Un mondo d'amore per Sophie

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In uscita il 23/12/2016 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine dicembre e inizio gennaio 2017 ( ,99 euro)

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PAOLA FROMBOLINI

UN MONDO D’AMORE PER SOPHIE

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UN MONDO D’AMORE PER SOPHIE Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-067-2 Copertina: immagine di Alberto Neri www.gigarte.com/albyrocchio

Prima edizione Dicembre 2016 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


A Irene, Eleonora e Vincenzo: semplicemente la mia Vita.



UN MONDO D’AMORE PER SOPHIE



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CAPITOLO 1

La primavera era appena cominciata e, dopo il freddo dell’inverno, il suo caldo tepore ridava vita alla natura: era incredibile osservare come tutti gli esseri viventi, dalla piccola formica alla grande quercia, grazie al suo influsso riacquistassero energia. Il cielo, senza nubi all'orizzonte, partecipava a questa rinascita, e il suo colore azzurro era cosÏ limpido da sembrare trasparente. Sophie era sdraiata ai piedi di un salice imponente: le piaceva farsi accarezzare i suoi lunghi capelli neri da quel delizioso venticello d'aprile. Perfino la sua gonna di cotone, che nonna Maggie le aveva cucito con tanto amore, si lasciava sfiorare volentieri da quei leggeri movimenti. La bambina, chiudendo i suoi occhi verdi, immaginava che le foglie di quel salice fossero tante ballerine su un palcoscenico immaginario che danzavano al ritmo di una musica dolce: il vento suonava le note e gli uccellini intonavano il canto, in una perfetta armonia. Poco piÚ in là , saltellando da una parte all'altra del prato, Joice cercava di catturare un piccolo grillo, anche se i suoi tentativi


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sembravano inutili: quel verde animaletto non aveva alcuna intenzione di diventare il pasto di un cagnolino dalla lunga coda e con il musetto color del latte, per lo più maldestro e paffutello! Erano in cammino da alcuni giorni e ormai Greenville, la piccola città dove avevano vissuto, era lontana diverse miglia. Avevano trascorso le notti sotto il cielo stellato, dormendo vicini per riscaldarsi, mentre all'alba si rimettevano in viaggio, percorrendo i sentieri di campagna, giocando spensierati nei prati verdi che incontravano lungo il cammino. Erano inseparabili e Joice rappresentava per Sophie il regalo più prezioso fattole dalla nonna. Lo stesso Joice era molto affezionato alla sua piccola padrona, tanto da non lasciarla mai sola: doveva proteggerla da tutte le insidie, e più di una volta le era stato d’aiuto. All’improvviso Sophie fu come svegliata da quello che era il suo pensiero più triste: era rimasta sola. Nessuno si sarebbe più preso cura di lei e del suo adorato Joice. Solo poche settimane prima, nonna Maggie era venuta a mancare in un modo così fulmineo che la piccola Sophie non aveva neanche avuto modo di rendersene conto fino in fondo. Non riusciva a capire perché una donna così buona e gentile potesse non esserci più, che i suoi caldi e dolci abbracci fossero ormai soltanto un tenue ricordo. Sophie si appoggiò al tronco dell’albero e, guardando Joice correre fra l'erba, cominciò a pensare agli anni trascorsi


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assieme alla nonna e al suo cane nella piccola casa sulla collina. La casa era senza troppe pretese, con due stanze e un grande camino, ma con tantissimo spazio per giocare all’esterno. Avevano avuto galline e conigli, a ognuno dei quali Sophie aveva dato un buffo nome: ogni volta che li chiamava all’appello, la nonna rideva così forte da farsi quasi mancare l’aria. La sua stanza era sempre piena di fiori profumati che Maggie raccoglieva ogni mattina. Nel letto grande e soffice, dove faceva bella mostra di sé la coperta di lana che la nonna aveva cucito con tanta pazienza, dormivano insieme e tutte le sere, prima di addormentarsi, Maggie le raccontava storie magnifiche di fate e di principi a cavallo, di folletti e bellissime principesse. E come dimenticare quelle dolci torte alla marmellata di fragole che ogni mattina accompagnavano la sua colazione e quella del goloso Joice? Fino ad allora, Sophie era vissuta così e mai le era mancato l’affetto della nonna. Adesso come poteva fare a meno di lei? Joice, che aveva forse intuito la malinconia della padroncina, lasciò stare il grillo saltellante e corse da lei per consolarla come sapeva fare così bene: con un balzo salì sulla gonna rossa e iniziò a leccarle il viso, tanto velocemente da farle addirittura il solletico.


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«Dai, Joice! Smettila!» disse ridendo Sophie, «guarda che mi sono già lavata il viso!». E giù, ancora a ridere divertita. Le era rimasto solo Joice ed era così legata a lui che per nessun motivo al mondo avrebbe voluto stargli lontana. L'abbracciò forte e disse: «Scommetto che è venuta fame anche a te! Che ne dici se mangiamo un bel panino al latte?». Tirò fuori dalla tasca un pezzo di pane così profumato che Joice cominciò a saltellare come il grillo che aveva inseguito. Dopo averlo diviso in parti uguali, diede una porzione al suo amico che l’afferrò a denti stretti per poi accucciarsi e gustarlo in tutta tranquillità. Sophie, sorridendo, cominciò a mangiare. Un piccolo ruscello d'acqua scorreva a pochi metri da loro. Era piacevole sentire il rumore dell’acqua che passava tra un sasso e l’altro: era così limpida che Sophie si chiese che sapore avesse. Dando quasi l’impressione di aver intuito i suoi pensieri, Joice si avviò svelto verso il fiume e, quando Sophie immerse le mani per bere, il cane aveva già finito e stava tornando verso quella zona del prato dove si nascondeva il grillo: voleva giocare ancora con lui, ma l’animaletto verde dalle lunghe zampe se ne era già andato. Deluso, Joice si sdraiò all’ombra del salice per leccarsi una zampa dov’era rimasta qualche briciola di pane. Sophie lo raggiunse e, per puro caso, notò accanto all’amico un pezzetto di carta. Forse le era caduto mentre tirava fuori dalla tasca il pane. Sapeva benissimo cos’era e un velo di tristezza le


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calò sul viso. Su quel foglio sua nonna, prima di lasciarla, aveva scritto il nome di un uomo, George Hillman, e quello di una città lontana mille miglia: Rockfort. Ricordava benissimo le parole della nonna: “Cara Sophie, io sto per andare in un posto bellissimo, dove mi stanno aspettando la mamma e il nonno. Tu non puoi venire in questo posto meraviglioso: sei ancora una bambina e hai tutta la vita davanti a te. Lascia però che ti dica una cosa che ti farà vivere ancor più intensamente gli anni a venire: tuo padre si chiama George Hillman, ha trentacinque anni e purtroppo vive molto lontano. Non ha mai saputo della tua esistenza perché ha lasciato tua madre Anne prima che tu nascessi. Il giorno del parto, Anne ebbe gravi complicazioni e dopo pochi giorni morì; ti amava immensamente e prima di morire supplicò me e il nonno Richard di prenderci cura di te. Abbiamo cercato di darti sempre il meglio e, quando Richard è venuto a mancare, non me la sono sentita di rivelarti chi fosse tuo padre: vedi, Sophie, temevo che potessi abbandonarmi per andare a cercarlo. Non sopportavo l’idea di restare completamente sola dopo la morte delle due persone che più amavo al mondo. Perdonami Sophie, perdonami tesoro mio, adesso però è giusto che tu sappia la verità. Trova tuo padre, trovalo e amalo nonostante il dolore che ci ha causato con la sua fuga. Tu hai bisogno di lui e, sono certa, lui ha bisogno di te!


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Prendi il denaro che ho messo da parte giorno dopo giorno e parti insieme a Joice. Vai verso ovest, vai da tuo padre. E non preoccuparti per me: io starò bene tra gli angeli. Quando lo troverai, abbraccia tuo padre e insegnagli a volerti bene.” Una lacrima fece capolino dagli occhi della bambina: era triste ripensare agli ultimi attimi di vita della nonna. Alzò il viso al cielo e, con il vento fra i capelli, pianse così tanto che alla fine non sentiva più gli occhi. Sapeva che la sua amata nonna, suo nonno e sua madre erano lì accanto a lei, le sembrava di sentirli. Come per incanto capì che continuare a piangere non le avrebbe giovato. Doveva andare avanti, verso il suo destino e, soprattutto, doveva trovare suo padre il prima possibile. Si asciugò il viso e, dopo aver tirato un sospiro, chiamò l’inseparabile Joice: «Noi due insieme ce la faremo» disse la bambina. «Andiamo: il tramonto è vicino e abbiamo ancora tanta strada da fare. Forza amico mio, in marcia!». Con il vento leggero dei primi di aprile, s’incamminarono verso ovest. Joice, accanto a lei, sembrava un impavido cavaliere dalla lucente corazza che l’avrebbe sempre difesa dalle avversità di quel lunghissimo viaggio.


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CAPITOLO 2

Avevano percorso così tanta strada che Sophie decise di fermarsi: la stanchezza aveva preso il sopravvento e il solo desiderio che aveva era quello di riposare per qualche minuto. Joice la precedeva di qualche metro e, accortosi che la sua padroncina si era seduta, le corse in contro, abbaiando come non mai. «Cosa c’è che non va, eh Joice? Sono così stanca che non riesco a starti dietro: ho solo due gambe, mica quattro come te!» disse con un sorriso divertito. «Adesso ci riposiamo e poi riprenderemo il nostro cammino, che ne dici?». Joice sembrava non capire le parole di Sophie e, saltellando, abbaiava verso una stradina poco distante. «Dove vuoi andare? Ho detto che non ce la faccio più. Vieni accanto a me e riposati. Ma dove trovi tutta questa energia?». Ma Joice non intendeva darle retta: voleva che la sua padroncina lo seguisse e stava facendo di tutto per farla alzare. «Va bene, va bene, hai vinto! Però adesso smetti di abbaiare!» disse Sophie alzandosi in piedi. «Ma dove vuoi andare?» continuò.


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Il cane si attaccò alla sua gonna e cominciò a trascinarla lungo il sentiero: fu solo allora che, fra gli alberi, Sophie intravide una luce proveniente da una piccola casa dal tetto marrone. «Ecco cosa volevi che vedessi! C'è una casa laggiù e se c'è una luce accesa alla finestra, vuol dire che dentro ci sarà qualcuno!» disse Sophie felice. «Bravo il mio Joice: cosa farei senza di te?» si complimentò la bambina accarezzando la testa del suo amico. «Andiamo, forse ci accoglieranno per qualche ora!». Arrivati davanti alla porta, Sophie trovò il coraggio e con fermezza bussò. Dopo pochi istanti la porta si aprì e apparve una bellissima signora di circa trent'anni che le sorrise amorevolmente. «Ciao piccolina, cosa ci fai qui? Posso esserti utile in qualcosa?» chiese quella dolce signora con tono gentile. Era alta e aveva lunghi capelli biondi dorati che le cadevano oltre le spalle. Il suo vestito era cucito a mano: su una gonna blu con disegni gialli portava un delizioso maglioncino bianco in cotone che metteva in risalto tutta la sua bellezza. «Mi chiamo Sophie e lui è il mio grande amico Joice» disse la bambina, «siamo in cammino da molte ore e vorremmo chiederle ospitalità per qualche minuto, se per lei non è un problema». «Certo che potete entrare!» rispose la donna. «Venite pure dentro: ho qualcosa che vi rimetterà in forze!» e regalò a Sophie il più dolce dei sorrisi. Come misero piede in quella


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piccola casa dall’aria così familiare, furono accolti da un profumo che ormai non sentivano da molto tempo: l’odore di una torta appena sfornata, proprio come quelle di nonna Maggie. «Mettiti pure a sedere e anche tu, Joice, avvicinati» disse la bella signora. Sophie, guardandosi intorno, trovò confortevole quell’ambiente sconosciuto: alle pareti erano appesi quadri dai mille colori che rappresentavano paesaggi incantati. Un bel focolare se ne stava spento e annerito in un angolo, dopo un inverno di duro lavoro. I mobili erano in stile rustico, di legno chiaro, e nella dispensa troneggiavano tanti merletti che rendevano belle anche le mensole più vecchie. Fiori gialli arricchivano due vasi di porcellana bianca, anche se il re della cucina era un grande tavolo di legno massello con le sedie tutt’intorno. «Da dove venite?» domandò la donna con un altro grande sorriso che riscaldò il cuore di Sophie. «Veniamo dal sud signora» rispose lei. «Chiamami semplicemente Julie» disse lei presentandosi. «Io sono Julie Morris». «Va bene signora Julie… ehm, Julie!». «E i tuoi genitori dove sono?» chiese la donna. «Non vorrai dirmi che sei in giro tutta sola!». Mentre Julie parlava, con il naso puntato verso la torta, Joice montò sulla sedia facendole capire che, forse, era arrivato il momento di tagliarla.


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«Hai ragione piccolo Joice!» disse Julie ridendo, «tieni, prendi questa fetta: è molto buona, te lo assicuro!». «Grazie a nome di Joice» disse Sophie. «E questa è per te» disse Julie rivolta alla bambina, porgendole la più appetitosa fetta di torta che avesse mai visto. «Mangia pure con calma, poi mi racconterai quello che ti è successo». «Va bene» rispose Sophie mentre addentava con voracità la sua porzione. Un gran bicchiere di latte appena munto seguì il delizioso spuntino, mentre a Joice fu data una ciotola piena di acqua fresca che l’animale finì in pochi attimi. «Allora» disse Julie, «raccontami la tua storia, piccola Sophie». La bambina tirò un profondo respiro, poi disse: «Sono in cammino verso ovest, in cerca di mio padre: lui non sa che lo sto cercando, anzi, non sa proprio niente di me, ma lo devo trovare a ogni costo perché al mondo ormai mi è rimasto soltanto lui». Un leggero velo di tristezza comparve sul suo viso. «Povera Sophie!» esclamò Julie. “Tua madre non è con te?» domandò, già immaginando la risposta. «La mamma e i nonni sono con gli angeli, lassù in cielo. Mi mancano tanto. Ho solo dieci anni e sono rimasta sola, ecco perché devo trovare mio padre!» e nascose con la sua piccola mano quella lacrima che veloce le stava scivolando sulla guancia.


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«Sophie non devi essere triste perché, anche se non li vedi, tua mamma e i tuoi nonni sono sempre con te, e poi sono sicura che riuscirai ad abbracciare tuo padre quanto prima. Appena vedrà una bambina così bella e tanto dolce, potrà solo volerti bene!» disse Julie. Quel tono di voce rassicurante ebbe un effetto talmente buono sull’animo di Sophie che un sorriso leggero le illuminò il viso, spazzando via le lacrime come un vento di primavera. Julie accarezzò i morbidi capelli della bambina che, per un attimo, ebbe l’impressione che a toccarli fosse la nonna: aveva bisogno di quel conforto, era passato troppo tempo da quando le avevano riservato così tante attenzioni e fu in quella piccola casa sconosciuta, ma così piena d’amore e di calore, che si sentì rinascere. La porta si aprì all’improvviso e sulla soglia comparvero un uomo dal viso solare e una bimba di circa cinque anni. I suoi capelli erano del colore dell’oro, proprio come quelli di Julie. «Siete tornati finalmente!» disse la donna con un grande sorriso. «Ho una bella sorpresa per voi, su forza, entrate». Julie corse a chiudere la porta alle loro spalle, poi disse: «Vi presento la nostra nuova ospite: si chiama Sophie e questo simpatico cagnolino è il suo fedele amico Joice». Il cane, scodinzolando, andò da loro. «Sophie è in viaggio verso ovest» continuò la donna, «e fino a domani starà con noi: ormai è buio e può essere pericoloso avventurarsi nel bosco di notte».


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«Ma io… ecco, io non vorrei disturbare» balbettò imbarazzata Sophie. «Non dire sciocchezze! Passerai la notte con noi e domani, se vorrai, potrai riprendere il tuo viaggio. Comunque, lui è mio marito Mark» disse Julie indicando l’uomo, «e questa deliziosa bambina è nostra figlia Sally». «Salve, io sono Sophie e lui è Joice» disse prendendolo in braccio. «Ciao piccola Sophie, è un piacere averti con noi: raramente riceviamo visite quassù: la città è lontana e di forestieri se ne vedono pochi quindi, benvenuta e chiamami Mark, mi raccomando». Che persone gentili e simpatiche, pensò Sophie. «Grazie per l’ospitalità» disse guardando Sally negli occhi. La bambina somigliava a sua madre: aveva gli stessi, dolci lineamenti, così come gli occhi, del colore del mare. Per non parlare dei capelli, lisci e lunghi come tanti fili di preziosissimo oro. Era aggrappata alla gamba del padre e sembrava non volerla lasciare: la nuova ospite la intimidiva così tanto che ancora non era riuscita a salutarla. Era raro per lei vedere qualcuno che non fosse suo padre o sua madre. Mark la prese in braccio e si avvicinò a Sophie. «Non avere paura di lei» le disse, «è una bambina buona proprio come te!».


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La piccola Sally sembrò meno impaurita e, a voce bassa, riuscì finalmente a salutare Sophie. «Ciao» disse. Non appena il padre la mise a terra, Joice cominciò ad agitarsi fra le braccia di Sophie: voleva scendere per poterla salutare come sapeva fare soltanto lui. Sophie non fece in tempo ad appoggiarlo sul pavimento che subito cominciò a saltellare intorno a Sally, laccandole il viso con una tale velocità che tutti scoppiarono a ridere divertiti. «Piano Joice, piano» disse Sally cercando di sottrarsi alle effusioni del cagnolino. «Fa così con tutti» cercò di giustificarlo Sophie, «è un cane molto vivace!». Rimasero a guardare la divertente scenetta per qualche minuto e, fra un sorriso e l’altro, Sophie sentì dentro di sé una strana e piacevole sensazione di benessere: Mark, Julie e Sally rappresentavano tutto quello che lei aveva sempre cercato. Una famiglia unita e piena d’amore dove, ne era certa, si sarebbe trovata benissimo. Avrebbe tanto voluto rimanere con loro per sempre, ma il suo posto era altrove, insieme a suo padre. Domani mi metterò in cammino, pensò e subito un velo di tristezza comparve sul suo viso. «Che ne dite se preparassi qualcosa di buono per cena?» chiese Julie interrompendo i suoi pensieri tristi. «Buona idea amore» rispose Mark. «Nel frattempo andrò al pozzo per attingere l’acqua».


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«Sally, fai vedere a Sophie la tua stanza e i giochi che papà ha costruito per te!» suggerì Julie alla figlia mentre prendeva da un cassetto della credenza una pesante tovaglia marrone. «Subito mamma» rispose contenta la bambina. «Vieni con me Sophie e anche tu, Joice». La sera era calata e il buio fece capolino dalle finestre, ma in quella casa così calda e rassicurante Sophie scoprì di non aver paura. La cena fu ottima: Julie era una cuoca eccellente e la zuppa di verdure si rivelò gustosa e saporita al punto giusto, tanto che Sophie ne mangiò due piatti. Seduti intorno a quella tavola, apparecchiata in modo semplice, risero con piacere e per Sophie quella fu una serata splendida. La notte passò tranquilla nel lettone che divideva con Sally che, per tutto il tempo, non fece altro che tenersi stretta a Sophie, proprio come se fosse la sua sorella più grande. Joice, ai piedi del letto, se ne stava sdraiato su una coperta di lana. Dormì beato per tutta la notte: la stanchezza aveva avuto la meglio anche su di lui.


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CAPITOLO 3

La mattina seguente Sophie si svegliò di buon’ ora e uscì a giocare con Joice, gustandosi la prima aria fresca della giornata. Il tempo prometteva bene: il cielo era di un azzurro candido, senza neppure una nuvola e il sole del mattino fece capolino tra gli alberi, regalando alla bambina un sorriso di luce splendente. Oggi sarà una giornata perfetta per rimettersi in viaggio, pensò Sophie. Sally dormiva ancora mentre Mark e Julie erano in cucina a preparare colazione. «È una bambina deliziosa, non trovi?» chiese Julie al marito. «Sì!» rispose lui. «È dolcissima e mi dispiace per quello che le è successo: la sua storia mi ha fatto gelare il sangue. Una bambina così piccola e già sola al mondo: che Dio ci salvi da certe disgrazie» finì Mark con tono sconsolato. «Dobbiamo aiutarla, non credi?» aggiunse la donna fissando il marito negli occhi. «Pensa se fosse Sally a vivere una situazione del genere» e la voce le si spezzò, prossima al pianto.


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«Certo!» rispose Mark con spontaneità. «Possiamo fare molto per lei: Rockfort è lontana e farle affrontare un simile viaggio da sola non è certo una buona idea; le parleremo e cercheremo di capire se vuole davvero arrivare fin laggiù per cercare suo padre». Sospirò di sconforto quando un nuovo pensiero gli attraversò la mente: «e se lui non volesse saperne niente di lei? Cosa farebbe tutta sola in una città dove non conosce nessuno?». «Pensi che se le chiedessimo di rimanere qui per qualche giorno accetterebbe? Magari stando con noi potrebbe riflettere con calma e riordinare le idee: troppe cose tristi le sono successe in poco tempo e credo che in questo momento abbia solo bisogno di un periodo di serenità… che ne pensi?». Il modo in cui Julie riusciva a esprimere quello che provava aveva sempre un buon effetto su Mark che si ritrovò ad annuire all’idea di sua moglie. «Sarà una buona compagna di giochi per Sally: la nostra bambina non vede mai nessuno e anche a noi farà bene prenderci cura di lei per qualche giorno, poi le lasceremo decidere cosa fare» aggiunse Julie. «Sì, questa è proprio la decisione giusta» annuì Mark. «Così avremo modo di pensare a come trovare suo padre. Posso chiedere se qualcuno, in città, si ricorda di lui: se era diretto a Rockfort, deve essere passato per forza da Bridgeport!». «Sapevo di poter contare su di te» disse Julie abbracciandolo. «Sei un tesoro Mark».


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In sette anni che vivevano insieme, mai una volta l’aveva delusa: era il miglior marito che una donna potesse desiderare. «Andiamo a chiedere a Sophie cosa ne pensa: sono convinto che quello che le diremo le farà piacere» aggiunse Mark pieno d’entusiasmo. Sophie stava osservando i boccioli delle rose che Julie aveva piantato dietro casa: ce ne erano di bellissime dalle lunghe spine. Alcune avevano gambi così alti che sembravano stagliarsi verso il cielo. A maggio sarebbero sbocciate e avrebbero dato un tocco di colore dalle mille sfumature a tutto il giardino. Anche l’orto era ben curato: ogni tipo di verdura era ben allineata e piccoli solchi sul terreno facevano scorrere l’acqua per l’irrigazione. «Sophie? Dove sei?» chiamò Julie ad alta voce. «Eccomi!» rispose Sophie correndo, seguita dall’inseparabile Joice. «Vieni dentro, la colazione è pronta» disse Mark in tono affettuoso. «Che bello!» replicò lei con un gridolino, «ho una gran fame». Entrarono in casa e nel frattempo si era alzata anche Sally: era ancora assonnata e si strofinava gli occhi sbadigliando. «Buongiorno mia piccola principessa» la salutò Mark prendendola in braccio. «Hai dormito bene?». «Sì papà» disse Sally con voce piena di sonno.


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«Forza» disse Mark strizzando l’occhio a Sophie, «tutti a tavola: stamani Julie ha preparato una colazione favolosa». La torta di mirtilli era ancora calda e il latte della mucca, che in casa chiamavano affettuosamente Flo, era denso e profumato. «Dove tenete la mucca?» chiese Sophie curiosa. «Dietro casa c’è una piccola stalla: abbiamo anche delle galline, qualche coniglio… e persino un’oca, Margot, e un vecchio cavallo di nome Sam» rispose Mark. «A Sally piace dare buffi nomi ai nostri animali» continuò Julie. «Anche mia nonna e io facevamo lo stesso» disse Sophie con un grandissimo sorriso. «Oltre a Joice avevamo tanti animali che però abbiamo venduto quando la nonna ha cominciato a non sentirsi più bene». Dopo quelle parole la bambina si zittì: involontariamente aveva toccato un tasto doloroso. Mark e Julie si accorsero che la bambina aveva cambiato umore e, guardandosi tra loro, colsero l’occasione per iniziare il discorso a cui tanto tenevano. «Sophie» disse Mark cordiale, «io e Julie abbiamo parlato di te. Abbiamo preso molto a cuore la tua storia e vogliamo aiutarti a ritrovare tuo padre. Devo però dirti che non sarà semplice perché Rockfort è molto lontana e, soprattutto, perché sono passati molti anni da quando ha lasciato Greenville. Però tenteremo lo stesso. Ci vorranno giorni per raccogliere informazioni in città così, nel frattempo, che ne dici di restare con noi?».


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Sophie rimase senza parole, non sapendo cosa dire, colta di sorpresa dalla proposta di Mark. «Sì!» gridò felice Sally al settimo cielo. «Io… insomma, io non vorrei crearvi problemi» balbettò Sophie, stupita da tanta gentilezza. «Per noi è solo una gioia se resterai qui» disse Julie con il tono di una mamma che parla con sua figlia. «Almeno per il momento crediamo sia la scelta migliore!». Sophie si commosse: non avrebbe mai creduto possibile incontrare delle persone così premurose. «Siete molto buoni con me, ma non vorrei approfittare…». «Non devi farti questi problemi, Sophie. E poi anche Sally sarà felice di passare del tempo insieme a te e Joice, vero Sally?». «Sì! Sì! Sì!» gridò la bambina alzando le braccia al cielo. A Sophie sembrava di sognare: quello che stava per iniziare era davvero un periodo speciale e, anche se ancora non poteva saperlo, quella sarebbe stata la prima di molte giornate serene che avrebbe vissuto insieme a loro. «Allora è deciso» disse Mark, «resterai qui e ti aiuteremo a trovare tuo padre».


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CAPITOLO 4

Fu Sally a beneficiare maggiormente della presenza di Sophie: non aveva mai avuto una vera amica con cui giocare e, anche se l’amore dei suoi genitori non le era mai mancato, stava entrando nell’età in cui diventava necessario confrontarsi con qualcuno che non fosse un adulto. Sophie, dal canto suo, pensava sempre meno ai suoi problemi e ogni giorno sentiva crescere dentro di sé una nuova consapevolezza: stava sbocciando in lei una profonda serenità dovuta all’affetto della famiglia Morris. Anche Joice aveva trovato il suo ambiente ideale, un luogo tranquillo e sereno, dove poteva correre e giocare spensierato. Perfino la mucca Flo era diventata sua amica e ogni mattina, vedendolo arrivare, gli augurava il buongiorno con un muggito. Julie si prendeva cura di tutti, preparando succulenti pasti. Le bambine l’aiutavano sempre a raccogliere le uova, a mungere Flo, anche se spesso combinavano solo guai: quante uova avevano rotto per giocare! E quanto latte era uscito dal secchio! Per Julie però questo era solo un gran divertimento che le faceva fare tante belle risate.


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Mark ogni mattina prendeva il carro, trainato dal suo fidato cavallo Sam, e si recava nella piccola città, dove lavorava in un mulino. Era un lavoro duro, faticoso, ma che consentiva alla sua famiglia di vivere dignitosamente. Le sue spalle larghe e la schiena possente lo aiutavano a trasportare i sacchi di grano e di farina. Qualche giorno dopo l’arrivo di Sophie, Harry, proprietario del mulino e suo amico, si avvicinò a lui e disse: «Ho saputo che hai dato ospitalità a una bambina del sud». Nella sua voce c’era ammirazione autentica. «Sì» rispose Mark orgoglioso. «Si chiama Sophie, ha dieci anni e vive con noi da quasi una settimana; tu come fai a saperlo?» chiese Mark incuriosito: non aveva parlato di Sophie con nessuno dei suoi amici. «Proprio ieri, Julie è venuta a far visita a mia moglie Claire: ha portato uova fresche e un cestino pieno di biscotti, quelli che ci piacciono tanto; con lei c’era Sally e la piccola Sophie. Per Claire è stata davvero una bella sorpresa e, lasciamelo dire, il tuo è un gesto di cui puoi essere fiero!». «È’ una bambina così dolce» disse Mark felice per l’approvazione del suo caro amico. «Sally le vuole tanto bene e ci è sembrato il minimo che potessimo fare». «So che sta cercando suo padre» aggiunse Harry, «e che nella sua vita ci sono state delle gravi perdite: sua madre, i suoi adorati nonni. Così piccola e ha già sofferto così tanto!».


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«È’ vero» ribatté Mark. «Ha sofferto molto, ma non si è abbattuta, anzi: riesce ancora ad amare il prossimo e la sua fiducia nei nostri confronti è stupefacente. Sembra impossibile che una bambina, dopo quello che le è successo, abbia così tanta voglia di vivere. E Sally? La nostra piccola Sally le vuole un mondo di bene». Un gran sorriso comparve tra le sue labbra: «non te ne avevo parlato perché non abbiamo avuto l’occasione: con tutto il lavoro che abbiamo mi è passato di mente» e sorrise di nuovo, come per scusarsi di quella dimenticanza. «Non ti preoccupare» rispose Harry, «ricorda che su di me potrai sempre contare e che sarò ben felice di darti una mano». Poi aggiunse: «come pensi di aiutarla?». «Avevo pensato di chiedere qui in città per sapere se qualcuno si ricorda di lui: se si mise davvero in viaggio per Rockfort partendo da Greenville, deve essere per forza passato qui da Bridgeport» rispose Mark. «Chissà, magari può aver chiesto ospitalità a qualcuno o aver fatto qualche acquisto particolare da non essere passato inosservato». «Ma sai almeno il suo nome?» domandò Harry. «Certo» rispose subito. «George Hillman. E da quello che ho capito, quando si è messo in viaggio doveva avere all’incirca venticinque anni». Harry lo fissò per un attimo, passandosi una mano tra i capelli.


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«George Hillman» ripeté lui. «Questo nome non mi è nuovo». La sua espressione era di chi cerca di ricordare qualcosa d’importante. «Lo hai già sentito?» chiese Mark incredulo: possibile che proprio Harry avesse incontrato il padre di Sophie? «Non lo so» rispose lui, «però voglio controllare i vecchi registri per esserne certo. Ti farò sapere qualcosa molto presto» concluse, felice di poter dare una mano al suo più caro amico. «Grazie Harry» disse Mark. Quella sera, di ritorno a casa, Mark si stupì nel non vedere le bambine giocare nel cortile. Entrò in casa e Julie lo accolse con il sorriso più lucente del mondo. «Bentornato amore» disse la donna, «com’è andata la tua giornata?» per poi abbracciarlo stretto. Mark ricambiò l’abbraccio, poi rispose: «Non potevo sperare in una giornata migliore, sono solo un po’ stanco. Le piccole dove sono?». «Ti stanno preparando una sorpresa, ma non posso dirti altro». «Una sorpresa?» chiese Mark incuriosito, «cos’è?». «Adesso vedrai con i tuoi occhi» replicò Julie. «Sally, Sophie, potete entrare!». Le bambine sbucarono dall’altra stanza e corsero verso Mark. Anche Joice, pur non capendone il motivo, partecipò alla corsa, abbaiando allegramente.


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«Tanti auguri a te … tanti auguri a te … tanti auguri caro Mark … tanti auguri a te!» intonarono le bambine saltellando intorno a lui. Mark rise di cuore, Julie batté le mani. «Oggi è il tuo compleanno amore mio! Con tutto quello che hai da fare te ne sei dimenticato, ma noi assolutamente no!» spiegò Julie. «Forza bambine, mostrate a papà il regalo che avete preparato!». Sally porse al padre un pacchetto con un bel fiocco rosso arricchito con tanti fiorellini bianchi. Era stata lei stessa a decorarlo e fremeva dalla voglia di farglielo scartare. Mark, commosso, cominciò ad aprire quel buffo pacchetto stropicciato e rimase a bocca aperta quando vide una stupenda camicia di cotone blu. Le sue iniziali, M.M., erano ricamate con un filo che ricordava il colore dell’oro. «Sono state le bambine a cucire, uno a uno, i bottoni» disse Julie. «È bellissima» disse lui fissando lo splendido regalo, «siete state davvero voi ad attaccare i bottoni?». «Sì papà!» rispose Sally. «Siete state bravissime! Avevo proprio bisogno di una camicia come questa» e le abbracciò entrambe con uno slancio pieno d’amore. Le bambine non volevano più separarsi da lui, soprattutto Sophie: quanto tempo era passato dall’ultima volta che suo


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nonno Richard l’aveva stretta con così tanto affetto. Chiuse gli occhi, godendosi ogni istante di quel momento perfetto. Mark si mise seduto e cominciò a giocare con loro, facendo il solletico prima a una poi all’altra, dando loro leggerissimi pizzicotti sulle gote, facendole ridere. A Sophie sembrava di sognare. La sera continuò piena di allegria attorno alla grande tavola, mangiando la cena che Julie aveva preparato e divorando poi la torta di panna e fragole. Quella notte Sophie si addormentò con un leggero sorriso sulle labbra: la felicità era stampata sul suo viso. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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