The Chronicles of La Belle, Alessandro Cadoni

Page 1


In uscita il (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine OXJOLR H LQL]LR DJRVWR ( ,99 euro)

AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


ALESSANDRO CADONI

THE CHRONICLES OF LA BELLE L’INVOLUZIONE DELLA SPECIE

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/

THE CHRONICLES OF LA BELLE Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-484-7 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Luglio 2021


Ringrazio chi c’è stato nei momenti difficili, ma soprattutto chi non c’è stato! Perché mi ha dato uno dei tanti insegnamenti della vita che per quanto sia dura non sempre si può contare su chi pensi che ci sarà sempre, a volte ti viene tesa una mano da chi proprio non ti aspetti.



5

NOTE DELL’AUTORE

Se non ci fossero input, se non ci fossero stimoli, se non ci fossero emozioni la vita potrebbe essere piatta o addirittura inutile, ma certe volte ci sono anche troppi stimoli, troppi pensieri che ci stravolgono ed emozioni che talvolta possono essere tradotte in un modo inaspettato. La vita è strana e a volte un avvenimento fortuito, all’apparenza di poco conto, può addirittura cambiarne il corso. Chi sono? A parte dirvi il mio nome non saprei, ma posso dirvi chi o meglio cosa non sono. Come in passato non sono stato un cantante, ma con il Rap avevo trovato il modo di gridare al mondo i miei pensieri e rendere tangibili le mie parole, oggi allo stesso modo non sono uno scrittore, ma sono una persona che scrive perché in questo modo rendo reali i miei sogni, i miei pensieri, le mie fantasie e le mie paure. Non sono un operaio, ma lo faccio da molti anni, lo faccio per vivere. Il mio lavoro è su turni e comporta sveglie mattutine alle 3:00 per intere settimane o altrettante notti in bianco, spesso si scherza su questi orari, perché magari ci sono tante cose da fare anche dopo aver fatto un turno di notte e allora ci si prende in giro con delle battute e poi si arriva a fare il turno successivo in condizioni disastrose perché si ha riposato poco o niente. Banalità! Sì, sono d’accordo, ma io dalla mia banale vita traggo ispirazione per le mie storie di cui voglio rendervi partecipi. Benvenuti in questo nuovo viaggio, il mio secondo romanzo. Buona lettura.


6


7

PROLOGO

Quando negli anni ’50 (2050 – 2059 D.C.) si scoprì che gli alieni abitavano il nostro pianeta da secoli, l’opinione pubblica ne fu sconvolta, ma i capi di stato cercarono di vederci un profitto, mentre chi si trovava al comando dei più grandi eserciti del pianeta o dei più importanti servizi segreti, vide ciò come un’arma che se non fosse stata nelle loro mani si sarebbe rivelata un problema o peggio una minaccia, visto che le invenzioni più innovative dal campo scientifico a quello tecnologico e ovviamente bellico, furono attribuite proprio agli alieni. La verità era che dopo il G.G.C. (the Great Genetic Control – il Grande Controllo Genetico), furono catalogati, in una grande banca dati mondiale, i D.N.A. di tutte le persone di provenienza extraterrestre, ma molte, anzi, la maggior parte di esse non sapevano neppure di esserlo, perché i loro avi l’avevano mantenuto segreto; come segreto era rimasto il posto da cui venivano e come erano arrivati sul nostro pianeta. Incominciarono a scatenarsi nuove differenze razziali, insieme al curriculum vitae la gente, per poter lavorare, doveva mostrare anche la certificazione del proprio D.N.A., ma al contrario di ciò che si potrebbe pensare, ad avvantaggiarsene furono proprio gli alieni che assumevano ruoli sempre più di prestigio per le loro supposte capacità intellettive superiori a quelle umane, mentre gli umani venivano sempre più ghettizzati ed emarginati ai lavori più umili e sottopagati. Gli attentati terroristici di stampo religioso e razziale aumentarono esponenzialmente, rendendo di fatto impossibile frequentare eventi culturali, sportivi e musicali, tanto che furono resi illegali in quasi tutto il pianeta; furono altresì resi illegali tutti i culti religiosi, ma questo avvenne nel 2087 quando in un incontro congiunto tra il Pontefice, l’Ayatollah, il Dalai Lama, il Patriarca ortodosso e il Rabbino Capo a Israele, un’esplosione pose fine alle loro vite innescando un’ondata di violenza incontrollabile.


8 Fino all’anno 2100 fu oscurato anche internet, il quale fino a quell’anno rimase in uso soltanto per scopi militari e scambio dati per le transazioni monetarie delle criptovalute. Nel tentativo disperato di accaparrarsi le migliori menti extraterrestri presenti sulla terra, gli stati innescarono una nuova guerra fredda che nel marzo del 2097 sfociò nella terza guerra mondiale, il conflitto durò tre anni, ma si svolse nel peggiore dei modi, dopo pochi mesi di bombardamenti in varie parti del pianeta, il conflitto si trasformò in una guerra batteriologica e virologica, visto che gli alieni non vollero allearsi con nessuno se non tra loro stessi, si cercò di sterminarli, ma gli alieni si rivelarono immuni a ogni tipo di malattia, batterio e virus esistente. In mezzo a quell’intruglio di virus sparsi nel pianeta, da molti chiamato”il brodo virale”, nacque il peggiore di tutti: il virus Apocalisse. Questo virus entrava nel sistema nervoso causando una regressione celebrale dell’ospite, fino a raggiungere uno stato mentale privato della ragione, che era completamente sostituita dall’istinto di uccidere. Partendo dall’ormai obsoleta teoria dell’evoluzione della specie di Charles Darwin che partiva dall’Homo Habilis, passava per l’Homo Erectus e arrivava fino all’Homo Sapiens, gli scienziati annunciarono il virus Apocalisse come il declino dell’evoluzione, ovvero una vera e propria involuzione della specie umana, chi si ammalava a causa di questo virus veniva detto Homo Zed (o Homo Z). Il virus Apocalisse decimò la popolazione umana dell’emisfero settentrionale, causando nuove divisioni politiche. Nonostante, durante il conflitto parve essere in vantaggio la Russia, un’alleanza tra Stati Uniti, Europa occidentale, Cina e Corea, fece arrivare un ultimo colpo di coda che costrinse la Russia alla resa. Tutti i paesi dell’emisfero settentrionale si unirono e diventarono l’U.S.N.H. (United States of the Northern Hemisphere - Stati Uniti dell’Emisfero Boreale), a dispetto del nome quelli che prima erano “stati” ora erano colonie dell’unione e facevano capo a Washington. Finalmente, ma soltanto dopo che il mondo fu ridotto in macerie, salì al governo il Movimento Popolare per la Difesa della Vita. Al di sotto dell’equatore, l’altra metà del pianeta diventò C.S.S.H (Confederate States of the Southern Hemisphere - Stati Confederati


9 dell’Emisfero Australe) con tre capitali congiunte Johannesburg in Sudafrica, Buenos Aires in Argentina e Canberra in Australia. Nel frattempo gli alieni si organizzarono politicamente e militarmente, formando l’Alleanza Aliena. Quando si scoprì che il virus Apocalisse non contagiava le persone a sud dell’Equatore ci fu un vero e proprio esodo, i profughi si riversavano a sud, erano centinaia di migliaia, tanto che il C.S.S.H., in accordo con l’Alleanza Aliena, innalzò mura di divisione lungo tutta la linea dell’Equatore, venne chiamata la Barriera, e controlli serrati via mare; una tecnologia aliena impediva il lancio in orbita di satelliti dell’U.S.N.H., il mondo era diviso in due.



11

CAPITOLO 1. IL RISVEGLIO

Francia, colonia dell’U.S.N.H. Una strana luce quasi mi accecava, volevo chiudere le palpebre, ma non ci riuscivo, poi buio. Ancora quella luce un’altra volta, dietro mi parve di scorgere il viso di qualcuno che sembrava parlarmi. Le voci erano ovattate, le parole erano indistinguibili, forse qualcuna riuscivo a percepirla, ma ora non ricordo. Strizzai gli occhi con forza, e riuscii a distinguere la piccola torcia in metallo satinato che quella mano continuava puntarmi negli occhi. «Mi senti?» diceva quella voce. «Riesci a capire ciò che sto dicendo?» La persona che parlava era un uomo con i capelli bianchi candidi, occhi celesti e indossava una specie di tuta da operaio color grigio con un badge attaccato sul petto. «Sì» risposi. In quel momento mi accorsi che la mia voce era rauca e il respiro affannato. «Io sono il dottor Lambért, sai dirmi il tuo nome?». «Mi chiamo Emmanuelle» risposi a fatica. Quell’uomo continuò con le domande «Il cognome te lo ricordi?». «Lab…» tossii. Esitai un attimo. «La Belle. Mi chiamo Emmanuelle La Belle. Dove mi trovo?». «Non te lo ricordi?» domandò il dottor Lambért. «Prova a pensarci un attimo». «Parigi? Io sono nata a Parigi. Ci vivo». «Sì, siamo a Parigi» disse il dottore che nel frattempo aveva finalmente smesso di puntarmi la luce negli occhi. Mi guardai intorno, sentivo freddo, c’era vapore nella stanza, tanti tubi e computer, c’era anche una guardia armata vicino alla porta, era una donna anche lei vestita di grigio e due bande nere che partivano dalla spalla sinistra e scendevano sul davanti fin dentro allo stivale, i capelli erano corti con un taglio maschile e sulla testa portava un cappello blu; la luce bianca entrava intensa dalla grande vetrata, ma il sole era nascosto dalla foschia.


12 In fondo alla strada che si vedeva dalla vetrata si ergeva un castello simile a quello di Disneyland, anzi era proprio quello. «Siamo a Disneyland?» chiesi stupita, mentre allo stesso tempo cercavo di ricordare, ma non mi veniva in mente niente che potesse collegarmi esattamente a quel luogo. Il dottore esitò, si voltò a dare un’occhiata al castello, poi si voltò nuovamente verso di me, alzò un attimo lo sguardo verso qualcuno che stava alle mie spalle, come per chiedere il consenso di parlare, poi riportò lo sguardo su di me e disse: «Ci troviamo all’Istituto Criogenico La Croix De La Vie». In quel momento sentii un sussulto dentro di me, migliaia di voci e di parole mi affollarono la mente, ma una sola domanda venne fuori «Dov’è mia madre?» Il dottor Lambért fece un sospiro, si spinse un po’ indietro con la sedia girevole come per dar spazio a un’altra persona. Lo guardai, la mia espressione cambiò, da interrogativa diventò un misto tra disprezzo e paura. Mi guardai e soltanto in quel momento notai di avere delle cinghie che mi tenevano legati polsi e caviglie a una poltrona, e attaccati a dei tubicini che venivano fuori da una macchina c’erano degli aghi infilati nelle braccia e nelle gambe, ero spaventata. Da dietro la mia poltrona sentii arrivare una persona e quando mi passò affianco vidi che era una donna. Anche lei indossava quella tuta grigia. Non riuscii a vedere i piedi, ma pensai che dovesse indossare degli stivali di tipo militare a giudicare dal rumore che faceva; aveva un badge con una X blu e la scritta “Institut Cryogénique La Croix De La Vie” attaccato alla tuta in direzione del seno sinistro. Si avvicinò davanti a me, era una bella donna, capelli neri non molto lunghi, occhi castano scuro e la pelle bianchissima, come se non avesse mai visto un raggio di sole, poi guardai le mie braccia e mi resi conto di essere ancora più bianca di lei, la mia pelle era quasi grigia; il dottor Lambért si alzò in piedi lasciando il posto a quella donna che con un sorriso e un’espressione rassicurante si rivolse a me «Ciao Emmanuelle, ben svegliata». La guardai, la mia tensione calò, guardai nuovamente il dottor Lambért che stava in piedi dietro di lei con le mani dietro la schiena.


13 Poi la donna continuò. «Io sono Adéle Martin, lavoro per il governo, sono la direttrice di questo istituto, sono un medico criogenico, sai che cosa significa?». «Direi di sì, fate tanta pubblicità in TV. Promettete alla gente malata di trovargli una cura fra cent’anni». Adéle accennò un sorriso «Quali sono le ultime cose che ti ricordi?». «Ero con mia madre. Stava male», spalancai gli occhi, «le è successo qualcosa?». La dottoressa Adéle tolse quell’accenno di sorriso dal viso «Ti ricordi la terza guerra mondiale?». «Perché non mi vuole rispondere? Dov’è mia madre? Sta bene? Le è successo qualcosa di brutto? Che cosa c’entra la terza guerra mondiale? Io non ero neanche nata! Ecco, è contenta? Dove si trova mia madre?». La dottoressa emise un sospiro «In che anno sei nata?». Emisi uno sbuffo. Mi voltai da un lato a fissare il pavimento. Attesi qualche secondo prima di rispondere «2110». «Quanti anni hai adesso?». «Quindici». La dottoressa incalzò con le domande «Sai cos’è l’Apocalisse?». «Sì», risposi con voce bassa e stanca. «È una malattia che è venuta fuori quattro o cinque anni fa, rende gli uomini pazzi!». La dottoressa Adéle Martin prese la parola. «Il primo caso conosciuto risale al 2120. Adesso i malati di Apocalisse vengono chiamati “Homo Zeta” o…». La interruppi con uno sguardo pieno di rabbia. «Non mi interessa», poi chiesi scandendo bene le parole: «Dov’è mia madre?». La dottoressa Martin mi prese la mano emettendo un lungo sospiro celato da un tenero, ma doloroso sorriso tremolante, «Non devi temere, qui sei al sicuro, ti dirò tutto. Prima però…» si girò verso il dottor Lambért «Bertrand, puoi toglierle tutti i cateteri e slegarla, per favore?». «Certo, dottoressa Martin» rispose stringendo le labbra in un sorriso. Il dottor Lambért si avvicinò iniziò a sfilarmi una a una le cannule di plastica che avevo infilate su braccia e gambe. «Sono solo soluzioni di vitamine, proteine e fluidificanti per il sangue che servono a evitare trombosi o embolie, le cinghie erano soltanto per la tua sicurezza, non si sa mai che reazioni possa avere un individuo al risveglio». Finì di slegarmi, ma mi sentivo senza forze.


14 «Adesso sarai debole per qualche giorno, è normale, ma nel giro di poco tempo ti riprenderai al 100%» concluse allontanandosi il dottor Lambèrt. Adéle ritornò vicino a me, mi prese con delicatezza le mani e le si inumidirono gli occhi. «Non è mai facile dirlo» disse, «soprattutto a una ragazzina così giovane come te». Fece un respiro. Io non respirai affatto. Mi centrò gli occhi col suo sguardo triste. «Tua madre, Marie, ha contratto l’Apocalisse». «Noo!» gridai con tutto il fiato che avevo in gola che era veramente poco. E poi ancora «Nooo!». Usai tutte le forze che avevo in corpo, ma fu più una sillaba detta in modo ansimante che un vero e proprio grido. Piansi, singhiozzai, ma non vennero fuori lacrime, forse non ero ancora abbastanza idratata da poter produrre lacrime. «Dove si trova adesso?» chiesi con voce rotta. «Non c’è più» rispose la dottoressa con aria compassionevole. «Perché non me l’ha detto?». «Perché altrimenti le avresti impedito di fare quello che ha fatto» rispose Adéle. Spalancai gli occhi in attesa di spiegazioni. «Sai come si contrae il virus e cosa succede dopo?» la dottoressa non attese una mia risposta e continuò. «Ci si contagia col sangue, basta che uno schizzo arrivi alle mucose, tipo in bocca, negli occhi o su una ferita e si ha il 100% di probabilità di aver contratto il virus. Ci sono circa ventiquattr'ore di incubazione e i primi sintomi si avvertono dopo quarantotto ore, vomito e bruciore degli occhi, la sclera del bulbo oculare diventa gialla come quando si contrae l’epatite, dalla comparsa dei primi sintomi, nel giro di poco meno di due ore si perde totalmente la ragione». Mentre la dottoressa parlava chiusi gli occhi e provai a immaginare il volto di mia madre, bella e sorridente. La dottoressa Martin continuava a parlare «Tua madre è venuta qui il 28 luglio del 2125 e ha firmato un contratto governativo». Alzai lo sguardo e con voce calma chiesi: «Che cosa significa? È stata qui oggi?».


15 La dottoressa sospirò. «No Emmanuelle. I costi per questo genere di processi sono molto elevati, anzi direi proibitivi per la maggior parte della popolazione. Quindi il governo degli Stati Uniti dell’Emisfero Boreale ha concesso ai ragazzi e ragazze tra i quindici e i vent'anni la possibilità di essere ibernati per un massimo di vent'anni in cambio di un arruolamento obbligatorio nell’esercito governativo della durata di dieci anni. Oggi è il 28 luglio del 2145». Rimasi senza fiato per un istante. «Sono stata messa in freezer per vent’anni?». «Sì. Tua madre non voleva che restassi sola, così ti ha affidato a noi nella speranza che, in assenza di parenti, l’esercito si sarebbe preso cura di te. E che nel corso di questi vent’anni qualcuno avesse trovato una cura e ti fossi risvegliata in un mondo migliore» rispose Adéle. «Ma così non è stato» aggiunsi. «Così non è stato» confermò Adéle. «Quanti anni ho adesso?». La dottoressa disse con tono rassicurante (per quanto rassicurante potesse essere in quel contesto): «Hai ancora quindici anni, l’ibernazione viene registrata all’anagrafe e non viene tenuto conto di quel periodo». «Mia… madre?». «Ha scelto l’eutanasia legale per i malati di Apocalisse». Strinsi le palpebre e incrociai le braccia al petto, come se questo potesse servirmi a mantenere l’immagine di mia madre impressa nella mente e con essa tutto il dolore dentro il cuore. Non volevo perdere nemmeno la minima parte di quel dolore perché era tutto ciò che mi era rimasto di mia madre, non avevo nemmeno una lapide su cui andare a piangere.


16

CAPITOLO 2. LA RECLUTA

Il pomeriggio di quello stesso giorno mi diedero una tuta grigia con degli anfibi neri, mi caricarono su un blindato dell’esercito dell’U.S.N.H. (United States of the Northern Hemisphere), poi su un vecchio treno Hyperloop della Tesla che in meno di mezz’ora mi portò nel sud della Francia, in fine su un altro mezzo blindato che mi portò fino al Centro Addestramento Reclute di Marsiglia. Dall’esterno sembrava un carcere di massima sicurezza e forse in passato lo era stato, ma adesso sopra il cancello d’ingresso c’era un'enorme scritta che diceva: MARSEILLE RECRUITING TRAINING CENTER. Guardai il cielo, sebbene fossimo molto più a sud di Parigi, e nonostante fosse piena estate il cielo era sempre coperto da un omogeneo strato di foschia che lo rendeva bianco e non si poteva vedere il sole, al massimo lo si poteva soltanto intravedere. Dalla fine della guerra la lingua ufficiale dell’intero emisfero settentrionale era l’inglese, ma nell’ovest di quella che un tempo veniva chiamata Unione Europea, soprattutto le persone anziane parlavano ancora la propria lingua di origine, anche mia madre con me parlava sempre il francese. Anche se per me era soltanto ieri in realtà sono passati vent’anni dall’ultima volta che ho sentito la voce di mia madre, più me ne rendevo conto e più era difficile da accettare. L’enorme cancello si chiuse dietro il mezzo blindato, mi fecero scendere, due guardie in tuta grigia si avvicinarono, una era armata, l’altra aveva in mano uno scanner medico biometrico, serviva per effettuare un ulteriore esame diagnostico e per controllare che non ci fossero eventuali agenti patogeni nel mio corpo, tra cui anche il virus Apocalisse. Mi portarono in una stanza c’era una scrivania e un computer d’antiquariato funzionava ancora con la tastiera fisica e non quella olografica, entrò un ragazzo con una cartella digitale in mano, mi


17 guardò, doveva avere al massimo qualche anno in più di me, gliene avrei dato diciotto. «Oggi soltanto una recluta?» «Sì, signore» rispose una delle due guardie. «Bene» disse il ragazzo rivolgendosi alla guardia che mi aveva accompagnato dentro. Poi si rivolse a me. «Codice anagrafico?». Non sapevo di cosa stesse parlando, poi intervenne la guardia «È un contratto governativo, signore». «Ah! Capisco» disse il ragazzo che continuava a essere chiamato signore, «quindi sei un regalino dal passato. Da che anno arrivi, 2140? 35 forse?». «’25» risposi «2125». «Il massimo di contratto, complimenti. Che cosa hai combinato?» domandò il ragazzo. «Mia madre si è ammalata e ha firmato un contratto con il governo». «Apocalisse?». «Sì». Il ragazzo fece una smorfia accompagnata da uno sbuffo «C’est la vie! Anche i miei genitori e i miei due fratelli più grandi sono stati contagiati». «Mi… mi dispiace» dissi. Il ragazzo rimase per qualche istante incantato sulla cartella digitale. «Già». Poi alzò lo sguardo verso di me, mi fissò negli occhi, si avvicinò e sottovoce disse: «Mi hanno chiesto di ucciderli tutti prima che si manifestasse la parte peggiore della malattia». «Oh, cavolo!» esclamai. Fece un’altra smorfia. «Acqua passata!». Si avvicinò a me allungando la mano. «Io sono il Sergente Maggiore Rousseau. Alain Rousseau, ma da questo momento puoi chiamarmi semplicemente signore». Portai indietro il capo spalancando gli occhi, poi dissi: «Sì signore». «Perfetto, così ci siamo. Nome? Il tuo nome?» «Emmanuelle. Emmanuelle La Belle». Fece un’altra smorfia, ma questa volta fu una smorfia di compiacimento. «Mai nome fu più appropriato». Non dissi nulla.


18 «Anni?». «Quindici». «Okay, adesso mi farò mandare la tua scheda completa dall’Istituto Criogenico. Doux Sommeil o La Croix de la Vie?». «La Croix» risposi. «Posso fare una domanda, signore?». «Prego» disse quasi con indifferenza mentre compilava la cartella, «Ecco la tua scheda». «Quando potrò prendere le mie cose dalla casa di mia madre a Parigi?». Alain alzò le sopracciglia e poi a seguire lo sguardo. «Mi dispiace, ma tu sei proprietà del governo per i prossimi dieci anni e anche la tua casa è diventata di proprietà del governo. Funziona così quando non si hanno più parenti in vita». «Ma mio padre non è morto». «Ne sei sicura? Qui risulta una denuncia di scomparsa nel 2117 e non si è mai più fatto vivo e sono passati quasi trent’anni. Dammi retta, con l’Apocalisse in giro… devi fartene una ragione. Ora ti farò accompagnare alla vestizione, dove ti daranno il nécessaire e poi al tuo alloggio. Ti avverto che questa non è una caserma femminile, ma niente flirt da camerata, intesi?». Annuii con la testa. «Sì signore, ho capito». «Ah!» disse il Sergente Maggiore Rousseau come se stesse dimenticando qualcosa. «Mi dispiace per i tuoi bei capelli castani, qui è vietato portare i capelli lunghi». Poi si rivolse alla guardia «Fate anche un salto dall’italiano». Per un attimo ebbi un sussulto, poi mi decisi a chiedere «Chi è l’italiano?». «Non ho capito la domanda, puoi ripetere?» domandò aggrottando le sopracciglia. Capii dove stavo sbagliando. «Chiedo scusa, signore. Chiedevo solamente chi fosse l’italiano, signore». «Impari in fretta» rispose compiaciuto, «non ti preoccupare, l’italiano è soltanto il barbiere». «Andiamo» ordinò la guardia allungando la mano per prendere la cartella che gli stava porgendo il Sergente Maggiore. Mi fece strada e io lo seguii. La prima tappa fu proprio dall’italiano. Bussai alla porta. «Avanti» rispose una voce.


19 Entrai e vidi un soldato seduto sulla poltrona del barbiere con i piedi appoggiati sul lavandino, mani incrociate dietro la nuca e un visore VR in faccia. «Un attimo soltanto» disse il soldato, «sto guardando le notizie dal fronte con l’Equatore. Wow! Oggi c’è stata una carneficina». «C’è una recluta» intervenne la guardia «sbrigati, devo tornare al cancello». «Eccomi qua! Quanta fretta!» disse il soldato alzandosi dalla poltrona «Allora, chi abbiamo qui? Oh che bella fanciulla. Come ti chiami?». «Emmanuelle». «Prego, accomodati, Emmanuelle» disse il soldato mentre tirava fuori da un cassetto un telo bianco. Me lo mise intorno al collo portando fuori i capelli. «Emmanuelle e poi?». «La Belle». «Wow! Questo sì che è un cognome! Da oggi ti chiamerò La Belle. Io sono Tony il coiffeur, ma tutti mi chiamano l’italiano. Allora, che taglio facciamo?». Non feci in tempo ad aprir bocca che partì con il taglia-capelli elettrico alla misura più bassa. Quand’ebbe finito, mi guardai allo specchio, trattenni le lacrime a stento. «Ecco fatto! Direi un capolavoro» mi tolse il telo dal collo. «La Belle, ci vediamo presto, ricorda di venire a dare una ripassata almeno una volta alla settimana, fuori c’è la bacheca degli appuntamenti». «Okay» risposi. Ci fermammo davanti a una porta con serratura a scansione della retina, sopra c’era scritto “REPARTO BIOMEDICO”, la guardia avvicinò il viso allo scanner, partì un lettore laser e la porta si aprì. «Cosa dobbiamo fare qui?» chiesi timorosa, anche se comunque sapevo che non avevo nessuna scelta e a qualunque cosa mi sarei dovuta sottoporre non avrei potuto rifiutare. «Qui ti faranno l’innesto del chip per i Life Credits» disse la guardia mentre attraversavamo la porta. «Di cosa si tratta?» domandai. In quel momento apparve il medico del reparto «Ciao Wolf, chi abbiamo?» «Buongiorno dottore, ci serve un chip, ecco la scheda» disse porgendo la cartella che gli aveva dato il Sergente Maggiore Rousseau.


20 Wolf si voltò verso di me. «Il chip serve per tutto. Negli ultimi vent’anni sono cambiate molte cose, con l’incremento dell’automazione la disoccupazione globale è arrivata a livelli compromettenti per la sopravvivenza di gran parte della popolazione…». Nel frattempo il dottore preparava una siringa con un grosso ago che conteneva una piccola, ma poi non così tanto piccola, capsula con dentro il chip. Wolf intanto continuava a parlare: «… la povertà era arrivata a un livello inverosimile. È arrivato il virus Apocalisse che ha decimato la popolazione di molte grandi città. Poi è successa la cosa degli alieni». «Che cosa?» ero incuriosita. «L’Alleanza Aliena e il fatto che si sono trasferiti quasi tutti nel sud del pianeta. Con la salita negli U.S.N.H. (United States of the Northern Hemisphere) del governo del Movimento Popolare per la Difesa della Vita, il parlamento ha deciso che tutto questo doveva cambiare, è stato istituito il Life Credits, ovvero il diritto a un credito mensile che superi la soglia di povertà, spendibile fin dalla nascita con adeguamenti annuali basati sul reale fabbisogno individuale. Le criptovalute furono bandite, il loro continuo oscillare di valore era diventato un business per le multinazionali e per le banche, ma capitava fin troppo spesso che le criptovalute più accessibili svanissero nel nulla mandando i comuni cittadini allo sbando facendoli finire sul lastrico e facendo innalzare a livelli esponenziali la criminalità…». Nel frattempo il dottore iniziò a disinfettarmi il dorso della mano sinistra tra il pollice e l’indice. «Farà un po’ male» disse mentre mi stava già iniettando il chip. «Ah!» strinsi i denti. «Con questo Chip hai diritto al Life Credits a partire da oggi, più lo stipendio governativo che ti verrà accreditato finché presterai servizio. Però non potrai spendere nemmeno un credito fino al raggiungimento della maggiore età, a meno che tu non abbia un tutore legale, ma mi pare di no. Comunque non ti devi preoccupare, l’esercito ti fornirà tutto ciò di cui hai bisogno». Poi mi mise la mano sotto una specie di laser, spinse un bottone, sentii un leggero bruciore e vidi che in direzione della posizione del chip ora c’era tatuato un codice QR, a questo punto fasciò la mano. «Una firma qui e puoi andare. Se dovessi aver bisogno dell’infermeria qui c’è sempre qualcuno di servizio, se ti senti male all’interno dell’edificio e


21 sei da sola basta raggiungere uno dei pulsanti gialli che si trovano all’inizio di ogni corridoio o rampa di scale. Il chip trasmette la tua posizione grazie a un sistema radio a bassa frequenza che funziona soltanto sulla terra ferma e soltanto negli stati dell’emisfero boreale, purtroppo sono anni che non provano più a mandare un satellite in orbita perché viene costantemente abbattuto dall’esercito del Sud. Queste sono le istruzioni c’è poco da ricordare, sopra c’è il tuo numero di matricola 30012017 che corrisponde anche al numero del chip, devi impararlo a memoria e non scordarlo mai, molti se lo fanno tatuare, anzi praticamente tutti. Okay, adesso sei libera di andare». «Grazie dottore». «Sono il dottor Hamilton». Mi porse la mano e gliela strinsi. «Emmanuelle La Belle». Lui annuì. Uscimmo. Wolf riprese il discorso: «… adesso la povertà non esiste più e se si riesce a trovare un lavoro ci si può permettere anche il superfluo». «Ricordo l’Alleanza Aliena, se ne parlava già da quand’ero piccola». «Sì», riprese Wolf «soltanto che adesso è cresciuta e ha un esercito tutto suo. Difendono la linea di confine dell’Equatore. La gente vuole scappare nel Sud del pianeta, malgrado al nord sia garantita a tutti una vita più che dignitosa, perché hanno tutti paura del contagio e non si sa per quale motivo nell’emisfero meridionale non è mai stato registrato un caso di Apocalisse». Smise di camminare e si girò verso di me. «Ma, chi non muore per il contagio, muore cercando di superare il confine». Rimasi immobile a guardarlo, pensando che dovesse dirmi qualcos’altro. Wolf alzò la mano sinistra a indicare un’altra porta. «Siamo arrivati». Lessi la scritta che c’era sulla porta: “VESTIZIONE”. Entrai. Cinque minuti dopo uscii con un sacco enorme pieno di roba, divise, lenzuola, scarpe da ginnastica, spazzolino e persino assorbenti di vari tipi. Era talmente pesante che lo trascinavo a fatica. Arrivammo in un ampio spazio all’interno dell’edificio, il soffitto era molto alto, ai lati quelle che un tempo erano le celle del carcere si ergevano per quattro piani e vi si accedeva passando attraverso dei ballatoi aggetti al muro perimetrale interno, le celle erano state adibite a stanze singole per le reclute, le sbarre erano state sostituite da muri in


22 cartongesso e porte scorrevoli che si aprivano avvicinando la mano con il chip a un lettore magnetico. «Questa è La Place o la “Piazza”» disse Wolf. «Qui vengono fatte le adunate e spesso anche l’addestramento. Quello laggiù è lo spaccio» continuò indicando con il dito una stanza che si trovava dall’altra parte della “Piazza”. Li puoi prendere lo shampoo, dentifricio e tutto quello che ti serve, ma non più di uno ogni due settimane, perciò dosati la roba se non vuoi iniziare a puzzare come una capra. Ci sono anche bibite, ma niente alcolici dentro la caserma. Hai diritto a un pacchetto di sigarette al giorno, ti consiglio di prenderle anche se non fumi, puoi usarle come merce di scambio, per esempio se dovessi finire il bagnoschiuma prima del previsto; c’è chi preferisce puzzare piuttosto che restare senza sigarette». Si fermò davanti a un banchetto simile a quelli che c’erano a scuola, dietro c’era seduta una donna sui trent’anni un po’ robusta, capelli biondo platino lunghezza standard militare, era girata a chiacchierare con altre due ragazze una era di colore, mentre l’altra era bianca con un po’ di lentiggini sopra il naso e aveva i capelli rossi, entrambe mostravano dei fisici atletici ben scolpiti. Una di queste disse: «Hai visite, Lisa». E l’altra «Wow Wolf che fusto!». «Ciao Lisa, lei è Emmanuelle La Belle, matricola 30012017, la affido a te» disse posando la cartella digitale sul banchetto. «Okay, Wolf. Che fai stasera? Beviamo qualcosa alla cittadella?» domandò Lisa con un sorrisino malizioso. «Mi spiace, ma non stasera Lisa. Ho il turno alla carraia» rispose Wolf senza scomporsi. «Va bene, a la prochaines fois». Wolf mi guardò e disse: «Sei in buone mani, fa quello che ti dice». «Okay». Quando mi voltai verso Lisa, vidi che sia lei che le due amiche avevano la testa china da un lato e guardavano con molta attenzione il sedere di Wolf mentre se ne andava, rimasero così finché non girò nel corridoio di sinistra, poi ridacchiando si scambiarono dei cinque. «Ti ha dato il benvenuto niente popò di meno che il Caporale Istruttore Wolf… Bene ragazzina, sei giovane. Quanti anni hai?». «Quindici».


23 «Oh cavolo! Mi dispiace, ma fino ai diciott'anni compiuti non esiste la libera uscita. Potrai uscire di qui soltanto per le missioni o gli addestramenti esterni. Non sembri scomporti, va tutto bene?». «A dir la verità no» tentai di fermare le lacrime con le mani, ma venivano fuori comunque. «Stamattina ho saputo che mia madre è morta e che è successo vent’anni fa. Ho saputo che sono stata ibernata per questi vent’anni...» singhiozzai, ma trattenni subito «… forse con la speranza che in questo periodo si fosse potuta trovare una cura per l’Apocalisse, ma a quanto pare così non è stato. Ho saputo che non ho più una casa e che sono stata arruolata nelle forze governative a mia insaputa per i prossimi dieci anni e non ho nemmeno finito la scuola. Non saprei che farmene della libera uscita». «Oh cara, mi spiace per la tua storia. Molti qui dentro hanno una storia simile alla tua, ma questo non può che renderci più forti. Adesso non farti vedere piangere». Nel frattempo le due ragazze che stavano alle spalle di Lisa, avevano sentito tutto, si avvicinarono a presentarsi. «Ciao Emmanuelle, io sono Jasmine Scott» disse la ragazza di colore. «Ciao» risposi. «Io sono Odette Dubois, ma qui mi chiamano “Le Rouge”» si presentò l’altra. «Ciao Odette, piacere di conoscervi entrambe». «Per quanto riguarda la scuola non devi preoccuparti» disse Jasmine, «certo non sarà il liceo della cittadella, ma anche qui dentro ci sono degli ottimi insegnanti: balistica, meccanica, tecniche di guerra, combattimento e persino aeronautica». «È già la seconda volta che sento questa cittadella, cos’è?». «Ormai quasi ogni città ne ha una» spiegò Odette «non sono altro che mura innalzate nel centro cittadino per proteggersi dagli Homo Z». «Perché? Ce ne sono così tanti?». «Sì purtroppo» continuò Odette «e se non sei a bordo di un mezzo blindato è altamente probabile subire un attacco» smise di parlare e guardò Lisa. Lisa mi disse: «Vedi Emmanuelle, il mondo è cambiato parecchio nel frattempo che sei stata assente e non è cambiato in meglio. Gli Homo Z sembrano essere sempre più assetati di sangue, devono uccidere qualunque cosa si muova e sono sempre di più!».


24 Pochi minuti dopo eravamo tutte e quattro sul ballatoio al quarto piano davanti alla porta della mia camera. «La cena è alle 19.00, la mensa è in fondo al corridoio a destra, le docce sono dall’altra parte del corridoio, il contrappello è alle 23.00 la stanza deve essere in ordine e pulita, sempre pronta a un’ispezione, nel caso passi quel coglione del Sergente Maggiore Rousseau. Quello crede di essere un colonnello! La sveglia è alle 5.00, la colazione alle 5.30, alle 6 c’è l’adunata; e ringrazia di non essere un uomo, loro devono pure farsi la barba» disse Lisa scuotendo la testa, ma poi aggiunse ridacchiando: «anche alcune donne a dir la verità». «Il pranzo?» chiesi. «Cos’è?» chiese Odette. «Il pranzo» ribadii. «Intende il pasto di mezza giornata» disse Lisa rispondendo a Odette con un mezzo sorriso. Odette e Jasmine risero. «Non siamo mica all’asilo, cara» disse Jasmine. «Qui ci nutriamo di fatica, sudore e risultati» concluse Odette.


25

CAPITOLO 3. RITORNO A CASA

Corsi per non so più quanto tempo, corsi e basta per tutta la notte; attraversai le strade di campagna per chilometri, poi l’intera città di Parigi, le strade erano buie e pullulavano di Homo Z, qualcuno tentò di raggiungermi, ma erano troppo lenti. Il virus Apocalisse era dappertutto. Io ero determinata a raggiungere il mio obiettivo. Correvo a perdifiato, ma nonostante tutto riuscivo a continuare senza problemi, attraversai la Senna passando per il Pont de l’Alma, ricordo che pensai alla lezione di storia, la professoressa Gauthier parlava della principessa triste d’Inghilterra, Lady Diana, che morì circa centocinquant’anni fa proprio sotto quel ponte. Apparve all’improvviso un Homo Z, era una donna, gli occhi erano gialli ed esprimevano a pieno quella che poteva essere soltanto pazzia omicida, corse verso di me facendo dei versi che erano un misto tra urla e ringhi, tentò di colpirmi sgraziatamente, ma mi mancò, poi cercò di afferrarmi, la bocca aperta pronta per mordere, incurante della bava schiumosa che perdeva; alcune macchine messe di traverso ostacolavano il ponte a circa metà strada, ci saltai sopra, lo fece anche lei, saltai da una macchina a un minivan che stava quasi attaccato al parapetto, lei era sempre un passo dietro me, saltai giù anzi scivolai, quasi caddi poi indietreggiai mentre saltava giù anche lei, per un attimo non si accorse che ero alle sue spalle, mi scaraventai addosso a lei con tutta la forza e tutta la rabbia che avevo in corpo e la spinsi oltre il parapetto. Cadde nella Senna, ma non restai a guardarla cadere, ripresi a correre, entrai nella avenue George V, ma ebbi paura di percorrerla, così mi intrufolai in un palazzo e corsi su per le scale fino al tetto, c’erano alcuni cadaveri in fase di putrefazione, dei topi si cibavano delle loro interiora, saltai per evitare di calpestarli, trattenni un conato di vomito, continuai la mia corsa e arrivai finalmente al tetto. Presi coraggio e iniziai a correre e poi saltai sul tetto vicino, poi corsi ancora, scesi in un balcone che sembrava essere vicino al balcone del palazzo affianco, riuscii ad arrivarci aggrappandomi alla ringhiera, entrai nel balcone mi girai verso la finestra, dentro c’era una famiglia


26 impaurita, alzai le mani in segno di pace e poi guardai sotto, vidi decine di Homo Z e pensai che avevo fatto la scelta giusta. Presi la scala antincendio e salii ancora fino a quest’altro tetto, ripresi a correre, feci così per tutta la avenue Geroge V fino alla fine. Ora avrei dovuto attraversare Les Champs Élysée. Mi guardai intorno, ma non c’era niente che potessi usare come arma di difesa, così decisi di calarmi dalla grondaia nel balcone sottostante, guardai dentro e mi parve che non ci fosse nessuno, nove case su dieci erano disabitate ormai, sfondai il vetro della finestra con un vaso di plastica pieno di terra ed entrai, mi trovavo nel salotto, mi diressi nella stanza accanto, era la cucina, provai ad accendere la luce e per fortuna c’era corrente, frugai tutti i cassetti, trovai solo un coltello da carne e lo presi, girai per dare un’occhiata veloce alle altre stanze, una di esse era la cameretta di un ragazzo, cercai di rovistare un po’ finché da sotto il letto non spuntò fuori una mazza da baseball, la presi. Infilai il coltello nella cintura dietro la schiena, aprii la porta con la mazza in mano e cominciai a correre giù per la tromba delle scale. Trovai altri cadaveri, li saltai, finalmente ero davanti alla porta, era di legno perciò non potevo sapere che cosa mi aspettasse dietro di essa. Presi un paio di lunghi respiri. Aprii la porta e cominciai a correre ancora una volta, attraversai Les Champs Élysée, quand’ero ormai dall’altra parte della strada mi si parò davanti uno di loro, stavolta era un uomo e anche bello grosso, quegli occhi mi fissavano senza batter ciglio, era velocissimo, centrai la sua testa con la mazza da baseball che tenevo stretta con tutt’e due le mani, pensai a una partita degli Yankees di cent’anni fa, che una volta avevo visto in internet le immagini erano a due dimensioni, il battitore fu veramente preciso e l’impatto tra la mazza e la palla fu talmente potente che fece un fuori campo, la palla andò a finire sull’ultima fila degli spalti; parte del suo cervello andò a finire sopra la spazzatura buttata sul bordo della strada. La mia corsa non era finita, ripresi a correre, finché a un certo punto dovetti rallentare, ma ormai ero quasi a destinazione, zona nord di Parigi. Eccola! La mia casa, riconobbi il palazzo malgrado fosse cambiato tutto, del resto erano passati vent’anni.


27 Il portone dell’atrio era aperto, lo spinsi col piede, tenevo la mazza pronta a colpire, niente nessun rumore, pigiai il tasto per accendere la luce nelle scale, ma niente. Percorsi le scale al buio, sentii il miagolio di un gatto terrorizzato che mi passò di fianco alla velocità della luce, finalmente arrivai al secondo piano, aprii la porta di casa mia, le finestre erano aperte, c’era una fresca corrente d’aria, e la luce di alcuni lampioni accesi nella strada illuminava l’interno della casa. Mi parve di sentire delle parole sottovoce che mi fecero accapponare la pelle. «Mon amour!» Cercai da dove provenisse quella voce, vidi una sagoma nell’ombra, poi un luccichio, il luccichio di un ciondolo d’oro appeso a una catenina. «Ma petit fille» disse ancora, ma questa volta un po’più forte. Strinsi la mazza pronta a colpire. «Emmanuelle, ne me reconnais-tu pas?» disse. «Mamma!» La mazza mi cadde per terra, mi avvicinai, si avvicinò anche lei, finalmente il suo viso fu parzialmente illuminato, non c’erano dubbi era mia madre e non era morta! Aveva la sua catenina al collo con appeso un ciondolo d’oro che mi ritraeva quando avevo ancora pochi mesi. «Emmanuelle tu est très jolie». «Mamma, credevo fossi morta». Feci per abbracciarla, ma vidi qualcosa di strano. I suoi occhi erano diventati gialli, la schiuma usciva dalla bocca aperta e mi si scagliò contro, d’istinto presi il coltello e glielo puntai contro, mia madre ci si scagliò sopra facendo penetrare la lama dritta nel cuore, la catenina si spezzò facendo cadere il ciondolo per terra. Poi sussurrò: «Pardonnez-moi». «Mammaaa!» gridai. «Ma..ha..ha..ha..mmaaa!» dissi piangendo a singhiozzo. La sirena suonò. «Mamma» dissi. La porta si aprì.


28 Ero sulla branda della mia stanza al centro addestramento reclute ed era appena suonata la sirena delle 5.00, mi sedetti, controllai le mani, non c’era né un coltello, né del sangue e capii che era stato soltanto un brutto sogno.


29

CAPITOLO 4. TRITACARNE

Entrai in mensa, c’era più gente di quanta pensassi, le voci accavallate creavano un rumore fastidioso e incomprensibile, presi il vassoio e mi avvicinai al banco. «Cosa vuoi, bellezza?» domandò un uomo di mezza età con la voce roca. «Non capisco cosa c’è» risposi. «Allora abbiamo zuppa di fagioli e tofu, polpette di mais, pane e cereali secchi, se vuoi puoi metterli in una scodella d’acqua» mentre parlava toccava col dito ciò che descriveva «Ah! Ci sono anche delle marmellate». «Di cosa?». «Che domande, di frutta no?» rispose quasi indignato. Volevo sapere che tipo di frutta, ma lasciai perdere. Poi aggiunse sottovoce «posso darti un consiglio?». «Sì». «Non prendere le polpette… non ho ancora capito che cosa usano per tenere incollato il mais». «Okay. Prenderò dei cereali con l’acqua». Cercai dove sedermi, i posti sembravano tutti occupati, vidi un tavolo libero, mi avvicinai, ma sopra c’era un segnaposto di cartone con su scritto “Riservato Ufficiali”; continuai a cercare, finalmente trovai un posto, di fianco a me c’era una donna molto grassa che occupava quasi due posti, mi feci spazio in un angolino, guardai la scodella di metallo, cercai di mangiare quei cereali che erano a dir poco disgustosi. «Ehi puttana, questo è il mio tavolo devi chiedere permesso!» disse la donna grassa che mi sedeva a fianco. Deglutii cercando di mandare giù il boccone. «Hai sentito, troia!» continuò. Si alzò in piedi, la sua sedia si spostò in dietro di un metro, la sua faccia era tonda e le guance erano talmente grasse che la ciccia sugli zigomi le faceva sembrare gli occhi a mandorla. In sala cadde il silenzio.


30 Feci appena in tempo ad appoggiare la scodella sul tavolo che quella donna con un movimento circolare del braccio scaraventò tutto per terra. «Guarda che cazzo hai fatto! Adesso raccogli!» disse urlandomi contro. «Mi dispiace…». Non mi fece neanche finire di parlare che attaccò a ridere. «Le dispiace avete sentito?» disse sorridente, poi tornò nuovamente seria. «Raccogli, troia!». Tremavo, ero spaventata e non riuscivo nemmeno ad alzarmi dalla sedia. Però risposi: «Mi dispiace, ma non lo raccolgo» la mia voce era tremolante. Tirò su nella fronte le sopraciglia, spalancando gli occhi, per quanto la ciccia sui suoi zigomi le permettesse di farlo, si guardò intorno per essere sicura che tutti la stessero osservando, poi fece un altro movimento circolare del braccio dall’interno verso l’esterno, ma questa volta fu diretto sul mio volto. Buio… Un’altra volta quella maledetta lampadina puntata sugli occhi. «Dottor Lambert?» chiesi. «No, qui non c’è nessun Lambert, sono il dottor Hamilton». «Che è successo?» domandai. Pensai di essere stata ibernata nuovamente. «Non lo so, dovresti dirmelo tu. Mi hanno detto che sei scivolata in sala mensa sbattendo la faccia per terra, ti sei rotta il setto nasale e hai un incisivo scheggiato, ma niente di grave». «Posso andare adesso?». «Be' visto che sei rimasta svenuta per quasi sei ore, e non ti sei svegliata nemmeno quando ho rimesso in asse il setto, penso che ti terrò sotto osservazione fino a domani. Perciò rilassati, hai perso molto sangue». Sospirai. L’indomani mattina avevo una sorta di steccatura di alluminio sul naso, sei garze arrotolate e imbevute di pomata sparate su per il naso e due grossi ematomi sotto gli occhi. Stavo tornando verso la mia stanza al quarto piano del lato sinistro de La Place, sul ballatoio incontrai Lisa, Jasmine e Odette. Quelle tre erano sempre insieme.


31 «Oh mamma!» esclamò Lisa. «A quanto pare hai conosciuto Tritacarne». «È stata la cicciona?» chiese Odette. «Sì». «Mi spiace cara, il tuo soggiorno è iniziato proprio male» disse Jasmine. «Già, ma gliela farò pagare» ribattei. «Sì, ma adesso riprenditi La Belle. Diamo tempo al tempo». Quella settimana passò molto lentamente, il Sergente Maggiore Rousseau, viste le mie condizioni fisiche, decise di rimandare il mio addestramento e per quella settimana mi assegnò al servizio di corvée cucina, ovvero lavapiatti e marmitte. Imparai molte cose, imparai che il personale in servizio era composto da circa seimila persone, perciò quella che avevo visto era soltanto una piccola parte della caserma, imparai che seimila persone erano in grado di sporcare dodicimila piatti e dodicimila posate al giorno (per fortuna il pranzo era un’usanza ormai dimenticata), imparai che un pisolino dopo aver lavato fino a mezzogiorno i piatti della colazione, comportava un incubo composto da piatti (mi vidi nel sogno entrare in una stanza dove la porta era fatta di piatti, i pavimenti e le pareti erano piatti, la struttura del letto, il materasso e anche il cuscino erano anch’essi fatti di piatti), imparai che gli scarafaggi amavano andare a suicidarsi nell’acqua d’ammollo dei piatti, imparai che provare a dormire la notte dopo aver lavato piatti tutta la sera comportava un altro incubo, ma stavolta composto di scarafaggi (entrai in una stanza buia, sempre nel mio sogno, dove vidi me stessa sotto un debole raggio di luce con una vanga in mano, spalare via una montagna di scarafaggi morti). Quella che un tempo era una prigione e oggi una caserma, era oggi per me una prigione; alzarsi da quella branda ogni giorno, incrociare sempre gli stessi sguardi, alcuni, pochi a dire il vero, erano sguardi amichevoli, altri erano soltanto antipatici, altri ancora sembravano nemici, ma quelli che più mi davano fastidio erano quelli indifferenti, apatici o semplicemente superficiali. Ciò che mi dava fastidio era la solitudine. È vero ero soltanto una ragazzina, ma ero viva, ognuno aveva la propria storia, un proprio passato, ma non per questo il mio doveva essere meno importante degli altri, avevo bisogno di far capire al mondo, a quel piccolo mondo in cui mi trovavo, all’interno delle


32 mura di cinta sovrastate da un perimetro di centinaia di metri di filo spinato e concertina, preceduto da un ulteriore recinzione esterna elettrificata, a quel mondo di divise grigie, che io c’ero, che ero viva, ma soprattutto che non mi sarei lasciata mettere i piedi in testa da nessuno. La settimana passò con una lentezza esasperante, ma finalmente arrivò quel fatidico venerdì. «Ecco fatto, questa era l’ultima» disse il dottor Hamilton estraendo l’ultima garza dal mio naso. «Adesso mi raccomando fai attenzione a dove metti i piedi» fece una pausa, poi con uno sguardo severo e con voce più decisa continuò: «Ma soprattutto stai attenta a non calpestare ancora i piedi sbagliati». «L’aveva capito?». «Lavoro in infermeria da quasi trent’anni e ne ho viste di cotte e di crude. Tritacarne è una persona meschina e crudele, stalle il più alla larga possibile. Questo è un consiglio» disse il dottore. «Mi spiace dottor Hamilton, non posso». «Allora temo che ci rivedremo presto» concluse il dottor Hamilton. Quella sera feci il mio ultimo servizio di lavapiatti, finalmente l’indomani avrei iniziato il percorso di studio e addestramento. Appoggiai la testa al cuscino e come ogni notte crollai immediatamente in un sonno profondo, quella notte non sognai nulla. La sirena suonò precisa alle 5.00 facendomi sobbalzare nel letto, mi sedetti, strizzai gli occhi e li sfregai con i pugni, il naso e gli zigomi erano ancora indolenziti, mezz’ora dopo entravo in mensa con la consapevolezza che quel giorno non avrei toccato nessun altro coperto se non il mio. Il signore con la voce roca come ogni giorno disse: «cosa vuoi bellezza?». «Oggi prendo pane e marmellata» dissi, ma poi aggiunsi, «di che cos’è questo pane?». «Ma che domande mi fai, ragazzina? Di cosa vuoi che sia fatto? Di farina, no?». Certo che è fatto di farina, stupido ignorante! Volevo soltanto sapere di che tipo di farina. Ma lasciai perdere. Mi guardai intorno c’era un posto vicino al trio composto da Lisa & friends, ma la mia attenzione si focalizzò su Tritacarne, lei stava parlando animatamente di braccia spezzate e rideva mentre gesticolava.


33 Il suo commensale visibilmente annoiato, annuiva per non contraddirla o offenderla, il che poteva risultare molto pericoloso. «Credo che tu mi debba delle scuse» dissi posando il mio vassoio vicino al suo. Tritacarne s’interruppe istantaneamente, posò lo sguardo visibilmente alterato sul mio vassoio e quasi ringhiò, si alzò in piedi con tanta violenza che stavolta la sedia cadde con lo schienale per terra e scivolò di un paio di metri. «Che cos’hai detto?» disse Tritacarne. «Ho detto…». Ma anche stavolta non feci in tempo a finire la frase che lei scaraventò nuovamente il mio vassoio per terra. «Oh! Guarda che cosa hai combinato. Raccogli, puttana!». La sua faccia era diventata rossa, l’espressione era simile a quella di un pitbull, le vene della fronte le stavano per scoppiare. «Raccoglilo tu, stronza cicciona!» dissi con tanta rabbia che pensavo bastasse quella per farle esplodere la testa. Ma così non fu, Tritacarne fece per avvicinarsi, io mi preparai per ripagarla con la stessa moneta più gli interessi. Si fermò per essere sicura di avere l’attenzione di tutti. Un ragazzo si alzò e si mise davanti a lei con le braccia aperte «Adesso basta. L’abbiamo capito che puoi farla a pezzi» disse. Tritacarne sembrò non prestargli attenzione, ma quando il ragazzo fu a tiro lei gli diede un ceffone col dorso della mano e lo scaraventò per terra. Adesso ce l’avevo a tiro io. Ebbi un attimo di indecisione, poi le tirai addosso un pugno con tutte le mie forze, le arrivò in faccia, non so bene cosa colpii perché in quell’attimo chiusi gli occhi, ma so che colpii qualcosa di duro perché mi si piegò il polso e sentii un gran dolore; ritrassi indietro il braccio, lei avvertì il colpo, ma questo la fece soltanto arrabbiare ancora di più, mi prese la mano con cui l’avevo colpita, me la girò col palmo all’insù facendomi addrizzare il braccio, poi la piegò all’indietro, facendomi urlare dal dolore. «Adesso la stronza cicciona ti farà rimpiangere di essere nata». Vidi che in un angolo della mensa c’era il Sergente Maggiore Rousseau, stava in piedi appoggiato al muro con la ciotola dei cereali a osservare l’intero svolgimento dei fatti.


34 Nel frattempo tritacarne mi prese per il colletto della tuta con la mano libera, mentre io cercavo di liberarmi inutilmente, mi lasciò e mi diede un gancio nello stomaco, sentii una fitta espandersi dalla bocca dello stomaco per arrivare fino al basso ventre e su fino al torace. Mi mancò il respiro; poi Tritacarne scambiò la mano con cui mi teneva il colletto per liberare la destra e iniziò a darmi dei pugni in faccia, continuando a tenermi per evitare che cadessi per terra. Sentii nuovamente il naso fare crock! C’era sangue dappertutto ed era il mio. Una voce autoritaria, che non era quella del Sergente Maggiore Rousseau, urlò: «Che diavolo sta succedendo qui!». Tritacarne lasciò la presa dalla mia giacca, io caddi dapprima sulle ginocchia, poi mi appoggiai sui palmi delle mani, poi sui gomiti. «La Belle mi ha provocato signore» disse Tritacarne. Le altre parole che vennero dopo furono per me incomprensibili. Raccolsi ciò che restava delle mie forze e del mio equilibrio, mi rialzai, stremata, e quasi sussurrai queste parole: «Credo che tu mi debba ancora delle scuse, stronza cicciona». Non so che cosa mi arrivò in faccia perché non lo vidi, ricordo soltanto che si spense la luce. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD


INDICE

Note dell’autore ............................................................................ 5 Prologo .......................................................................................... 7 Capitolo 1. Il Risveglio ............................................................... 11 Capitolo 2. La Recluta ................................................................ 16 Capitolo 3. Ritorno a Casa .......................................................... 25 Capitolo 4. Tritacarne ................................................................. 29 Capitolo 5. L’Addestramento ..................................................... 35 Capitolo 6. L’Apocalisse ............................................................ 40 Capitolo 7. Notre-Dame .............................................................. 45 Capitolo 8. Matricola 30012017 ................................................. 52 Capitolo 9. Il Test ....................................................................... 58 Capitolo 10. Home, Sweet Home ............................................... 65 Capitolo 11. Sola......................................................................... 74 Capitolo 12. La Croix ................................................................. 80 Capitolo 13. In Fuga ................................................................... 88 Capitolo 14. La Cittadella ........................................................... 92 Capitolo 15. Sangue Infetto ...................................................... 101 Capitolo 16. Il messaggio ......................................................... 108 Capitolo 17. Verso Gibilterra.................................................... 114 Capitolo 18. Almerìa................................................................. 120 Capitolo 19. Il Miracolo di Gibilterra ....................................... 129 Capitolo 20. Sahara ................................................................... 137 Capitolo 21. La Barriera ........................................................... 143 Capitolo 22. Joseph La Belle .................................................... 148



AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.