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SIMONA GERVASONE
TIME OUT
ZeroUnoUndici Edizioni
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TIME OUT Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-373-4 Copertina: immagine di Simona Gervasone
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CAPITOLO 1
Si preannunciava una giornata a dir poco noiosa. Suo padre stava finendo di bere il caffè, mentre leggeva le notizie sul tablet. La luce del sole entrava obliqua dalla finestra della piccola cucina. Il tavolo rotondo, di legno chiaro e lucido, era cosparso di briciole di muffin. Sid si era svegliato più tardi del solito e avrebbe tanto voluto avere qualche progetto per la giornata, invece di stare a ciondolare per casa senza uno scopo. Chissà cosa stava combinando Dereck? Si voltò verso la finestra, sperando con tutto se stesso di trovare qualcosa da fare in quell’ennesimo giorno estivo senza programmi. «Giorno.» Il padre fece quasi un salto sulla sedia, troppo sovrappensiero per accorgersi dei suoi passi. «Accidenti, Sid! Che spavento. Vieni, ci sono le crêpes.» «Wow, come mai le crêpes oggi?» si stupì Sid. Suo padre era sempre molto di corsa. Era un infermiere ed era spesso fuori casa. Non aveva molto tempo per preparare i pasti, per cui spesso Sid si arrangiava da solo. Trovare delle crêpes calde era una sorpresa molto gradita. Si servì e prese posto a tavola davanti al padre. Come ogni giorno non poté fare a meno di notare la sedia vuota di fianco a sé. «Programmi per oggi?» chiese il genitore, posando la tazza azzurra con i baffi disegnati. «Niente, e tu?» chiese Sid di rimando, assaggiando il primo boccone di crêpes con il cioccolato fuso. «Mmh, ho il turno pomeridiano, quindi mi godo la mattinata non facendo assolutamente nulla. Se vuoi, più tardi possiamo andare a fare una corsetta nel parco.»
4 «Scusa, ma direi di no… sai che non mi piace correre» rispose come ogni volta che gli veniva fatta quella proposta. «Io ci provo. Ti farebbe bene un po’ di attività fisica. Stimola le endorfine» spiegò il padre, senza alzare lo sguardo dal tablet. «C’è un concerto dei Priz Ten domani sera… è gratuito a quanto pare e io, per pura combinazione, sono a casa. Vuoi andarci?» Sid lo fissò stupito. Le crêpes per colazione, il concerto… «Sul serio?» «Certo. Perché no?» «Perché li detesti.» «Vero, ma vorrei fare qualcosa insieme. Ho lavorato parecchio ultimamente e siamo stati poco insieme, quindi mi sembrava una buona idea.» «Ok» rispose Sid, vedendo la sua giornata prendere una piega più positiva. Suo padre era cambiato nell’ultimo anno. Era come la luna. Senza il sole era solo un ammasso di pietre grigie, prive di luce e di colore. Nel caso specifico, il sole era stata sua madre. Lo era stata per tutti, anche per lui. Quella sedia vuota lo ricordava ogni giorno, tanto che aveva pensato più volte di metterla in un’altra stanza per non doverla guardare ogni giorno. Non che ci fosse molto spazio in casa, ma forse poteva servire in camera di suo padre per riporre gli abiti la sera. Tutti gli dicevano che il tempo avrebbe aiutato a dimenticare il dolore della sua perdita, ma dopo un anno sembrava che il dolore non se ne volesse andare. Forse stavano iniziando a voltare pagina. La proposta di suo padre lo faceva sperare. Sid stava sciacquando il proprio piatto quando squillò il telefono. Sentì il padre rispondere e poi chiamarlo. «È Dereck» disse porgendogli il telefono. «Ciao D.» «Ciao, S. Che fai oggi?» «Fammi pensare… niente» rise. «Allora mi sembra di capire che potrebbe interessarti fare un salto da me.»
5 «Vediamo, non saprei. Cosa mi proponi?» disse Sid, fingendo di fare il difficile. «Ah be’, l’idea è fare i compiti, lucidare l’auto di mio padre, pulire a fondo il frigo e per ultimo fare una sana merenda con insalata e tofu.» Sid rise. Apprezzava l’ironia di Dereck che riusciva quasi sempre a farlo ridere. «Certo che se mi tenti in questo modo non posso proprio rifiutare. A che ora?» «Facciamo per le tre. Aspetto che il vecchio si levi di torno, così abbiamo tutta casa per noi.» «Ok. A dopo allora.» Sid tornò in cucina e finì di sciacquare la tazza di suo padre. Erano quasi le dieci quando l’uomo tornò dalla camera con la sua tenuta da corsa. «Vai da Dereck oggi?» «Sì, alle tre.» «Io starò fuori un’oretta. Prendo un pollo arrosto al ritorno.» «D’accordo.» Sid passò il resto della mattinata sfogliando svogliatamente una rivista di videogiochi. Quando tornò il padre pranzarono con insalata e pollo arrosto, risero delle nuove avventure raccontate da Liam Barry in televisione, e parlarono del concerto del giorno dopo. Arrivarono presto le due e mezza. Sid s’incamminò verso l’autobus con passo spedito e le cuffie nelle orecchie. La strada per arrivare da Dereck era breve, ma Sid non aveva voglia di camminare sotto il sole cocente del Texas. Scese dopo sole due fermate per fare l’ultimo pezzo non raggiungibile dai mezzi pubblici. Ogni volta si sentiva come il cugino povero che, vestito di stracci, andava a trovare il parente riccone. La strada era leggermente in salita, e la villa sorgeva su una piccola colina creata appositamente in un paesaggio altrimenti piuttosto piatto. Sulla destra c’era un bellissimo giardino roccioso, curatissimo dai molti giardinieri. C’erano svariati tipi di cactus come il Saguaro e centinaia di piante grasse coperte di fiori colorati. Sua madre lo avrebbe adorato. Lei era stata attratta da ogni tipo di pianta, ma le sue preferite erano state di sicuro le piante grasse. Ce n’era ancora una a casa, sul
6 davanzale della cucina sopra il lavello. L’unica che era sopravvissuta alle poche cure elargite da lui e da suo padre. Forse si erano decisi a curarla di più proprio perché era l’ultima, perché dopo quella non ci sarebbero più state altre creature viventi meritevoli di attenzioni. Così cresceva in modo impercettibile sotto i loro occhi, regalando ogni tanto un piccolo e frangiato fiore viola, come in segno di gratitudine per le piccole cure che le elargivano. Si accontentava di poco, solo qualche goccia di acqua e qualche pallina di concime, residuo di un sacchetto comprato da sua madre in un tempo così distante da sembrare appartenere a un’altra vita. Sulla destra invece c’erano alti cespugli fioriti, dei baobab e delle alte palme. All’inizio, quando aveva conosciuto Dereck, Sid non aveva capito chi fosse. Era successo allo skate park durante una gara degli skater locali. Dereck era solitario e a Sid era sembrato strano che fosse solo, perché da come vestiva, da come si pettinava all’ultima moda, dalla postura stessa del corpo, sembrava uno che la sapeva lunga, uno che si circondava di amici. Sid era andato da solo perché molti suoi amici in quel periodo erano via per le vacanze di Natale e lui non aveva nessuna voglia di stare a casa da solo a guardare l’angolo vuoto in cui ogni anno veniva addobbato l’albero di Natale. Era stato forse il caso a far sì che ci fosse un solo posto disponibile sulle gradinate, ed era quello accanto a Dereck. Avevano iniziato a chiacchierare, facendo osservazioni divertenti sui vari concorrenti della gara, ed entrambi erano rimasti a bocca aperta nel vedere Cindy Leen sbaragliare tutti con un doppio Ollie a fine corsa. Oh, Cindy Leen… avevano sospirato entrambi quando era salito l’applauso, ed erano scoppiati in una fragorosa risata nello stesso istante. La ragazza dai lunghi capelli biondi aveva sorriso con quelle sue due adorabili fossette sulle guance, facendo sognare ogni ragazzino presente e inviperire ogni ragazzina, rosa dall’invidia. Cindy Leen era una rara commistione di qualità. Era bella ma non se la tirava. Era intelligente ma non spocchiosa. Era simpatica ma non stupida. Vestiva in modo sportivo ma non sciatto. Era la ragazza perfetta, e poi era una vera bomba con lo skate. Leggera come una libellula, eseguiva salti complessi per chiunque, con abilità e grazia,
7 lasciando tutti a bocca aperta. Sia Dereck che Sid erano lì proprio per quello. C’era anche un’altra ragazza tra i concorrenti: Eleanor Tite, ma non si avvicinava nemmeno un po’ alla bravura di Cindy. Le due ragazze erano grandi amiche e spesso si allenavano insieme, ma sembrava che per quanti sforzi facesse Eleanor non riuscisse proprio a eguagliare Cindy. Nonostante ciò, la loro amicizia pareva non risentirne. Eleanor riconosceva l’incredibile competenza di Cindy e Cindy non faceva pesare questa sua superiorità. Un equilibrio perfetto, come sullo skate e come stava succedendo tra Dereck e Sid. Dereck sembrava non far caso alla sua condizione privilegiata e non aveva alcun interesse a vantarsene. Sid, d’altro canto, non era stato attratto da lui per quello che aveva ma per com’era, dal momento che per i primi mesi non sapeva nemmeno dove abitasse e chi fosse suo padre. Se lo avesse saputo, molto probabilmente non si sarebbe nemmeno avvicinato, ritenendolo fuori dalla sua portata. Avevano molti interessi in comune, erano entrambi bravi studenti, anche se frequentavano due scuole diverse. D’altra parte, il figlio di Alexander Gregor O’Brian non poteva certo andare alla Scuola Statale di Riversfield. Anche Dereck aveva perso la madre da poco più di due anni, per una stupidissima puntura di insetto e il conseguente shock anafilattico. Quando suonò al pesante portone di legno borchiato, al riparo dell’alto portico in stile coloniale, tanto bianco da accecarti, assaporò per un attimo una quanto mai rara brezza sulla pelle sudata. Dereck arrivò correndo dalla scalinata centrale che portava ai piani superiori. Lo sentì galoppare verso la porta e girare la maniglia. «Ehi!» «Ehi!» si salutarono dandosi la mano sopra le teste in quel giovanile saluto che era una via di mezzo tra una stretta di mano e un batti il cinque. «Programmi?» chiese Sid. «Il vecchio è andato via da poco, quindi non ho avuto tempo di allestire il tutto, ma ho Capitan Marvel da vedere con aria condizionata a palla e popcorn che adesso chiederò a Mailii di preparare. Poi… aspetta, fino a che ora puoi stare?»
8 «Siamo tranquilli fin dopo cena. Mio padre arriverà non prima di mezzanotte.» «Uh, fantastico! Allora ci facciamo prima un tuffo in piscina e dopo guardiamo il film, così ci godiamo la giornata intera. Dopodiché, rullo di tamburi, chiediamo a Mailii di prepararci dei tacos. Che ne dici? E magari del guacamole. Terminiamo in bellezza con una coppa gelato e macedonia di fragole.» «Tu sei fantastico! Mi hai letto nel pensiero. La prossima volta se vuoi ti invito a casa mia. Il programma sarebbe: doccia sotto il getto d’acqua gelata che, come dice mio padre, tonifica, corsetta intorno all’isolato o forse prima corsetta e poi doccia… lo decidiamo sul momento. Poi film, ho un Casablanca in videocassetta, che forse non hai mai visto, e per cena posso chiedere a me stesso di prepararti un uovo strapazzato, e per dessert cereali al cioccolato!» Dereck rideva talmente forte che si piegò in due tenendosi la pancia e lacrimando. Era bello prendersi in giro davanti a qualcuno che non giudicava affatto il tuo modo di vivere. «Ok, ora basta se no vomito dal ridere. Mi piace il tuo programma e penso proprio che accetterò.» E forse lo avrebbero fatto sul serio, perché fare qualcosa di così banale con un amico con cui stavi bene davvero poteva essere talmente divertente da farti piangere dal ridere. La piscina aveva una forma ovoidale con una metà d’acqua più bassa, dove potevano stare in piedi, e una d’acqua più alta dove potevano nuotare. Erano entrambi ottimi nuotatori. Fecero la doccia all’aperto, si asciugarono al sole e poi si rivestirono con calma prima di rientrare. La casa di Dereck era enorme, una vera villa hollywoodiana, con arredo moderno e bianco, pavimenti in legno di quercia e una quantità di stanze da perderne il conto, oltre a sette bagni. Uno per ognuna delle tre camere da letto, due al piano terra, uno nel seminterrato, dove c’erano la sala giochi la sala cinema, e uno accanto allo studio di suo padre. Proprio passando di fronte allo studio, lo sguardo di Sid cadde su una struttura alta circa due metri e larga un metro e mezzo, coperta da un
9 lenzuolo bianco. Poteva forse essere una statua, ma era un posto quanto meno bizzarro per tenerla. «Cos’è?» chiese rivolgendosi più a se stesso che a Dereck. «Oh, quella? Il nuovo progetto di mio padre. A dire il vero non lo so di preciso. Non è che parli molto con me» rispose Dereck un po’ rattristato. Sid trovava fantastico il padre di Dereck. Era spiritoso, pieno d’inventiva, intelligente, sofisticato, e passava un mucchio di tempo con il figlio. Spesso giocavano insieme a golf, andavano a cavallo nel loro ranch fuori città e facevano un sacco di viaggi, addirittura in Europa. Un posto che a lui sarebbe piaciuto visitare, in effetti. Una volta il padre di Dereck glielo aveva persino proposto, ma suo padre non era stato per nulla d’accorto. Ricordava quel giorno come il giorno della peggiore litigata che avesse mai fatto con suo padre. Lui era nato a Riversfield, ma i suoi genitori erano entrambi originari di Roma, dove erano rimasti molti dei loro parenti ancora in vita. La nonna Ilde, zia Carla, zio Elio, zia Lia e zio Giacomo e tutti i cugini. Lui li aveva visti solo due volte in occasione delle nozze di zia Carla e zio Elio e durante le feste di Natale di qualche anno prima, ma il viaggio era lungo e costoso, per cui non era una passeggiata per loro riuscire a mettere da parte abbastanza soldi per poter tornare in Italia. Inoltre, da quando non c’era più la madre, la situazione era peggiorata anche dal punto di vista economico, perché la pasticceria di sua madre era stata il punto forte delle loro entrate mensili. Non credeva esistesse al mondo una cuoca migliore di lei, a parte forse la nonna Ilde, che però non era così brava con i dolci come lo era stata sua madre. Nessuno in città poteva dimenticare la sua crostata con curd di lamponi e meringa all’italiana, o la sua meringata al limone. Sid, però, non voleva addentrarsi troppo nel discorso perché sapeva che Dereck non amava parlare del rapporto con suo padre. Attraversarono il corridoio che portava alla sala da pranzo e poi al dehor posteriore, dove c’erano tavolo e sedie, un dondolo di legno, divani bassi di ratan, un tavolino di vetro e basse palme ornamentali. Il corridoio era tappezzato di foto della madre di Dereck; una donna bellissima con folti capelli castani, uno sguardo scuro e intenso e la carnagione olivastra che Dereck aveva ereditato.
10 Era stata una famosa modella prima di innamorarsi perdutamente dello scienziato dinoccolato e trasferirsi in Texas per occuparsi del figlio. Si gustarono un succo di frutta, in attesa che l’aria condizionata appena accesa rinfrescasse la sala cinema. Parlarono della scuola appena terminata e dei programmi per le vacanze, poi scesero a guardare Capitan Marvel con un contenitore pieno di popcorn e una scorta di bibite gasate che nessuno dei due beveva molto di frequente.
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CAPITOLO 2
Erano passati quattro giorni dall’ultima volta che Dereck e Sid si erano visti. Lui era stato impegnato con un corso estivo di lingua cinese – che il padre aveva insistito che facesse – e Sid, beh… Sid si era trovato qualcosa da fare che non fossero solo compiti per le vacanze e faccende di casa. Per esempio aveva trovato un blog fortissimo, dove c’era un tizio che si faceva chiamare Bemolle e che prometteva di insegnarti a suonare la chitarra nel giro di qualche giorno. Era un tipo assurdo, tutto battute e risatine, e in effetti qualche accordo Sid lo aveva imparato, ma era ben lontano dal saper suonare la vecchia chitarra di suo padre. Sapeva che c’era un tipo vicino al market che dava lezioni private, ma costava venti dollari l’ora e quindi era fuori dalla sua portata. Chissà… forse un giorno. Sentì la chiave girare nella toppa. Suo padre era tornato prima del solito. Avevano passato giornate abbastanza serene ultimamente, e il padre sembrava più rilassato di prima. Forse stava cominciando ad accettare la sua condizione di vedovo e questo permetteva anche a lui di sentire meno il peso della loro perdita. «Sid» il padre lo chiamò dalla cucina. Sid spense il PC e appese la chitarra al gancio in camera sua. «Sei arrivato presto» disse raggiungendolo. «Sì, e ho portato la carne di Marvin Stackhouse» annunciò facendogli l’occhiolino. Sid sorrise, si leccò i baffi e si strofinò le mani per sottolineare quanto apprezzasse quella sorpresa. «Il concerto, la carne… cosa bolle in pentola?» chiese con fare indagatore.
12 Suo padre si fermò un momento. Le mani ferme sopra il pacchetto di stagnola. Sembrava indeciso su cosa rispondere, poi inspirò rumorosamente. «Ho sognato tua madre la scorsa settimana, ma non era un sogno triste. Lei era lì, come sei tu qui adesso. Mi ha abbracciato, mi ha sorriso e mi ha parlato a lungo. Con quel suo modo un po’… dispettoso. Prendendomi in giro come faceva spesso per il mio essere troppo serio, troppo controllato. Mi ha detto che stavo sprecando il mio tempo. Che lei avrebbe dato qualsiasi cosa per averne ancora e io invece lo stavo solo sprecando e che stavo sprecando il tuo. Era così serena, così solare che le ho chiesto se potevo andare con lei e… me ne vergogno, perché in quel momento pensavo solo a me stesso e non a te che saresti rimasto solo. Lei si è messa a ridere e mi ha detto di non fare lo sciocco. Che mi dava persino il permesso di frequentare altre donne, ma che mai nessuna avrebbe dovuto usare le sue pirofile nuove. Ti sembra possibile? È stato un sogno lungo e così vero da poterlo annusare. Da poterlo toccare. Sentivo il profumo dei suoi muffin e il rumore dell’acqua nella lavastoviglie, il piano liscio della cucina sotto le dita. Poi mi ha preso le mani e mi ha detto che lei era qui sempre. Che non la potevamo vedere, ma che ogni volta che ci sedevamo a tavola lei era lì, al suo posto, con un piatto di uova strapazzate davanti. Che ogni volta che noi respiriamo lei respira con noi e se siamo felici lei è felice. Se siamo tristi lei scompare ogni giorno un po’ di più. Non voglio che scompaia. Voglio che sia qui vicino a noi e non so se mai riuscirò davvero a frequentare un’altra donna, ma giuro su Dio che mai e poi mai le farò toccare quelle dannate pirofile.» Spiegò tutto d’un fiato. Sid non seppe cosa rispondere. Forse non c’erano parole adatte quindi fece l’unica cosa che gli parve sensata e lo abbracciò. Mangiarono con gusto la carne grigliata, cosparsa da una gran quantità di spezie, e guardarono in TV un programma di approfondimento scientifico che interessava molto entrambi. A metà del programma, Susy Dolfin annunciò una puntata speciale che sarebbe andata in onda il giorno successivo e che sarebbe stata incentrata su Alexander Gregor O’Brian. Padre e figlio si guardarono basiti.
13 «Il padre di Dereck» constatò suo padre, non senza una punta di fastidio. Sid non avrebbe saputo spiegarne il motivo ma suo padre non aveva in simpatia quell’uomo. Solo una volta si era lasciato sfuggire un commento, ma altrimenti evitava di parlarne per non ferire Sid, che sapeva essere affascinato dallo scienziato e molto legato a suo figlio Dereck. «Già.» «Per esserci addirittura una puntata intera su di lui, deve aver fatto la scoperta del secolo.» Poteva sembrare stupido ma Sid si sentiva orgoglioso di conoscerlo e di essere il migliore amico di suo figlio, quasi che fosse anche lui parte delle sue conquiste nel mondo scientifico. «Dobbiamo solo aspettare la puntata speciale di domani per scoprire di cosa si tratta, vero Ralph?» «Oh certo, mia cara Susy. E non vediamo l’ora che il dottor O’Brian ci spieghi tutto, anche se probabilmente io capirò tutto e tu no!» Risate in studio. «Vedremo Ralph, vedremo. Intanto terminiamo questa puntata, così ti spiego come si usa la macchinetta del caffè.» «Grazie Susy, ne avrei proprio voglia. Se solo quella macchinetta infernale fosse più semplice!» Altre risate e poi partirono i titoli di coda del programma. Il primo istinto di Sid fu di chiamare Dereck e chiedergli di cosa si trattasse, ma poi ci ripensò. Se non lo aveva chiamato lui stesso per raccontarglielo, significava che non poteva farlo e insistere sarebbe stato quanto meno scortese da parte sua. Avrebbe aspettato con trepidazione il giorno successivo.
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CAPITOLO 3
La giornata era passata in un attimo, forse perché Sid aveva cercato di tenersi quanto più impegnato possibile per non pensare al tempo che ancora mancava alla puntata di Special Science che sarebbe iniziata alle otto di quella sera. Suo padre aveva fatto il turno del mattino, era rientrato nel primo pomeriggio, aveva fatto un pisolino, era uscito per comprare il latte, e poi era rientrato per preparare delle omelette per cena. Sid preparò il tavolo e accese la televisione, sintonizzandola sul canale sei. «Inizia tra poco» annunciò a suo padre. «Ah sì, lo avevo dimenticato.» Sid non ci credette nemmeno per un momento. Voleva solo far finta che non gli importasse. In realtà era più curioso di lui. Susy annunciò l’ospite e spiegò che ci sarebbero state delle riprese esterne che avevano realizzato il giorno precedente. Disse che la scoperta del dottor O’Brian sarebbe stata una pietra miliare, e che niente sarebbe più stato come prima. La scoperta del secolo che avrebbe cambiato la vita a tutti. La curiosità aumentava a ogni parola. Poi fu la volta di Ralph, che diede il benvenuto al dottor O’Brian in studio. Ci furono applausi a non finire, e diverse donne tra il pubblico si misero a strillare come a un concerto di Michael Jackson. La madre di Sid adorava Michael Jackson, e lui aveva visto in videocassetta tutti i suoi concerti, e in effetti non poteva che essere d’accordo con lei sulla sua estrema bravura. Susy accolse il “dottor O” – come lo chiamava Dereck – con un caloroso abbraccio e le guance rosse di emozione.
15 «È la prima volta che abbiamo in studio il dottor O’Brian, e ne siamo davvero molto orgogliosi, vero Ralph?» «Io ne sono orgoglioso… tu sei in preda a una crisi adolescenziale a quanto vedo!» Risate in studio. Dopo i convenevoli, la puntata entrò nel vivo e la notizia era così sconvolgente da impedire a Sid di concentrarsi sul cibo che aveva nel piatto e che mangiò senza neppure rendersene conto. «Questo vuol dire che… Ralph io sono senza parole!» «Mia cara, puoi dirlo forte. La prego, mister Brown, ci illustri le ripercussioni che avrà questa scoperta sulla nostra miserabile vita di tutti i giorni.» Mister Brown era un vecchio e canuto professore, spesso ospite della trasmissione. Aveva un modo di parlare pacato e chiaro che catturava l’attenzione anche quando gli argomenti non erano poi così entusiasmanti. Valeva ogni dollaro che gli veniva pagato. «Devo dire che anch’io, come voi, sono piuttosto scioccato dalla notizia. Fino a qualche ora fa non avevo idea di quale sarebbe stato, in effetti, l’argomento e lo comprendo. Non si voleva far trapelare la notizia anzitempo. Non ho avuto molto tempo, quindi, per preparare un discorso, ma posso dirvi che non serve prepararsi per rendersi conto di quali enormi vantaggi porterà questa scoperta. Sembra quasi una di quelle notizie troppo belle per essere vere e anche in questo caso mi aspetto che arrivi un qualche contestatore, non meglio identificato, per spiegarci che questa scoperta causerà un livello di inquinamento esponenziale che porterà all’estinzione di ogni essere vivente, o livelli di radiazioni tali da farci nascere tutti con otto braccia a partire dalla prossima generazione. «Insomma ci dovrà pur essere un lato negativo, ma iniziamo dai lati positivi, e solo dopo l’esposizione del dottor O’Brian potremmo comprendere più a fondo il funzionamento vero e proprio di questo marchingegno così fantascientifico.
16 «Fino a oggi abbiamo sempre utilizzato diversi modi per muoverci e, nonostante gli sforzi congiunti di menti brillanti, non abbiamo trovato un sistema per eliminare, o quanto meno limitare, l’inquinamento che i nostri spostamenti producono. E non solo i nostri spostamenti, ma anche quelli delle merci che viaggiano costantemente in tutto il mondo. «Ora… io sono grato all’universo di avermi fatto vivere abbastanza a lungo da farmi presenziare a questo momento di incredibile importanza storica, sociale, culturale. «Che cosa vuol dire spostarsi in questo modo alternativo e chi davvero potrà utilizzarlo? Sarà come le auto elettriche, che hanno un costo talmente elevato che possono permettersele solo in pochi? Perché allora non farà alcuna differenza reale. Oppure ce ne saranno a disposizione di chi non può permettersi di averne una personale? E credo siano in molti… «Sono molteplici le domande che si accavallano nel mio vetusto e sopravvalutato cervello. Ma torniamo ai lati positivi: inquinamento da veicoli azzerato; traffico azzerato; incidenti stradali azzerati; tempi di percorrenza azzerati. «Pensate… potrei abitare in mezzo alla più rigogliosa foresta canadese, lavorare a Parigi e cenare a Napoli nella stessa giornata! Signori, è incredibile, più mi addentro nell’argomento e più ne sono entusiasta. «Disoccupazione azzerata; ripopolamento di aree abbandonate a causa della mancanza di lavoro; e poi… oh signore! La mia materia grigia si sta sovraccaricando! Presto avrò bisogno di un riposino per non fondere. «Pensate, signori, le emergenze mediche potranno essere trattate nel modo più veloce in ogni parte del mondo a seconda del tipo di emergenza. «O i piatti da asporto? Pensate se io oggi volessi mangiare del sushi vero preparato a Tokio! «Non riesco nemmeno a comprendere tutti i vantaggi che questa scoperta porterà. Sono troppi e incalcolabili. Immaginate quanta parte della vostra vita viene, per così dire, sprecata su una strada, a un semaforo, in coda al casello. Tutto dimenticato. Ore e ore tutte da guadagnare.»
17 «Professor Brown, la ringrazio per il suo intervento. Nessuno meglio di lei può trattare argomenti di simile importanza. Abbiamo anche, però, qualcuno che inizia a vederci dei lati negativi, come molte compagnie di trasporti che vedrebbero il loro lavoro del tutto inutile, centinaia di migliaia di autotrasportatori, taxisti e persino piloti d’aereo senza più un lavoro da svolgere. Questo sarebbe un vero dramma non crede?» Ralph diede di nuovo la parola al professore, mentre il dottor O’Brian ascoltava con un sorriso silenzioso in attesa del suo turno. «Sì, questo è l’altro lato della medaglia. Ma come in tutte le scelte bisogna valutare i pro e i contro di un cambiamento così epocale, e io sono dell’avviso che i pro superino di molto i contro. Coloro che potrebbero perdere il lavoro avranno modo di riqualificarsi per poter intraprendere nuove carriere e non avranno più il vincolo della distanza, quantomeno. Il mondo del lavoro non sarà più lo stesso. I paletti che c’erano fino a poche ore fa non ci saranno più, concedendo a chiunque di lavorare in qualsiasi parte del mondo e poter essere a casa per cena accanto alla propria famiglia. Questo è qualcosa di impagabile. Ma credo di aver parlato fin troppo. Vorrei tanto sentire l’opinione del dottor O’Brian.» «Dottor O’Brian, in effetti siamo tutti estremamente interessati ad ascoltarla.» Disse Susy emozionata. Il dottor O’Brian si schiarì la voce e cambiò posizione sulla poltrona azzurra, accavallando le gambe. Si sistemò gli occhiali sul naso e posò il pesante fascicolo sulle ginocchia. Sid era a bocca aperta, lo sguardo fisso sullo schermo. «Se non chiudi la bocca presto ti si seccherà la lingua e potremmo usarla come calzascarpe» gli disse suo padre. Sid si riscosse e lo fissò incredulo. «Che cos’avrà inventato, papà?» «Non lo so, ma presto lo scopriremo. La stanno tirando per le lunghe per aumentare il pathos.»
18 «Il cosa?» «La suspense.» «Ah. Ti rendi conto che è il padre del mio migliore amico?» «Mmh mmh» mugugnò, sgranocchiando un grissino salato. Se l’invidia fosse stata un oggetto solido e pesante, suo padre sarebbe stato spalmato per terra e schiacciato come una mosca sotto una ciabatta. «Sei invidioso» constatò Sid, pentendosi subito di averlo detto ad alta voce. Il padre lo fissò, aggrottando la fronte con espressione risentita. «No, non lo sono.» Sid non rispose, volendo evitare una discussione. «Cosa te lo fa credere?» continuò invece il genitore. «No… mi sembrava.» «Ti sembra male. Per tua informazione, io mi sono sudato ogni centesimo guadagnato. Non ho avuto la possibilità di frequentare le migliori università e non ho ereditato una compagnia come la Texas Corp da mio padre, come ha fatto lui. Certo, non metto in dubbio che sia intelligente, ma non mi piace la gente spocchiosa come lui che ha macchine da centomila dollari e che spende per una cena quello che io spendo in un mese di pasti. Inoltre non mi fido di lui.» «Non lo conosci! Come fai a dirlo?» «Perché le persone come lui sono tutte uguali. Pensano di poter fare tutto quello che vogliono senza dare mai spiegazioni e non fanno cose buone solo per il gusto di farle.» «Sei ingiusto» Sid sentiva le lacrime pungere dietro gli occhi. «Perché credi che Dereck non abbia amici a parte te?» Sid alzò le spalle. Se avesse usato la voce per rispondere, suo padre si sarebbe accorto che tremava. «Perché su di te ha potere. È questo che piace alla gente come loro. Impressionare gli altri, avere potere, far vedere quel che hanno per risultare più importanti di quel che sono.» «Non è vero! Lo dici solo perché tu non hai amici! Solo perché tu sei invidioso di lui perché ha successo, e di me perché ho una vita sociale.» Sid si alzò dal tavolo, rovesciando la sedia. In televisione il dottor O stava già parlando da qualche minuto, anche se per fortuna la pubblicità precedente aveva posticipato l’inizio del suo intervento.
19 «Dove vai ora?» chiese suo padre arrabbiato. «A vederlo in camera mia!» strillò, cercando di tener duro e non piangere. Come poteva mettere in dubbio la sua amicizia con Dereck? Come poteva togliergli l’unico legame importante che sentiva di avere? Perché era così cattivo? Così invidioso? Così meschino? Sua madre non avrebbe mai e poi mai detto niente del genere. Lo avrebbe appoggiato, avrebbe gioito con lui e per lui. Mai come in quel momento ne sentiva la mancanza. Si asciugò furente le lacrime con la manica della maglietta, prima di accendere la piccola e vecchia televisione a tubo catodico, residuo di un lontano passato. Era stato un regalo della nonna Ilde. Non aveva molti soldi, ma quando era venuta in America aveva trovato quella televisione-dinosauro a un mercatino dell’usato, e dopo aver contrattato come solo un italiano riesce a fare, l’aveva regalata a sua madre per poterla mettere nel retro della pasticceria. In realtà sua madre non ne aveva alcuna necessità, perché non amava molto la televisione e preferiva di gran lunga leggere un bel libro, ma l’aveva accettata commovendosi per quel pensiero. L’accendeva tutti i giorni per qualche minuto, solo per rendere omaggio a quel gesto dolce di sua madre e sentirla così un po’ più vicina, poi la spegneva e si dedicava a preparare torte e pasticcini. I genitori di suo padre erano entrambi morti piuttosto giovani e lui non li aveva nemmeno conosciuti purtroppo. Sapeva, però, molte cose su di loro dai racconti dei suoi. Quando parlavano della vita a Roma sembravano tanto felici. Sembrava una città fantastica per viverci, ricca di storia. Lì tutto parlava di un glorioso passato, fatto di conquiste e di ricchezza, di cultura e di battaglie coraggiose. Era affascinato dalla storia di Roma e del suo immenso impero. Sullo schermo, il dottor O stava parlando con aria seria. «Ho lavorato a lungo a questo progetto. La mia famiglia sa che almeno venti ore al giorno, cinque giorni alla settimana, ho studiato, fatto esperimenti e sfruttato fino all’osso i miei assistenti.» Risate in studio.
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«Ma ne è valsa la pena, perché finalmente siamo pronti. L’esimio professor Brown ha parlato a lungo, senza farsi sfuggire l’oggetto della scoperta, e gliene sono grato perché, dopo tanto lavoro, voglio poterlo svelare io. L’abbiamo chiamata Space Machine 881.» Il silenzio in studio era assoluto. «Per gli addetti ai lavori: S.M. 881. Al momento ce ne sono due esemplari: uno a casa mia, nel mio studio, e una alla Texas Corp, la mia azienda. Nel breve filmato girato al di fuori di questo studio, vedrete la SM881 in funzione. «Da secoli l’uomo desidera poter viaggiare nel più breve tempo possibile, e le attuali condizioni climatiche mi hanno spinto in una direzione ben precisa. Come sottolineato dal professor Brown, questa scoperta porterà a un annullamento totale dell’inquinamento dovuto ai mezzi di trasporto. Non mi pronuncio sugli altri tipi di inquinamento, perché non posso certo pensare a tutto io!» Risatine soffocate. «Ma veniamo al dunque. Credo sia ora di rivelarvi che cos’è SM881. È uno smaterializzatore a senso inverso. Vuol dire che da una parte smaterializza e dall’altra rimaterializza. Funziona con un semplice bracciale, come quello che adesso ho al polso.» La telecamera inquadrò il bracciale molto simile a un orologio di quelli che si usavano per fare sport e che contavano le pulsazioni e la qualità del sonno. «Semplicemente si entra nella capsula e si inserisce la destinazione. In pochi secondi si raggiunge il luogo desiderato e si esce dall’altra capsula. Per rispondere ad alcuni dubbi del professor Brown, posso dirvi che avrà un costo sostenibile da molte famiglie. Non lo abbiamo ancora stabilito, ma si parla di una cifra che si aggira intorno ai centocinquantamila dollari.»
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Brusìo in studio. Evidentemente non molti erano d’accordo sul fatto che fosse una cifra “sostenibile” per molte famiglie. «Per chi non potrà permettersela, saranno installate all’interno di appositi uffici aperti al pubblico, per evitare atti vandalici, e chi ne avrà necessità potrà recarvisi e utilizzarla.» Susy prese la parola. «A quale costo, dottor O’Brian?» «Dipende dalla destinazione, ovviamente, e dal motivo. Diciamo che chi si dovrà recare per lavoro a Lione, pagherà l’equivalente di un biglietto del treno per una tratta medio-breve… diciamo una quindicina di dollari. Chi vorrà andarci per svago, pagherà all’incirca il doppio. Questo solo per i primi tempi, per rientrare degli investimenti fatti. Più saranno presenti sul territorio, più saranno usate e più scenderà il costo. Se normalmente lavorate, come me, a cinquanta chilometri da casa, il costo sarà di circa due dollari. Ma niente più costo della benzina, del cambio degli pneumatici, dell’assicurazione. Insomma, un notevole risparmio per chiunque e infinite possibilità di spostamento per lavoro e per divertimento. Non vi nascondo, non potrei, che sono davvero entusiasta di aver messo a punto questa macchina.» «Io dico che vorrei vederla in funzione, e tu Susy?» «Ralph, io sono talmente sconvolta dalla rivelazione che lascio in mano tua qualsiasi decisione. Approfittane, perché non credo ricapiterà mai più… a meno che qualcuno non arrivi qui con l’invenzione della macchina del tempo.» Sid non riusciva più a pensare a niente di preciso. La sua mente era un mercato d’idee, voci, immagini, e tutte continuavano a sussurrargli: Roma. Quanto poteva costare un viaggio a Roma con quel sistema? Se non aveva capito male, quaranta dollari. Sarebbe stato fantastico! Sarebbe potuto andarci persino due o tre volte al mese.
22 O magari trasferirsi lì e venire ogni tanto in Texas a trovare gli amici. In fondo, suo padre avrebbe potuto continuare a lavorare lì, ma vivere il resto della giornata nella sua amata Italia. Non poteva non essere entusiasta di un’idea del genere! Si fiondò fuori dalla stanza e lo raggiunse in cucina. «Hai sentito?» chiese euforico. «Sì, ho sentito.» «Non è fantastico? Potremmo andare ad abitare vicino alla nonna e continuare a lavorare e andare a scuola qui!» Suo padre lo guardò poco convinto, mentre sorseggiava l’ultimo goccio di caffè. «Sì, forse.» Per chiunque quel sì, forse sarebbe stato uno spiraglio verso la speranza ma Sid conosceva suo padre, i suoi modi di dire e il suo linguaggio, e sapeva con esattezza che quel sì, forse significava: Sid, è una sciocchezza e non mi va di parlarne oltre. La cosa lo fece imbufalire più di quanto gli fosse mai capitato. Con le lacrime che pungevano subdole, uscì di casa sbattendo la porta dietro di sé. Sentì suo padre chiamarlo pochi secondi dopo, ma non tornò indietro e non rallentò la sua corsa verso il piccolo parco, a quell’ora deserto. Ringraziò quella solitudine e le ombre della sera, che gli permettevano di sentirsi meno esposto allo sguardo degli altri.
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CAPITOLO 4
Erano passati due giorni da quando c’era stata la notizia, e Sid e suo padre si erano rivolti a malapena la parola. L’atmosfera era pesante, ma fortunatamente quella mattina Dereck lo aveva chiamato per invitarlo a casa sua. Gli aveva chiesto di restare anche per la notte, ma Sid non voleva chiedere il permesso a suo padre. Sarebbe stato troppo umiliante. Così si accontentò di passare il pomeriggio lontano da quell’appartamento triste, e dall’ancor più triste padre che aveva. Si preparò un pranzo veloce, con un hamburger e dell’insalata, lavò i piatti e ripulì per bene il lavello, come gli aveva insegnato sua madre quando era ancora molto piccolo, sostenendo che non doveva nascondersi dietro il fatto di essere maschio per non avere cura del luogo in cui viveva. In men che non si dica arrivarono le due e lui scappò fuori come il vento, diretto verso il bus che sarebbe passato di lì a pochi minuti. Quando salì, si accorse che alla guida c’era Missy Clark, una corpulenta signora di mezza età con il carattere più solare che si potesse immaginare. «Giovanotto, buongiorno! Hai l’abbonamento, vero?» «Sì, signora» rispose Sid, prendendo posto subito dietro di lei. Non c’era nessuno sul bus a parte lui. «Ma dove sono finiti tutti?» chiese guardandosi attorno. «Oh, credo proprio che siano alla conferenza di quel medico che ha inventato quella cosa che molto probabilmente mi toglierà il lavoro. O forse no, chi lo sa! Certo non mi dispiacerebbe smettere di lavorare, ma purtroppo nessuno vuol pagarmi per andare a giocare a canasta, e questa è una bella disdetta, non trovi?» «Non sapevo ci fosse la conferenza oggi.»
24 «Oh sì, c’è eccome. Io comunque non mi farò mai smaterializzare da niente e nessuno. E se poi mi rimaterializzo male? Tipo con un occhio su una chiappa? O se entra una mosca nella cabina, come è successo al tizio in quel film e divento una Clarkmosca? No! Non mi beccheranno mai. Piuttosto vado a piedi da qui in Perù, così magari perdo peso e divento una modella. Chi lo sa. Vedi, giovanotto, le strade da percorrere davanti a noi sono infinite. Dove vai di bello tutto solo?» «Ah, ehm, a trovare un amico. Niente di speciale. Solo un pomeriggio da un amico.» «Bravo, fai bene. Gli amici sono importanti, sai? Lo dico sempre a mia figlia Linda. Lei è una solitaria; solo libri, televisione e lavoro, ma non è un bene. Tutti quelli della sua età sono ormai sposati e lei, con quel suo caratteraccio, è sempre sola. Non so cosa farò di quella ragazza. Da una parte mi fa tanta pena ma dall’altra mi fa arrabbiare, sai? Chi lo sa… forse sbaglio io e lei è davvero felice così, ma io non potrei mai stare sempre sola in quel modo.» Sid annuiva educatamente, mentre si alzava per raggiungere le porte. «Va tutto bene, giovanotto?» chiese ancora con il sopracciglio alzato, stupita di non avergli strappato almeno un sorriso. Tutto si poteva dire di Missy Clark, tranne che non fosse una donna, a suo modo, divertente. «Sì, tutto bene.» «Ah ecco. No perché mi sembri un po’ giù di corda.» «No, solo… un po’ stanco forse.» «Eh, va bene. Vai allora, altrimenti rischi di fare tardi! Corri! I ritardatari non piacciono a nessuno. Lo dico sempre a mia figlia quando mi fa aspettare sotto casa sua. Aspetto sotto perché sono allergica ai gatti e lei ne ha due, sia ben chiaro. Non perché mi lasci sotto come un randagio, eh.» Vedendo che Sid stava in bilico sul gradino con una mano ancora appesa al sostegno verticale, Missy diede un taglio alla conversazione e lo salutò con la mano. Finalmente Sid poté saltare giù dal bus e incamminarsi verso la villa bianca che spiccava su quel cielo azzurro senza una sola nuvola. Faceva piuttosto caldo e l’ultimo pezzetto di salita lo fece sudare, appiccicandogli la maglietta alla schiena.
25 Una volta davanti alla porta di casa di Dereck, fece per suonare il campanello, ma si fermò con la mano a mezz’aria quando sentì del trambusto all’interno. Curioso, avvicino l’orecchio alla porta. Dentro si sentivano voci concitate che si sovrapponevano e si alzavano sempre di più, come in un litigio fuori controllo. Che lui ricordasse non gli era mai capitato di vedere o sentire dei litigi in quella casa, quindi gli sembrava davvero strano che proprio quel giorno – in cui avrebbero dovuto festeggiare – si stessero accapigliando. Non avrebbe dovuto ascoltare di nascosto. Non era educato, non era corretto, ma era come incollato al pavimento e il suo udito sembrava aver escluso qualsiasi altro suono per riuscire a captare meglio il senso delle parole. «Non m’interessa! Non me ne frega niente! Lo vuoi capire o no?» stava dicendo Dereck «È così che la pensi? Credevo fossi più maturo. Che capissi il significato di quello che sta succedendo! Ma non importa. Continua a fare il bambino e non arriverai da nessuna parte. Somigli troppo a tua madre…» «Grazie, per me è solo un complimento» rispose infine Dereck, con la voce tremante. Un rumore di passi rapidi verso la porta gli fece saltare il cuore in gola. Si guardò veloce intorno, in preda al panico, per cercare un posto dove nascondersi, e non appena lo vide si tuffò sulla sinistra e si rannicchiò dietro il grosso vaso con il tasso ornamentale. Il dottor O corse fuori con passo militare, rabbioso in volto e con gli occhiali da sole calati sul naso. Salì sulla Berlina nera e in un attimo raggiunse la strada principale. Sid si asciugò la fronte con la mano e si raddrizzò, si spolverò le ginocchia e tornò davanti alla porta. Questa volta suonò senza aspettare oltre, e Dereck arrivò subito ad aprire, quasi si fosse trovato dietro la porta. «Ciao D.» «Ciao S. Vieni, entra.» «Ho visto tuo padre saettare via. Andava alla conferenza?» «Ah… sì, credo.»
26 «Credi? Ne parla tutto il mondo D! È persino strano che non sia andato con lui. Se io avessi un padre come il tuo, sarei troppo fuori di me in questo momento.» «Sì, certo. Non è come credi, Sid. A te piace perché non ci vivi. Ti posso garantire che è una persona orribile.» Qualcosa nelle parole di Dereck lo fece desistere, facendogli morire le parole sulle labbra. Cosa poteva avere di così orribile il padre di Dereck? Lui avrebbe fatto volentieri cambio con il suo, la cui più grossa preoccupazione era far quadrare i conti della spesa e la più grande ambizione pagare tutte le bollette in tempo. Certo, Dereck non aveva nemmeno idea di cosa volesse dire. Forse avrebbe apprezzato di più il suo vecchio se avesse vissuto per qualche tempo con un padre un po’ meno interessante. Avrebbe voluto dirgliele queste cose, ma non riusciva proprio a trovare un modo delicato di farlo, per cui lasciò perdere e lo seguì nella grande sala. «Idee per oggi?» chiese, prima di accomodarsi con un tonfo sulla poltrona di pelle. «Fammi sbollire un attimo e poi ci pensiamo» rispose Dereck, girovagando per la sala con le mani nelle tasche. «Ehi, ma che è successo?» azzardò Sid. «Lo odio.» «Perché?» domandò incredulo e accompagnando la domanda con un ampio gesto delle braccia. Dereck si fermò all’altro lato della stanza, con il viso rivolto verso la grande vetrata che dava sulla piscina. Si tormentava le mani dietro la schiena. Sembrava combattuto. «È difficile da spiegare, Sid. È… cattivo. Non è la persona che credi. È prepotente, offensivo ed egoista. Mia madre non è morta, Sid… mia madre è scappata. È scappata da lui. Voleva portarmi con sé ma lui glielo ha impedito. L’ho scoperto la settimana scorsa. È riuscita a contattarmi nonostante lui l’abbia fatta andare all’altro capo del mondo e minacciata se avesse osato farlo. Ho sempre saputo che era un bugiardo. Lo vedevo da come mi parlava, dalle sue contraddizioni. Fa il padre figo quando siamo davanti agli altri, ma poi quando siamo soli
27 diventa un’altra persona. Butta la maschera e diventa il verme che è in realtà.» Sid era senza parole. Avrebbe voluto fare mille e una domanda, ma tutte sembravano troppo personali, troppo indelicate. Si limitò a fissare l’amico, comprendendone la tristezza e la rabbia. «Voglio andarmene da qui. Vorrei che buttassimo giù un piano. Che mi aiutassi a farlo. Mia madre è in Grecia, nell’isola di Zacinto, e io voglio raggiungerla a qualsiasi costo.» «Ma…» gli morirono le parole in gola. In un attimo tutto era cambiato. Se fosse davvero accaduto, lui avrebbe perso il suo migliore e unico amico, ma non aiutarlo avrebbe significato non essere affatto suo amico, perché un amico vuole il tuo bene, la tua felicità. Giusto? Era una decisione difficile, ma di una cosa era certo: se Dereck avesse raggiunto sua madre in Grecia, allora se ne sarebbe andato anche lui! Non sarebbe rimasto in quella città a litigare tutti i giorni con suo padre. «Come posso aiutarti?» chiese infine, con un nodo alla gola che si stringeva sempre di più. «È semplice. Dirò a mio padre che voglio fare una settimana in campeggio con te. Acquisterò il volo aereo qualche giorno prima, così lui non se ne accorgerà dall’estratto conto della carta di credito. Non lo guarda spesso. Con una settimana avrò tempo di raggiungere mia madre e far perdere le mie tracce.» «Ma… rinuncerai a tutto questo anche» disse Sid pragmatico guardandosi intorno «non puoi semplicemente aspettare di diventare maggiorenne? Potrai fare quello che vuoi con i soldi di tuo padre e la polizia non ti cercherà? Così invece è una fuga e ti starà addosso per ritrovarti anche in capo al mondo. Tua madre non può tornare in America?» Dereck scosse la testa. «No… mia madre è terrorizzata da lui. Ha promesso di non tornare e non lo farà. Ho pensato al fatto che non avrò più niente di tutto questo» disse allargando le braccia «ma non posso più vivere qui con lui. Vorrebbe dire mentire a me stesso. Già prima non lo sopportavo… e ora… ora lo odio con tutto il cuore.»
28 Passarono la successiva ora a pianificare una fuga perfetta, a tratti anche divertendosi, come se in realtà fosse un gioco. C’erano diversi sentimenti che si rincorrevano nella mente e nel cuore di Sid: rabbia nei confronti del dottor O; invidia per quello che aveva Dereck in termini materiali; un’invidia più grande perché lui aveva scoperto di avere ancora una mamma, mentre Sid sapeva perfettamente che la sua era morta sul serio; impotenza perché sapeva di non poter cambiare il corso degli eventi in alcun modo; solitudine, come assaggio di quella che avrebbe provato quando D se ne fosse andato davvero. «Ho fame. Vuoi del gelato?» chiese Dereck raddrizzando la schiena dal tavolo dove c’erano tutti i loro progetti. «Sì.» Insieme andarono verso la cucina. Quel giorno erano completamente soli, perché Mailii aveva il giorno libero. Passando davanti all’ufficio del dottor O, Sid vide quella che in principio aveva pensato fosse una grossa statua coperta da un lenzuolo bianco. Era pronto a scommettere che fosse invece il macchinario che aveva inventato. Avrebbe voluto vederla e magari provarla. Chissà se gli sarebbe ricapitato, visto che adesso si prospettava la fuga di Dereck. Vinse l’imbarazzo e si fermò poco oltre la soglia dell’ufficio. «Mi piacerebbe sapere come funziona…» disse in un sussurro. Dereck si bloccò all’istante, non capendo bene a cosa si stesse riferendo. «Ah, quella… se vuoi te lo spiego.» Tornò indietro e si avvicinò al lenzuolo. Lo tirò da una parte per poter entrare dentro quella specie di tubo di vetro con un lato piatto di metallo e plastica neri, e una serie infinita di tasti e display. Dereck sbuffò, come se stesse mostrando una vecchia macchina da scrivere a un uomo della pietra. «Ecco. In pratica entri in questo affare, azioni quella leva di destra che accende tutto. Poi, con il tastierino alfanumerico, selezioni la destinazione; ti chiudi dentro con quest’altra leva e premi il pulsante verde là sopra.» «Perché è così in alto?» «Per evitare di schiacciarlo per errore, magari appoggiandosi.»
29 «So che lo odi, però, devi ammettere che è un genio.» «Sì, è vero. Non posso negarlo» assentì sospirando. «Non vorresti provare a parlarci prima di scappare?» «Scoprirebbe che mia madre mi ha cercato e sarebbe la fine. No, è fuori discussione» tagliò corto Dereck, ritornando sulla strada della cucina e del sublime gelato alla ciliegia che veniva dalla cremeria italiana migliore della città. Fecero merenda parlando della prossima gara di skate a cui avrebbe partecipato Cindy Leen, e che si sarebbe tenuta nella vicina Clarence. Si misero d’accordo per andarci insieme. Messi da parte i piani di fuga, tutto procedette come al solito, in beata allegria, con battute, scherzi, imitazioni e dolcetti. Dereck era un asso a fare l’imitazione del suo bidello e anche quella del suo giardiniere Augustin. Sid si sbellicava dalle risate quando lo vedeva mentre faceva finta di cogliere un petalo di rosa e metterselo nel naso per annusarlo per benino. Augustin, con il suo accento francese, diceva che non c’era niente di meglio dell’essenza di rosa per il mal di testa e per togliere il malumore. «Donc… si tu vuoi ti preparoo un po’ di essensa di rosa per ton pere… mi sembra sempre tres nervous…» Sid invece si dilettava con l’autista del pullman di quel giorno, oppure con l’acerrima nemica di Cindy Leen. «No… scusa… Cindy Leen? E tu la trovi carina?» disse sbattendo le ciglia «ma non lo vedi che ha la pelle secca? E i capelli? Li hai guardati bene? Sono tutti pieni di riflessi rossastri! Bleh. Per non parlare poi di quanto è secca. Sembra sul punto sparire. Mia madre dice sempre che è meglio fare invidia che fare pietà, e quella ti assicuro che fa solo pietà. Poi che sia brava nello skate lo pensi solo tu… cosa? I premi che ha vinto? Mah… secondo me li ha comprati.» Mellory era impossibile quando si trattava di altre ragazze, specie se non erano sue amiche. Risero a crepapelle quando Sid ne imitò la camminata e lo sguardo accigliato. Nonostante le premesse, era stato un pomeriggio divertente.
30 Quando arrivò l’ora di tornare a casa, Sid si chiese se avrebbe potuto provare la nuova invenzione del padre di Dereck. Ci rifletté a lungo, mentre si sciacquava mani e faccia per rinfrescarsi dalla calura estiva, e infine decise che non aveva niente da perdere. Non lo disse a Dereck, perché significava farlo diventare un complice, e non voleva creargli altri problemi con suo padre.
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CAPITOLO 5
Aveva fatto finta di andarsene e si era nascosto tra le siepi in giardino, all’ombra di una grande baobab. Ormai il grosso del caldo della giornata era scemato e si era alzata anche una leggerissima brezza. Si era trovato una posizione comoda e stava quasi per scivolare nel sonno, quando vide che Dereck usciva per dirigersi alla dependance. Sid conosceva abbastanza bene le abitudini del suo amico e sapeva che tutti i giorni, prima di cena, andava alla dependance a suonare la batteria per un’oretta circa. Era in gamba a suonare, era portato per la musica. Oltre alla batteria sapeva suonare anche la chitarra e il violino. Era stata sua madre a trasmettergli la passione per gli strumenti musicali e lui pareva onorarla ogni giorno dedicando del tempo alla musica. Non saltava mai quell’appuntamento, per cui Sid era sicuro di poter avere libero accesso alla casa e all’ascensore spaziale. Sempre che non fosse tornato suo padre, ma ne dubitava. La giornata per il dottor O sarebbe stata piena e lunga. Udì in lontananza la batteria che prendeva vita sotto gli abili tocchi di Dereck. Quanto lo invidiava! Avrebbe voluto somigliargli un pochino. Era considerato da tutti un figo, uno che la sapeva lunga. Era un nerd e un figo allo stesso tempo. Un miscuglio che alle ragazze piaceva parecchio a dire il vero. Lui invece si sentiva spesso solo nerd. Dereck faceva tutte quelle cose che in qualche modo rendevano la sua persona attraente e degna di rispetto: era in gamba nello sport, era un musicista eclettico, era il migliore della sua scuola, con ottime prospettive per il futuro. Ed era ricco. Sid sospirò. Ma la più grande qualità di Dereck era l’essere al di sopra della vanità. Pur sapendo fare tanto non era tipo da far pesare il suo essere superiore a molti.
32 Sid sapeva di essere molto simile a lui a livello scolastico, ma gli mancava tutto il resto, anche se si riteneva un ragazzo “niente male”, come soleva dire Cindy Leen, facendolo arrossire fino alla punta dei capelli. Si riscosse dai suoi pensieri, perché non voleva perdere un’occasione come quella. Non poteva permettersi di perdere tempo. Si portò sul retro della grande villa in stile coloniale ed entrò in casa, dalla porta scorrevole che dalla zona piscina portava nella sala. Gli infissi bianchi brillavano colpiti dal sole che stava compiendo la sua discesa inesorabile all’orizzonte. Per un attimo, Sid s’immagino come il padrone di casa. Cosa avrebbe fatto in quel momento se avesse abitato lì? Prese un grosso respiro e assaporò il profumo di aria fresca e di detergente alla mela. Probabilmente si sarebbe steso sul cuscino bianco che copriva la sdraio di legno scuro, con una bibita fresca e un libro di Guerre Stellari. Rimase a sognare per qualche istante, guardandosi attorno con gli occhi che brillavano. Non sapeva come Dereck potesse essere disposto a rinunciare a tutto quello che vedeva attorno a sé, ma se era quella la sua volontà, lui l’avrebbe aiutato. Non prima, però, di esaudire un suo piccolo egoistico desiderio. Si avvicinò lentamente al macchinario con meraviglia, venerazione e timore. Ma il senso di avventura, di proibito, di ribellione e di curiosità, erano più forti e radicati dentro di lui. Entrò prendendo un profondo respirò, quasi stesse per immergersi in una vasca piena d’acqua fredda. Fece come gli aveva detto Dereck: azionò la leva e tutti i display, e le luci si accesero simultaneamente. Impostò la destinazione: Roma. Chiuse un momento gli occhi, con il cuore che galoppava nel petto, e spiccò un salto per schiacciare il pulsante verde sopra la sua testa. È difficile spiegare quello che provò subito dopo. Fu come sentirsi risucchiato fino alle ossa in un vortice tiepido. Un’ondata di nausea gli fece contrarre lo stomaco. Con orrore, pensò di vomitare in quella che era la scoperta del secolo. Si rese conto di avere gli occhi serrati. “Il viaggio” sembrò durare ore, ma quando sbirciò
33 l’orologio da polso, si rese conto che erano passati due minuti da quando aveva schiacciato il pulsante. Non vedeva nulla attorno a sé, solo buio e lampi di luce di ogni colore. Aveva la sensazione che il proprio corpo fosse allungato in ogni direzione e poi appallottolato su se stesso. Finalmente il vortice rallentò, e lui si ritrovò in piedi nel tubo di vetro. «No…» sussurrò. Non poteva non aver funzionato! Com’era possibile? Quando riuscì di nuovo a mettere a fuoco quello che c’era oltre il vetro, gli si mozzò il fiato. Ovunque il simbolo che vedeva era un chiaro indizio su dove si trovasse. Che imbecille era stato. Preso dalla foga di voler andare a tutti i costi dai suoi parenti a Roma, non aveva per nulla pensato alle parole del dottor O’Brian. Per arrivare a Roma avrebbe dovuto esserci un’altra capsula proprio lì, e al momento le capsule erano solo due: una a casa di Dereck e una alla Texas Corp. Ora come avrebbe fatto a tornare a casa? Poteva riutilizzare subito la Space Machine? Si girò verso i display e trovò che la destinazione di casa di Dereck era selezionata come luogo di partenza. Fece scorrere le scelte e la mise invece come luogo di arrivo. Spiccò un balzo e schiacciò il tasto verde. Serrò le palpebre in attesa di quella specie di risucchio fastidioso, ma non accadde nulla. Riaprì gli occhi e vide che una scritta lampeggiava in modo allarmante: DESTINATION NOT APROVED – INSERT PASSWORD1. E certo… Chi mai avrebbe lasciato la porta di casa aperta a chiunque? La risposta era: nessuno, e men che meno uno scienziato ricco e famoso. Di sicuro solo lui poteva utilizzare la capsula per andare a casa. Adesso come poteva fare?
1
Destinazione non approvata. Inserire password.
34 Era in un bel guaio grande e grosso. Il più grosso in cui si fosse mai trovato. Il solo pensiero di dover spiegare quella condotta a suo padre, a Dereck, al dottor O, era qualcosa di inaccettabile e mortificante. Avrebbe perso in un istante la loro fiducia. Doveva uscire da lì e trovare il modo di tornare a casa, anche se non sarebbe stato semplice dal momento che la Texas Corp si trovava parecchio lontana dal primo centro abitato. Forse sarebbe riuscito a camminare per un po’ e poi a trovare un passaggio. Per il momento, però, doveva iniziare a pensare a come uscire da lì senza dare nell’occhio e non sarebbe stato uno scherzo, visto che non era un adulto e non poteva camuffarsi per passare inosservato. Spinse la leva di apertura, aspettandosi lo scorrere della porta vetro. Quando non accadde nulla fu preso dal primo attacco di panico di tutta la sua vita. La respirazione si fece più veloce, il cuore prese a martellare feroce nel petto e le gambe a tremare incontrollate. «Ti prego no…» disse senza fiato. Appoggiò le mani al vetro, cercando di smuoverlo, ma sembrava chiuso in un acquario privo di aperture. E se fosse finita l’aria? Poteva finire l’aria lì dentro, oppure c’era qualche griglia di aerazione che almeno gli avrebbe permesso di sopravvivere? All’improvviso l’imperativo era uscirne vivo, e la preoccupazione per il suo ego era passata in secondo piano. E se fosse entrato qualcuno? Oh mamma… non poteva nemmeno nascondersi! Era come un pesce rosso in un acquario, senza pietre né alghe dietro cui rifugiarsi. Se fosse entrato qualcuno, sarebbe stato beccato con le mani nel sacco. Che umiliazione! Si lasciò scivolare a terra, con le lacrime che premevano e pungevano per uscire dai suoi occhi verdi e grandi di paura. Proprio mentre si asciugava maldestramente una lacrima, che rotolava lenta sulla sua guancia, udì uno sbuffo e la porta si aprì lenta. La spinta dell’adrenalina lo fece balzare fuori come un gatto da un fiume. Si trascinò gattoni fino alla parete, fissando la capsula infernale che lo aveva imprigionato per quel che gli era sembrato un mese intero.
35 No signore! Col cavolo che sarebbe rientrato là dentro. Piuttosto avrebbe camminato per due giorni interi. Ma cosa gli era saltato in mente? Che diavolo aveva pensato di fare? Si guardò attorno, mentre il suo cuore si calmava e la respirazione tornava più lenta e sopportabile. Quando si sentì meno indebolito, saggiò la maniglia di quella stanza completamente bianca e resa abbagliante dalle forti luci al neon. Bene, non era chiusa a chiave come aveva temuto. Sbirciò all’esterno e non vide anima viva. Forse, essendo sera, non c’era molta gente in giro. Questa era la prima buona notizia da… da dieci minuti circa, constatò guardando l’orologio. Gli sembrava passata un’eternità e desiderò con tutte le sue forze di trovarsi ancora all’ombra del baobab, con la brezza leggera e il silenzio della sera che stava sopraggiungendo. «Col cavolo che mi faccio beccare!» sussurrò guardingo. Due porte aperte avevano avuto il potere di trasmettergli un po’ di ottimismo e anche un vago senso di avventura che non avrebbe guastato. Se ci fosse stato anche Dereck, avrebbe persino potuto diventare divertente. Il corridoio che si apriva davanti a lui era lungo una decina di metri in entrambe le direzioni, e al termine s’incrociava con altri due corridoi. Strisciando lungo il muro, e tenendosi basso rispetto alle finestre che davano su altrettanti laboratori o studi o quel che erano, si portò a metà strada verso il corridoio alla sua sinistra. La voce di una donna lo fece appiattire tra la parete e il pavimento, con il fortissimo desiderio di essere capace di mimetizzarsi come un camaleonte o un polpo. Non potendolo fare e non avendo il tempo di correre verso l’altro corridoio, pregò che proseguissero senza notarlo e, soprattutto, senza svoltare a sinistra. Nel qual caso, non avrebbero potuto non notare un ragazzino spalmato sulla parete e con aria clamorosamente colpevole… Per sua fortuna la donna proseguì senza voltarsi, intenta a chiacchierare con una collega. Sid si precipitò verso l’angolo e, mantenendosi a una distanza di sicurezza, proseguì dietro di loro, nascondendosi all’occorrenza dietro
36 colonne, estintori e persino cestini per la spazzatura. La sua speranza era che fossero dirette verso una qualsiasi uscita. Una delle due parlava senza interruzione, mentre l’altra annuiva o sorrideva accondiscendente. La chiacchierona aveva i capelli scuri con le punte rosso fuoco; si comportava in modo civettuolo, scrollando spesso i folti capelli e muovendo le mani con esagerazione, quasi a voler a tutti i costi mettere in evidenza una manicure perfetta. L’altra era più bassa, con corti capelli biondi, un viso sottile e grazioso e sembrava a tratti infastidita dalle parole della chiacchierona, che pareva voler a sbandierare ai quattro venti tutto quello che le passava per la mente. Avvicinandosi un po’ di più, Sid poté vedere che si stavano fermando davanti a una porta. Chiacchierona passò il tesserino che aveva appeso al collo in una serratura elettronica ed entrarono. Con uno scatto fulmineo, Sid si portò vicino alla porta e la fermò con la punta della scarpa prima che si richiudesse. Aspettò di sentire le voci allontanarsi, poi s’infilò a sua volta all’interno, scoprendo di trovarsi in uno spogliatoio. Udì rumori di cerniere e di acqua che scorreva, e una parte delle conversazione. «Quindi stasera uscirete insieme dopo l’intervista?» chiese Capelli Biondi. «Questo è il piano» rispose con enfasi Chiacchierona. «Hai già conosciuto suo figlio?» Chiacchierona rise. «Non scherzare, Cecile! Mi ci vedi con un ragazzino? No. Io Sto con suo padre, ma non ho nessuna intenzione di fare la mamma. Non ne voglio nemmeno di miei, figuriamoci se voglio i figli di altri!» rispose, continuando a ridacchiare. «Dove andrete?» chiese ancora Capelli Biondi. «Boh, non so. L’ultima volta ci eravamo trovati bene al Devota, ma potremmo anche fare una follia e andare a Dallas al Tres chic. Chi lo sa. Vedremo dove ci porterà la fantasia e soprattutto i soldi di Alexander.»
37 «Beata te. Io invece andrò a dormire prima che cali del tutto il sole, credo. Sono stremata. Non so dove prendi tutte le energie tu. Sarà l’amore!» Chiacchierona rise in modo sguaiato e senza freni. «Oh Signore, Cecile! Un giorno di questi mi farai rimanere senza fiato dalle risate. Come sai, non credo molto nell’amore. Credo nel divertirsi insieme finché dura, e nell’approfittare delle situazioni positive più a lungo possibile, ma non di sicuro nell’amore. Se ci avessi creduto, a quest’ora sarei sposata con Bart e madre di qualche marmocchio, infelice e grassa come la maggior parte delle mie coetanee. Dammi retta, Cecile, con l’amore non arrivi da nessuna parte» decretò infine in tono serio. Cecile non rispose a quelle parole, e finì di prepararsi per uscire. Anche gli armadietti avevano serrature elettroniche. Ogni porta ne aveva e se voleva anche solo sperare di uscire da lì avrebbe dovuto procurarsi un badge al più presto. «Bene, io vado. Ci vediamo domani» disse Capelli Biondi uscendo dalla zona toilette e dirigendosi con passo leggero e aggraziato verso la porta da cui erano entrate circa mezz’ora prima. «Ciao cara» rispose Chiacchierona distrattamente. Sid era rannicchiato dietro a una fila di armadietti azzurri, in attesa del momento più propizio per impossessarsi di un badge, quando sentì lo scatto della serratura che preannunciava l’arrivo di qualcuno. Una donnona afroamericana varcò la soglia con lunghe falcate. Il doppio mento pareva rimbalzare a ogni passo e i dred che le ricoprivano fitti la testa ondeggiavano rigidi sulla schiena massiccia. «Dottoressa Benson» salutò Chiacchierona. «Loretta, ancora qui? Pensavo ti fossi presa la giornata libera per seguire il gran dottore» rispose con fastidio la donna appena arrivata. Non sembrava esserci molto feeling tra le due e Sid era pronto a scommettere che la dottoressa Benson non avesse torto a provare antipatia per quella che ora sapeva chiamarsi Loretta. Subito dopo quello scambio di battute entrò un’altra donna nello spogliatoio. Sbuffò stancamente prima di buttare letteralmente il camice sulla panca.
38 Si diresse verso la zona docce, scambiò qualche convenevole con le altre due e poi aprì l’acqua. Lo sguardo di Sid cadde sul camice e sulla targhetta plastificata che sporgeva da sotto il colletto. Non poteva credere a quel colpo di fortuna. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD
INDICE
SIMONA GERVASONE ..................................................................... 1 TIME OUT ....................................................................................... 1 CAPITOLO 1 ................................................................................ 3 CAPITOLO 2 .............................................................................. 11 CAPITOLO 3 .............................................................................. 14 CAPITOLO 4 .............................................................................. 23 CAPITOLO 5 .............................................................................. 31 CAPITOLO 6 .............................................................................. 39 CAPITOLO 7 .............................................................................. 43 CAPITOLO 8 .............................................................................. 50 CAPITOLO 9 .............................................................................. 57 CAPITOLO 10 ............................................................................ 65 CAPITOLO 11 ............................................................................ 78 CAPITOLO 12 ............................................................................ 84 CAPITOLO 13 ............................................................................ 90 CAPITOLO 14 ............................................................................ 94 CAPITOLO 15 .......................................................................... 103 CAPITOLO 16 .......................................................................... 110 CAPITOLO 17 .......................................................................... 119 CAPITOLO 18 .......................................................................... 126 CAPITOLO 19 .......................................................................... 129 CAPITOLO 20 .......................................................................... 131 CAPITOLO 21 .......................................................................... 140 CAPITOLO 22 .......................................................................... 150 CAPITOLO 23 .......................................................................... 155 CAPITOLO 24 .......................................................................... 164 RINGRAZIAMENTI ................................................................ 171
AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Terza edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2020) www.0111edizioni.com
Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.