lo sguardo dall’altra parte. Era la prima volta che vedeva Robi in una situazione imbarazzante e certamente non era riuscito a venirne fuori con classe o almeno col sorriso. Si recarono poi al bancone della Hertz dove Robi aveva preso un’auto a noleggio e anche qui trovò da ridire del servizio. «Ecco avevo fatto prenotare anche il navigatore. Vuoi vedere che non ce l’hanno?» esordì forse ancora arrabbiato per l’incidente di poco prima. «Sì infatti. Dobbiamo aspettare altri dieci minuti. Ma siete sicuri che funziona? L’altra volta me ne avete dato uno che non si accendeva neppure» continuò a lamentarsi. Erika non vedeva l’ora di andarsene da lì anche perché si era riunito un capannello di persone attirate dai toni esagitati di Roberto. “Bene dobbiamo sempre farci riconoscere noi italiani! E poi ci lamentiamo della fama che abbiamo all’estero” pensò tra sé e scosse i lunghi ricci voltando la testa dall’altra parte. Il gesto non passò inosservato e un uomo in coda la guardò con un sorriso di apprezzamento. Erika si sentì come se si fosse presa una piccola rivincita. L’auto era una media cilindrata a cinque porte della Volkswagen e non appena saliti Robi cominciò a smanettare con il navigatore. Tutto sembrò filare liscio fino a quando il marchingegno ammutolì e non volle saperne di riprendere il suo noioso monologo in nessuna delle lingue a disposizione, cinese mandarino incluso.


29 Con una brusca manovra Roberto accostò al marciapiede e fermandosi chiese a Erika: «Senti qui dobbiamo risolvere il problema o siamo nei guai, per cui concentrati e dammi una mano.» «Ok cosa devo fare?» rispose lei molto collaborativa. «Be’, prova a impostare di nuovo la lingua e a cercare di capire se per caso non è inserita la modalità muto.» Erano lì da nemmeno cinque minuti, quando Robi vide nello specchietto un vigile avvicinarsi e si rese conto di essersi fermato nello spazio riservato agli autobus. Con un gesto di scusa con la mano innestò la marcia e si spostò velocemente «Ci manca solo una multa, magari con tanto di generalità del conducente e del passeggero…» sibilò a denti stretti Roberto. Un’altra fitta al cuore. Erika non sopportava più di sentirsi una minaccia costante, una mina vagante. Di lì a poco arrivarono al Novotel nell’East End della metropoli dove furono accolti con cordialità alla reception anche grazie all’inglese fluente con cui Erika sbrigò le formalità di registrazione. «Hai visto?» si rivolse con ironia a Robi «tutto bene. Non hanno neanche voluto le mie generalità dato che la prenotazione era fatta a tuo nome. Qualsiasi cosa dovesse succedere non avrai nessun problema; io qui non esisto.» Saliti in camera nell’ala non fumatori Robi non le diede nemmeno il tempo di sistemare le sue cose e spogliandola la sospinse sul letto e cominciò a baciarla con passione. I suoi baci si facevano sempre più infuocati e mentre accarezzava la sua nuca Erika chiuse gli occhi e le sembrò di non poter desiderare nient’altro. Stringendola a sé Robi le disse «Mi dispiace, c’è una brutta notizia.» «Cosa?» chiese Erika allarmata. «Dobbiamo partire subito o non arriveremo in tempo all’appuntamento. Ho già sentito il cliente e gli ho chiesto se era disponibile a spostarlo alle tre. Meno male che non ha fatto storie. Ma adesso dobbiamo proprio andare.» Si staccarono con un lungo bacio ed Erika si rivestì e riassettò in fretta, raccolse la borsa a tracolla e confermò allegramente: «Prontissima.» Il viaggio si rivelò più lungo di quanto Roberto avesse previsto; il navigatore calcolò una distanza di quattrocentotrenta chilometri che impiegarono circa quattro ore a coprire percorrendo la M1, M18, A1M fino a Leeds e poi la A19 e la A66 fino a Stockton-on-Tees.


30 Roberto si dimostrò un ottimo pilota, sicuro e veloce nonostante le difficoltà della guida a sinistra, del traffico autostradale e degli improvvisi scrosci di pioggia tra cui ogni tanto faceva capolino un cielo azzurro terso che faceva scintillare la campagna circostante di un verde smeraldo. Fu un viaggio che Erika non avrebbe dimenticato mai più. Anzi, che avrebbe voluto non finisse mai. Stava correndo, al fianco dell’uomo che desiderava così intensamente potesse essere il suo, verso una meta sconosciuta tra arcobaleni improvvisi e cavalli dai manti luccicanti che galoppavano ai bordi della strada. Si tutto magico se non fosse stato per un piccolo particolare fisiologico. Era dalle cinque della mattina che Erika non faceva visita a una toilette e ora la situazione era critica. « Cosa dici» chiese a Roberto «pensi che ci sia il tempo per una breve sosta?» «No, anzi devo aumentare la velocità o non arriveremo in orario. C’è qualcosa che non va? Stai male?» le domandò lui. «No ma devo andare in bagno e poi non ho neanche pranzato» si lamentò Erika. «Dopo dopo. Su resisti. Prima il dovere e poi il piacere» ridacchiò Robi accarezzandole un ginocchio. «Va be’, spero di farcela o nella peggiore delle ipotesi bisognerà portare a lavare l’auto prima di riconsegnarla» ipotizzò Erika che cercava di non pensarci per non peggiorare le cose. L’azienda che Roberto doveva visitare si trovava in un’area industriale piena di verde e mentre lui si intratteneva col cliente, Erika cominciò a gironzolare per prati e boschetti e ben presto scoprì alcuni cavalli, un cerbiatto e una coppia di scoiattoli che le tennero compagnia fino al suo ritorno. «Adesso però non ce la faccio più. Ho bisogno di un bagno!» esordì Erika non appena Robi salì in auto. «Ok adesso cerco un distributore. Devo anche fare il pieno» acconsentì lui. Decisero quindi di fare una sosta a York sulla strada per Londra e di cenare lì. Se il viaggio di andata fu bello, quello di ritorno fu spettacolare agli occhi di Erika. Lasciarono la motorway e presero strade secondarie che li portarono nel cuore della campagna dello Yorkshire; distese infinite di verde, piccole fattorie isolate, paesini con le tipiche casette da cartolina, mancavano solo fate ed elfi.


31 York si rivelò un vero gioiello con le sue mura, le torri e l’imponente cattedrale che svettava con le sue guglie nel cielo arrossato del tramonto. In una delle strette vie medievali che si irradiavano dalla cattedrale trovarono un negozietto di souvenirs ed Erika decise di entrare a dare un’occhiata. Carica di piccole ceramiche e oggettini per gli amici, Erika si avvicinò alla cassa e Roberto ridendo le disse: «Non ti posso lasciare sola un momento che ti trovo a fare shopping.» «E tu invece?» domandò Erika «non prendi niente per la tua bimba?» e si stupì nel sentire la sua voce pronunciare quella frase. «Sì, certo, le porto sempre qualcosa quando viaggio. Ma ha talmente tanti giocattoli che non saprei cosa comprarle. Magari avevo visto in quel negozio dove sei entrata un timbro in legno con le sue iniziali. A lei piace disegnare.» «Be’, allora cosa aspetti? Dai torniamo indietro e speriamo non abbiano già chiuso» ed Erika lo prese per un braccio. Robi le lasciò la scelta del locale in cui cenare: l’opzione era tra un fish & chips e un pub ed Erika che aveva voglia di un buon piatto di carne scelse quest’ultimo. Il pub «The Hole in the Wall» era un tipico locale di ritrovo inglese: un po’ buio all’interno con arredi solidi in legno consumati dall’usura e avventori abituali seduti davanti a enormi pinte di birra scura. Erika si deliziò con un enorme lamb chop e una mezza pinta di bitter e Roberto con una porzione abbondante di stuffed pork loin con patate. Il viaggio di rientro a Londra li vide di nuovo correre lungo le motorways nel crepuscolo che gettava lunghe ombre sulle rare abitazioni e sui monumenti megalitici scagliati da mani gigantesche in mezzo alla brughiera. Per tutto il tempo Roberto raccontò a Erika del periodo in cui, poco più che ventenne, aveva vissuto a Londra quando lavorava per un’importante società petrolifera, delle serate trascorse al Trocadero e nelle discoteche più in voga della città, dell’amore con una bellissima ragazza figlia di un ricco finanziere ebreo, della festa nella casa-castello dei genitori di lei e del viaggio in moto con cui se l’era portata in Italia. Erika non sapeva se rallegrarsi del fatto che Robi si stesse aprendo così con lei o se sentirsi rattristata da un passato di cui non faceva parte, ben sapendo che non avrebbe potuto essere parte neppure del suo presente e del suo futuro.


32 «Ma perché non l’hai sposata? Non le volevi bene?» chiese a un certo punto Erika «adesso avresti potuto essere un Lord di campagna con tanto di tenuta e cavalli» cercò di scherzare lei. «Sì era bella e stavo bene con lei. Ma non avrebbe funzionato. Troppo diversi. Lei era troppo alternativa. Per funzionare le cose ci devono essere dei valori in comune. Poi si sa, mogli e buoi dei paesi tuoi» concluse Robi. «E poi mi piacerebbe trasferirmi in un paesino inglese quando sarò in pensione. Sì, mi piacerebbe che mia figlia studiasse presso un college qui. Come aveva fatto a suo tempo mia sorella. Ecco vedi, verrò a vivere in una casetta come quella con i miei figli» continuò Robi riprendendo il filo del discorso. Ed Erika si sentì un’intrusa tra i suoi pensieri più segreti dove non c’era spazio per lei. Londra li accolse verso mezzanotte nelle tenebre spezzate da migliaia di luci che si accavallavano e rincorrevano frenetiche e incessanti, come un porto si schiude all’improvviso alla vista confusa di navigatori che non riescono più a distinguere l’oscurità del cielo da quella delle acque. Entrati in camera Erika si fece una doccia e si cambiò per andare a letto. Era veramente distrutta. Ma prima cercò di inserire la sveglia sul cellulare perché Robi le aveva già anticipato che l’indomani mattina sarebbero dovuti partire alle otto. Mentre era sdraiata sul letto Robi la cinse da dietro e la rimproverò: «Ma da quando si va a letto con la maglietta?» e premette il suo corpo nudo contro quello di lei che si stava già piegando dolcemente a quel contatto. Fecero l’amore, anzi come Robi teneva a precisare, lei fece l’amore, per lui fu sesso. Robi si addormentò in fretta e pesantemente. Erika non riusciva a chiudere occhio, un po’ il letto nuovo, un po’ la scoperta della realtà, di quella realtà che finora non aveva volutamente riconosciuto. Durante la notte Erika ogni tanto si girava verso Robi e lo accarezzava dolcemente nella speranza che lui si svegliasse. Ma questo non accadde. L’indomani mattina fecero un’abbondante colazione all’inglese sulla terrazza panoramica a vetri che dava sulla Docklands, l’area portuale londinese, che negli ultimi decenni di ristrutturazioni e costruzioni aveva acquistato nuova vita e un suo fascino anche come polo artistico e turistico.


33 «Robi davvero devo venire anch’io oggi?» chiese titubante Erika «sai, mi sarebbe piaciuto girare un po’ per Londra. Sono passati tanti anni dall’ultima volta!» «Va bene anche se avrei voluto che venissi con me. Se vuoi puoi organizzarti la giornata» rispose Robi un po’ sorpreso. Risalirono in camera e quando Robi le chiese come lo trovava nel suo completo da uomo d’affari, Erika gli stampò un bacio sulle labbra dicendo: «Buongiorno!» «Ma come, non ci eravamo già salutati prima?» fece Robi scostandola da sé «su, dai che devo andare altrimenti va a finire che mi fai fare tardi. Stai attenta non andare nei posti affollati. Con questa storia dell’influenza suina… io penso di ritornare per le sei. Ci sentiamo» Quando Robi fu uscito, Erika decise che sarebbe andata a Greenwich con la DLR che poteva prendere a pochi passi dall’hotel. Il breve viaggio con la DLR fu sorprendentemente piacevole; la giornata era splendida e calda e correndo in superficie il treno le offriva delle vedute spettacolari della zona East di Londra, con i suoi palazzi e grattacieli che potevano ricordare lo skyline newyorkese. Dopo una capatina di rito all’imponente centro commerciale di Canary Wharf e ai suoi negozi più trendy, Erika fece uno spuntino veloce e risalì sul DLR per concludere il tragitto a Greenwich. Passeggiando per i viali che si intersecavano lungo i palazzi neoclassici di questo borgo patrimonio dall’UNESCO, a Erika sembrava di essere stata catapultata in un’altra dimensione temporale e le pareva quasi strano non sentire il cigolare di ruote di carrozze e il frusciare dei lunghi abiti di signore eleganti con i loro parasole colorati. Fece una visita alla Queen’s House, al Royal Observatory e rimase incantata nella Painted Hall e Chapel dopodiché arrivò passeggiando al piazzale del Cutty Sark e di qui fino al Greenwich Pier. Girovagando senza meta si avvicinò al botteghino dove si vendevano i biglietti per le mini crociere sul Tamigi. “Sì, ecco, proprio una bella idea” pensò Erika. Lo spunto le era venuto dal racconto di Robi di quella mattina in cui le aveva descritto appunto una serata lungo il Tamigi offerta dall’azienda per cui lavorava con tanto di spettacolo di strip-tease finale. Tralasciando l’ultima parte, che l’aveva un po’ irritata, il racconto le aveva fatto venire voglia di una bella gita sul fiume. Acquistò un biglietto per la crociera fino a Westminster e salì a bordo con l’ardimento di un navigatore allo scoperta di nuove terre.


34 Naturalmente appena salita a bordo il tempo cominciò a guastarsi e si alzò un forte vento che la costrinse a indossare un giubbetto cerato con tanto di cappuccio dal quale sfuggivano indomabili i suoi ricci ramati. Ciò nonostante Erika riuscì a fare una lunga serie di scatti a tutti i monumenti e alle dimore più belle su entrambe le rive del Tamigi. La fotografia era la sua passione e agli occhi viola di Erika non sfuggiva mai un possibile soggetto da immortalare. “Sono proprio una Japanese!” sorrise tra sé mentre stava aggrappata a un sostegno del battello per cercare l’inquadratura migliore del London Eye. Arrivato a Westminster il battello attraccò e scesa sulla banchina Erika mandò un SMS a Robi «Ciao! Sono in viaggio sul Tamigi e se i pirati non mi rapiscono sarò di ritorno per le sei. Un bacio» Dopo qualche minuto il solito drin drin le annunciò la laconica risposta di Robi «Beata te. A dopo.» Si sarebbe aspettata o meglio avrebbe desiderato qualche parolina affettuosa, lì erano soli e non c’era pericolo che qualcuno li scoprisse. Invece niente. Neanche mentre passeggiavano per le stradine e i vicoli pieni di fiori di York il giorno prima, Robi si era lasciato andare un po’ con lei. Cosa avrebbe dato perché lui la prendesse per mano. Al contrario un paio di volte aveva intercettato il suo sguardo ammirato posarsi su alcune ragazze per strada e alla muta domanda che lei gli aveva rivolto, lui le aveva risposto: «Be’, anche l’occhio vuole la sua parte.» E lì Erika non aveva saputo resistere dal ribattere: «Ehi Mr. Ragazzino attento a non andare a sbattere!» e l’aveva mollato come un allocco sul marciapiedi passando oltre. Rientrata in hotel Erika aveva preparato un piano d’attacco. «Se la montagna non va a Maometto, Maometto andrà alla montagna» si era detta «forse sono stata troppo paziente. Adesso basta. Ci vuole un po’ di pepe per stanare la preda.» Si fece la doccia, si mise una crema per il corpo profumata, si truccò e si infilò un completino intimo molto sexy e raffinato che si era portata per l’occasione. Infine si stese sul letto in una posa sensuale e si rilassò aspettandolo. Dopo qualche minuto lui entrò e gettando la valigetta ventiquattrore sul letto le disse «Oddio che giornata da incubo. Ho perso la strada e l’altro cliente non c’era. Non ho neanche pranzato. Adesso mi faccio una doccia e poi usciamo. Ho voglia di mangiare indiano» A Erika cominciò a montare la rabbia.


35 “Ma come? Non mi guarda neanche?!? Eh si che ce n’è di roba da guardare!” ma rimase zitta. Quando Robi uscì dalla doccia trovò Erika vestita di tutto punto per una serata romantica; abitino nero scollato e corto il giusto con un paio di decolleté vertiginose. Presero un taxi visto che aveva cominciato a piovere e Robi scelse un ristorante indiano a Piccadilly. Non essendo un’amante della cucina indiana, Erika si fece consigliare da Roberto che invece sembrava molto a suo agio tra salse e salsine più o meno piccanti. Durante la cena parlarono di attualità e perfino di politica; Erika certo non era tipo da mollare sulle proprie idee anche se queste non coincidevano con quelle di Roberto. Ma a lei non importava, non desiderava essere presa per una stupida, un’ochetta senza cervello che accondiscende alle opinioni altrui. Dopo cena ripresero un taxi che li portò in hotel ed entrambi sorrisero alla battuta del taxista che li salutò con un «Keep dry guys!» Erika aveva voglia di fare l’amore e non vedeva l’ora di restare sola con Robi. Arrivati in camera Erika andò a prepararsi per la notte e quando uscì dal bagno lo trovò sul letto in pigiama che guardava la televisione. Si distese al suo fianco e senza nemmeno accorgersene rimase in silenzio a fissarlo. Traeva gioia semplicemente dal sapere che era lì e dall’osservare il suo volto. Lui stava zitto tutto concentrato sul notiziario. Erika allora timidamente chiese «Cosa c’è? Ho detto o fatto qualcosa che non va?» Improvvisamente Robi si girò verso di lei e la aggredì: «Sono dieci minuti che sento i tuoi occhi che mi fissano! Quando guardo il telegiornale non voglio essere disturbato da nessuno. Non permetto a nessuno di rompermi i coglioni; a nessuno eccetto mia figlia!» Erika era allibita e non riusciva nemmeno a proferire parola. Robi continuò: «Tra te e me non c’è niente e non ci sarà mai niente. Io non lascerò mai mia moglie. E anche se dovesse succedere, l’ho fatto una volta, il matrimonio, e non lo farò mai più. Qui stiamo facendo del male a qualcuno. Ma questa è una mia decisione» «Di quale decisione parli? Dici che non lascerai mai tua moglie e al tempo stesso che le stai facendo del male» domandò incredula Erika.


36 «Con lei non c’è più passione. Questo è un modo per trovare la carica per continuare un rapporto che comunque non interromperò mai. Avrei solo alimenti da pagare e non vedrei più mia figlia tutti i giorni. Per questo prendo le occasioni che mi capitano» spiegò freddamente Robi. «Ma io pensavo» riuscì a dire Erika con un filo di voce «che venendo con te avremmo almeno avuto del tempo per stare insieme.» «Ho tante cose a cui pensare, i clienti, le cose da dire, è una lotta dura. Non mi devi stare addosso. Anche mia moglie sa che non mi deve disturbare quando lavoro!» reagì Roberto. «Perché mi hai chiesto di venire con te allora?» domandò sconvolta Erika «non capisco più niente. Io non ti ho mai parlato di matrimonio né ho mai interferito nella tua vita chiedendoti di cambiarla per me. E qui l’unica che si sta facendo del male sono io.» «Forse non è stata una buona idea» proseguì lui «e adesso mi alzo, non perché ce l’ho con te ma perché devo andare in bagno.» Se non fosse stato così doloroso Erika avrebbe riso a quella scenata surreale e patetica. Ma non ce la faceva, era come se avesse preso una pugnalata e per soffocare il pianto affondò la testa nel cuscino dicendo tra sé: “Non adesso no. Non devi piangere e dargli questa soddisfazione. Bastardo! E adesso che faccio?” La scelta era tra scendere alla reception e chiedere un’altra stanza oppure dormire lì e andarsene la mattina successiva. Era talmente sconvolta che non riusciva a muoversi. Quando riuscì a farlo si alzò per andare a lavarsi il viso. Tornata a letto si girò dalla sua parte senza più muoversi. Il telegiornale finì e spento il televisore Roberto le si avvicinò da dietro strofinando le gambe contro le sue e per tutta risposta ricevette un gran calcio da Erika. Fu un movimento del tutto involontario, ma a volte l’inconscio ha tempi di reazione di gran lunga inferiori di quelli delle sinapsi neurali. Erano le otto quando Erika aprì gli occhi e lo vide in piedi davanti al letto con il pigiama a pantaloni corti che le diceva: «Buongiorno.» Si vestirono senza dirsi una parola e scesero a fare colazione. Il programma prevedeva un’ultima visita a clienti e poi il rientro a Londra per prendere il volo delle cinque e dieci per Milano. Se Erika avesse deciso di mollare lì Roberto avrebbe dovuto passare una giornata intera in aeroporto. E non le andava. FINE ANTEPRIMA CONTINUA...


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Da APRILE 2011 su www.jukebook.it



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