In uscita il 30/9/2014 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine ottobre e inizio novembre 2014 (4,99 euro)
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GIUSEPPE BERTOLINI
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TWIGGY Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-770-4 Copertina: Immagine Shutterstock.com
Prima edizione Settembre 2014 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
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CAPITOLO I
La neve iniziava a rallentare la sua discesa. Quasi tempestosa durante la giornata, si era fatta costante e regolare nel corso della sera, per poi affievolire la sua caduta durante la notte. I fari della sua automobile illuminavano il manto bianco che sui Colli Euganei che sovrastano Padova si presentava ancora quasi intonso. Il controluce dei radi fanali stradali rappresentava una moltitudine di immagini desuete e quasi irreali per la zona. La Natura taceva: il silenzio era solo lievemente disturbato dal sottofondo del rombo al piccolo trotto dei cavalli della Kia Sorento. Atmosfera ovattata resa ancora più magica dall’ora tarda della notte inoltrata. La prossima sarebbe stata la prima alba del nuovo anno e Franco faceva rientro alla sua abitazione, quella villetta adagiata sulle pendici degli Euganei lungo la strada che, dalla pianura, porta all’abitato di Teolo. All’inizio del tratto in salita accese gli abbaglianti: i lampioni cessavano al termine del tratto in pianura. L’andatura si fece più lenta e Franco raccolse tutte le sue forze per prestare attenzione alla via che doveva percorrere. Sapeva che doveva andare lentamente: la neve e i postumi di una notte di festeggiamenti lo consigliavano. Aveva lasciato alla pianura gli ultimi echi della festa: l’avvenuta cacciata dell’anno da poco terminato e l’accoglienza festosa all’anno entrante, la sepoltura delle delusioni e delle negatività di un anno trascorso sostituite ora dai propositi e dalle speranze che il nuovo anno portava con sé. Quello trascorso era stato un periodo che aveva determinato profondi mutamenti nella sua esistenza e che aveva altrettanto decisamente provocato mutamenti nel suo carattere.
6 La separazione dalla famiglia, una moglie e due figli ormai grandicelli, non lo aveva, di fatto, abbattuto. Pareva, anzi, averlo rinnovato. Pareva avere infuso in lui una nuova spinta di vita; o, forse, la spinta per una nuova vita. Da cominciare a cinquant’anni da poco compiuti. Aveva lasciato ai suoi ex-cari la casa del centro città; trasferendosi con tutte le sue cose, e i pochi ricordi ancora da cancellare, nella casetta sui colli che un tempo fungeva unicamente da ricovero estivo contro l’afa della città. Una piccola casa tra tante tra loro distanti e separate da una natura che ora aveva il solo colore del bianco. Di fatto, in questo periodo dell’anno era l’unico essere umano nel raggio di alcuni chilometri. La strada ripiegava in un primo tornante a sinistra; la vettura slittò lievemente andando a lambire la rete di recinzione che delimitava il confine inferiore della sua proprietà: poche decine di metri in linea d’aria, quasi un chilometro lungo la strada asfaltata. Dopo cinquecento metri, il nastro d’asfalto imbiancato tornava sui propri passi piegando in uno stretto tornante verso destra: la via per il ritorno a casa era, ora, una linea retta. Sulla piazzola antistante una casa sostava una vettura. “Ragazzi in cerca di intimità” pensò subito Franco. E la sua mente, sia pur brevemente, tornò alla memoria di analoghe situazioni vissute in gioventù: quando in macchina e riparato dall’eskimo cercava di far breccia tra i bottoni del montone di lei. “Bei tempi.” Tempi passati. La neve era prevista da tempo: lo avevano detto. La neve era attesa da molti, temuta dai più. Pareva che solo le autorità comunali non avessero dato il dovuto credito a queste previsioni. E in strade di scarso afflusso veicolare, il procedere risultava assai rallentato e difficoltoso. “Sono stato uno stupido” pensò. Non aveva regolato il timer della caldaia a gas. Alle tre della notte la casa sarebbe stata abbastanza fredda. Era solito far funzionare il riscaldamento dalle cinque del pomeriggio alle undici della sera; per poi riavviarlo dalle quattro della mattina alle sette. Durante il resto della giornata non era in casa.
7 Il suo lavoro di rappresentante farmaceutico lo portava a compiere numerosi e quotidiani viaggi, anche se limitati come raggio alle sole province vicine. Questa volta non aveva considerato il cambio di orario del suo rientro. Aveva trascorso la sera e la notte fino a quell’ora in compagnia degli amici di un tempo. O almeno con quella parte di essi con la quale condivideva il suo status di separato. Alcuni di loro avevano già provveduto a scegliersi una nuova compagna. “Poveri illusi” era il suo pensiero. A una certa età e con un portafogli di tutto rispetto è più facile essere preda che cacciatore. Avevano scelto tra coloro che lo avevano scelto. Era la sua opinione. E lui non ne aveva intenzione. O almeno così pensava, ora che la famiglia era ancora esperienza recente. Di certo le occasioni non gli mancavano. C’erano le colleghe; e le amiche di un tempo tornate attuali. Spesso anche loro rese di nuovo al libero stato o, spesso, di fatto ancora impegnate ma desiderose di rinfrescare il ricordo di avventure passate in gioventù. Franco giunse così lentamente, come lenti apparivano i suoi pensieri, dinnanzi all’ingresso carrabile della sua villetta. Fermò la vettura sul ponticello d’accesso. Il telecomando per l’apertura era fissato accanto al volante. Aveva dovuto prendere questo provvedimento in quanto, spesso, accadeva che nel momento del bisogno il magico strumento tendesse a svanire nel nulla. Spesso inghiottito a livello della giunzione tra la seduta di destra e il relativo schienale. Lentamente, le due ante in ferro battuto, opera quasi artistica di un artigiano locale, iniziarono a schiudersi. Dapprima, e con più decisione, si allontanava l’anta di destra: per essere poi seguita, dopo pochi secondi, dal movimento dell’anta sinistra. «Che cazzo succede?» Fu la frase pronunciata ad alta voce che venne a interrompere il silenzioso scorrere del suo pensiero.
8 Non aveva compiuto che un breve tragitto, che l’anta di destra fermò la sua corsa. Il motore del cancello elettrico continuava a ronzare; e lo fece per alcuni secondi ancora. Per poi zittirsi a rispettare il silenzio della natura in una notte innevata. La parte sinistra della cancellata, per contro, non fece accenno ad alcun movimento, non essendo ancora sufficiente il tragitto percorso per consentirne il richiamo. E il cancello rimase così: immobile. Lasciando lo spazio per l’agevole ingresso di una persona, ma impedendo l’accesso di una vettura. Scese dalla Sorento e oltrepassò il cancello. Doveva fare in fretta. Il telecomando accendeva i lampioni del viale d’accesso, una settantina di metri all’incirca, e disattivava l’impianto d’allarme. Ma solo per pochi minuti. Dopo era necessaria una conferma con la chiave elettronica da inserire al fianco del portoncino d’accesso all’abitazione. “Che diamine! Ne è venuta di neve!” pensò osservando la massa di neve impaccata che limitava la corsa dell’anta di destra, di fatto impedendo la completa apertura della cancellata. In preda a un’improvvisa eccitazione, in gran parte dettata dall’euforia che qualche bicchiere di troppo è in grado di conferire a una persona prima di conciliarne il sonno, si ricordò dei badili che teneva nel sottoportico per i lavori di giardinaggio estivo. Ma prima era necessario disinserire l’allarme. Con movimento cauto iniziò a lasciare le sue impronte sul manto nevoso. Un manto in più punti interrotto e disordinato. “Lotte tra qualche animale” pensò Franco. “Come riescano a entrare dappertutto rimane un mistero”. Era in effetti un periodo nel quale era stata segnalata una notevole presenza di suini selvatici nella zona. Con passo incerto e malfermo, a causa delle recenti abbondanti libagioni e dell’indubbia presenza di uno strato di ghiaccio che andava formandosi sotto la neve più recente, giunse davanti l’ingresso della villetta. Il breve tragitto era valso a raffreddare il suo corpo, le mani in particolare. Dita insensibili iniziarono a lavorare sulle quattro cerniere, due per ogni lato, che erano la dotazione del suo giaccone imbottito. Difficile era il
9 riconoscimento tattile di quanto cercava; le tasche erano ampie e dovette perlustrarle con dovizia prima di giungere alla conclusione: «Cazzo! Non trovo le chiavi.» Eppure la casa era chiusa. Eppure le chiavi le metteva quasi sempre in tasca. Quasi… … O le faceva cadere sul sedile di destra dell’automobile così come un tempo faceva con il telecomando d’accesso. Chiaro quindi che le chiavi erano all’interno della Sorento che gli ammiccava da dietro una cancellata in ferro battuto. Era contrariato con se stesso per la poca attenzione che aveva riposto quella sera alla chiusura della propria abitazione. Andando a vivere da solo in una villetta isolata, gli erano tornate le paure che già caratterizzavano le sue notti di fanciullo. Ma ora si trattava delle paure di un uomo; che vive da solo convinto di aver riacquistato da poco la sua libertà. Talora col dubbio di aver incontrato la solitudine. E poi, di questi tempi, è logico avere timore; di notte, in un luogo isolato. Un luogo sconosciuto anche alle onde della telefonia. Non è certo una novità incontrare sulle prime pagine dei giornali, tra le cronache cittadine, notizie di rapine, percosse o anche uccisioni. Come mezzo per appropriarsi dell’altrui privatezza. «Se poi si è venuto a sapere che vivo da solo!» Certo, questi ragionamenti li aveva già fatti in un recente passato e, proprio per tale motivo, si era procurato una pistola Beretta che sapeva anche utilizzare in virtù di un corso seguito al tiro a segno di Padova. Ma la pistola era sopra il comò, nella sua stanza da letto. Non la portava con sé. Lo scopo era quello di sentirsi tranquillo quando, in casa, sentiva rumori sospetti o, talora, suoni a lui sconosciuti. Evenienze che si erano verificate, ma che erano tutte risultate attribuibili ai rumori della natura e ai componenti della ricca fauna dei colli. Non vi era scopo per recarsi armato a un veglione di capodanno. «Ma no, porca Eva!» La sua voce ancora echeggiò nel silenzio della nottata. Era ovvio e lui avrebbe dovuto saperlo: trascorso il tempo prestabilito l’anta della cancellata si sarebbe richiusa. Prigioniero in casa propria!
10 Il telecomando gli stava probabilmente sorridendo dalla sua comoda posizione accanto al volante; e le chiavi? Ormai ne era certo; probabilmente danzavano sulla seduta di destra della sua vettura che lo guardava con gli occhi brillanti. Sono situazioni nelle quali anche a un uomo viene da piangere. La rabbia era tale che dovette inspirare profondamente un paio di volte per riprendere una calma apparente. Le narici quasi parevano bruciare a causa del freddo che le aveva invase con prepotenza. Sia perché ne aveva necessità, sia in senso di spregio, urinò contro quell’opera d’arte in ferro battuto che lo teneva prigioniero. Subito, un brivido lo scosse per il calore ceduto dal corpo con la minzione. Si volse e appoggiò le spalle alla cancellata: quasi un momento di riposo prima di ripercorrere il vialetto d’accesso alla villa. “Tornerò verso casa e troverò riparo nel sottoportico”. Fece appena in tempo a riguadagnare il porticato, che calò improvviso il buio mentre beffarde piccole luci rosse brillavano come lucciole nell’oscurità a indicare la riattivazione del sistema d’allarme. «Calma Franco. Calma.» Parlava ad alta voce a se stesso; per infondere in se stesso maggiore coraggio. «In fondo si tratta solo di attendere.» Aveva il cellulare, ma non gli sarebbe servito. Ci sono zone che la natura stessa intende proteggere dall’invasione dell’uomo. «In fondo tra poche ore tornerà la luce e tutto sarà diverso.» Ma erano solo le tre della notte appena trascorse. Chiaramente, e questo lo sapeva, non doveva attendere il risveglio mattutino di qualche passante. Ma il ritorno della luce e il potersi muovere con la certezza che deriva dalla visione delle forme delle cose, avrebbe fatto tornare in lui una sicurezza che, ora, sentiva di non avere. «Starò calmo e aspetterò» si disse. «Da solo. E… al buio» soggiunse. In fondo era in casa sua. O nel giardino di casa sua. Di quel luogo incantevole che dominava la valle sottostante, con la città di Padova ai suoi piedi. Almeno quando c’era la luce. Dormire?
11 Convenne che non era il caso. Non sarebbe stato opportuno cedere alla stanchezza esponendosi passivamente al freddo. Sapeva che poteva essere pericoloso. La sua mente era ingombra di mille pensieri e di fantastiche paure che scaturivano da qualche suono che appariva ignoto e che, d’improvviso, risaltava nel silenzio dell’atmosfera ovattata. Ricordò della presenza, probabile più che certa, del barbecue e della carbonella in sacchetti, che si era sempre ripromesso di riporre nel garage senza averlo in realtà fatto. Se non la salvezza, si trattava sicuramente di un aiuto a trascorrere quelle ore in compagnia di una fonte di calore e di luce. Non fu facile accendere quel piccolo fuoco; la carbonella esposta all’umidità era restia ad accogliere l’invito della sottostante fiamma. Ma alla fine il suo scopo venne ottenuto. Ora, le prospettive della parte finale della sua prima notte dell’anno erano sicuramente più rosee e l’umore più sorridente. Si accese una sigaretta. «Me ne mancano due: poi smetterò di fumare. In fondo ci vuole un limite temporale per dare fiato a queste decisioni. E il sorgere del primo sole del nuovo anno, può diventare il limite oltre il quale diverrò più virtuoso.» Nuovi rumori, nuovi segnali di probabili ignote presenze, vennero a interrompere l’ottimismo del suo pensare. Rimase alcuni istanti come impietrito; si rendeva conto di essere in preda alla paura. Non si trattava più di un timore di fronte all’immaginato. Era una situazione reale che stava, suo malgrado, vivendo. Tutti i sensi erano ipereccitati in un stato d’allerta: pronti ad accogliere un suono o percepire una visione. Sia pure nel buio. Il tutto, trasmesso alla mente, avrebbe dovuto tradursi in messaggi cui attribuire un significato. Ma nulla pareva avere un senso. Non gli stimoli che apparivano confusi e mal interpretabili. Non la situazione in cui si trovava. «A meno che…» Era relegato nel sottoportico, laddove i sensori d’allarme non giungevano, quando udì accendersi il motore della Sorento. A meno che non ci fosse qualcuno con lui nel giardino.
12 I fanali della sua vettura lo inquadrarono, abbagliandolo, da dietro la cancellata. Una breve retromarcia a riguadagnare la sede stradale. Poi l’incerta andatura di due grossi fanali arrossati che, in breve, divennero due punti in lontananza. E tornò il buio. La rabbia non riuscì a superare lo stupore. Franco rimase bloccato. Incredulo. Forse convinto, per un attimo, di essere parte di un brutto sogno dal quale si sarebbe ben presto risvegliato. Ma dovette ricredersi; il freddo, che ora percepiva più intenso, era reale. Doveva chiedere aiuto. E l’unico modo per farlo era quello di fare scattare l’allarme collegato con la centrale della Securitas, un’agenzia di vigilanza privata con la quale aveva stipulato un contratto. A passo veloce, tenendosi ai margini del vialetto d’accesso, ed evitando la corsa per non scivolare, si diresse con decisione verso la cancellata. Al suo passaggio la quiete apparente venne squarciata dal sibilo alternato dell’allarme in funzione. Franco giunse alla cancellata e si rannicchiò alla base di uno dei due pilastri che la delimitavano sorreggendola. Osservava quella costruzione che gli era casa e quindi sicurezza, ma che ora assumeva la connotazione del mistero, dell’ignoto, del pericolo. Dopo un paio di lunghi minuti, cessò il suono della sirena e tornò un ovattato silenzio. E, con esso, per Franco l’angoscia della paura. *** Poco più a valle, sul ciglio della strada, una piccola vettura interruppe d’improvviso i suoi tentativi di riprendere la via in salita. Le gomme erano restie a fare presa sull’asfalto ghiacciato. Laura era incredula e, allo stesso tempo, in preda alla paura. “Come mai” si domandava, “l’allarme ha iniziato a suonare?” La casa avrebbe dovuto essere deserta. Il suo ex marito era in ferie a Vienna.
13 Ma se così non fosse stato, se Franco per un motivo qualsiasi non fosse partito per il viaggio premio offerto dalla sua casa farmaceutica, cosa ne sarebbe stato di Reginald ora? Questo fatto imprevisto bloccò il suo carattere decisionista solo per un breve periodo di tempo. Aveva una sua reputazione da difendere. E sperando in cuor suo che l’amico se la fosse cavata, lasciò che la Fiat Uno scivolasse delicatamente all’indietro e, mutata la direzione di marcia, si avviò verso la pianura.
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CAPITOLO II
«Un altro!» esclamò una delle due guardie private alla centrale operativa della Securitas. Il pannello stradario elettronico appeso alla parete contendeva ora il primato di luminosità al piccolo abete addobbato che faceva bella mostra di sé in un angolo della sala. «E’ una villetta sui colli» andò a precisare. «Ma ci sono passati da poco ed era tutto sotto controllo.» «In una notte come questa sono i falsi allarmi a farla da padrone. Qualche utente un po’ “alticcio” dimentica di disinserire il sistema antiintrusione.» «Lasciamolo lampeggiare, tra poco si spegnerà. In fondo abbiamo ordine di controllare soprattutto i negozi e le altre attività che a quest’ora sono deserti. Non certo la casa di un nottambulo del primo dell’anno!» «Se non sbaglio è proprio la stessa villetta che già aveva destato interesse poche ore fa.» «Già. Quando il collega intervenuto afferma di essersi trovato di fronte a un randagio impazzito dalla paura.» «Lasciamo perdere, torniamo a noi.» I due giovani, Andrea Pellegrini e Marco De Santis, erano da poco in servizio presso la Securitas; ed era questo il motivo per il quale era loro il compito di iniziare il nuovo anno in servizio alla centrale. «Scopa!» «Accidenti che culo tremendo» disse Andrea. «Ora siamo pari, due a due.» «Ci vuole la bella.»
15 Le carte vennero mischiate con maestria e distribuite. Tre all’uno, tre all’altro e quattro sul tavolo accanto al mazzo coperto. Iniziava tra i due la fase finale della prima avvincente sfida dell’anno. «Ehi, non smette mica quello.» «Si vede che è così ubriaco da non accorgersi di essere in casa con l’allarme inserito.» «E intanto ti faccio fuori il settebello.» «Sei un baro! Mi hai distratto! E comunque con questi due sei la primiera è mia.» Erano molte le spie sul pannello che si accendevano, per poi spegnersi dopo pochi istanti. Istanti di disattenzione. Ma una luce rimaneva accesa in maniera costante. «Quella villetta non vuole spegnersi.» «Che dici gli facciamo una telefonata?» Provarono al cellulare, ma la linea risultava staccata o non raggiungibile. L’abitazione non era ancora dotata di numero fisso. Il proprietario si era da poco trasferito stabilmente in quella casa. «Ci tocca lanciare l’allarme.» Dovettero attendere per una risposta. A quell’ora la maggior parte dei giri di controllo era stata fatta e molti dei loro colleghi non erano in macchina al momento dell’appello inviato. E una radio non lascia il messaggio di chiamata senza risposta. «Vieni avanti centrale» disse una voce che non nascondeva la stanchezza mista a disappunto. «Ciao sono Andrea, buon anno colleghi.» «Dimmi che la tua è solo una carineria e ci hai chiamato solo per fare gli auguri.» «Magari per voi, ma abbiamo un problema. Una villetta a metà del costo verso Teolo, sta lanciando l’allarme.» «Sarà un errore o una svista, avete provato a chiamare il proprietario?» «Già fatto e non abbiamo avuto risposta. Mi sa che qualcuno deve intervenire.» «Va bene ci muoviamo, ma intanto chiama anche la macchina che ha fatto la zona e che ha le chiavi di quelle case. Impiegheremo un po’ di tempo, siamo in centro. Ci vorrà una buona mezz’ora.» «Va bene, grazie. Intanto continuo a chiamare e se trovo chi ha le chiavi ed è più vicino di voi vi avverto e vi blocco.» «Roger, facciamo così. Auguri.»
16 La pattuglia allertata si mosse dal centro della città. Erano ancora parecchie le persone che, a gruppi distinti, camminavano lungo la zona pedonale indugiando nella prosecuzione dei festeggiamenti. «Vengono tutti da Prato della Valle» asserì Alberto, la guardia giurata che con il compagno Luigi costituiva la pattuglia che aveva risposto alla chiamata d’allerta. «Già, dopo i fuochi c’è stata la fine del concerto ufficiale, ma poi vi sarà stata altra musica spontanea e i balli.» «La gente vuole festeggiare. Forse solo per estraniarsi dalla vita di sempre e dai pensieri e le preoccupazioni a essa legati.» «C’è quasi timore che la festa finisca. Che si chiuda una parentesi e la vita di sempre si ripresenti all’uscio di casa.» Man mano che si allontanavano dal centro diminuiva la presenza delle persone lungo le strade. Il rumore si affievoliva, mentre il bagliore delle luminarie diveniva un diffuso chiarore visibile, ora, solo dal lunotto posteriore della Fiat Brava che avevano in dotazione. Davanti a loro una quiete ovattata. Qualche fiocco tardivo ancora si posava sul parabrezza formando stelle bianche destinate a sciogliersi in acqua. L’asfalto si presentava nascosto e coperto dal sottile strato di neve caduto nelle ultime ore a cancellare impronte e strie di pneumatici di precedenti passaggi. Gli alberi ad ambo i lati della provinciale che percorrevano non mostravano fatica a reggere il peso che gravava sui loro rami. Parevano anzi ricolmi di orgoglio e vanità per il candido manto che indossavano. Vestiti in modo elegante, anche loro erano partecipi della festa che andava a finire. La Fiat Brava dovette rallentare il suo passo: la poesia della vista si traduceva in reale pericolo per la circolazione. E la mezz’ora di viaggio prevista divenne quasi un’ora. «E’ meglio arrivare con qualche minuto di ritardo che non giungere affatto!» «Proviamo a sentire se ci sono novità.» «Centrale, qui pattuglia zero-nove, passo.» «Pattuglia zero-nove, qui centrale vieni avanti.» «Avete novità.? Avete rintracciato i colleghi che si occupano della zona dei colli, o dobbiamo arrivare noi fino a Teolo?»
17 «Negativo zero-nove, mi dispiace.» «Ok, ma dispiace più a noi. Insistete comunque, perché anche giungendo sul posto possiamo limitarci a una sola ispezione esteriore. Noi non abbiamo la copia delle chiavi!» «Non preoccupatevi, non molliamo» chiuse la voce dalla centrale. La vettura della sicurezza percorse per intero la provinciale alberata, passando attraverso le poche case che si affacciavano al passaggio del mondo. La festa per molti era già conclusa e sul posto rimanevano solo i ricordi che sarebbero stati raccolti da lì a poche ore. Giunsero infine ai piedi dei colli che iniziarono a risalire. «Non che si veda con chiarezza. Non sarà facile individuare il numero quarantasette!» «Va’ piano, io guardo con attenzione.» Proseguirono per un breve tratto a lenta andatura, puntando su cancelli e abitazioni che si affacciavano lungo il pendio il fascio di luce che proveniva dal faro posto sul tetto del loro automezzo. «Siamo al ventitré. Puoi andare avanti.» Passarono senza rallentare altre cinque case. «Adesso siamo al cinquantanove!» «Accidenti ci devono essere numeri interni!» Fecero manovra proprio nel mezzo di un tornante che piegava verso sinistra. Era il punto più largo di una carreggiata ristretta e con bordi poco distinguibili per la neve caduta. Ripercorsero un breve tratto in discesa. «Fermo!» Il fascio di luce inquadrava qualcosa appoggiato di lato, ma oltre un cancello in ferro battuto. «Guarda là! Cos’è quel fagotto?» «Ma c’è anche una luce che viene da dentro la villa!» Si fermarono sopra il ponticello d’accesso alla proprietà. «Quarantasette!» «Morto che parla.» Certo. Franco pochi istanti prima li aveva sentiti arrivare; aveva sentito il ronzio del motore dell’auto che si inerpicava sul colle. Aveva anche visto la luce proiettata dal faro. E, per poco, non ne era stato colpito. Ma si trovava rannicchiato, accovacciato con la schiena poggiata al pilastro di pietra. In posizione raccolta, per esporre al freddo la minima
18 superficie possibile del proprio corpo e cercando di trattenere quel calore che le sue membra, con il brivido, erano in grado di procurare. Le sue gambe non furono veloci al pari della sua mente; le ginocchia furono un blocco alla sua voglia di scattare in piedi per uscire da quel pilastro che lo nascondeva quasi completamente alla vista di chi transitava lungo la carrabile. Vide la macchina passare, lenta, in salita. Ma riuscì ad assumere la posizione eretta, aggrappandosi alle sbarre della cancellata, solo quando quella desiderata presenza era ormai svanita. E con essa le speranze di ottenere un aiuto. Ricadde nella posizione dalla quale era partito. Ma adesso la luce lo stava inquadrando: ed era una luce ferma. Ebbe il tempo di alzarsi e il fagotto divenne persona. «Grazie, non ci speravo più.» «Deve capire che non è una serata normale. E poi ci si è messa anche la neve!» «Non dovete darmi alcuna spiegazione» disse Franco che temeva che la sua frase fosse stata interpretata come un reclamo per il tempo trascorso dal momento in cui aveva deliberatamente fatto scattare l’allarme. «Abbiamo fatto il prima possibile!» «La vostra sola presenza mi è di conforto, anche se queste sbarre ci dividono. Avete la copia delle chiavi?» «No, non è la nostra zona. Stiamo aspettando i colleghi. Ma lei è il proprietario?» «Certo che sì!» replicò Franco mettendo mano al porta-documenti faticosamente estratto dalla tasca interna del giaccone. «Perché non è in casa?» «Perché non trovo le chiavi.» «Come ha fatto a entrare in giardino?» «Ho aperto con il telecomando che è rimasto in macchina.» «Mi scusi, ma quale macchina?» «La mia, quella che era lì dove siete voi ora e che mi hanno rubato circa un’ora fa sotto il mio naso!» «E la luce che si vede all’interno, l’ha dimenticata accesa?» «Sinceramente non ricordo, ma penso di no. Anzi, per la verità non l’avevo notato prima o… forse non c’era.»
19 «Allora il problema è diverso. Intanto perché la Securitas possiede solo le chiavi del cancello e dell’allarme perimetrico del giardino e quindi non saremmo in grado di farla entrare in casa, e poi perché siamo di fronte a un possibile reato.» «Se è così» intervenne l’altra guardia, «è necessario far intervenire i carabinieri.» Chiamarono via radio il pronto intervento. «Che emergenza sarebbe? Non vedo una situazione di pericolo in quanto mi state descrivendo!» spiegò cortesemente la voce dall’altro capo del telefono. «Quanto meno c’è il furto dell’auto e il chiaro sospetto di effrazione!» «Se la porta è stata forzata, il ladro, o presunto tale, se ne sarà andato. E’ impensabile che dopo ore e avvertendo presenze all’esterno si trovi ancora in casa!» «Ma» continuò il carabiniere al telefono, «vi mando lo stesso qualcuno anche se interventi richiesti in una notte come questa ve ne sono in quantità. E la vostra non mi sembra una richiesta delle più urgenti.» «In effetti il carabiniere ha ragione, se la luce si è accesa la casa deve essere occupata da chi ha le chiavi oppure, qualora fosse stata forzata è impensabile che l’intruso sia ancora dentro e, soprattutto, noi potremmo entrarci. E’ andato fino all’ingresso signor Tognon?» «Non mi sono fidato» fu l’ammissione di Franco. «Sicuramente il ladro se ne è andato con la sua macchina.» «Ma la luce si è accesa dopo che la macchina è partita!» «La storia mi è poco chiara» affermò una delle due guardie. «Sinceramente anche a me la dinamica dei fatti appare confusa» ammise Franco. «Tuttavia» proseguì, «resta il fatto che sono arrivato in macchina e sono entrato nella mia proprietà. E ora non ho più la macchina e la casa è divenuta la mia prigione!» Passò un quarto d’ora; minuto più, minuto meno. Giunse lentamente un’altra macchina, preceduta dalla luce dei fari che si rifletteva sul manto nevoso in cui rari apparivano i solchi lasciati dal passaggio delle vetture. Era una vettura uguale a quella che già sostava sul ponticello di fronte al civico quarantasette. «Paolo! Dove ti eri cacciato?» «Lasciate perdere, il giro lo avevo finito e mi ero preso una pausa. Anche per me è la notte del primo dell’anno!»
20 Il nuovo arrivato in divisa da guardia giurata aprì lo sportello che chiudeva una nicchia ricavata nel pilastro in pietra alla destra della cancellata. Inserì la chiave elettronica e subito l’oscurità venne spezzata dal lampeggiare di una luce arancione che indicava l’apertura delle ante in ferro battuto. «Finalmente libero!» esclamò Franco. Ora si vedevano nel suo volto i segni della stanchezza, postumi di una serata di festa e di una notte trascorsa all’addiaccio. Il gruppo di quattro persone ancora indugiava in spiegazioni al di fuori del cancello, quando una luce azzurra preannunciava l’arrivo di una gazzella dei carabinieri Le guardie giurate, dopo una sintetica spiegazione sul tipo del loro intervento e dopo aver lasciato la copia delle chiavi in loro possesso a Franco, si accomiatarono per recarsi in luoghi più consoni a trascorrere l’ultima ora del loro primo turno di servizio del nuovo anno. «Andiamo signor Tognon» disse uno dei due appartenenti all’arma dopo aver controllato i documenti che Franco aveva esibito a dimostrazione dell’essere il proprietario di quel terreno. «L’accompagniamo a casa. Vedrà che un sistema per entrare lo troveremo.» Franco disattivò l’allarme perimetrico con la chiave avuta dagli agenti della Securitas e i tre si incamminarono lungo il vialetto di accesso alla villa, illuminato sia pur malamente dalla torcia tenuta in mano da uno dei due carabinieri. «E’ chiusa e blindata, non c’è che dire» affermò un militare cercando di entrare dalla porta d’accesso principale. Dubbiosi, provarono anche a suonare. «C’è luce là dentro e, forse, c’è gente.» «Spero proprio di no» intervenne Franco. Si incamminarono nel sottoportico alla destra dell’ingresso principale. Le due porta-finestra che vi si affacciavano erano chiuse e intatte apparivano anche le serrande a maglie abbassate che Franco aveva di recente fatto installare per maggiore sicurezza, da quando aveva deciso di vivere stabilmente in quella villetta. Girarono nel retro della casa, dove il terreno degradava con decisione seguendo la natura di quel tratto di colle. Era la zona da dove si dominava con lo sguardo la città sottostante, dove si stavano spegnendo gli ultimi echi della festa alla tremolante luce dei fanali di strada.
21 Le quattro finestre del piano terreno, da sempre munite di grata, non apparivano forzate; e nemmeno toccate se è vero che le piccole strie di neve caduta che si erano adagiate sulle sbarre, ispessendole, apparivano intonse. Il quarto e ultimo lato della casa, quello a sinistra per chi veniva dal vialetto principale, era occupato solo da tre finestrelle, più alte, di cui due davano luce al vano garage, adibito a ripostiglio, e una a un locale lavanderia. «In effetti, da un primo esame, tutto sembra a posto» affermò un carabiniere. «E sembra assai difficile accedere all’interno, se non con mezzi leciti» rimarcò il collega dell’arma. «Signor Tognon, oltre a lei, chi è in possesso delle chiavi?» «Se eccettuiamo una signora che viene ad aiutarmi nelle pulizie una volta la settimana, oltre a me nessuno è in possesso delle chiavi.» «E di questa signora cosa ci dice?» «E’ da più di vent’anni che la conosco. E’ sempre venuta in casa ed è persona di cui nutro la massima fiducia. Diciamo che è lei che ha allevato i miei figli. Ora è rimasta fissa nella casa della mia ex-moglie, casa nella quale ha sempre lavorato, e viene da me una volta la settimana a darmi un aiuto.» «Va bene. Dopo ci fornirà le generalità di questa persona che provvederemo a controllare, se necessario. Intanto vediamo di entrare.» Il gruppetto fece ritorno di fronte alla porta d’ingresso, intenzionato a sfidarla e a vincerla. Ma dopo alcuni tentativi dovettero cedere. «Impossibile. La porta è blindata. L’unica via sarebbe quella di entrare da una finestra del primo piano.» «In effetti c’è una finestra sul retro che lascio sempre accostata» intervenne Franco. «Ne è certo?» «Ne sono sicurissimo. Io fumo in bagno, ma come ogni fumatore odio l’odore del fumo stantio.» L’iniziale entusiasmo venne annullato quando si resero conto che la finestra indicata da Franco si trovava a un’altezza proibitiva a causa del forte degradare del terreno nella parte posteriore della casa. «L’unica via è quella di far intervenire i vigili del fuoco» affermò uno dei due militari.
22 «Chiaramente noi non possiamo rimanere in attesa dell’arrivo dei pompieri» disse il carabiniere. «Abbia pazienza tra poco arriveranno e le consentiranno di rientrare in casa. Passi domani in caserma per la denuncia del furto della macchina e si chiuda dentro fintanto che non avrà cambiato la serratura.» Franco ritornò al cancello assieme ai due militari, cui diede le generalità della sua occasionale collaboratrice domestica. La luce azzurra si allontanò lampeggiando lungo la discesa di asfalto imbiancato. La neve aveva cessato la sua discesa. Franco si sentiva più sicuro al bordo della strada; distante dalla sua casa che ora apprezzava come luogo di mistero e quasi ostile. E fu lì che rimase in attesa dell’arrivo dei vigili del fuoco.
23
CAPITOLO III
Rimase solo ad ammirare a Est l’aprirsi dell’occhio ciclopico della Terra al suo ridestarsi. La giornata si presentava sgombra da nubi: la perturbazione siberiana aveva completato il suo passaggio per cedere il posto a un sole che, almeno per le prime ore, avrebbe inutilmente cercato di scaldare la Terra. «Accidenti sto perdendo tutto il tabacco» mormorò Franco rivolto a se stesso mentre rigirava nervosamente tra le dita quell’ultima sua sigaretta. L’accese, lasciando che la brace compisse velocemente il suo primo tragitto. Passeggiava avanti e indietro lungo il ciglio stradale; ripercorrendo ogni volta i suoi stessi passi impressi nella neve al precedente passaggio. Ma non si allontanò mai per più di una cinquantina di metri dalla cancellata. Temeva di allontanarsi troppo dal suo rifugio. Aveva timore di sostare in eccessiva prossimità del luogo che, poco prima, lo teneva prigioniero. La quiete regnava ancora tra i colli. A distanza di pochi minuti, e in direzione tra loro contraria, passarono alcune macchine. Gli sguardi curiosi e fugaci di chi riprendeva contatto con la quotidianità della vita. Il rumore delle scalate del cambio di un mezzo pesante; pareva vicino. Un suono analogo dopo alcuni secondi; un po’ più lontano. Il tornante sotto casa gira a sinistra, quello successivo, più distante in linea d’aria, riporta la carreggiata in direzione del civico quarantasette. Il grosso mezzo dei vigili del fuoco si fermò di fronte alla cancellata chiusa. Franco si avvicinò alla portiera di destra e dopo un cenno di saluto inserì nella nicchia ricavata nella pietra, la chiave elettronica avuta dagli agenti della Securitas.
24 Accanto, e alternata, alla luce azzurra che volteggiava sul tetto del mezzo giunto in soccorso, iniziò a balenare nel cielo terso anche la luce arancione che indicava il movimento delle ante in ferro battuto. Con l’uso di una pala venne rimosso lo strato di neve accumulato dietro la cancellata. Con un breve balzo il mezzo iniziò a percorrere lentamente il viale d’accesso alla villa, sfiorando e scuotendo d’ambo i lati i rami degli alberi. Spogliandoli del loro elegante manto nevoso. Franco seguì a piedi il camion rosso, mentre alle sue spalle tornava a richiudersi, ricomponendosi, l’opera in ferro battuto. E la luce arancione si spense. Dalla cabina del mezzo scese una squadra composta da cinque uomini. Vi era contrasto tra i volti rilassati degli uomini in divisa e la maschera d’ansia e stanchezza che copriva il volto di Franco. Era chiaro che quelle persone, all’anno nuovo, avevano dato solo un breve saluto di cortesia e, dopo il riposo, avevano da poco iniziato la loro giornata. «Buon giorno e buon anno!» esclamò il primo a scendere dal mezzo con un piccolo balzo. «Salve e grazie di essere venuti» rispose Franco, «quanto al buon anno, lasciamo perdere. Se il buongiorno si vede dal mattino…» «Via non si preoccupi non sa quanti di questi interventi ci tocca fare!» Un sorriso forzato comparve nel volto di Franco. «Mal comune mezzo gaudio» disse a bassa voce. Ma lui di gioire, sia pure a metà, non ne aveva voglia. Per l’ennesima volta fu costretto a dichiarare la propria identità e a dimostrare di essere realmente in casa propria. Una volta esaminati i documenti, i cinque, con Franco a seguirli, ispezionarono la villetta dall’esterno. Alla tiepida luce del sole nascente, la costruzione con la terra che la circondava aveva perduto l’alone di mistero che aveva generato terrore nel cuore di Franco solo poche ore prima. Ora era in grado di apprezzare le forme amiche degli oggetti e di una natura a lui ben nota. «Allora se ho ben capito lei afferma che la seconda finestra da sinistra al primo piano, qua sul retro, è solo accostata» disse il caposquadra.
25 «Sì, è quella del bagno di servizio. Non la chiudo mai, al limite l’accosto, per poter garantire un continuo ricambio dell’aria.» «La raggiungeremo con la scala telescopica. Ma è necessario preparare una base, prima. La zona è in forte discesa e, sotto l’ultima neve, si è già formato uno spesso strato di ghiaccio. Impossibile stabilizzare la scala.» Nemmeno la forza delle braccia di quattro persone avrebbe impedito alla scala di scivolare a valle. «Piero! Prendete un piccone e la vanga!» Mentre l’ordine veniva eseguito, il caposquadra cercava di sdrammatizzare la situazione con battute che Franco stentava ad apprezzare. «Le guardie giurate, i carabinieri e ora noi. Ci manca solo l’aviazione! Ma vedrà riusciremo a espugnare il fortino.» Con la pala venne rimossa la neve; circa un metro quadrato. Con il piccone venne spaccato il ghiaccio fino a far risaltare la terra che ora era fango e che era stata ricoperta dal manto nevoso. Non si limitarono a creare uno spiazzo piano, ma scavarono fino a creare due piccole buche nelle quali dovevano trovare alloggio i piedi della scala. Tirando la fune che pendeva nel mezzo, la scala raddoppiò in breve la sua lunghezza. All’impatto con il muro si staccarono pezzi d’intonaco. Alla fine, il mezzo che avrebbe consentito l’ascesa venne stabilizzato. Il più esile dei cinque iniziò a salire; si fermò al secondo piolo per scrollare, sbattendoli, gli anfibi, liberandoli dalla neve che avrebbe potuto creare lo scivolamento. Giunto alla sommità della scala, il vigile utilizzò una sottile lamina metallica per alzare il gancio che univa le due ante del balconcino e, in seguito, con una leggera spinta aprì la finestra. «E’ stretto il passaggio! Devo entrare di testa!» «Attento a non centrare la tazza!» fu la risposta del caposquadra che non dimostrava cedimenti nei suoi tentativi di umorismo e di sdrammatizzazione della situazione. Alla risata che ne seguì partecipò anche Franco con un sorriso appena abbozzato mentre in cuor suo si faceva strada una irriconoscente fretta affinché tutto si concludesse rapidamente e i suoi salvatori tornassero da dove erano giunti. Perché ora c’era la luce. Ora la paura era quasi passata; quasi del tutto svanita. Perché ora, veramente, tutto appariva come una spiacevole avventura nel primo gior-
26 no dell’anno, un episodio che, con il tempo, avrebbe assunto i connotati dell’aneddoto buffo da raccontare agli amici. Intanto in cima alla scala, la testa e il busto del benevolo intruso scomparvero: in un secondo tempo anche le gambe vennero risucchiate dalla casa. Mentre un paio di vigili faceva rientrare la scala, Franco con gli altri si incamminò verso l’ingresso principale. Trascorsero alcuni interminabili secondi poi, finalmente, la porta si aprì. «Tutto a posto» affermò colui che aveva restituito a Franco la libertà di rientrare in casa propria. «Mi basta una sua firma su questo modulo» disse il caposquadra tendendo dei fogli estratti da una cartella presa dal camion. «Poi la lasceremo andare a riposare in pace. Mi sembra ne abbia proprio bisogno!» «Vi devo qualcosa?» «Assolutamente nulla» gli venne risposto. Franco accompagnò con lo sguardo il camion dei pompieri che, in retromarcia, varcava la soglia del cancello che lui stesso aveva aperto con il pulsante posto a fianco del videocitofono. Attese la chiusura delle ante e il cessare del lampeggiare della luce arancione. Richiuse la porta d’ingresso alle sue spalle. Con gesto deciso si tolse le scarpe senza slacciare le stringhe. L’operazione fu difficoltosa in quanto le calzature eleganti, in pelle, avevano sofferto fino a sformarsi nelle ore passate dentro la neve. Si tolse anche le calze, completamente bagnate, che lasciò sul pavimento dell’ingresso. Il suo sguardo cadde sul quadro in legno, acquisto di un tempo in un mercato di Merano, che esibiva i ganci sui quali era abituato attaccare le chiavi. “Chiavi riserva auto” citava una targhetta sotto uno spazio desolatamente vuoto. «Gliela ho offerta su un piatto d’argento» disse Franco parlando a se stesso. A fianco vi era il quadro elettrico, tutti i pulsanti ordinatamente etichettati in base alla loro funzione: “caldaia”, “forza motrice”, salva vita”, “allarme perimetrico esterno” e “allarme volumetrico interno”. E quest’ultimo appariva disattivato.
27 Tirò il chiavistello interno. “Così anche se si sono procurati un mazzo di chiavi non potranno entrare.” “Ma nemmeno sarà agevole uscire nel caso ci sia ancora qualcuno in casa.” Il dubbio riaffiorò a tormentarlo. “Possibile mi sia dimenticato, nella fretta, di inserire l’allarme?” Con i piedi nudi, che stavano a poco a poco ritrovando la sensibilità, si indirizzò, attraversando l’ampia sala che occupava quasi per intero il piano terreno, verso il mobile cantonale veneto adibito a mobile bar. Si versò un bicchierino di grappa. In fondo per lui non erano le prime ore del primo giorno del nuovo anno, ma gli ultimi scampoli di una serata di festa inframmezzata da un insolito e fastidioso inconveniente. E dire che nemmeno doveva essere a Padova! Avrebbe infatti dovuto passare il capodanno, ospite della casa farmaceutica per la quale lavorava, a Vienna dove lo attendeva un programma di tutto rispetto in compagnia di colleghi come lui premiati per gli obiettivi raggiunti. Purtroppo sua madre, ormai ultra ottantenne, aveva avuto un malore la sera prima e lui si era sentito in dovere di non allontanarsi troppo. Un inconveniente, se così si può chiamare la malattia di una madre, che ne aveva creati altri. Il primo sorso di acquavite bruciò in bocca. Il secondo iniziò a provocare un leggero, ma fastidioso, giramento di testa. Si recò in cucina e svuotò il contenuto rimanente del bicchiere nel lavabo. Sorseggiò un po’ d’acqua. Passata l’euforia del rientro a casa, Franco si rese conto che la situazione che aveva vissuto e che tuttora stava vivendo, non era chiara. Qualcuno di certo era entrato in casa sua. Per fare cosa? … E quel qualcuno si era impossessato della sua vettura. Forse un ladro giunto da poco e disturbato dal suo arrivo? La disattivazione del sistema d’allarme, se inserito, e il furto della macchina erano facilmente spiegabili da quella tabella accanto la porta d’ingresso con i pulsanti e le indicazioni della loro funzione e dalla chiave dell’automobile lasciate inserite in quadro.
28 Anche l’accensione della lampada dopo la fuga dell’ignoto visitatore poteva essere spiegata. Era stato uno dei primi a montare lampade a basso consumo e nel corridoio ancora aveva un modello assai vecchio, di quelle che si accendono pienamente solo dopo alcuni minuti. Lui era abituato a dormire sempre con la luce accesa nel corridoio, una luce che faceva filtrare dallo spiraglio lasciato nella porta della sua camera da letto. Perché Franco non si fidava del buio. Ma che significato aveva, per il ladro, accendere la luce durante la sua fuga? Adesso se ne erano andati tutti. Li aveva lasciati andare tutti. Ora era solo: prigioniero nella sua casa che di nuovo gli era tornata ostile. Nella sala tutto appariva in ordine; nulla sembrava diverso da come lui ricordava di averlo lasciato. Certo qua e là vi erano piccole pozze d’acqua, effetto probabile del passaggio di dieci anfibi e di un paio di scarpe eleganti completamente inzuppate. Iniziò a salire la rampa di scale che lo avrebbe condotto al piano superiore, nel piano notte della villetta. La prima porta di destra dava accesso alla stanza nella quale dormiva e che, una volta, condivideva nelle notti estive con Laura, la sua ormai ex moglie. Non accese la luce; lo spiraglio che entrava dalla porta era sufficiente a guidare i suoi passi verso il comò sul quale teneva la Beretta che voleva accanto a sé per maggiore sicurezza. A “tentoni” cercò quell’oggetto il cui possesso sarebbe valso a fugare i timori riaffiorati forse con la complicità di un paio di sorsi di acquavite. Le sue dita ispezionarono con cautela la superficie del mobile; lentamente, quasi con il timore di urtare la pistola, facendola cadere. Ma la sua perlustrazione risultò vana. Eppure di questo ne era sicuro, la pistola non la spostava mai dal luogo nel quale da sempre la teneva. Si volse su se stesso e tornò in direzione della porta seguendo il segnale che la luce a basso consumo gli trasmetteva. Chiuse con decisione la porta e girò la chiave per porre una barriera tra il luogo ristretto nel quale si ritrovava, e del quale pareva aveva ottenuto il controllo, e il mondo dell’ignoto e forse del pericolo, all’esterno. E accese la luce.
29 Un piccolo punto, un foro. Al centro della fronte sopra un paio di occhi che lo fissavano dal volto ormai senza vita di un uomo semi assiso e composto sopra il suo letto. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD