Vita e indagini del Maresciallo Luzzo, Rosanna Balocco

Page 1


In uscita il / /20 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine PDU]R e inizio DSULOH 2020 ( ,99 euro)

AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


ROSANNA BALOCCO

VITA E INDAGINI DEL MARESCIALLO LUZZO

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/

VITA E INDAGINI DEL MARESCIALLO LUZZO Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-377-2 Copertina: immagine di Massimo Bassetti

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, avvenimenti e luoghi sono il frutto dell’immaginazione dell’autrice o usati in modo fittizio. Ogni somiglianza con persone esistenti o esistite e con le vicende narrate è puramente casuale.


A mio figlio Massimo, la mia vita, la mia continuitĂ A Giancarlo, marito e padre unico



5

CAPITOLO I

Zorro le faceva segno con la mano di andare verso di lui, e intanto le mostrava una bellissima bambola. La bambina alzò lo sguardo, osservando la madre impegnata a farsi consigliare dalla commessa nella scelta di un profumo. La Pasqua era prossima e Tosca aveva condotto la sua figlioletta nel più grande centro commerciale di Savona, un emporio composto da diversi negozi in cui si trovava di tutto, e dove Sara era sempre contenta di andare perché la mamma, ogni volta, dopo aver fatto i suoi acquisti, le comperava un bel regalo. Oltre ai vari commessi vi erano diversi dipendenti, mascherati da eroi dei fumetti, per attirare l’attenzione dei bambini e invogliarli a chiedere ai genitori di comprare qualche balocco in più. Aveva già visto Braccio di Ferro, Tom e Jerry, Zagor e diversi altri e ora Zorro… Zorro, il suo eroe preferito. Era proprio lui, cappello nero in testa e con la Z dorata, la mascherina sugli occhi e i baffetti sottili. Sembrava proprio lo stesso Zorro che vedeva sui fumetti e in televisione, quando c’erano i telefilm a puntate! Ora si era accucciato e continuava a farle segno di avvicinarsi. Guardò nuovamente la madre. Era troppo impegnata per far caso a lei e, del resto, Zorro era vicino. Dopo un attimo d’indecisione, si avviò per raggiungerlo. Tosca sorrise alla commessa. Era stata gentile: le aveva fatto annusare pazientemente un’infinità di profumi e, finalmente, aveva trovato quello che più le piaceva. «Vieni, andiamo a cercare un giocattolo per te!» disse alla figlia, abbassando la mano per prendere quella della sua piccolina, ma non la trovò. La cercò nelle vicinanze e guardò se per caso fosse entrata in qualche altro negozio, ma senza alcun esito. Allora cominciò a chiamarla. «Sara? Sara, dove sei?» Non ebbe risposta e di Sara non c’era traccia. Cominciò ad allarmarsi e a chiamarla sempre più forte, chiedendo a tutti se avessero visto una bambina di cinque anni con un giubbotto e un berrettino rossi, i capelli


6 biondi, gli occhi azzurri. Continuava a chiedere ma nessuno l’aveva vista, tutti le facevano cenni di diniego col capo, domandò e cercò ancora finché non iniziò a urlare il suo nome. «Sara! Sara! Aiutatemi! Sara, la mia bambina, non c’è più! Aiutatemi…» Urlò così forte che giunse subito il servizio di vigilanza del centro commerciale. I vigilanti cercarono di calmarla, quindi l’accompagnarono nell’ufficio della Direzione e chiamarono i carabinieri. «È stato un attimo, un secondo» si giustificò Tosca «le avevo lasciato la mano un minuto per annusare…» e qui si fermò senza proseguire, poiché solo in quel momento si rese conto pienamente, che se fosse stata più attenta a sua figlia e non ai suoi acquisti, il fatto non sarebbe successo. Le indagini furono affidate al maresciallo Luigi Luzzo, entrato a far parte dell’Arma dei Carabinieri giovanissimo, poiché vi aveva svolto il servizio militare. Originario di Brindisi, dapprima era stato mandato a Palmanova, un paesino in provincia di Udine, poi, all’età di venticinque anni, con il grado di brigadiere, lo avevano trasferito in Liguria, a Savona, dove si era trovato abbastanza bene, ma il suo principale obiettivo rimaneva quello di tornare nella sua città natale. Non aveva, però, fatto i conti con il destino. Un giorno, per motivi legati al suo lavoro, aveva conosciuto Andreina. Il loro era stato un vero e proprio colpo di fulmine! La sua vita aveva preso improvvisamente un’altra svolta. Luigi Luzzo aveva dimenticato all’istante il filarino iniziato, con poca convinzione, con una giovane savonese, la sua Brindisi e la richiesta di trasferimento. Dopo poco più di un anno, Andreina e lui erano felicemente sposati. Appena era arrivato a Savona, Luzzo si era distinto così onorevolmente per aver svolto un’indagine accurata e particolarmente ostica, che il capitano Rovelli gli aveva consigliato di sostenere il concorso per diventare maresciallo. Luigi aveva seguito quel consiglio, aveva vinto il concorso e conseguito il suddetto grado. Negli anni seguenti la sua carriera era proseguita a gonfie vele. Nel momento in cui dovette occuparsi della scomparsa di Sara, benché appena trentenne, svolgeva le funzioni di capitano, il cui posto era rimasto vacante per via del collocamento a riposo del capitano Rovelli e


7 il Comando Provinciale di Savona era in attesa dell’arrivo, da Roma, del nuovo capitano, un certo Mario Denegri. Luzzo era coadiuvato dal brigadiere Emilio Caviglia, anch’egli prossimo al congedo ma, proprio per questo, molto esperto e capace. “Avrò proprio bisogno del suo aiuto per questa indagine!” pensò. «Mi scusi signora Cerruti, Sara aveva l’abitudine di allontanarsi?» domandò il maresciallo dei carabinieri a Tosca. «No! E questo fatto è strano. È sempre stata una bambina schiva, non si allontana mai da me, a meno che…» «A meno che non conosca la persona che la chiama» terminò l’uomo. «Esatto!» confermò lei «oppure…» le venne un pensiero improvviso. «Oppure?» la sollecitò il maresciallo. «Mah, questo pensiero mi ha torturata fin dall’inizio. Sono quasi certa, anzi posso dire di essere certa, che Sara non si è allontanata con uno sconosciuto, però potrebbe essere stata attirata da qualcuno che non conosceva ma che riteneva non fosse un pericolo.» Vedendo il viso sconcertato di Luzzo, proseguì: «Le spiego: in quel centro commerciale c’è diverso personale mascherato da eroe dei fumetti. Lo fanno sempre quando le feste come il Natale o la Pasqua sono vicine, o anche durante il periodo del Carnevale, così i bambini si divertono e chiedono più giocattoli ai genitori.» «E lei pensa che Sara potrebbe aver seguito uno di questi?» «Forse sì…» confermò la donna. «Se è così, signora Cerruti, abbiamo un bel problema. Non sarà affatto facile scoprire da chi è andata la sua piccola o con chi si è allontanata. In ogni caso, interrogheremo tutto il personale e cercheremo di fare tutto il possibile e anche l’impossibile, per ritrovarla, glielo prometto!» affermò il maresciallo. Le indagini partirono subito. Furono interrogati tutti i dipendenti che quel giorno erano al lavoro, sia quelli che si erano mascherati, sia gli altri. Rivoltarono le loro vite e le loro abitazioni come calzini. Furono interrogati anche parenti, vicini e amici, senza tuttavia approdare a nulla. Nessuno aveva visto niente. Sara sembrava essersi volatilizzata. Infine Luigi Luzzo dovette arrendersi. Convocò i genitori della piccola e disse loro che non aveva la minima idea di dove potesse essere la bambina. Inoltre, il fatto che non fosse stato chiesto alcun riscatto, non faceva presagire nulla di buono.


8 Evidentemente Sara non era stata rapita per ottenere dei soldi, ma per qualche altro motivo. «E quale?» domandarono i genitori. «Non lo posso sapere» rispose Luzzo, anche se dentro di sé poteva immaginarlo, e il solo pensiero gli dava la nausea. Però ai genitori disse: «Magari potrebbe averla presa una donna che non può avere figli o che aveva una bambina che poi è morta, molto somigliante a Sara, chissà…» Tralasciò di aggiungere che la loro figlioletta poteva essere stata preda di un pedofilo, anche se era convinto che quei due lo pensassero già. Tosca, alle parole del maresciallo, cominciò a piangere disperatamente. Angelo Cerruti, il papà di Sara, cinse le spalle della moglie con un braccio, era stravolto. Era subito rientrato a Savona dalla Germania dove, a Monaco di Baviera, lavorava per la VOLSKA, una casa di automobili esordiente che, volendo espandersi, aveva assunto il padre di Sara, ingegnere specializzato in design e molto abile nel suo lavoro. Si rivolse a Luzzo: «Lei crede che riusciremo mai a riavere la nostra bambina?» «Le indagini continuano, non lasceremo nulla d’intentato. Di più non posso dirvi» rispose laconico il maresciallo. Sapeva quasi con certezza che Sara non sarebbe più ricomparsa. “Forse è già morta e sepolta in qualche bosco sulle alture di questa città” pensò “ma non posso certo dir loro una cosa simile”. Come ogni volta che si trovava a dover affrontare un crimine, fu assalito da un sapore amaro in gola. Chiamò allora Emilio Caviglia che, oltre a essere un bravo brigadiere, era diventato anche un suo fidato amico. «Ti assegno le indagini di questo caso. Anche se nutro poche speranze di ritrovare viva la bambina, so che non potrei avere un investigatore migliore di te.» «Ti ringrazio per la fiducia, caro Luigi. Anche se per me si tratterà della mia ultima indagine, ti garantisco che ce la metterò tutta, perché questo caso mi sconvolge!» «Sconvolge anche me… e anche mia moglie. Quando gliene ho parlato, è inorridita! Pensa che ha pure pianto. E poi sai cosa mi ha detto Andreina? “Ma quella lì non poteva fare più attenzione a sua figlia? Certe donne non meritano di essere madri!”» A quel punto, Caviglia pensò:


9 “Certo che Luigi e Andreina che non riescono ad avere figli, pur desiderandoli tanto, devono essere rimasti profondamente toccati da questa storia!” Quasi comprendesse i pensieri dell’amico, il Maresciallo disse: «Ormai Andreina e io ci siamo rassegnati a non poter avere un bambino… il ginecologo su questo punto è stato categorico. Come avrai intuito, questo fatto ci ha scioccato molto. Perciò non mi darò pace finché, fosse anche fra trent’anni, non troverò l’autore di questo misfatto. So che non sarà un’indagine facile, ma sei il migliore e sai che mi fido ciecamente di te.» «Ti ringrazio e ti prometto che farò tutto il possibile. La mia priorità sarà di riuscire a trovare la bambina, e mi auguro che non resti solo una speranza.» *** Giacomo Vieri, appena mise piede sul primo degli scalini che portavano alle cantine sottostanti gli alloggi di quel caseggiato, individuò subito un ratto che lo guardava e che, quando lui alzò con stizza il bastone che portava sempre con sé, se la filò all’istante. “Dannati topastri!” pensò. L’uomo aveva trovato un appartamento in quel palazzo da circa due settimane e, appena aveva un po’ di tempo libero, cercava di bonificare l’annessa cantina, in modo che non potessero entrarvi i topi che erano proprio dappertutto. Si era subito pentito di essere andato ad abitare in quel condominio, dopo essersi accorto di quanto fosse trascurato. Comunque ormai era lì, e le sue finanze non gli permettevano un altro trasloco, almeno non subito. “Appena possibile, però, mi cerco un altro alloggio, in un posto più dignitoso” pensava. Era l’unico, in tutto l’edificio, ad accedere allo scantinato. Gli altri abitanti, prevalentemente donne sole, avevano paura a scendere per la presenza di quegli enormi sorci. Tuttavia si era accorto che in un’altra cantina quegli animali schifosi non riuscivano a entrare. Li vedeva affollarsi davanti alla porta, evidentemente attirati da qualcosa, ma l’uscio era sbarrato in modo che non potessero trovare nessun pertugio in cui infilarsi. Subito aveva pensato di essere l’unico ad accedere al seminterrato, ma indubbiamente vi era anche qualcun altro.


10 “Dovrò farmi dire chi è, in modo da chiedergli come ha fatto a sprangare così la sua porta!” si disse. Mentre stava per entrare nella sua cantina, udì una specie di gemito. Non vi fece caso perché quei ratti di fogna – che anche in quel momento erano accalcati davanti alla solita porta – emettevano strani versi. Ma, dopo aver preso la scatola dei ferri che gli occorreva per un lavoretto in casa, uscendo sentì come una sorta di canto. “Non può essere un ratto…” pensò. Si avvicinò allora a quella porta, scacciando i topi con il suo bastone. «Via, via!» urlò e quelli si dispersero all’istante. Accostò l’orecchio ma non sentì più nulla. Decise di tornare sui suoi passi. Evidentemente si era sbagliato. Subito, però, quella nenia gli giunse nuovamente alle orecchie. Era molto debole, ma non si poteva certo dire che fosse il verso di qualche animale. Questa volta si avvicinò senza far rumore e lo udì chiaramente. Si trattava proprio di un suono umano, come se qualcuno lì dentro intonasse una cantilena, che ripeteva sempre uguale. Giacomo restò basito. Forse dentro a quel buco c’era qualcuno? Pur sperando di sbagliarsi e di essersi confuso, decise di tornare subito in casa e di chiamare i carabinieri. «Non voglio sembrare paranoico» spiegò «ma mi è capitato di sentire…» Dopo neppure dieci minuti, una Gazzella con due carabinieri giunse sul posto. L’arrivo dell’auto, con tanto di sirena e lampeggiante, aveva attirato la maggior parte degli abitanti nelle vicinanze. Dopo qualche preliminare interrogatorio alle persone del condominio, il risultato fu che non si sapeva di chi fosse o chi usasse quella cantina. «Qualche volta, ma raramente, ho visto uno sconosciuto venire qui e scendere nello scantinato…» disse l’inquilina del piano terreno. «Di giorno?» s’informò il carabiniere. «Ma certo!» esclamò la donna, risentita «io la sera non esco da sola!» «Da quanto non lo vede?» La donna ci ragionò un po’, poi disse: «Ora che ci penso, da poco… circa tre o quattro giorni direi, a meno che non sia passato senza che me ne accorgessi.» Poiché la donna pareva una di quelle a cui non sfugge nulla, il carabiniere pensò che l’informazione poteva essere attendibile. «Saprebbe descriverlo?» domandò ancora.


11 «Non l’ho mai visto bene in faccia, portava sempre un berretto calcato sulla fronte e una sciarpa che gli nascondeva bocca e naso, benché non facesse freddo… ricordo che pensai fosse malato. Però, non l’ho mai guardato a lungo, sa, io sono una donna onesta…» Dopo aver squadrato quella che poteva definire una “zitella” e pensando che probabilmente non avrebbe corso alcun rischio, il carabiniere nascose un sorrisino ironico e, dopo averla ringraziata, fece al compare un cenno col capo, indicandogli di seguirlo. Insieme scesero nello scantinato. Sentirono subito una specie di lamento provenire dalla cantina indicata dall’uomo che aveva chiamato e il primo carabiniere, forse per una sorta di sesto senso, fece prontamente segno al collega di non parlare né di fare alcun rumore. Gli balenò la sensazione, rivelatasi poi esatta, che se chi si lamentava avesse sentito delle voci, non avrebbe più emesso alcun suono. Si accostò cautamente alla porta e udì la cantilena. Attese qualche secondo che al suo collega, più impaziente di lui, parve eterno, quindi si decise a parlare: «Ehi, c’è qualcuno lì dentro?» La cantilena, o meglio quella specie di lamento, cessò all’istante. «Non aver paura, sono un carabiniere. Hai bisogno di aiuto?» Silenzio totale. Si rivolse al collega: «Chiedi per radio al Comando che ti mandino un fabbro al più presto…» poi aggiunse: «ah, anche un’ambulanza, non si sa mai…» L’altro fece un gesto come se pensasse che il suo compagno di lavoro fosse mezzo tocco, però eseguì. Il carabiniere, quindi, rimase in attesa e in silenzio assoluto. Dopo pochi minuti la cantilena riprese. “Mio Dio!” pensò “fa’ che non sia ciò che penso!” *** La trovarono seduta a terra, in quella cantina il cui pavimento limaccioso non aveva neppure un fondo di cemento. Era coperta di lividi, ematomi vari e chissà cos’altro su tutto il corpo. Intorno a lei, oltre a vari escrementi, qualche avanzo di cibo in scatola, alcuni biscotti e mezza bottiglietta di acqua. Per fortuna, la porta era stata rinforzata dall’interno, in modo che i topi non riuscissero a entrare. Anche al finestrino, l’unico punto da cui passava aria e un minimo di luce, poiché si affacciava su un cortile di cui nessuno usufruiva, era stata


12 messa una rete a maglie fittissime. La bambina si abbracciava le gambe e si muoveva, dondolandosi avanti e indietro. Il suo sguardo era assente e continuava a sussurrare la solita cantilena. Il carabiniere che entrò per primo si trovò di fronte a uno spettacolo terrificante. La piccola poteva avere circa cinque anni. Il pensiero dell’uomo corse subito a sua figlia, di poco più grande di quella bimba che aveva davanti, e si augurò con tutto il cuore di poter mettere le mani su chi aveva ridotto quella piccina in quello stato. Si avvicinò e la bambina lo guardò, ma parve non vederlo. Solamente quando lui allungò la mano per prenderla in braccio e portarla via da quel letamaio, si ritrasse, impaurita. Allora, con voce gentile, nel modo più rassicurante possibile, le disse: «Stai tranquilla, sono un carabiniere. Non ti faccio nulla, voglio solo portarti via da qui, ti porto dai tuoi genitori, vuoi?» Le disse così, senza sapere neppure chi fosse. La piccola lo guardò e sembrò riuscire a capire che quell’uomo non voleva farle alcun male, però non accennò a volerlo raggiungere. Il carabiniere allora le andò vicino e cercò di prenderla in braccio ma la bambina, subito, si divincolò tanto che lui fece una fatica immane per riuscire a sollevarla e a trattenerla in braccio. Mentre la portava fuori alla luce, lei continuava a divincolarsi con una forza incredibile per essere così piccola. Il carabiniere faticava a non vomitare per l’odore rivoltante che emanava, ma soprattutto per ciò che si faceva strada nella sua mente: quella bambina doveva aver subìto ogni sorta di sevizie, e non era certo che si sarebbe mai ripresa, anche se aveva solamente pochi anni. «Coraggio» le disse, mentre la consegnava agli infermieri dell’ambulanza «l’incubo è finito.» Non poteva sapere, invece, che per lei era appena iniziato. *** Tosca e Angelo Cerruti erano seduti nell’ufficio del maresciallo Luzzo. La bambina, ritrovata dopo tre mesi dalla scomparsa, era risultata essere Sara e, mentre il carabiniere parlava, Tosca pensava alla sua piccolina, rinchiusa in quel tugurio. Per fortuna si era messa a cantare. Scoprirono che era la ninna nanna che le sussurrava ogni sera il nonno Beppe, per aiutarla a addormentarsi, dopo che era morta sua moglie Nina, che aveva accudito Sara da quando era nata, poiché la madre era


13 sempre impegnata. Più disperato ancora dei genitori per quella perdita, era stato proprio il nonno che, da quando si era assunto l’incarico di accudire la nipotina, l’aveva avuta tutta per lui ogni giorno, per più di un anno, e le si era affezionato in un modo incredibile. Beppe aveva insistito più di tutti gli altri, perfino dei genitori, perché le indagini per ritrovare Sara continuassero ancora: era la persona che aveva collaborato maggiormente con i carabinieri ed era stato l’ultimo a rassegnarsi. Infine, forse anche per quel grande dolore, era stato stroncato da un infarto. I genitori avevano disperato di ritrovarla, convinti ormai che fosse rimasta vittima di qualche pedofilo che l’aveva rapita e poi soppressa. Tosca si riscosse alle parole del maresciallo. «Cercheremo di scoprire il colpevole di queste atrocità, faremo tutto il possibile e anche l’impossibile, glielo prometto. Ciò che ha subìto sua figlia è terrificante e non si può lasciare impunito un essere capace di tanto orrore!» dichiarò Luzzo. Appena saputo che la figlia era stata trovata, Angelo era subito rientrato a casa. Durante il periodo della scomparsa di Sara, ritornava in Italia raramente, forse perché restare in Germania a lavorare gli permetteva di pensare meno a ciò che era accaduto. Ora si sarebbe fermato tutto il tempo necessario, anche perché, pochi giorni prima del ritrovamento di Sara, era stato raggiunto a Monaco di Baviera da Andrea, il suo gemello, anch’egli ingegnere specializzato in design. La VOLSKA, dietro suggerimento di Angelo, aveva deciso di assumere il fratello, poiché gli affari – grazie soprattutto alla capacità di Angelo nel progettare nuovi stili di autovetture – erano in fiorente crescita. I genitori di Sara, alle parole del maresciallo, annuirono ma con poca convinzione. Erano piuttosto scettici sul fatto che si potesse individuare l’autore di un atto così raccapricciante. Oltre ad aver abusato della bambina per giorni e giorni, probabilmente l’avrebbe abbandonata a morire d’inedia. Infatti, quando Sara era stata ritrovata, aveva cibo e acqua solo per uno o due giorni, poi… poi chissà come sarebbe finita. Coordinati dal brigadiere Caviglia, i carabinieri si erano appostati per parecchio tempo, ventiquattrore su ventiquattro, in incognito, nei pressi di quel luogo, nella speranza che il rapitore si rifacesse vivo. Ma chiunque fosse stato, o aveva saputo che la bambina era stata ritrovata, oppure aveva deciso di lasciarla morire. Del resto, nessuno l’aveva riconosciuto ma avrebbe anche potuto essere un abitante dei


14 dintorni che, magari, conduceva una vita esemplare con tanto di moglie e figli. Se non fosse stato per quella nenia, per quella ninna nanna che Sara cantava a se stessa nel tentativo di sopravvivere, sarebbe stata ritrovata dopo diversi giorni dalla sua morte, probabilmente a causa del fetore che il suo corpicino avrebbe emanato. Luzzo e Caviglia non avevano tralasciato nulla in quell’indagine. Avevano rintracciato il proprietario della cantina, che era annessa a un alloggio vuoto da più di sei mesi, in cui aveva abitato una signora anziana e vedova, che era mancata. L’appartamento era stato ereditato dall’unico figlio che aveva provveduto subito a svuotarlo, cantina compresa, in quanto intenzionato a venderlo, anche perché abitava con la famiglia a Torino dove svolgeva il lavoro di commercialista associato presso uno studio. Preso dal lavoro e dalle incombenze familiari, non aveva ancora attivato alcuna agenzia per la vendita dell’alloggio e quella cantina, per quel che ne sapeva, doveva essere chiusa e vuota. Inoltre, non aveva la minima idea di chi avesse potuto aprirla e impossessarsene per quel turpe motivo. L’uomo, oltre a essere una persona integerrima, aveva un alibi di ferro per quel periodo, infatti era sempre stato al lavoro e tutti i suoi colleghi potevano testimoniarlo. Anche le analisi, volte a cercare la presenza di un DNA diverso da quello della bambina, non avevano dato esito. In ogni caso, Tosca e Angelo erano già contenti di aver ritrovato viva la loro figliola. I medici che l’avevano visitata subito dopo il ritrovamento, avevano dovuto faticare non poco. La piccola non voleva essere toccata, urlava e si divincolava come un’ossessa. Infine, anche se era quasi impensabile dover agire in quel modo con una paziente così giovane, decisero di farle un’iniezione calmante che, benché il dosaggio fosse leggerissimo, la fece addormentare. Evidentemente la bambina era già tanto stremata che il farmaco fece ancora più effetto. A quel punto riuscirono a visitarla e a riscontrare ciò che aveva subìto. Fortunatamente non furono rilevate infezioni gravi, a parte le contusioni, le piaghe e le ecchimosi per le ripetute sevizie subite. Quindi Sara, almeno sotto l’aspetto fisico, in un tempo non eccessivamente lungo, si sarebbe ripresa totalmente. Il problema principale era la psiche della bimba. Sara non voleva farsi toccare da nessuno, neppure dal padre. L’unica persona autorizzata a toccarla


15 solamente per aiutarla a lavarsi e vestirsi era Tosca, ma se la madre accennava anche solo a una carezza, si ritraeva. Il trauma subìto era stato così forte che non accettava né abbracci né coccole di alcun genere. Insomma, non sopportava assolutamente alcun contatto fisico, anche se ai genitori dimostrava di voler bene. L’unica speranza era che le cure della psicologa infantile, Laura Ciarlo, consigliata loro come una dottoressa fra le più brave in quel campo, riuscissero, se non a guarire totalmente, almeno a smussare in parte questo suo atteggiamento di rifiuto assoluto verso i contatti con le persone. La dottoressa Ciarlo vide arrivare la bambina seguita dalla madre che la teneva per mano ma, appena entrò nello studio, la piccola lasciò subito la mano della madre e si allontanò da lei. Dunque ciò che le era stato anticipato era vero: Sara non accettava alcun approccio e, a malapena, sopportava quello di chi l’aveva messa al mondo. “È più grave di quanto pensassi” si disse. Giulia Rossello, l’assistente sociale, anche lei laureata in psicologia, era stata attivata dai carabinieri perché stesse con la piccola in ospedale, in attesa dell’arrivo della madre e che, per prima, aveva cercato di interrogare Sara, gliel’aveva già accennato. «Mentre la interrogavo e lei non mi rispondeva, mi sono avvicinata per farle una carezza ma Sara si è subito ritratta, mettendo le mani avanti e urlando di non toccarla. Ovviamente non ho più fatto alcun tentativo, ho cercato invece di intavolare una specie di dialogo, iniziando con domande quasi futili, tipo: ti piacciono le bambole? Quali giochi preferisci? E altre simili. Poiché Sara restava muta, ho deciso allora di chiederle se ricordava qualcosa di ciò che le era capitato e se me ne voleva parlare. Subito Sara ha continuato a tacere, poi ha cominciato a tremare, infine si è messa a urlare e a piangere. Non sapevo come calmarla, anche perché cercare di abbracciarla avrebbe peggiorato la situazione. Ho atteso finché lei non si è calmata da sola, senza dire né fare più nulla. Poi, per fortuna, è arrivata la madre, rintracciata dai carabinieri. “Adesso si lascerà abbracciare”, ho pensato. Invece la piccola ha subito respinto anche lei. Entrambe siamo rimaste sconcertate da quella reazione. La madre era costernata per il comportamento della figlia, dato che non desiderava altro che stringerla a sé. Le ha parlato con molta dolcezza, dicendole: “Sara, tesoro, sono la mamma. Non mi riconosci?” continuando a insistere ripetutamente sul fatto che era felice di averla nuovamente con lei e di averla ritrovata


16 viva. Dopo quasi un’ora di tentativi, finalmente la bambina accettò di darle la mano. Ma fu tutto ciò che ottenne in quel momento. Allora le consigliai di riaccompagnarla a casa e di rivolgersi a una brava dottoressa di psicologia infantile. Ovviamente mi sono permessa di fare il tuo nome, dato che in questo campo sei la migliore.» “Beh, Giulia mi ha fatto un gran piacere!” pensò, con ironia, Laura. Tuttavia, nello stesso tempo, decise che voleva riuscire a tirare fuori quella bella bambina dall’incubo che aveva passato. Si ripromise che ce l’avrebbe messa proprio tutta. Anche lei era madre di una bimba di sei anni e, al pensiero che potesse succederle ciò che era capitato a Sara, si sentiva rivoltare dentro. Dopo aver salutato e congedato Tosca, fece cenno alla piccola di sedere sulla poltrona situata davanti alla scrivania, e prese posto su quella di fronte. *** Mentre attendeva nella sala d’aspetto che Sara finisse la sua prima seduta dalla psicologa, Tosca ritornava con la mente a quando aveva incontrato suo marito la prima volta. Si erano conosciuti in casa di un’amica comune che, mentre i genitori erano in vacanza in montagna, aveva organizzato una festa per il suo ventesimo compleanno. Anche Tosca, all’epoca, aveva la stessa età e si era recata a quella festa con un po’ di curiosità perché Clara le aveva detto che ci sarebbe stata una sorpresa ma non aveva voluto aggiungere altro. Tosca capì subito che la sorpresa era Angelo, anzi erano Angelo e Andrea, i due gemelli, uguali come due gocce d’acqua. Quando si presentarono, per ultimi, come aveva organizzato Clara, tutti gli altri invitati erano rimasti sbalorditi. I due gemelli, che allora avevano venticinque anni, erano vestiti allo stesso modo: jeans scampanati uguali e dello stesso colore, com’erano uguali i due giubbotti e gli stivaletti, tutti in pelle nera e la camicia che indossavano sotto. Anche la pettinatura era perfettamente identica: capelli biondo scuro lunghi, come si usava negli anni ‘70, inoltre avevano anche due sottilissimi baffetti identici. Insomma, non vi era un minimo particolare, neppure infinitesimale, che potesse farli distinguere l’uno dall’altro. Tuttavia, dopo un po’ che li si conosceva, ci si accorgeva che i loro caratteri erano diversi.


17 Andrea era più salottiero di Angelo, gli piacevano le feste che gli permettevano di incontrare nuove ragazze e di esercitare la sua fama di dongiovanni. Angelo, invece, era più posato e tranquillo. Accompagnava il fratello su sua insistenza ma ne avrebbe fatto volentieri a meno. Poi, mentre Andrea andava in visibilio dinanzi alle esclamazioni di stupore delle persone, quando li vedevano insieme, Angelo, al contrario, ne era infastidito. «Neppure fossimo due fenomeni da baraccone!» aveva detto una volta a Tosca. Fu proprio questo lato del suo carattere che glielo fece preferire al fratello. Benché Andrea le facesse una corte serrata, Tosca accettò le attenzioni più moderate e sobrie di Angelo. Dopo neppure un anno di fidanzamento, avevano deciso di sposarsi, e dopo quattro anni era nata Sara. Andrea, fra il serio e il faceto, le aveva detto che era molto in collera con lei per aver preferito Angelo, per poi proseguire: «Ma stai tranquilla, prima o poi troverò la donna adatta a me.» Invece non l’aveva ancora trovata. Veramente, a detta del marito, ne trovava a bizzeffe, ma nessuna che lo attraesse tanto da smettere di divertirsi solamente e mettere la testa a posto. I genitori dei due gemelli erano sempre stati amanti della montagna e vi si recavano regolarmente sia d’estate che d’inverno. Appassionati e provetti sciatori, forse per troppa sicurezza, amavano sciare fuori pista e questo fu loro fatale: furono investiti da una slavina e perirono entrambi. Fortunatamente l’ingegner Carlo Cerruti aveva uno studio ben avviato. A quel punto Angelo, che era laureato in ingegneria come il fratello, fu il primo a prenderne le redini e a continuare il lavoro del padre. In seguito anche Andrea, sollecitato da Angelo, si era rassegnato a dover lavorare con lui, sacrificando, all’impegno lavorativo, parte della vita mondana che l’aveva occupato totalmente fino ad allora. Dopo il loro matrimonio, Andrea, che inizialmente viveva nella stessa villa con il fratello, da quando erano rimasti orfani, aveva deciso di trasferirsi nella dependance attigua. «Per assicurare un’intimità maggiore sia a voi che a me» aveva dichiarato. Sia Angelo che Tosca avevano accettato con piacere quella soluzione. Non avevano mai avuto problemi finanziari, anzi, lo studio andava avanti benissimo e il lavoro non mancava ma, quando la VOLSKA


18 presentò la sua proposta, Angelo capì che una simile occasione non si sarebbe più ripresentata. Si trattava di guadagnare il doppio di ciò che ricavava dal suo attuale lavoro. Aveva quindi lasciato lo studio in mano ad Andrea e accettato, anche se gli era dispiaciuto molto lasciare moglie e figlia. Aveva promesso che sarebbe tornato a casa il più frequentemente possibile. Invece… I pensieri di Tosca furono interrotti dall’arrivo di Sara. La donna guardò la dottoressa con la speranza che fosse riuscita a far parlare la bambina, ma al suo cenno di diniego si sentì sprofondare ancor più nello sconforto. *** Ci vollero tempo e molte sedute prima che Sara si decidesse anche solo a parlare di cose di nessuna importanza. Il trauma che aveva dovuto sopportare era stato così doloroso e crudele che aveva cercato di rimuoverlo e non voleva saperne di riportarlo alla mente. La priorità di Laura, invece, era proprio quella di far sì che lei ricordasse e che ne parlasse, sia perché, alla faccia della riservatezza esistente fra medico e paziente, avrebbe riferito ai carabinieri tutto ciò che avrebbe potuto essere determinante per arrivare all’autore di quelle atrocità, sia perché, ricordando e parlandone, era certa che Sara sarebbe riuscita a rimuovere, almeno in parte, il terrore che continuava ad attanagliarla nei confronti delle altre persone. Ma le sedute si susseguivano senza che la bambina accennasse minimamente a ciò che aveva subìto, nonostante le velate sollecitazioni della psicologa. Quel giorno Sara si recava da lei per la sesta volta e Laura stava già pensando di dire alla madre che, purtroppo, non riusciva ad approdare a nulla quando, improvvisamente, la bambina disse: «Era Zorro…» Stupita, la donna pensò di aver inteso male. «Come hai detto?» chiese. «Era Zorro…» ribadì la piccola. Laura non sapeva se fare altre domande alla bambina o lasciarla parlare ma, quando si accorse che non era intenzionata a proseguire, disse: «Vuoi dire che hai visto Zorro e sei andata da lui?» «Sì, mi ha chiamata… era proprio Zorro, con la mascherina e il cappello con la Z dorata scritta sopra.»


19 «Ti ha chiamata, e tu che hai fatto? L’hai seguito?» la incalzò allora. «Aveva una bella bambola, mi chiamava e io ci sono andata…» Finalmente! Laura cercò di contenere la sua esultanza e di rimanere calma perché Sara non si spaventasse e continuasse a parlare. «Quindi ti ha dato la bambola?» «No. Però mi ha detto che l’avrei avuta se andavo con lui e che avremmo fatto uno scherzo alla mamma.» «E dopo?» Laura cercava di non fare domande troppo precise ma di lasciar parlare liberamente Sara. «Dopo mi ha presa in braccio, mi fatto annusare un fazzolettino che ha preso dalla tasca del vestito della bambola e poi… poi non ricordo più nulla.» Evidentemente l’aveva addormentata e portata via. In tutta quella confusione nessuno aveva fatto caso a una bambina addormentata in braccio a un uomo che avrebbe potuto essere il padre. Magari si era anche tolto maschera e cappello, mentre si allontanava, in modo da non destare sospetti. «Però, Sara, poi ti sei svegliata, vero?» Al cenno affermativo della bimba, Laura continuò: «E dov’eri?» «Ero… ero in un posto brutto, freddo e buio e avevo paura…» «Lo credo, tesoro, e dimmi… Zorro è poi venuto a trovarti?» «No. Lui non è più venuto. Veniva un altro uomo, un uomo cattivo, tanto cattivo!» «Lo so, Sara, che quell’uomo è stato cattivo con te e che ti ha fatto male.» «Tanto male…» insistette la bambina. «E ti ricordi qualcosa di lui, del suo volto, della sua voce…» «No, aveva sempre una maschera da pagliaccio e una voce… non so… parlava sempre a voce bassa e mi chiedeva… mi chiedeva delle cose…» A quel punto, Sara iniziò a piangere. «Basta, Sara» disse Laura «basta, non parlare più, va bene così!» Avrebbe voluto andare da lei e abbracciarla per consolarla, ma sapeva di non poterlo fare. Sara l’avrebbe respinta. «Continuiamo un’altra volta, cara. Ora ti lascio tornare dalla mamma.»


20 Durante la seduta successiva, Laura cercò di sapere qualcosa di più. Sara ormai si era aperta e continuava a spiegare. «Non l’ho mai visto in faccia. Lo vedevo sempre nudo dalla vita in giù, perché, quando arrivava, si toglieva i pantaloni e le mutande.» A quel punto, Sara s’interruppe. Laura, pur impaziente di sapere, non disse nulla, ma attese che la bambina continuasse. Infatti la piccola proseguì: «Non avevo mai visto un uomo nudo. Era… era strano e mi faceva male.» Si portò le mani agli occhi, come per asciugarli, ma non aveva lacrime. Poiché taceva nuovamente, Laura intervenne: «Lo so e non sai quanto mi dispiaccia ciò che ti è capitato, piccolina. Purtroppo in questo mondo esistono uomini cattivi, che fanno brutte cose e tu, disgraziatamente, ti sei imbattuta in uno di loro. Ma tu, quando sentivi male, non ti lamentavi? Non urlavi?» «Non potevo. Mi… mi teneva una mano sulla bocca e poi… poi mi diceva che se qualcuno mi avesse sentita o avessi chiamato quando rimanevo da sola, avrebbe fatto del male alla mia mamma.» Sara piangeva a dirotto mentre raccontava e, nonostante pensasse fosse meglio smettere di interrogarla, Laura volle provare a insistere: «Ho capito. Allora senti, tesoro, per caso non hai notato in quell’uomo qualcosa di diverso o un segno particolare, non so… qualcosa che ti ha colpito, che potesse farlo riconoscere?» A quella domanda, Sara ebbe un’esitazione. Rimase muta e pensierosa per un bel po’, tanto che Laura si convinse che non avrebbe più parlato. Invece disse: «Mi sembra di aver visto, di aver visto…» «Che cosa?» la incalzò Laura speranzosa. «Niente… no… niente… mi pareva ma non ricordo, non ricordo…» Poiché la bambina cominciò a tremare e ad agitarsi, la dottoressa la calmò. «Non importa, cara. Va bene così. Stai tranquilla. Se ti venisse in mente qualcosa, cerca di tenerlo a mente e me lo dirai la prossima volta. Ora torna dalla mamma.» Laura sperava che Sara ricordasse qualche particolare che potesse mettere i carabinieri sulla buona strada, ma le sedute successive non apportarono alcuna novità. La bambina ripeteva sempre le stesse cose e si lamentava del male subìto. La dottoressa, allora, smise di tormentarla


21 con altre domande e cercò di fare in modo che Sara riuscisse, se non a dimenticare – cosa che non avrebbe fatto per il resto della sua vita – perlomeno a cercare di pensarci il meno possibile. Quando la psicologa disse a Tosca che non era più il caso di portare Sara da lei, la bambina aveva raggiunto uno stato, se non di serenità, almeno di apparente calma. Era più tranquilla. Laura era riuscita a far sì che ciò che aveva patito non fosse un pensiero fisso. Nelle ultime sedute parlavano d’altro. Ormai Sara aveva cominciato la scuola e si trovava bene con la maestra e le compagne. La maestra, al corrente di ciò che le era successo, le aveva riservato un banco dove Sara sedeva da sola. Infatti, lo scoglio maggiore che la dottoressa Ciarlo non era riuscita a superare, era il fatto che la bambina continuava a non voler essere toccata da nessuno, solamente dalla madre e solo in caso di necessità. Per fortuna, anche le compagne, pur non sapendo ovviamente tutto, erano state avvisate di quel fatto e non le si avvicinavano più di tanto, ma le parlavano e scherzavano ugualmente con lei. Quando Tosca domandò alla dottoressa come avrebbe fatto Sara a continuare la sua vita in quel modo, senza toccare e lasciarsi toccare da nessuno tranne lei, Laura rispose sinceramente: «Non lo so, signora. Sinceramente non lo so. Dobbiamo solo sperare in un miracolo, perché credo che Sara non dimenticherà mai e poi mai ciò che ha dovuto subire.» Tosca però non sapeva che la dottoressa Ciarlo aveva contattato il Brigadiere Caviglia, incaricato delle indagini e, in via confidenziale, gli aveva riferito ciò che la bambina le aveva detto. Su disposizione del capitano Denegri, ormai giunto a ricoprire il suo posto, sia il maresciallo Luzzo che il brigadiere Caviglia erano tornati, anche se con poche speranze, a interrogare il personale del centro commerciale. Avevano chiesto al direttore se fosse a conoscenza che un suo dipendente si era presentato mascherato da Zorro, e poi avevano rivolto la stessa domanda a tutti gli altri dipendenti, ma nessuno aveva saputo dare risposte esaurienti. Ne erano usciti con il morale a terra. «Me lo sentivo che non saremmo approdati a nulla. Dopo alcuni mesi, oltretutto…» disse Caviglia «sinceramente speravo tanto di finire la mia carriera con un successo.» «Anch’io, ci contavo proprio. Stupidamente speravo che qualcuno ricordasse qualcosa che ci potesse indirizzare sulle tracce di quel bastardo! Però, ti dico una cosa, Emilio: questo fatto non mi dà pace e


22 non sarò contento finché non riusciremo a trovare il colpevole. Può darsi che Sara, una volta cresciuta, riesca a ricordare qualcosa di più e mi possa mettere sulla buona strada» ribadì Luzzo. «Speriamo…» disse il brigadiere, ma si capiva che non era per nulla convinto. Era già contento che la bambina fosse stata ritrovata viva e sana, se così si poteva dire, ma gli dispiaceva enormemente che quell’indagine non si fosse conclusa come avrebbe voluto. «Che ne dici, maresciallo, ci prendiamo un caffè?» «Ma sì, dai. Ci vuole proprio, però offri tu, vero?»


23

CAPITOLO II

La ragazza camminava a piedi nudi sul bagnasciuga della spiaggia. Non faceva ancora caldo, perché l’estate non era ancora pienamente arrivata. La primavera era stata clemente quell’anno e lei non avvertiva il freddo delle onde del mare che le lambivano i piedi. Era abituata ad andare in spiaggia anche in autunno e in inverno, finché la stagione diventava così gelida da non permetterglielo. Le piaceva camminare sul bagnasciuga, immersa nei suoi pensieri, così immersa che non avrebbe avvertito nulla. Aveva un grande desiderio di restare sola; perciò si era allontanata dai compagni con cui si trovava e si era diretta lungo la riva, passeggiando, con i sandali in mano, apparentemente tranquilla. Raggiunto un gruppo di scogli, si sedette. Nonostante fossero trascorsi anni, ogni tanto, i ricordi di quel brutto periodo della sua vita riaffioravano a sprazzi, a brandelli, e ogni volta la sconvolgevano. Oh, lei andava avanti, caparbiamente, percorrendo il cammino che la vita le presentava e non si lamentava mai, tanto che sua madre era quasi convinta che dell’accaduto avesse cancellato ogni ricordo. Ma non era così. I ricordi riaffioravano, eccome! E più lei diventava grande, più riemergevano. “Che strano” pensava. “eppure sono stata in osservazione!” Così lei amava definire il periodo in cui i suoi genitori, o perlomeno sua madre, perché il padre era dovuto, forzatamente, tornare al suo lavoro all’estero, l’avevano fatta seguire da una psicologa, peraltro bravissima. Ancora adesso dopo anni, ogni tanto, andava a trovarla. Laura la riceveva solo a titolo di amicizia e non demordeva mai dal chiederle, dopo le iniziali conversazioni, se si fosse ricordata qualcosa di più del suo rapitore. Evidentemente la psicologa sperava che Sara rammentasse ciò che non le aveva saputo dire allora. Anche il maresciallo Luzzo, quando la incontrava, dopo averla salutata affettuosamente, non mancava di chiederle la stessa cosa. Anch’egli


24 non si era mai rassegnato a non poter mettere le mani su quel “bastardo”, come lo definiva, che l’aveva tanto martirizzata. «Questo caso non mi ha mai dato pace e continua a non darmela» affermava sempre. La madre non aveva tralasciato nulla, non tanto per la figlia, ne era certa, quanto per mettersi l’anima in pace. Tosca voleva con tutto il suo essere che Sara guarisse per non sentirsi in colpa, per non ricordare che la sua bambina era stata rapita sotto i suoi occhi, mentre lei, nel reparto profumeria di uno dei centri commerciali della città, era intenta a scegliere il profumo più costoso e alla moda. Il lavoro che suo marito Angelo svolgeva, dapprima come ingegnere di spicco e ora come vice dirigente della VOLSKA, le permetteva qualsiasi spesa. «Sara!» sentì una voce chiamarla e si riscosse dai suoi pensieri. Lorenzo l’aveva trovata, come sempre. La ragazza sorrise dentro di sé. «Che vuoi?» domandò. Lorenzo si schermì: «Un penny per i tuoi pensieri!» «Valgo così poco? Se non sbaglio, una volta qualcuno offriva un regno alla donna dei suoi sogni.» «Ma io non ho un regno e neppure un penny. Vorrei soltanto che tu stessi con noi e che non ti assentassi ogni volta, lasciandomi solo.» «Lasciandoti solo? Ho solamente fatto una passeggiata; non ho lasciato solo nessuno. Del resto mi hai trovata, no?» «Sono venuto a cercarti su commissione di tua madre. Ci ha raggiunti in macchina ed è subito ripartita, ma mi ha detto che ha bisogno di darti una notizia con urgenza e mi ha pregato di cercarti e di avvisarti.» Sara si alzò con un sospiro. Poteva immaginare le notizie urgenti di sua madre. «Cara» iniziavano sempre così «domani dovrò partire e assentarmi uno o due giorni…» Chissà dove o da chi andava? Se lo era chiesto più di una volta. Del resto, il matrimonio fra i suoi genitori era terminato da un pezzo. Suo padre Angelo era subito ripartito per la Germania appena lei era stata ritrovata, lasciando tutto il fardello della sua rieducazione sulle spalle della moglie. Doveva raggiungere Andrea, il fratello gemello che, da solo, non riusciva ancora a soddisfare le richieste della ditta. Sara ricordava che all’inizio il padre ritornava a casa per qualche visita veloce: il primo Natale dopo il suo ritrovamento, la Pasqua dell’anno successivo. Poi, a parte le lettere e i regali – tanti regali, doni che


25 nessuna delle sue amiche avrebbe potuto neppure immaginare – che le inviava regolarmente a ogni ricorrenza, non lo aveva più rivisto per parecchio tempo. Allora Sara aveva chiesto a sua madre di raggiungere il padre, ma lei aveva sempre risposto evasivamente. Poi anche Sara aveva rinunciato a chiedere e quel padre, così distante, non solo per i chilometri che li dividevano, era diventato una figura quasi irreale, come se non fosse mai esistito. Era sempre solo presente con i suoi doni, ma ormai non lo vedeva da circa otto anni e il suo volto, quasi, non era più nella sua memoria. Aveva trovato la scusa di non potersi assentare perché, nel frattempo, Andrea, il suo gemello, era deceduto per un infarto improvviso, nonostante la giovane età. «Ha condotto una vita troppo dissoluta» aveva spiegato al telefono a Tosca «troppo alcol, troppo fumo, troppe donne… per fortuna non aveva famiglia, come me!» «Mi dispiace veramente! Non avrei mai pensato che Andrea sarebbe morto così giovane. Quarantaquattro anni sono veramente pochi per essere colpiti da un infarto!» «Te l’ho detto… se si fosse comportato diversamente… ma nonostante i miei avvertimenti aveva continuato la sua vita viziosa. Gli chiedevo perché non cercava di fermarsi, di trovare una donna che esaudisse le sue esigenze e di farsi finalmente una famiglia. Rispondeva che non ci teneva affatto, che per lui la vita era quella.» «Quindi che farai?» aveva chiesto Tosca «lo accompagnerai qui con il feretro, in modo da seppellirlo accanto ai tuoi genitori?» «No, Tosca, niente feretro. Ti invierò l’urna. Andrea aveva chiesto di essere cremato.» «Cremato? Ma è incredibile! Non l’avrei mai detto.» «Invece è così. Ha lasciato tanto di lettera scritta e io ho rispettato la sua volontà.» «Quindi tu non verrai?» «No. Come ti ho già detto sono pieno di lavoro e adesso che Andrea non c’è più…» Non finì la frase e lei comprese che non avrebbe rivisto il marito neppure in quell’occasione. Tosca non aveva mai capito il motivo per cui suo marito, a parte i primi due anni, quando le aveva raggiunte a Pasqua e a Natale, non era più tornato a casa, accampando problemi sulla necessità della sua presenza al lavoro. A nulla erano valse le argomentazioni della moglie che Andrea avrebbe potuto sostituirlo, almeno per qualche giorno. Angelo aveva sempre risposto


26 negativamente: la sua presenza era necessaria e basta. Non aveva neppure voluto recepire la velata richiesta di Tosca di raggiungerlo con Sara e trasferirsi entrambe in Germania insieme a lui. «No,Tosca» aveva risposto «sarebbe tutto troppo complicato, soprattutto per Sara. Sradicarla dalla sua casa e da tutto ciò che conosce, non credo sarebbe un bene.» «Invece io penso che un simile cambiamento potrebbe aiutarla a dimenticare…» aveva obiettato la moglie. «Non ne sarei così sicuro. In ogni caso questo fatto mi impegnerebbe nella ricerca di un alloggio più grande e più adatto a noi, e in questo momento non ce la potrei fare, ho troppo lavoro. E poi la nostra casa? Non vorrai affittarla o lasciarla vuota, spero!» Insomma, pensò ancora Tosca, non c’era stato verso di trovare una soluzione adeguata, almeno da parte di Angelo. Chissà! Forse si era fatto un’amante. Una bella valchiria che gli teneva compagnia e lo coccolava. Del resto anche lei… Beh, con Paolo non era nulla di serio. Si vedevano ogni tanto, giusto per soddisfare i loro desideri. Paolo era un bel giovane, più giovane di lei di cinque anni, ed era sempre pronto quando lei lo chiamava. Più di una volta gli aveva chiesto cosa ci trovasse in una “vecchietta” e lui aveva risposto che se tutte le vecchiette fossero state come lei ci avrebbe messo la firma. Tosca, pur sapendo di essere, a quarant’anni, ancora una bella donna – del resto i soldi per mantenersi in forma non le mancavano – si era sentita lusingata. *** «Tuo padre torna!» esordì sua madre, appena Sara entrò in casa. Niente “cara”, questa volta. «Torna?» domandò incredula la ragazza, senza riuscire a capire se fosse felice o meno a quella notizia. «Torna, torna, sì, come te lo devo dire? In Arabo, perché tu capisca?» s’inalberò lei. In quel preciso istante, Sara ebbe la certezza che sua madre aveva un amante; indubbiamente molto ben occultato, di cui non si sapeva nulla, altrimenti Tosca non avrebbe potuto continuare a usufruire del mantenimento del marito. Sempre in quel preciso istante, Sara si rese anche conto che, fino a quel momento, non aveva mai pensato a un possibile ritorno del padre. Aveva dato per scontato che i suoi


27 avrebbero continuato la loro vita separati: una in Italia, l’altro a Monaco di Baviera e, chissà perché, era quasi certa che il padre si fosse rifatto là una famiglia. Magari, lassù, aveva delle sorelle o dei fratelli. Mah! Forse non l’avrebbe mai saputo. «Ma torna per restare? Voglio dire… per sempre?» «A quanto pare, sì. È successo qualcosa, dice nel telegramma, che mi specificherà a voce. Purché non abbia perso il lavoro…» Già, questo fatto era certamente ciò che interessava maggiormente alla madre. Dover rinunciare ai suoi agi, alle sue ricchezze… evidentemente il suo amante non aveva grandi mezzi. Forse era lei stessa a mantenerlo. Sara sorrise ironicamente a quel pensiero. «Beh? Che hai da ridere?» interrogò Tosca. «Non posso esser contenta al pensiero di rivedere mio padre?» «Contenta? Mah, non so. Aspetta di averlo qui fra noi prima di dirlo» dopo quest’affermazione, dichiarò: «esco. Non sarò a casa per cena, ma non tarderò; domani mattina presto ci recheremo all’aeroporto. Tieniti pronta per le sei.» «Ma… e la scuola?» «Per un giorno, salterai. L’anno scolastico è quasi al termine e tu sei brava, non sarà la fine del mondo. E poi, per un’occasione simile…» Sara non sapeva se rallegrarsi o no per quella sorpresa, o per la situazione che si sarebbe venuta a creare. Certamente sua madre non avrebbe più potuto godere della sua libertà. E… suo padre? Cos’era capitato? Lo avevano licenziato, si era licenziato, si era separato dalla sua famiglia tedesca? Lo avevano sbattuto fuori casa? Sara passò la notte sveglia, rimuginando su tutti quei pensieri. Si domandava se fosse davvero contenta di rivederlo. Aveva una visione così sbiadita di lui! Era sicura che avrebbe stentato a riconoscerlo… Infine, sfinita, si addormentò per circa un’ora. Quando Manuelita, la cameriera spagnola, venne a chiamarla, non riusciva a svegliarsi. Ci volle una doccia quasi fredda perché si riprendesse. Poi volarono, quasi, all’aeroporto di Genova. Non aveva mai visto sua madre guidare così veloce e non sapeva se attribuire quel fatto al desiderio di rivedere il marito o al nervosismo che le creava quell’improvvisa ricomparsa dopo tanto tempo. Non era neppure preparata all’accoglienza che Tosca fece al marito. Una volta sistemate tutte le formalità dopo lo sbarco, gli si buttò letteralmente fra le braccia, esclamando:


28 «Finalmente! Quanto tempo, amore mio!» Sara vide che persino suo padre fu sorpreso da quell’accoglienza, e si accorse subito del fatto che il suo sguardo cercava lei. Quando la individuò, infine, sorrise. Si staccò dalla moglie con delicatezza mentre le diceva qualcosa sottovoce e la donna annuì. Con passo deciso, Angelo si diresse verso lei e si fermò. «Sara» domandò «sei proprio tu?» Lei, dopo un attimo d’incertezza, perché, chissà per quale ragione sconosciuta, quell’uomo non le ricordava il padre, fece un cenno affermativo col capo. Angelo le si inginocchiò davanti. «Le fotografie che mi ha sempre inviato tua madre non ti rendono giustizia, te lo assicuro. Certo, a riconoscerti mi ha aiutato la circostanza, ma sei diventata di una bellezza incredibile e non hai ancora sedici anni! Non riesco a immaginare come sarai fra qualche anno, nel pieno della tua gioventù.» «Non è il caso che lo immagini, papà» rispose Sara «è sufficiente che tu ti fermi con noi o che ci porti con te… anzi, ora che ci penso, questa sarebbe forse la soluzione migliore!» «Sara!» esclamò sua madre a quella risposta così impertinente, mentre Angelo che dapprima era rimasto allibito da quel discorso, scoppiò in una fragorosa risata. Accennò il gesto di volerla abbracciare ma, vedendo la reazione della figlia che subito indietreggiò, ricordò il suo problema. Allora si rivolse alla moglie: «Non si può certo dire che sia timida.» «No, non è timida, anzi piuttosto sfacciata, direi» rispose Tosca, indispettita. «Detto fra noi, mia cara» sostenne Angelo «preferisco una figlia che sappia esporre le sue ragioni a una giovane timida e insignificante, senza carattere.» A quelle parole, Sara sorrise. «La Germania ti ha cambiato… e molto» replicò, invece, Tosca «una volta, anni fa, una simile risposta, anche solo da parte mia, ti avrebbe fatto imbestialire.» «I tempi cambiano, mia cara moglie» disse Angelo, cingendole le spalle, facendola girare verso lui e stampandole un lungo bacio sulla bocca, tanto che Sara spalancò gli occhi.


29 «Angelo!» esclamò Tosca, sconvolta, quando la lasciò «non so come siate abituati a Monaco di Baviera, ma qui in pubblico, comportarsi così è quasi scandalo!» «Davvero? Anche fra marito e moglie? Ma è assurdo! Tu non sai da quanto ho atteso questo momento…» le sussurrò nell’orecchio. «Cosa devo pensare? Mi sembri un altro uomo…» per la prima volta lo guardò bene «davvero, proprio un altro uomo…» continuò, osservandolo pensosa. «E tu, dopo tanti anni, credevi tornassi esattamente uguale a prima? Certo che sono un altro uomo! Intanto sono invecchiato, i capelli e i baffi si sono un po’ ingrigiti…» «No, no» lo interruppe lei «non intendevo questo. Mi riferivo al carattere… non sei mai stato così… così…» indugiò per trovare la parola giusta «espansivo! Ecco, questo intendevo.» «Bene, credo che dovrai abituarti a un nuovo marito, più espansivo e più libero!» nuovamente le sussurrò qualche parola all’orecchio che ebbe il potere di infiammare il viso di Tosca. Quindi si rivolse a sua figlia. «Mi dispiace di non poter abbracciare e baciare anche te, ragazza mia. Anche tu mi sei mancata e molto; non potrai mai capire quanto mi sei mancata! Sei proprio certa di non volermi almeno stringere la mano?» Al gesto di diniego di Sara, replicò: «Pazienza. Ci vorrà del tempo ma sono certo che, prima o poi, ci riuscirai.» Prese la moglie sottobraccio e, mentre Sara li seguiva, si diresse verso la macchina che li attendeva. *** Angelo aveva messo al corrente moglie e figlia che non sarebbe più ripartito, perché la VOLSKA aveva aperto una filiale a Genova, di cui lui sarebbe stato il Dirigente. «Ci pensate? Dovrò viaggiare, certo, ma tutte le sere sarò a casa con voi e trascorreremo insieme tutte le festività. Finalmente saremo di nuovo una famiglia unita. Adesso desidero solo godermi questa cena in vostra compagnia, la prima di una lunghissima serie!» Fu una serata strana e particolare. Angelo raccontò, raccontò e raccontò, stimolato anche dalle domande della figlia, mai sazia di


30 notizie riguardanti quella Nazione che avrebbe voluto visitare e che, per il momento, le era stata preclusa dal ritorno definitivo del padre. «Ah, da quanto non mangiavo più queste deliziose pietanze!» esclamò Angelo a un certo punto. «Come si mangia in Germania, papà?» chiese Sara. Altra domanda che portò a una specie di dissertazione, quasi filosofica, sulle abitudini alimentari dei Tedeschi. La ragazza e anche la madre, ogni tanto arricciavano i loro nasini e, indubbiamente, pensavano entrambe che era molto ma molto meglio la cucina italiana, nonostante Angelo si fosse dimostrato un grande estimatore della birra e dei wurstel tedeschi, di cui aveva loro portato un assaggio perché gli originali non avevano nulla a che fare con quelli che giungevano a Savona. Durante una pausa, fra una portata e l’altra, Tosca osservò: «Ti trovo decisamente cambiato, non ne convieni anche tu, Sara?» La figlia, prima di rispondere, guardò il padre e non le sfuggì una specie di allarme nel suo sguardo, tanto che si chiese perché quella domanda lo intimorisse. Forse aveva paura che Tosca scoprisse che a Monaco si era costruito una nuova esistenza? Fin da piccola la ragazza era stata dotata di un certo “sesto senso”, acuitosi dopo la brutta avventura che le era capitata. Però si gettò alle spalle quella sensazione, pensando che certi atteggiamenti di suo padre, che non vedeva da tanto tempo, fossero naturali. «Cambiato?» rispose alla madre e, sempre guardando il padre «forse sì, ma in meglio… molto meglio!» «Certamente non si può stare lontano tanti anni e tornare esattamente quello che si era prima, sono invecchiato, ho lavorato, anche duramente, ho fatto esperienze che mi hanno maturato…» reagì lui, quasi con veemenza. «Ma Angelo, tranquillizzati!» lo interruppe Tosca «anch’io intendevo ciò che ha detto Sara. Direi che la permanenza lontano da casa ti ha migliorato e molto! Non ti propongo di tornarci perché ora sei qui e qui ti vogliamo, a meno che…» fece una pausa voluta «a meno che tu non voglia portarci con te.» «Ah, questo è scontato! Mie care ragazze vi assicuro, anzi, vi prometto solennemente che, se dovessi tornare, ma spero proprio di no, considerato quanto si sta bene qui, non partirei più da solo.»


31 Sara trasse un sospiro di sollievo, quindi non si era costruito una nuova famiglia lassù. Si meravigliò di vedere il sorriso che illuminava anche il volto di sua madre a quell’asserzione. Quindi Tosca era sempre innamorata del marito… E il suo amante? Ammesso che esistesse veramente, che fine avrebbe fatto? Fece spallucce, non erano affari suoi. «A che pensi, mia piccola Sara? O dovrei dire: a che pensa la mia figliola diventata una bellissima signorina?» Lei arrossì, ma si riprese subito. «Pensavo che, se tu resti qui con noi, poco m’importa di vedere la Germania!» Angelo cercò nuovamente di accarezzarla, ma Tosca lo riprese subito, ricordandogli che la figlia non sopportava le carezze. Allora lui si scusò e le disse: «Abbi pazienza, è più forte di me, ma vedrai che mi abituerò.» «Lo immagino, papà. Non ti preoccupare. Siamo stati distanti così a lungo che è normale. Beh, ora vi lascio. Dato che non sono andata a scuola, sarà meglio che cerchi di recuperare una parte delle lezioni perse.» Ma non aveva alcuna voglia di studiare. Appena in camera, si guardò attorno. “Sono una ragazza fortunata” pensò, notando l’ampiezza e l’arredamento della sua stanza da letto. Non tutte le sue compagne, anzi, forse neppure due su cento, avevano una camera dotata di una scrivania megagalattica, attrezzata come angolo studio e su cui c’erano anche un telefono e un televisore. Inoltre, vi campeggiava anche un giradischi con due casse stereo e una bella collezione di quarantacinque e trentatré giri: tutti dischi dei suoi cantanti preferiti. In più aveva anche un mangiacassette, cioè un registratore portatile con cui poteva ascoltare le cassette già contenenti musica, oppure poteva registrare, in quelle vuote, le canzoni che più le piacevano. A volte Sara si divertiva a registrare la sua voce e, chissà perché, quando si riascoltava, stentava a credere che fosse la sua. Quel mangiacassette era molto pratico: funzionava anche a pile e quindi le era possibile averlo con sé quando andava in macchina con sua madre o in giro con i compagni, specialmente con Lorenzo, che si offriva sempre di portarlo, con la scusa che non era poi tanto leggero, ma non era vero, desiderava solo farle una gentilezza, come sempre. Pensò che tutto ciò che possedeva era grazie al lavoro di suo padre durante gli


32 anni in cui era stato lontano. Forse avrebbe preferito meno lusso e averlo vicino. Si rese conto che le erano mancati i suoi discorsi e il fatto di non poter parlare con lui per qualsiasi suo problema. Certo, non gli si sarebbe mai seduta in braccio, né lo avrebbe mai abbracciato, ma la sua presenza sarebbe stata di grande conforto. Decise di telefonare a Lorenzo e gli chiese se il giorno dopo avrebbe avuto piacere di incontrarla e di aggiornarla su ciò che avevano studiato a scuola quella mattina. «Certamente!» rispose il ragazzo «ci vediamo domani pomeriggio, diciamo alle tre, al solito posto?» Sara confermò e, una volta posata la cornetta, si pentì di averlo chiamato. Sapeva di farlo soffrire per nulla. Da tempo si era resa conto che Lorenzo aveva un debole per lei e si rendeva anche conto che lui non le era indifferente. Anzi, gli si era proprio affezionata, le piaceva la sua compagnia e amava i ragionamenti che faceva e i suoi discorsi, che non erano da ragazzino, ma da adulto. Non era vanesio come altri suoi compagni. Tuttavia era trattenuta dal suo problema. Quando, senza pensarci, una volta Lorenzo le aveva toccato la mano, lei l’aveva ritirata di scatto quasi lui fosse un appestato. Aveva notato lo sguardo amareggiato e, nel contempo, quasi di scusa del ragazzo e si era dispiaciuta di averlo ferito, ma era stato più forte di lei e Lorenzo, che era a conoscenza della sua situazione, la sopportava. Era stata lei stessa a parlargliene, dicendogli praticamente tutto ciò che le era capitato. Dopo il primo momento di shock a quella confessione, Lorenzo aveva detto: «Mi dispiace immensamente per quanto ti è successo e capisco meglio il tuo comportamento. Stai pur certa che per me resterà un segreto, come mi hai chiesto. In ogni caso, questo non precluderà in alcun modo la mia amicizia nei tuoi confronti e tu potrai contare sempre su di me.» Dopo quelle parole, Sara si era tranquillizzata ed era felice di aver trovato un caro amico, anche se il tarlo di farlo soffrire in qualche modo la attanagliava. Aveva il timore che Lorenzo s’innamorasse veramente di lei e sapeva che non avrebbe mai potuto contraccambiarlo come lui avrebbe voluto, cioè, come normalmente fanno due ragazzi che si piacciono.


33 Senza contare che Lorenzo la attraeva anche fisicamente. Le piacevano i suoi bei capelli castani ondulati e i suoi occhi scuri un po’ a mandorla. Inoltre, grazie anche agli sport amatoriali, come il nuoto e il calcio che praticava, aveva un fisico atletico e slanciato. Nonostante tutto, non riusciva a superare il suo scoglio. Più di una volta si era detta che avrebbe dovuto provarci. Doveva fare forza su se stessa e cercare almeno di stringergli una mano ma poi… no, no, non era possibile e lo sapeva bene. Non sopportava neppure una carezza dei suoi genitori, figuriamoci toccare Lorenzo! Ci pensò ancora un po’, poi si disse che, essendo entrambi tanto giovani, le cose sarebbero cambiate e, prima o poi, Lorenzo avrebbe trovato un’altra ragazza da amare. Anche se questo pensiero la faceva soffrire, sapeva che sarebbe stato giusto così e sperava di non perdere mai la sua amicizia. *** )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO I................................................................................. 5 CAPITOLO II ............................................................................. 23 CAPITOLO III ............................................................................ 53 CAPITOLO IV ............................................................................ 78 CAPITOLO V ............................................................................. 95 CAPITOLO VI .......................................................................... 101 CAPITOLO VII ........................................................................ 112 CAPITOLO VIII ....................................................................... 126 CAPITOLO IX .......................................................................... 140 RINGRAZIAMENTI ...................................................................... 155



AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Terza edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2020) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.